Sei sulla pagina 1di 16

HEIDEGGER – LETTERA SULL'UMANISMO

L'eco della conferenza di Sartre raggiunge anche Marin Heidegger, che dopo la guerra si era rifugiato nella sua baita
nella foresta nera, tra Friburgo e Costanza.
Era stato interdetto dall'insegnamento universitario perché tra 1933-34 aveva attivamente aderito al
nazionalsocialismo ed era stato rettore per 1 anno dell'Università di Friburgo.
Viene raggiunto, nella sua baita, da un soldato che gli parla di Sartre, portandogli il testo della conferenza, per provare
ad organizzare un incontro tra i due filosofi.
In realtà il tramite fra i due filosofi fu Jean Beaufret, con il quale il soldato era in contatto.
Alla fine del 1946 Beaufret scrisse una lettera ad Heidegger chiedendogli come intendesse ridare senso alla parola
umanismo.

Chi è Heidegger? Ha una decina d'anni in meno di Sartre ed era il più noto esponente dell'esistenzialismo tedesco.
Sartre conosce il pensiero di Heidegger, durante la prigionia (1939-40) aveva letto L'essere e il tempo (1927).
Questo testo rende famoso Heidegger in Francia e Germania, testo ripreso da Sartre ne L'essere e il nulla.

Il minimo comune denominatore tra la filosofia di Heidegger e Sartre è l'appartenenza all'esistenzialismo.


L'esistenzialismo è ogni filosofia che si comcepisce e si esercita come un'analisi dell'esistenza.
Per esistenza si intende il modo di essere dell'uomo nel mondo:
la caratteristica fondamentale dell'esistenzialismo è quella di mettere in questione il modo di essere dell'uomo,
ed essendo l'uomo un essere nel mondo si mette in questione anche il mondo stesso.
Il mondo come luogo dove è gettata l'esistenza, non è già costituito ma è l'uomo l'esistente che crea/plasma/forma e
conferisce senso al mondo stesso.
Per l'esistenzialismo è importante la co-appartenenza: il mondo al uomo e l'uomo al mondo.
Al centro di ogni filosofia esistenzialista si trova il rapporto uomo-mondo e il tema del rapporto tra
la possibilità e la libertà.

Riprendendo da Sartre
Sartre introduce la distinzione fra essere in sé e esser per sé.
Si interroga sulla relazione tra l'essere in sé (cose: conosciute nella loro assoluta positività e sempre identiche a loro
stesse) e l'esser per sé (la coscienza che interagisce con le cose e questa interazione parte dalla radicale libertà
dell'uomo, intesa come nullificazione, capacità di fluidificare le cose stesse per modificarle).

Sartre parte dalla coscienza, dice: L'essere e il nulla ha come tema la determinazione ontologica della coscienza,
intesa come essere al mondo.
La comprensione di ciò che caratterizza la coscienza intesa come “essere nel mondo”.
La coscienza è la coscienza di qualcosa. Di cosa? Di qualcosa che non è coscienza, cioè l'essere in sé.
L'essere in sé è ciò che è, ovvero pura positività.

La prima descrizione dell'esser per sé avviene per differenza dall'essere in sé:


l'essere che si oppone all'essere in sé è la coscienza, cioè l'esser per sé:
è coscienza dell'essere in sé ma anche di sé (una autocoscienza).

La presenza a se stessa indica una scissione: la coscienza e il qualcosa di cui essa è coscienza.
Questa seraparazione è il nulla. Ciò che separa la coscienza da sé stessa è il nulla.
Questa coscienza (esser per sé) è sia coscienza dell'essere in sé sia coscienza di se stessa (autocoscienza),
ma perché ciò sia possibile l'esser per sé non può essere pura positività, deve essere anche negatività.
Deve scindersi da sé stesso – deve esserci una scissione tra la coscienza e il qualcosa di cui essa è coscienza.
Si separa così: questa separazione è il nulla. Il nulla è la libertà dell'uomo.
L'esser per sé interagisce con l'essere in sé a partire dalla sua libertà.
Cos'è la libertà? È il suo potere nullificante, distruttivo e costruttivo.
Distrugge le relazioni pre-esistenti e ne costruisce di nuove – è una libertà nullificante.

Una delle prime differenze tra Sartre e Heidegger è il modo di intendere la libertà.
Mentre per Sartre è possibile inventare il nuovo, creare il nuovo, per Heidegger questa creazione è impossibile.

Nel 1927 Heidegger scrive Essere e tempo, rappresenta la conclusione di un lungo percoso iniziato negli anni '20,
che aveva come obbiettivo fondamentale quello di rifondare la filosofia per superare il “predominio del teoredico”,
cioè un approccio teoretico e oggettivante alla realtà
– la filosofia fino ad allora ha mancato la vita, ha mancato di riuscire a comprendere la vita nella sua complessità.
Ha provato ad oggettivare la vita e oggettivandola l'ha privata della sua vitalità.

La sua idea di riformulazione della filosofia è quella trovare un metodo filosofico per riportare alla filosofia la vita
nella sua complessità e vitalità.
Heidegger proverà nelle pieghe del linguaggio, con termini filosofici nuovi, a descrivere questa complessità.
Spesso utilizza termini che non fanno parte del linguaggio comune e nemmeno filosofico.

Heidegger cerca di affrontare e costruire la fenomenologia della vita, intersecando diverse prospettive e metodi
filosofici: la fenomenologia, l'esistenzialismo, la filosofia della vita (che metteva al centro il problema della
comprensione della vita).
Heidegger, con vari tentativi, cerca di arrivare alla comprensione della vita nella sua motilità e vitalità,
che più tardi chiamerà esistenza.

Heidegger, nel 1927, è quasi costretto a pubblicare L'essere e il nulla.


Esso è la conclusione di un percorso che è ancora in marcia.
Infatti sarebbe dovuto uscire un secondo volume, che però non vedrà mai la luce.

Mentre Sartre nell'introduzione de L'essere e il nulla afferma che il suo testo ha l'obbiettivo fondamentale la
comprensione ontologica della coscienza come esser nel mondo,
Heidegger nella sua introduzione presenta Essere e tempo non solo come un testo volto alla comprensione
dell'esistenza, ma anche con un secondo fine:
egli parte da un problema più astratto → il suo testo viene scritto per cercare di riproporre la questione ontologica,
la questione dell'essere.
Heidegger ritiene che l'essere non è stato compreso a fondo dalla filosofia.
Parte dalla domanda “che cos'è l'essere in quanto tale?” - la filosofia non ha mai risposto perchè i filosofi sono rimasti
sul piano dell'uomo, cioè l'ente (l'ente è l'esserci = uomo in quanto esistenza).
Heidegger vuole provare a comprendere l'essere in generale attraverso la comprensione di un ente particolare,
e quell'ente è l'esistenta che si interroga su sé stessa che sia autocomprende e che autocomprendendosi arriva a
comprendere quelle caratteristiche fondamentali dell'essere in quanto tale.
Questo progetto non verrà portato a termine.
Ciò che resta è l'analitica esistenziale: la descrizione dell'autocomprensione dell'esistenza,
delle strutture dell'esistenza, del modo di essere dell'uomo.
analitica esistenziale = descrizione dell'esistenza, dell'essere umano in quanto esistenza.
Nonostante l'obbiettivo di Heidegger fosse un altro: comprendere l'essere in quanto essere.

Gli esistenziali sono le categorie attraverso le quali l'esistenza si comprende.

Heidegger definisce l'ente particolare che si autocomprende?


Che cos'è l'esistenza?

L'esserci è l'ente che noi sempre siamo, è noi stessi.


È l'ente che si autocomprende, che si realaziona al suo proprio essere nel modo dell'aver da essere.
CIOÈ: l'esserci siamo noi in quanto non qualcosa di predefino, ma qualcosa che si deve realizzare (ha da essere).
Siamo noi stessi che ci realizziamo.

Da ciò Heidegger trae 2 conseguenze:


1. l'essenza dell'esserci consiste nella sua esistenza,
cioè l'esserci si rapporta alla propria essenza nel modo della possibilità a diferenza di qualsiasi altro essere
semplicemente presente.
l'essenza dell'esserci consiste nella sua esistenza.
(questo è molto simile a l'esistenza precede l'essenza)
2. l'esistenza è sempre mia – essa non può essermi indifferente, essa è la mia possibilità più propria.
Differenza sostenziale con Sartre:
- Sartre continuerà a parlare col marxismo
- Heidegger ha una matrice religiosa-cattolica.
Qui H. inserisce la distinzione nota tra l'esistenza inautentica e autentica.

Raccolta nell'espressione: l'esserci è quell'ente al quale nel suo essere ne va del suo essere.

L'essenza dell'esserci consiste nella sua esistenza, nel suo aver da essere.
Tale esistenza è la possibilità più propria di qualcuno.
L'esserci è quell'ente al quale nel suo essere ne va del suo essere → si deve realizzare ma non è indifferente a sé stesso
nel momento in cui lo fa, ma è implicato – si mette in gioco.

Più avanti sposta l'attenzione da questo momento di realizzazione all'aspetto dell'esser proprio,
dell'autenticità, del farsi sé.
L'esserci non solo ha da essere ma nella sua essenza ha la possibilità di essere proprio (di essere autentico, di
appropriarsi di sé stesso) o di perdersi.
Qui si insinua l'elemento religioso = posso vivere o in maniera autentica o inautentica.
Quindi l'esserci è possibilità, ma non indifferente possibilità (come invece in Sartre) → può perdersi o conquistarsi.
L'esserci non è un indifferente insieme di possibilità, ma in sé stesso la misura di ciò che gli è proprio
e ciò che gli è proprio.
La successiva definizione di Heidegger di questo ente è:
questo ente è l'esser nel mondo.
Poi Heidegger inizia a interpretare il fenomeno dell'esser nel mondo in tutte le sue sfaccettature,
soffermandosi prima sul mondo e la mondità del mondo, poi sull'in essere, poi sul chi dell'esserci.
Da qui nasce l'analitica esistenziale – la comprensione di quel fenomeno unitario che è l'esistenza in quanto esser nel
mondo in tutte le sue diverse sfaccettature.
Da qui nasce Essere e tempo e poi il passaggio che Heidegger cercherà di compiere per la comprensione dell'essere
passa per questi esistenziali.

Heidegger arriverà a definire l'essenza di questa esistenza nella temporalità e nella cura.

Heidegger rifiuterà l'etichetta di esistenzialista e lo farà proprio nella Lettera sull'Umanismo.


Non essendo riuscito a compiere il suo progetto nell'Essere e Tempo,
compirà nella sua filosofia quella che definisce come “svolta”:
non essendo riuscito a giungere ad una comprensione dell'essere attraverso l'analitica esistenzale e l'analisi dell'uomo,
penserà nel dopoguerra di dedicarsi nella maniera astratta nella comprensione dell'essere per poi poter arrivare ad
una comprensione dell'ente.
Questo passaggio viene descritto proprio in Lettera sull'umanismo.

Quindi vediamo che per i due autori la guerra rappresenta proprio uno spartiacque.
Per Sartre questo significa riuscire a trovare gli elementi che lo spingeranno ad impegnarsi concretamente nella
realtà, quindi a considerare la sua filosofia esistenzalista come attiva e capace di impegnarsi nel reale.
Per Heidegger questo significa spostare il suo progetto, la sua analisi dell'esistenza su un piano ancora più astratto di
quello precedente.

scaletta:
1. che cos'è l'umanismo per Heidegger
2. qual è la critica che Heidegger muove a Sartre nel testo
3. in che modo Heidegger intende l'agire
4. il modo in cui Heidegger intende affrontare l'etica – rapporto tra esistenza e etica (etica originaria).
Lettera sull'umanismo è la risposta di Heidegger ad una lettera del filosofo francese Jean Beaufret,
che faceva parte del circolo sartriano e che provava a mettere in contatto i due pensatori.

La conferenza di Sartre ebbe molta risonanza e alla fine del 1945 si apre una discussione interno all'umanismo che
coinvolge Heidegger, che nel 1946 scrive la Lettera sull'Umanismo, ma anche altri filosofi come Jaspers.
L'umanismo inizia a divenire una categoria concettuale: da caratterizzazione di un determinato contesto storico,
il periodo rinascimentale umanistico, l'umanismo diviene una categoria concettuale, filosofica e politica,
incentrata sulle riflessioni sull'uomo e sulle conseguenze che la definizione dell'uomo ha dal punto di vista pratico ed
etico-politico.
La conferenza di Sartre ha un'ampia risonanza e raggiunge anche Heidegger nella foresta nera.

Il tentativo di mettere Heidegger e Sartre in contatto in realtà era già stato tentato prima di Beaufret,
operato da un giovane interprete, al seguito delle truppe francesi d'occupazione in Germania.
Egli si recò da Heidegger portandogli in dono una copia del Essere e il nulla di Sartre.
Il progetto era quello di organizzare una discussione pubblica tra Heidegger e Sartre a Baden-Baden,
coinvolgendo anche Camus (il quale rifiutò l'invito). Questo incontro non ebbe mai luogo per questioni organizzative.
Heidegger, dopo aver collaborato con i nazionalsocialisti, era stato sospeso dall'insegnamento e si trovava in uno dei
periodi più bui della sua vita.
Dopo la visita dell'interprete Heidegger scrive una lettera a Sartre (senza risposta), data 28 ottobre 1945,
proprio il giorno prima della conferenza sartriana.

Nella parte conclusiva dell'Essere e il nulla Sartre apre uno spiraglio alla discussione intorno ad una morale:
afferma che tutte le questioni trattate nell'ontologia della coscienza come essere nel mondo (Essere e il Nulla)
dovrebbero trovare le loro collocazione fondamentale in una discussione intorno alla morale.
Così Sartre apre la sua teoria verso la pratica, in una direzione che si rafforzerà nel secondo dopoguerra.
Heidegger afferma, nella lettera, che ciò che più l'ha colpito del pensiero sartriano è proprio la conclusione,
questa apertura verso la prassi e la morale.
“Si tratta di cogliere e di esprimere con la massima serietà la situazione attuale del mondo, al di là di tutti i meri
settarismi e mode, così da ridestare finalmente l'esperienza decisiva di quanto abissalmente si celi nel nulla
esistenziale la ricchezza dell'essere” (p. 110)
da un lato Heidegger evidenzia la situazione comune ad entrambi i filosofi e si presenta come “compagno di
cammino”, sottolinando l'esistenza di tratti comuni,
ma già in questa lettera mostra che in questo cammino comune ci sono già delle grosse differenze.
Heidegger dimostra che si è già avviato, nel 1946, su una strada diversa di Essere e tempo (la svolta).

Nella sua filosofia “esistenzialista”, quella prima della svolta, l'intenzione di Heidegger era già di comprendere
l'essere in generale, però passando attraverso l'interpretazione dell'esserci,
che autointerrogandosi e autocomprendedosi per arrivare alla comprensione dell'essere.
Questo passaggio però non veniva compiuto in Essere e tempo, infatti avrebbe dovuto essere pubblicato un 2° volume.
Quello che ci rimane dell'unico volume pubblicato è un'analisi dell'esistenza, una ricostruzione delle categorie
attraverso le quali l'esistenza si comprende.

Heidegger si rende conto che per arrivare a reinterpretare/riproblematizzazione dell'essere in quanto tale è necessario
rivolgersi all'obbietto: comprendere l'essere in quanto essere e poi dopo dall'essere comprendere l'uomo.
I termini sono quindi invertiti.
Invece nella Lettera sull'umanismo Heidegger prende le distanze da Sartre.
Heidegger prende posizione sul nesso esistenzialismo-umanismo, su cosa significa azione,
sul rapporto tra ontologia ed etica.

Heidegger prende le distanze dall'esistenzialismo e dall'umanismo, che a suo parere non si accostano minimamente
alla propria filosofia.
Lettera sull'Umanismo è quindi una risposta ad una lettera (novembre 1946) di Jean Beaufret.
Le domande si Beaufret sono:
1. qual è il rapporto tra esistenza ed etica?
2. Come ridonare senso alla parola “umanismo”?

Pag.1
“noi non pensiamo ancora in modo abbastanza decisivo l'essenza dell'agire”.
È chiaro qui il dialogo con Sartre.
Normalmente si pensa che l'agire sia un produrre effetti, che possono essere più o meno utili.
Per Heidegger l'agire è il portare a compimento.
Portare a compimento significa: dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza.
In latino producere = condurre fuori.

Allora può essere portare a compimento solo ciò che è già, non ciò che viene dal nulla.
Ciò che già è l'essere.
Quindi il produrre è il portare a compimento il rapporto dell'uomo all'essere.

Questa è la risposta alla domanda di Beaufret “qual è il rapporto tra esistenza ed etica?”.
Heidegger risponde facendo un passo indietro: è inutile discutere sul rapporto tra etica ed esistenza o su come
ridare senso all'umanismo. Il problema è ancora più alla radice:
noi non pensiamo ancora in modo abbastanza decisivo all'essenza dell'agire.
Bisogna interrogarsi su cosa vuol dire agire.
Quel è il senso dell'agire? Il “portare a compimento”, cioè dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza.
Riuscire a far sbocciare/fiorire qualcosa nella sua pienezza.

Per Heidegger l'agire in senso proprio è il pensiero,


perchè è il pensiero che porta a compimento la relazione fra l'uomo e l'essere (ovvero il riferimento dell'essere
all'essenza dell'uomo).

Quando iniziamo a parlare di etica perdiamo il senso dell'agire.


Heidegger dà la responsabilità ad Aristotele che ha diviso il pensiero/sapere in discipline (fisica, metafisica, etica...).
Quando il pensiero si divide in discipline perdere le questioni originarie da affrontare,
perché attribuisce delle etichette ad pensiero.
Quando il pensiero procede attraverso l'attribuzione di etichette perde la sua essenzialità,
cioè il contatto con ciò che è essenziale (non può cogliere l'essenziale).
Per Heidegger una di queste etichette è proprio l'umanismo.
Dobbiamo pensare l'essenza dell'agire.
L'essenza dell'agire non è il produrre effetti.
L'essenza dell'agire è produrre a compimento, far sbocciare: creare le condizioni per cui la rosa sbocci.
Far essere qualcosa nella sua essenza.
Solo il pensiero nella sua totalità può cogliere questo, quando viene spezzettato e catalogato in etichette perde
l'essenziale e non ci fa comprendere la vera essenza dell'agire.
Il pensiero è la forma più alta di agire perché è il pensiero che porta a compimento la relazione dell'uomo all'essere.
L'essenza fondamentale dell'agire non viene colta se esso è suddiviso in discipline (colpa ad Aristotele).

Anche l'umanismo è un'etichetta e ci fa perdere l'essenziale.


Bisogna far saltare questa etichetta e comprendere l'essenza dell'uomo.

Pag 34

“Come ridare un senso alla parola umanismo?”


controdomanda di Heidegger → è necessario mantenere la parola umanismo?
Tutte le denominazioni di questo genere sono dannose.
Già da molo tempo si diffida degli ismi.
Ogni ismo, generalizzazione ed etichetta ci porta lontano dal problema.
Il problema non è donare senso all'umanismo, ma far saltare questa etichetta.

Pag 39

L'uomo deve ritrovare la vicinanza dell'essere, deve prima imparare ad esistere nell'assenza di nomi.
Prima di parlare l'uomo devi anzitutto lasciarsi reclamare dall'essere col pericolo che abbiamo poco da dire.
Solo così viene ridonata alla parola la ricchezza preziosa della sua essenza, e all'uomo la dimora per abitare nella verità
dell'essere.
Ma in questo richiamo all'uomo, nel tentativo di preparare l'uomo a questo richiamo, non c'è dunque una
preoccupazione per l'uomo?
Dove altro si dirige la “cura” se non nella direzione volta a ricondurre di nuovo l'uomo nella sua essenza?
Ma che altro significa questo se non che l'uomo (homo) diventa umano (humanus)?
In tal modo l'humanitas rimane l'esigenza di un simile pensiero, perché humanismus è questo:
è meditare e curarsi che l'uomo sia umano e non non-umano – “inumano” cioè al di fuori della sua essenza.
In cosa cosiste l'umanità dell'uomo? Essa è riposta nella sua essenza.
L'umanismo in senso proprio è il pensiero che si pone il problema dell'essenza dell'uomo.

Cioè: dobbiamo abituarci a far saltare le etichette, perché il parlare per etichette non ci fa comprendere l'essenza
originaria dell'uomo, del pensiero, dell'agire.
In realtà il pensiero che cerca di comprendere in maniera originaria l'uomo, il pensiero e l'agire è la forma più alta di
umanismo.
Non dobbiamo utilizzare il termine “umanismo”, ma se lo volessimo utilizzare il pensiero – in quanto pone la
domanda originaria sulla forma originaria sull'essenza dell'uomo, sull'essenza del pensiero, sull'essenza dell'agire –
è la forma più elevata di umanismo.
Se l'uomo vuole ritrovare la vicinanza all'essere deve imparare a vivere nell'assenza di nomi.
La forma più appropriata di pensiero è, secondo Heidegger, quella di Heidegger stesso:
lui si interroga sull'agire, sul pensiero, etc.
Ora Heidegger inizia una carrellata sulle diverse forme di umanismo:
1. Marx
qui è evidente che Heidegger sta dialogando con Sartre.
Quando Heidegger si chiede partendo da dove e come si determina l'essenza dell'uomo, parte da Marx.
Marx pretende che l'uomo umano venga conosciuto e riconosciuto.
Egli lo trova nella società.
Per lui l'uomo sociale è l'uomo naturale.
Nella società la natura dell'uomo (cioè la totalità dei bisogni naturali: nutrimento, vestiario, riproduzione, …)
è assicurata in modo uniforme.
→ l'essenza dell'uomo è essere in società
2. Cristianesimo
il cristiano vede l'umanità dell'uomo nella sua delimitazione rispetto alla deitas.
L'uomo è uomo in quanto figlio di Dio che ode in Cristo l'appello del padre e lo accoglie.
L'uomo non è di questo mondo, in quanto il mondo pensato in modo teoretico-platonico, è solo un passaggio
transitorio verso l'aldilà.
→ l'essenza dell'uomo è essere figlio di dio
3. Antica Roma
è al tempo della Repubblica romana che l'humanitas viene per la prima volta pensata con questo nome.
L'homo humanus si oppone all'homo barbarus.
L'homo humanus è il Romano che leva la virtus romana attraverso la “paideia” assunta dai greci.

Paideia: significa formazione o educazione, è il termine che nell'antica Grecia denotava il modello pedagogico in vigore
ad Atene nel V secolo a.C., riferendosi non solo all'istruzione scolastica dei fanciulli, ma anche al loro sviluppo etico e
spirituale al fine di renderli cittadini perfetti e completi, una forma elevata di cultura in grado di guidare il loro
inserimento armonico nella società.

La paideia greca viene tradotta con humanitas in latino. A Roma incontriamo il primo umanismo.
Nella sua essenza l'umanismo è un fenomeno specificatamente romano che scaturisce dall'incontro della romanità con
la tarda grecità.

Il cosidetto Rinascimemento del 1300-1400 in Italia è una renascentia romanitatis, riprendendo la paideia graca.
Anche l'homo humanus del Rinascimemento si contrappone all'homo barbarus, ovvero l'uomo medievale.

All'umanismo storicamente inteso appartiene sempre uno studim humanitatis, che attinge dall'antichità.
L'umanismo del 1700 (di Goethe e Schiller) è ripreso da questo.
Holderlin non appartiene a questo “umanismo” perché pensa il destino dell'essenza dell'uomo in modo più iniziale di
quanto non possa fare questo umanismo.

Quindi: l'umanismo in senso proprio è quello che coglie profondamente l'essenza dell'uomo.
Marx ha comporeso l'essenza dell'uomo come uomo in società.
Il cristianesimo ha compreso l'essenza dell'uomo nell'esser figlio di Dio.
L'umanismo nasce nella Repubblica romana come incrocio tra la virtù romana e la cultura della tarda grecità.
Questo modello viene ripreso nel Rinascimemento come studio dei testi antichi.
Holderlin a differenza dei casi precendenti non è un umanista perchè pone la questione dell'esistenza dell'uomo
più a fondo.
Pag 42

Ma se per umanismo si intende:


la preoccupazione che l'uomo diventi libero per la sua umanità, e trovi in ciò la sua dignità,
Anche per Heidegger la dignità dell'uomo consiste nella sua libertà e quindi l'uomo deve diventare libero per la sua
umanità.
Allora l'umanismo è diverso a seconda della concezione della libertà e della natura dell'uomo.
Ugualmente sono diverse anche le vie che porta alla sua realizzazione.

– l'umanismo in Marx non ha bisogno del ritorno all'antico,


– come l'umanismo che Sartre concepisce come esistenzalismo.
– Anche il cristianesimo è un umanismo, in quanto secondo la sua dottrina tutto è legato alla salvezza dell'anima
dell'uomo e la storia dell'umanità appare nella cornice della storia della salvezza.

Per quanto queste forme di umanesimo possano essere differenti nel fine e nel fondamento,
nondimeno esse concordano tutte nel fatto che l'humanitas dell'homo humanus è determinata in riferimento a
un'interpretazione già stabilita della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo,
cioè dell'ente nel suo insieme.

Cioè: tutte le forme di umanismo si accocunano per il fatto di affermare che l'uomo diventa libero per la sua umanità -
in questa libertà si nasconde la sua dignità.
Le diverse forma di umanismo si differenziano per il diverso contetto della libertà e della natura dell'uomo.
Non è necessario per l'umanismo ritornare allo studio della classicità antica (Sartre, Marx).
Tutte le forme di umanismo possono essere differenti nel fine e nel fondamento, nel modo in cui intendono realizzare
l'umanità, ma tutte sono accomunate da una cosa: il fatto di non comprendere in maniera radicale l'essenza
dell'uomo.
Tutte concordano che l'essenza (humanitas) dell'uomo è determinata a partire da un'interpretazione già data
della natura, della storia, del mondo, dell'ente nel suo insieme.
Tutte queste definizioni di umanismo non arrivano a comprendere in maniera radicale l'essenza dell'uomo,
non arrivano alla radice ma di fondono su un idea già data di natura, mondo...
Pag 42

Ogni umanismo o si fonda su una metafisica o pone se stesso a fondamento di una metafisica.
È una metafisica ogni determinazione dell'essenza dell'uomo che presuppone già, sia consavolmete sia
inconsapevolmente, l'interpretazione dell'ente, senza porre la questione della verità dell'essere.
Cioè: è metafisica ogni interpretazione e definizione dell'uomo che parte da un ente senza porre il problema
dell'appartenenza di questo ente all'essere.

Per questo se consideriamo il modo in cui viene determinata l'essenza dell'uomo, appare che il tratto specifico di ogni
metafisica è nel suo essere “umanistica”.
Pertanto ogni umanismo rimane metafisico.

Nel determinare l'umanità dell'uomo, l'umanismo non solo non si pone la questione del riferimento dell'essere
all'essere umano,
ma impedisce persino che si ponga una simile questione, perché a causa della sua provenienza metafisica,
l'umanismo non la conosce e non la comprende.

Secondo Heidegger la metafisica non si pone la questione della definizione dell'essenza dell'uomo.
Qual è la definizione dell'essenza dell'uomo, in quanto esistenza - in quanto ex-sistentia?
Comprendere l'uomo come un venir fuori da una dimensione originaria chiamata essere, verità, radura, etc.
L'esistenza è un venir fuori da una dimensione, un'apertura originaria.

Pag 51

Deliberatamente nella frase citata di Essere e tempo la parola “essenza” compare tra virgolette.
Ciò allude al fatto che ora l'essenza si determina non più in basse all'esse essentiae o all'esse existentiae,
ma in base all'e-staticità dell'esserci.
CIOÈ: non ha senso donare senso alla parola umanismo perché la parola umanismo è un'etichetta, è un'etichetta che
non permette di cogliere a fondo il problema. Il problema è la comprensione dell'esistenza dell'uomo.
Ogni umanismo si caratterizza per il fatto di definire in maniera diversa la libertà dell'uomo e la sua dignità.
Nella libertà e dignità dell'uomo viene vista la sua umanità.
Il problema non è il differente modo di intendere la libertà e la dignità, ma il fatto che qualsiasi definizione umanistica
dell'uomo non coglie il problema e non va fino in fondo perché dà una definizione dell'uomo che rimane alla superfice.
Perché queste definizione e comprensione dell'uomo perviene a partire da una comprensione e definizione già data
dell'ente del suo insieme (dell'uomo).
Questa posizione nelle sue diverse sfaccettature va rifiutata.
Per questo motivo l'umanismo dà una definizione dell'uomo non arrivando alla radice e partendo da una
determinazione già data dell'ente nel suo insieme, l'umanismo viene definito metafisico.
Esso rimane sul piano della metafisica. Heidegger vuole scardinare ogni tipo di metafisica perché non coglie alla radice
il problema dell'essere.
Heidegger capovolge la questione: in realtà se l'umanismo nasce da una preoccupazione dell'uomo, allora anche la mia
posizione potrebbe essere definita umanista – anche io voglio arrivare ad una definizione e comprensione dell'uomo,
ma lo voglio fare in maniera radicale.
Quindi il problema non è ridare senso alla parola umanismo, ma preoccuparsi fino in fondo dell'uomo e dell'umano.

Che cos'è uomo e che cos'è umano per Heidegger?


L'uomo è esistenza.
L'esistenza è progetto, un proiettarsi in avanti a partire da un orizzonte di apertura che lui chiama l'essere o la verità
dell'essere.
Il problema è che secondo Heidegger, Sartre rimane all'interno di una posizione metafisica perché non ha colto con
radicalità il problema dell'uomo e dell'esistenza.
Heidegger dice che Sartre ha solo invertito il rapporto tra essenza ed esistenza ma così è rimasto all'interno di un
piano metafisico.
Il problema non è l'aver invertito il rapporto tra esistenza ed essenza,
ma il fatto di pensare l'esistenza a partire da una dimensione più radicale che è quella dell'essere.
Quel è il vero nodo del problema?
– Sartre prova a comprendere l'uomo come radice a sé stesso: anche se Dio esistesse l'uomo deve assumersi la
propria responsabilità e deve crearsi e progettarsi autonomamente a partire dalla propria libertà
– Heidegger invece insiste sempre sul radicamento dell'uomo in una dimensione più originaria.
A partire dalla Lettera sull'umanismo insiste sull'orginarietà della dimensione dell'essere rispetto a quella
dell'ente.
Heidegger non chiama l'essere Dio, ma mentre Sartre ritiene che l'uomo sia radica a sé stesso e per questo
pone l'accento sulla possibilità di agire e di trasformare il reale attraverso l'azione dell'uomo,
Heidegger radica sempre l'uomo in una dimensione più originaria e radicale, ma per questo arriverà ad
affermare che l'uomo è il pastore dell'essere – l'uomo deve essere in grado di ascoltare le rivendicazioni
dell'essere, deve essere in grando di saper cogliere le indicazioni dell'essere stesso.

Da qui deriva anche la posizione di Heidegger rispetto alla questione dell'etica,


ritornando sulla domanda di B sul rapporto tra ontologia ed etica.
Secondo Heidegger il problema non è il rapporto tra ontologia ed etica, ma sempre quello della definizione
dell'essenza dell'uomo.
Se proprio dobbiamo parlare di etica bisogna parlare di un etica originaria.
Cos'è l'etica originaria? Heidegger si ricollega al termine greco ethos, ovvero il soggiornare.
L'etica originaria è il soggiornare dell'uomo nell'aperto.
Definisce quel pensiero in grado di pensare la verità dell'essere come l'elemento iniziale dell'uomo come
l'etica originaria.
La chiave di lettura di questo stravolgimento della filosofia sartriana sta nella modalità diversa di intendere l'esistenza
e nel modo diverso di intendere la libertà.
Per Sartre la libertà è possibilità di nullificare, modificare, trasformare il mondo.
Per Heidegger la libertà è una necessità, di ripetizione, di capacità di assumere su se stessi il proprio passato e non è
una libertà che trasforma e in grado di modificare il presente.

Pag 46

Heidegger vuole trovare un modo per cui l'essenza dell'uomo possa conservare la provenienza della sua
determinazione;
è il contrario di quanto detto da Sartre: non porre l'uomo al centro, considerare l'uomo radice di sé stesso,
ma evidenziare che l'uomo esiste, si dà, a partire da una dimensione originaria.
Nelle ultime pagine Heidegger cerca di definire il rapporto tra esistenza ed etica,
arrivando a definire l'etica originaria.
Risponde alla domanda “qual è il rapporto tra ontologia ed etica?” di Beaufret.

Rapporto tra etica ed esistenza tra Heidegger e Sartre:


indica il rapporto che questi due pensatori instaurano tra la comprensione dell'esistenza e la loro concezione
etico-morale.
La concezione dell'esistenza è connessa alla domanda “che fare? Come agire? Cosa è giusto?”.
Entrambi i pensatori appartengono alla corrente di pensiero esistenzalista che pone al centro l'uomo, come esistenza
e come essere nel mondo – affermando che il mondo non è qualcosa di precostituito ma qualcosa che l'uomo
costruisce.

Heidegger è una decina d'anni più giovane di Sartre, nel 1927 pubblica Essere e tempo:
qui cerca di comprendere l'esistenza, l'esserci dell'uomo come esistenza.
Heidegger inserisce in questa comprensione dell'esistenza la possibilità per l'esistenza stessa di perdersi e di trovarsi;
quindi inserisce un criterio valutativo che rende possibile distinguere una dimensione autentica da una inautentica.
L'esistenza è l'esser nel mondo, un concetto unico che interpreterà in tutte le sue sfaccettature e dimensioni:
le dimensioni principali dell'esser nel mondo sono la mondità del mondo, l'intessere e il chi dell'esserci.
Analizzando queste sfaccettature Heidegger andrà a comprendere l'esserci come cura, preoccupazione per sé stesso,
come temporalità, come finitudine, etc.
Il punto centrale della comprensione heidegeriana dell'esistenza è l'accentuazione della dimensione decisionale:
l'esserci può vivere in modo inautentico o autentico – ma sarà l'esserci stesso a decidere e ad assumere su di sé la
propria libertà.
La libertà significa ripetizione: l'esserci posto di fronte alla possibilità della sua finitudine e della sua morte,
anticipa su di sé questa finitudine e decide di vivere in una dimensione di autenticità.
Questo percoso che Heidegger compie ha come obbiettivo fondamentale quello di mettere a tema l'ontologia,
cioè di utilizzare la comprensione dell'esserci in quanto esistenza per andare a comprendere l'essere.
Questo progetto non si compierà mai.
Quello che rimane è una antalitica esistenzale, un'interpretazione delle caratteristiche fondamentali dell'esistenza.
Heidegger rifiuterà l'etichetta di esistenzalista – perché il problema di fondo è la comprensione dell'essere,
non dell'uomo. Egli vuole utilizzare l'autocomprensione e l'autointerrogazione dell'esserci per comprendere l'essere.

Quando Sartre va a Berlino ed inizia a studiare la fenomenologia e poi durante la prigionia leggere Essere e tempo,
ciò che Sartre incontra ed acquisisce è una filosofia dell'esistenza (dell'uomo), una comprensione dell'uomo in quanto
esistenza, come ente che deve realizzarsi e non è predefinito in sé stesso.
Sartre traduce questo discorso heidegeriano con la questione della coscienza – legata al pensiero di Cartesio.
Quando scrive Essere e nulla affermerà che il suo obbiettivo è quello di fare un'ontologia della coscienza intensa come
essere nel mondo.
Invece di esistenza in quanto esser nel mondo, Sartre conserva il termine di coscienza e lo fa per non perdere il piano
dell'intersoggettività e verità fondamentale per lui e che Heidegger aveva invece perso.
Sarte così introduce la contrapposizione tra essere in sé e esser per sé, emersa per la prima volta né La nausea (1938),
che rappresenta la filigrana tematica dell'Essere e nulla.
Roquetin alla fine del suo percorso di disorientamento dovuto alla nausea va a cozzare contro la mera positività degli
oggetti (del disco) e capisce che la vera causa della sua nausea era stata il suo tentativo di ridurre la propria vita ad
una cosa ed aver iniziato a percepire le cose come degli esistenti.
La causa della nausea è non tener chiara e ferma la distinzione tra le cose e l'esistenza umana (caratterizzata dalla
libertà e dalla necessità di divenire altro da sé).
Questa scissione è il punto di partenza di Essere e nulla.
Questa distinzione tra essere in sé e esser per sé, embrionale nella Nausea, viene sviluppata in Essere e nulla.
Il punto di partenza della filosofia esistenzalista di Sartre è la contrapposizione tra essere in sé e esser per sé:
– esser in sé: essere che è nella sua positività, gli oggetti
– esser per sé: coscienza, che ha da essere, può essere, è potenzialità e capacità di nullificare (di rendere attivo il
nulla che separa la coscienza da sé stessa trasformandola in attività, in capacità di negare le cose, negare la
mera positività delle cose trasformandole.

Punto di discrimine tra Heidegger e Sarte: la concezione della libertà


per Sartre la libertà non è ripetizione e assunzione su di sé del proprio limite per temporale,
ma la libertà è nullificante: l'essere e il nulla – non l'essere e il tempo e la capacità di assumere su di sé il tempo nella
propria finitudine come per Heidegger – ma l'essere e il nulla, la capacità dell'uomo di nullificare e vivere la propria
libertà.
Sartre definirà il rapporto tra l'essere in sé e l'esser per sé come la capacità di nullificare da parte dell'esser per sé.

Questo significa che Sartre penserà sempre l'esistenza come una mancanza, un qualcosa di proiettato in avanti ma che
non si vede e si comprende a partire dal limite.
Heidegger concepirà l'esistenza come un'intero e una finitudine che ha un limite, condiderando la dimensione
autentica dell'esistenza come anticipazione di questo limite.

Da questa diversa idea deriva anche una diversa concezione della morte per i due filosofi:
per Heidegger la morte è l'esperienza della finitezza dell'uomo che deve essere anticipata in vita.
Per Sartre la morte è soltanto un atto assurdo che fa terminare improvvisamente la nostra vita, perché l'esistenza è
mancanza, un continuo andare avanti verso una meta esterna all'esistenza stessa.

Sartre lavorerà per tutta la vita per cercare di capire il criterio alla guida dell'azioni e quali sono le caratteristiche di
quella che alla fine dell'Essere e il nulla aveva chiamato “etica dell'essere in situazione”
(o “etica della realtà umana in situazione”).
Sartre riuscirà a torcere la sua posizione della Nausea verso una filosofia dell'azione e della responsabilità,
ma una riflessione sull'etica e sulla morale sarà rimandata e mai veramente conclusa.
Questa situazione è la stessa di Heidegger: nessuno dei due scrisse mai un'etica.

Heidegger riconoscerà la necessità di un'etica, ma negherà la possibilità di scrivere un'etica come disciplina.
Le discipline e le etichette non permettono di arrivare ad una comprensione dell'essere in quanto tale.

Sartre riconoscerà il problema di un'etica e per tutta la vita proverà a scriverla, ma non riuscierà.
Nell'ultima parte dell'Essere e il nulla aveva promesso esplicitamente di scriverla ma il progetto non fu mai compiuto.
É evidente che da un'ontologia non si può dedurre un'etica. Essa si occupa unicamente di ciò che è.
Schema di ragionamento
1. non abbiamo colto a fondo l'essenza dell'agire
2. l'essenza dell'agire non si può cogliere fino a quando ragioniamo con etichette
3. anche l'umanismo è un etichetta
4. l'umanismo va superato perché non coglie fino in fondo l'essenza dell'uomo
5. non la coglie perchè permane in una dimensione metafisica
6. cioè? ---
7. L'esistenza è un venir fuori da una dimensione più originaria

Heidegger
Se per umanismo si intende quel tipo di interrogazione che cerca di comprendere l'uomo a partire da una definizione
dell'ente nel suo insieme, allora questo non è un umanismo:
se lo si intende in questo modo l'umanismo è una metafisica.
– o si fonda su una metafisica
– o sfocia in una metafisica

2° domanda di B. = qual è il rapporto tra l'ontologia e l'etica?

Pag 88

“Poco dopo l'apparizione di Essere e tempo un giovane amico mi chiese: “quando scriverà un'etica?”.
Là dove l'essenza dell'uomo è pensata in un modo così essenziale (radicale), cioè unicamente a partire dalla questione
della verità dell'essere1, ma dove tuttavia l'uomo non è innalzato al centro dell'ente 2, è inevitabile che si desti l'esigenza
di un'indicazione vincolante e quindi di regole che dicano come l'uomo debba vivere in conformità al suo destino”.
CIOÈ: nella prima farte Heidegger fa un sunto della propria filosofia.
1. prova a comprendere l'esistenza come ex-sistentia a partire dall'ente
2. l'uomo non è compreso a partire da una definizione già data dell'ente nel suo insieme
Heidegger dice che è evidente che gli si ponga questa domanda perché un pensiero come il suo che pone in questione
radicalmente l'essenza dell'uomo pensandola a partiredalla verità dell'essere senza però porre l'uomo al centro
(l'uomo radice di sé stesso di Sartre), è evidente la necessità fortissima di una indicazione vincolante e di regole.

“Il desiderio di un'etica si fa tanto più urgente quanto più aumenta il disorientamento nell'uomo.
Al vincolo dell'etica occorre dedicare ogni cura, in un tempo in cui l'uomo della tecnica,
in balìa della massificazione, può essere portato ancora a una stabilità sicura solo mediante un raccoglimento e un
ordinamento del suo progettare e del suo agire, nel loro insieme, che corrispondano alla tecnica.”
CIOÈ: qui Heidegger introduce l'elemento della tecnica. Nella sua concezione filosofica, secondo la quale l'essere si dà
in epoche diverse, l'epoca nella quale noi viviamo è l'epoca della tecnica.
Il desiderio di un'epoca è molto forte nell'epoca della tecnica perché l'uomo ha bisogno di un punto di orientamento.

Heidegger comprende bene questa esigenza, ma prima di risolvere il problema dell'etica è necessario rivolgersi
al pensiero più originario che mette a tema l'essere.
Dobbiamo chiederci, prima di determinare la relazione tra ontologia ed etica, cosa sono l'ontologia e l'etica.
Queste due denominazioni sono etichette e non ci fanno raggiunger l'essenza del pensiero originario.
Queste etichette nascono nella scuola platonica, insieme alla filosofia:
nasce la filosofia e muore il pensiero (in quanto a pensiero originario).
I pensatori precedenti ad Aristotele e Platone non conoscevano né una “logica” né una “etica”,
ma il loro pensiero non era ne illogico ne immorale.
Bisogna ritornare a quella originarietà del pensiero greco che pensa senza discipline,
Heidegger afferma che nelle tragedie di Sofocle si nasconde un ethos (un'etica) in modo più iniziale rispetto alle lezioni
sull'etica di Aristotele.

Cosa significa “etica”?


Attraverso questo detto di Eraclìto è possibile arrivare all'essenza più originaria dell'ethos,
per declinare non un'etica come disciplina ma un'etica originaria.
Il detto fa: ethos antropo daimon → “il carattere proprio per l'uomo è il suo demone”
(« il carattere è il dèmone per l’uomo », « il carattere (o l’indole) determina il destino dell’uomo »).
Questa traduzione pensa in modo moderno e non greco.
– ethos significa soggiorno, luogo dell'abitare.
La parola nomina la regione aperta dove abita l'uomo.
L'apertura del suo soggiorno lascia apparire ciò che viene incontro all'essenza dell'uomo e così avvenendo
soggiorna nella sua vicinanza.
Il soggiorno dell'uomo contiene e custodisce l'avvento di ciò a cui l'uomo appartiene nella sua essenza.
Secondo Eraclito questo è il daimon, il dio.
Allora il detto significa: “l'uomo, in quanto uomo, abita nella vicinanza di Dio”
questa epressione viene esplicitata da Heidegger attraverso il ricorso ad un andettodo di Aristotele su Eraclìto,
che dice ai visitatori “anche qui sono presenti gli dei” mentre si riscalda presso un forno.
La conclusione è “il soggiorno è per l'uomo l'ambito aperto per il presentarsi del dio”,
cioè “il solito è per l'uomo l'ambito aperto per il presentarsi dell'insolito”.

Conseguenze:
se il significato fondamentale “ethos” vuol dire “soggiorno dell'uomo”
allora il pensiero che pensa la verità dell'essere come l'elemento iniziale dell'uomo in quanto e-sistente
è già l'etica originaria.

Heidegger conclude dicendo che il punto non è il rapporto tra ontologia ed etica perché il mio pensiero non è
nemmeno un'ontologia, perché un'ontologia pensa sempre e solo l'ente nel suo essere, me senza pensare la verità
dell'essere – non è sufficientemente radicale.
(per questo Essere e tempo è un'ontologia fondamentale).
Il problema non è il rapporto tra ontologia ed etica, ma è quello di pensare in maniere radicale l'essenza dell'uomo la
sua appartenenza all'essere, al Dio.
Questo pensiero non è ne etica, ne ontologia – al massimo un'ontologia fondamentale e un'etica originale se proprio è
necessario utilizzare delle etichette.

Il pensiero che domanda della verita dell'essere e che così determina il soggiorno essenziale dell'uomo a partire
dall'essere e in direzione dell'essere non è né etica né ontologia.
Perciò in tale ambito la questione della relazione tra queste due discipline non ha più alcun fonamento.
Ma le domande di B se pensate in modo più originario mantengono un senso e un peso essenziali.
Occorre chiedersi: se il pensiero, pensando la verità dell'essere, determina l'essenza dell'humanitas come e-sistenza in base alla sua
appartenenza all'essere, resta esso solo una rappresentazione teoretica dell'essere e dell'uomo?
O si possono invece trarre contemporaneamente da tale conoscenza indicazioni per la vita attiva da dare a quest'ultima?
La risposta è che questo pensiero (di Heidegger) non è né teoretico né pratico. Esso avviene prima di questa disinzione.
Questo pensiero non approda ad alcun risultato e non ha alcun effetto.
Esso soddisfa la sua esistenza in quanto è. È in quanto dice la sua cosa.

Questo pensiero trasforma il reale in cui lo pensa e lo porta a compimento, anche se non esiste una distinzione tra
teoria e prassi e il pensiero possa dividersi in discipline e fissare in un'etichetta che cos'è da farsi.

Possibili domande:
• come definisce Heidegger l'essenza dell'agire? Risposta pag.31
• è possibile ridare senso alla parola umanismo? Risposta pag.34

Potrebbero piacerti anche