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LA GIUSTIZIA

Una riflessione tra filosofia, etologia e neurologia.

Se una specifica idea di giustizia sta alla base della nostra cultura, qual è la sua
origine e il suo fondamento? Si è soliti fissare la data ufficiale dell'ingresso di
questo concetto nella storia del pensiero occidentale attorno al V secolo a.C.,
con la sacrale sapienza dei poeti e dei grandi tragici , e in seguito con la
conflittuale politicità della Sofistica, con la riflessione dialogica di Socrate.
Anna Jellamo ne Il cammino di Dike attribuisce alla nozione arcaica di
giustizia interessanti caratteristiche, valide ancor oggi: la reciprocità, la
simmetria, l'uguaglianza, la proporzione. E tuttavia la contestualizzazione
storico culturale e l’identificazione descrittiva di questi tratti non ci sembra
diano sufficienti ragguagli proprio sull’origine, sul fondamento e quindi
sull’essenza del concetto di giustizia.
Proviamo allora a partire più da lontano. Lo sfondo originario da cui emerge
l’umanità sembrerebbe innanzitutto quello del conflitto tra desideranti, risolto
nel rapporto di forza , per cui un individuo ha tanto diritto quanta forza. Come
affermava Eraclito, tutto è guerra. Questa, secondo Von Clausewitz, è la
prosecuzione della politica con altri mezzi. Ma, vista l’ancestralità fondativa
della violenza, dovremmo rovesciare l’affermazione e concludere che in origine
la politica dovette essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Se
ammettiamo che la guerra e la violenza siano lo sfondo originario da cui emerge
l’uomo, allora la politica (e con essa il diritto) sarebbe infatti la prima
mediazione, il primo tentativo di trasformare la violenza immediata, pura, in
violenza mediata, cioè in forza regolata, mitigata da leggi, come accade nello
sport. Abolire le regole, ovvero le leggi, ci riprecipiterebbe nel bellum omnium
contra omnes. Ciò non significa che la mediazione intellettuale sia sempre
deputata alla regolazione e all’evitamento della violenza immediata. Sappiamo
che il logos è anzi imparentato con la violenza, visto che nasce da un’esigenza
di dominio e di controllo sulla natura e sugli uomini: Auschwitz è dunque un
legittimo e tremendo figlio del logos. Certo il dialogo trasforma il pòlemos da
esplosione immediata di violenza a confronto di tesi contrapposte, che
chiamano in causa la politica e il diritto come forme sublimate della violenza
originaria. Ecco perché Benjamin (2)afferma che la violenza può essere intesa
sia come forza positiva, creatrice manu militari di nuovo diritto, sia come forza
conservatrice, a tutela armata di un ordinamento giuridico dato.
Dunque, se la violenza è sempre connessa al diritto, starà alla base anche della
giustizia? Benjamin afferma che mentre il rapporto mezzi/fini sta sempre alla
base del diritto, per questo implicandovi la volontà di potenza e quindi la forza,
ciò non vale per la giustizia divina, a-finalistica.(3) E’ qui necessario fare
chiarezza su che cosa si intenda per giustizia e in che rapporti sia con il diritto.
Zagrebelsky, come Kelsen, ha in più occasioni affermato che la giustizia è un
concetto pre- positivo, cioè non definibile in termini logici, chiari e distinti,
riconoscibili a tutti(4). E’ piuttosto qualcosa di simile a un sentimento
ancestrale. Ne è l’esempio il testo fondativo della nostra civiltà giuridica,
l’Antigone di Sofocle. Antigone rappresenta gli indicibili vincoli sacri di uno
jus, di una giustizia, che viene prima del diritto, ovvero della lex rappresentata
da Creonte. Semplificando e schematizzando, potremmo dire che la giustizia si
fonda su un ancestrale sentimento di uguaglianza, di comunione, di reciprocità,
osservabile in tutti i comportamenti radicati nell’appartenenza a una famiglia, a
un gruppo, a una gens, a una stirpe.
Queste caratteristiche l’hanno resa associabile in special modo, ma non
esclusivamente, all’elemento femminile (non a caso Antigone), proprio di una
madre provvidente che tratta i figli come un fine, non come un mezzo, senza far
valere il rapporto di forza né la volontà di potenza. Per questo la giustizia,
secondo l’intuizione di Benjamin, non può mai essere derivante da violenza
finalizzata e infatti, quando divinamente si manifesta, non fonda di per sé sola
un diritto (5).
Il diritto è invece associabile tendenzialmente, ma non esclusivamente,
all’elemento “paterno”, maschile, e l’uso della violenza in base ai rapporti di
forza fonda positivamente la stessa legalità dei comportamenti.
Dunque, seguendo la falsariga del magistrale schema concettuale di
Zagrebelsky, da una parte c’è bìa (indicibile violenza immediata, maggiormente
ma non esclusivamente appartenente al “principio maschile”), dall’ altra c’è
dìke, la giustizia (indicibile sentimento dell’uguaglianza e della comunità,
maggiormente ma non esclusivamente appartenente al “principio femminile”).
In mezzo, in tensione dialettica tra i due, sta il diritto, la legge. Una legge che
salvaguardasse solo il diritto del più forte, come in Trasimaco, coinciderebbe
con la violenza pura, la bìa. Una sentimentale petizione di principio a favore
della giustizia che non avesse la forza di essere prescrittiva, cioè di mutarsi in
legge, rimarrebbe esigenza vuota e impotente. La legge, insomma, deve essere
sorretta dalla forza, ma illuminata dalla giustizia.

Tuttavia ancora si impone un ulteriore sforzo di chiarimento sulle origini, sul


fondamento e quindi sull’essenza del concetto di giustizia. Infatti, mentre la
violenza originaria, la bìa, sembra non avere bisogno di spiegazioni, in quanto
l’aggressività è accettata come uno degli elementi ovviamente e universalmente
indispensabili per la sopravvivenza nel regno animale (e, a ben vedere, perfino
nel vegetale), non si può dire lo stesso della dike, cioè dell’ ancestrale senso
della giustizia, certo non altrettanto universalmente diffuso nel regno animale
(per non parlare di quello vegetale) e quindi più facilmente esposto a
sottovalutazioni o, di converso, a interpretazioni di tipo metafisico-religioso e a
speculazioni sull’ unicità ontologica del soggetto umano dell’etica.
Per fare chiarezza sulla questione è opportuno fare riferimento alla famosa
opera di Paul D MacLean, The triune brain in evolution: role in paleocerebral
functions(6).
La teoria del cervello tripartito di MacLean descrive le modificazioni che si
sono verificate nell’evoluzione del cervello dei vertebrati. Al primitivo cervello
( rettiliano o complesso R)si è sovrapposto prima il sistema limbico
paleomammaliano e infine, con la comparsa della nostra specie, il mammaliano
della neocorteccia . Ogni livello cerebrale svolge diversi compiti e funzioni.
-Il complesso R è caratterizzato da predazione, esplorazione, accoppiamento e
territorialità ; le funzioni psichiche sono dominate da reazioni istintuali e
percettive, con memoria di tipo procedurale.
-Il sistema limbico paleomammaliano , proprio degli uccelli e dei mammiferi, è
invece caratterizzato da semplici emozioni. Compare infatti la motivazione
primaria ed innata a stabilire relazioni con i conspecifici del tipo
accoppiamento-accudimento-competizione-collaborazione, con memoria di tipo
episodico.
-La struttura neocorticale mammaliana, infine, è caratterizzata da
comportamenti di affiliazione gruppale, sociale e culturale, con la comparsa del
linguaggio e di funzioni psichiche razionali coscienti accompagnate da
sentimenti complessi, sviluppati in rapporto alla società e alla cultura di
appartenenza, con memoria di tipo semantico e simbolico. Dunque, usando le
parole dello stesso MacLean “Siamo costretti a guardare noi stessi e il mondo
con gli occhi di tre intelligenze del tutto diverse, tre calcolatori biologici
interconnessi, ognuno dei quali possiede la propria particolare intelligenza, la
propria soggettività, il proprio senso del tempo e dello spazio,la propria
memoria. Ognuno di questi comportamenti corrisponde a una fondamentale e
ben distinta tappa evolutiva.”

Appare chiaro che la svolta comportamentale si fa sul piano etico


estremamente significativa solo con lo sviluppo del livello paleomammaliano e
mammaliano . Decisivi a questo riguardo sembrano essere specialmente i
comportamenti di accudimento parentale accompagnati da sentimenti
empatici(7),da cui soprattutto i mammiferi non possono esimersi.(8) Si noti che
proprio a partire dall’ accudimento della prole viene meno il principio che le
relazioni inter-specifiche debbano essere regolate in base a meri rapporti di
forza, di gerarchia e di potere. La funzione genitoriale sviluppa nei mammiferi
atteggiamenti di tutela dell’inerme, di aiuto dell’incapace, di rinuncia e di
abnegazione in favore di chi non sa provvedere a se stesso. Interessanti a questo
riguardo i risultati cui ci fa pervenire l’etologia. In Primati e filosofi (9) Frans
De Waal mette in rilievo che tra alcuni primati esistono chiari comportamenti
etici (consolazione dello sconfitto, protezione e aiuto del più debole anche a
prezzo della vita, comportamenti con carattere di generalità e imparzialità legati
al desiderio di ricompensare, di riparare un torto, di condividere, ecc., e ciò non
soltanto in situazioni riguardanti il livello intra-specifico, ma
sorprendentemente anche il livello inter-specifico). Non può sfuggire la forte
analogia tra questi comportamenti di sospensione della violenza originaria e la
radice di quel sentimento ancestrale che chiamiamo giustizia (10).
Comprendiamo altresì come la figura femminile di Antigone sia stata evocata
per rappresentarlo. Gli atteggiamenti di accudimento e di protezione del più
debole, come di fatto è un figlio piccolo, sono senza dubbio prerogativa non
certo esclusiva, ma fortemente connotativa della maternità.
E’a questo punto d’obbligo il richiamo all’opera di Carol Gilligan In a different
voice (11), in cui si sostiene che di fronte a un dilemma etico i soggetti di sesso
femminile orientano le proprie scelte facendo riferimento alla relazione
piuttosto che alla pretesa di affermare un valore universale. Il lavoro della
Gilligan costituì poi la base per quella che è conosciuta appunto come l’”etica
della cura”, teoria che si contrappone alla cosiddetta "etica della giustizia"(12) .
E’ noto che alcune intuizioni sulle peculiarità e la specificità del pensiero
femminile, per cui le donne sarebbero naturalmete portate a pensare in termini
di rapporti relazionali e personali, mentre gli uomini sarebbero più portati a
ragionare in termini di principi generali e di diritti universali, sono rintracciabili
già in J.S.Mill.(13) . A questo tipo di essenzialismo femminile, giudicato
superato e controproducente, si oppone Joan C. Tronto (14), sostenendo che
‘interessarsi a…’ ‘prendersi cura di…’ ‘prestare cura’ e ‘ricevere cura’ sono
comportamenti che riguardano non tanto l’essere donna, quanto piuttosto la
dimensione umana e politica dell’intera società. Questa posizione ha il pregio,
ricondotta alla prospettiva fin qui adottata, di far comprendere implicitamente
che il sentimento della giustizia, anche se in origine molto probabilmente
collegato, come abbiamo visto, a una funzione propria dei mammiferi e
prevalentemente femminile di accudimento della prole, è ovviamente presente
come generale caratteristica della specie anche nei soggetti di sesso maschile, la
cui tendenza alle cure parentali , osservabile tra l’altro in tutti i primati,
supporta svariate forme di socialità .
In altri termini possiamo affermare che, come la bia non è unicamente
prerogativa del sesso maschile, benché la presenza di testosterone renda
l’aggressività mediamente più presente nei maschi, così la dìke non è
unicamente prerogativa del sesso femminile, benché le funzioni legate alla
maternità abbiano favorito lo sviluppo di sentimenti empatici e altruistici in
special modo nelle femmine.
Tiriamo le somme.
Il discorso di Zagrebelsky opera importantissime distinzioni concettuali che
permettono di arrivare alla soglia del fondamento della giustizia, ma l’assenza
di un impianto di tipo neurologico ed etologico impedisce di approdare a un
chiarimento conclusivo di ciò che rimane un concetto pre-positivo non
tematizzabile razionalmente.
Il discorso di De Wael parte da un’analisi etologica dei primati che permette di
scorgere chiaramente il fondamento della giustizia, ma il problema non è
impostato tenendo conto del linguaggio, delle categorie e del quadro culturale
propri della filosofia del diritto, né si apprezza un collegamento approfondito in
campo neurologico.
Il discorso delle pensatrici che si sono occupate di etica sottolineando le
specificità del pensiero femminile in questo campo hanno individuato
certamente una serie di caratteristiche cognitive e comportamentali coerenti con
il fondamento del concetto di giustizia, ma, impegnate in una controversia pro o
anti essenzialistica sull’ etica della cura, hanno trascurato quegli aspetti
neurologici ed etologici del problema che avrebbero permesso di ricondurre alla
comune matrice dei mammiferi la radice dei comportamenti etici, non per
questo escludendo la possibilità di tematizzare tendenziali specializzazioni di
genere.

Per finire, almeno un cenno è dovuto alla neuroetica. Il termine è stato usato per
la prima volta nel 2002 al Golden Gate Club di S. Francisco (California) dal suo
coniatore William Saffire . In quella occasione diversi studiosi hanno cercato
una definizione unitaria della nuova disciplina e l’ambito di questo campo
d'indagine, legato agli straordinari progressi delle neuroscienze e al complesso
delle loro implicazioni etiche, legali e sociali (ELSI nell'acronimo inglese). I
campi di applicazione più frequenti riguardano il neuroimaging predittivo,
l'enhancement e le applicazioni giudiziarie. Piuttosto poveri, finora, i risultati
sul piano filosofico , tanto da indurre a pensare che sia ancora prematura una
riflessione che abbia ricadute importanti sul piano della filosofia del diritto e
segnatamente su una teoria generale della giustizia. (15)
1) Il cammino di Dike. L'idea di giustizia da Omero a Eschilo, ed. Donzelli)
2) W.Benjamin, Per la critica della violenza, in Angelus novus , pag. 16
3) W.Benjamin, Per la critica della violenza, in Angelus novus, pag. 23
4) G. Zagrebelsky Antigone e la legge che smarrisce il diritto, ne "La
Repubblica", 25 giugno 2003; La virtù del dubbio, Laterza; La legge e la
sua giustizia, Il mulino
5) W.Benjamin, op. cit., pag. 24
6) D. Mac Lean, Evoluzione del cervello e comportamento umano. Studi sul
cervello trino, Einaudi.
7) Si apre qui uno dei più fecondi campi di riflessione, coinvolgente sia la
fenomenologia husserliana dei sentimenti, sia le filosofie a impianto
biologistico sul funzionamento del pensiero(Damasio, Varela).
Sterminata la possibile bibliografia: Damasio, A.R. (1994), L’errore di
Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995;de
Waal, F. (1996), Good Natured: The origins of right and wrong in
humans and other animals, Harvard UP, Cambridge, Mass. Dennett, D.C.
(1991), Coscienza, Rizzoli, Milano, 1993. Depraz, N. (1996), Incarnation
et Transcendence, Vrin, Paris. Depraz, N., F. j. Varela e P. Vermersch
(1996), Exploring Experience with a Method (in corso di stampa).
Dreyfus, H (1982) (a cura di), Husserl: Intentionality and Cognitive
Science, Mit Press, Mass. Edelman, G. (1989), Il presente ricordato. Una
teoria biologica della coscienza, Rizzoli, Milano, 1991. Husserl, E.
(1928), Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-
1917), Angeli, Milano, 1992. Husserl, E. (1950), L’idea della
fenomenologia, Laterza, Roma- Bari, 1993 . Varela, F., E. Thompson ed
E. Rosch (1991), La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive
alla prova dell’esperienza, Feltrinelli, Milano, 1992. P. D.
8) Mac Lean, op. cit.; Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana. Le basi biologiche e
culturali del comportamento, Bollati Boringhieri
9) F.De Waal, Primati e filosofi, Garzanti ; nella stessa edizione anche
Naturalmente buoni, La scimmia e l’arte del sushi e La scimmia che
siamo.
10) A riguardo della giustizia retributiva e distributiva, lo stesso De Waal ,
assieme a Sarah Brosnan, ha svolto esperimenti con scimmie
antropomorfe sull’avversione nei confronti dell’iniquità rispetto alla
ripartizione delle ricompense, pubblicandone i risultati sulla rivista
Nature nel settembre 2003. Ne è emerso un secondo pilastro dell’etica fra
i primati, da considerarsi accanto, ma non necessariamente in
opposizione, all’empatia e all’altruismo: si tratta della reciprocità nella
distribuzione delle risorse, senza la quale verrebbe messa in crisi la stessa
possibilità di cooperazione sociale.Si deve comunque notare che anche
l’avversione per l’iniquità non può darsi senza qualche base empatica.
11) Carol Gilligan Con voce di donna. Etica e formazione della personalità,
Feltrinelli ) . Sul tema della differenza di genere in campo etico si è
sviluppata una ricerca che trae origine specialmente dall’indagine
psicologica e psicoanalitica (fra le più note, oltre alla Gilligan, N.
Chodorow e N. Noddings negli Stati Uniti; L. Irigaray, J. Kristeva e H.
Cixous in Europa)
11) Il rischio di una confusione terminologica è reale. Facendo riferimento
alle distinzioni sopra operate, sarebbe preferibile parlare non di “etica
della giustizia”, ma di “etica normativa” o del diritto.Per quanto
riguarda la tematica specifica, cfr. A. Facchi, Il pensiero femminista sul
diritto, Cortina; G. Zanetti, Filosofi del diritto contemporanei, Cortina.
12) J.S.Mill e H. Taylor, L'asservimento delle donne, in Sull’eguaglianza
ed emancipazione femminile, Einaudi.
13) J. C. Tronto, Confini morali, un argomento politico per l’etica della
cura, Diabasis
14) Le pubblicazioni più accessibili sono: J. Illes Neuroethics: Defining the
Issues in Theory, Practise and Policy, Oxford University Press ;
Michael S. Gazzaniga La mente etica Codice edizioni); Steven Rose, Il
cervello del ventunesimo secolo ,Codice edizione.

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