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POLITICA
Libro I: organizzazione della famiglia ed economia domestica
Libro II: analisi critica delle costituzioni in vigore e di quelle proposte dai filosofi precedenti
Libro III: definizione di cittadino, classificazione delle costituzioni1 e analisi del regno
Libri IV-VI: analisi di oligarchia e democrazia
Libri VII-VIII: la costituzione migliore (una costituzione mista, tra oligarchia e democrazia;
all’evenienza, necessità di ‘principi illuminati’)
1 Il primo a fare questa classificazione è Erodoto (Storie, III, 80-82), che nell'importante 'logos tripolitikòs' per bocca di tre nobili
persiani presenta democrazia, oligarchia e monarchia e discute su quale sia la politeia migliore.
In secondo luogo, è fondamentale la riflessione sulla democrazia sviluppata da Tucidide nel Discorso di Pericle, visto che lo storico
descrive, pur in parte idealizzandolo, il regime democratico effettivamente in vigore nell'Atene del V sec. a.C.
La riflessione sulle tre forme di governo viene ripresa da Platone (nel Politico e nella Repubblica), integrata con l'analisi della loro
degenerazione.
Il tutto viene sistematizzato da Aristotele, nella Politica (libri III-VII), che auspica una democrazia equilibrata e per certi aspetti
integrata con l'oligarchia. In ogni caso, la degenerazione della democrazia è l'oclocrazia, cioè il governo dell'ochlos, il popolo in
senso negativo (volgo, plebe, ecc.), che è molto vicino al concetto di anarchia.
Questa classificazione viene ripresa due secoli dopo da Polibio (Storie VI: la migliore forma di governo è una 'costituzione mista') e,
infine, traghettata a Roma da Cicerone (nella Res publica).
modo ogni strumento sarà davvero un prodotto perfetto, qualora non serva a molti usi, ma
a uno solo): solo tra i barbari la donna e lo schiavo sono sullo stesso piano, e il motivo è
che il naturale principio del potere essi non l'hanno, e quindi la loro comunità è formata di
schiava e di schiavo.
Di conseguenza i poeti dicono: Dominare sopra i Barbari agli Elleni ben si addice, come se
per natura barbaro e schiavo fossero la stessa cosa.
La famiglia
Così da queste due comunità si forma la famiglia nella sua essenzialità, e a ragione
Esiodo ha detto nel suo poema: Casa nella sua essenza è la donna e il bove che ara2,
perché per i poveri il bove rimpiazza lo schiavo.
La comunità che si costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia, i cui
membri Caronda chiama «compagni di tavola», Epimenide3 cretese «compagni di mensa»,
mentre la prima comunità che risulta da più famiglie in vista di bisogni non quotidiani è il
villaggio.
Il villaggio
Nella forma più naturale il villaggio par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli
che alcuni chiamano «fratelli di latte», «figli» e «figli di figli». Per questo gli stati in un primo
tempo erano retti da re, come ancor oggi i popoli barbari: in realtà erano formati da
individui posti sotto il governo regale - e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale
del più anziano, e lo stesso, quindi, le colonie per l'affinità d'origine.
Ciò significano le parole di Omero: E ciascuno governa i suoi figli e la moglie4, perché
vivevano sparsi qua e là ed era questo l'antico sistema di vita. E il motivo per cui tutti
dicono che anche gli dèi sono soggetti a un re è questo, che sono soggetti a un re essi
stessi, taluni ancora adesso, altri lo furono un tempo, e, come le forme degli dèi le
immaginano simili alle loro, così pure la vita.
La polis/Stato
La comunità che risulta di più villaggi è la pòlis, perfetta, che raggiunge ormai, per così
dire, il limite dell'autosufficienza completa: formata bensì per rendere possibile la vita, in
realtà esiste per render possibile una vita felice.
Quindi ogni stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime comunità: infatti
esso è il loro fine e la natura è il fine: per esempio, quel che ogni cosa è quando ha
compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia d'un uomo, d'un cavallo, d'una
casa. Inoltre, ciò per cui una cosa esiste, il fine, è il meglio e l'autosufficienza è il fine e il
meglio.
Da queste considerazioni è evidente che lo stato è un prodotto naturale e che l'uomo per
natura è un essere socievole(πολιτικὸνζῷον): quindi chi vive fuori della comunità statale
per natura e non per qualche caso o è un abietto o è superiore all'uomo, proprio come
quello biasimato da Omero «privo di famiglia, di leggi, di focolare»5: tale è per natura
costui e, insieme, anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco
dei dadi.