Sei sulla pagina 1di 7

Passaggio dalla monarchia alla repubblica, manifesta la chiusura della prima fase del diritto

pubblico romano e il passaggio alla seconda fase, quella più lunga, interessante ed intensa.
La tradizione identifica il passaggio dalla monarchia alla repubblica, dal punto di vista
costituzionale, come una rottura, ossia come un momento di rivoluzione in cui succede un evento
che determina a cascata la cascata dei re e l’istallazione di un altro regime, quello repubblicano. vi
sarebbe l’avvio di questo regime in cui i consoli si controllano tra loro, per evitare l’eccessiva
concentrazione nelle mani di uno, che avrebbe portato a quelle conseguenze nefaste, che i romani
avrebbero già vissuto, ossia gli atti di superbia di Tarquino il Superbo.

Dobbiamo fare un passo indietro e chiederci qual’è il rapporto tra il re e le gentes?


Dibattuta è l’origine della civitas, vi sono infatti due teorie:
1. Teoria dell’orda=prevede uno sciame di persone che poi si sfalda man mano che attraversa la
penisola. Chi aderisce a questa teoria, tra cui richiamiamo De Sanctis e lo stesso Arangioruiz,
sostiene quindi che prima viene la civitas e poi le gentes. Questa va ad essere la teoria più
antica;
2. Teoria federativa= prevede associazione di persone. Chi aderisce a questa teoria, tra cui lo
stesso Grosso, sostiene quindi che le gentes siano quelle che associandosi abbiano dato luogo al
formarsi della civitas. Le gentes erano già insediate nel territorio, e l’unione di queste gentes
avrebbe dato luogo alla città. Civites, in questa impostazione, dovrebbe essere letto non come
cittadino ma come “concittadino”, ossia colui che è cittadino insieme ad altri: colui che
federandosi con altri da vita alla città. Questa teoria sembrerebbe la più attendibile, sia a livello
logico che archeologico. La città sarebbe quindi una federazione di genti, le quali si mettono
insieme per ragioni religiose(=fortissima compenetrazione tra diritto e religione) e per esigenze
di difesa, ossia per proteggersi meglio trovano che sia meglio essere uniti che isolati;

Rivolgiamo adesso la nostra attenzione alle gentes. Secondo la teoria federativa sono 2 gli
organismi che hanno dato luogo al formarsi della città: gentes(=insieme di famiglie) e alle
familiae(=nucleo formato da singolo individuo e coloro che lo circondano). Quando pensiamo alla
familia, noi non dobbiamo pensare alle famiglie di oggi, ma erano famiglie piuttosto numerose,
composte da figli, mogli dei figli, schiavi e clientes. La familia era quindi un nucleo
consistente/composito/articolato ed al vertice vi era il pater familias.
Sotto la potestas del padre erano tutti i membri della familia, in quanto solo il pater familias aveva
quella che noi chiamiamo capacità giuridica. Il pater era l’unico ad avere rappresentanza esterna,
quindi tutti gli acquisti fatti da tutti i membri della familia vanno al pater falias, perché gli altri non
hanno capacità di essere titolari di diritti e doveri. Infatti la capacità giuridica non si acquisiva per
nascita, ma si acquisiva solo nel momento in cui non vi era più nessuno a livello gerarchico sopra di
se: ossia quando si diveniva sui iuris(=giuridicamente indipendente). Nel caso in cui vi fossero
soggetti sopra si era alieni iuris subiectus, ossia sottoposto alla potestas di qualcun altro. All’interno
della famiglia era sui iuris solo il pater familias, mentre tutti gli altri erano alieni iuris sottoposti al
pater.
Alla familia si apparteneva prima di tutto per nascita. Tuttavia l’appartenenza alla familia si andava
ad acquisire anche in modi diversi, che ci fanno capire l’importanza dell’istituto della familia
all’interno del mondo romano. La familia non era un’entità solo di diritto naturale(=non era solo
data da padre-madre-figli). Infatti l’appartenenza alla familia si acquisisce anche attraverso:
• Adoptio= quando un alieni iuris passava da una familia ad un’altra. vi era un rituale piuttosto
complesso che doveva seguirsi. Dovevano farsi 3 mancipazioni(=vendite del figlio), alla 3 la
potestas si estingueva e quindi il padre adottivo lo poteva rivendicare come proprio figlio. Il figlio
passava da una famiglia all’altra, rescindendo tutti i vincoli con la vecchia famiglia, entrava nella
famiglia del padre adottivo nella posizione di figlio. Questo quindi acquisiva nei confronti del
nuovo pater tutte le aspettative successorie che avevano i figli nati nella famiglia. Il vincolo che
lega il pater familias a tutti i suoi sottoposti si chiama agnazio. L’agnazio è il vincolo, non
necessariamente di sangue, che lega i sottoposti alla famiglia con il capostipite maschile;
• Adrogatio= Era l’adozione di un pater familias, ossia si adottava un sui iuris, e non di un alieni
iuris come nel caso dell’adoptio. Gli effetti sono tuttavia quelli dell’adoptio, ma comportava una
serie più ampia di problemi. Prima di tutto vi erano problemi di tipo religioso: se si “chiudeva”
una famiglia, si estinguevano i sacra familiari, ossia quelle divinità che la famiglia doveva
venerare. Per fare ciò serviva una deliberazione consiliare, ossia il popolo doveva essere
d’accordo con questo procedimento. Infatti l’adrogatio, a differenza dell’adoptio, si svolgeva di
fronte ai comizi curiali: era uno degli atti, insieme al testamento, che si svolgeva di fronte a tutto
il popolo riunito. I comizi curiati, in questa occorrenza, dovevano essere inoltre presieduti dal
pontefice massimo(=massima carica religiosa). Questo per dare evidenza della rottura religiosa
che il rito dell’adrogatio determinava. Con l’adrogatio il pater familias entrava, loco fili,
all’interno della familia. Ossia, da sui iuris diventava alieni iuris: subiva una capiti deminutio
minima, in quanto incide sulla capacità giuridica(diverse sono la capiti deminutio media=incide
su cittadinanza/maxima=incide su libertà, ossia si diventa schiavo). La perdita della qualifica di
sui iuris determina la perdita della capacità giuridica, quindi tutto il patrimonio passa nel
patrimonio del padre adottivo. I debiti si andavano ad estinguere, perché il soggetto non era più
capace: per evitare però delle frodi il pretore intervenne prevedendo delle azioni
riparatorie(=azioni in factum per frazionare l’arricchimento del pater familias). Se il padre
arrogato aveva una famiglia, tutta la famiglia entrava nella famiglia del padre adottivo: tutti i
membri scendevano di un grado nelle parentele(pater diventa figlio/ figli diventano nipoti etc.).
Perché si facevano queste operazioni? Prima di tutto per tracciare alleanze. Ma questo si faceva
anche per evitare che qualcuno morisse senza discendenti: se uno non aveva discendenti, e per
evitare la dispersione del suo patrimonio, allora si faceva arrogare;
• Conventio in manum= il rito con cui la donna, a seguito di matrimonio, entrava a far parte della
famiglia del marito. Questo istituto è diverso dal matrimonio. Il matrimonio si svolgeva
prevalentemente per le vie di fatto, consisteva fondamentalmente nell’affectio maritalis, ossia il
mutuo sentimento di amore che legavi i coniugi. Il matrimonio poteva essere sia cum manum che
sine manus, a seconda che la moglie entrasse a far parte della famiglia del marito a livello
giuridico o rimanesse nella sua famiglia di origine dal punto di vista giuridico(=fermo restando la
qualifica di moglie). È ragionevole supporre che alle origini gli unici matrimoni previsti erano
quelli cum manum: in una società arcaica era impensabile che una donna sposata rimanesse sotto
il potere del vecchio padre, dovendo questa rescindere i vincoli giuridici che la legavano al padre
ed entrare nella famiglia del marito, o del padre del marito se questo era sotto-posto a lui.

Tutta questa ricostruzione va ad essere importante per capire che la familia non era solo un’entità di
diritto naturale, ma era un’entità di tipo politico. Il padre era una sorta di re all’interno della familia.
Egli aveva un potere di tipo religioso(=il padre gestiva i culti), ma anche di tipo militare/di polizia.
Abbiamo vari casi in cui il padre esercita un diritto di vita e di morte sui sottoposti alla famiglia. I
padre, su tutti i beni della familia, ha un potere assoluto/dispotico e quasi incontrollato. Per beni si
intendono quelli che i romani chiamavano familia pecuniaque, cioè non solo la parte economica
della familia(es. terreni), ma anche la parte umana(=figli/nipoti/clienti). Il padre ha infatti un diritto
di vita e di morte sulle componenti umane della familia. Le fonti ci testimoniano vari episodi di
abuso da parte del padre di questo potere. Uno degli eventi che stiamo narrando uno dei consoli che
gestiranno la guerra latina vi ricordate. Abbiamo parlato la volta scorsa del fatto che i latini si erano
alleati con gli Etruschi per rimettere Tarquinio sul trono. La battaglia del Lago Regillo li vede
sconfitti. Poi concludono con loro una pace, un fedus, un trattato che va sotto il nome di fedus
Cassiano che nel 493 riconosce l'esistenza di Roma all'interno e accanto alla Lega latina anche se
Roma all'inizio era un minuscolo centro e di molto inferiore alle varie città della Lega. In questo
momento la Lega Latina intera riconosce in Roma esiste ma la guerra con i Latini va avanti dura per
decenni.
La Lega Latina verrà sciolta da Roma nel 338 avanti Cristo qui dura 200-150 anni in più rispetto
agli eventi che abbiamo descritto la volta scorsa. In particolare Roma la scioglie a seguito della
cosiddetta guerra latina tra 340-338 avanti Cristo. Durante questa guerra latina uno dei consoli
guidava la guerra si rende responsabile proprio di un evento che dimostra la profonda incidenza
dello ius o meglio della potestas vitae aec necis sui figli. Infatti, si narra che questo personaggio che
si chiamava Tito Manlio Torquato, così chiamato perché in una battaglia contro dei Celti-Galli,
questo personaggio console aveva abbattuto un gallo che dice Livio, con le solite esagerazioni, che
aveva abbattuto un gallo tre volte più grande di lui e abbattendo gli aveva tolto la collana che
l'aveva indossata quindi perché c'era Torquato cioè è come dire ornato da questa collana. Tito
Magno aveva il comando dell'esercito e stava muovendo verso i latini che erano asserragliati a
Capua e perché avevano mobilitato tutte le città del circondario.
Nel dispiegare l’esercito, una delle ali della cavalleria, nonostante l'esplicita proibizione del
comandante Tito Manlio, si getta in una piccola scaramuccia con le forze avanzate del nemico tra le
due(= litigio tra un'ala dei romani e un'ala dei Latini dell'esercito). I Romani vincono e la
scaramuccia era guidata dal figlio di Tito Manlio. Quando torna nei ranghi dell’esercito mette a
morte il figlio, perché ha messo in pericolo la salvezza dell’esercito: l'esercito romano era un
esercito che fondava la sua forza sulla disciplina sulla coesione.
Questi comandi poi devono essere piuttosto severi perché anni dopo sempre un esponente della
stessa gens ancora peggiore cioè, siccome si era scoperto che il figlio, discendente di questo Tito
Manlio, e che sempre Tito Manlio si chiamava, intorno all'anno 140 si era accordato prendendo
soldi dai macedoni con i quali Roma era in guerra.
Dice: “non c'è bisogno che venga condannato dallo Stato, ma gestisco io la vicenda.” Convoca un
tribunale domestico in cui lo condanna a morte. E fa eseguire la condanna.
Perché vi ho raccontato questi episodio? Per farvi capire quanto intenso fosse il potere del pater
familias, che aveva la possibilità di attivare un vero e proprio tribunale domestico, nel quale
all'origine probabilmente lui era l'unico giudice: decideva da solo perché aveva il potere di vita e di
morte per tutti quelli che erano sottoposti famiglia. È chiaro che poi in età storica questo potere si
affievolisce un po’, perde della sua potenza, viene sottoposto a una serie di controlli, per esempio da
parte dei censori che sanzionano
un padre che gestisca in maniera eccessivamente rigida la disciplina della famiglia
Però è chiaro che la famiglia era una unità politica. Il principale sostenitore di questa tesi dell'unità
politica della famiglia era un professore dell’Ottocento, uno dei grandi maestri del diritto romano,
che si chiamava Pietro Bonfante. Questo è il massimo sostenitore della teoria della famiglia come
unità politica. Addirittura Bonfante arriva a dire che la famiglia perpetua il potere attraverso il
testamento: il pater familias con il testamento sceglie il suo successore, che non è solo un suo erede
ma il capo dell'impero che la famiglia ha fondato.Il testamento è come se fossero le elezioni
all'interno di una di uno Stato o di una nazione.
Quindi dentro la città c'è una cellula più piccola che è la famiglia, che è, nei confronti di quello che
oggi chiamiamo Stato(=termine improprio), cellula mononucleare: la quale aveva i suoi culti, la sua
religione, la sua politica, il suo diritto e i suoi tribunali. Questi non sempre rispondevano e si
conciliavano con le leggi dello Stato/della Respublica. Per cui i primi secoli della repubblica sono
tutto un conflitto tra questa unità mononucleare(=familia), la unità intermedia della gens e la
collettività che è lo Stato.
È evidente che la civitas, quando si pone, deve smontare il potere delle famiglie non può lasciare il
potere nelle mani delle famiglie, deve cercare di erodere l'ambito di patto di queste famiglie e
avocare al potere centrale una serie di poteri che fino a quel momento erano abbastanza diffusi.
Quando il pater familias moriva di norma sceglieva il suo successore, che diventava il nuovo capo
della famiglia e ne gestiva il patrimonio. Il padre sceglie il suo successore per testamento e
Bonfante immagina questo testamento come un'investitura del nuovo pater familias. Normalmente è
scelto il figlio maschio più grande ma non è detto: sceglie quello che gli sembra più idoneo per
tutelare il patrimonio e la funzione politica di questa entità.
Però i fratelli, che alla morte del padre avrebbero costituito ognuno la sua famiglia di cui sarebbero
diventati ognuno il pater, potevano decidere di rimanere uniti in una specie di associazione, che i
romani chiamano Consortium(=cum sortium: sortium vuol dire destino, quindi coloro che
condividono il destino). Questo consorzio si chiamava Consorzio ercto non cito.
L'unica differenza tra uomini e donne è che i ragazzi, quando diventavano sui iuris, alla morte del
padre, davano luogo ad una loro famiglia. La donna diventata anch'essa sui iuris e giuridicamente
indipendente però aveva bisogno di un tutore per gestire il suo patrimonio. È un bisogno più
formale perché lo stesso Gaio, quando gli si chiede perché la donna deve avere un tutore dà una
spiegazione: perché la donna è un animo leggero e quindi c’è bisogno di metterle vicino un uomo
che la controlli. Era una giustificazione ex post di una ratio che in una società maschilista non può
essere messa in discussione.

Come funzionava il consorzio. Il consorzio non fondava tanti pater familias, qui il pater familias
non c'era. Perché la gestione del potere rimaneva a livello collegiale non livello accentrato. I
consortes erano ognuno titolare dell’interezza del potere di gestione del patrimonio familiare.
Ognuno poteva gestire come se fosse padre ma padre non era. Gli altri avevano diritto di veto, ma
solo preventivo. Se non arrivavano in tempo quella vendita era perfettamente efficace e non poteva
essere in alcun modo annullata. Il potere era diffuso: non c’era un pater familias c'era un consorzio
cioè un insieme di persone che gestivano collegialmente in questo modo il potere. Collegialmente
non significa che tutti devono essere d'accordo ma che ciascuno poteva gestire gli atti della
collettività salvo il diritto di veto. Come funziona il Consortium nel dettaglio non lo sappiamo. Il
consorzio poteva essere sciolto in ogni momento, e, sciogliendosi il patrimonio, si davano vita a
tante familiae.
L'altro gruppo sovraordinato è la gens che, nelle definizioni delle fonti, suona come un gruppo di
persone di cui non si ha memoria di chi sia il capostipite comune.
Gli appartenenti alla gens si ricordano che c'è stato un capostipite dal quale loro discendono e che si
rispecchia nel nome gentilizio. Tutti i romani venivano identificati con tre nomi: il primo era il
nome proprio; l’altro è quello che noi chiamiamo cognome e che i Romani chiamavano il nomen e
che era il nome gentilizio; e poi il terzo era un soprannome.
La gens doveva essere una insieme di famiglie che insistevano sullo stesso territorio e che si erano
magari disgregate: dal padre capostipite originario si erano così originate varie famiglie, poi
ulteriormente disgregate. Queste gestivano un territorio che avevano: magari il padre aveva un
enorme impero latifondistico e poi questo si era disgregato e lentamente dividendo fra le varie
famiglie che però ricordavano il fatto di avere avuto un ascendente comune.
Se la famiglia è unità politica, a maggior ragione lo è la gens. La gens molto di più della famiglia è
unità politica. Il Grosso pone un problema: se la gens unità politica aveva un capo? doveva non
avere un capo. Però Grosso dice che il pater gentis non è dimostrato dalle fonti e quindi da lui non
esisteva.
Però studi più recenti dimostrano che anche le gentes avevano un capo, perché le gentes avevano
una potenza militare. C’è un episodio famoso che riguarda la gens Fabia, la quale a un certo
momento della storia di Roma decide di affrontare i Galli che stavano scendendo verso Roma e
manda tutta la propria forza militare ad affrontare i Galli oltre 300 persone le quali vengono tutte
uccise a Fiume Cremera. L’intera gens viene distrutta, salvo un fanciullo della gens Fabia che la
gens stessa aveva prudentemente deciso di lasciare Roma per evitare che la gens si estinguesse.
Qui l'episodio dei fatti dimostra come la gens fosse senza dubbio un'organizzazione militare, perché
altrimenti non avrebbe potuto combattere una battaglia. Che combattesse una battaglia senza un
condottiero pare poco probabile, però prove in un senso o nell'altro non ce l'abbiamo.
Abbiamo senza dubbio la testimonianza e la certezza che la gente condividesse territorio, avesse
delle consuetudini e degli usi normativi veri e propri, cioè avesse degli usi che diventavano norme
giuridiche vincolanti per tutti gli appartenenti alla gens stessa. Aveva dei culti, i Sacra gentilizia: di
tutta la gens e non sacra familiari delle singole famiglie all'interno della Gens. Emanava decreti e
teneva delle assemblee, all’esito delle quali si poteva addirittura infliggere sanzioni. Aveva quindi
un potere di irrogare multe e un potere di dire diritto. Erano, in poche parole, un piccolo Stato
dentro lo Stato. Qui dovete immaginarvi tre cerchi concentrici per la fondazione della città il primo
più piccolo è la famiglia mononucleare, poi la gens e poi la città. La città al di sopra di questi due
istituti sovraordinato ordinata questi due istituti e che entra in tensione con questi due istituti.
Perché è chiaro che se la città vuole affermarsi a spese di chi deve affermarsi? Della gens e della
familia: la civitas non può tollerare che un padre ne ha impunemente a morte un proprio figlio e ne
abbiamo diversi di casi. La civitas deve moderare quel potere, non glielo toglie, ma lo deve
controllare perché altrimenti non ha senso che ci sia una città sovraordinata. Quindi la storia dei
primi secoli della monarchia romana è una storia di relazioni tra le gentes e la città tra la città e le
gentes e tra le gentes e le famiglie. Ma solo le gentes quelle che veicolano e controllano il potere,
più che le famiglie stesse.
Quindi nella monarchia il potere è delle gentes. Il rapporto con il re è un rapporto con il potere
centrale, che tende a controllare la gente e a cercare di limitarne il potere perché altrimenti viene
sovvertito il potere stesso del re. Ricordatevi poi che il potere delle gentes in età storica scompare si
affievolisce fino a diventare quasi un ricordo.
L'unico segno giuridico che abbiamo delle gentes è nel fatto che i gentili, cioè gli appartenenti alla
gens, sono chiamati alla successione legittima: se non c'è il testamento se un pater muore senza
testamento si chiama in primo luogo i figli, se non ci sono i figli si chiama l’agnato di grado più
prossimo, se non c'è nemmeno l’agnato si chiamano i gentili.
La gens era una piccola città sostanzialmente, fatta delle varie famiglie e ognuno dei padri con i
propri figli con le mogli dei figli con la ulteriore prole e con tutti i clienti: cioè tutte le persone che
si erano assoggettati al potere di quella famiglia e di quella la gens, dalla quale poi ricevevano
protezione dando in cambio attività lavorative.

C’è stato un passaggio istantaneo da monarchia a Repubblica? Può darsi. Abbiamo vari un
personaggio che si chiamava Rubicone. Sicuramente c’è stato un personaggio chiamato Bruto.
Bruto vuol dire sciocco: Bruto era un appartenente comunque alla famiglia dei Tarquini, dai quali
dei quali viveva come un lontano parente e dai quali era stato allevato. Solo che decideva di fare la
parte dello sciocco per evitare di essere ucciso dai Tarquini che lo potevano vedere un pericolo che
poteva attentare alla vita del futuro re.
E qui fa finta di essere scemo, diciamo il figlio scemo però era una persona dotata di un enorme
acume e di un enorme carisma. C'è un episodio molto significativo: quando i Tarquini si recano in
Grecia per interpellare l'oracolo sul loro futuro destino, l’oracolo gli dice tra voi (=c’erano i figli del
re Tarquinio) primo tra voi sarà re il primo che nascerà sua madre. Nessuno capisce chi diavolo
volesse dire l’oracolo, quando Bruto ha un’idea, fa finta di inciampare cade a terra bacia la terra,
che era sua madre: lui aveva così interpretato il segno dell’oracolo.
Forse non è successo l'episodio scatenante, perché poi i Romani tendono sempre ad abbellire i
passaggi storici, però può darsi che sia esistita una sollevazione popolare che abbia portato alla
cacciata dei re.
Ma potrebbe anche che le cose siano andate in altro modo cioè sono andate come per esempio
ipotizza De Martino Francesco. De Martino, uno dei grandi storici della Roma giuridica
dell’antichità, il quale pensa che il passaggio non sia stato violento ma graduale lento, e prende le
mosse dalla figura del pretore. Secondo lui il passaggio non sarebbe stato originariamente con i
consoli ma sarebbe stato dal re ai pretori.
Perché il nome di pretore significa “andare avanti”. Chi erano i pretori? Coloro che andavano
avanti, che comandavano l'esercito. Qui dice De Martino, con vari argomenti, che non ci fu un
passaggio violento dalla monarchia alla repubblica, ma ci fu un passaggio graduale in cui al re si
sostituì un collegio di tre persone, che erano i pretori, che erano i capi militari cioè quelli che
avevano il controllo dell’esercito. Dei tre pretori, uno sarebbe diventato il collega minor, e i due
sarebbero diventati i depositari del potere, cioè i 2 consoli. Quindi il collegio dei tre pretori si
sarebbe disgregato in due consoli e un pretore. Al pretore dell'originario potere rimane l'aspetto
giuridico: il pretore è quello che sovrintende i processi. Ricordatevi che il pretore come il console
ha l'Imperium è uno dei magistrati maggiori cioè ha il comando militare, ossia può guidare un
esercito.
Questa però è una teoria, che non convince tanto, visto che le datazioni non tornano tutte Quindi
forse il racconto della tradizione non è tutto vero, però nel suo scheletro fondamentale tiene: c'è
stato un episodio che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Proviamo a leggere tra le righe e vediamo di capire qual è il tessuto sociale del tempo della Roma
dei Tarquini che ha portato a questa reazione, che si chiude con la loro cacciata.
Abbiamo detto che i re latino-sabini erano dei primi inter pares: dei rappresentanti delle gentes di
cui erano libera espressione. Erano amalgamati in maniera strettissima con le gentes che erano le
vere fondatrici di Roma: Roma nasce da una federazione di queste gentes.
Erano le gentes che tenevano il potere e il più forte tra loro veniva eletto re. Però, il più forte tra
loro, era espressione di una classe politico/sociale/culturale/religiosa omogenea. Quindi
condivideva gli stessi valori con le gentes: il vero potere era nelle mani delle gentes, perché era il
primo ma tra pari.
Quando arrivarono gli Etruschi a Roma questo rapporto si inverte/muta: il rapporto cioè tra le
gentes e il re. Il re etrusco non era inauguratus come era rio re latino. Il re etrusco comanda sulle
gentes. Il re etrusco non è espressione delle gentes, o quantomeno non è espressione delle genti
latino-sabini, perché è espressione di una gens che vien fuori, che viene dell'Etruria.
Qui è chiaro che si innesta un conflitto tra i dominatori e dominati. Abbiamo detto che Roma in
questo periodo è conquistata militarmente forse, ma certamente culturalmente dagli Etruschi un
popolo raffinato.
Insomma si appoggiano, non sulle gentes come era per i re romani, ma si appoggiano probabilmente
sugli strati più bassi della popolazione, che mettono sotto la loro ala protettrice. Il rapporto tra
gentes e clienti si inverte: fino alla monarchia latina le gentes tenevano il potere e avevano sotto il
loro potere una schiera di persone si chiamavano i clienti. Questi erano coloro che gli prestavano
attività lavorative, che erano dei collaboratori/ operai. In cambio riceveranno la protezione: erano
una classe come gli operai di persone di basso livello sociale, che erano entrati a Roma perché
Roma stava crescendo e avvertivano la potenza di una città nascente. Però non erano la gens e
quindi dovevano mettersi sotto la protezione di una gens dalla quale a loro volta ricevevano appunto
protezione ma dalla quale venivano sfruttati. Non erano schiavi, erano liberi, però erano soggiogati
da questo potere che era tutto di fatto nelle mani delle classi più ricche. Gli etruschi invertono il
rapporto perché per schiacciare il potere delle genti devono chiaramente appoggiarsi in misura
maggiore sulla forza di questi clienti che quindi vivono è una fase di rinascita quasi o quantomeno
un allentamento delle condizioni nelle quali vivevano nel periodo precedente.
Quindi gli Etruschi per fondare il loro potere devono limitare il potere delle gentes: si assiste alla
presa del potere di una parte di queste gentes, le nuove gentes, a scapito delle antiche genti latine,
che sono le genti di cui sono espressione i re etruschi.
Un rapporto invertito rispetto a quello che abbiamo vissuto fino a questo punto. Allora è evidente
che se la clientela si trovava bene sotto i re etruschi, non altrettanto si può dire per le gentes. Questa
clientela viene poi arricchita da una serie di altre persone che si recano a Roma proprio sulla scorta
di questo movimento di persone e formano una classe di persone sempre più povere che fa crescere
i ranghi di una specie di sottoproletariato urbano che formerà poi in età repubblicana la plebe.
I clienti vivevano normalmente nelle grandi ville gentilizio e nelle ville delle famiglie. I più poveri
vivevano nei quartieri più poveri, come la Suburra
Però non tutti i clienti erano uguali: non tutti erano nullatenenti. Immaginatevi i clienti in questo
modo cioè persone che erano un po il tuttofare, di cui le famiglie hanno bisogno e di cui il cliente ha
bisogno. Il rapporto tra cliente e patrono era inoltre sacro, era consacrato alle divinità.
Qui siamo in un momento in cui le gentes avvertono che il potere gli viene scippato, ossia che i re
etruschi tendono a schiacciarli. E allora niente di più naturale che le gentes reagiscano. Tant'è che i
nomi dei rivoltosi sono nomi di gentes “tradizionali”.
Le gentes mantengono il loro potere, anche successivamente, anche in età repubblicana e viene via
via scemando pian piano che il potere centrale si afferma.
Nell’antichità il nucleo forte pulsante non era il centro, erano le varie gentes ognuna delle quali si
muoveva indipendentemente. A un certo punto l'esigenza di coordinamento ha la meglio, e subito si
afferma un potere centrale che però per esistere come tale è chiaro che deve svuotare il potere delle
gentes.
Dobbiamo immaginarci la cacciata dei re come una rivolta delle genti latino-sabine contro gli
invasori Etruschi. Si è parlato della serrata del patriziato, come un movimento politico militare che
cagiona la fine della monarchia. Cos'è la serrata del patriziato? È la presa di coscienza da parte dei
patrizi, dei patres da cui derivano e che sono titolari dei rapporti con le gentes, da cui deriva poi
serrata del patriziato che determina la chiusura del patriziato su se stesso e l'opposizione aperta al
potere dei re, che invece tendeva ad erodere il potere di queste genti patrizie.
Perché cade la monarchia? Perché le gentes si ribellano. E perché la gente si ribella? Perché gran
parte del potere gli era stato eroso dagli Etruschi. O meglio dai re che ormai erano romani di
discendenza etrusca.
Quindi leggendo tra le righe del racconto della tradizione noi ci accorgiamo che gli eventi alla fine
sono concatenati secondo uno schema che ha la sua logica.
Le gentes si ribellano, capiscono che in questo modo il loro potere e cacciano i Tarquini perché
sono i rappresentanti di quel tipo di controllo politico/di governo che impediva il pieno dispiegarsi
del loro potere com'era invece prima e restaurando un ordine sociale e politico che è quanto più
simile a quello che c'era prima: c’è un sistema politico istituzionale in cui il potere è detenuto di
nuovo dalle gentes .Ma per evitare il ritorno di qualcuno che si instauri al potere, nella stessa
maniera ho fatto i Tarquini, inventano un regime di-archico: cioè mettono al comando della
Repubblica due persone, i consoli, che si controllano tra loro. Non più solo un soggetto al comando,
con il rischio che di nuovo potesse acquisire e concentrare sulle sue mani tanto potere da schiacciare
di nuovo le gentes, ma due persone, in maniera tale che la pervasività del controllo delle gentes si
potesse spingere fino al punto che se uno dei due impazziva, c’era sempre l'altro.
I consoli sono solo patrizi, sono solo esponenti delle gentes, che mantengono il controllo di tutti e
due: l'uno controlla l'altro loro controllano tutti e due. E se anche uno sfugge al loro controllo c'è
l’altro. Per i romani, nel periodo della repubblica, il pericolo più grande è quello di volersi far re:
per i Romani non è tanto il potere di uno solo il rischio ma nel potere di uno solo che andasse a
schiacciare il potere che avevano le gentes in quanto tale.
E con tutto questo è coerente il fatto che subito dopo la data canonica della caduta della monarchia,
509, noi cominciamo ad avere testimonianze delle ribellioni della plebe. Perché nel 509 comincia a
comparire questo?
Perché fino a quel momento i plebei, quelli che poi saranno i plebei, tutto sommato non è che se la
passassero malissimo perché gli Etruschi in qualche modo li tutelano. Dopo il 509, quando tornano
le gentes e riprendono il controllo della situazione, si crea una frattura netta tra chi fa parte delle
genti e chi non fa parte delle genti.
A quel punto relativa agiatezza assaporata comincia a costare: i plebei vorrebbero avere la
possibilità di partecipare, seppure in posizione subordinata, alle decisioni della neonata collettività.
E ricordatevi che la storia difficilmente è frutto di cesure, se ci sono censure e non è una storia
lineare, la storia è piena di andirivieni di salite e discese.

Potrebbero piacerti anche