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Come si evolve il diritto?

Il diritto si evolve in diversi:


Periodo arcaico —> è il periodo più antico che comincia con la fondazione di Roma nel 754
a.C, durante il quale si sviluppa un’economia agro pascolare (agricola/pascolare). Il lavoro
lavoro per un uomo viene considerato poco dignitoso (tutti lavorano la terra), all’inizio
c’erano addirittura meno distinzioni tra i figli e gli schiavi perchè tutti lavorano la terra, si
tratta quindi di sopravvivenza. Non c’erano delle vere case ma delle capanne. Questo periodo
è caratterizzato dalla presenza di leggende con fondi di verità grazie all’aiuto delle scoperte
archeologiche (tombe, leggi attraverso scavi archeologici). Per alcuni questo periodo termina
nel 202 a.C durante la prima o seconda guerra punica, per altri invece è il 242 a.C la quale
rappresenta la data di inizio di un nuovo processo chiamato processo formulare, mentre il
processo più antico, detto Legis Actionem, era riservato ai cittadini romani, invece il
processo formulare era aperto anche agli stranieri, detti pellegrini. L’apertura agli stranieri è
molto importante perchè Roma sta passando dall’economia pascolare a un aumento notevole
dei traffici commerciali e questo cambia profondamente il sistema, mentre nel periodo
antico tutti i negozi, i contratti, i passaggi di proprietà di svolgevano tra cittadini romani
adesso con i commerci c’è una grande necessità di poter concludere i negozi anche con i
pellegrini
Il pretore era chiamato Praetor peregrinasti.
Nel periodo arcaico era presente solo lo ius civile aperto solamente ai cittadini romani. Lo
ius gentium (diritto delle genti) era aperto a tutti e l’ius Honorarium o Praetorium era aperto
anche agli stranieri col processo formulare. I romani però hanno un sistema particolare, gli
antichi negozi di Ius civile rimangono Ius civile e quindi non possono mai essere utilizzati
dai pellegrini, un esempio può essere la Mancipatio, cioè il negozio di trasferimento della
proprietà delle Res mancipi, ossia i beni più importanti nell’economia antica.

Periodo pre-classico / classico / tardoclassico —> Comincia nel 242 a.C e termina nel 240
d.C (anno della morte di Mastino —> ultimo giurista classico). Se teniamo conto anche del
periodo tardo classico arriviamo all’abdicazione dell’imperatore Diocleziano.

Periodo post.classico e giustiniano —> Termina con la morte dell’imperatore giustiniano


nel 565 d.C
La scienza duridica nasce a Roma per prima volta, i greci grandi maestri in altri campi, non
sono stati maestri nel creare la vera e propria scienza giuridica.

Gli schiavi non sono soggetti del diritto, appartengono al periodo classico e solo più avanti
potranno compiere degli atti che però andranno in capi al padrone. Tutto il diritto antico è
caratterizzato dalla schiavitù. Le società antiche si basano sulla schiavitù, gli schiavi sono
delle res, ossia delle cose e non sono soggetti di diritto

Caratteristiche del periodo Arcaico:


Molti autori distinguono il periodo arcaico in due sottoperiodi, il punti di distinzione è dato
dall’emanazione delle famosissime XII tavole emanate nel 450 a.C.
Secondo alcuni si può distinguere un primo sottoperiodo antico prima dell’emanazione delle
XII tavole e un secondo dopo l’emanazione. Le XII tavole sono state la prima legge scritta
fortemente richiesta dai plebei, i quali ritenevano che i pontefici interpretassero i Mores
maiorum che non erano scritti a vantaggio dei soli patrizi. In che cosa è consistita la
fondazione di Roma? Probabilmente è consistita nell’unione di più gentes che si sottoposero
a un rex, ossia un capo religioso e militare. In un primo momento il potere del re era debole,
mentre quello delle gentes era forte. Il re poteva comunque emanare precetti validi per tutti
che oggi chiamiamo l’estate regiae che sono precedenti alle XII tavole. La comunità romana
antica e la vendita alla pastorizia e all’agricoltura di tipo estensivo. Col passare del tempo le
tecniche agricolole migliorarono e si passò ad una agricoltura intensiva. Si rafforzò il potere
del re rispetto alle gentes e assunsero particolare importanza le guerre. Particolarmente
importante fu la credenza dell’interferire nel campo del diritto della magia e della religione.
Solo a un certo punto si riuscì a staccare il diritto della religione e questa dalla magia, ma le
influenze rimasero sempre notevoli. In origine le regole di corrotta erano spesso
giudico-religiose e anche le sanzioni potevano essere religiose. Rilevante era sempre il
timore della vendetta degli dei, in questo periodo dei pagani; che si pensava si potessero
materializzare sulla terra in forma umana. Ancora nelle XII tavole abbiamo dei delitti che
prevedono l’uso della magia, si pensava che con canti e sortilegi si potesse trasportare le
messi da un campo altrui al proprio, nonchè gettare maledizioni si parlava di malum carmen.

Si è passati da questo diritto ancora embrionale a una scienza giuridica, quindi la massima
evoluzione si è avuta nel periodo dei severi che ancora oggi stupisce.
La raccolta di Gesto è stata creata dall’imperatore Giustiniano ed è stata trasmessa nei secoli
perchè l’impero romano era finito, ma non era di ito finito il diritto romano. Quest’opera è
stata studiata poi nei secoli ed è rimasta in vigore come diritto comune, cioè in tutti i casi in
cui i singoli stati non trovavano una regola applicavano il diritto romano. La scienza
giuridica era diminuita e quindi gli stati quando non avevano una soluzione andavano a
cercare i passi dei grandi giuristi e lo applicavano come diritto comune e tutto questo finì nel
1900. Con l’emnazione del codice tedesco, il diritto romano perse vigenza, ma è comunque
alla base di tutti i diritti europei, tranne quello inglese che si basa su principi diversi

Formalismo
Necessità di una ripida forma, sia con parole, sia con gesti per il compimento degli atti
giuridici. Se questa forma non veniva rispettata l’atto non era valido. Per esempio nella
mancipatio era necessaria la presenza del mancipatio dans (venditore), del mancipatio
accipiens (compratore) e di cinque testimoni che dovevano essere liberi cittadini romani sui
iuris e di un librepens, cioè di un soggetto che teneva in mano una bilancia in cui si doveva
pesare il bronzo grezzo.

Non era solo necessaria la presenza di queste persone, ma era necessario che venissero
rispettati tutti i requisiti (es. se tutti i cinque testimoni non erano cittadini romani, la
mancipatio non era valida). Dovevano essere pronunciate determinate parole e sé queste
parole non venivano pronunciate correttamente la mancipatio non era valida. Il formalismo
nel periodo antico era necessario per il compimento degli atti, ma col passare del tempo ci
saranno negozi non formali, ma nel periodo antico il formalismo è la regola e questo creerà
dei gravissimi problemi per la mancipatio (negozio di trasferimento per la proprietà). Se era
presente un difetto ella mancipatio il negozio non era valido e la proprietà non era passata.

Un’altra caratteristica importante del periodo antico è la grande importanza delle gentes e
delle familiae. Le gentes col passare del tempo persero rilevanza, mentre le familiae rimasero
sempre la base portante della società; la famiglia aveva una struttura gerarchica che
possiamo raffigurare come una piramide, al vertice del quale ci sta il Paterfamilias, ossia
l’unico soggetto sui iuris (che significa di proprio diritto, cioè non sottoposto a nessuno),
nella mancipatio era quindi necessario che ci fossero solamente soggetti sui iuris in grado di
compiere gli atti. Tutti gli altri soggetti sono chiamati Alieni iuris, cioè sottoposti al poter
altrui (quello del paterfamilias). Tutti i figli, i nipoti, gli eventuali pronipoti, le mogli che si
sposano in manu (la manus è un potere quasi equivale a quella della potestas), infatti anche la
moglie è una alieni iuris sottoposta al marito, stessa cosa per i figli della moglie sposata in
manu. Questo perchè la patria potestas oltre ad essere così pesante non cessa fino alla morte
del paterfamilias; si possono avere anche figli di grande età alieni iuris, poichè solo alla
morte del pater tutti i figli possono diventare sui iuris. Per quanto riguarda le donne (anche
se sui iuris) dovranno avere un tutore.

Paterfamilias —> ha il potere di vita e di morte. E’ l’unico soggetto pienamente capace che
può compiere tutti gli atti giudici, e soprattutto ha un potere assoluto sui figli, si parla di ius
vitae acneicis, ossia il diritto di vita e di morte

Le fonti del periodo arcaico


Mores: costumi (che si tramandano di generazione in generazione) e le regole non scritte ad
essi conformi (fonte orale)
Pompomio parla dell’inizio di Roma e dice che il popolo iniziò ad operare senza una precisa
legge, senza un preciso diritto (si è lege certa, si è iure certo) che i re introdussero alcune
lèggeste (dette poi leges regiae) ma che in seguito alla cacciata dei re, queste legge furono
sbrogate e quindi il popolo nuovamente potè valersi solo di incerto iure et aliqua
consuetudine. I romani parlano spesso anche nei secoli successivi di mores maiorum, cioè i
costumi degli antichi. Il termine mores indica regole non solo giudiche, ma anche religiose e
magiche. Possiamo quindi considerare i mores come regole giuridiche-religiose depositatesi
col passare del tempo nel patrimonio dei valori della società romana. Poichè queste regole
non erano scritte e tanto meno raccolte in elenchi , il compito di interpretarli spettò ai
colleghi sacerdotali, ai pontefici che nel primo periodo erano tutti patrizi.

Leges regiae: Pomponio afferma che Romolo divise il popolo in curiae e fece loro votare
variae leges, come poi fecero i suoi successori, sempre secondo Pomponio queste leggi
furono raccolte da sesto papirio in un libro chiamato Ius civile papirianum. Un tempo si
riteneva che le leggi non fossero mai esistite, ma oggi la maggior parte della dottrina
concorda sul fatto che le leggi regiae non solo siano esistite ma anche che venissero redate
per iscritto, è però difficile che venissero votate dai comizi curiati. Più probabile che
venissero emanate dai singoli re davanti alle curie. All’inizio della repubblica (V sec. A.C) i
mores erano di gran lunga prevalenti e grande era la rilevanza della loro interpretazione
affidata ai pontefici.
I plebei ritenevano che questa interpretazione andasse a loro danno e a vantaggio dei patrizi,
così presero a chiedere a gran voce una legge scritta.
Si narra che i plebei si ritirarono sull’aventino e smisero di lavorare.
I patrizi si trovarono costretti a nominare 10 magistrati (decemviri legibus scribundis) col
compito di redigere un corpo del leggi scritte, fu così emendata nel 450 a.C la delle delle XII
tavole che andò distrutta nell’incendio gallico.
Il testo che conosciamo è stato ricostruito dagli studiosi moderni sulla base delle citazioni di
giuristi e letterati, ma il linguaggio sia pur arcaico non è quasi sicuramente quello originario.
Non si può escludere che alcuni versetti delle XII tavole riportino antichi mores preesistenti.
Così non si definisce nelle XII la patria potestas che era sicuramente già conosciuta dai
mores, ma si stabilisce che se il padre vende il figlio per tre volte, il figlio sarà libero dalla
potestas paterna. Le XII tavole riguardano soprattutto il diritto privato ma contengono
anche norme di diritto penale e di diritto processuale, pur avendo ottenuto una legge scritta i
plebei non ottennero tutto ciò che volevano perchè si trattava si 12 versetti molto stringati
che avevano neccessariamente bisogno di interpretazione e l’interpretazione rimase nelle
mani dei pontefici che dunque continuarono ad interpretare non solo il mores, ma anche le
XII tavole, però questa interpretazione col passare del tempo cominciò a poter essere essere
esercitata anche da giuristi laici, detti prudentes. L’interpretatio delle XII tavole fu molto
importante perchè i giuristi riuscirono ad allargare l’ambito dei vari versetti e anche a creare
dei nuovi regoli sfruttando le norme esistenti. A partire dalla meà del V secolo a.C, quindi
nel periodo della repubblica cominciarono a emanarsi le leggi chiamate poi nel periodo
successivo leges rogatae, queste erano dei testi normativi proposti ai comizi centuriati dai
supremi magistrati approvati dall’assemblea e ratificati dal senato. L’assemblea poteva solo
approvare o respingere, ma modificare il testo proposto. Accanto alle leges rogatae abbiamo i
plebisciti deliberazioni della plebe prese dalle assemblee plebee. I prebisciti valevano in
origine solo per la plebe, ma con la l’ex hortensia del 286 a.C vincolarono l’intero popolo,
tanto che non si distinse più tra leggi e plebisciti.

Le norme, i precetti e le regole contenute nelle varie fonti regolavano la condotta degli
uomini nella vita sociale e stabilivano la sua rilevanza o irrilevanza e la qualificavano. I
soggetti la cui condotta veniva regolata e qualificata si trovavano in determinate situazione
giuridiche, per esempio avevano o non avevano la facoltà di comportarsi in un certo modo,
dovevano o non dovevano compiere un certo atto, potevano o non potevano produrre
determinati effetti giuridici. Spesso questa condotta regolata, valutata e qualificata dal diritto
era vista in funzione di altri soggetti, la cui condotta veniva ugualmente regolata valutata e
qualificata. Si aveva così quello che modernamente chiamiamo “rapporto giuridico”, cioè una
relazione tra due o più soggetti disciplinata dal diritto.

Quali sono i soggetti che possono esseri titolari di situazione giudiche?


Patresfamilias che dovevano naturalmente essere liberi e cittadini romani. Distinguiamo le
situazioni le situazioni giuridiche soggettive di vantaggio e di svantaggio:
Situazioni di vantaggio: avevano essenzialmente natura potestativa; consideravano in un
potere o un insieme di poteri. Ciò dipende da due caratteri del periodo antico: il primo è
l’importanza delle famiglie che avevano struttura autocratica. Il poterfamilias aveva un
potere assoluto nei confronti dei componenti della sua famiglia. Il secondo carattere è la
debolezza dello Stato e la conseguente insufficienza della protezione data ai soggetti privati
che lasciavano spazio ai poteri del paterfamilias anche per la punizione dei delitti. Il
paterfamilias poteva infliggere personalmente al colpevole la pena, per esempio in caso di
furto flagrante (fortum manifestum) poteva catturare il ladro, in certi casi ucciderlo, oppure
catturarlo e venderlo nei mercati, ugualmente in caso di lesioni. Secondo in versetto delle
XII tavole si membrum rupsit taglio esto, a meno chè non si raggiunga una pactio. In seguito
questa pactio da facoltativa diventa obbligatoria.

Distinzione tra soggetti “sui iuris” e soggetti “alieni Iuris” (sottoposti al potere del
paterfamilias). Alla morte del paterfamilias tutti i soggetti a lui sottoposti diventano sui iuris,
ma le donne e gli impuberi devono avere un tutore, fanno parte del patrimonio non lo posso
controllare, questo viene fatto da un sostituto, perchè gli manca quella che modernamente
chiamiamo capacità di agire.

Nel secondo sottoperiodo si cominciò a parlare della necessità per il soggetto vincolato di
fare in modo che il risultato venisse raggiunto e questa necessità venne definita “oportere”.
L’oportere derivava dal vincolo comporale che gravava sul soggetto passivo. Per evitare che
questo vincolo si perpetuasse o se potenziale si realizzasse, era necessario che il soggetto
vincolato operasse per fare ottenere al soggetto attivo il risultato.

Fatti giudici, atti giuridici e negozi giuridici


Le norme e i precetti del diritto che regolavano la condotta degli uomini e ponevano i
soggetti in determinate situazioni favorevoli o sfavorevoli, non operavano di per sè ma in
relazione ad accadimenti naturali o a condotte umane.
Così i mores che costituivano il fondamento della patria potestas non rendevano il
paterfamilias titolare di questo potere se non in conseguenza della nascita di un bambino, e
la nascita è un accadimento naturale, da una donna unita al paterfamilias in un matrimonio
legittimo, e il matrimonio consiste in una condotta umana. Anche il potere di catturare il fur
manifestus, il ladro colto in flagrante, dipendeva da furto commesso (condotta umana) e dalla
scoperta da parte del derubato (condotta umana). Le regole di condotta producono i loro
effetti in conseguenza di accadimenti naturali o di comportamenti umani, qualificati da altre
regole di condotta a loro volta operanti in relazione ad altri accadimenti o ad altri
comportamenti.
Chiamiamo fatti giuridici quegli accadimenti naturali rilevanti per il diritto e quindi
produttivi di effetti giuridici (non tutti gli accadimenti naturali sono fatti da effetti giuridici),
mentre gli atti giuridici sono comportamenti umani rilevanti per il diritto perchè producono
effetti giudici. In certi casi il diritto tratta allo stesso modo fatti e atti giuridici perchè è
indifferente che il loro risultato sia riconducibile a un accadimento naturale o a un
comportamento umano, per esempio se in un campo sono stati portati dal vento dei semi
l’effetto che si produce, cioè l’appartenenza delle piante che nasceranno al proprietario del
suolo è lo stesso che si sarebbe prodotto se i semi fossero stati piantati da un soggetto
estraneo (nel primo caso abbiamo un accanimento e nel secondo caso un comportamenti
umano)
Vengono fatti diverse classificazioni: La prima riguarda la struttura dell’atto che può
constere in un operazione materiale o comunicazioni del pensiero, manifestazioni o
dichiarazioni di una propria conoscenza (una testimonianza), dichiarazioni di una propria
opinione (relazione di un perito), manifestazioni o dichiarazioni di una propria voltontà
(negozi giuridici). Se gli atti giudici sono riconoducibili all’azione o imissione di un soggetto,
non sempre il soggetto pur volendo l’atto vuole anche gli effetti che d’atto derivano.
Atto illecito: il ladro vuole compiere il furto ma non vuole gli effetti che ne possono derivare,
come l’essere scoperto e condannato. Se invece il soggetto vuole non solo l’atto, ma tutti gli
effetti che da questo atto derivano allora siamo in presenza di un negozio giuridico che
possiamo definire come una manifestazione o dichiarazione di volontà diretta a regolare
certi interessi e a produrre effetti giuridici che rispecchino quel regolamento di interessi. I
romani non hanno elaborato una nozione di negozio giuridico, ma questa viene
comunemente utilizzata per spiegare anche il diritto romano sia perchè pur non avendo
elaborato il concetto, i romani diedero speciale risalto a quelli che oggi chiamiamo negozi
giuridici, sia per comodità espositiva. Per quantor riguarda la sfera lasciata nel negozio
giudico alle liberare decisioni delle parti, questa è più o meno ampia a seconda del grado di
autonomia privata. Il grado più basso è quello dei negozi formali in cui le parole e i gesti che
costituiscono la manifestazione o dichiarazione di volontà sono rigidamente predeterminati
dal diritto lasciando spazio solo ai nomi delle parti e all’oggetto. Si usa l’immagine del
soggetto posto davanti a una tastiera in cui può scegliere se premere o no un certo tasto e a
volte aggiungere quando è consentito, un tasto supplementare, ma né il numero e la forma
dei tasti né l’effetto prodotto premendoli risentono della volontà del soggetto. Un grado
intermedio è quello in cui il modo in cui compiere la dichiarazione di volontà e l’effetto
prodotto sono determinati dai soggetti, ma solo secondo certi schemi ed entro certi limiti,
mentre è sempre richiesto che i soggetti perseguano uno scopo lecito e rilevante per il
diritto. Il grado più alto di autonomia, difficilmente riscontrabile, è quello in cui sia il modo
di manifestare la volontà, sia l’effetto sono liberamente determinati dai soggetti senza
nessuno controllo sullo scopo tranne la liceità. Il diritto romano del nostro periodo offrì
all’inizio il più basso tra questi gradi di autonomia privata. I negozi erano formali, le parole e
i gesti con cui si doveva manifestare la propria vololtà erano rigidamente predeterminati dal
diritto. Bastava avere pronunciato correttamente le parole richieste e compiuto i gesti
prescritti perchè gli effetti si producessero. I negozi formali erano inoltre tipici, cioè i negozi
possibili erano solo quelli già prestabiliti dal diritto e le parti non potevano crearne di nuovi.
I tipi di negozi riconosciuti nel periodo antico erano pochi. I negozi con cui la donna veniva
convenuta in magnum (confarreatio e coemptio)
- Adropatio
- Testamento calatis comitiis
- il testamento in procinctu
- Gli atti costitutivi dei garanti (vades e praedes)
- Nexum
- Mancipatio
- Sponsio

La giurisprudenza ponteficale cercò di allargare la portata di questi negozi o attraverso


l’interpretatio di creane di nuovi.
Mancipatio: negozio di trasferimento della proprietà delle res mancipi, cioè i beni più
importanti nell’economia antica.
- Mancipio dans
- Mancipatio accipiens
- Cinque testimoni
- Libripens: un soggetto che teneva in mano su cui veniva pesato il bronzo grezzo. A un
certo punto il bronzo grezzo venne sostituito da lingotti di bronzo prepesati e poi
dalla moneta coniata. Ciò indusse a separare la pesatura, che fu conservata ma
divenne simbolica dall’effettivo pagamento del prezzo. Si ammise così che potesse
esistere una mancipatio senza pagamento del prezzo, quindi non più solo a causa di
vendita, ma anche a causa di donazione o fiducia. Così la mancipatio che in origine
era negozio causale, che ammetteva cioè una sola causa, lo scambio di una cosa
contro il pagamento del denaro, divenne un negozio astratto, cioè un negozio che
produce gli effetti indipendentemente dalla causa, che astrae dalla causa. La
possibilità data a chi compiva una mancipatio o un nexum di fare una dichiarazione
detta nuncupatiocon cui si potevano modificare gli effetti del negozi. Diceva un
versetto delle XII tavole che quando si compiva un nexum o una mancipatio uti
lingua nuncupassit, ita ius esto, quello che la lingua diceva con la nuncupatio, diventa
diritto.

Si sfrutta il meccanismo della vindicatio, della legis actio sacramento in rem che prevede la
vindicatio. Le parole della vindicatio sono: melma, esse, aio (affermo che il bene è mio). I
pontefici suggeriscono a chi voleva acquistare un bene d’accordo con l’attuale proprietario di
recarsi con questi davanti al re o magistrato e di compiere la vindicatio affermando cioè che
il bene gli appartiene. Bastava che l’altro soggetto tacesse e non compisse la contravendicatio
perhcè il re o magistrato effettuasse l’addictio del bene a chi l’aveva affermato proprio. La
particalarità è data dal fatto che chi compie la vindicatio si afferma proprietario, mentre in
realtà lo diviene solo con l’additio del magistrato. L’ato venne chiamato in iure cessio e servi
per i trasferimento sia delle res mancipi che delle res nec mancipi. La sponsio veva in origine
anche una valenza religiosa. Col passare del tempo si trasformò in stipulatio, consisteva
sempre in una domanda e una congrua risposta centum mini dari spondes? Spondeo
prometti che mi siano dati 100? Prometto. Mentre la sponsio originaria era un negozio di ius
civile, riservato ai cittadini romani, la stipulatio che prevede l’uso di verbi diversi da spondeo
ma con lo stesso significato di promettere, e un istituto di ius gentiu, utilizzabile anche dai
peregrini.

Progetto per legis actiones


Le situazioni giuridiche di vantaggio erano a volte già mezzi di tutela degli interessi a cui si
riferivano così la patria potestas aveva già in sé in mezzo per ridurre all’obbedienza il
sottoposto. La vittima del delitto poteva impiegare la forza per catturare il colpevole o per
infliggergli una determinata lesione . Quest’uso della forza non significava l'autorizzazione a
farsi giustizia da sé, perché gli interessi che potevano essere protetti con la forza erano solo
quelli che le regole giuridiche qualificavano come meritevoli di protezione, si trattava quindi
dell’uso della forza in difesa e in conformità del diritto. Si aveva dunque un’autotutela, cioè
l’esercizio del potere di soddisfare determinati interessi riconosciuti legittimi, autotutela che
coinvolgeva anche la comunità che esercitava un controllo. Molte di queste situazioni
confluirono poi nelle legis actiones, mentre altre non si svilupparono in legis actiones come
il potere di catturare il ladro in flagrante. Le fonti delle nostre conoscenze sulle legis
actiones sono le XII tavole, ma soprattutto le istituzioni di Gaio, giurista del II secondo a.C.
Quindi di un periodo decisamente più tardi. Gaio ci dà un’esposizione organica delle leges
actiones che ai suoi tempi non erano più operanti. All’inizio dell’esposizione, Gaio spiega
perchè si parli di legis actiones e dando per scontato il significato di actio si occupa del
genetico legis che sarebbe usato o per mettere in evidenza che il processo era stato
introdotto da una legge o per indicare che le situazioni giuridiche tutelabili si fondavano sui
precetti di una legge. Prima caratteristica delle legis actiones è il formalismo orale e gestuale
nonchè la tipicità. Le legis actiones erano modi di agire che avevano ciascuna una data
struttura formale, che corrispondeva a un dato tipo. Ciascuna legis actio tipicamente serviva
a tutelare spesso oiù di una situazione giuridica soggettiva e nonostante la tipicità col
passare del tempo furono create nuove legis actiones. Prima delle XII tavole esistevano
sicuramente la legis actio sacramento in rem e la mangusta iniectio, forse anche la legis actio
sacramento in personam e la pignoris capio. Sappiamo che le XII tavole introdussero la legis
actio per iudiciis arbitrive postulationem e in seguito fu creata la legis actio per
condictionem.
Le nostre notizie sul processo per legis actiones risalgono alle XII tavole, ma soprattutto alle
istituzioni di Gaio (giurista del secondo secolo d.C) che scrive quindi in un periodo in cui da
molto tempo il processo per legis actiones non esisteva più. Gli atti in cui le legis actiones si
concretavano erano compiuti alla presenza del re o magistrato che controllava la regolarità
formale degli atti e autorizzava o impediva il proseguimento del processo. L’iniziativa era
assunta da chi si affermava titolare della situazione soggettiva fatta valere (attore) nei
confronti del titolare della situazione contrapposta che viene detto convenuto. Entrambi
devono essere liberi cittadini romani e sui iuris. Nel secondo sottoperiodo tutte le legis
actiones tranne la pignoris capito cominciavano con la in ius vocativo, intimazione
dell’attore nei confronti del convenuto a presentarsi nel luogo in cui il magistrato esercitava
la iurisdictio. Se il chiamato, detto vocatus, non si presentava l’attore poteva usare la forza
per trascinarlo in giudizio, era possibile però l’intervento di un vindex (garante) che
garantiva la comparizione del convenuto in giudizio rispondendo personalmente in caso
contrario. Compiuta l’in ius vocatio si svolgeva il dibattimento in iure (davanti al re o
magistrato) e poi una seconda fase apud iudicem (davanti al giudice) ( un singolo giudice ma
anche un collegio).
Alla fine del dibattimento in iure, dopo nominato l’organo giudicante, l’attore e il convenuto
chiedevano ai presenti di essere testimoni di quanto accaduto. Questo si disse contestari
litem da cui poi derivò il termine litis contestatio. Sulla seconda fase abbiamo qualche
notizia dalle XII tavole. Cominciava con un’intimazione dell’una o dell’altra parte a
comparire in giudizio nel comperendinus dies, cioè il dopodomani. Si faceva un’esposizione
sintetica della lite a cui seguiva, se erano presenti tutte due le parti, la peroratio, e invece era
presente solo una parte, si aspettava fino a mezzogiorno e se non si presentava il giudice
dava ragione all’altra parte. La peroratio consisteva nell’’esporre le ragioni e gli argomenti a
proprio favore e le prove soprattutto testimoniali. Il dibattimento non poteva protrarsi oltre
il tramonto del sole e si concludeva con la pronuncia della sentenza. Si usa distinguere le
legis actiones in leges di cognizione (legis actio sacramento in rem e in personam, la legis
actio per iudicis arbitrive e la legis actio per condictionem) e leges esecutive di esecuzione
(legis actio per manus iniectionem e la legis actio per pignoris capionem).

Legis actio sacramento in rem (legis actio più antica)


Con questa legis catio poteva essere fatti valere i poteri del paterfamilias, dell’erede e del
proprietario verso i terzi. Venne anche autorizzata per le cause liberali, fra chi asseriva la
libertà di un determinato individuo e se ne affermava invece proprietario. L’attore doveva
portare in ius la cosa o la persona che affermava gli appartenesse , anche togliendola con la
forza a chi la possedeva; se si trattava di immobili il magistrato poteva arrecarsi sul luogo. In
origine chi voleva contestare questa affermazione poteva venire spontaneamente in giudizio,
in seguito fu sempre necessaria l’in ius vocatio. Davanti al re o magistrato, l’attore con una
bacchetta in mano afferrava lo schiavo e diceva “affermo che questo schiavo è mio” in base al
diritto dei quiriti (antichi romani) secondo la sua causa. Come ho detto, vi pongo sopra la
festuca sulla testa (bacchetta). “Hunc hominem ex iure quiritium meum esse aio” (queste
parole dovevano essere pronunciate esattamente). Il convenuto può tacere e perdere la lite,
oppure compiere la contravindicatio, cioè affermare a sua volta con le stesse parole che il
bene appartiene a lui. A questo punto il rito prevede che i contendenti affermassero
entrambi lo schiavo strappandolo l’uno all’altro. Il magistrato ingiungeva a entrambi di
lasciare il bene che rimaneva sotto il suo controllo. All’attore a questo punto no rimaneva
altro che sfidare il convenuto al sacramentum, cioè al giurare in nome di Giove che la
propria vindicatio era conforme all’ius, sperando che il contenuto non osasse rischiare la
vendetta divina con uno spergiuro e desistesse. Se il convenuto accettava la sfida, giurava e
invitava l’attore a giurare a sua volta. Se entrambi giuravano si era in una situazione di stallo
e il possesso provvisorio del bene veniva affidato a una delle parti che desse dei praedes, cioè
dei garanti che assicurassero all’altra parte se risultava vincitrice, la restituzione del bene e
dei eventuali frutti. La natura religiosa di questo sacramentum fa pensare che anche il
giudizio fosse religioso e che addirittura nel primo periodo potesse consistere in un giudizio
ordalico oppure da un giudizio in cui il collegio sacerdotale scrutava la volontà degli dei
come dal volo degli uccelli o dall’esame delle interiora degli animali. Il sacramentum col
passare del tempo si trasformò in un giudizio sulla conformità al diritto dell’una o dell’altra
vindicatio da parte di un giudice che è ormai un giudice laico. In origine entrambe le parti
dovevano depositare 5 pecore p 5 buoi a secondo che il valore del bene controverso fosse
inferiore o meno a mille assi (prime monete). Una volta pronunciata la sentenza, la parte
vittoriosa ritirava i propri animali, mentre quelli della parte sconfitta venivano sacrificati.
Dopo una legge Aternia Tarpeia del 455 a.C, invece di animali si depositò una somma di
denaro, 50 o 500 asse, sempre a seconda del valore del bene conteso. Il vincitore continuò a
poter ritirare la sua somma e quella dello sconfitto continuò ad essere utilizzata a scopi
religiosi. Successivamente quando il sacramento si era trasformato in una scommessa la
somma non venne più depositata in anticipo, ma veniva versata all’erario dopo la sentenza
dalla parte soccombente. Come afferma Gaio la legis actio sacramento in rem periculosa erat
falsi, perchè lo sconfitto che aveva giurato il falso, perdeva gli animali o in seguito la somma
di denaro. Per quanto riguarda il bene, se al vincitore era stato assegnato il possesso
provvisorio poteva tenerlo, se il possesso provvisorio era stato assegnato allo sconfitto questo
doveva restituirlo al vincitore.

Legis actio sacramento in personam


Su questa legge siamo meno informati, perchè il brano delle istituzioni di Gaio è divenuto in
gran parte illeggibile. Si ritiene che questa legis actio, almeno in origine, riguardasse
l’intervento del video (del garante) a difes di chi stav subendo la manus iniectio. Sappiamo
che il processo iniziava con l’in ius vocatio, ma nel caso del vindex questa non sarebbe stata
necessaria perchè il vindex si sarebbe trovato già in iure. Il formulario, che probabilmente
più recente, si ricostruisce così “aio te mihi dare oportere” (affermo che hai la necessità di
darmi). Lasciando stare i casi di difesa dalla manus iniectio, esistevano persone vincolate che
non erano immediatamente aggredibili con la manus iniectio, ma solo dopo un giudizio che
avesse accertato l’esistenza del vincolo, come ad esempio gli accusati di alcuni delitti come le
percosse il taglio di alberi altrui il furto non flagrante, che erano puniti con pene
patrimoniali. All’aio te mihi dare oportere veniva aggiunta l’indicazione della somma dovuta
come pena o nel caso di furto non flagrante,” aio te pro fare da num decidere oportere”
(affermo che hai la necessità di pattuire come ladro la riparazione del danno. Lo stesso
avvenne nei confronti di chi si era vincolato con atti volontari leciti. Gaio riferire che si
doveva sacramento agere per quei vincoli per i quali non fosse prescritto da una legge di
agire altrimenti indicando la causa dell’oportere. All’intentio dell’attore, il contenuto poteva
rispondere con una confessione, riconoscendo di essere vincolato dall’oportere, poteva tacere
oppure poteva negare, se negava l’attore lo sfidava al sacramentum con queste parole
“quando negas, te sacramento quingenario provoco” (dal momento che neghi ti sfido a un
sacramentum di 500 assi). Non abbiamo informazioni sulla possibilità per il convenuto di
sfidare a sua volta al sacramentum l’attore.

Legis actio per iudicis arbitrive


Anche in esto caso la pergamena era illeggibile, ma ne abbiamo avuto notizia da un papiro
scoperto in Egitto dall’Arangio rupia nel 1933. Da questo papiro abbiamo saputo che questa
legis actio fu introdotta dalle XII tavole e che non era limitata alle divisioni di eredità e di
cose in comunione, ma anche ai vincoli derivanti da sponsio; quindi la sponsio ai tempi delle
XII tavole era in grado di creare un vincolo ormai solo giuridico. La nostra legis actio si
distingue dalla legis actio sacramento per il suo carattere laico e per il fatto di non esporre il
convenuto che contestava a nessuna pena. L’attore diceva “affermo che hai l’oportere in base
a una sponsio di darmi 10k. Ti chiedo se lo riconosci o lo contenti.” Se il convenuto
contestava l’attore diceva “Dal momento che lo contesti, io che a te pretore di dare un
giudice.” Il pretore quindi nominava un giudice che era ormai un giudice laico. Una variante
era prevista nelle XII tavole quando due eredi volessero dividere un’eredità. Davanti al
magistrato si indicava la causa per cui si agiva e si chiedeva al magistrato la nomina di un
arbiter. Arbitro e non giudice perchè era spesso necessario per poter dividere l’eredità, fare
delle valutazioni e degli apprezzamenti discrezionali nonché di stabilire dei conguagli. Lo
stesso sistema si usava per sciogliere una comunione (anche in questo caso non è possibile
dividere i beni immobili in parti uguali).

Legis actio per manus iniectionem


È un’azione molto antica ed è un’azione esecutiva. Sappiamo dalle XII tavole che poteva
esperirsi solo nei casi indicati da una legge, come nel caso del iudicatus e del confessus.
Prima delle XII tavole forse poteva essere espedita senza necesità di un giudizio preventivo.
Ci si chiede se possa essere considerata manus iniectio la cattura del fur manifestus o
l’aggressione contro i Padres e i vades. Anche dopo le XII tavole, in alcuni casi particolari, fu
ammessa la manus iniectio contro una persona non condannata. Gaio di occupa però del
iudicatus. Le XII tavole gli accordavano 30 giorni per adempiere alla sentenza. Trascorsi
inutilmente questi giorni, l’attore poteva intimargli di venire in ius e trascinarlo anche con la
forza davanti al re o magistrato gli diceva “poiché sei stato giudicato nei miei confronti per
10k sesterzi e non hai pagat, ti metto le mani addosso a titolo di giudicato per 10k sesterzi” e
contemporaneamente afferrava una parte del suo corpo. In convenuto non poteva reagire,
poteva solo intervenire un vindex che se non riusciva a dimostrare L’infondatezza della
pretesa doveva pagare il doppio e se non pagava, subire a sua volta la manus iniectio. Se non
interveniva un vindex il re o magistrato pronunciava la parola “addico” e autorizzava l’attore
a condurre con sè il convenuto. L’attore poteva tenere con sè il convenuto per 60 giorni.
Erano regolate sia il modo e i pesi con cui poteva essere legato, quanto ferro gli si dovesse
dare come vitto e nel 60 giorni doveva essere esposto nel comizio davanti al pretore per tre
mercati consecutivi con l’indicazione della somma dovuta. Non sappiamo con certezza, se
per permettere a parenti e amici di riscattarlo, oppure a chiunque di comprarlo. Nel primo
caso sarebbe tornato libero, nel secondo caso sarebbe diventato schiavo del compratore, non
essendoci ancora il principio che nessun cittadino romano potesse diventare schiavo a Roma.
Se nei 60 giorni nessuno riscattava o comprava il debitore, l’attore poteva scegliere se
ucciderlo o venderlo trans tiberim (oltre il Tevere).
- Tertiis nundinis partes secanto: al terzo mercato (senza che venisse comprato) taglino
le parti “si plus minusve secuerunt, ne fraude esto” ( se avranno tagliato di più di
meno, sia considerato fatto senza frode, non in maniera illecita).

Legis actio per pignoris capionem


È l’unica legis actio che viene compiuta “editar ius’, ossia senza la presenza del re o
magistrato, ma per lo più senza la presenza dell’avversario. Si poteva effettuare in casi
prestabiliti o dalle leggi ma anche dai mores. I mores consentivano che ricorressero alla
pignoris capio, i soldati per la riscossione dello stipendio loro spettante e i cavalieri per la
riscossione del denaro occorrente per l’acquisto del cavallo e dell’orso per il suo nutrimento.
Le XII tavole prevedevano il ricorso alla pignoris capio contro colui che avesse comprato un
animale da sacrificare e non ne avesse pagato il prezzo, e contro colui che non avesse pagato
il canone per l’affitto di un giumento, se il canone fosse stato destinato dal locatore a
sostenere le spese di un sacrificio. In seguito una l’ex censoria che si occupava dell’appalto
dei publicani, e dei canoni per i godimento dell’ager publicus, permetteva di compiere la
pignoris capio ai publicani nei confronti dei debitori. È importante mettere in evidenza che
il soggetto passivo non aveva un vincolo di diritto privato che potesse essere fatto valere
dall’attore con la manus iniectio o con una legis actio sacramento in personam. I mores e le
leggi conferirono quindi all’attore il potere di impossessarsi di cose del soggetto passivo, non
per attuare un suo diritto già attribuitogli, ma per costringere il soggetto passivo a eseguire
una prestazione che non era oggetto di un oportere. L’attore poteva tenere la cosa sinché non
veniva soddisfatto e naturalmente spesso la cosa su cui si esercitava la pignoris capio era di
valore maggiore rispetto a debito. Se l’attore non veniva soddisfatto entro un anno, è
possibile che potesse usucapire (modo di acquisto della proprietà) divendone proprietario.
Non sappiamo come il soggetto passivo potesse contestare la legittimità della pignoris capio,
sembra però difficile che non avesse alcun sistema per contestare il suo debito.

Persone e famiglia
Il primo presupposto perché una persona fisica possa essere punto di riferimento di
situazioni, rapporti e atti giudici era la sua esistenza autonoma che coincideva con la nascita.
Prova della nascita era data secondo i proculiani dall’emissione di un vagito, mentre per i
sabiniani era sufficiente qualsiasi manifestazione di vita come un movimento o un respiro.
Giustiniano accolse l’opinione dei sabiniani. Secondo parte della dottrina era richiesto anche
il requisito della vitalità, cioè dell’attitudine a vivere che coinciderebbe con la maturità della
gestazione e cioè la nascita dal settimo mese. Il requisito non sembra però richiesto nelle
fonti romane, mentre venne adottato nel code napoleon e nel nostro codice del 1865, mentre
non si trova più nell’attuale codice del 1942. Anche nel codice del 1865, il requisito era
comunque molto sfumato perché si presumevano vitali i nati vivi. Altro requisito era quello
di non essere un monstrum o prodigium (i nati deformi non vengono considerati umani).
Nel periodo antico potevano essere uccisi o esposti col controllo dei vicin.
Nel periodo classico ci si preoccupa soprattutto del fatto che possano essere eredi o che
possano giovare ai genitori per le leggi demografiche.
Per quanto riguarda la fine della vita è data dalla morte. I problemi ai potevano porre in caso
di commorienza (morte di più soggetti nello stesso momento).
Lo status liberatis, status civitatis, status familiae. Per lo status familiae era necessario essere
sui iuris.
La capacità giuridica era la possibilità di essere titolari i diritti e doveri.
La capacità di agire era la possibilità di compiere validamente da soli atti giuridici
Le donne non hanno capacità di agire, neanche raggiunta la maggiore età e devono avere un
tutore (i maschi fino ai 14 anni devono avere un tutore). Oltre all’età e al sesso ci sono altre
cause che impediscono la capacità di agire e sono: la pazzia, la prodigarità (anche loro
devono avere un tutore chiamato curatore) (viene stabiltà una cura ai minori di 25 anni).

Status libertatis
Gaio inizia il suo discorso con una summa divisio tra le persone, cioè tutti gli uomini sono o
liberi o schiavi. Lo schiavo non può essere titolare di situazioni giuridiche; Il potere su di lui
è permanente perchè alla morte del dominus (proprietario) passa ai figli, l’unico modo per
essere libero è la manomissione da parte del padrone che lo pone nella situazione di liberto.
Nel periodo arcaico la situazione degli schiavi era forse migliore perchè il loro numero era
modesto e no esisteva ancora quel sistema che è stato modernamente definito come modo di
produzione schiavistico.
Se lo schiavo era in realtà libero poteva dimostrare la sua libertà trovando un absertor
libertatis, cioè una persona libera che in giudizio dimostrasse la sua libertà (dal punto di vita
patrimoniale lo schiavo è un bene).

Fattori produttivi della schiavitù


- nascita da madre schiava: La schiava non può riunirsi in un legittimo matrimonio
pertanto i suoi figli nascono schiavi perchè seguono la condizione della madre al
momento della nascita, mentre i figli nati all’interno di un legittimo matrimonio
seguono la condizione del padre al momento del concepimento.
- prigionia di guerra: il cittadino romani catturato dal nemico e i nemici catturati dai
romani all’interno di una guerra formalmente dichiarata diventavano schiavi. Se però
riuscivano a ritornare in patria si verificava il postliminium e riacquistava le
situazioni giuridiche preesistenti tranne il matrimonio e il passero.
- la deditio: era la consegna di un individuo effettuata da una comunità straniera a
Roma (e viceversa) in seguito a violazione di regole giuridico religiose internazionali.
- Debitore: che avesse subito la manus iniectio
- Disertore
- Renitente alla leva militare
- Chi non si sottoponeva al censimento
Tutti questi, a partire da un certo momento, venivano venduti trans tiberim (verso il Tevere).
La schiavitù poteva cessare solo con la manomissione da parte del padrone. Abbiamo tre
forme di manomissione:
- manomissione vindicta: finto processo di libertà in cui l’adsertor libertartis davanti al
re o magistrato affermava solennemente, tenendo in mano la bacchetta (vindicta) che
lo schiavo era libero. Il padrone taceva e il re o magistrato, vista la mancanza di
contestazione, dichiarava lo schiavo libero.
- Manomissione censu: avveniva ogni 5 anni durante il censimento. Lo schiavo stesso,
su autorizzazione del padrone, dichiarava ai censori la propria appartenenza alla
civitas. Veniva così iscritto nelle liste dei cittadini
- Manomissione testamento: era una clausola inserita del testamento con la quale il
testatore disponeva che alla sua morte lo schivo fosse libero. La manomissione rende
lo schiavo libero e cittadino romano, ma non lo equiparava totalmente a un atto
libero (ingenuus) ma lo poneva nella situazione di liberto. I liberti erano sottoposti a
limitazioni politiche (non potevano ricoprire certe cariche) e rimanevano inoltre
legati all’antico padrone dai doveri di obsequium e dall’obbligo di prestare a suo
favore determinati servizi. L’ex padrone era considerato inoltre, adgnatus proximus,
cioè il parente più stretto.

Status civitatis
La cittadinanza era il secondo requisito dopo la libertà per poter essere pienamente titolari
delle situazioni giuridiche soggettive. Per quanto riguarda i non cittadini dobbiamo
distinguere fra i nemici, hostes e gli stranieri detti peregrini.
L’incolumità è la libertà dei peregrini erano protette, ma essi non erano destinatari del ius
quiritium e non potevano neanche avvalersi del processo per le legis actiones. Una posizione
particolare la occupavano i latini che costituirono con i romani una lega, la lega latina, che
divenne col foedus cassianumdel 493 a.C una specie di unità federale. Le singole comunità
rimanevano indipendenti, ma svolgevano insieme varie attivtà di carattere religioso-politico
e militare. I latini avevano il diritto di trasferirsi. Roma assumendo la cittadinanza romana, il
cosiddetto ius migranti.
Il diritto di votare nei comizi se si trovavano a Roma il giorno delle votazioni (ius suffragi),
quello di compiere determinati atti del ius civile (ius commercii), nonché quello di contrarre
matrimonio con i romani (ius connubii). La cittadinanza romana si acquista per nascita, vale
la stessa regola per la libertà, però nel caso di matrimonio legittimo il nato era cittadino
romano se il padre aveva la cittadinanza romana nel momento del concepimento. Al di fuori
del matrimonio legittimo il nato era cittadino romano se la madre era cittadina romana al
momento della nascita. Nel primo caso non conta se la madre è cittadina e nel secondo caso
se il padre non è cittadino. Si nasce cittadini anche se non c’è un matrimonio legittimo. Può
darsi che la cittadinanza può essere conferita a uno straniero o a una comunità trainerà con
una disposizione del re e certamente poteva essere conferita durante la repubblica con una
legge votata dai comizi. La cittadinanza si perdeva come conseguenza della perdita della
libertà nonché se si acquistava un’altra cittadinanza. Si perdeva inoltre, non si sa se nel
nostro periodo, con l’interdictio aqua et igni a carico di un condannato a morte che fosse
fuggito da Roma.

Status familiae
Si intende la posizione che si riveste all’interno della famiglia e per famiglia intendiamo un
gruppo di persone unite fra di loro da un vincolo di parentela. La parentela che viene in
considerazione nel periodo antico è l’adgnatio che univa tutti coloro che erano sottoposti a
un comune paterfamilias o che i sarebbero stati sottoposti se il paterfamilias non fosse
premorto, ma entro il limite del sesto grado. La parentela può essere in linea retta o in linea
collaterale. In linea retta unisce gli ascendenti ai discendenti, padre e figlio, e a ogni
generazione corrisponde un grado, così padre e figlio adgnatio di primo grado, pater e nipote
di secondo grado, paterfamilias e pronipote adgnatio di terzo grado. In linea collaterale fra
persone che hanno un capostipite comune, ma non discendono l’uno dall’altro, per esempio
fateli adgnatio di secondo grado, zio e nipote di terzo grado, cugini di quarto grado. Questa
parentela (adgnatio) passa necessariamente attraverso gli uomini e non richiede
necessariamente il vincolo di sangue perchè si poteva entrare nella famiglia anche con la
conventio in manus l’adoptio o l’adrogatio. L’ulpiano distingue la famiglia in famiglia
proprio iure composta dal paterfamilias e dalle persone a lui sottoposte e in famiglia
communì iure composta da tutti gli adgnati entro il sesto grado. Secondo molti studiosi nel
periodo antico la famiglia agnatizia sarebbe stata la vera famiglia. In particolare il secondo
bonfante la famiglia sarebbe stata un organismo politico avente funzioni in qualche analoghe
a quelle dello stato. Il paterfamilias avrebbe scelto il suo successore attraverso il testamento.
La tesi del buonfante è stata però smentita dal fatto che alla morte del pater tutti i figli
diveniva sui iuris e quindi non potevano essere sottoposti a un fratello scelto dal padre come
suo erede.
Anche se non si può accogliere questa teoria, la famiglia era comunque una formazione di
grandissimo rilievo, organizzata attorno a un capo con un proprio culto 8i sacra familiaria)
che svolgeva una propria attività economica. La struttura autoritaria della famiglia trova la
sua migliore espressione nel potere del paterfamilias sui sottoposti, che vengono classificati
come alieni iuris.
Il padre ha sui figli la patria potestas che gli permetteva di disporre di essi sia materialmente
sia giuridicamente. Poteva venderli a titolo definitivo o a scopo di garanzia, poteva non
accoglierli in famiglia ma esporli, poteva infliggere loro qualsiasi pena corporale e persino
ucciderli.
Una legge di Romolo riportata da Dionigi di Alicarnasso, prevedeva però l’obbligo di allevare
tutti i figli maschi e le figlie primogenite e di non uccidere figli che non avessero ancora
compiuto i tre anni, salvo il caso dei monstra et prodigia.
Esiste una norma, arrivata mutila, che richiede una iusta causa perchè il pater possa uccidere
i figli. Ciò nonostante nelle fonti si parla spesso del diritto di vita e di morte del padre sui
sottoposti. La vitae necisque potestas è citata anche nel formulario dell’adrogatio.
All’assolutezza del poter del pater corrispondeva l’assenza dei diritti dei figli che non
potevano essere titolari di situazioni giuridiche soggettive nel campo del diritto privato,
mentre nel campo di diritto pubblico poteva essere ammessi a votare nei comizi e anche a
rivestire cariche come quella di senatore. Alle donne fu invece sempre vietata la
partecipazione agli incarichi di ordine pubblico.

Era sottoposto alla patria potestas, il figlio nato all’interno di un legittimo matrimonio (i
figli nati al di fuori del legittimo matrimonio erano più svantaggiati).
Al momento della morte del paterfamilias si estingue la patria potestas sui discendenti
diretti (muore il padre e i figli diventano sui iuris).
La patria potestas può acquistarsi anche tramite adrogatio e adoptio.
L’adrogatio è un atto molto antico che serviva a sottoporre a un paterfamilias detto
arrogante, un altro paterfamilias detto arrogato con tutte le persone e i bene che a lui
facevano capo. La rilevanza di quest’atto è mostrata dalla struttura dell’atto perchè era
necessario il voto dei comizi curiati nonché la loro convocazione da parte del pontefice
massimo. Gli effetti dell’adrogatio consistevano nel sottoporre l’adrogatio la potestas
dell’arrogante, trasformandolo da soggetto sui iuris a soggetto alieni iuris. L’arrogante
acquistava per tanto la patria potestas sull’arrogato e su tutti i suoi sottoposti. Un problema
era posto per i debiti dell’arrogato, che per via della capitis deminitio subita, si estinguevano.
Adoptio non si può trasmettere la patria potestas da un soggetto ad un altro, ma la
giurisprudenza ponteficale. Organizzò un atto detto emancipatio che permise di estinguere
la patria potestas su un figlio e renderlo sui iuris.
Con una variante dell’emancipatio, una volta estinta la patria potestas fu possibile che il
figlio venisse considerato figlio di un altro attraverso l’adoptio. Per quanto riguarda
l’emancipatio, un versetto delle XII tavole diceva “si pater fili un ter venum dubit, filium a
parte liber esto” ( se il padre vende il figlio per tre volte, il figlio sarà libero dal padre. Sulla
base di questo versetto, i pontefici suggerirono al padre che volev far uscire il figlio dalla sua
potestas, il compimento di un insieme di atti in accordo con una persona di sua fiducia. Il
padre effettuava tre mancipationes successive all’amico il quale le prime due volte
manometteva il figlio vindicta e dopo la terza lo rimancipava al padre che però non lo aveva
più (essendoci già state tre vendite) in potestate ma in mancipio e poteva manometterlo. In
seguito prima dell’ultima manomissione un terzo rivendicava il figlio come proprio e non
venendo contraddetto, grazie a un accordo dal pater, otteneva che il magistrato compisse
l’addictio nei sui confronti.

La manus:
Il paterfamilias nel periodo antico aveva la manus sulla moglie e sulle mogli dei figli. La
manus sulla moglie si differenziava dalla patria potestas perchè la moglie del paterfamilias
occupava una posizione importante nella famiglia indicata anche dal titolo di materfamilias.
Giuridicamente però la moglie in manu era alieni iuris e nelle fonti viene definita loco filiae
(come una figlia). Per la costituzione della manus erano previsti appositi atti.

Confarreatio:
Il primo il più solenne riservato ai patrizi era la confarreatio che prevedeva la pronuncia di
parole solenni e di gesti rituali da parte degli sposi nonché la presenza di dieci testimoni e la
partecipazione del flamen dialis, si offriva un pane di farro a giove farreo.
Coemptio:
La coemptio compera fittizia della moglie tramite mancipatio. La formula veniva adattata in
modo da far si che la donna non cadesse in mancipio, ma sotto la manus.
Usus:
Abbiamo poi un terzo atto costituito dall’usus, in assenza di confarreatio e coemptio, se la
donna per un anno viveva nella casa del marito attraverso l’usus si acquistava la manus. Se
però la donna si allontanava per tre notti consecutive dalla casa del marito (trinpctii
usurptio) l’usus si interrompeva.

Secondo molti autori matrimonio e manus nel periodo antico era strettamente legati. Il
Volterra però nel secolo scorso ha possto in evidenza che si tratta di entità diverse perchè il
matrimonio richiedeva il raggiungimento dell’età pubere (14 per i maschi, 12 per le donne), il
conubium e l’assenza di rapporti di parentela nonché il consenso dei coniugi. La manus era il
potere sulla donna unita in matrimonio e non spettava necessariamente al marito, ma se
questo era alieni iuris, a suo padre. Tuttavia nel periodo antico manus e matrimonio erano
strettamente compenetrati perchè la manus non poteva esisteva senza il matrimonio e il
matrimonio senza la manus nel diritto antico non aveva determinati effetti giuridici.
Nel periodo antico spesso scioglimento del matrimonio ed estinzione della manus erano
collegati. Nel caso della confarreatio era prevista la diffarreatio che scioglieva sia il
matrimonio ed estingueva la manus.

Persone in mancipio o in causa mancipii:


Si tratta dei filiifamilias alienati a un terzo mediante mancipatio. Ciò poteva avvenire
definitivamente o come garanzia della restituzione di una somma di denaro. In tal caso era
necessario un accordo secondo cui l’acquirente, in caso di restituzione della somma, avrebbe
remancipato il filius al pater, che l’avrebbe riavuto in potestate. Le persone in mancipio
furono dapprima veri e propri schiavi, ma in seguito si distinsero le persone in mancipio
dagli schiavi in quanto i primi conservarono libertà e cittadinanza pur essendo considerati
loco servorum.

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