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Storia del diritto medievale e moderno

storia del diritto medievale e moderno (Università degli Studi di Foggia)

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STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO

Lezione 16/02
La storia del diritto può essere divisa in vari periodi. Una distinzione fondamentale va fatta tra il
diritto antico, cioè il diritto romano, e il diritto medievale e moderno. Uno storico tedesco dell’800
Otto Hintze si oppose alla tesi di Savigny, il quale aveva una visione continuistica del diritto
romano. Savigny, nella sua opera STORIA DEL DIRITTO ROMANO NEL MEDIOEVO, riteneva
che il diritto più vicino alla natura fosse quello consuetudinario e per questo era contrario ai codici, i
quali, secondo lo storico, ingabbiano il diritto che invece deve essere fluido e adattarsi alla realtà in
continuo cambiamento. Quindi il diritto che meno si è fatto ingabbiare dai Codici è il diritto
romano, infatti lo definisce “espressione dello SPIRITO DEL POPOLO” detto volksgeist, ed era
proprio il diritto che stava alla base della Germania. Hintze dice che l’errore di Savigny sta nella sua
visione continuistica, poiché sostiene che il diritto romano è un diritto che si chiude con la caduta
dell’impero romano, quindi non può essere posto in rapporto con l’età medievale. Molti storici
ritengono che la fine dell’età antica e l’inizio dell’ età medievale siano segnati dalla fine dell’impero
romano d’Occidente nel 476 a.C. , come ad esempio Calasso nel suo MEDIOEVO DEL DIRITTO.
La fine dell’impero segnò la caduta di un punto di riferimento dal punto di vista giuridico, che era la
figura dell’imperatore e quindi la letterarietà delle norme che da lui derivavano. Per questa ragione
venne data più importanza alla tradizione e alla consuetudine, caratteristiche fondamentali dell’età
medievale.
Altri elementi però ci portano a considerare, invece, che il medioevo sia precedente alla caduta
dell’impero romano d’Occidente. Infatti la caratteristica fondamentale del medioevo è la Chiesa,
che però si era imposta ed aveva acquistato importanza già dal 300 d.C. e quindi con la figura di
Costantino e successivamente con l’Editto di Tessalonica che rese il Cristianesimo la religione
ufficiale. Quindi già durante l’impero la Chiesa aveva una profonda influenza. In conclusione se
consideriamo come fattore rilevante l’abbandono della legge possiamo ritenere il 476 sia l’evento
che abbia determinato la divisione tra diritto antico e diritto medievale; se invece teniamo in
considerazione l’affermazione della Chiesa, dobbiamo anticipare la divisione all’ascesa di
Costantino.
Il Medioevo venne diviso in Alto e Basso Medioevo. Convenzionalmente l’Alto medioevo si
conclude con l’anno 1000, mentre il Basso Medioevo si conclude con la scoperta dell’America del
1492. In realtà la fine del medioevo e il definitivo passaggio tra Medioevo ed età moderna sono
legati alla nascita dello Stato, fenomeno dispiegato sia nel tempo che nello spazio. La nascita dello
Stato cambiò molto il rapporto tra società e istituzioni. Il Medioevo può essere considerato l’età
della molteplicità delle istituzioni, poiché i poteri erano affidati sia alle chiese locali, sia ai feudi sia
alle istituzioni che alla famiglia. Ma mentre nell’età moderna il diritto dipendeva dall’alto, cioè
dallo Stato; nel medioevo il diritto proveniva dal basso, quindi dalla società. Questo concetto “ubi
societas ibi ius” venne ripreso da un professore dei primi del ‘900 Santi Romano che sosteneva che
il diritto non è solo il prodotto delle istituzioni, ma prevalentemente della società.
Varie interpretazioni sono state date riguardo al rapporto tra Alto e Basso Medioevo. Alcuni storici
ritengono che sono maggiori le differenze tra questi due periodi, rispetto alle affinità e che il tardo
medioevo si avvicini maggiormente all’età moderna. Le motivazioni di questa interpretazioni sono
dovute al fatto che nell’Alto Medioevo (500a.C.-1000) non esisteva la cultura giuridica. Il diritto,
incentrato prevalentemente sul diritto agrario, era rozzo, elementare ed era prevalentemente
consuetudinario, cioè dedotto dai comportamenti. Il diritto consuetudinario però ha fine con l’anno
1000, grazie al rifiorire dell’economia e dei mercati. Infatti dall’anno 1000 ha inizio il Tardo
Medioevo e vi è una ripresa della cultura giuridica, poiché vi è “il ritorno sulla scena di un
fantasma”; il fantasma era la compilazione giustinianea che venne redatta dal 529 al 534 e che i
giuristi, dall’anno 1000, ritennero tornasse utile per gestire una società che stava diventando sempre
più complessa e articolata, grazie alla ripresa della civiltà commerciale. Quindi dall’Alto al Tardo

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Medioevo c’è un passaggio da una cultura rozza, orale e consuetudinaria ad una cultura scritta,
raffinata e scientifica.
Altri storici, come Paolo Grossi ne “L’Ordine politico medievale”, sostengono che prevalgono gli
elementi di continuità tra primo e secondo medioevo. Egli ne evidenzia in particolare due.
1. La presenza della Chiesa. Durante il primo medioevo era meno influente, le figure dei papi
erano sbiadite, avevano molta importanza i vescovi ed era dispersa nel territorio. Mentre nel
secondo medioevo diventa più influente, grazie al potere del Papa. La caratteristica
fondamentale però della Chiesa del Medioevo è che fu uno strumento del diritto, poiché grazie
al lavoro dei monaci amanuensi è stato possibile non perdere tutte le opere classiche e le
testimonianze dell’età antica, quindi la Chiesa è stata vista come argine alla decadenza
dell’occidente.
2. La consuetudine (CONSUETUDO) che è un comportamento giuridico. Secondo Grossi, che
sosteneva la tesi continuistica, dal crollo dell’impero romano fino al tardo medioevo compreso il
diritto si basava sulla consuetudine e sulla dottrina, cioè la riflessione e l’interpretazione dei
giuristi. Invece, l’idea che il diritto si basi sulla legge è contemporanea, poiché si diffuse da
quando nacque lo Stato che dettava le leggi.
Si possono dare due accezioni di giurisprudenza. Oggi la giurisprudenza viene intesa come
l’insieme degli ordinamenti interpretativi dei tribunali. Questa definizione è pero contemporanea e
risale al periodo post-codificazione. Prima dei codici si parlava di IURIS PRUDENTIA, che era un
sapere teorico sul diritto con finalità pratiche e applicative. Quindi la iuris prudentia, che nasce nel
tardo medioevo, in seguito alla ripresa e diffusione della teoria, attualmente viene definita
DOTTRINA.
Il diritto medievale è giurisprudenziale, poiché la giurisprudenza era fonte del diritto. Infatti mentre
se oggi un professore universitario teorizza qualcosa non acquisisce valore teorico, il giurista
medievale vedeva spesso la sua teoria e la sua interpretazione diventare fonte di diritto.

Lezione 17/02
Lo Stato nell’età moderna va inteso come una struttura tendenziale, cioè un organismo che tende
soprattutto all’accentramento del potere nella figura del re. Lo Stato quindi voleva sostituirsi a tutte
quelle forze che avevano caratterizzato il medioevo, basato invece sul decentramento dei poteri,
come la divisione del potere universale tra Papa e imperatore. Il medioevo si basava su una struttura
gerarchica e lo Stato per affermarsi doveva combattere 3 forze fondamentali:
1. Il FEUDO, che è un sistema di potere, in cui un soggetto ha un potere personale che esercita su
un altro soggetto. In particolare un soggetto offre il suo omaggio al signore che gli offre la sua
protezione. Mentre il feudo rappresentava un rapporto tra singoli, lo Stato aveva un diritto
assoluto, erga omnes; cioè esso si poneva al di sopra di tutti i cittadini che erano posti sullo
stesso piano. Lo Stato, però aveva un potere territoriale , quindi delimitato.
2. CHIESA, che nel Tardo Medioevo era organizzata gerarchicamente ed era universalistica,
infatti il Papa insieme al re deteneva il potere universale. Inoltre la Chiesa aveva una struttura
ramificata sul territorio e lo Stato quindi per imporsi doveva affermare la sua supremazia sulla
Chiesa, che a quel tempo stabiliva anche le regole, come ad esempio per la famiglia.
3. COMUNI, che erano la caratteristica fondamentale della civiltà del medioevo, erano delle
organizzazioni frammentarie, che si diffusero solo in alcune zone dell’Europa. I Vari comuni
quindi rappresentavano piccole communitas che dovevano tutelarsi dalle forze esterne. Lo Stato
quindi per imporsi doveva combattere la municipalizzazione dei comuni; infatti l’affermazione
dello Stato fu più facile e veloce dove i comuni erano più deboli. Quindi lo Stato nasce su questi
pilastri, cioè con l’accentramento contro le tre forze. Con la nascita dello Stato e quindi con
l’inizio dell’età moderna torna in auge il concetto di legge che portò al declino della
consuetudine; inoltre si impone nuovamente la figura del re che vuole avere il controllo della
giustizia. Tutti i fattori vanno visti però in modo tendenziale: le istituzioni del medioevo
continuano a vivere nell’età moderna, ma iniziano a perdere le loro funzioni.
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Max Weber (1864-1920), genio delle scienze sociali, era uno studioso della modernità che riteneva
fosse caratterizzata dal sovrano, inteso come “monopolio della forza”, infatti il principe poteva
usare la coercizione legittimamente, mentre per tutti gli altri, come per il feudatario contro il
vassallo, sarà illegale.
Gli eventi che hanno portato alla fine della modernità e all’inizio dell’età contemporanea sono la
rivoluzione francese del 1789 o il congresso di Vienna del 1815 e quindi la Restaurazione. La
rivoluzione francese infatti segna il passaggio dall’Ancient Regime (antico regime), inteso in senso
dispregiativo dai giacobini, che volevano cancellare tutto il passato in particolare il diritto e la
giustizia, al Nuovo Regime. I cambiamenti, gli spartiacque fondamentali tra Antico e Nuovo
Regime erano:
1. La COSTITUZIONE, che in seguito alla maturazione delle idee secondo cui gli uomini in
quanto tali avevano dei diritti fondamentali. Al 1789 risale la dichiarazione dell’uomo e del
cittadino, che però era già stata anticipata in America nel 1787 da una costituzione meno
conosciuta che aveva stabilito i diritti fondamentali del cittadino, tra cui il diritto alla
felicità. Le costituzioni sono carte formali e scritte in cui si rivendicano nei confronti del
potere i diritti fondamentali; quindi la costituzione serve a limitare il potere che non può più
essere absolutus.
2. La CODIFICAZIONE, che risale all’età tardo settecentesca e napoleonica, rappresenta la
chiusura di un’epoca caratterizzata da un diritto incerto, non legislativo e con molteplici
fonti, e tende ad inserire tutto il diritto all’interno del codice. Il primo codice fu il “Code
Civil” che entrò in vigore nel 1804.
3. Il Giuramento della Pallacorda, fu un’assemblea in cui i cittadini francesi sostennero che
non fosse giusto esprimere un voto in rapporto all’appartenenza al ceto di provenienza, ma
in base al principio “tot capita, tot sententia”, (tante sono le teste, altrettanti sono i pareri, le
espressioni di volontà). Con il giuramento della Pallacorda la società riprende il controllo
delle istituzioni e quindi c’è il passaggio dalla RATIO alla MOLTITUDO, (cioè dalla
qualità alla quantità) La Ratio era sostenuta dall’idea di Aristotele nell’Etica Nicomachea,
secondo cui la verità si può raggiungere con l’approvazione dei più saggi, che avevano una
maggiore auctoritas. La Multitudo invece era sostenuta da Rousseau, secondo cui il potere
deve essere espressione della volontà generale e non delle piccole minoranze.
LA COMPILAZIONE GIUSTINIANEA
Giustiniano (527-565 d.C.) voleva far passare alla storia tutto il materiale romanistico, raccogliendo
dal diritto romano sia le esperienze e i pareri dei giuristi classici (iura), sia tutto il materiale
legislativo, quindi le costituzioni degli imperatori (leges). La compilazione giustinianea ebbe molta
fortuna anche molti secoli dopo la sua morte. Nel 552 Giustiniano conquistò l’Italia, che dalla sua
morte rimase nelle mani dei Bizantini fino al 568, quando venne invasa dai longobardi. Nel 554
d.C. Giustiniano emanò la “Pragmatica sanctio”, un provvedimento con cui lui sperava che il suo
materiale normativo potesse diventare legge in Italia.
La parte più importante del Corpus iuris civilis è sicuramente il Digesto, che venne pubblicato nel
533 e in cui Triboniano, il ministro della giustizia, raccolse tutti gli iura in base all’argomento. Il
Digesto era diviso in 50 libri, divisi in titoli, a loro volta suddivisi in paragrafi, detti LEX, che
potevano contenere dei frammenti. Il Digesto scomparve per 500 anni e venne riportato in auge
grazie a Irnerio, un giurista del XI-XII sec. della scuola di Bologna o dei Glossatori. Inizialmente
furono ripresi i primi 24 libri, che vennero detti DIGESTUM VETUS, poi i libri 38-50, detti
DIGESTUM NOVUM ed infine dal 24-38, detti DIGESTUM INFORTIATUM.
Il titolo del Libro I è “De iustitia et iure” (della giustizia e del diritto), e mette in evidenza la
mancanza di uniformità tra giustizia e diritto. Infatti Ulpiano afferma la iuris prudentia è la
conoscenza delle cose divine e umane, la scienza del giusto e dell’ingiusto.
I libri 47-48 erano detti Libres terribiles, poiché si occupavano del diritto penale; il resto del digesto
era interamente dedicato al diritto privato.

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Nel libro 50 possiamo trovare due titoli significativi: D 50 16, si chiama Deverborum significazione
(del significato delle parole), in cui è descritto il significato attribuito ai singoli termini; e D 50 17
“De diversis regulis iuris antiqui” (sulle diverse regole del diritto antico), in cui Triboniano estrae
ed espone delle regole generali per l’interpretazione del diritto dalle opere dei giuristi, nonostante il
diritto romano non si basasse su delle regole astratte, ma era un diritto casistico.

Lezione 23/02
L’opera legislativa di Giustiniano non termina con il Digesto, ma nello stesso anno(533) vengono
pubblicate anche le Institutiones; visto il successo dell’opera gaiana, Giustiniano fu indotto a
conservarne il nome. Le Institutiones si compongono di quattro libri( che trattano rispettivamente
delle personae, delle res, delle obbligationes e delle actiones) e contengono i fondamenti del diritto,
quindi dovevano servire per avviare i giovani agli studi giuridici; Giustiniano stesso compilò il
programma didattico che avrebbero dovuto seguire gli studenti di Costantinopoli:
- I anno: studio delle Institutiones
- II-III-IV anno: studio del Digesto
- V anno: studio del codex

Nel 534 viene pubblicato il Codex repetitae praelectionis, edizione aggiornata del Codex
iustinianus, articolato in 12 libri, di cui i primi nove sono contenuti all’interno del codex, gli ultimi
tre rimasero fuori dal Codex perché trattavano dell’organizzazione dell’impero;dal momento che
dopo la morte di Giustiniano (565) l’imperatore d’oriente cessa di esercitare il suo governo nel
territorio italico(ad eccezione della zona della costa adriatica), i libri 10-11-12 finiscono per essere
accantonati.

La compilazione giustinianea, detta nel 1500 Corpus Iuris Civilis, com’è pervenuta agli studiosi
medioevali, si compone di cinque libri:
I. Digestum vetus
II. Digestum infortiatum
III. Digestum novum
IV. Codex repetitae praelectionis (libri 1-9)
V. Volumen parvum
Il codex si distingue dal digesto per il suo contenuto: mentre il digesto è una raccolta di iura classici
(pareri di Ulpiano, Papiniano,Paolo, Gaio), il codex contiene le leges, le constitutiones principis,
ordinate per argomento e, all’interno delle suddivisioni per materia, esse vengono ulteriormente
ordinate attraversi il criterio cronologico. Altro elemento di distinzione fra il codex e il digesto è
l’influenza della religione cristiana presente nel primo e non nel secondo, che invece era laico;
infatti i giureconsulti citati nel digesto appartengono all’epoca precristiana, mentre nel codex una
delle prime constitutiones riportate è quella emanata da Teodosio nel 380 (editto di Tessalonica),
che rende il cristianesimo religione di Stato.
Giustiniano credeva di aver creato, attraverso la compilazione, un diritto immutabile e che non
sarebbe stata necessaria alcuna modifica;l’opera di Giustiniano era volta soprattutto al futuro. Ma
poco dopo egli stesso fu costretto a pubblicare un’insieme di novelle(c.d. novellae constitutiones)
per aggiornare vari settori del diritto. L’evoluzione del diritto è infatti subordinata ai cambiamenti
che intervengono nella società, per cui la “rottura della perfezione” di un testo normativo si rende
necessaria.
Nel corso della storia vi furono altre due occasioni in cui qualcuno tentò di creare un diritto perfetto
ed immutabile, anch’esse parimenti fallimentari:
- nel 1234 papa Gregorio IX fece redigere il Liber Extra (o decretales Gregorii IX), che fa
parte del Corpus Iuris Canonici; le disposizioni in esso contenute sono rimaste in vigore fino
al Codice del diritto canonico del 1917;

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- nel 1804 entrò in vigore il Code Civil napoleonico; lo scopo che il legislatore si prefiggeva
era di creare un testo legislativo immutabile che racchiudesse tutta la tradizione giuridica
franco- germanica, ponendo fine definitivamente alla tradizione giuridica dell’Ancien
Regime.
Le novellae constitutiones furono conservate in modo qualitativamente diverso in due compendi:
- Epitome Iuliani (qualitativamente inferiore): Giuliano era un giurista del VI secolo d.C. che
traduce le novelle dal greco al latino; l’epitome iuliani è l’unica raccolta conosciuta nell’alto
medioevo. L’interesse dei medioevali verso le novelle si spiega in ragione dell’idolatria di
cui nel medioevo godono la consuetudine e la tradizione.
- Authenticum: contiene 134 novelle(molte più rispetto all’epitome iuliani) tradotte in modo
migliore. Il nome Authenticum deriva dal fatto che Irnerio, prof. Della scuola di Bologna,
dopo averlo osservato attentamente disse: “hoc authenticum est”(questo è l’autentico); a
Irnerio non stava a cuore tanto l’autenticità filologica quanto l’autenticità del contenuto. Il
rispetto verso il passato rappresenta uno dei tratti distintivi della mentalità medioevale;infatti
mentre attualmente l’abrogazione di una legge è un evento molto frequente, nel medioevo la
modificabilità delle regole rappresentava un problema.
Il quinto libro del Corpus Iuris è chiamato Volumen o Volumen Parvum (piccolo) ed è composto
da:
- Institutiones
- Gli ultimi tre libri del codex (10-11-12)
- 97 novelle raggruppate in 9 raccolte di collationes; esiste inoltre una decima collatio che è a
sua volta un testo composito, comprendente:
1) alcune constitutiones germaniche
2)la Pace di Costanza
3)i Libri feudorum, raccolte scritte di consuetudini feudali: il feudo è un’invenzione post-
romana, medievale e, i giuristi furono costretti a prendere atto dell’esistenza di un diritto che
non era diritto romano, ma un diritto di matrice consuetudinaria.
Il giurista medievale considera il corpus iuris un testo sacro e ciò è dimostrato dalla struttura di cui
si compongono le collationes:9+1(la decima) come era strutturata anche l’opera dantesca, in cui
ricorre spesso il numero 3 o i suoi multipli.
Il significato politico-giuridico della decima collatio: essa rappresenta un filtro attraverso cui
transitano all’interno del Corpus Iuris elementi di novità;imperatori del sacro romano impero
legiferarono attraverso nuove constitutiones che rientrarono nell’opera giustinianea mediante la
decima collatio consentendo, anche minimamente, un aggiornamento del diritto vigente.

Giustiniano compie un’opera grandiosa, ma non spendibile immediatamente. Egli muore nel 565;
nel 568 i bizantini perdono il controllo gran parte della penisola ad esclusione delle Marche, del
territorio di Ravenna, della Puglia e della Calabria ionica. Nonostante Giustiniano fosse stato un
imperatore d’Oriente, i bizantini, dopo la sua morte, non adottarono mai il diritto del corpus iuris
come diritto positivo. Il corpus iuris invece incarna lo spirito dell’uomo medioevale: da una parte il
corpus iuris si rivolge al passato perché raccoglie tutta la tradizione romanistica;dall’altra parte
opera una sintesi fra la cultura antica e quella cristiana. Questo aspetto è tipico del mondo
medievale che era costituito da una doppia polarità: l’Impero e la Chiesa.
Elementi di valorizzazione del Cristianesimo nella politica di Giustiniano:
1)lotta contro l’eresia:nel codex compare un titolo che si occupa della repressione delle eresie;
2)regime fiscale a favore della Chiesa
3)condanna dell’ebraismo:la tradizione occidentale antiebraica affonda le sue radici nell’epoca
giustinianea.

Dopo secoli di persecuzione(soprattutto con Diocleziano), l’imperatore Costantino emanò nel 313
d.C. l’editto di Milano che sancì il principio di tolleranza verso tutte le religioni. Da questo
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momento in poi comincia a nascere la Chiesa quale realtà alla quale soprattutto il tardo medioevo
riconoscerà un potere universale. Costantino concesse alla Chiesa il diritto di esercitare la sua
ingerenza nell’amministrazione della giustizia, così nacquero le episcopalis audientiae, tribunali
vescovili che inizialmente dovevano servire a dirimere solo le controversie tra clericali ma
successivamente fu concesso il loro utilizzo anche fra laici purché le parti ne facessero
espressamente richiesta.
L’origine dell’episcopalis audientia è da ricercare in una lettera dell’apostolo Paolo ai Corintii del
57 a.C. in cui scrisse che i cristiani devono tentare di risolvere le loro controversie senza destare
scandalo per non dare adito a disordini sociali, e perciò devono rivolgersi ad un arbitro, detto
“amicabilis compositor”(compositore amichevole). Costantino afferma che se uno dei litiganti
vuole trasferire la lite davanti al giudizio episcopale, il processo si sospende e quando il vescovo si
sarà pronunciato il giudice deve considerare pro sanctis (come sacro) ciò che il vescovo ha deciso.
Ciò venne stabilito da Costantino nella sua prima constitutio sulla episcopalis audientia, nel 318;
essa rappresenta il primo elemento dell’ingerenza ecclesiastica nella giustizia laica.
Motivi della concessione di Costantino:
1) Costantino si era convertito alla religione cristiana
2) Costantino aveva intuito che l’impero non sarebbe sopravvissuto a lungo e gli sembrò utile
appoggiarsi al potere ecclesiastico
Dopo 15 anni, nel 333 Costantino stabilisce con un’interpretazione autentica (interpretazione che
proviene dalla stessa fonte che ha emanato la norma), chiarendo ciò che aveva voluto dire nel 318:
- la sentenza del vescovo è inappellabile, definitiva;
- la causa va spostata dal tribunale ordinario a quello del vescovo anche se lo richiede una
sola delle parti(chiarimento del “si quis” della costituzione del 318)

Giustiniano inserisce nel codex de 534 non le costituzioni di Costantino(318-333) ma una


costituzione intermedia tra il 300-400 degli imperatori Onorio e Arcadio (rispettivamente imperatori
di Occidente ed Oriente) che stabiliva che per spostare la causa dal giudice regio al vescovo
occorreva il consenso delle parti; tale modalità processuale si conservò come dimostrano vari
documenti, fino all’anno 1000.
Giustiniano interviene nei riguardi dell’episcopalis audientia con una novella del 539 , stabilendo
che:
1) tutte le volte in cui un chierico(colui che fa parte dell’ordine ecclesiastico) è parte in una
causa(che sia attore o convenuto) la causa deve essere decisa dal tribunale del vescovo;questo
regime è stato caratteristico della giurisdizione occidentale fino ai giorni nostri.
2) il vescovo può richiamare il giudice regio(statale) inerte oppure farlo sostituire se scopre che egli
è sospetto o assente
3) contro la sentenza del vescovo si può fare appello al giudice secolare (laico)
Quindi mentre Costantino aveva creato dal nulla, dal punto di vista istituzionale, la giurisdizione
ecclesiastica come una giurisdizione concorrente rispetto a quella laica, con Giustiniano la
giurisdizione ecclesiastica diventa interna rispetto alla giurisdizione laica; i vescovi non sono più
autonomi, ma diventano funzionari dell’Impero, con la conseguenza dell’integrazione fra potere
della Chiesa e potere dell’Impero.

Dalla nascita della giurisdizione vescovile in poi si configura in tutti i suoi aspetti il medioevo
giuridico: esistono regole di giudizio non omogenee e ciò che potrebbe essere legittimo per il
giudice laico potrebbe essere illegittimo per il giudice ecclesiastico e viceversa. Anche sul piano del
diritto l’uomo medievale si trova al centro di una doppia polarità, tra il cielo e la terra( il cielo sceso
in terra è il titolo di un’importante opera di Jacques Le Goffe).

Lezione 24/02
L’alto medioevo è caratterizzato da tre elementi:primitivismo, reicentrismo, ontologismo.
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1) Primitivismo:la società antica era stata abbastanza evoluta sotto il profilo del diritto; alcuni
storici, tra cui Savigny, avevano fermamente sostenuto la tesi continuista;altri invece avevano
affermato che dopo il crollo dell’impero romano d’occidente il mondo sarebbe radicalmente
cambiato. In effetti dopo la caduta dell’impero venne a mancare una cultura giuridica fondata su un
diritto legislativo e si affermò al suo posto un diritto rozzo di matrice consuetudinaria. La società
dopo le invasioni barbariche è una società semplice e non necessita di un diritto complesso ma
piuttosto di norme tratte dalla prassi che risolvano problemi molto più elementari rispetto a quelli
dell’epoca romana. La realtà altomedievale è segnata da profonde trasformazioni: spostamento dalle
città alle campagne circostanti al castello feudale;l’economia retrocede sfociando nel baratto (e il
diritto rispecchia l’involuzione economica e sociale); assenza di riflessione teorica sul diritto. La
conseguenza pratica di tutto ciò è rappresentata dall’oblio in cui cade il diritto romano giustinianeo
e soprattutto il Digesto. Quindi il primitivismo per quanto riguarda l’aspetto giuridico si manifesta
in particolar modo nella consuetudo, mentre cala l’importanza della legge.
2) Reicentrismo(centralità della res):mentre una società evoluta stabilisce rapporti giuridici fondati
tra soggetti, una società arretrata pone al centro del sistema giuridico il rapporto dell’uomo con la
res;in questo caso la res per eccellenza era data dalla terra, unico bene di rilievo della società
medievale; prevale un’economia di sussistenza a discapito del commercio scoraggiato da un
generale imbarbarimento. Dal punto di vista giuridico l’attenzione verso la res comporta un diritto
che nasce dal basso(consuetudine); ma forse l’effetto più significativo del reicentrismo è il rilievo
assunto dalla titolarità sulla res.
In una società arretrata ciò che conta maggiormente è il fatto, ovvero il possesso sulla cosa;in
assenza di un registro immobiliare assume più importanza il possesso rispetto alla proprietà.
Tutt’oggi nonostante gli uffici catastali ci è difficile dimostrare la proprietà (definita probatio
diabolica). Il possesso si esprime a vari livelli, infatti esistono varie con titolarità sul bene. Finisce
l’esclusività del dominio sulla casa, quindi la proprietà.
3) Ontologismo:l’ontologismo è una concezione per cui si ritiene che ciò che esiste deve
necessariamente esistere, ovvero vi è una coincidenza fra essere e dover essere. Tale concezione
porta ad una cristallizzazione della gerarchia sociale in quanto si ritiene implicita l’idea che l’ordine
del mondo è un ordine dato e, in quanto ordine prestabilito è essenzialmente perfetto e non deve
essere modificato. Anche l’ontologismo contribuisce a valorizzare la consuetudine quale fonte
primaria del diritto: alla base della consuetudine sta la convinzione per cui le regole nascono,
crescono e si consolidano nel tempo perché si crea un’opinione collettiva che le ritiene giuste ed
obbligatorie (opinio iuris ac necessitatis).
Le fonti dell’ontologismo medioevale sono due:
- ontologismo cristiano:il Cristianesimo interpreta la realtà data come volontà di Dio(idea
della predestinazione);gli uomini possono cambiare il mondo in modo molto limitato. Il
diritto, in quanto espressione terrena della volontà divina, deve legittimare l’ordine
esistente;prevale nell’alto medioevo la visione provvidenzialistica sostenuta da filosofi
cristiani ( s. Agostino).
- all’ontologismo cristiano si somma l’ontologismo germanico: i germani giunsero nella
penisola italica provocando il crollo dell’impero romano d’occidente, e sconvolsero la realtà
esistente in quanto i loro usi e costumi erano profondamente diversi da quelli del popolo
romano. Tuttavia anche le loro credenze religiose erano fondate sull’ontologismo: secondo i
popoli germanici Dio è in tutte le cose; Dio è natura (teoria panteistica). Ciò si ripercuote sul
piano del diritto perché, se Dio è in tutte le cose, Dio è anche artefice della giustizia;egli non
potrà mai permettere che in una controversia vinca chi non è dalla parte della ragione. Il
prodotto giuridico dell’ontologismo germanico è l’ordalia(dal germanico antico “ordal” che
significa giudizio di Dio):l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato venivano determinate
sottoponendolo ad una prova dolorosa o ad un duello.
La sintesi tra primitivismo, reicentrismo e ontologismo riafferma il prrimato della consuetudo.
Alcuni autori altomedioevali affermavano che la consuetudo è una “lex in potentia”:mentre
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attualmente esiste tra la legge e la consuetudine una differenza di tipo formale, nell’alto medioevo
interessava più il contenuto della norma che la fonte della stessa; quindi a causa dell’assenza di un
potere politico centrale la consuetudo ha una grande forza vincolante;non aveva importanza che la
legge fosse scritta per essere valida, anche perché la maggior parte della popolazione era analfabeta.
“La legge rappresenta la forma evoluta della consuetudine”(Giovanni da Salisbury, scrittore,
storico, vescovo cattolico inglese).
L’invasione dei germani.
Tacito(storico vissuto alla fine I sec d.C.) in una celebre monografia descrive i germani come popoli
dediti alla guerra, che vivevano in una società compatta, in cui la classe dominante è quella dei
guerrieri;nell’assemblea dei guerrieri le decisioni venivano prese percuotendo lo scudo con la
lancia. I germani applicavano la pena capitale ai reati di tradimento (tipico della società militare) e
per altri delitti obbligavano il reo a pagare una somma in denaro che per metà risarciva la parte
offesa, mentre l’altra metà era destinata al fisco.
I popoli invasori furono nomadi, dal crollo dell’impero romano fino al 500-600 d.C.;essi
assumevano denominazioni differenti a seconda del territorio in cui si stanziavano: Visigoti ( west,
Francia meridionale e parte della Spagna); Ostrogoti(est, si stabiliscono in Italia dopo aver sconfitto
i Goti di Odoacre).
Periodizzazione
- Visigoti: si stanziarono nella Francia del sud alla fine del V sec; dal punto di vista giuridico
cercarono di rendere agevole l’integrazione tra i due popoli (Visigoti e Romani), attraverso
la lex romana wisigothorum( detta anche Breviario di Alarico, dal nome del re che la
concesse, Alarico II). La lex romana wisigothorum fu promulgata nel 506 d.C. e conteneva
due tipi di fonti, gli iura e le leges: le leges sono costituite dal codex teodosianus (438 d.C.),
mentre gli iura sono frammenti di quel diritto romano di bassa qualità che si diffonde alla
fine dell’impero, preso il particolare dalle Pauli sententiae e il Liber gai. La lex romana
wisigothorum fu a beneficio di tutti.
In Spagna i Visigoti restarono più a lungo, infatti il diritto visigoto col tempo si fuse con il
diritto elaborato dalla Chiesa locale (diritto canonico), soprattutto ad opera di Isidoro di
Siviglia(vescovo di Siviglia) il quale elaborò due tesi:
1) teoria della predestinazione: ciò che esiste è voluto da Dio così com’è(sul piano giuridico
si esalta ancora la consuetudo)
2) chi sta al vertice di un’istituzione (il rex) deve correggere:nella logica medievale il rex non
è colui che fa le leggi, ma colui che corregge il diritto esistente;quindi più che legislatore il
re è un giudice (nei secoli successivi verrà elaborata appunto la teoria del princeps iudex).
- Nel 493 in Italia si stanziarono gli Ostrogoti, sotto la giuda del loro re Teodorico; nel 552
Giustiniano tenta di riunificare l’impero, sconfiggendo gli ostrogoti e riconquistando i
territoti d’occidente, ma tale assetto durò poco, ovvero fino alla morte dell’imperatore. Gli
ostrogoti erano più rozzi dei Visigoti e di conseguenza ebbero una minore pretesa di
coesione con il popolo romano assoggettato; i due popoli continuarono a vivere
separatamente senza contaminarsi.

Vi furono vari re barbari dal nome Teodorico e uno di loro emanò il c.d. editto di Teodorico
intorno al quale sono state costruite dagli storici due ipotesi:
1) l’editto è di un Teodorico ostrogoto
2) l’editto è di un Teodorico precedente e quindi visigoto(metà 400);prevale questa seconda tesi;
se tale testi risultasse vera, l’editto riguarderebbe la Francia e non l’Italia.
L’editto di Teodorico disciplina il diritto di asilo(ius asilandi), cioè la facoltà che
l’ordinamento può riconoscere ad un soggetto di rifugiarsi in un’area non sottoposta
all’ordinamento stesso. Fino all’inizio dell’Ottocento è stata la Chiesa a favorire il diritto
d’asilo; l’editto di Teodorico invece prevede che se un reo si rifugia in Chiesa, il vescovo è
obbligato a consegnarlo alla giustizia regia. Gli storici hanno dedotto che in Francia già a età del V
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secolo d.C. nel rapporto tra trono e Chiesa,prevaleva il potere regio;mentre in Italia il diritto
canonico ha conservato sempre un peso maggiore rispetto agli altri paesi.

Uno dei primi popoli alto-medievali in Italia erano i Bizantini, poi sconfitti dai Longobardi. I
bizantini non applicarono il diritto giustinianeo, ma si basarono sulla raccolta dei Basilici o dei Regi
emanata dall’imperatore Leone il Saggio nel 888. Fu la più importante raccolta di diritto
dell’impero d’Oriente che veniva applicato solo su base personale, quindi solo su chi apparteneva a
questa comunità. Il diritto bizantino ha molto influito su quello della penisola italiana, in particolari
zone, come il Sud, Amalfi e Gaeta, però solo rispetto al diritto di famiglia, successorio e
patrimoniale.
I longobardi.
I Longobardi invasero l’Italia nel 568;l’invasione longobarda fu certamente la più violenta e
sottrasse alla dominazione bizantina tutta la penisola ad eccezione della costa adriatica e della
Calabria ionica. I Longobardi provenivano dalla Pannonia (attuale Ungheria) e si stanziarono in
Italia in modo stabile a differenza di tutti gli altri popoli che avevano invaso i territori italici
precedentemente. Anche i Longobardi avevano una struttura politica a carattere militare:i loro capi
erano i duces; a capo dei duchi c’era il rex (il capo dei capi militari). Erano organizzati in grandi
clan familiari, le c.d. fare;scelsero come capitale Pavia perché era collegata al nord Europa dal
fiume Ticino. Tuttavia, quando i longobardi giungono in Italia, mutano il loro assetto politico: da
un’organizzazione militare si passa ad una civile e i duchi vengono sostituiti dai gastaldi.
I longobardi emanarono nel 643 un provvedimento fondamentale, l’editto di Rotari; Rotari era un
rex longobardo che persegue, con l’editto, l’intento di mettere per iscritto le antiche leges dei padri
quae scripte non erant, in quanto si trattava di consuetudini-chiamate in lingua longobarda
kawarfitde(cavartide). Rotari in realtà non vuole aggiungere alcuna novità all’assetto giuridico ma
soltanto trascrivere ciò che esso già era nei fatti; tale editto è motivato dalla necessità avvertita da
Rotari di compattare il suo popolo:egli vuole che tutti i suoi sudditi si riconoscano in tale
documento. L’editto riguardava tuttavia solo i longobardi:non era un diritto territoriale come la lex
romana wisigothorum, ma costituiva il retaggio giuridico del solo popolo invasore; ciononostante
tutti i comportamenti che avessero messo a repentaglio l’ordine pubblico sarebbero stati puniti, sia
che fossero stati commessi dai longobardi, sia che li avessero compiuti i romani.
I punti essenziali dell’editto di Rotari.
- prima norma dell’editto: punire l’attentato alla vita del re
- accurata disciplina del diritto penale
- anche dal punto di vista giuridico la famiglia aveva un ruolo fondamentale:la controversia tra due
soggetti conduceva alla vendetta dell’offeso, che si estendeva non solo sull’offensore, ma anche su
tutta la sua famiglia, in conformità con la legge della faida (solidarietà in senso tecnico). Rotari
scoraggia il meccanismo della faida a favore della compositio pecuniaria (guidrigildo):il torto
viene risarcito pagando una multa;metà della somma viene attribuita all’offeso mentre l’altra metà
spetta al re.
Il processo.
L’editto conserva strumenti della tradizione germanica, l’ordalia, il giudizio di Dio:la giustizia deve
invocare Dio il quale certamente interverrà per stabilire il torto e la ragione. Tipici strumenti
ordalici sono il duello e il giuramento, che hanno avuto una vita lunghissima. Oggi distinguiamo tra
reato tentato e reato consumato;tale distinzione fra conato (tentativo) e consumazione è profilata
nell’editto di Rotari:è presente una tripartizione che distingue atti preparatori, tentativo e reato
consumato.
La successione.
I longobardi non conoscevano il testamento (presente invece nel diritto romano) ed applicavano
quella che noi oggi chiameremmo successione legittima;essa veniva preferita perché essi
conservarono sempre un forte senso della famiglia che si riflette all’interno del diritto.
Il ruolo della donna.
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La donna è sottoposta all’istituto del mundio, una tutela che la donna subisce anche per gli atti di
ordinaria amministrazione; il soggetto che la esercita è detto mundualdo, ruolo prevalentemente
svolto dal padre o dal marito. Quindi la donna deve essere assistita in tutti gli atti che compie.
Ancora nel Code civil napoleonico del 1804 la donna è soggetta alla potestà maritale per gli atti di
ordinaria amministrazione;in Italia fino al 1919 tutti gli atti di straordinaria amministrazione
compiuti dalla donna erano sottoposti alla potestà del marito.

Anche un altro re longobardo, Liutprando(re dal 712 al 744) fu autore di numerosi editti raccolti
insieme a formare 153 capitoli(quelli che noi oggi chiameremmo articoli).
Differenze fra gli editti di Liutprando e l’editto di Rotari:
1) all’inizio dell’VIII secolo i longobardi si convertirono al cristianesimo(o finsero di farlo) per
motivi politici; soprattutto Liutprando fece coscientemente leva sull’unità religiosa fra Longobardi e
Romanici per motivi politici, per affermare il suo ruolo di Rex Totius Italiae. Egli concede alla
Chiesa la facoltà di manomettere il servo dinanzi a Dio.
2) nei suoi editti, Liutprando riconosce il diritto di asilo
3) Liutprando ammette il c.d. “lascito pio”: in vista della propria successione, un soggetto può
decidere di lasciare i suoi beni alla Chiesa(con il lascito pio la Chiesa comincerà ad arricchirsi e a
diventare oltre che una potenza spirituale, anche potenza economica detentrice del potere
temporale). Il lascito pio intacca il principio della successione legittima.
4) per l’omicida Liutprando prevede una sanzione meno rozza della composizione pecuniaria:
mentre Rotari aveva stabilito come pena il pagamento di una multa(esistevano vere e proprie tabelle
di proporzionalità fra l’ammontare della multa e lo status sociale della persona uccisa), Liutprando
stabilisce la confisca dei beni del reo.
Tra gli editti di Liutprando due capitoli hanno particolare rilievo:
- capitolo 118(sul duello):viene considerato ingiusto il duello giudiziale, ma esso non viene
abolito in quanto costituisce la consuetudo di quella gens;
- capitolo 91, “de scribis”(destinato agli scrivani): se le parti stabiliscono per convenientia di
subdiscendere(allontanarsi) de lege sua(dalla propria legge) tale comportamento sarà lecito
e gli scrivani non saranno considerati colpevoli. I longobardi e i romani forse per quasi un
secolo e mezzo non avevano avuto alcun tipo di contatto;in un sistema plurietnico ognuno è
tenuto a rispettare la propria lex (i romani infatti vivevano con le rozze reminiscenze del
diritto romano). Solo da Liutprando in poi è possibile che gli appartenenti alle due etnie si
accordino per applicare nei rapporti giuridici (contratti, matrimoni) uno dei due ordinamenti.
Tale riforma scalfisce il principio della personalità del diritto e lo sostituisce con il principio
della territorialità del diritto. Il capitolo 91 fa presupporre che in precedenza i re longobardi
non vedessero di buon occhi i rapporti tra i due popoli, infatti non erano possibili contratti
tra essi, tra cui il matrimonio.

Principio della personalità della legge: i vincitori vogliono affermare, continuando ad utilizzarlo, il
loro diritto su quello dei popoli vinti. All’interno di un unico ordinamento è riconosciuta la
legittima coesistenza di una pluralità di diritti ciascuno dei quali applicabile ad una specifica
etnia(Padoa Schioppa).

La dominazione longobarda fu catastrofica per l’Italia dal punto di vista del diritto:
- diritto di famiglia: ad es. limitarono l’autonomia della donna, in particolare dal punto di
vista patrimoniale;
- solidarietà(in senso tecnico, inteso come responsabilità in solido): la solidarietà, nasce
nell’ordinamento longobardo, dall’organizzazione familiare in cui tutti rispondevano per
tutto. Mentre tuttavia per noi la responsabilità solidale ha carattere civilistico, per i
longobardi essa è responsabilità sia civile che penale; infatti loro conoscevano solo il danno
e non aveva importanza se commesso per dolo o colpa.
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Gioacchino Volpe(storico del Novecento): la colpa dei longobardi consiste nella donazione di Sutri
(728) fatta dal re Liutprando a papa Gregorio II per sancire la loro conversione al cristianesimo;
Sutri fu il primo insediamento temporale dello stato della Chiesa. Da allora in poi gli abitanti della
penisola vissero divisi dalla fedeltà verso due padroni:la Chiesa e il potere pubblico. Da quel
momento si venne a creare una dicotomia di ordinamenti compresenti, due governi: un potere
temporale (lo Stato) e uno sia spirituale che temporale (la Chiesa).

Lezione 2/03
La dominazione longobarda (568-774) finì dopo due secoli, in seguito all’invasione di un altro
popolo germanico, i Franchi. I franchi, uno dei primi popoli a convertirsi al cristianesimo, si
sistemarono in Gallia sconfiggendo i Visigoti all’inizio del 500, diffondendo il diritto germanico,
quello descritto da Tacito. La svolta si ebbe quando il papa chiamò nel 774 in Italia il re carolingio,
Carlo, figlio di Pipino il Breve, per liberarla dai Longobardi.
L’intento dell’uomo medievale tra il VII-VIII sec. Era la restaurazione dell’impero, per questo
Carlo, il re dei Franchi, chiese in cambio al Papa di essere incoronato imperatore. Quindi con
l’incoronazione durante la notte di Natale dell’800 di Carlo ormai Magno venne creato il Sacro
Romano Impero Germanico. Sacro perché il potere terreno derivava da quello divino, quindi dal
Papa; Germanico, perché il fulcro dell’impero diventa la Germania, da cui provenivano tutti gli
imperatori.
Le novità del Sacro Romano Impero rispetto all’impero romano d’Occidente sono:
1. SACERTA’, l’impero nasce dalla Chiesa e dall’incoronazione del Papa;
2. GERMANOCENTRISMO, il cuore dell’impero è in Germania ad Aquisgrana.
3. L’impero romano d’occidente era caratterizzato dall’UNIONE DINASTICA al contrario del
Sacro Romano Impero, in cui l’imperatore era a capo di corone diverse. Carlo oltre ad essere
imperatore, era re dei Franchi e re d’Italia. Quindi da una parte c’è un impero unico, dall’altra si
mantiene la pluralità di Stati.
Un’altra innovazione legata a Carlo Magno è l’istituzionalizzazione della scuola per sottrarre alla
Chiesa il monopolio dell’istruzione. Infatti vennero create le SCUOLE PALATINE, nelle quali
inizia a diffondersi un sapere laico.
I longobardi erano organizzati in tribù guidate dai duchi (Duces); i Franchi erano invece guidati dai
conti (comites) che vennero poi affiancati dai Missi Dominici, altri funzionari direttamente
dipendenti dall’imperatore. I conti e i missi si scontrarono per la nobiltà che per i primi era una
nobiltà di sangue, mentre gli altri l’acquisivano grazie al potere politico. Entrambi facevano
giustizia, per i conti era detta giustizia di contea, e avevano compiti giuridici e fiscali, di riscossione
delle tasse.
Con i Carolingi nacquero anche delle confusioni tra Stato ed Impero:
1. Innanzitutto spesso grandi notabili della Chiesa, tra cui vescovi e abati, vennero nominati
funzionari imperiali, Misssi dominici;
2. Poi ci fu un’importante ingerenza teologica, poiché i carolingi forti del fatto che il Papa li aveva
chiamati in soccorso, si intromettevano spesso in questioni della Chiesa. Infatti molte leggi si
occupavano di questioni di fede. Questa intromissione secondo Padoa Schioppa ha fatto pensare
alla Teocrazia, cioè all’identità tra potere religioso e potere laico.
Le norme erano detti CAPITOLI, quindi si può fare una distinzione sulle norme capitolari:
• In base all’oggetto: CAPITULARIA MUNDANA (sul mondo terreno) e CAPITULARIA
ECCLESIASTICA (sul mondo religioso);
• In base alle norme preesistenti: CAPITULARIA LEGIBUS ADDENDA, da aggiungere a quelle
precedenti, e CAPITULARIA PER SE SCRIBENDA, che si occupavano per la prima volta di
un tema mai affrontato prima giuridicamente.

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Lezione 3/03
Un’innovazione importante del tardo medioevo è l’introduzione del feudo. Quando le popolazioni
germaniche si insediarono in Italia persero il legame familiare tipico della loro cultura, instaurando
quindi un legame di dipendenza e soggezione. Tale legame è il feudo ed è un rapporto asimmetrico,
in cui un soggetto comanda assicurando il sostegno e la difesa al soggetto che subisce, offrendo in
cambio protezione e sussistenza. Il feudo ha una natura personale ed è simbolo della relatività,
tipica del medioevo; infatti solo Dio comanda su tutti e il Papa è il Vicarius Cristi; tutti i poteri
medievali sono basati su una catena gerarchica, in relazione alla potestas. Il rapporto stabilito dal
feudo è relativo e non assoluto, non con tutta la comunità ma solo tra feudatario e vassallo. Il feudo
durò fino al 1806-15 e fu fermato da Napoleone.

Il Feudo è un istituto basato su tre elementi:


1. ELEMENTO PERSONALE
2. ELEMENTO REALE
3. ELEMENTO LOCALE

1. L’elemento personale è la FIDELITAS (fedeltà), che viene giurata dal vassallo durante l’atto
d’investitura. L’atto d’investitura è una cerimonia d’omaggio in cui i dominus nomina un altro
individuo suo vassallo, il quale giunge le mani in quelle del dominus in segno di sottomissione.
Il vassallo in seguito a questa cerimonia assume obblighi di FACERE e NON FACERE,
innanzitutto il vassallo non può tradire, altrimenti il vincolo feudale si scioglie. Inoltre doveva
prestare auxilium (aiuto) e consilium(consiglio). L’aiuto in particolare in guerra accompagnando
il signore e fornendogli i mezzi necessari come il cavallo. Questo dimostra che anche il vassallo
era di condizioni agiate . Il Consilium invece sta nell’aiutare il signore a svolgere i suoi oneri,
quindi dando pareri quando il dominus amministra la giustizia e andando a riscuotere i tributi
per il dominus.
Le cause di scioglimento del feudo erano:
• Il tradimento (fellonia), che era un reato soprattutto militare, e determinava lo scioglimento
del rapporto basato sulla fidelitas;
• Morte del dominus o del vassallo, poiché il vincolo era strettamente personale.
2. L’elemento reale era il BENEFICIUM, che è un oggetto che si dà in corrispettivo a qualcosa.
Nell’ambiente ecclesiastico spesso le Chiese erano dotate di un beneficium, patrimonio che
consentiva alla chiesa di vivere. Il beneficium poteva essere inteso anche come terra data in
concessione in cambio di un canone. La prima volta che il beneficio venne inteso come terra fu
quando Carlo Martello dopo aver sconfitto gli arabi nella battaglia di Poitiers, in cui confiscò ai
templari tutte le terre, le concesse in beneficio ai suoi soldati. Nel feudo il beneficium poteva
essere la terra, ma anche l’honor, una carica pubblica, intesa come una concessione feudale,
cioè il signore concede al vassallo una carica pubblica. Altri benefici dati nel feudo erano le
Chiese, i monasteri, il denaro o la dote. Dare in beneficio significava una concessione che
comporta una scissione tra titolarità del beneficio e il suo utilizzo; quindi il beneficio è concesso
a chi non ne è titolare. Alla morte del vassallo si ha una DEVOLUZIONE DEL FEUDO, con
cui il beneficium torna a chi lo aveva concesso. In seguito però, dato che sul pezzo di terra, i
vassalli costruivano e lavoravano per la loro sussistenza, per incentivare l’economia e esortare i
vassalli a lavorare la terra, il feudo divenne ereditario. L’ereditarietà del feudo venne stabilita
con l’editto di Milano emanato nel 1037 da Corrado il Salico. Gli eredi potevano essere solo il
figlio o il fratello del vassallo e ottenevano solo la concessione, secondo il principio per cui
“nessuno può trasferire ad un altro più di ciò che ha.”
Il secondo principio su cui si basa il feudo è l’ALIENABILITA’: se il vassallo lavora su un
pezzo di terra non suo, ma dato in concessione, vorrà la possibilità di alienare (dare ad altri) non
la proprietà, ma la concessione, il titolo del feudo. In seguito all’anno 1000 con lo sviluppo

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dell’economia, il feudo perde il titolo personale per far prevalere l’interesse del vassallo di
sfruttare la concessione.
Se il dominus sa che il vassallo vuole alienare il feudo , può effettuare il retratto, cioè può
riportare il beneficio nella sua piena titolarità. Se il dominus non esercita il retratto (che nei
secoli successivi si chiamerà ius congruii) deve comunque esprimere il suo consenso
sull’alienazione attraverso l’assenso. Tra il 500 e il 700 oltre ai feudi si diffusero i demani,
territori concessi in feudo dal re e dallo Stato. Mark Bloch, storico francese, nella sua opera “La
società feudale” sintetizza la concessione dell’alienazione del feudo nella formula “fedeltà
messa in vendita”; il rapporto fidelitario che in origine era personale, diventa oggetto di
mercanteggiamento, dato lo sviluppo dell’economia.
3. L’elemento locale è l’IMMUNITAS. Il munus è il dovere pubblico. L’immunitas è ciò che non
è soggetto a doveri e a privilegi legati al potere pubblico. Il munus non opera all’interno del
feudo, poiché in esso ci sono regole pubbliche diverse; ad esempio le tasse non si pagano allo
stato, ma al dominus, il servizio militare non si presta allo stato, ma al dominus. Riguardo alla
giustizia, chi sta anel feudo risponde a una giustizia del feudatario che è una giustizia
concorrente, cioè che concorre con quella esterna. Il dominus non poteva esercitare direttamente
la giurisdizione, ma doveva delegarla al capitanus. Quando i feudi venivano messi in vendita, si
faceva un vero e prorpio contratto detto atto d’investitura, che è un atto scritto in cui si attesta la
concessione del feudo e dei diritti potestativi (nel senso che la controparte doveva limitarsi a
subire) ed essi erano delle prerogative e facoltà legate alla concessione feudale ed erano il fare
giustizia e il riscuotere le tasse. Nell’atto di investitura inoltre venivano concesse le prime, le
seconde e le terze cause, con cui il concessionario poteva giudicare i sudditi in primo, secondo e
terzo grado. Quindi l’immunitas era lo spazio non soggetto a doveri e privilegi pubblici
soprattutto in campo fiscale e giudiziario.
Rispetto al concetto di proprietà, vi furono concezioni in base al periodo:
• Il Code civil del 1804 stabiliva che i beni del proprietario sono intangibili dallo Stato e lui
può usare e abusare della sua proprietà;
• La costituzione attuale stabilisce che il diritto di proprietà si può usare rispettando la
funzione sociale.
• Nel diritto romano, il dominium era più vicino alla proprietà moderna;
• Nel medioevo invece esisteva la PROPRIETA’ DIVISA, essa si aveva quando il dominus
viveva lontano dalla sua proprietà che dava in concessione a un contadino esercitando un
controllo minimo. Non essendo presente il dominus, il contadino poteva esercitare una serie
di facoltà del dominus. Quindi c’è un dominio diviso poiché il dominus ha la titolarità
formale del bene e viene detto dominus eminens o directus con un dominio eminenteo
diretto. Il contadino è detto dominus utiles, che ha un dominio utile. I giuristi dopo l’anno
1000 per legittimare l’istituto della proprietà divisa ripresero un brano di Paolo dal digesto
sugli agri vectigales, diffuso in età imperiale. Gli agri vectigales erano dei fondi che
l’imperatore dopo le guerre concedeva ai suoi soldati in segno di riconoscimento in cambio
di un canone. Per Paolo i vectigalisti (chi aveva ricevuto la concessione) potevano contro i
disturbatori del loro fondo reagire con un’azione reale. I giuristi medievali quindi ripresero
il pensiero di Paolo, associando i vectigalisti al dominus utilis. Il dominio diviso si può
ricompattare quando il dominio torna al dominus diretto, ad esempio con la morte del
contadino. I pregi del dominio diviso stanno nel fatto che si rispetta la realtà. Svantaggio sta
nel fatto che nessuno dei due può dichiararsi unico titolare e questo dimostra che c’è
un’economia stagnante e non più avanzata. Il dominio diviso venne abbandonato nel 700
dagli illuministi che credevano nella fisiocrazia, cioè che il potere sta nella terra e quindi il
dominio deve essere pieno. La Chiesa ha un ruolo importante nel tardo medioevo, poiché
simboleggia la romanità contro l’invasione dei barbari
La Chiesa utilizza come suo diritto in questo periodo il diritto romano volgare e lo trasmette in due
sedi: nelle scuole monastiche, gli amanuensi trascrivono tutte le fonti della romanità classica, ma
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non distinguono le fonti letterarie con quelle giuridiche; quindi trascrivevano senza tener conto del
contenuto degli scritti attraverso un tramandare acritico; le scuole episcopali erano le scuole dei
vescovi , anche sedi degli EPISCOPALIS AUDIENTIA, cioè dei tribunali del vescovo, in cui le
cause erano decise sulla base del diritto romano volgare. La più famosa raccolta del l’Alto
Medioevo in cui era riportato il diritto vigente per risolvere le loro cause era la lex canonicae
compta. La raccolta conteneva il diritto romano compilato alla maniera dei canonisti, cioè dal
punto di vista della Chiesa.
La fonte del diritto Alto medievale è la CONSUETUDO ed era la Chiesa a stabilire quale
consuetudine fosse bona o mala (buona o cattiva). Per fare questa distinzione la Chiesa riprende un
principio risalente a Costantino: “La consuetudine è valida purchè non sia contra legem o contra
rationem.” Come nell’età tardo antica, con Costantino, nell’età altomedievale non c’erano molte
leggi, quindi la ratio ormai era stabilita dalla chiesa e quindi anche in base alle sacre scritture. Per
distinguere quindi le consuetudini buone da quelle cattive si svolgevano i laudamentia curiae, cioè
veri e propri processi svolti avanti alla curia, in cui l’oggetto del processo non è il fatto, ma il
diritto. I giudici devono accertare qual è la regola vigente; il vescovo cerca di capire con quale
norma deve essere risolto il fatto; se la norma consuetudinaria doveva essere accertata e poi
definita buona o cattiva. Se la consuetudo era non contraria alla legge e alla ratio è bona, altrimenti
è considerata mala.
Dopo l’anno 1000 il Sacro Romano Impero assiste a un risveglio della cultura, soprattutto grazie
alla riscoperta delle Arti Liberali, cioè 7 arti pratiche distinte in due famiglie:
Le arti del trivio (anche dette arti del discorso o ars sermocinandi):
❖ GRAMMATICA, parlare correttamente, conosciuta grazie ai classici;
❖ DIALETTICA, impostare correttamente la struttura della frase, conosciuta grazie ad Aristotele;
❖ RETORICA, arte di persuadere l’ascoltatore, conosciuta grazie a Cicerone e
Quintiliano. Le arti del quadrivio (arti relative alle cose)
❖ ARITMETICA
❖ GEOMETRIA
❖ MUSICA, dal punto di vista fisico del suono;
❖ ASTROLOGIA

Tutte le arti liberali erano pratiche. Nell’825 venne emanato il capitolare olonese che stabiliva che
presso le scuole palatine dovessero essere insegnate le arti liberali. In esse però non era compreso il
diritto, che dall’Alto medioevo al 1100, XI sec. d.C., non ha un posto a sé stante nel sapere, poiché
non c’era una cultura giuridica. Solo poi con la scuola di Bologna riassumerà molta importanza.

Lezione 9/03
A causa della rinascita economica, all’inizio del nuovo millennio inizia a diffondersi la cultura
giuridica e nascono scuole che oltre a dedicarsi alle arti liberali, si occupano anche del diritto e di
questioni giuridiche. La prima esperienza in cui si dà spazio al diritto è la scuola di Pavia, che era
stata la capitale sia per i longobardi che per i franchi. In questa scuola si insegnava il diritto
longobardo, quello franco e, studi più recenti sostengono che era insegnato, anche se in minima
parte, anche il diritto romano, legato alla compilazione giustinianea. Il manuale di riferimento della
scuola era il libro di Pavia o Liber Papiensis, successivamente chiamato anche Lex longobarda o
solo Lombarda, il quale comprendeva sia le norme longobarde sia il capitulare italicum.
Quest’ultimo era un manuale i cui erano inserite tutte le norme franche relative alla penisola italica.
I professori della scuola esponevano e spiegavano il liber papiensis e da queste lezioni nella prima
metà dell’XI sec. venne fuori un’opera didattica, l’Expositio ad librum papiensem, intesa come
commento al libro di Pavia, anche alla luce di regole romanistiche. Un passo importante
dell’expositio è quello in cui secondo l’autore anonimo, l’expositor (che scrive 4 sec. dopo la
sconfitta dei longobardi), quando i longobardi si trovavano avanti ad una lacuna, vuoto
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dell’ordinamento che va riempito con altre norme, dovevano effettuare un rinvio al diritto romano.
Il diritto romano era definito Lex generali omnium (legge generale di tutti), inteso come un collante
tra tutti gli ordinamenti dei vari popoli. In realtà questa è una deduzione dell’expositor, non è
provato. Gli storici infatti, riguardo a questa definizione del diritto romano, hanno avuto varie
interpretazioni: Calasso sostiene che essa è un preannuncio della riscoperta del diritto romano come
diritto comune. Nella sua opera “Rinascimento giuridico medievale” ritiene che al diritto medievale
venne data una nuova vita poiché nell’anno mille il diritto venne insegnato e studiato; un allievo di
Calasso, Ennio Cortese sostiene invece che probabilmente anche nei secoli bui non è mai stata
abbandonata l’idea che i popoli debbano vivere secondo regole comuni, quindi anche tra due popoli
rivali.
Nel capitolare italico, in una norma della fine dell’VII sec., sono elencate delle materie di conflitto
tra il diritto romano e quello longobardo; sempre la stessa norma sostiene, che nelle altre materie, in
cui non c’è conflitto tra diritto romano e longobardo, bisogna sforzarsi VIVERE COMMUNI
LEGE, di vivere secondo una legge comune.

L’opera giustinianea durante il medioevo scompare; le varie parti sono presenti solo sotto forma di
riassunti, summae. La più famosa summa del codex era la Summa Perusina, trovata a Perugia.
Invece delle Instituziones, la più famosa era la Glossa Taurinense, di Torino. Riguardo alle
novellae, c’era l’Epitome Iuliani. Il digesto scompare nell’Alto medioevo; l’ultima testimonianza
si ha nel 603 d.C., quando il Papa Gregorio Magno spedisce un suo ambasciatore, un legato
pontificio, in Spagna. Una lettera che questo ambasciatore portò era un passo del Digesto, quindi
probabilmente in quel periodo l’opera era ancora conosciuta ed utilizzata. Sulla fine del digesto
durante i medioevo ci sono varie leggende: da una parte probabilmente una copia, in latino, venne
portata ad Amalfi, da lì, dopo la sconfitta della città da parte dei Pisani, passò a Pisa, per essere poi
rubata dai Fiorentini che si impossessarono della copia. Questa venne, quindi, detta Littera
Florentina, ed era molto simile a quella originale, redatta da Triboniano. La scuola di Bologna,
però per lo studio del digesto, utilizzò un’altra copia più diffusa, che però era anche più scadente
ed era detta Littera Bononiensis o Vulgata. Questa copia inizialmente si trovava a Roma, poi venne
portata a Ravenna, capitale dell’esarcato(quei pochi territori bizantini, rimasti ancora in Italia), per
finire poi a Bologna.
La ricomparsa del Digesto risale al 1076, quando in un documento, il Placito di Marturi, si legge
che gli avvocati del monastero di San Michele andarono dal giudice (delegato alla giustizia della
duchessa Beatrice di Canossa), a rivendicare il possesso di alcuni beni che il monastero aveva
ricevuto in dono 80 anni prima da parte di un nobile toscano. Gli avvocati sostenevano che la
rivendicazione o il risarcimento del danno era possibile anche a distanza di molti anni, poiché a quel
tempo mancavano i giudici a cui rivolgersi. Questo principio era sostenuto da Ulpiano, il cui passo
era contenuto nel Digesto. Questo fece capire che il digesto in quel tempo era conosciuto ed
utilizzato.
Con la riscoperta della compilazione giustinianea, il diritto negli anni 70-80 inizia ad essere visto
come una scienza; infatti in questo periodo iniziano a nascere le prime scuole e università che si
occupavano di diritto. Sicuramente la più importante è la Scuola di Bologna o scuola dei Glossatori.
Odofredo, un professore di questa scuola degli inizi del 1200, scrisse un lectura, una spiegazione ad
un passo del digesto che dice “Un cero sig. Pepo cominciò AUCTORITATE SUA A LEGERE IN
LEGIBUS senza lasciare traccia della sua fama; invece il sig. Irnerio mentre insegnava IN
ARTIBUS in questa città allorchè furono deportati LIBRI LEGALES cominciò a PER SE
STUDERE nei nostri libri e studiando cominciò A LEGERE IN LEGIBUS”. Odofredo descrive una
giornata in cui Pepo all’università leggeva delle letture, ma non lasciò traccia, con questo
probabilmente si intendeva che o non scrisse nulla, o che non aveva allievi o ancora che non era un
prof della scuola. Irnerio invece, insegnava nelle scuole di Arti Liberali, probabilmente quelle del
Trivio e in questo periodo a Bologna vennero portati i libri legales, cioè i libri giuridici, e Irnerio
quando conobbe il Digesto iniziò prima a studiarlo privatamente, e poi a insegnarlo.

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La figura di Pepo venne descritta da Ranulfus Niger, un teologo inglese, che racconta che Pepo
ebbe parte nel Placito Lombardo. Negli anni 80-90 del XI sec. (1081-1904) si riunì un’assemblea di
contabili che emise una sentenza in cui si condannava alla pena pecuniaria un soggetto che aveva
ucciso un servo, poiché nella tradizione longobarda il danno era risarcito in base alla qualità del
soggetto offeso. Ranolfus racconta che Pepo ritenne ingiusta questa sentenza e in nome
dell’uguaglianza bisognava utilizzare la legge del taglione verso l’omicida. Quindi ha più
importanza, per lui, il diritto naturale, piuttosto che le leggi dei longobardi che prevedevano questo
tariffario e quindi bisognasse calpestare e passare sopra a tutto il diritto iniquo. Questo
atteggiamento si avvicina a quello delle fonti canonisti che, con cui la Chiesa inizia a voler
diffondere il pensiero che gli uomini non vanno considerati in modo diverso in base allo stato. La
rinascita del diritto romano avvenne in ambienti vicini alla Chiesa. L’idea di Pepo quindi è
un’invocazione al diritto naturale, chiamato in quel periodo Giusnaturalismo medievale.
Irnerio, di origine tedesca, era amico di Enrico V ed era un personaggio poliedrico (giudice, notaio,
consigliere imperiale). Matilde di Canossa, figlia di Beatrice, chiese a Irnerio di RENOVARE
LIBROS LEGUM, cioè di rinnovare i libri giustinianei. La sua richiesta però non era legata al suo
forte potere e al suo legame con il Papa, poiché in questo caso la riorganizzazione della
compilazione sarebbe stata vista come una decisione della Chiesa, ma Matilde richiese solo
un’edizione più accurata della compilazione a Irnerio che la stava studiando.
Ad Irnerio si deve la scoperta dell’Authenticum, di cui però inizialmente non era convinto. Lo
scetticismo di Irnerio non era dovuto al testo, ma ai rischi che comportava il suo ritrovamento.
Infatti il doctor introdusse la stabilizzazione del textus giustinianeo, poiché determina il passaggio
tra la consuetudine, un testo di legge fluido, e un diritto fisso, quindi scritto. Quindi quando dovette
riconoscere che l’Authenticum era originale dovette ammettere che c’erano ancora delle novellae
non conosciute e quindi il diritto non era ancora stabilizzato. Probabilmente Irnerio nel 1118 si
trovava a Roma per prendere parte allo scontro tra il Papa, Callisto II e l’Antipapa. Irnerio che agiva
per conto di Enrico V perse, e il Papa nel 1119 convocò un concilio in cui scomunicò Enrico V e
tutti i suoi seguaci, tra cui Irnerio.

Lezione 10/03
Irnerio interviene anche riguardo alla LEX REGIA DE IMPERIO, la legge sovrana sul potere
emanata forse da Vespasiano nel 69 d.C.; la lex sosteneva che il potere di fare le leggi (CONDERE
LEGEM) era passato dal popolo all’imperatore.
Irnerio e i glossatori di fronte alle contraddizioni del Corpus Iuris Civilis dicevano che non era il
corpus ad avere le contraddizioni, poiché era visto come un libro sacro, ma l’errore era dei giuristi
che potevano risolvere le antinomie applicandosi e studiandole.
Una contraddizione importante del corpus fu quella sulla desuetudine (perdita di efficacia di una
norma perché non viene più rispettata, quindi è il contrario della consuetudine):
La contraddizione si ha tra un passo tratto dal Digesto D 1 3 32, di Salvio Giuliano, quindi visto dal
punto di vista di un giurista e un passo tratto dal Codex C 8 52 2, di Costantino, quindi visto dal
punto di vista dell’imperatore. Giuliano diceva “cosa importa se il popolo esprime la sua volontà
con un voto o con i comportamenti concreti? ”, con questa frase intende che la desuetudine può
abrogare una legge, quindi si può verificare. L’intenzione di Giuliano in questo passo è quella di
sfumare l’imperatività della legge. Al contrario Costantino nella sua costituzione afferma che la
consuetudine è valida se non va contra legem o contra rationem. Questo principio poi venne usato
dalla Chiesa, intesa come la ratio, per scegliere la consuetudine bona aut mala. Quindi mentre per
Giuliano la desuetudine può abrogare una legge, per Costantino la consuetudine non può andare
contro la legge. Irnerio studia questa antinomia e sostiene che in realtà è solo apparente, perché
Salvio Giuliano aveva scritto prima di conoscere la lex regia de imperio, secondo cui il potere di
legiferare era passato all’imperatore. In realtà Giuliano conosceva la lex regia, ma Irnerio o non
conosceva o ignorò la prospettiva storica per comodità, cioè per appoggiare Enrico V che era suo
amico, e quindi il significato interpretativo sta nel concentrare e rafforzare il potere nelle mani
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dell’imperatore. Nonostante all’imperatore venisse attribuito tale potere, lui non poteva creare
nuove leggi a suo piacimento, ma doveva limitarsi ad utilizzare quelle esistenti, cioè le leggi
giustinianee; quindi aveva un potere solo formale. Per i medievali quindi il diritto già esisteva, era
già dato. I Glossatori quindi attribuiscono il potere all’imperatore per realizzare la stabilizzazione
del diritto.
Circa 20-30 anni prima di Irnerio,circa nel 1073 il Papa Gregorio VII aveva emanato il dictatus
papae, in cui la Chiesa afferma la supremazia sull’imperatore. Quindi la scuola di Bologna sarebbe
nata in opposizione alla Chiesa, come risposta laica nel XI-XII sec. Venne scelta Bologna perché si
trovava al centro tra i due grandi poteri medievali: la Chiesa (Roma) e il Sacro romano impero
germanico (Germania).
Con la sconfitta di Federico Barbarossa da parte della lega Lombarda, l’imperatore perde la sua
supremazia. A questo periodo risalgono le tesi di Azzone e Ugolino De Presbiteri, due Glossatori,
sulla lex regia de imperio. Azzone sostiene che è vero che la lex regia de imperio abbia trasferito il
potere di fare le leggi all’imperatore, ma il popolo ha mantenuto alcune reliquiae, cioè una piccola
parte di potere; Ugolino De Presbiteri sostiene che la lex regia non ha trasferito dal popolo
all’imperatore il potere di fare le leggi, ma ha solo delegato all’imperatore l’esercizio di fare le leggi
e non la titolarità che rimane al popolo e che se vuole può riprendersi il potere. Le tesi di questi
ultimi giuristi, non vanno intese in senso democratico, ma si tratta solo di retorica. Infatti le loro
idee vanno spiegate in seguito alla nascita dei Comuni, legati al tentativo dei ceti borghesi di allearsi
contro i gruppi feudali; per questo motivo i comuni iniziano ad organizzarsi e ad autogestirsi
creando degli Statuti.
Charles Mc Ilwain, uno storico scozzese, analizzando questo periodo, distingue una sovranità
discendente (Irnerio, con cui il potere cala dall’alto verso il basso) ed una sovranità ascendente
(Azzone e Ugolino, con cui il potere passa dall’alto verso il basso).
Nel medioevo valeva la formula Lex facit regem, espressione che indica che l’ordinamento
individua colui che gestisce il potere; l’imperatore viene detto Princeps iudex, cioè corregge le
norme, ma non produce un diritto nuovo. Al contrario, nell’età moderna vale la massima contraria
Rex facit legem, che indica che è il monarca a creare la legge, che non è già data. Quindi viene
attuata la cosidetta rivoluzione coperinicana. Oggi si può affermare una coesistenza tra le due
formule, poiché vi è sia una costituzione che elegge i ministri, i presidenti, e quindi Lex facit regem;
ma vi è anche il parlamento che produce nuove leggi, e quindi Rex facit legem.
Il sovrano medievale ha due poteri fondamentali, che sono la iurisdictio e il giubernaculum(da
giubernum, timone). Innanzitutto il sovrano deve saper risolvere i problemi che nascono all’interno
dello stato attraverso la iurisdictio, con cui viene applicata la norma al caso concreto; ma di fronte a
situazioni improvvise, il sovrano deve saper prendere decisioni straordinarie, cioè extra ordinem,
che vanno al di là dell’ordinamento.

I quattro allievi più importanti di Irnerio furono Jacopo, Ugo, Bulgaro e Martino; in particolare tra
questi ultimi due ci fu una divergenza di vedute. Bulgaro sosteneva il primato dell’interpretazione
letterale, cioè nel dubbio l’interprete doveva privilegiare ciò che risultava dal significato letterale
delle parole. Quindi credeva particolarmente all’esegesi, cioè un’interpretazione molto vincolata al
testo.
Martino, influenzato dai Canonisti, era fautore di un’interpretazione più libera, cioè preferiva
l’aequitas al ius strictum (diritto stretto).
Questi quattro dottori, seguivano una linea filo imperiale, infatti erano consiglieri dell’imperatore, e
questo è testimoniato dalle varie raffigurazioni della Dieta di Roncaglia, del 1158, in cui sono
sempre seduti affianco a Federico Barbarossa. In questa Dieta Federico rivendicò la iurisdictio, le
magistrature, il demanio e il potere di incassare le imposte.
Nel 1180 un giurista anonimo piacentino definì i 4 dottori, miserandi (miserabili), poiché ritenne
che stare dalla parte dell’imperatore significava appoggiare i soprusi che lui commetteva verso i
nuovi poteri, i comuni. Nel 1167 si costituì la lega lombarda che sconfisse Federico Barbarossa
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nella battaglia di Legnano nel 1176; nel 1183 venne siglata la pace di Costanza, sulla quale in
seguito vennero scritti una serie di trattati, uno dei quali De pace costantiae venne scritto da Baldo
degli Ubaldi. Il trattato di Costanza fu interessante poiché ribaltò le decisioni prese a Rocaglia nel
1158, poiché ora il più debole era l’imperatore che dovette concedere ai comuni le consuetudini, la
giurisdizione e le magistrature.
La scuola di Bologna (1080-1250) fiorì nel XII sec.; in essa insegnavano i Glossatori; le
caratteristiche fondamentale della scuola stavano nello studio esclusivo del diritto romano che era
inteso come scienza e nell’intenzione di rendere il diritto romano un diritto vigente.
Anche se nella società erano utilizzati anche gli altri diritti, come la consuetudine o gli statuti dei
comuni, ma i glossatori ritennero di dover prendere in considerazione e insegnare solo il diritto
romano e il loro obiettivo fondamentale era quello di metterlo in vigore, anche se molto antico.
Il valore più importante su cui si basava il diritto medievale era l’aequitas, inteso come parametro
interpretativo. Bisogna distinguere L’aequitas civilis dall’aequitas canonica. La prima indica
l’equità elaborata dai giuristi civilisti, cioè i giuristi della scuola di Bologna e riguardava in
particolare il diritto romano giustinianeo. Per aequitas civilis si intende il sentimento di giustizia che
serve a controbilanciare la durezza del diritto critto. Essa a sua volta si distingue in due species:
aequitas rudis, cioè un equità generica e nell’aequitas constituta, cioè quella che si concretizza nel
testo giustinianeo e che deve attenersi agli elementi presenti nel corpus.
L’aequitas canonica, è legata al diritto canonico, quindi all’ambiente della Chiesa. Per i canonisti
interpretare il testo in modo letterale porterebbe a conclusioni troppo dure per i destinatari e
l’interpretazione senza equità determinerebbe conseguenze rischiose. Per il diritto medievale
canonico la legge non è uguale per tutti e ogni uomo dovrebbe avere delle regole personali che lo
disciplinano. L’aequitas serve a temperare le differenze di fatto, quindi è un comportamento che
serve a mediare la natura degli uomini. I canonisti definiscono l’aequitas come la benignitas, cioè la
benevolenza.
Ad es. un vescovo scozzese scrisse al Papa dicendo che alcuni monaci si erano tolti l’abito talare e
si erano sposati, pur rimanendo cristiani; il Papa rispose dicendo che i monaci disposti a pentirsi,
anche se non avevano rispettato il celibato, potevano essere perdonati, mentre gli altri dovevano
essere scomunicati. In questo caso la Chiesa usò la benignitas, poiché perdonò quei monaci che non
avevano rispettato il celibato. Il diritto canonico quindi è favorevole alla tollerantia e alla derogatio,
che sono funzionali al salus animarum (la salvezza delle anime).

Lezione 11/03
La scuola dei Glossatori prende il nome dalla Glossa, un genere letterario che si diffuse proprio in
questo periodo, poiché il professore nel leggere il Digesto o le varie opere del corpus dava alle varie
parole delle spiegazioni, che venivano dette glosse. La Glossa più antica era quella interlineare,
poiché era posta tra le righe del textus; successivamente poiché le glosse divennero più voluminose
furono spostate sul margine della pagina e vennero dette Glosse marginali. Dato che lo studio
divenne sempre più approfondito, le glosse divennero sempre più numerose e con il tempo
schiacciarono completamente il contenuto del testo; infatti si arrivò al punto che la spiegazione
prevalse nettamente sul testo, cioè 1 o 2 righe di Digesto erano circondate da glosse. Questa
caratteristica tipografica, tipica della giurisprudenza medievale, assunse un valore normativo,
perché i giuristi successivamente diedero la stessa importanza al testo e alle glosse. Quindi con il
tempo anche la glossa diventa diritto vigente. Dopo parecchi decenni dalla fine del XII sec. i
concetti vennero appesantiti e nacque il fenomeno dei riassunti, summae, che avevano un uso
riepilogativo o didattico e riguardavano un singolo titolo o una singola lex. La più famosa è la
SUMMA CODICIS di Azzone. Un altro genere letterario tipico della scuola di Bologna tra il 1230-
1250 fu la Quaestio. Il professore proponeva delle quaestions agli alunni, cioè dei quesiti sui
problemi del diritto, le cui contraddizioni venivano risolte attraverso la filosofia, in particolare
quella tomistica o scolastica, il cui rappresentante è San Tommaso. San Tommaso riutilizzò la
filosofia aristotelica in chiave cristiana, usando il metodo dialettico, cioè con le contrapposizioni o
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discussioni. La quaestio è un’analisi dialettica di una stessa lex, da cui i giuristi attraverso il
ragionamento potevano pervenire a soluzioni opposte. La quaestio poteva essere legitima, quando le
contrapposizioni sono astratte e tentano di legittimare il contrasto tra leges contrapposte. La
quaestio de facto invece era pratica, poiché i glossatori inventavano dei casi pratici per risolvere le
contraddizioni. La quaestio ex facto emergens, che risale alla metà del ‘200, invece si occupa di casi
pratici, riportando delle sentenze reali e rappresenta il primo passo verso la prassi processuale.
Uno degli ultimi rappresentanti della scuola di Bologna fu Azzone, famoso perché autore della
“Summa Codicis”. La paternità di quest’opera non gli giovò poiché essendo un’opera di sintesi poco
raffinata non venne apprezzata. Importante è la sua frase “il diritto è vera philosophia e i giuristi
sono sacerdotes”; quindi afferma la concezione medievale secondo cui il vero sapere è il diritto che
è superiore alle altre discipline e il giurista quindi ha una centralità culturale. Di conseguenza così
come il sacerdote è mediatore tra il cielo e la terra, il divino e il terreno, il giurista è mediatore tra la
legge e la società.
La fine della scuola di Bologna e quindi la Serrata della Glossa coincidono con la pubblicazione
dell’opera di Accursio, allievo di Azzone e prof della scuola di Bologna. La sua opera del 1230
circa, detta Glossa, Magna Glossa o Glossa ordinaria è una raccolta di tutte le glosse precedenti,
unite ad alcune sue per un totale di 97000 glosse. La Glossa fu più volte riscritta e, quando a metà
del ‘400 fu inventata la stampa, venne sempre stampata insieme al Digesto. Una frase simbolo
dell’opera è “omnia in corpore iuris inveniuntur” (tutto si trova nel corpus iuris) e rivela la
convinzione che il diritto romano in versione giustinianea era un diritto esaustivo.
Gli storici del ‘900, in particolare Calasso, sostengono che il vero rinascimento giuridico è quello
che fiorisce con la scuola di Bologna (1080), cioè quando il diritto torna ad essere un sapere, una
scienza e viene detto medievale perché risale al 1100 in seguito allo sviluppo economico.
Calasso inoltre distingue le 3 fasi del diritto comune. Per DIRITTO COMUNE si intende la sintesi
tra il diritto civile (cioè le norme che riguardano l’uomo in quanto civis) e il diritto canonico (cioè le
norme della sfera spirituale). Opposto al diritto comune c’era il IUS PROPRIUM o IURA
PROPRIA che riguardava tutto ciò che non è diritto comune, come il diritto longobardo, il diritto
franco, il diritto bizantino, le consuetudini, la lex mercatoria (diritto di mercato), il diritto delle
corporazioni.
La 1° fase è quella del diritto comune esclusivo, in cui si ebbe l’assoluta sintesi tra ius civile e ius
canonica ed ebbe valore fin quando fu in vita la scuola di Bologna (1250).
La 2° fase coincide con la nascita della scuola dei Commentari (1300-1400) XIV-XV sec. e vede
un’invenzione delle fonti. Infatti Calasso afferma il primato degli iura propria sul diritto comune
che diventa, invece, sussidiario, cioè solo se attraverso il ius proprium non si riesce a dare una
soluzione al quesito, quindi se le fonti avevano una lacuna, si cercava la soluzione nel diritto
comune.
La 3° fase è caratterizzata dalla nascita dello Stato moderno (XV-XVI-XVII sec.), cioè un’entità
politica che accentra il potere nelle mani di un solo capo politico contro la Chiesa, il feudo, i
comuni (le forze centripete). Quindi si afferma un diritto comune particolare, cioè si ha la
regionalizzazione del diritto comune. Perché il diritto comune non viene abrogato, ma vive
all’interno di ogni stato in base a come viene interpretato dal tribunale regionale.
Riguardo alla posizione politica dei giuristi della scuola di Bologna, inizialmente i Glossatori erano
schierati a favore dell’imperatore: prima Irnerio con Enrico V e poi i 4 dottori con Federico
Barbarossa. Quando però la Chiesa accresce la sua importanza, i giuristi assumono una posizione
politica neutra e questo determina un progressivo disimpegno politico dei giuristi della scuola di
Bologna, quindi i giuristi neutrali si pongono al servizio del potere più forte.
Un altro storico, Luigi Lombardi sostiene che con i Glossatori si fa strada l’idea che il giurista sia
un uomo di potere e dai Glossatori in poi il diritto diventa il linguaggio del potere.
Inizialmente si credeva che i giuristi medievali fossero solo quelli che insegnavano allo STUDIOS,
cioè la scuola di Bologna. Successivamente lo studio di alcune fonti ha dimostrato la presenza di
altre scuola di diritto, dette SCUOLE MINORI. La scuole minori più conosciute erano quelle di
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Piacenza, Mantova e Modena. In queste scuole si manifesta più interesse per il ius proprium , in
quanto veniva data più importanza alla prassi. Importante è la figura di Carlo di Tocco, un prof.
Dell’inizio del 200 originario di Benevento e che insegnò probabilmente a Piacenza. Carlo di Tocco
fu autore di una Glossa sulla Lombarda (il libro di Pavia integrato con norme longobarde) e la sua
figura è importante poiché dimostra come il diritto longobardo, di cui si era occupato, si era esteso
anche al meridione.

Lezione 16/03
L’opera più famosa delle scuole minori sono le “Quaestiones de iuris subtilitatis”, di un anonimo
che sono rivolte quindi ai particolari, alle sottigliezze del diritto. Le quaestiones risalgono agli anni
1158-1160, intorno alla dieta di Roncaglia; quindi sono legate a un periodo in cui l’impero è
trionfante. L’opera si apre con un proemio in cui l’autore descrive una scena onirica. Al centro di un
tempio è situata la dea della giustizia, circondata da altre statue. La giustizia emana una luce molto
forte , abbagliante, che però è schermata da una parete di vetro su cui ci sono delle scritte di diritto
in latino, tratte dal corpus iuris civilis. Il significato del proemio raffigura la giustizia come il fulcro
intorno al quale ruota il diritto, ma l’uomo non può raggiungerla direttamente, ma può farlo tramite
le parole di Giustiniano che ci permette di mediare tra la luce della giustizia e le tenebre dell’uomo.
Alla fine del proemio l’autore inveisce contro il diritto longobardo e franco per esaltare il ruolo del
diritto romano; inoltre l’autore afferma “unum imperium unum ius”, cioè dove esiste un solo potere
esiste un solo diritto, un unico ordinamento giuridico.
Santi Romano(giurista del ‘900, prof. Di diritto costituzionale), nella sua opera del 1917
“L’ordinamento giuridico”, sosteneva la tesi istituzionale, cioè dove ci sono le istituzioni esiste un
ordinamento giuridico. Ai tempi di Santi Romano esisteva un solo ordinamento giuridico che è lo
Stato. Santi Romano si avvicina alla tesi dell’anonimo che dice che siccome esiste un solo impero
esiste un solo ordinamento giuridico, quindi se ci fossero stati due imperi ci sarebbero stati 2
ordinamenti giuridici.
Alcuni elementi della teoria romaniana si avvicinano al diritto medievale. Nel Medioevo non c’è
uno Stato, un potere che si impone verso tutti, ERGA OMNES; ma c’erano 2 grandi poteri
universali: Impero e Chiesa che però erano solo formali. Accanto a questi c’erano molti altri poteri
più piccoli, asimmetrici che si vincolano l’uno con l’altro e ognuno ha il suo ordinamento
(SIGNORIA, COMUNI, VESCOVI, ABATI, CONFRATERNITE, FAMIGLIA). Quindi tutte
queste organizzazioni avevano un potere politico relativo, cioè comandavano solo sui loro diretti
sottoposti.
Mentre oggi il soggetto vale come unità, e tutti sono uguali avanti allo Stato che obbliga e
garantisce i diritti e i doveri; nel medioevo non esisteva lo Stato e ognuno era titolare di diritti e
doveri perché apparteneva a un determinato STATUS (CETO), cioè un gruppo a cui si appartiene
non per questioni economiche, ma per una posizione all’interno della società. L’appartenenza ad un
ceto aveva anche un valore giuridico e non va confuso con la CLASSE (si ha nel Nuovo Regime ed
è un concetto anacronistico per il medioevo; mentre il CETO è tipico dell’Antico Regime).
Portalis, uno dei più grandi giuristi del ‘700-800, che è stato uno dei 4 redattori del Code Civil, nel
“Discorso preliminare” sosteneva che nel medioevo ci fosse una società di società, cioè la società
era organizzata in cerchi concentrici, in cui non c’era uno che comandava su tutti (tranne
l’imperatore e papa che però erano solo formali), ma ciascun ceto aveva diritti e doveri diversi.

Importante è la distinzione tra INTERPRETATIO e INTERPRETAZIONE. Per noi


l’interpretazione vale a dire dare un significato ad un testo. Gianbattista de Luca, giurista del ‘900,
prendeva in giro i suoi prof. che per difendere un furto tenevano in considerazione un passo del
Digesto in cui era citato il furto di vacche, e quindi non era rapportabile con la realtà in cui si
trattava di vacche rosse. In questo modo si possono dare moltissime interpretazioni a un testo,
rendendo l’interpretazione equivoca.

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Nell’antico regime, invece, non c’erano codici e codificazioni e quindi per il giurista medievale
l’interpretatio non significava dare un senso univoco ad un testo, ma dare una probabile
interpretazione tra le molte opzioni possibili. L’interpretatio, quindi, è intesa come attività creativa
con cui l’interprete doveva creare la norma più confacente al caso concreto.
Il termine probabile stava ad indicare il riferimento all’APPROBATIO, cioè all’approvazione dei
dotti, dei saggi. Mentre oggi l’interpretazione è più fedele al testo da cui si parte, ma meno
autorevole, nel medioevo le fonti erano molteplici e incerte, ma il giurista era più creativo e
autorevole.

Il termine PROBABILITAS venne inteso in senso aristotelico fino alla rivoluzione scientifica. Per
Aristotele la conoscenza si sviluppa su due livelli: la scienza e l’opinione. La scienza è il livello
della verità apodittica , che non richiede dimostrazione; al contrario il diritto fa parte dell’opinione,
che include la conoscenza che non sono indimostrabili o auto evidenti, ma si fondano sull’opinione
di tutti, o dei più o dei più dotti o più saggi. Nel principio aristotelico quindi l’approvazione del
dotto crea teorie probabili e assume una posizione di quasi certezza. Quindi la cultura giuridica è
affidata all’approvazione dei dotti. Con la rivoluzione scientifica, il termine probabile inizia ad
avere il significato attuale.

Uno dei diritti extrauniversitari, cioè utilizzati nella società, ma non studiati nelle università è il
diritto feudale, che è un diritto orale e consuetudinario. Una testimonianza di ciò è data dalla lettera
che uno studente della scuola di Bologna, Anselmo Dell’Orto mandò nel 1154 al padre Oberto
dell’Orto. Le due lettere del padre in risposta rappresentarono la prima relazione scritta sul diritto
feudale e vennero detti LIBRI FEUDORUM, di cui vennero fatte dal 1150 al 1200 tre redazioni:
1. Redazione OBERTINA, che è la più fedele al diritto longobardo;
2. Redazione ARDIZIONIANA, della fine del 1100 di Jacopo D’Ardizione; l’autore inserì le
costituzioni di Federico Barbarossa in materia di feudo;
3. Redazione ACCURSIANA, dell’inizio del 1220 di Accursio, che è la 10° collatio, inserita nel
volumen, ultimo libro del corpus iuris civilis. L’inserimento dei LIBRI FEUDORUM nel corpus
all’inizio del ‘200 sta ad indicare l’apertura verso altri diritti.

La scuola di Bologna nasce come risposta laica alla supremazia della Chiesa e del diritto canonico.
Infatti proprio il Papa Gregorio VII, nel 1075, nel suo documento, il DICTATUS PAPAE, con delle
tesi e delle proposizioni sostenne la centralità della Chiesa e il primato del Papa.
Alcune importanti proposizioni sono:
2) Solo il pontefice romano si definisce di diritto universale;
3) Solo il Papa ha il potere di deporre o reintegrare i vescovi (si riferisce alle questioni delle
investiture);
12) al Papa è lecito deporre l’imperatore;
20) Nessuno può essere condannato se presenta appello alla sede teologica (si riferisce all’idea per
cui il Papa è giudice di ultimo grado);
22) la Chiesa romana non ha mai errato né mai potrà errare come attesta la Sacra Scrittura (riguarda
l’infallibilità del Papa rispetto alla tesi sulla dottrina della Chiesa).

Le massime del Dictatus Papae mettono in crisi l’armonia tra i poteri, sottolineando la voglia di
dominio del Papa sull’imperatore; le tesi si rifanno al principio GELASIANO, che prende il nome
da Papa Gelasio I (V sec.) che dopo aver litigato con l’imperatore d’Oriente gli scrisse una lettera
sostenendo che ci sono 2 supreme dignità su cui regge il mondo: AUCTORITAS SACRA dei
pontefici e la REGALIS POTESTAS.
L’auctoritas deriva da AUGERERE (accrescere) ed è un potere morale, etico; mentre la potestas è
un potere materiale, coercitivo, quindi meno importante rispetto a quello morale. Quindi su questa
tesi si basò il sistema di poteri universali.
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Lezione 23/03
Alla fine del XI sec. la Chiesa diventa centralizzata e volle organizzarsi creando un suo diritto. I
generi di opere tipiche del diritto canonico erano i CANONI (regole che vengono fuori dal concilio,
l’assemblea ecclesiastica) e i DECRETI (regole poste dal Papa per il caso singolo e che avevano
una validità generale per tutti i casi analoghi che si sarebbero riproposti in futuro).
Le opere che segnano l’inizio del diritto canonico sono due: il DECRETUM di Ivo, vescovo di
Chartres, del 1090-1094 e il DECRETUM di Graziano, del 1140-1142.
Ivo nella sua opera sostiene che le regole della Chiesa si distinguono in 2 parti: il ius divinum,
diritto voluto direttamente da Dio, cioè scritto nelle sacre scritture, ed è un diritto posto
dall’autorità, quindi inderogabile; e poi il ius humanum, imperfetto, correggibile e suscettibile di
interpretazione. Riguardo all’opera di Graziano, poiché era un monaco Camaldolese a lungo la
chiesa non riconobbe la sua opera un decreto ufficiale. Il titolo originario era “Concordantia
discordantum canonum” e sta ad indicare l’intento di Graziano di concordare le discordanze delle
regole della chiesa. Infatti anche Graziano pensava che il diritto fosse l’immagine di Dio e quindi le
contraddizioni nel diritto dipendevano dall’interprete che può superarle con gli strumenti culturali,
come la dialettica, in particolare con la logica di Abelardo. Abelardo aveva scritto il “Sic et non”, in
cui sostiene che ogni verità si può guardare da varie angolazioni e osservando le varie
contraddizioni si può raggiungere la verità. Graziano nella sua opera si rifà alla logica di Abelardo.
Le fonti del decreto di Graziano non stanno nell’opera giustinianea, ma nelle regole che avevano a
che fare con la Chiesa, quindi quelle emanate dai Papi (decreti), quelle emanate dai concili (canoni),
dalle Sacre Scritture e dalle leggi romano-barbariche, in particolare la lex romana wisighotorum. Le
fonti vennero dette auctoritates, mentre i commenti di Graziano per superare le contraddizioni
erano detti dicta. Due importanti papi considerati giuristi furono Alessandro III e Innocenzo III, che
emanarono molti decretali (provvedimenti pontifici detti così dopo il decreto di Graziano). I
decretali furono riuniti in raccolte; una di queste è “quinquae compilationes antiquae”: 5 raccolte
preparate tra il 1191 e il 1226. Due di queste, la terza e la quinta furono pubblicate, cioè la Chiesa
riconobbe la loro autenticità e quindi vennero considerate ufficiali. Nel 1234 fu pubblicata la
raccolta più importante, il Liber extra, che include tutto ciò che non era inserito nel decreto di
Graziano, cioè tutto il materiale legislativo emanato dal 1140 al 1234, tra cui anche le 5 raccolte.
L’autore del Liber Extra è Gregorio IX che pubblicò l’opera in risposta alle costituzioni di Melfi del
1231 di Federico II, suo nemico. Gregorio IX fu aiutato da Raimondo di Peñafort e l’intento
dell’opera era quello di includere tutto il diritto della Chiesa che non doveva poi essere modificato.
Questa chiusura però non avvenne.
La differenza fondamentale di spirito tra diritto civile e diritto canonico sta nel fatto che mentre il
primo, giustinianeo, è più antico di VI-VII sec., quello canonico è più recente ed attuale.
Uguccione alla fine del 1100 (1188-1190) scrisse la Summa decretorum, (summa, termine del
diritto civile; decretorum, termine del diritto canonico). In quest’opera sostiene che se la norma
della chiesa entrasse in contrasto con quella giustinianea, prevarrebbe quella canonistica. La Chiesa
però, potrebbe aver interesse a far prevalere quella civilistica perché considera la norma romano
giustinianea più equa. Per gli storici l’idea di Uguccione testimonia che alla fine del XI sec. si
considerava un ordinamento giuridico unico, poiché c’era libertà di scelta tra le norme canoniche e
civili. Dopo il Liber extra, alla metà del ‘200 nasce la Canonistica intesa come scienza. Gli autori
più importanti della Canonistica sono: Sinibaldo de Fieschi, detto Innocenzo IV , il più grande
giurista tra i Papi, ed Enrico da Susa, detto cardinal ostiense.
Noi oggi distinguiamo il concetto di persona fisica da quello di persona giuridica; quest’ultimo fu
introdotto dalla Pandettistica, scuola tedesca della metà del’800. Prima della persona giuridica si
utilizzava il concetto di universitas, inteso come realtà di più soggetti. Il problema delle personalità
non fisiche si crea all’interno della chiesa con il fenomeno del lascito pio (i beni lasciati alla chiesa).
Per secoli venne applicata la teoria del vescovo Mosè per cui la Chiesa esiste in quanto pareti e in
quanto tale è depositaria del lascito pio. Con i libri giustinianei si applicò la figura della
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rappresentanza e Innocenzo IV fu il primo a dire che dietro la rappresentanza degli enti collettivi c’è
una finzione. Inoltre aggiunse “Collegium fingatur una persona”, cioè il collegio, la collettività è
fittiziamente considerata un’unica persona. Il cardinale Enrico da Susa, detto Cardinal ostiense,
scrisse la Summa aurea, cioè una sintesi del liber extra di Gregorio IX in cui sostenne che le leggi
dei civilisti e canonisti devono coesistere, ma tra esse prevale il diritto della Chiesa; infatti l’autore
si rifà alla teoria gelasiana per cui l’auctoritas del Papa è il sole e la potestas dell’imperatore è la
Luna.

Lezione 24/03
Nel medioevo le possibili lauree erano filosofia e diritto (civile e canonico). Nella metà del 1100
inizia ad essere possibile la laurea in utroque iure, cioè in entrambi i diritti. Tra il 1155-1158
Federico Barbarossa promulgò insieme ai 4 dottori, allievi di Irnerio, la Costituzione Habita, che è
una risposta alle richieste di garanzia presentate dagli studenti bolognesi.
Le concessioni di Federico Barbarossa furono 3:
1. Possibilità di circolare liberamente, poiché la scuola di Bologna era internazionale e gli studenti
erano raggruppati per natio (stirpe di provenienza);
2. Protezione a tutti gli studenti;
3. Privilegio giurisdizionale, con cui sottrae tutti gli studenti alla giurisdizione ordinaria dei
magistrati affidandoli a una giurisdizione interna dei maestri. Questo era possibile perché il
medioevo era caratterizzato da una logica corporativa.
Oltre allo studio di Bologna, nacquero nuove scuole: la sorbona di Parigi e in particolare la Federici
II di Napoli nel 1224. Anche se Federico II, imperatore e re di Sicilia, pose la capitale del regno a
Palermo, istituì la scuola a Napoli, perché era più facile da raggiungere.
È importante fare la distinzione tra la scuola di Bologna e quella di Napoli; la prima era una scuola
per maestri, in cui la laurea serviva ad abilitarsi all’insegnamento, quindi a diventare doctor oppure
la maggior parte di studenti tornava nei paesi d’origine, dove svolgeva la professione di avvocato
diffondendo negli altri paesi il diritto romano. Quindi la scuola di Bologna ha uno spirito
spontaneistico.
La scuola di Napoli ha un altro intento. Infatti Federico II voleva creare una struttura burocratica al
regno, ponendo dei funzionari pubblici legati all’imperatore e laureati in utroque. Quindi la scuola
mirava a formare officiali, che acquisivano la carica pubblica non più come beneficio, come
avveniva nella visione feudale, ma in seguito alla laurea.
Il diritto comune è un diritto storiografico, e se inteso con significato stretto include il diritto civile e
il diritto canonico; se inteso con significato ampio, include tutti i diritti medievali, tra cui i iura
propria.
Nel ‘900 gli storici hanno attribuito una natura diversa al diritto comune. Francesco Calasso
(inventore del diritto comune) sosteneva che il diritto comune fosse un sistema di fonti, cioè un
sistema legislativo: quindi mentre quando viene riscoperto il corpus si rivolge un’attenzione
esclusiva al testo giustinianeo, dal ‘300 in poi se il testo giustinianeo presentava una lacuna si
utilizzava il diritto comune. Il difetto di questa accezione sta nel fatto che nel medioevo i poteri non
erano così organizzati da poter imporre al giudice di applicare prima l’uno e poi l’altro diritto. In
realtà nel medioevo c’era molta confusione perché c’era un’ampia varietà di fonti.
Luigi Lombardi, prof del 1960 che scrisse “Il saggio sul diritto giurisprudenziale”, sostiene la tesi
opposta per cui il diritto comune era un diritto giurisprudenziale. Innanzitutto il diritto non è un
insieme di regole fisse, ma è arbitrio dell’interprete. Il diritto giurisprudenziale è tipico delle 3
grandi epoche: romana, medievale e codificata. Per Lombardi un sistema giuridico è
giurisprudenziale quando la giurisprudenza interviene su due aspetti: quello morfologico e quello
contenutistico. L’aspetto morfologico indica la natura dell’ordinamento giuridico; mentre oggi
questa conformazione si basa sul sistema delle fonti; nel medioevo non c’era un assetto di poteri
preciso e non c’erano regole che permettessero di applicare le fonti, ma era l’interprete a decidere le

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fonti da applicare. L’aspetto contenutistico si basa sull’auctoritas e sull’inventio, e il giurista


medievale crea la norma al caso concreto dopo l’interpretatio.
L’auctoritas è l’autorevolezza del giurista che permetteva di far valere la sua interpretazione come
norma(il giurista fa una tesi c he vale come diritto); infatti l’interpretazione era probabilis, cioè
godeva dell’approvazione dei dotti. L’inventio invece indica la ricerca della norma da applicare al
caso concreto; questo spiega che i giuristi prima trovavano la soluzione e poi le applicavano la
norma. Donardi sociologo degli anni 70 dice che quindi c’è un’inversione del processo logico, per
cui si dovrebbe prima analizzare la norma e poi decidere.
Intorno al 1230-1250 finisce la scuola di Bologna con Accursio e nella seconda metà del XIII sec.
inizia l’età dei POSTACCURSIANI. Nelle scuole postaccursiane cambiano le materie di studio,
non ci si occupa più del testo giustinianeo, ma si studiavano altri filoni:
1. Gli STATUTI (anche se esistevano durante la scuola di Bologna, iniziarono ad essere studiati a
metà ‘200). Essi vennero inseriti nelle scuole dai giuristi che iniziarono ad essere chiamati dai
comuni per scrivere gli statuti;
2. DIRITTO PENALE (tratto dai lebres terribiles, cioè i libri 47-48 del Digesto); un autore che
sintetizzò nelle sue opere i primi due filoni dei postaccursiani fu Alberto da Gandino, che
attorno al 1280 scrisse le Quaestiones statutorum, (questioni sugli statuti) e il Tractatus de
maleficii, (il trattato sui reati 1286-87).
3. DIRITTO PROCESSUALE; un autore fu Guglielmo Durante, un ecclesiastico, che scrisse
un’opera in cui si occupa del processo “Speculum iudiciale” (lo specchio del giudizio). Il titolo è
legato all’immagine dei giuristi medievali sulla giustizia intesa come specchio della vita reale.
L’opera inizia parlando del paradiso terrestre, in cui Dio fa il primo processo ad Adamo ed Eva.
Questa immagine vuole sottolineare come la giustizia medievale fosse un affare di Dio. Per
Tancredi (ordo iudiciarius) bisogna superare gli opposti attraverso la ratio, cioè due norme
contraddittorie sono unite attraverso la ratio.
4. ARS NOTARIAE, diventa un ramo del diritto. I notai non erano laureati e svolgevano un’arte
pratica, infatti dovevano conservare e redarre gli atti, quindi era molto lontano dalla scuola dei
Glossatori, poiché legato alla prasssi e non alla teoria. Padre di tutti i notai era un giurista e prof
medievale, Rolandino de passeggeri, il quale scrisse un’opera finalizzata alla prassi, cioè un
Formulario, che conteneva varie formule per la realizzazione di vari atti.

Lezione 30/03 – 31/03


La scuola dei commentatori.
Nel 1250 circa,la scuola della Glossa scompare,in quanto tutto il corpus iuris era stato ormai
glossato e i giuristi(post- accursiani) cominciarono ad interessarsi piuttosto agli iura propria, in
quanto questi, diversamente dal materiale giustinianeo,rappresentavano una fonte più nuova del
diritto. Ancora nel ‘300 la penisola italica conserva la leadership della cultura giuridica; infatti a
partire dal XIV secolo inizia ad affermarsi la scuola del commento (o dei commentatori). Della
scuola dei commentatori è difficile tuttavia individuare il momento di scomparsa,in quanto la
decadenza è molto graduale. Alcuni storici parlano di “tardo commento” ancora nel XVI-XVII
secolo.
La principale differenza fra la scuola dei glossatori e la scuola dei commentatori è una differenza di
metodo: mentre i glossatori costringono la realtà nel testo,i commentatori costringono il testo nella
realtà. I glossatori basavano il loro insegnamento su una finzione,secondo cui il mondo,dall’età
romana in poi non era cambiato,e di conseguenza il corpus iuris costituiva diritto vigente ancora
adeguato a regolare la realtà medievale. Secondo i commentatori invece,la realtà si è evoluta,ma il
diritto giustinianeo è un diritto flessibile che ben si adatta alle nuove esigenze. Quindi,mentre i
glossatori vivevano nel culto del Digesto ed erano ossequiosi verso il textus,i commentatori lo
utilizzano in modo più libero. La disponibilità dei commentatori alla forzatura del testo deriva dal
fatto che essi,contrariamente ai loro predecessori,erano maggiormente coinvolti nell’attività di
consulenza piuttosto che in quella di professore universitario. Dunque mentre i glossatori furono
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degli esegeti,i commentatori furono dei consulenti che si servivano dei libri giustinianei per
esigenze della prassi.
La differenza di metodo risente anche di due diverse influenze filosofiche:nel periodo successivo a
quello della scuola della glossa,si sviluppa una filosofia,di derivazione aristotelica,riscoperta,in
chiave cristiana da Tommaso d’Aquino,la c.d. scolastica. Il pensiero aristotelico insegnava
soprattutto la logica attraverso il metodo dialettico (la conoscenza si realizza attraverso il
ragionamento dialettico fra tesi opposte). Anche i giuristi,considerandosi come i filosofi degli
intellettuali,utilizzano il metodo dialettico: l’intelletto umano va alla ricerca della sostanza (ratio)
della norma giustinianea; il rapporto tra rationes permette di estendere l’applicabilità della norma
ad una realtà più ampia,a più fattispecie. Il rapporto fra rationes si basa su vari criteri e proprio la
scuola dei commentatori ha elaborato i più importanti criteri,funzionali all’interpretatio.
I criteri dell’interpretatio.
Esistono tre tipi di interpretatio:
1) interpretatio estensiva(o estensio):si dilatala ratio della legge a casi concreti che non
sembrerebbero essere ricompresi da tale lex (allargare il senso letterale della norma);
2)restrittiva(restrictio):lettura della norma tale da far ricomprendere sotto la previsione della
stessa,una minore quantità di fattispecie rispetto a quella che la norma sembrerebbe indicare
3)analogica:l’analogia presuppone che il caso previsto e quello non previsto abbiano un qualche
elemento in comune. Oggi distinguiamo tra analogia legis(analogia di ratio rispetto ad una legge)
(dalla norma specifica) e analogia iuris(analogia rispetto ai principi generali posti dall’ordinamento)
(da tutto l’ordinamento).
I commentatori hanno costruito la base della teoria occidentale dell’interpretazione,elaborando una
serie di argumenta,ossia delle tecniche ermeneutiche (scienza dell’interpretazione). Gli argumenta
prodotti dai giuristi medievali sono: l’argumentum a fortiori (a maggior ragione),l’argumentum a
simili,l’argumentum ab auctoritate (sull’autorevolezza). L’argumentum ab auctoritate è il più tipico
dell’età medievale ed il più lontano dalla mentalità attuale,in quanto si basa sulla logica aristotelica
dell’ipse dixit(concetto di probabilitas);era così radicata l’idea che fosse fondamentale la
provenienza del parere,che i pareri che godevano di maggiore auctoritas,venivano utilizzati come
giustificazione delle teorie di ciascuna parte durante una causa. Ne deriva un netto “tradimento”
della lettera del textus per l’introduzione,attraverso l’interpretatio,dell’elemento creativo da parte
del giurista medievale. I Commentarei sono più creativi dei Glossatori perché non si limitano a
spiegare il caso, ma creano la norma; quindi sono stati innovatori rispetto alla fonte giustinianea.
I generi letterari dei commentatori.
Le glosse,con la fine dello Studium bolognese,vennero totalmente abbandonate;tuttavia anche i
commentatori si occuparono di lecture,spiegazioni di passi giustinianei. Le lecture dei
commentatori si chiamavano “repetitiones”, ed erano degli approfondimenti per coinvolgere gli
studenti in riflessioni su testi già conosciuti. Tuttavia il genere peculiare della scuola del commento
fu il tractatus;il tractatus può avere dimensioni diverse(dal trattato su un’intera materia alla singola
monografia). Il tractatus è un genere nuovo,che mai potrebbe essere stato conforme all’attività dei
glossatori,in quanto questi si limitavano alla stretta esegesi,mentre il commentatore,formulando
un’interpretazione ristretta o estesa,riusciva a trovare nel corpus iuris dei collegamenti. Il
commentatore ha modo di approfondire lo studio del corpus iuris nelle sue singole parti e gli è
facile trovare dei nessi,impossibili da individuare per il glossatore,dedito soltanto a chiarire il
significato di parole oscure.
A differenza dei glossatori,i commentatori iniziano a studiare anche gli iura propria,di cui vengono
esaminate le norme all’interno del trattato;così il diritto comune,da essere esclusivamente
comprensivo del diritto civile giustinianeo e del diritto canonico,diventa onnicomprensivo( si
estende anche ai diritti particolari).
Altro genere letterario dei commentatori è quello dei consilia(“pareri”):i commentatori non sono
solo professori,ma soprattutto consulenti e spesso la loro fama li induceva a scrivere i pareri
elaborati nell’attività forense.
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I tre commentatori più significativi.


Cino da Pistoia fu letterato e giurista;infatti da una parte disprezza l’attività del giurista,dall’altra la
esalta. Egli, avendo studiato in Francia, venne considerato il tramite della cultura giuridica francese
in Italia:il rinascimento giuridico,infatti non fu un fenomeno limitato all’Italia e a Bologna,ma
coinvolse soprattutto la Francia del sud. Ad Orleans, città della Francia settentrionale,fu impiantata
una scuola di diritto che ebbe una funzione propulsiva nell’adottare l’aristotelismo come tecnica di
interpretazione. Il Trecento è un secolo di intensi rapporti fra Italia e Francia per due motivi:
- il Papato per un periodo ebbe sede ad Avignone(“cattività avignonese”) e il diritto canonico
aveva molta influenza nel tardo medioevo;
- gli Angiò(di origine francese) regnavano sul trono di Napoli,dove già Federico II aveva
fondato l’università.
Bartolo da Sassoferrato(prima metà del ‘300), allievo di Cino da Pistoia,è un giurista tecnico,cioè
pratico;si laureò a Bologna e fu magistrato e diplomatico;fu un giurista così noto da essere oggetto
di numerose falsificazioni;si occupò soprattutto di Statuti e di un altro argomento,quello della
rappresaglia (regolazione in forma privata di questioni pubbliche). Importante è la teoria di Bartolo
sulla tirannide:egli si interroga su chi sia il tiranno,nei decenni in cui i comuni italiani perdono la
loro spinta popolare ed assumono una conformazione signorile(le signorie); scrivere sulla tirannia
significava in quei decenni cimentarsi in materia politica. Bartolo distingue due forme di tirannia:
a) ex de facto tituli(tirannia per mancanza di titolo)
b)ex parte exerciti(tirannia di fatto)
Baldo degli Ubaldi fu allievo di Bartolo(seconda metà del ‘300) e fu un giurista-filosofo; insegnò
all’università ma fece soprattutto il consulente;l’oggetto di interesse principale è rappresentato dalla
Pace di Costanza su cui scrive anche un trattato, “de pace Constantiae” (1183),in cui si determinano
i rapporti fra il potere centrale ed i comuni;tuttavia Baldo non si limitò a questo ma scrisse anche
dei consilia.

Legittimazione degli iura propria (o statuti):il problema della potestas condendi statuta(potere
di emanare statuti).
Legittimare significa trovare un fondamento giuridico ad una situazione di fatto;il diritto nasce
spontaneamente, infatti il diritto originario ha sempre una natura fattuale. Nel medioevo non esiste
un potere centrale così potente da stabilire un ordinamento prevalente sugli altri,una fonte piuttosto
che un’altra. Nel medioevo esiste solo una situazione di fatto:la scuola dei glossatori recupera il
diritto giustinianeo stabilendo che esso è diritto vigente;tuttavia per il diritto romano giustinianeo
non è richiesta una legittimazione;infatti esso risulta legittimato in forza della sua stessa auctoritas.
Gli iura propria non vennero a lungo presi in considerazione dai giuristi,in quanto non costituivano
secondo loro diritto degno da essere ritenuto vigente e quindi oggetto di scienza;tuttavia quando agli
inizi del’300 gli iura propria costituiscono la fonte primaria del diritto,si pone il problema della loro
legittimazione,un problema difficile da risolvere dal momento che questi diritti non erano prodotti
dai due poteri universali ma dai poteri decentrati.
Effettivamente in un frammento del Digesto(D.1.9.9), chiamato,dalle parole iniziale,”omnes
populi”, Gaio aveva espresso una teoria che sarebbe potuta servire a giustificare giuridicamente gli
iura propria. Gaio sostiene che: “tutti i popoli si servono di un diritto che in parte è loro proprio,in
parte è comune a tutti gli uomini”. Il ius proprio a ciascun uomo è il ius civitatis,peculiare di quella
civitas(senso di appartenenza al posto in cui si vive) e tale diritto è detto ius civile. L’altro diritto si
basa sulla naturalis ratio,un diritto intrinseco alla stessa forma mentis umana,chiamato ius gentium
che è ius commune. Quando i giuristi medievali vengono a conoscenza del passo gaiano,lo
considerano un problema piuttosto che un’agevolazione alla legittimazione,in quanto nel brano di
Gaio il diritto proprio è chiamato ius civile(in quanto diritto della civitas),mentre per i medievali il
diritto civile era il diritto romano giustinianeo.

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Per legittimare gli iura propria i giuristi medievali elaborarono tre tesi:
1) tesi sulla permissio:nella Pace di Costanza,Federico Barbarossa è costretto a concedere alcuni
poteri alle città della Lega Lombarda;i giuristi medievali sostenevano che il fascio di poteri del
princeps fosse la c.d. regalia. Barbarossa concede alcune prerogative di detta regalia ai comuni
lombardi:il potere di applicare le proprie consuetudini e il potere di istituire proprie magistrature.
Questo passo della Pace di Costanza viene considerato dai giuristi successivi come un “permesso”
rilasciato dall’imperatore ai comuni,il permesso di darsi regole proprie. Il vantaggio della teoria era
che tale legittimazione era indiscutibile perché concessa dall’imperatore. I limite della teoria:a)
l’accordo era stipulato tra Barbarossa e i comuni della Lega Lombarda quindi si poneva il problema
di dimostrare che quell’accordo valeva anche per tutti gli altri comuni;b) l’imperatore sarebbe
sempre stato in grado di revocare l’accordo(instabilità dell’accordo). Gradualmente la tesi della
permissio viene abbandonata.
2) tesi della iurisdictio: elaborata da Bartolo da Sassoferrato agli inizi del Trecento; ius dicere nel
linguaggio giuridico medievale, significa applicazione in concreto della norma. La iurisdictio è un
potere chiave nel medioevo:non esiste nel medioevo la possibilità di condere leges perché il diritto è
già dato e secondo la mentalità comune,il compito del giurista è quello dell’interprete, ossia di
tradurre la norma nel caso specifico. Si afferma la teoria del princeps iudex:il princeps è tenuto a
giudicare e non a legiferare,essendo tenuto al rispetto ossequioso del diritto romano giustinianeo. La
iurisdictio quindi,come sostiene Accursio nella Magna Glossa,è il vero potere medievale. Al giurista
spetta l’interpretazione creativa;tanto che alcuni sostengono che la differenza fra una legge emanata
dal legislatore ed una legge prodotta dal giudice è solo quantitativa:il legislatore emana una norma
per una pluralità di casi;il giudice solo per il caso singolo. La lex e la sententia sono diverse solo
quantitativamente.
Bartolo sostiene che la iurisdictio è un concetto generalissimo(“genus generalissimo”) il quale
comprende sia la giurisdizione(in senso stretto) che l’imperium. Secondo Bartolo la iurisdictio è la
misura del potere:infatti tutti i poteri medievali sono dotati di iurisdictio;alcuni hanno una
iurisdictio estesa(Chiesa ed Impero),altri una iurisdictio minore(i comuni e le signorie),altri una
iurisdictio minima(villaggi ed accampamenti,i “castra”). La variante è solo quantitativa:ciò che
conta non è il potere di condere leges,ma quello di giudicare(ius dicere). Ogni entità politica può
darsi delle regole proporzionali alla iurisdictio di cui dispone. Mentre nell’età attuale la iurisdictio
discende dalla sovranità,nel medioevo la sovranità discende dalla iurisdictio;Bartolo racconta un
aneddoto di quando fu chiamato a risolvere una controversia fra due comuni dell’Umbria ce si
contendevano un lembo di territorio. Egli trovò la soluzione del caso ricordandosi che sulla
collina,oggetto della controversia,aveva visto le “forche erette”(struttura per l’esecuzione dei
condannati), testimonianza che su quel territorio era esercitata la iurisdictio di un certo comune,cui
spettava dunque anche la sovranità. La tesi di Bartolo quindi sostiene che tutte le entità politiche
possono leggitimamente produrre iura propria però possono farlo nella figura della propria
iurisdictio, come misura del potere di autoregolarsi).
Il pregio e il limite della tesi di Bartolo:tutti i poteri sono composti dalla stessa
sostanza(iurisdictio);questo è un vantaggio,ma anche un limite,in quanto il signore locale,detiene la
iurisdictio solo per concessione di un potere superiore(Chiesa o Impero). Spesso la iurisdictio non
proveniva da una concessione,ma questa era l’impressione comune;si avvertì allora l’esigenza di
esercitare la iurisdictio a prescindere dal potere dell’impero e soprattutto della Chiesa. La tesi di
Bartolo invece tende ad accentuare il potere della Chiesa perché esalta l’idea della concessione da
parte del Papa,il quale legittima l’esistenza degli iura propria.
3) la tesi del ius gentium: elaborata da Baldo che cerca di superare i limiti imposti dalla tesi di
Bartolo. La tesi di Baldo è abbastanza innovativa perché cerca di fondare il potere delle entità
politiche più piccole di avere degli iura propria su una base che prescinde dai due poteri universali,
cerca di postulare dunque un potere indipendente. Baldo degli Ubaldi nel frammento omnes populi,
rifacendosi a Gaio sostiene che tutti i popoli vivono in parte di diritto proprio in parte di diritto
comune a tutti i popoli. Il diritto che ogni popolo istituisce per sé è il ius civile, come se fosse tipico
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per quella civica; quello comune a tutti i popoli si fonda sulla “naturalis ratio” e questo è il ius
gentium. Questa tesi non è condivisa dai giuristi medievali, poiché Gaio attribuisce un significato
diverso, mentre i giuristi medievali consideravano il diritto civile parte del diritto comune. Secondo
Baldo una comunità,per il solo fatto di esistere,ha diritto di darsi delle regole proprie;tale tesi è
spiegata in forza di un sillogismo.
Il sillogismo di Baldo:tutti i popoli per il solo fatto di esistere appartengono al ius gentium;tutti i
popoli devono avere per esistere un règimen(ordinamento,governo);perché i popoli esistano de iure
gentium(per rispettare la situazione di effettività) devono esprimere sul regimen il proprio consenso.
Il consenso di cui parla Baldo non è affatto un consenso democratico, come quello attuale; per
Baldo così come per l’Antico Regima, quindi prima della rivoluzione francese, il consenso era
infatti un consenso qualitativo(ratio) e non quantitativo(moltitudo). Vi è dunque un richiamo
all’etica nicomachea:la verità è quella conosciuta da tutti,dai più o dai più dotti.
I limiti della tesi di Baldo:a parte i limiti politici(consenso elitario) che sono limiti dettati dal tempo
in cui viene elaborata la tesi vi sono altri limiti della tesi di Baldo. Mario Sbriccoli la esaminò
definendola una “giustificazione teorica a posteriori”(lui prende atto di ciò che andrebbe
dimostrato). Secondo Sbriccoli la tesi di Baldo era “troppo realistica”:Baldo prende atto della realtà
esistente e la blocca; il punto di partenza della tesi coincide con il punto di arrivo:egli avrebbe
dovuto dimostrare sia che ci sono dei popoli così forti da potersi dare delle regole proprie,sia
l’appartenenza di tutti i popoli al ius gentium.

Il periodo in cui Baldo elabora la sua tesi,coincide con un momento di grandi trasformazioni:la
Francia già all’inizio del ‘300 si stacca dall’impero e dal mondo ecclesiastico. L’unità dell’impero
dal punto di vista politico,era soltanto formale,apparente,eppure la Francia sentì la necessità di
discostarsi anche da tale apparenza.

Diffusione del diritto comune in Europa.


Il diritto comune è stato un fenomeno europeo:il rinascimento giuridico ebbe un’origine forse
italiana,forse francese;dal 100-1200 il diritto comune si diffonde in tutti i Paesi del continente in
quanto a Bologna erano affluiti studenti provenienti da altre zone dell’Europa. Di fronte alla
diffusione del diritto comune vi furono due reazioni diverse:
1) come avvenne in Italia,anche altri Paesi approvarono la concezione del diritto comune come
diritto vigente, come la Germania.
2) altri Paesi prestarono al diritto comune un “ossequio spontaneo”
Nella prima metà del Seicento, Arthur Duck (giurista scozzese) scrisse un’opera, “Sull’uso e
sull’autorità del diritto civile dei romani nei domini dei principi cristiani”,pubblicata nel 1653. Nei
Paesi anglosassoni era già in atto la common law,differente dal modello civil law; l’autore dunque
si domanda come è possibile che nei paesi cristiani si sia diffuso il diritto romano e il diritto
comune. Duck spiega che alcuni Paesi si ritenevano discendenti dell’impero romano e applicavano
dunque il diritto romano;altri Paesi come la Francia e l’Inghilterra,non più soggetti all’impero, ma
prestano al diritto romano un ossequio spontaneo.

Alcuni Paesi tutt’ora applicano il diritto comune,come la Repubblica di San Marino ed il Sud Africa
che fu occupato durante la dominazione olandese;gli olandesi esportarono in Sud Africa la c.d.
“giurisprudenza elegante”.
Grozio fu uno dei più importanti giuristi olandesi del Seicento,e scrisse l’opera “De iuris bellis ac
pacis”.
La tesi di Zimmermann sul diritto comune:egli crede che il diritto comune potrebbe rappresentare il
fondamento dell’Europa giuridica attuale per tre motivi:
1) nel medioevo l’Europa era una realtà giuridica unitaria e tale unitarietà potrebbe essere resa
attuale;

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2) non sarebbe difficile riportare gli ordinamenti giuridici europei al loro diritto madre:il diritto
comune;
3) ciò sarebbe reso più semplice grazie alla flessibilità intrinseca del diritto romano.
La critica mossa a Zimmermann: il diritto comune non esiste se non inserito nel sistema di potere
che lo ha generato;di conseguenza affinchè sia possibile ricondurre all’attualità il diritto comune
sarebbe indispensabile che retrocedessimo alla struttura politica medievale(il feudo). Zimmermann
non ha colto l’essenzialità del rapporto fra istituzioni,società e regole.

Uno dei problemi politici derivante dalla diffusione del diritto comune riguarda l’ambigua
connessione che questo aveva con l’Impero:il diritto dei glossatori è un diritto conferito
all’imperatore,il quale peraltro ha un potere limitato nei confronti di esso(il princeps non è
legislatore,ma correttore di un diritto già dato). Fuori dall’Italia il diritto comune si diffonde anche
in zone che tendono a svincolarsi dalla soggezione imperiale,le c.d. terre exempte(esenti). Questi
Paesi divennero a poco a poco indipendenti ripetto all’imperatore(Francia,Inghilterra,Spagna), ma
nonostante ciò applicavano il diritto comune. I canonisti per risolvere il problema elaborarono la
tesi secondo cui alcuni popoli sono de iure (di diritto) sottoposti all’impero e quindi al diritto
comune;ma non lo sono de facto. Questo fenomeno è definito positivo dai canonisti,in quanto ogni
territorio perso dall’Imperatore, è una conquista per il Papato;i canonista facevano leva sul
decretale(norma papale) di Innocenzo III detto “per venerabilem”:in esso Innocenzo III sosteneva
che il re di Francia,in temporali bus(nella sfera laica) non conoscit superiorem(non ha superiori). Il
Papa dunque da l’approvazione alla Francia affinchè si consideri sciolta dall’Impero. Da quel
momento nasce il problema dell’applicabilità del diritto comune in quanto questo era nato come
diritto dell’impero.

Lezione 07/04
Diffusione del diritto comune in Francia.
La Francia era divisa in due parti:la Francia del Nord in cui si applicava il diritto germanico
consuetudinario e prendeva il nome di “paesi del diritto consuetudinario”;la consuetudine dei
francesi era un tipo di consuetudine ancora più radicata rispetto alla concezione tradizionale di
consuetudine in quanto era anche “scritta”. I paesi del sud, sia per l’influenza romana durante
l’occupazione della Gallia da parte di Cesare,sia perché nel periodo di dominazione visigota era
stata emanata la lex romana wisigothorum(contenente il codex theodosianus), furono invece detti
“paesi del diritto scritto”(diritto romano giustinianeo).

Il parlamento francese e la redazione delle coutumes.


Nella Francia del nord era radicato il diritto consuetudinario,in quanto tali regioni avevano subito
l’influenza dei Franchi,che dalla Germania avevano esportato anche in Gallia le loro consuetudini.
Le consuetudini francesi sono le “coutumes”. Anche Parigi,trovandosi a nord della Francia,fa parte
dei “paesi del diritto consuetudinario” e ciò sarà determinante per la centralità di cui gode la
capitale:Parigi infatti rappresenta la l’intera Francia,anche per quanto riguarda la giustizia,perché
era la sede del tribunale del re,detto inizialmente “curia regia”,e che poi assunse il nome di
“parlemant”. Il parlamento di Parigi non era ,come il parlamento attuale,un’assemblea
rappresentativa,ma era un organismo di giustizia. Anche nelle zone periferiche della Francia sorsero
altri parlamenti(dodici in tutto),ma il più importante rimase quello con sede nella capitale. Il
parlamento di Parigi giudica in base al c.d. processo romano canonico:un insieme di regole
processuali dedotte dal diritto canonico;il diritto processuale canonico aveva trovato inoltre,nel
medioevo,una sintesi con le norme del processo giustinianeo. Le cause più importanti venivano
giudicate a Parigi e si deve cercare di applicare dunque un diritto uniforme,appunto il diritto romano
canonico che viene utilizzato,nonostante Parigi facesse parte dei “pays de droit coutumes”.
Nel XIII secolo il re di Francia godeva di un ampio potere;si affievolisce gradualmente la figura del
rex come “primus inter pares”(egemone in un gruppo di persone che hanno pari dignità) ed emerge
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una concezione del potere e dello stato più unitaria e centralistica:inizia il processo di
accentramento che si concluderà poi con la nascita dello stato moderno. L’accentramento si rivolge
verso più aspetti e,dunque anche verso l’amministrazione della giustizia:il re emana ordinanze ed
editti affinchè i suoi funzionari procedano alla redazione delle coutumes. I due momenti più
significativi della redazione delle consuetudini:
-1280(momento iniziale), un feudatario Felipe de Remy decise di trascrivere le consuetudini della
sua regione,Beauvasis.
-1454(momento finale) con una famosa ordinanza ,chiamata “montilles-le-tours”,il re ordinò che in
tutto il Paese si procedesse alla redazione delle coutumes.

Attualmente,ance in Italia,si dà molta importanza alle coutumes francesi,in quanto esse furono alla
base del Code civil del 1804;il codice napoleonico non fu altro che un’insieme di rielaborazioni di
coutumes francesi,frutto di tutto, uno studio portato avanti dai giuristi del XVII e XVIII secolo. Il
codice del 1804 fu il modello cui si ispirò il primo codice dell’Italia unita,il codice del 1865. E’
dunque chiaro come ancora attualmente il nostro codice civile sia influenzato dalle coutumes.

La scuola di Orleans.
L’università di Parigi,la Sorbona è di poco successiva(1253) a quella di Bologna. Nel 1219 Papa
Onorio III aveva proibito l’insegnamento del diritto romano. A tale divieto gli storici hanno dato
due interpretazioni:
1) interpretazione pragmatica:il re chiese al Papa di inviare una bolla(“super specula”) che vietasse
l’insegnamento del diritto romano in quanto esso era troppo complesso e induceva gli studenti ad
iscriversi ad altre facoltà.
2) interpretazione politica:i Papi temevano il potere del re di Francia e nel Digesto sono contenuti
passi che esaltano il potere del princeps;ad es. Ulpiano sostiene che il princeps è “legibus solutus”
(sciolto dalle leggi);in un altro passo,Ulpiano stesso afferma che tutto ciò che il princeps dice è
legge(quod princeps placuit,legis habet vigorem).
Dopo pochi anni,nel 1235,un altro papa,Gregorio X,autorizza l’insegnamento del diritto romano in
un’altra città,Orleans,dove nasce la c.d. scuola di Orleans. Essa era probabilmente una scuola
ecclesiastica e il fatto che si insegnasse il diritto romano indica una sintesi politico-religiosa: i re di
Francia reclutavano i loro consiglieri (soprattutto giuridici) nelle scuole ecclesiastiche. In Francia
infatti è sempre stata efficiente la sintesi tra potere laico e potere ecclesiastico,in quanto il potere
laico non è mai stato alternativo a quello religioso. Marc Block scrisse negli anni trenta del
Novecento,un’opera,”i re taumaturghi”:per il popolo francese,già nel medioevo,il re era l sintesi fra
l’elemento divino e l’elemento umano(tendenza all’accentramento del potere politico e religiosa),
mentre il Papa era solo un detentore,secondario,del potere religioso;la scuola di Orleans(1235-
inizio 1300) è il primo risultato di tale sintesi. Essa fu fondata anche con il contributo di giuristi
italiani:Guido de Cumis ebbe una discussione metodologica con Accursio e di conseguenza venne
espulso dall’università di Bologna;si recò quindi in Francia ad insegnare presso la scuola di
Orleans. I docenti più notevoli della scuola di Orleans furono Jacques de Revigny e Pierre de
Belleperche(nella seconda metà del ‘200).

Jacques de Revigny scrisse un’opera intitolata “dictionarius iuris”;scrivere un dizionario giuridico


nella seconda metà del ‘200 significava nutrire una notevole attenzione verso i significati; tale scelta
tematica di Revigny anticipa il c.d. umanesimo giuridico,corrente attenta allo studio dei vocaboli
giuridici;lo studio di Redigny è uno studio approfondito e non un modo acritico di percepire il
diritto.
Pierre de Belleperche,allievo di Revigny,fu ancor più teorico del suo docente;il punto centrale del
suo studio fu la “ditinctio”,cioè l’analisi minuziosa del testo.
Entrambi i giuristi furono ospiti dell’università di Napoli;nel 1266 infatti, Corradino di Svevia
venne ucciso e,nasce il regno di Napoli sotto il potere degli Angiò,originari di Francia che non
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esitarono a richiamare a Napoli i migliori giuristi di Orleans. Contemporaneamente,in Italia, era


scomparsa la scuola della Glossa e si affermava quella del Commento:i commentatori furono molto
influenzati dagli orleanisti,i quali ebbero il merito di importare nella penisola il metodo aristotelico
scolastico,il metodo delle oppositiones. Il giudizio complessivo che si suole dare alla scuola di
Orleans,mette in rilievo l’eccessivo teoricismo che li distinse dai loro contemporanei italiani.
Giovanni d’Andrea,canonista italiano, definì gli orleanisti “maximi ruminatores”. Tuttavia gli
orleanisti ebbero un merito in particolare elaborarono importanti categorie concettuali che ancora
oggi vengono utilizzate nello studio del diritto. Una di queste figure è stata quella della persona
representata”:Innocenzo IV aveva già esposto la tesi della persona ficta(bisogna fingere che gli enti
siano una sola persona). I giuristi di Orleans,invece,teorizzarono la tesi della tesi della persona
representata,che tende a superare la tesi di Innocenzo IV:la personalità giuridica non spetta solo alle
collettività,ma anche ai poteri,alle collettività politiche;l’impero ed il papato sono delle persone
representate e il papa e l’imperatore sono personificazioni di essi.

L’intervento di Filippo il Bello.


La vicenda storica della scuola di Orleans culmina con un’ordinanza famosissima,emanata da
Filippo IV detto il Bello. Filippo il Bello è stato uno dei re di Francia che ha “costruito il
regno”,artefice di numerosi passi avanti,verso la statalizzazione della Francia. Nel 1312 fu chiamato
ad intervenire nella disciplina della scuola di Orleans attraverso un editto in cui affermò: “il nostro
regno si regge soprattutto sulla consuetudine,non sul diritto scritto;tuttavia in alcune parti del
regno,i sudditi,grazie al permesso de nostri predecessori e di noi(plurale maiestatis,riferito al re),
applicano gli iura scripta,non però in quanto vincolati ad essi,bensì per effetto di una
consuetudine. Come infatti lo studio delle arti liberali introduce alla teologia,così,i dogmi della
legge e del diritto scritto perfezionano la comprensione della ratio,abituano ai
mores(consuetudini), insegnano a eseguire la giustizia e preparano l’intelletto alla consuetudine”.
Filippo prende atto della situazione della Francia,spaccata in due metà,l’una che applicava il diritto
romano,l’altra di diritto consuetudinario-germanico;e reagisce in modo parziale,favorendo la
posizione dei paesi del diritto consuetudinario,sostenendo:
a) che la Francia è un paese di diritto consuetudinario e che i sudditi della Francia meridionale
applicano il diritto “scritto” solo per concessione del re;
b) il diritto romano viene applicato in alcune parti del Paese,non perché esso sia vincolante,ma
perché è consuetudine applicarlo(quindi in definitiva anche il diritto della Francia del sud è
consuetudinario)
c) il re permette che continui a circolare il diritto romano in quanto,essendo un diritto raffinato,esso
prepara l’intelletto alla comprensione della ratio delle norme e ad orientarsi nell’amministrazione
della giustizia.
Dal discorso di Filippo emerge che il vero diritto resta la consuetudine.
Motivo politico della posizione di Filippo il Bello:il diritto romano esiste come diritto vigente,in
quanto conferito all’imperatore dai glossatori;il re di Francia,quale artefice dell’accentramento del
suo regno e deciso a sottrarsi dal controllo dell’impero universale,non può che essere contrario
all’applicazione del diritto romano,che è ancora una manifestazione del potere dell’Impero. Anche
se ormai l’impero esercita solo un potere formale,il re francese vuole sottrarsi anche a tale
formalità; vuole che la Francia sia sotto ogni aspetto una realtà a se stante.
Il diritto romano vige in Francia non ratione imperi,sed imperio ratione:non per la discendenza
dall’impero romano,ma per la forza della ragionevolezza del diritto romano.

In Italia si guardò con sospetto la situazione della Francia,perché era inconcepibile,in una realtà così
decentrata e disgregata,poter affermare che il diritto vigente era tale solo in quanto il re o comunque
un potere centrale lo “permettesse”.
Baldo :”come le sentenze vincolano perché munite di ratio,così i francesi rispettano il diritto
romano non perché la legge lo imponga,ma perché esso è dotato di ratio”.
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Il giudice infatti rispetta un precedente giurisprudenziale non perché vi è obbligato,ma perché esso
costituisce spesso un valido criterio di orientamento(solo nel common law il precedente è
vincolante). Così i francesi si comportano di fronte al diritto romano:lo considerano vigente perché
conforme alla ratio(c.d. ratio scripta).

Lezione 15/04
Il percorso francese verso l’autonomia del diritto di Francia.
Jean de Paris, teologo, giurista e consigliere di Filippo il Bello (200-300), scrisse un’opera
pubblicata postuma “De potestate regia et papali” (Sul potere del re e del Papa). Alcuni passi
importanti sono:
1. Il diritto naturale non impone un unico monarca nella sfera temporale (in temporalibus), ma in
quella spirituale (in spiritualibus). L’unità è necessaria nello spirito perché la gerarchia
ecclesiastica è costruita alla maniera della gerarchia celeste; in temporalibus (nel mondo laico),
le varietà della natura possono rendere virtuoso presso un popolo ciò che non lo è presso un
altro popolo.
2. La varietà delle circostanze richiede di essere organizzata; un regno è il governo di una
moltitudine tendente ad unità. Anche Romolo e Remo furono costretti al fratricidio per
raggiungere l’unità.
3. La donazione di Costantino è dubbia dal punto di vista logico e non filologico.

La prima citazione si occupa del diritto naturale, concetto radicato nella storia del diritto, a partire
dai filosofi greci. Il giusnaturalismo è la teoria per cui la fonte del diritto può nascere anche dalla
natura, oltre che dal diritto positivo (che è ammesso dai giusnaturalisti), che per questo vengono
detti Dualisti; mentre i positivisti credono solo nel diritto positivo e per questo sono detti Monisti.
Per alcuni giusnaturalismi la natura è un dato oggettivo che produce il diritto, mentre per altri la
natura è soggettiva e quindi ogni natura produce un diritto. È oggettiva se il diritto di natura è
rivelato dalla divinità alla Chiesa, che quindi può decifrare cosa è la natura in modo oggettivo; è
soggettiva se considero natura ciò che è insito in ciascuno di noi. In questa distinzione si può capire
la distinzione tra giusnaturalismo medievale (Jean De Paris) e giusnaturalismo moderno (Hobbes,
Locke, Hume). Il momento di passaggio è legato alla riforma protestante, perché mentre i
medievali, partendo da una posizione cristiana, credevano che esistesse una verità rivelata, e che
quindi NATURA ID EST DEUS, cioè la natura non è un mondo da inagare, ma è dio; i protestanti,
quindi i giusnaturalisti moderni credono che la verità non è rivelata alla Chiesa, ma a ciascuno di
noi. Quindi Jean De Paris nella prima citazione afferma che il diritto naturale stabilisce che non è
necessario che nel mondo laico ci sia un solo monarca; invece l’unità è necessaria nel mondo
spirituale, quindi nella Chiesa. Questo perché la Chiesa è organizzata come il mondo celeste;
mentre nel mondo laico le varietà ci stanno bene, poiché possono rendere virtù ciò che è vizio. Con
questa affermazione Jean De Paris anticipa il concetto di relativismo, poiché afferma che nel mondo
laico ciò che rappresenta un valore per un popolo può essere un disvalore per un altro. Questo
concetto ricorda il pensiero di Pascal che si rese conto che da una riva all’altra del fiume si
applicava una giustizia diversa; il suo pensiero era provocatorio per dimostrare quanto la giustizia in
età moderna (600) fosse un giudizio relativo.
Nella seconda citazione Jean De Paris spiega come si governa e si organizza la varietà nel mondo
laico. Poiché la Francia era un potere frazionato, bisognava mantenere l’unità con la presenza di un
solo monarca (affermazione legata al suo ruolo di consigliere del re). Inoltre ricorda che la più
grande esperienza politica della storia, l’impero romano, è nata da un fratricidio, il più efferato dei
delitti. Con questo vuole dire che la pace a tutti i costi non è un valore, ma per realizzare un grande
stato politico si può accettare anche tale delitto.
Nell’ultima citazione si parla della “donazione di Costantino”, un documento falso, con cui
Costantino avrebbe donato l’impero d’Occidente alla Chiesa. Il motivo di questo falso
altomedievale era legato alla sua conversione e ai doni e alle concessioni fatte alla Chiesa.
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Attraverso la donazione, Costantino avrebbe fondato il potere temporale della Chiesa. Nel 1400 gli
umanisti, in particolare Lorenzo Palla, studiarono questi documenti e dimostrarono la falsità del
documento. Anche Jean De Paris negò la donazione di Costantino, ma non dal punto di vista
filologico, non quindi studiando il testo, ma dal punto di vista logico, perché era assurdo che
Costantino in un periodo ancora di splendore dell’impero (inizio 300) si sarebbe privato di un pezzo
del suo potere. Jean De Paris con le sue citazioni vuole rimanere in sintonia con Filippo il Bello,
cioè vuole sostenere l’affrancamento della Francia per avere indipendenza politica dall’impero, e
quindi, che la Francia non sia più parte dell’impero. Alla tesi di Jean De Paris si rifecero in molti: in
Francia nello stesso periodo si consolidò una formula, ripresa da Baldo da Sassoferrato: “rex
superiorem non recognoscens in regno suo est imperator” (Un re che non riconosce superiore nel
suo regno è imperatore). Questa affermazione vuole spiegare che chi nel proprio regno, cioè nel
proprio contesto non riconosce superiore può considerarsi imperatore. In questo modo è dimostrato
che non viene accettata la sottoposizione all’imperatore, in particolare da parte del re. Queste idee
furono ritrovate anche in altri stati come l’Inghilterra o il regno delle due Sicilie. Marino da
Caramanico, giurista meridionale del tardo ‘200, scrisse una glossa alle costituzioni di Federico II e
in essa sostiene che il re di Sicilia, nel regno delle due Sicilie conta quanto l’imperatore. Questa
ricerca di indipendenza era dovuta alla struttura centrata, alla forte autorità del re e allo scarso
potere delle autonomie locali. Quindi l’Italia meridionale ebbe un precocissimo assetto statale,
premoderno.

Diffusione del diritto comune in Spagna.


In Spagna l’esperienza del diritto romano comune fu più intensa e con meno problemi politici. Gli
storici del diritto spagnoli sostengono che il loro paese ha avuto tre ondate di romanizzazione:
1) Diffusione del diritto romano volgare, nell’epoca tardo antica (ai tempi della caduta
dell’impero). La Spagna infatti parte, ha una radice più romanistica rispetto alla Francia, in cui il
diritto romano era presente solo nel sud.
2) La seconda ondata si basa sulla riconquista, cioè quando gli spagnoli ripresero i territori che
precedentemente erano stati occupati dagli arabi. La Spagna riprese la sua fisionomia con due
regni centrali: il Regno di Castiglia Leon (nella zona centrale) e il Regno d’Aragona (nella zona
costiera). Quest’ultimo comprendeva anche la Sicilia e la Sardegna occupate dagli Aragonesi. I
due regni erano organizzati con diritti propri, consuetudinari. Le consuetudini erano dette
Fueros (dal tribunale locale foro), e anch’esse come i contumes spagnoli, furono trascritti. La
raccolta di Fueros più famosa e più importante è il FUERO REAL, redatto dal re di Castiglia nel
200. I Fueros non erano ben visti dai sovrani, perché le consuetudini erano un prodotto
spontaneo del popolo, mentre la legge è espressione della volontà di chi ha il potere. Quindi
entrambi i regni tentarono di limitare i fueros. Nel regno di Castiglia Alfonso il Saggio (nella 2°
metà del 200) emanò la legge spagnola più faosa , cioè la Legge delle 7 parti (Lei de la siete
partida).
Questa legge aveva 3 caratteristiche fondamentali che la rendono romanistica:
a) Genesi. Nacque nella prima università spagnola la facoltà di giurisprudenza di Salamanca,
dove si insegnava il diritto romano e i professori erano laureati alla scuola di Bologna e
quindi si studiavano sia i giuristi classici, ma anche i glossatori. Quindi la legge nasce come
prodotto culturale dell’università di Salamanca.
b) Contenuti. La legge contiene parti normative e dottrinali, quindi sono riportati i pareri dei
dottori, come Accursio, Odofredo o Irnerio;
c) Internazionalità. La legge era applicata non solo in Spagna, ma anche in tutti i territori
conquistati, come il Portogallo e nel centro e nord America.

All’interno della Spagna le popolazioni che avevano dato vita alle consuetudini (fueros) non
gradirono la centralità della legge delle 7 parti e si opposero attraverso le Cortes (il parlamento), le
quali rifiutarono di approvare la legge fino al 1348. Nel 1348 le Cortes si riunirono ad Alcalà ed
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emanarono l’ordinamento di Alcalà, che era una delibera delle Cortes. L’ordinamento stabilì che i
fueros avrebbero continuato a essere in vigore in tutte le materie su cui la legge delle 7 parti tace.
3) La terza ondata è legata al matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona,
determinando la fusione tra i due regni di Spagna, che divenne una grande potenza. Questa
unione influì molto per la diffusione del diritto romano, e lo fece dal punto di vista politico
attraverso le conquiste (Italia, America). In tutti i territori conquistati creava dei collegi, dove gli
spagnoli formavano ed educavano la loro classe dirigente. Qui quindi gli spagnoli studiavano
per formarsi il diritto romano. Un esempio di questi collegi è Piazza di Spagna a Roma.

Lezione 20/04
Diffusione del diritto comune in Germania.
La Germania, al contrario di Francia, Spagna e Italia, era sin dalle origini un paese consuetudinario,
molto arretrato nella cultura giuridica. Quando divenne la sede del Sacro romano impero
germanico, si verificò un processo di romanizzazione e per questo divenne la patria dei più
importanti studiosi del diritto. Il processo di romanizzazione venne detto recezione (motivo per cui
il diritto romano comune si diffonde in Germania). Gli storici però individuarono anche la
prerecezione, periodo preparatorio in cui i giuristi tedeschi posero le basi per il diritto romano. I
primi giuristi in questo periodo furono gli studenti della nazione tedesca, che andarono a studiare
a Bologna il diritto romano e i canonisti, che studiarono a Roma il diritto romano e canonico e
tornati in patria lo diffusero, rendendolo diritto della nazione. I tedeschi lo chiamarono landrecht,
cioè diritto della terra, diritto vigente. Nel 1495 l’imperatore asburgico Massimiliano I convocò la
Dieta di Worns, in cui decise di rifondare il supremo tribunale camerale dell’impero (raits
Camergate), che si occupava delle controversie nascenti nelle varie terre dell’impero e quindi
operava per unificare il diritto in un’area estremamente divisa. Il tribunale doveva essere composto
da 16 assessori, di cui 8 nobili e 8 giuristi laureati in diritto romano. Pochi anni dopo Massimiliano I
stabilì che anche gli altri 8 dovessero essere esperti di diritto. La recezione pratica, quindi, si ebbe
nel momento in cui la Germania divenne il paese del diritto romano, dove la norma di diritto
romano prevaleva su quella consuetudinaria. Risolto il problema pratico, i giuristi cercarono di dare
una base teorica alla recezione con la teoria della traslatio imperii (trasferimento dell’impero),
secondo cui l’impero, sorto a Roma, creò il diritto romano, che va utilizzato in tutto il territorio,
anche dopo che l‘impero si spostò al centr’Europa. Questa teorizzazione però fu solo una
legittimazione di ciò che era già accaduto. Nell’età moderna, tra 6-700 si diffuse l’usus modernum
pandettarum (l’uso moderno delle pandette, cioè del digesto). Questa corrente credeva nel digesto
come diritto vigente e fu sostenuta da Vinnius e Voet. . L’usus modernum pandettarum venne
chiamato così da Stryk e mira ad unire le fonti giustinianee con la necessità della pratica; rifugge
dalle ricostruzioni testuali erudite e privilegia le regole legate al testo onirico. Nell’ 800 i giuristi
tedeschi si opposero alla codificazione napoleonica, per lasciare il diritto romano come diritto
vigente. Questo avvenne nella prima metà dell’ 800 con la scuola storica di Savigny, e nella
seconda metà dell’800 con la pandettistica, il cui frutto principale fu il BGB (beghebè), il codice
civile tedesco.

Dinastie e ordinamenti nel mezzogiorno d’Italia nel tardo medioevo.


Nell’Altomedioevo, fino all’anno 1000 il sud fu caratterizzato da una situazione a mosaico in cui
erano radicati i longobardi, i franchi, e bizantini, i ducati a Napoli, a Gaeta e ad Amalfi. Dopo che la
Chiesa si riorganizzò con la riforma gregoriana del 1076, con cui il Papa divenne leader della
Chiesa, vennero organizzate le crociate, spedizioni per liberare Gerusalemme dagli arabi. Uno dei
popoli che andò in soccorso alla Chiesa furono i Normanni, che, originari della Scandinavia, si
stanziarono in Francia, nella Gallia del Nord. Le ondate di espansione dei normanni furono dirette
verso l’Inghilterra, dove iniziò la dinastia di Guglielmo il conquistatore; e verso Gerusalemme.
Nella discesa verso Gerusalemme scoprirono il sud Italia, in particolare la Sicilia e la Puglia;
intorno al1050-1060 in Puglia crearono un ducato, guidato da Roberto il Guiscardo, e in Sicilia
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crearono una contea nelle mani di Ruggiero I. dopo scontri interni tra il ducato di Puglia e la Contea
di Sicilia, i 2 nuclei trovarono un accordo nella figura di Ruggiero II, che divenne re del Regno di
Sicilia, che durò dal1100 al 1860. Poiché la Chiesa, pur temendoli, non poteva impedire ai
normanni di insediarsi in Italia, e aveva bisogno del loro appoggio contro gli Arabi, rese il Regno
delle due Sicilie un feudo della Chiesa, quindi ogni re doveva farsi investire dal Papa. Il re di Sicilia
era un sovrano feudale, primo inter pares (primo tra i feudatari) e poteva convocare le assise,
assemblea in cui si consultava con i feudatari. Le assise più importanti di Ruggiero II furono quelle
di Ariano. Nel 1140 Ruggiero II convocò l’assemblea ad Ariano, e impostò il Regno in modo
tipicamente feudale, in cui il sovrano non crea, ma custodisce il diritto. Nelle Assise infatti
Ruggiero II riconosce le consuetudini, purchè non contrastino manifestissime (palesemente) le leggi
del sovrano.
Dopo la morte di Ruggiero II, la figlia Costanza D’Altavilla sposò l’imperatore Enrico VI, figlio di
Federico Barbarossa. Questo determinò la fusione tra impero e regno di Sicilia, ma nel 1197 Enrico
VI morì, e l’anno dopo la moglie. Così il figlio Federico II assunse entrambi i poteri. Federico II
(1194), rimasto orfano a 4 anni, ebbe come tutore il Papa Innocenzo III, il quale dopo averlo
incoronato imperatore (1220) gli chiese di lasciare separate le corone di imperatore e di sovrano del
regno di Sicilia, per evitare l’accerchiamento del suo potere.
Quando Federico II, quindi, convocò le assise di Capua(1220), il Papa si oppose e lo scomunicò
poiché aveva violato le promesse fatte. Nelle assise di Capua, due norme furono fondamentali:
innanzitutto l’imperatore proibì alle città demaniali istituzioni di tipo comunale; e ordinò a terre le
città di rispettare solo le consuetudini approbatae.
I normanni avevano diviso le terre del Mezzogiorno in terre feudali e in terre demaniali (territorio
nelle mani dello Stato del re). Federico II vietò, in piena epoca comunale, alle città che erano nel
demanio di darsi istituzioni comunali. Quindi, mentre al Nord le città si organizzavano in comuni, al
sud Federico II ne impedì la crescita. Inoltre Federico II ordinò alle città di osservare solo le
consuetudini approbatae, cioè quelle che sono comprovate dall’uso, quindi che erano ripetute da
anni e per questo venivano rispettate. Nel periodo migliore del suo regno, Federico II emanò la sua
più famosa raccolta di leggi (1231), il liber constitutionum regnum siciliae, anche detto liber
Augustalis, dato che si considerava discendente diretto degli imperatori romani. Il Liber, di 3
volumi, conteneva sia le costituzioni dello stesso Federico II che quelle dei suoi predecessori, i
sovrani normanni. Ma per molte di queste costituzioni non si può distinguere la paternità. La
diffusione del liber suscitò scalpore nella Chiesa poiché andò ad opporsi alla consuetudine per cui il
diritto non si crea, ma il diritto già è. Federico II pretendeva di fare il diritto. Il liber si apre con un
proemio solenne in cui Federico II afferma che il libro è già stato scritto per sostituire gli usi
inadeguati con regole eque e ordina di osservare le costituzioni inderogabilmente (inviolabiliter) e
di cancellare le leggi e le consuetudini contrastanti con le costituzioni. Federico II ha un
atteggiamento molto meno tollerante rispetto a quello di Ruggiero II che nelle assise di Ariano
concede di poter mantenere le consuetudini purchè non si scontrino con le sue norme.
Le costituzioni più importanti del Liber sono 3:
1. NON SINE GRANDI, in cui Federico II afferma “non senza averci pensato, io ho deciso che
l’imperatore, il re di Sicilia, deve essere padre, figlio e ministro della giustizia”. In questo modo
afferma che il sovrano è figlio della giustizia, poiché ingabbiato nell’ordinamento; è ministro
della giustizia, cioè fa e risolve le controversie caso per caso, quindi è iudex; ed infine è pater di
diritto, cioè al contrario dell’idea medievale, lui sostiene di poter generare il diritto.
2. NIHIL VETERUM, in cui afferma “Non voglio togliere nulla di vecchio, non voglio sottrarre
nessun potere ai miei antenati se da ora in avanti temporibus volgendibus (volgendo i tempi)
abbiamo prodotto diritto nuovo”. In questa costituzione Federico afferma di non voler fare
nessun oltraggio ai suoi antenati, ma cambiando i tempi è necessario cambiare anche il diritto
producendo iura nova. Federico II si rende conto che non c’è la stasi, ma il diritto cambia dato
che la vita va avanti. Ovviamente questa costituzione non era ben vista dai pontefici.

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3. PURITATEM (purezza), poiché Federico II considerava i giudici i suoi subalterni, che


dovevano giudicare in suo nome, e poiché non aveva molta fiducia in essi, si illudeva che
obbligandoli a giurare di rispettare la legge, sarebbero stati bene attenti a farlo. Quindi i giudici
dovevano mantenere un animo puro rispettando una certa graduazione tra le fonti nel giudicare.
Nel pronunciare le loro sentenze, dovevano applicare in prima battuta le loro costituzioni,
affermando la superiorità del potere dell’imperatore; in caso di mancanza in un punto bisognava
applicare le consuetudini approbatae. Quindi non veniva rispettato il principio lex speciali
derogat generali, cioè la norma speciale prevale su quella generale, ma prevalevano le
costituzioni federiciane (fonti generali) sulle consuetudini (speciali); e solo infine venivano
applicati gli iuria communia, il diritto comune, cioè il diritto longobardo o romano, secondo la
qualità dei litiganti. Quest’ultima affermazione è dovuta al fatto che Federico II applica il diritto
comune in base alla qualità del soggetto, cioè applicandolo a seconda delle origini romane o
longobarde della persona (ricorda il fenomeno altomedievale della personalità del diritto).
Riguardo al diritto comune gli storici esposero 2 tesi fondamentali:
a) Tesi di CALASSO: la personalità del diritto non era stata ancora superata, ma si applicava il
diritto a seconda della provenienza etnica, quindi erano ancora presenti popoli di diritto
longobardo;
b) Tesi di Cortese: forse la distinzione dell’applicazione del diritto longobardo o di quello romano
era dovuta a una differenza di materie di cui si occupavano; il diritto longobardo disciplinava il
diritto feudale, gli altri rapporti non feudali erano invece gestiti dalle leggi del diritto romano.
Inoltre Federico II organizzò in modo molto ferreo l’organizzazione della giustizia, vietò i
regolamenti di conti privati (PACI PRIVATAE) e impose che tutta la giustizia dovesse essere
sottoposta al sovrano e ai suoi funzionari.

Lezione 21/04
Federico II non era ben visto dalla Chiesa per vari motivi: innanzitutto la Chiesa si oppose
all’affermazione con cui Federico II si definisce padre della giustizia, andando contro alla
concezione medievale per cui solo Dio è padre e quindi il diritto è già dato e solo la Chiesa poteva
rinnovare la giustizia. Invece per Federico II cambiando i tempi cambiarono anche le leggi. Inoltre
Federico II si impegnò nel combattere la mano morta ecclesiastica, cioè i lasciti dei testatori alla
Chiesa. Ciò aveva reso la Chiesa una grande potenza economica, ma aveva anche portato ad
un’immobilizzazione dei beni, poiché la Chiesa era contraria all’usura e quindi riteneva che il
denaro non doveva fruttare altro denaro. Invece Federico II aveva grandi interessi economici e non
avrebbe potuto accettare l’immobilizzazione dei capitali e quindi nelle costituzioni, come la
Praedecessorum nostrorum, combatté la mano morta e vietò alla Chiesa di accumulare patrimoni
ingenti e per questo venne scomunicato.
Questo scontro con la Chiesa colpì l’imperatore con la damnatio memoriae, poiché quando il liber
venne pubblicato, tutte le costituzioni contrarie alla Chiesa vennero eliminate. Federico II fu molto
importante anche perché nel 1224 fondò l’università di Napoli, finalizzata soprattutto a formare i
funzionari. Anche le costituzioni federiciane furono oggetto di glosse dai giuristi di Bologna. Il
primo fu Marino da Caramanico, che nella seconda metà del ‘200 ne mise in risalto l’imortanza e
l’autorità. Inoltre dopo la morte di Federico II (1250), e la fine sanguinaria dei suoi successori, il
Papa nel 1266 chiamò in Italia gli Angiò, una famiglia molto religiosa. Importante è il fatto che gli
Angioini non abrogarono le costituzioni federiciane, che rimasero oggetto di studio dei giuristi. Ad
esempio Andrea D’isernia, giurista degli inizi del ‘300, fedelissimo agli Angiò, fece una lectura
(spiegazione) di segno conservatore delle costituzioni federiciane, per depotenziarle. Infatti pur
ammettendo che esse fossero ben scritte e che trattavano di temi importantissimi, non contano come
diritto esclusivo, ma andavano interpretate all’interno del diritto comune. Opponendosi alle
costituzioni in contrasto con la Chiesa, Andrea Visernia fu il primo a espungerle, cioè a farle
scomparire. Queste costituzioni torneranno a galla solo nel ’77 grazie agli illuministi.

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Federico II, pur se viene definito laico, in realtà fu un legislatore molto duro nei confronti
dell’eresia, definendola reato. Infatti nell’età medievale il potere religioso e quello civile erano uniti
e quindi ribellandosi all’ordine religioso si poteva compromettere anche il potere civile.

Crisi dell’età medievale. Passaggio dall’età medioevale all’età moderna.


Gli elementi che misero in crisi i pilastri dell’età medievale furono:
1. Fine dell’universalismo politico;
2. Fine dell’universalismo religioso;
3. Filologia;

1. Iniziò in Francia con le affermazioni di Jean De Paris e di Filippo il Bello, che cominciarono a
sostenere la divisione del potere temporale e la fine del sogno dell’impero dei medievali. Dal ‘3-
400 l’universalismo politico venne visto nei paesi più avanzati come un zavorra che non
corrisponde più alla realtà e gli unici paesi che credevano ancora nell’unità erano la Germania e
l’Italia. Questo fenomeno determinò anche la crisi delle università.
2. La fine dell’universalismo religioso è databile al ‘500, poiché è legata alla riforma protestante;
quindi le riforme di Lutero e le sue tesi, la riforma calvinista, lo scisma anglicano. Quindi
l’Europa non è più la patria del cristianesimo e non esiste più un’unica Chiesa, la respublica
cristiano rum.
3. Si diffuse la filologia umanistica; cioè lo studio scientifico dei testi. Quando gli umanisti
iniziarono a rendersi conto della mancanza di correttezza filologica del Corpus iuris civilis,
fecero perdere la sacralità e l’atemporaneità di tutto il diritto romano e medievale.

Umanesimo giuridico.
Nel ‘400, all’inizio dell’età moderna, con l’uso della filologia, in Italia nacque l’umanesimo, un
movimento che metteva l’uomo al centro dell’interesse culturale. Lo strumento di lavoro tipico
dell’umanesimo è la filologia attraverso una visione storicistica, per cui gli umanisti sono grandi
studiosi di storia. Francesco Petrarca è considerato il padre dell’umanesimo, che nel ‘300 nelle
lettere familiari sostenne che i giudici sono ignoranti e sciocchi, poiché se si accorgessero che la
cultura è utile trarrebbero maggior guadagno dalle opere che essi stessi maneggiano. Inoltre sostiene
che bisognerebbe restituire ai testi antichi la loro purezza originale. Uno degli umanisti più
importanti è Lorenzo Valla. Di lui ricordiamo una lettera a un suo amico Piercandido Decembrio, in
cui si occupa di un’opera di 100 anni prima di Bartolo da Sassoferrato “Sulle insegne e sulle armi”.
Bartolo sosteneva che gli unici 2 modi per servire la patria erano o combattere con le armi o
attraverso la cultura e quindi lo studio del diritto. Valla si oppose a Bartolo sostenendo i giuristi
sono autori di un sacrilegio, poiché i medievali hanno violato l’autenticità dei testi giustinianei,
mentre Giustiniano e Triboniano avevano travisato l’autenticità dei testi romani. Mentre i medievali
consideravano Giustiniano un santo, anche dal nome Iustininus, Valla afferma IUSTINIANE
INIUSTISSIME (l’ingiustissimo Giustiniano). Riguardo ai medievali, ai glossatori e ai
commentatori, Valla sostenne che rovinarono la purezza dei testi antichi attraverso un linguaggio
barbaro.
Un giurista milanese del ‘500, Andrea Alciato, (insegnò a Pavia), trasportò sul tecnico-giuridico,
ciò che gli umanisti non giuristi, come Valla, avevano teorizzato. Alciato negli anni ’20 del ‘500 fu
costretto a trasferirsi in Francia per le sue idee contrarie alla sacralità del corpus iuris civilis. Alciato
(ita), Budè (franc) e Zasio (ted) crearono il triunvirato dell’umanesimo giuridico, cioè furono gli
iniziatori del movimento in tutt’Europa. Da questo periodo si possono distinguere due modi di
insegnamento:
a) Mos gallicus (iura docendi), modo gallico di insegnare il diritto, attento alla filologia, quindi
all’autenticità dei testi, tipico dell’umanesimo giuridico;
b) Mos italicus (iura docendi), modo italico di insegnare il diritto, in continuità con il passato,
utilizzando i vecchi metodi, tipici della scuola dei commentari, del medioevo.
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Il mos gallicus non riuscì ad attecchire in Italia, poiché mancavano le condizioni politiche adeguate,
in particolare per realizzare una riforma del metodo di insegnamento era necessario un centro
decisionale. Con l’umanesimo il testo sacro giustinianeo (Digesto) venne messo molto in crisi in
Francia , questo perché il re scriveva le leggi (Editti ed Ordinanze), che andarono a sostituire il testo
sacro. In Italia non c’era un potere centrale in grado di rattoppare e sostituire il digesto, che, quindi,
rimase in vigore.
Alberico Gentili, giurista marchigiano delle seconda metà del ‘500, fu il difensore del mos italicus,
nei Dialogi sex, in cui sostiene che è giusto ammettere che il Digesto contiene degli errori, ma in
questo modo gli umanisti hanno confuso l’accessorium con il principalem, cioè il dettaglio, la
precisione filologica con la sostanza, che è ancora il Digesto. Il diritto comune, quindi, deve essere
ancora vigente.
I 2 filoni dell’umanesimo giuridico, quindi del mos gallicus erano:
a) Storico-filologico
b) Sistematico

a) Il filone storico-filologico è il filone più brillante, ma meno produttivo. La storia deve insegnare
l’approccio al diritto, che si basa sulla filologia, cioè sull’analisi minuziosa dei testi. Si sviluppò
soprattutto i Francia dove i giuristi culti (dotti) riscoprirono la tradizione gallica preromana. Il
giurista più importante, simbolo della metodologia storico-filologica, è Jack Pujas (Giacomo
Puiacio) della seconda metà del ‘500. Lui si occupò dell’analisi del corpus per la pubblicazione
in Francia. Un altro autore di questo filone è Francois Hotman, più aggressivo e polemico.
Scrisse 2 importanti opere: “Franco-Gallia”, scritta nel periodo delle guerre di religione tra
cattolici e ugonotti (protestanti francesi). Durante le guerre di religione in Francia nasce la teoria
del diritto fondamentale, poiché i giuristi spaventati stabilirono che gli uomini in quanto tali
hanno dei diritti fondamentali che devono essere rispettati. Per Hotman queste leggi sono scritte
nella tradizione gallica, preromana. L’altra opera importante di Hotman del 1567 è l’
“Antitribonianus” che dato il successo diede vita ad un movimento di pensiero:
l’antitribonianesimo. L’opera contiene una parte distruttiva (pars destruens) e una costruttiva
(pars costruens). Nella prima parte si oppone alla tradizione giuridica occidentale, accusando
soprattutto Glossatori, commentatori e Giustiniano e Triboniano. Nella seconda parte si
contraddice, poiché Hotman non propose di gettar via il diritto romano, ma per salvarlo il re di
Francia dovrebbe convocare una commissione di giuristi che dovrebbe estrarre dal diritto
romano alcuni principi da riunire in 1 o 2 volumi, scritti in lingua francese. Hotman non fu in
grado di superare il diritto romano, ma anticipò l’idea di semplificazione che sfocerà poi nelle
codificazioni. Fondamentale fu anche la sua idea di scrivere i 2 volumi in francese, poiché iniziò
a diffondersi la concezione per cui il diritto deve essere accessibile a tutti.
Il filone storico-filologico si sviluppò in Francia poiché lì c’erano le condizioni politiche e religiose
necessarie. Dal primo punto di vista in Francia c’era l’unità del Paese e un sovrano che può fare
diritto, al contrario dell’Italia che invece era divisa e non poteva rinunciare al diritto comune. Dal
punto di vista religioso, la Francia afferma la sua autonomia rispetto a Roma e grazie alla forte
identità tra potere civile e potere religioso la Francia potè creare un diritto proprio.

Lezione 27/04
b) Il filone sistematico si basa su un’opera andata persa di Cicerone, il “De iure in arte redigendo”
(sulla sistemazione del diritto in forma di arte). Cicerone sosteneva quindi che il diritto fosse
una forma d’arte e quindi dovesse essere rimodellato come una statua. Per dare al diritto un
nuovo sistema, il filone sistematico si rifà alle Institutiones di Gaio che raggruppa il diritto in tre
nuclei: Personae, res e actiones. Anche gli umanisti, come Gaio, mettono al primo posto le
persone, poiché pongono l’uomo al centro dell’ordinamento giuridico. Questo primato ha
influito sull’attuale costituzione (Diritti della persona) e il Codice civile (Sulle persone Libro I).
le cose diventano il secondo oggetto della riflessione degli umanisti, poiché vissero in un
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periodo sereno. Le actiones sono i modi per conquistare e perdere i diritti e il modo per
difendere i diritti, il processo.
Il diritto moderno (‘500 a ‘800) si è sviluppato in due direzioni:
1. Il diritto come sistema. SISTEMATICA (concezione di un giurista);
2. Il diritto è creazione (concezione del sovrano)

L’umanesimo ha dato vita al primo filone: uno dei rappresentanti dell’umanesimo sistematico fu
Francois Connon, allievo di Alciato, nelle seconda metà del ‘800 scrisse i Commentari Iuris Civilis,
in cui mise ordine alle norme creando un sistema di fonti. Un altro esponente dello stesso periodo è
Ugo Donello (Huges Doneaus), anche lui autore dei Commentari Iuris Civilis, in cui crea un
parallelismo tra linguaggio e diritto.
Donello commenta il ius civile, diritto romano antico, sostenendo che esso non si può piegare alla
volontà né di Salvio Giuliano (giurista privato), né di Giustiniano. E sostenne: “Come Giustiniano
non può mutare il significato della lingua dato che le parole dipendono dall’uso del popolo e non
dall’arbitrio di un uomo, così il metodo dev’essere quello prescritto dalla natura delle cose”. Quindi
così come Giustiniano non poteva cambiare il significato delle parole, così dal punto di vista
giuridico non poteva cambiare le cose, dato che il diritto è inscritto nella natura. Quindi il sistema
sta nel fatto che il diritto è inscritto nella natura. Dato che la natura mette al primo posto l’uomo,
poi le cose e poi le azioni così bisogna fare anche nel diritto. Questi concetti verranno poi ripresi da
Savigny, quando si oppose alla codificazione napoleonica, poiché intendeva cristallizzare il diritto
secondo la volontà di un capo. Invece il diritto deve essere frutto dello spirito del popolo e non dei
capi politici. Quindi la tesi di fondo è che il diritto dev’essere fatto dai giuristi e non dai politici.
Sia con l’umanesimo che con il medioevo il diritto si basava sulla natura. I medievali si rifecero ad
Aristotele, che sosteneva che la natura è sostanza e bisogna distinguere la natura naturans
(elemento creatore) natura naturata(il mondo creato). Quindi le opere di diritto romano coincidono
con Dio. L’umanesimo invece si rifà alla concezione stoica, secondo cui la natura coincide con
l’ordine e la necessità. Quindi il sistema del diritto deve riprodurre l’ordine. Il grande merito degli
umanisti fu quello di inserire il diritto tra i saperi, creando l’enciclopedismo. La novità rispetto al
medioevo che il diritto non ha più il primato tra le scienze, ma è messo al pari degli altri saperi. Nel
medioevo infatti si considerava che il diritto inglobasse tutte le altre scienze.
Nel ‘400 c’è la crisi delle università, in seguito alla crisi della scuola di Bologna. Quindi gli studiosi
del diritto si spostarono negli studi professionali. Per questo motivo iniziarono ad occuparsi del
tractatus (opere monografiche su un singolo argomento, ma principalmente dei consilia, cioè
raccolte di pareri date negli studi). I consilia ebbero molto successo per lo sviluppo della stampae
perché servirono come modelli per gli avvocati. Questo fu possibile perché il diritto era molto
statico e si basava sul principio di autorità. I consilia erano di 2 tipo in base al destinatario:
1. I consilia judicialia sapientis, richiesti dai giudici, diffusi in Germania;
2. I consilia pro veritate, richiesti dalle parti, diffusi in Italia.

1. Poiché i giudici erano scelti per saggezza e autorità, non avevano cultura giuridica, per cui il
giudice era detto idiota iuris, quindi per prendere le decisioni si basavano sui pareri dei giuristi.
Questo meccanismo si oppose al principio iura novit curia (il diritto lo conosce il tribunale). Il
giudice si pronunciava secondo il consilium e vi si atteneva per motivi di convenienza. Se il
giudice alla fine del suo mandato dimostrava di essersi attenuto al consilium, si cautelava nel
giudizio di responsabilità. Questo era possibile perché l’autoritas dei consilia aveva molto
valore.
2. Gli altri consilia non erano un’analisi di fatto, ma riguardavano l’impostazione giuridica, che era
detta pro veritate perché si fingeva che l’avvocato fosse dalla parte della verità e non del cliente.
I consilia si basavano sulla pro contra solutio, poiché il dotto prima illustrava la tesi del suo
assistito, poi quella opposta ed infine la soluzione.

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I consilia erano importanti anche perché rispecchiano una mentalità del giurista del ‘4-500. Una
mentalità probabilistica e casistica. Probabilistica perché si rifacevano al meccanismo aristotelico:
o l’uomo arriva alla verità o bisogna accontentarsi dell’opinione dei dotti, attraverso la concezione
probabile. Casistica perché mentre oggi la legge è generale e astratta, nell’età moderna si sosteneva
che il giurista si formava attraverso la prassi, quindi in modo casistico, cioè conoscendo tutti i vari
casi esposti nei consilia.
La nascita della stampa portò alla pubblicazione di moltissimi consilia che determinarono molta
confusione , per questo i giuristi del ‘500 utilizzarono la communis opinio:mettendo insieme tutti i
vari pareri dei precedenti giuristi su una determinata fattispecie si poteva trovare quale fosse la
visione più accreditata. La communis opinio è un sistema che poggia su un requisito qualitativo
(deve essere seguita da molti giuristi) e qualitativo (l’opinione dev’essere convincente e persuasiva,
quindi deve provenire da giuristi accreditati). Infatti i giuristi dicono ratione non numero sunt
ponderate (la ratio, non la quantità delle opinioni va ponderata, quindi va considerata la capacità di
convincimento). Comunque i giuristi definiscono la communis opinio un’ancora, cioè un sistema
endogiurisprudenziale di certezza (prima volta che compare il concetto di certezza del diritto). Il
primo elemento a rendere il diritto incerto è il giurista, seguito dalla pluralità di fonti. Nell’età
moderna il giurista tenta di risolvere il problema della certezza del diritto nel sistema
endogiuriprudenziale, intendendo per giurisprudenza la cultura giuridica.
La communis opinio presenta anche dei limiti: innanzitutto l’instabilità, poiché si troverà sempre un
altro giurista con un’opinione differente; in secondo luogo essa determina una stasi culturale, poiché
lascia il conformismo scoraggiando le opinioni innovative. Infatti il giudice tendeva ad attenersi alla
communis opinio, poiché tra 3-400 nei comuni del sud venne creato il sindacato degli officiali, un
processo contabile a cui un magistrato veniva sottoposto all’inizio e alla fine della carica. Se veniva
dimostrato che il giudice aveva emesso delle sentenze erroneamente per dolo o colpa grave, doveva
pagare una multa; se però dimostrava di essersi attenuto alla communis opionio veniva giustificato.

Lezione 28/04
Nel ‘500 i consilia cominciarono a cadere in desuetudine quando la cultura giuridica si spostò verso
il tribunale; non ci si basava più sul consulente, ma sul magistrato. Quindi non si utilizzavano più i
consilia, ma si diffusero le decisiones, frutto della centralità dei grandi tribunali. Questi
cambiamenti portarono alla nascita dello Stato moderno. Lo stato moderno si formò in Europa
occidentale dal ‘300 al ‘500. Si basava sull’accentramento del potere e sul rapporto tra i soggetti
che era erga omnes, cioè uno comanda su tutti. I limiti dello Stato erano le forze centrifughe, come
il feudo e i comuni, che rallentarono la formazione dello Stato, ma anche la Chiesa, poiché lo Stato
voleva costruire una centralità anche dal punto di vista religioso. Lo Stato combattè su questi fronti,
innanzitutto ampliando il territorio e creando una struttura di officiales (funzionari) che lo
controllasse. Questa struttura era composta da due rami: l’esercito e la burocrazia. Innanzitutto
cambiarono le dimensioni dell’esercito, che si rinnovò grazie all’invenzione della polvere da sparo,
grazie alla quale cambia il reclutamento dell’esercito. Mentre nel medioevo il militare era il
cavaliere nobile che affiancava il re; mentre nello stato moderno serviva l’esercito di massa, in cui
era importante la quantità. Il sovrano però doveva scegliere l’expertus, cioè colui che aveva
experientia, quindi il militare non veniva più scelto per fiducia. Anche i burocrati venivano scelti tra
quelli che avevano experientia; mentre nel medioevo l’officium(carica pubblica) era affidato sulla
base del rapporto personale, ora invece ci si basava sull’experientia. Quindi si passa dall’officio
imperniato sull’honor ad un basato sulla virtus (merito). Il passaggio dall’honor alla virtus
determinò anche un cambiamento sociale poiché dal ‘500 in poi il ceto dirigente sarà caratterizzato
dal ceto medio e non dalla nobiltà. E i primi a trarne vantaggio furono sicuramente i giuristi che
appartenevano quasi sempre al ceto medio. Weber sosteneva che l’officiale nuovo, cioè il
funzionario virtuoso aveva un rapporto diverso con il sovrano, basato sull’imparzialità.
l’impersonalità e la retribuzione.

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L’imparzialità: nell’epoca medievale, se il dominus dava un officio a qualcuno, esso svolgeva la


sua funzione in modo fazioso, nel suo interesse. Nell’età moderna il funzionario dev’essere
imparziale e non deve avere interesse di partito.
L’impersonalità: nell’età moderna il burocrate deve svolgere il suo compito in modo impersonale.
L’officium è neutro, non dipende da qualcuno in particolare. Mentre nel medioevo la funzione era
strettamente legata al soggetto che la svolgeva, poiché dipendeva dal rapporto di fiducia con il
sovrano.
La retribuzione: nell’età moderna all’officiale doveva essere pagato per aver svolto il suo compito.
Nel medioevo l’officium prevedeva il lucro che l’officiale doveva ricavare dalla carica.

Conseguenze giuridico-istituzionali.
Max Weber sostenne che lo Stato moderno nacque per razionalizzare. E i ceti più produttivi, la
borghesia, che non riusciva ancora ad affermarsi doveva equiparare il potere politico al suo potere
economico. Per far ciò quindi avrebbe dovuto allearsi con il re, affinchè quest’ultimo creasse delle
condizioni favorevoli: in particolare delle condizioni di certezza nell’investimento patrimoniale.
Quindi la certezza economica doveva avere anche uno scenario di certezza giuridica (quindi
normativa). Il sovrano in cambio avrebbe ottenuto il monopolio della forza e quindi il monopolio
della giustizia. Infatti nell’Antico regime (prima della riv. francese) lo stato non aveva il monopolio
della giustizia, che non era esclusiva (ad es. la giustizia canonica, quella feudale). Mentre nell’età
medievale il re era princeps iudex poiché non creava, ma custodiva il diritto, quindi si limitava a ius
dicere; in età moderna il sovrano sente il bisogno di produrre il diritto, quindi di condere legem, in
modo che la giustizia fosse esecuzione della sua volontà (della voluntas principis). Per questo
motivo il sovrano istituì i tribunali, in modo che applicassero le sue norme (essendo organi di diretta
emanazione del principe). Tra il ‘4-500 quindi inizia l’età dei grandi tribunali, poiché i sovrani
europei si rendono conto che devono avere degli organi di loro creazione, detti grandi perché sono
tribunali di vertice che fanno giustizia in ultimo grado. L’età dei grandi tribunali iniziò dal ‘500 ed
andò ad affievolirsi nel’700.
I grandi tribunali volevano dar vita ad un’unificazione interna ed esterna del diritto. Quindi
attraverso una corte di giustizia che esprimesse la sua voluta, il sovrano voleva unificare il diritto
all’interno dello stato. Infatti fino a quel momento lo stato fu caratterizzato dalla pluralità di fonti: il
diritto comune, gli statuti, le corporazioni, le consuetudini e il ius regni (leggi del sovrano). La
pluralità di fonti venne definita particolarismo, che può essere oggettivo (sulla stessa materia
converge una molteplicità di fonti) o soggettivo (ogni ceto sociale aveva regole che lo tutelavano, sa
di diritto sostanziale che procedurale). Il grande tribunale voleva unificare le varie fonti attraverso
una giurisprudenza uniforme. Il modo per raggiungere l’unificazione interna allo stato era quindi
attraverso un’uniformi iudicatio, cioè usando sempre le stesse fonti.
L’unificazione esterna allo stato era dovuta all’attività dei tribunali che si scambiavano
informazioni, creando in questo modo linee di uniformità del diritto europeo. Esistevano 2 tipidi
tribunali: le rote e i senati.
Le rote erano composte da soggetti che erano o giuristi o avvocati o anche non giuristi che
svolgevano per un periodo temporaneo la posizione di giudici; e spesso erano stranieri. La rota più
famosa era la sacra romana rota, essa era guidata dal Papa e aveva una competenza
sovranazionale. La sacra rota si occupava di questioni religiose o tipiche del diritto canonico.
Il senato nacque come assemblea giudiziaria; venne così chiamata in omaggio al senato romano,
che era un’assemblea di persone sagge. I magistrati dei tribunali erano giudici di professione e
venivano scelti in base al merito. Dal ‘5-600 si diffusero le raccolte di decisiones, cioè sentenze
selezionate e pubblicate a stampa da un giudice del tribunale. Le decisiones però erano resoconti
privati, non ufficiali e quindi, il tribunale non doveva attenersi. La tipologia di decisioni dipendeva
dal tribunale : la decisio in senso stretto era tipica della rota; la decisio report era tipica del senato.
La decisio rotale è uno schema, una proposta di sentenza. Il ponens, soggetto relatore, decideva di
pubblicare la proposta di sentenza e la sottoponeva all’attenzione dei suoi colleghi, degli avvocati e
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delle parti che potevano o no accettarla. Inoltre le rote indicavano i punti chiave (motiva) che
avevano portato il tribunale a determinare una data sentenza. La decisio senatoria è il report, il
nome venne dato dagli storici, poiché significava resoconto e quindi esprime bene il compito del
giudice che pubblica la decisio. Il report era un resoconto di ciò che era accaduto nella camera di
consiglio ed era fatto da un giudice che aveva partecipato alla discussione. Nel common law era
fondamentale il vincolo del precedente; ma mentre nelle decisio inglesi il case (caso) era basato
soprattutto sulla descrizione e sul racconto dei fatti, le decisiones continentali (europee)
presentavano una breve descrizione del caso che era soltanto abbozzato, ma erano costituite
principalmente da disquisizioni ed analisi di diritto, quindi delle varie tesi e teorie; in particolare
secondo la formula pro contra solutio. Pro è la prima tesi a caso, contra è la tesi contrapposta e la
solutio è la sentenza. Nonostante il report fosse un resoconto, spesso non c’era assoluta fedeltà alla
verità dei fatti, poiché nelle decisiones prevalevano le discussioni di diritto e non il reale
svolgimento delle assemblee nelle camere di consiglio. Quindi il report può essere considerato una
rielaborazione dottrinale. I report si rifecero al sistema di common law. Gino Gorla, prof del’900,
studiò il rapprorchment, l’avvicinamento tra common law e civil law riguardo al vincolo del
precedente. Anche se poi nell’800 in Europa si diffuse il codice, mentre in Inghilterra rimase il
precedente, durante l’età moderna ci fu un avvicinamento tra questi due sistemi: dovuto al fatto che
i giudici, autori di decisiones, volevano affermare la forza di legge del precedente giurisprudenziale,
e quindi renderlo vincolante. Le pretese dei tribunali crearono però dei conflitti con il sovrano, che
invece pretendeva di produrre il diritto. Infatti i magistrati esponevano questa teoria con cautela;
sostenendo infatti che il precedente vincola quando manchi una legge sul caso specifico. In questo
modo i tribunali quindi tentarono di acquistare potere. Inoltre, poiché nell’età moderna erano
presenti vari diritti, quello comune, quello canonico, le consuetudini e le corporazioni, la mancanza
delle condizioni di certezza permise di dare valore alla pretesa dei tribunali, rendendo il precedente
vincolante. I giuristi che pubblicavano le decisiones stabilirono parametri e condizioni per utilizzarli
come precedenti. Il primo requisito era la doppia conforme per cui non tutti i precedenti meritavano
il rango di precedenti vincolanti tranne quelli che registravano per due volte in due processi diversi
il parere conforme del tribunale. Il secondo requisito era maxima cognitio causae per cui non tutti i
precedenti erano vincolanti, ma solo quelli su cui i giudici si erano a lungo soffermati nelle
discussioni in camera di consiglio.

Lezione 29/04
Rivoluzione scientifica.
Rivoluzione scientifica si sviluppò tra ‘5-600, determinando un cambio di prospettiva nell’Europa
occidentale. La rivoluzione scientifica fu frutto del pensiero di grandi personaggi come Cartesio,
Newton, Galilei, Bacone, i quali si opposero all’aristotelismo, pensiero tipico dell’età medievale. La
rivoluzione scientifica invertì il metodo della conoscenza: mentre per Aristotele esiste una visione
adeguazionistica, per cui la mente umana si adegua alla realtà esterna, per la rivoluzione scientifica
si passa al relativismo poiché non esiste una conoscenza oggettiva, ma essa dipende sempre dal
soggetto conoscente. La rivoluzione scientifica ha scardinato molte certezze dei giuristi. La
communis opinio si basava sul consensus, cioè il pensiero dei dotti e dei saggi. Questa concezione
viene scardinata perché, se ad es. consideriamo i dotti degli idioti andiamo a minare la credibilità
del consendus. Bacone nel novum organum (dall’organum di Aristotele, che significa intelletto,
logica), descrive un nuovo modo di concepire la conoscenza. Alcuni epistemologi, studiosi della
conoscenza dissero che con Bacone si era instaurato il principio di incommensurabilità dei
paradigmi conoscitivi in competizione. poichè mentre fino ad Aristotele la conoscenza era
considerata un accumulo; per Bacone la conoscenza non procedeva per accumulo, ma per punti di
vista che sono incommensurabili, cioè non paragonabili. Quindi mentre il consensus per Aristotele
era il punto di vista dei saggi, per Bacone il consensus è sinonimo di errore, infatti riprende il detto
di Focione, che quando salì sul palco venne molto applaudito e si chiese cosa stesse facendo di
sbagliato. Quindi la posizione tipica di Bacone è la critica al consensus, quindi il consenso è più
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sinonimo di errore che di correttezza. Il cambiamento è temuto dal potere perché è considerato
sinonimo di disordine, ma afferma che è necessario rovesciare le certezze acquisite nonostante le
resistenze che il potere opporrà al cambiamento. Per Bacone la stranezza sta anche nel fatto che il
“il consenso che doveva essere affossato, è stato esaltato (consenso scientifico); e il consenso che
doveva essere esaltato è stato affossato (consenso politico)”. Quindi nell’età moderna la scienza
deve essere frutto dell’esperimento e non del consenso dei saggi. Quindi bisognava abbattere questo
consenso scientifico con la conoscenza dei saggi. Quindi bisognava abbattere questo consenso
scientifico con la conoscenza sperimentale, non basandosi sull’a priori, ma sull’a posteriori, quindi
sull’esperienza. Il consenso che doveva essere esaltato invece era quello politico, invece durante
l’età medievale non c’era la discussione politica e nessuno si poneva il problema di chi doveva
rappresentare il popolo. Tra l’Aristotelismo e la rivoluzione scientifica si affermò anche un
cambiamento del concetto di probile. Prima rivoluzione probabile era ciò che gode dell’approbatio
dei saggi; dopo Bacone probabile è ciò che ha maggiori probabilità di accadere o di non accadere.

Riflessi giuridici della rivoluzione scientifica.


I riflessi giuridici furono:
1. Interesse per la quantità;
2. Ideologia economica;
3. Efficientismo;
4. Libero scambio
5. Contrattualismo;
6. Giusnaturalismo;
7. Illuminismo.

1. Il mondo contemporaneo ritiene che la rappresentanza degli interessi si basi sulla quantità, sulla
moltitudo, criterio rappresentativo subentrato alla ratio. Anche la rivoluzione scientifica si
basava sulla quantità perché era legata alla materia e non allo spirito.
2. La rivoluzione scientifica, nella seconda metà del ‘600, inserì nel mondo del diritto l’ideologia
economica, cioè fece capire ai giuristi che è fondamentale per la riforma del diritto e delle
istituzioni tener conto del dato economico. L’ideologia economica si basa sull’efficientismo che
è il metodo per snellire le procedure decisionali e sul liberismo, cioè una corrente economica
che sostiene che l’arricchimento derivi dalla libertà da vincoli (inizia a diffondersi il porto
franco, la libertà di attraccare a dei porti senza pagare il dazio).
3. L’efficientismo sosteneva che per risparmiare le risorse secondo i seguaci della rivoluzione
scientifica e dell’ideologia economica, fosse necessaria più rapidità ed efficienza nelle decisioni,
quindi attraverso decisioni individuali. Ad es. in Spagna tutte le decisioni venivano prese dal
Consejos (si legge consecos). I seguaci della rivoluzione scientifica cedettero che per rendere lo
Stato più efficiente bisognasse sostituire i consejos con un soggetto che agiva direttamente dal
comando del sovrano ed era detto Valìdo.
4. Il liberoscambismo è importante dal profilo giuridico. Nel diritto privato i liberisti sostenevano
che la proprietà si trasferisse con il semplice consenso. Per il diritto comune, ed in seguito per i
medievali, invece valeva il principio per cui la proprietà si poteva trasferire solo in seguito alla
consegna (traditio); quindi dicevano nudum factum obligationem non parit (il nudo patto non
genera obbligazione). Ad opporsi a questa linea interpretativa furono i canonisti, i quali
ritenevano che il semplice patto generasse obbligazione. Infatti poiché la società è espressione
diretta di una volontà superiore, bisogna credere alla buona fede degli uomini. Per questo i
canonisti diedero una spinta al ius mercato rum (diritto dei mercanti).
5. Il contrattualismo, in senso giuridico-politico è la tesi per cui lo Stato è il prodotto di un
contratto; la società è frutto di un accordo. Quindi mentre per gli Aristotelici la società civile è
un prodotto naturale, per i contrattualismi (studiosi della rivoluzione scientifica) è un prodotto
artificiale. Il contrattualismo è una delle facce del giusnaturalismo.
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6. Il giusnaturalismo, nacque con la rivoluzione scientifica e dopo la riforma della Chiesa; infatti
il giusnaturalismo non credeva nella natura rivelata, a la natura si rivela in ognuno di noi. Infatti
per la rivoluzione scientifica la conoscenza nasce dai fatti a posteriori e quindi è soggettiva e
relativa. Quindi anche il diritto è soggettivo, si relativizza, poiché è presente in ognuno di noi.
7. L’illuminismo è una corrente del ‘700, antistorica. L’illuminismo vuole portare la luce nelle
tenebre e detesta il passato; infatti è il movimento di pensiero più rivoluzionario. L’illuminismo
nasce dalla rivoluzione scientifica, poiché si basava sul materialismo, sul concreto e quindi
sull’a posteriori (l’esperienza).

Lezione 5/05
Nascita del giusnaturalismo moderno.
Il giusnaturalismo è la coscienza del singolo di stabilire cosa è giusto e cosa non lo è; come la
conoscenza è un fatto relativo, lo è anche il diritto. Bobbio definisce il giusnaturalismo dualismo in
quanto si basa su 2 fondamentali fonti del diritto, che sono la natura e il diritto positivo. Mentre il
giusnaturalismo è dualistico, il giuspositivismo è monistico e ammette come unica fonte il diritto
positivo. Il diritto positivo (ius positum) è il diritto posto da un’autorità legittimata a porlo (ad es. la
costituzione italiana, poiché è posta dallo stato). Nell’età moderna il giusnaturalismo nacque in
seguito alla riforma protestante. Il punto in comune tra i giusnaturalismi e i protestanti sta nel rifiuto
della mediazione. Così come per il primo la coscienza dell’individuo può attingere direttamente al
diritto senza mediazione, per il secondo l’uomo può leggere le sacre scritture senza la mediazione
della Chiesa. Il giusnaturalismo si diffuse soprattutto in Inghilterra e in Germania e non in Italia,
data la sua cattolica. Il padre del giusnaturalismo moderno è considerato Ugo Grozio, olandese della
1° metà del ‘600. Grozio fu uno studioso dell’economia, materia esplosa in seguito al
protestantesimo. Questa tesi è sostenuta da Weber che nella ”Etica protestante e lo spirito
capitalistico”, afferma che per i protestanti l’arricchimento era un segno della grazia di Dio e quindi
l’uomo religioso aveva il dovere di affermarsi nella società. Infatti i paesi leader del capitalismo
furono quelli protestanti: l’Inghilterra e gli Stati Uniti. L’opera più importante di Grozio è il “De
iure belli ac pacis” (1625), (sul diritto della guerra e della pace), basata sullo spirito arminiano: di
Arminio, calvinista olandese che sosteneva che la salvezza dell’anima dipendeva non solo dalla
grazia, ma anche dalle opere. Quindi questa tendenza sottolinea la visione religiosa di Grozio.
Grozio nell’opera vuole trovare nell’Europa che si sta sviluppando con la nascita degli Stati un
ordine politico. La base per questo nuovo ordine è il principio pacta sunt servanda (i patti vanno
rispettati). Poiché per Grozio il diritto ha una base pattizia, questa base è presente anche nel diritto
internazionale e privato. Nel diritto privato quindi Grozio afferma il carattere consensuale del
contratto, cioè il consenso è sufficiente al trasferimento della proprietà (idea sostenuta per prima dai
canonisti). Sempre nella stessa opera Grozio afferma che il diritto naturale sarebbe valido anche se
Dio non esistesse quod absurdum est (il che è assurdo). Grozio quindi rifacendosi a Cartesio che
sosteneva che Dio fosse l’orologiaio a riposo, cioè che avesse costruito il modo, ma non
intervenisse per regolarlo, lui sostiene che la natura non è Dio e lo stesso vale per il diritto naturale
che procede da solo, senza che Dio intervenga. In seguito alla guerra dei 30 anni (1618-1648)
Grozio intervenne anche sul diritto internazionale, ritenendo necessario porre anche la guerra sotto
le regole del diritto, per porre rimedio all’imbarbarimento dovuto al momento di maggiore pazzia
degli uomini. Grozio distinse nel diritto internazionale delle regole del pacta sunt servanda: le
regole di natura in senso stretto (regole nascono dall’istinto dell’uomo) dette del ius naturale e
regole che nascono dalle consuetudini dell’uomo (ius gentium).

Filone inglese del giusnaturalismo moderno.


Il giusnaturalismo moderno inglese ha avuto due fondamentali esponenti: Hobbes (1° metà ‘600)
Locke (2°metà ‘600).
Hobbes

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Il periodo in cui visse Hobbes fu caratterizzato dalla 1° rivoluzione inglese (1640-1642), che
scoppiò per lo scontro tra il re Carl Stuart che iniziò a pretendere di creare le leggi e il Parlamento,
che sosteneva che le leggi di Inghilterra fossero le consuetudini. La rivoluzione portò alla
decapitazione del re. La situazione politica influì sulla posizione di Hobbes, che sosteneva che i
comportamenti politici nascono da pulsioni interne dell’uomo. Infatti definì la società il bellum
omnium contra omnes (la guerra di tutti contro tutti). Mentre Grozio ha una visione ottimistica della
società, intesa come luogo del mercato dove gli uomini si arricchiscono e accontentano se stessi e
Dio, Hobbes ha una visione pessimistica, considerando la società il luogo in cui gli uomini sono
l’uno contro l’altro (homo hominis lupus). Hobbes propone come soluzione la stipulazione di un
patto: gli uomini devono uscire dello Stato di natura e devono entrare in uno stato civile. Mentre per
Grozio il contratto era un factum societatis ispirato alla voglia di vivere meglio (appetitum
societatis), per Hobbes il contratto nasceva dalla paura e dalla voglia di sicurezza , quindi era un
pactum subiectionis (patto nato dalla voglia di dipendere da qualcuno che si impegni alla “nostra
protezione”). Nell’opera il “Leviatan” Hobbes spiega che gli uomini con questo accordo si
assoggettano ad un soggetto esterno , che è il sovrano, detto leviatano (nome de l mostro biblico che
si nutre mangiando le sue creature). Il nome spiega che Hobbes non è fiducioso neppure di colui al
quale si sottomette, ma la sottomissione è vista come l’extrema ratio, l’unica soluzione. Infatti il
sovrano non stipula il contratto con i cittadini, ma non ne rimane estraneo. Questo concetto di
sottomissione nel diritto privato è inteso come contratto a favore di terzi, cioè un accordo tra due
soggetti a favore di un terzo che non entra nel contratto, ma trae da esso solo vantaggi. Nel pactum
subiectionis il sovrano ha tutti i diritti e nessun dovere verso i sudditi. L’unico caso in cui i sudditi
possono sottrarsi al sovrano e rompere il contratto si ha quando il sovrano non garantisce la
sicurezza fisica, motivo per cui gli uomini gli si assoggettano. Per Hobbes lo stato non interviene
per assicurarsi la sicurezza interiore, ma deve occuparsi solo della salvezza fisica.
In un’altra opera importante, il De cive, (sul cittadino), Hobbes enuncia la sesta legge di natura:
nullum crimen nulla poena sine legem (nessun crimine e nessuna pena senza legge). La formula
equivale al principio di legalità del diritto penale. Esso sostiene che nessuno può essere sottoposto a
pena o può essere accusato di un crimine se non ha commesso un reato, preventivamente
classificato come reato o una pena già classificata come pena. Quindi per Hobbes il sovrano deve
essere chiaro nel rapporto con i sudditi e la libertà è lo spazio lasciato libero dall’assenza dei divieti,
imposti dal sovrano. Gli uomini possono fare tutto ciò che non è vietato dalla legge. Per Bobbio,
Hobbes è un giusnaturalista in partenza (società=guerra di tt contro tt) e un giuspositivista in arrivo
(contratto sociale, factum subiectionis). Hobbes si allontana dalla tradizione inglese del common
law e quindi dal precedente. Infatti riteneva che il diritto dovesse essere costituito da regole chiare e
certe poste dal sovrano che deve occuparsi della sicurezza fisica e deve imporre i divieti.
Locke
Locke visse durante la 2° rivoluzione inglese (1688), la cosidetta rivoluzione senza sangue che
portò all’ascesa di Guglielmo d’Orange e alla creazione del re rappresentativo e le vere funzioni di
potere erano nelle mani del governo e del parlamento. Locke fu il nuovo ideologo di questo nuovo
clima, e fu il rappresentante del liberalismo conservatore. Locke come i suoi predecessori riteneva
che fosse necessario un contratto per il passaggio dallo stato di natura a quello civile, ma come per
Grozio, la sua posizione è ottimistica. Per Locke dato che le leggi sono le consuetudini, già nello
stato di natura esiste un certo diritto. Il passaggio allo stato civile per gli uomini fu dovuto alla
presenza dei limiti nello stato di natura. Lo stato di natura per Locke migliora la condizione
dell’uomo perché ha una funzione dichiarativa e non costitutiva, cioè si limita a riconoscere e non a
creare alcuni diritti fondamentali dell’uomo, che sono la libertà, l’integrità fisica e la
proprietà(diritti tipici del liberalismo conservatore inglese). Questi diritti naturali si mantengono
inalterati nella società civile che ha il compito di fare da guardiano, assicurando il godimento dei
beni. Mentre per Hobbes i sudditi hanno la libertà di (fare ciò che non è vietato); per Locke i
cittadini hanno la libertà da (non essere vincolato da ciò (i vincoli) che lo stato ordina). I cittadini
devono accettare le regole dello stato finchè non intaccano i tre diritti fondamentali. Se i diritti
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vengono intaccati dallo stato, il cittadino può opporsi con il diritto di resistenza, cioè può resistere
alla volontà dello stato.

Filone tedesco del giusnaturalismo moderno.


La Germania si basa su due direttrici:
a) Filone volontaristico
b) Filone razionalistico

a) Il primo filone sostiene che è diritto di natura quel diritto che un sovrano illuminato trasforma
in legge positiva. Pone l’accento sulla volontà del principe.
b) Il diritto di natura si impone da sé, poiché ha un’oggettiva personalità e nel contrasto con il
sovrano prevale la natura.
I rappresentanti del 1° filone furono Pufendorf e Thomasius, tedeschi, dell’area protestanti e che
sostennero un pensiero pessimistico.
Pufendorf sostenne che il diritto naturale deve essere una guida per il legislatore che deve
trasformare in legge il diritto di natura. Per Pufendorf bisogna indagare su cosa sia la legge rispetto
agli altri comandi a cui l’uomo è sottoposto. Per Pufendorf il problema del tipico (il proprium) del
diritto: è una norma giuridica il comando munito di sanzione che un superiore impone al subalterno.
Solo lo stato può indicare una sanzione fisica. Il giusnaturalismo di Pufendorf sta nel fatto che il
legislatore deve porre questa norma sulla base del diritto naturale e deve trasformare in legge ciò
che la natura prescrive. Pufendorf è il primo a scindere la norma giuridica da quella morale, poiché
sostiene che la norma priva di sanzione è una norma etica. Così come Hobbes riteneva che il reato
non fosse il male in sé, ma il male poiché proibito, Pufendorf si rifà al suo pensiero sostenendo che
è reato ciò che è vietato dal diritto penale, mentre il male in se viene inteso come peccato. Lo stato
ideale per Pufendorf è paternalista, nel senso che segue i sudditi dalla culla alla tomba. Infatti il
suddito non è libero, ma è una pedina di uno stato forte e autoritario che lo protegge. Quindi a
questo periodo risalgono i grandi poteri politici dell’occidente:
1. Liberaliamo (Locke)
2. Assolutismo (Hobbes)
3. Socialdemocrazia (Pufendorf )

Lezione 11/05
Christian Thomasius.
La corrente volontaristica del giusnaturalismo tedesco sostiene l’esigenza di un’autorità politica, il
cui compito sia quello di trasformare la spinta naturale in norma. Altro esponente del filone
volontaristico, oltre a Pufendorf, è Christian Thomasius(filosofo come il primo). Thomasius
introduce la differenziazione fra i vari settori delle relazioni sociali;egli sostiene che i
comportamenti umani rientrino in tre classi:
1) honestum,cioè la sfera del comportamento morale;
2)decorum,la sfera della correttezza esteriore,del galateo;
3)iustum,la sfera del diritto.
La figura di Christian Thomasius si inserisce,a differenza di Pufendorf vissuto nella seconda metà
del Seicento, all’interno dell’atmosfera culturale illuministica.
Nella filosofia di Thomasius si evince il processo di laicizzazione del diritto,cioè di scissione fra
diritto e morale;il diritto dunque ha,dal giusnaturalismo in poi,un ambito d’azione proprio. La
conseguenza di tale scissione è che il diritto deve riguardare soltanto la sfera dei comportamenti
esterni all’uomo e non deve toccare la coscienza(la moralità). Le norme giuridiche non devono
interferire con i precetti morali o religiosi. Thomasius enuncia alcuni argomenti che mostrano il suo
atteggiamento di indifferenza nei confronti della morale o quanto meno indicano la volontà di
mantenerla distinta dall’ambito di applicazione del diritto:

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- Thomasius sostiene che l’eresia non deve essere più giudicata un crimine perché attiene al
c.d. “foro interno” e il diritto non può sconfinare dall’ambito esteriore.
- Lo stesso atteggiamento viene riservato da Thomasius verso la magia;nell’Antico Regime la
magia costituiva un reato ed ancora oggi il codice penale reprime il c.d. “abuso della
credibilità popolare”. Thomasius,nonostante la sua avversione verso la magia,che in quanto
tale è una componente irrazionale,crede che essa debba essere depenalizzata.
- Thomasius affronta anche il tema della tortura. Nell’opera “De tortura ex foris christianorum
proscribenda” (sulla tortura proscritta dai tribunali cristiani). Secondo Thomasius,sottoporre
il reo a tortura è contrario al principio di umanità del trattamento;mentre successivamente
Verri e Beccaria sosterranno l’abolizione della tortura e della pena di morte con argomenti
utilitaristici.

Filone razionalistico o giusrazionalistico(tedesco).


Il concetto principale che emerge da questa corrente di pensiero è che se esiste un diritto di natura,
esso si impone per la usa ratio oggettiva. La natura è razionale,quindi il diritto rappresenta il
tentativo di affermazione della oggettiva razionalità naturale. Gli esponenti più notevoli della
corrente razionalistica furono Leibnitz e Wolff.
Leibnitz, matematico e filosofo,ebbe con il diritto un rapporto ambiguo,in quanto il suo pensiero
presenta aspetti conservatori e aspetti progressisti.
Aspetti conservatori:
- ritenere la razionalità intrinseca del diritto naturale rappresenta un concetto ormai superato
nel settecento,infatti trova le sue radici nel giusnaturalismo medievale.
- Leibnitz inoltre fa propria la posizione dei giuristi tedeschi del suo tempo:il diritto che
merita il nome di natura,il diritto razionale,è il diritto che si è affermato nel corso della
storia,cioè il diritto romano giustinianeo. In questo modo egli riprende una tesi già contenuta
nell’editto di Orleans emanato da Filippo IV(“il dirittto romano è ratio scritta”)
- Leibnitz crede nel diritto come sistema di regole creato dal giurista,quindi abbraccia la
visione sistematica(contrapposta a quella di Pufendorf che credeva nel potere legislativo
dell’autorità politica).
- Mentre gli esponenti del filone volontaristico avevano affermato la scissione tra morale e
diritto,Leibnitz crede invece che la giustizia sia unica,assoluta ed oggettiva. Quindi con
Leibnitz si fa un passo indietro nel processo di laicizzazione del diritto.
Leibnitz è il primo giurista che cerca di razionalizzare il diritto con regole matematiche e tramite
metodi matematici formula le norme, ritenendo che in questo modo il diritto è reso in modo chiaro e
certo.
Aspetti progressisti:
Leibnitz diede un notevole contributo alle moderne codificazioni. Egli afferma che le norme devono
essere costituite attraverso un collegamento ferreo,logico tra soggetto e predicato(Leibnitz era un
logico-matematico). Le norme dell’Antico Regime erano costituite in modo diverso,poco
schematico e piuttosto prolisso,in quanto ogni norma conteneva nel testo anche la motivazione per
cui era stata emanata. Leibnitz invece sostiene la necessità che le norme presentino un’essenzialità
espositiva e logica.
Wolff,secondo esponente del giusrazionalismo, sosteneva che dovesse cambiare il pilastro su cui
sono costruiti i sistemi,in quanto doveva cambiare il concetto di soggetto giuridico. Nella tradizione
classica,il soggetto dell’ordinamento giuridico era chi lo subiva passivamente,il suddito, che si
trovava dunque in posizione subalterna. Wolff afferma,in concomitanza con le influenze
umanistiche dei secoli precedenti,che il soggetto, da elemento passivo,deve diventare “soggetto
attivo”,cessando di essere vittima dell’ordinamento giuridico. Inoltre il soggetto diventa nel
pensiero di Bolff un soggetto tendenzialmente unico:non deve più esserci un diritto specifico per
ogni ceto sociale,ma un unico diritto per tutti;in tal modo si vuole porre fine al particolarismo sia
sostanziale che processuale.
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Il giusnaturalismo francese. Domat e Pothier.


- Jean Domat(1625-1696),giusnaturalista, magistrato, amico di Pascal. Domat visse nella
Francia di Luigi XIV,che la storia ci ha tramandato come il simbolo dell’assolutismo. La
posizione di Domat è in contrapposizione dialettica con l’assolutismo. Domat scrisse
un’opera molto celebre,intitolata “Le leggi civili nel loro ordine naturale”(1689). Per leggi
civili Domat intende le leggi della civitas;il compito del giurista è quello di sistemare le
leggi civile(diritto romano e altre fonti) secondo l’ordine naturale,che le leggi già hanno. La
natura ha un suo schema che il giurista deve ricomporre. Le leggi si possono distinguere in
due categorie:leggi immutabili e leggi arbitrarie. Le leggi immutabili sono quelle del diritto
romano giustinianeo in quanto la loro immutabilità è dimostrata dalla storia. Le leggi
immutabili costituiscono un deposito legale e nessuno le può cambiare,nemmeno il re,il
quale deve limitarsi a riconoscerle. Il diritto romano è quasi totalmente incentrato sul diritto
privato;ne deriva dunque che il diritto privato è intangibile da parte del sovrano. Compito
del giurista deve essere quello di cogliere lo spirito di ciascuna norma e di ricostruire il
sistema quale esso è in natura. Accanto alle leggi immutabili esistono le leggi
arbitrarie,emanate dal re. Anche esse devono essere collocate dal giurista nel loro ordine
naturale. Domat sostiene che nella sfera delle leggi arbitrarie rientra anche il diritto
commerciale,emanato attraverso le ordinanze reali(mentre oggi il diritto commerciale rientra
nel diritto privato). Domat è favorevole alle leggi naturali ed è contrario a quelle del re
perché vuole limitare il potere assoluto del sovrano. Risulta chiaro che Domat e Pothier non
sono favorevoli alla codificazione,in quanto essa rappresenterebbe il risultato
dell’esclusivismo del sovrano nella gestione del potere legislativo;essi invece manifestano
una visione sistematica del diritto,a vantaggio del giurista.
- Robert Joseph Pothier è un personaggio noto anche ai giuristi positivi di oggi;Pothier era un
magistrato di Orleans(muore circa nel 1772). Nel 1740 pubblica un commentario alle
costume di Orleans;tale opera è importante perché rappresenta uno dei pilastri del diritto
europeo: Pothier vuole dimostrare come le consuetudini francesi possano essere armonizzate
fra loro. La Francia era stata da sempre caratterizzata da un forte pluralismo e nelle diverse
zone vigevano talvolta consuetudini completamente differenti. Pothier capisce che la
divisione tra le coutumes era un peso per la Francia e che il processo di unificazione
giuridica avrebbe condotto ad una maggiore certezza anche in campo economico. Così
l’opera di Pothier si configura come il primo passo verso la codificazione del 1804.
- Nel 1748 pubblica le “Pandette in novum ordinem Digestae” (Pandette organizzate in un
nuovo ordine del Digesto). Pothier segue l’ordine giustinianeo(Libri,titoli,paragrafi) però
arricchisce l’esposizione inserendovi regole nuove,le regole vigenti del diritto francese.
Quindi da una parte resta l’ordine vecchio,incentrato sul Digesto(il sistema),dall’altra
vengono inseriti contenuti nuovi(diritto francese). Alla fine di ogni titolo Pothier pone la c.d.
regula iuris,cioè la massima che si può desumere dalle parti precedenti. Pothier agisce in
modo diverso rispetto ai codificatori in quanto vuole mantenere il vecchio ordine(sistema
giustinianeo). Nonostante il loro pensiero fosse tutt’altro che orientato verso l’intento
codificatore, Pothier e Domat facilitano,con il loro apporto,la codificazione(eterogenesi dei
fini).
Il problema dell’illuminismo giuridico.
Il settecento è stato un secolo chiave per la modernità,il secolo dell’illuminismo e del
razionalismo,ma dal punto di vista giuridico si pone un problema centrale per gli storici: secondo
alcuni di essi non si è mai configurato infatti un illuminismo giuridico e gli illuministi non possono
considerarsi dei giuristi. Vi sono due orientamenti di pensiero,opposti:
a) storiografia idealista(Hegel,Croce,Gentile),secondo cui l’illuminismo giuridico ha danneggiato
meccanismi del diritto comune che in qualche modo funzionavano ancora e che non era il caso di
rigettare. Sostenitori di questa tesi sono gli storici italiani Francesco Calasso e Guido Astuti. La
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storiografia idealista ha sostenuto l’idea secondo cui la realtà risultava meglio regolata attraverso il
diritto comune,supportandola con alcuni argomenti:
1)pluralità di ordinamenti
2)extrastatualità del diritto.
1. la pluralità di ordinamenti è una forma di garanzia delle diversità. Ad es. chi non vedeva protetti i
suoi interessi dall’ordinamenti laico,poteva rivolgersi a quello ecclesiastico.
2.l’illuminismo ha distrutto l’illusione per cui il diritto veniva ritenuto quale insieme di norme
preesistenti,oppure nascenti dal basso,oppure dall’accordo di più ceti. L’illuminismo ha affermato il
concetto per cui è lo stato che produce il diritto.
b) storiografia marxiana:l’illuminismo,la Rivoluzione francese,i codici avrebbero semplicemente
rovesciato i rapporti di potere preesistenti. Prima della Rivoluzione francese il ceto dirigente era
quello nobiliare;l’illuminismo,ispiratore della Rivoluzione,fu la spinta che promosse la sostituzione
della borghesia alla nobiltà. Secondo i marxisti,quando gli illuministi ottennero le codificazioni, non
fecero altro che celare dietro la figura del cittadino e dietro un diritto apparentemente unico,la figura
del borghese,mentre il diritto codificato rappresentava non l’interesse comune,bensì l’interesse
borghese. La codificazione dunque è stata funzionale all’ascesa della borghesia.
Nell’età medievale e moderna il dominio era un dominio diviso,e dunque c’erano il dominus
eminens e l’utilista. Tale distinzione scompare con la codificazione in quanto emerge la figuara
giuridica della proprietà piena ed assoluta. Questa ,secondo i marxisti,è la dimostrazione più
evidente della funzione privilegiante della borghesia che il codice assunse.

Critica alle tesi marxiane.


I marxiani vengono accusati di anacronismo,cioè di guardare al passato con gli occhi di oggi: Marx
immaginava che già nel Cinquecento esistesse la borghesia come classe organizzata,pronta a
sostituirsi alla nobiltà. Al contrario,la società dell’Ancien Regime era una società “di stati”, cioè una
società in cui non contava tanto la posizione economica(la classe) ma quella sociale(lo
status),appunto i ceti. Quindi si può obiettare alla critica marxiana,che il sistema del diritto comune
era un sistema totalmente antidemocratico,in cui l’assetto del potere è appannaggio dei ceti forti,
non di quelli economicamente più avanzati. Marx afferma che la Rivoluzione francese avrebbe
nascosto dietro la facciata apparente del cittadino la figura emergente del borghese. Da una parte
bisogna ammettere che la Rivoluzione francese fu una rivoluzione borghese,ma bisogna anche dire
che questo nuovo gruppo di potere aprì la strada a quelli che da allora in avanti sarebbero stati man
mano i nuovi movimento emergenti(borghesi,socialisti,comunisti). Non fu abbattuto il privilegio,ma
si passò dall’arbitrio del privilegio al privilegio;la codificazione diventa un momento di
accertamento delle posizioni di potere(si apre uno spazio pubblico).

Istanze concrete dell’illuminismo giuridico.


L’illuminismo avanzò tre richieste di certificazione:
1) certificazione legislativa:si pretende una legge chiara,certa e conoscibile;la legge deve essere
generale ed astratta. I caratteri della generalità e dell’astrattezza rappresentano il nucleo delle
considerazioni di Jean Jacques Rosseau: “la legge deve essere espressione della volontà generale”.
L’illuminismo si configura come una corrente egalitaria quindi aspira ad una grande opera di
alfabetizzazione. E’ proprio in seguito alla rivoluzione francese ch comincia a diffondersi lacultura
giuridica elementare anche tra i ceti più bassi.
2) certificazione patrimoniale:il sistema fiscale dell’Antico Regime era basato sull’imposizione
indiretta. Invece gli illuministi sostengono che l’imposizione fiscale debba essere commisurata alla
ricchezza patrimoniale(concetto della capacità contributiva). Tale concetto presupponeva una
condizione che la società del tempo non poteva assicurare:la certificazione patrimoniale,e questo
perché non vi era il concetto di proprietà piena. Nel Settecento,il passaggio ad una concezione
economica di stampo fisiocratico(la ricchezza sta nella terra) spinse gli ordinamenti europei a
focalizzare l’attenzione sul catasto volto ad accertare la situazione patrimoniale del singolo.
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3) certificazione processuale:gli illuministi richiedevano il c.d. “criterio del giudice naturale”.


Ciascuno deve essere soggetto alla giurisdizione di un giudice precostituito dalla legge. La
giurisdizione dell’Antico Regime,invece,era per i ceti più forti,una giurisdizione domestica,cioè di
amici,di favore. Inoltre,sempre in ambito processuali stico,gli illuministi richiedevano che nessuno
potesse essere giudicato per crimini e con pene non previsti dall’ordinamento giuridico(principio di
legalità),che i crimini dovessero essere elencati dalla legge in modo preciso(principio di tassatività)
e poi il principio di irretroattività delle leggi penali.

La contestazione della tortura.


Thomasius è il primo intellettuale dell’occidente a schierarsi contro la tortura,sostenendo il
principio umanitaristico. Il Settecento può essere diviso idealmente in una prima parte, il c.s.
Settecento riformistico(anni 30-40),in cui ci furono riforme limitate e interventi istituzionali
circoscritti(atteggiamento realistico);mentre ci fu un secondo Settecento,quello pienamente
illuministico che,a pare la rivoluzione francese,è stato poco concludente e molto aggressivo nei toni.
La polemica che Thomasius fa sorgere nel primo Settecento,si amplia dunque nel periodo
successivo,in cui il rifiuto della tortura trova la sua base nel principio utilitaristico. I più notevoli
esponenti di tale correnti furono Pietro Verri e Cesare Beccaria, il primo autore di “Dei delitti e
delle pene”,il secondo scrisse “Osservazioni sulla tortura”. La tortura non è utile in quanto può
spingere il debole innocente a confessare e può provocare una mancata giustizia per il colpevole che
riesce a resistere alla tortura.
Il movimento abolizionista della pena di morte inizia con l’opera di Beccaria,la quale riscuote un
successo non indifferente in tutta Europa,ma soprattutto in Francia. Il granduca di Toscana,Pietro
Leopoldo(che diventerà imperatore d’Austria col nome Leopoldo II), emanò la c.d. “leopoldina”,
una legge che riceve in pieno le tesi di Beccaria e che abolisce la pena di morte in Toscana. Quando
la Toscana tornò autonoma,dopo l’invasione napoleonica,avrà un suo proprio codice penale(1893)
che non prevede la pena di morte. Questa è la causa pr cui si è tardato in Italia ad emanare un codice
penale(il primo fu il codice Zanardelli):non si trovava un accordo tra le regioni che prevedevano la
pena di morte e la Toscana in cui essa era già scomparsa molto tempo prima.

Interpretazione.
Nel medioevo l’interpretatio era qualcosa di diverso rispetto all’interpretazione come oggi la
intendiamo,in quanto prevedeva l’elemento creativo. Per il giurista medievale interpretare
significava costruire la norma stessa. Gli illuministi consideravano per questo motivo,i giuristi,come
dei mistificatori e uno dei punti di attacco che viene mosso ai giuristi è appunto l’interpretazione.
Secondo gli illuministi bisognava costruire leggi chiare e certe. Il compito dei giuristi,per gli
illuministi, è meramente quello di tradurre la norma in atto,cioè provvedere alla sua applicazione.
Nell’ “Esprit de droit”, Montesquieu teorizza per la prima volta la separazione dei poteri: il giudice
ha un potere nullo,cioè deve limitarsi a tradurre in sentenza la legge. Il giudice rappresenta la bocca
della legge:interpretare dunque non significa più creare,in quanto il diritto è esclusivamente
prodotto dal potere legislativo che compete all’autorità politica. L’interpretazione deve svolgersi
sotto forma di sillogismo:1)la legge è la premessa maggiore;2)il fatto è la premessa minore;3)la
conclusione è la sentenza. Il giudice deve limitarsi ad un atto meramente dichiarativo. Ovviamente
tale tesi erano altamente utopistiche in quanto non esiste legge se non vi è un processo
interpretativo.
L’atteggiamento antigiurisprudenziale degli illuministi culmina nella rivoluzione francese che si
scagli contro giuristi,tribunali,cercando di imporre leggi che poi conducono alla codificazione. Nel
1789 viene promulgata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. All’art. 16 essa recita i
due principi della costituzione dei diritti e della costituzione dei poteri. Secondo l’art. 16 non vi è
costituzione se non c’è la separazione dei poteri(legislativo,esecutivo,giudiziario).

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Codici.
Nonostante la storia ci tramandi la nozione per cui il primo codice sia stato quello napoleonico,
bisogna invece affermare che il primo codice è stato il codice penale emanato dall’imperatore
austriaco Leopoldo II nel 1787,il codice “Dei delitti e delle pene” evidentemente influenzato dal
pensiero di Beccaria. C’è una motivazione al fatto che l’emanazione del codice penale abbia
preceduto quella del codice civile:il diritto penale era stato meno preso in considerazione dai giuristi
(infatti la tradizione romanistica si concentrava sul diritto civile) e di conseguenza è stato per primo
oggetto di appropriazione da parte dello stato. I professori di diritto dell’ottocento e del Novecento
indicheranno il diritto privato come diritto “pubblico” dei privati,in quanto regola i rapporti fra
privati ma è emanato dallo stato.
In Italia hanno influito sul codice due modelli: il code civil del 1804 e l’AGBG,il codice austriaco
del 1811. il codice napoleonico tutti i connotati della modernità(chiarezza e sinteticità),mentre il
codice austriaco rivela un’impostazione dottrinale,dunque poco organica e prolissa(forma di
trattato).

Le tre teorie sulle codificazioni.


Quando un insieme di norme costituisce un codice?
1) teoria di Mario Viora,storico torinese,che studiando le raccolte di leggi piemontesi del Settecento
sostiene che bisogna distinguere tra consolidazioni e codificazioni. Le prime sono raccolte di norme
prive del carattere della novità. Dunque una raccolta di norme costituisce un codice quando presenta
la caratteristica della novità rispetto alle norme previgenti.
2) tesi di Cavanna:la novità di per sé può riguardare anche vecchie che vengono organizzate in modo
diverso,proprio come il Code civil riprende i contenuti già posti da Pothier e Domat. Esso non è
nuovo per quanto attiene ai contenuti eppure è un codice. Dunque il carattere della novità non può
fungere da elemento classificatore. Cavanna propone il criterio della completezza: il codice è
onnicomprensivo delle regole del diritto privato. Egli propone anche il criterio della non etero
integrabilità:per la prima volta,con il codice,non è più consentito in caso di lacuna,di far riferimento
ad altra fonte, a criteri esterni. Le fonti dell’Antico regime possono dunque essere considerat4
abrogate. Il code civil è autosufficiente.
3) tesi di Giovanni Tarello: Tarello è un marxista e sostiene che le tesi precedenti(Cavanna e Viora)
non colgono il punto della novità politica importata dal codice:un codice è tale quando le norme si
rivolgono ad un unico destinatario. Tuttavia dietro tale considerazione si cela la critica marxista per
cui modificazione del soggetto di diritto è stata una manovra per cui il borghese si è spacciato per il
cittadino.

Voltaire. Era contrario alla pluralità delle consuetudini e delle regole, diverse anche a poca distanza.
Per realizzare una certezza del diritto si deve ricostruire tutto il sistema. Afferma “Volete nuove
leggi? Bruciate quelle che avete e fatene di nuove”. Questa è una novità per l’epoca in cui il diritto
si credeva immutabile per secoli. La sua visione è laica , come gli illuministi, crede in Dio che è
immobile e non interviene.
Montesquie. apprezza il sistema inglese; i nobili giudicano i nobili, i borghesi i borghesi e i poveri i
poveri. La giuria deve essere di giudici non togati che giudicano non in base alle regole, ma alle
condizioni. Montesquie era nobile, conservatore, scrisse “Lo spirito delle leggi” e sosteneva la
divisione dei poteri.

Putnam. Si ispira a Fortunato che parla della differenza tra l’evoluzione del nord e quella del sud
italia. Al nord è esistita subito un’idea di unità per l’esistenza dei comuni che erano uno spazio
precluso ai feudatari. Questo diede al nord un senso civico che al sud a causa di Federico II non c’è
stato. Putnam sostiene che la differenza tra nord e sud sta nella presenza a nord di uno spirito
comunitario che a sud non è riuscito a diffondersi a causa dell’assenza dei comuni.
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