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Istituzioni di DIRITTO ROMANO (di Dalla, Lambertini) - Giappichelli (3° Ed. - 2006)
2. Il “diritto romano”
I romani non elaborano teorie astratte intorno al diritto. Nell’unica definizione di diritto Celso (II sec. d.C.)
afferma che il diritto (ius) è (est) la tecnica del buono e del giusto (ars boni et aequi).
Lo scopo del diritto è il raggiungimento del buono e del giusto, cioè ricercare l’uguaglianza di trattamento
con strumenti flessibili per la miglior soluzione del caso concreto.
Lo strumento è la tecnica (ars) del giurista cioè il complesso di conoscenze a lui peculiari al fine di creare,
interpretare e applicare il diritto.
Il termine “ius” indica sia il diritto oggettivo, cioè l’insieme delle norme vigenti, che il diritto soggettivo,
cioè la facoltà accordata da una norma del diritto oggettivo di esigere una condotta da altri o accordata ad
un determinato soggetto (es. diritto di proprietà). Nella lingua inglese i concetti di diritto oggettivo e diritto
soggettivo sono espressi con 2 vocaboli diversi: law (oggettivo) e right (soggettivo).
“Ius” ha anche significato di vincolo (ad esempio di parentela o affinità). Al plurale (iura) indica
l’ordinamento e in una certa epoca gli scrittori dei giureconsulti. Altro importante significato del termine
“ius” è quello di rito-procedimento, cui si collega l’ulteriore accezione di ius come luogo in cui si amministra
la giustizia. (ius = diritto, potere, luogo di giudizio, situazione giuridica soggettiva).
Esigenze didattiche hanno spinto i romani alla redazione di manuali istituzionali (da institùere: iniziare a
una disciplina), funzionali all’insegnamento. Importanti autori di Istituzioni furono Gaio (che fu tratto a
modello per l’opera di Giustiniano), Paolo, Ulpiano, Marciano.
Le Istituzioni di diritto romano enunciano i principi fondamentali del diritto privato: persone e famiglia,
diritti reali, successioni, obbligazioni. A questi settori del diritto privato si aggiunge il diritto processuale,
che è lo strumento per la realizzazione del diritto soggettivo senza del quale non esisterebbe il diritto
stesso. Non può esistere un diritto senza azione. L’unione tra elemento sostanziale e processuale è dovuta
al fatto che l’organo giurisdizionale per eccellenza (il pretore) raggiunge fini sostanziali attraverso
l’utilizzazione di mezzi processuali. Il diritto pubblico è invece oggetto della Storia.
Se l’origine di Roma (754-753 a.C.) e l’inizio dell’esperienza giuridica romana teoricamente coincidono, è
invece difficile stabilire il momento della conclusione. La caduta dell’impero romano d’Occidente è nel 476
d.C., ma il diritto romano è sopravvissuto seppur sviluppato con caratteri peculiari locali. In Grecia il
Manuale di Costantino sopravvisse fino al 1945, in Germania le norme romane furono vigenti fino al 1900 e
continuano ad esistere in alcuni ordinamenti contemporanei. Il diritto romano non è mai stato rinnegato,
ma è sempre sopravvissuto in forma varia, in accordo con i tempi. Il diritto romano si è per secoli
identificato con l’opera legislativa di Giustiniano: il Corpus Iuris Civilis.
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Le vicende del diritto romano coprono così un lasso di tempo di 13 secoli, dalla fondazione di Roma (754-
753 a.C.) fino alla morte di Giustiniano nel 565 d.C. (fine del diritto romano). In un lasso di tempo così
ampio si sono susseguiti numerosi mutamenti, dall’economia, alle forme costituzionali, ai confini, alle idee,
pertanto anche la dottrina viene suddivisa in 5 periodi: arcaico, preclassico, classico, postclassico e
giustinianeo.
1. Periodo arcaico: tale periodizzazione parte dalla fondazione di Roma (754-753 a.C.). Le leggi Licinie
Sestie del 367 a.C. creano la pretura, un organo autonomo per l’amministrazione della giustizia e
più tardi si istituisce il preator peregrinus (per le leggi sugli stranieri 241 a.C.). Lo stato arcaico nel
quale si passa da monarchia a repubblica si fonda su un’economia rurale. Il diritto si fonda sulle
usanze (mores maiorum), garanti dell’interpretazione della classe sacerdotale. Le fonti sono scarse,
si rammenta solo la legge delle XII tavole.
2. Periodo preclassico: che va dal 242 a.C. (dalla repubblica) fino alla nascita del principato (impero)
instaurato da Augusto nel 27 a.C.; prima si perfezionano poi entrano in crisi le istituzioni
repubblicane. Roma domina nel Mediterraneo e l’economia dei traffici e dei commerci richiede
nuovi istituti giuridici. L’attività giurisdizionale del pretore permette il superamento dei limiti
imposti dall’antico ius civile. Ai mores miorum si affiancano le leges publicae, leggi votate dal
popolo riunito nei comizi e proposte dai magistrati, gli edicta magistratum, editti che i magistrati
emettevano al momento della loro entrata in carica e le interpretatio prudentium, cioè le
interpretazioni dei giuristi. Il primo manuale di argomento giuridico è stato scritto da Pomponio
circa nel 150 a.C. detto Liber singularis enchiridii, così definito perché si trattava di un singolo
papiro, mediante il quale l’autore espone la storia delle fonti del diritto e la storia dei giuristi.
3. Periodo classico: che va da Augusto (27 a.C.) fino alla fine della dinastia dei Severi (235 d.C.) cioè
quando l’ascesa di Diocleziano (284 d.C.) impone un nuovo mutamento costituzionale. Questo
periodo inizia con la silenziosa rivoluzione di Augusto che pone le basi per la trasformazione da
istituzioni repubblicane all’affermarsi di un nuovo organo, il princeps (“primo” da cui principato-
principio-inizio). Nell’impero emerge il principe come creatore di diritto. Alla fine di questo periodo,
nel 212 d.C. Antonino Caracalla mediante l’editto Constitutio Antoniniana, concede la cittadinanza
romana a quasi tutti gli abitanti dell’impero. Quali fonti del diritto si aggiungono i sentus consultum
cioè dei pareri che il senato rilasciava su richiesta del magistrato ai quali era attribuito il valore di
legge. L’interpretatio prudentium già presente in epoca precedente, si sviluppa nell’età classica e
nascono dei veri e propri generi letterari, si scrivono trattati, commenti di varia natura e opere
casistiche. Per secoli l’attività del giurista è stata quella di rispondere ai quesiti dei privati; egli
partendo da casi concreti trattiene gli elementi giuridicamente rilevanti e propone una o più
soluzioni. Ogni magistrato ha un concilium formato da alcuni tra i giuristi più noti del momento che
emetteranno un responso (risposta) in riferimento al quesito.
4. Periodo post-classico: che va dal 284 d.C. al 527 d.C. le crisi politiche ed economiche del periodo
post-classico portano all’indebolimento dell’impero. L’avvento del cristianesimo legittimato da
Costantino nel 313 d.C. e successivamente con Teodosio I (380 d.C.) porta l’imperatore a divenire
monarca assoluto che accentra a sé il potere normativo. La fine dell’impero è del 476 d.C. In
questo periodo sono fonti del diritto solo le costituzioni imperiali e le iura, cioè le interpretazioni
delle norme precedenti fatte dai giuristi legalmente riconosciuti, cioè muniti di ius respondendi.
5. Periodo giustinianeo: che va dal 527 d.C. al 565 d.C. in Oriente l’imperatore Giustiniano regnante
in questo periodo, lascerà ai posteri il Corpus Iuris Civilis.
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sono state le opere dei giuristi e codici, citazioni dei letterati, iscrizioni e papiri. Si ricordano principalmente
quali fonti di cognizione le Istituzioni di Gaio e il Corpus Iuris.
Le fonti di produzione hanno avuto un’evoluzione nel corso dei secoli; in origine il diritto romano ha
carattere consuetudinario, fondato sui mores, le usanze, cioè i comportamenti che i membri della comunità
adottano da tempo immemorabile. Sono principi propri della civitas, non originati direttamente da regole
religiose. Quello dei mores è un ordinamento non scritto, la legge si identificherà invece con la norma
scritta. Nel più antico diritto (ius civile), mores e leges coesistevano sul piano paritario, ma lo scrivere la
norma non significava superiorità della stessa, bensì rappresentava una valida certezza per le classi che
avevano ottenuto con lunghe lotte dei cambiamenti nelle leggi.
Nei secoli il rapporto tra legge e consuetudine muterà, nel periodo post-classico si identificherà il diritto con
la legge e la forma necessariamente scritta della legge sarà la suprema manifestazione legislativa. In
un’epoca che ha emarginato l’oralità e in cui domina la volontà di un monarca assoluto, la norma
consuetudinaria, ancorché viva, appare in secondo piano.
Con Giustiniano le “leggi” (cioè le norme) sono sia scritte che non scritte, ma il rapporto tra loro è mutato e
la norma consuetudinaria è divenuta marginale. La legge è ora chiaramente definita nell’ordinamento e
composta nei 2 elementi: quello oggettivo, cioè il comportamento giuridicamente rilevante protratto nel
tempo, e quello soggettivo, cioè la convinzione di ottemperare a una regola di diritto. La legge scritta si
introduce nel mondo degli antichi mores come strumento dell’adeguamento, le più antiche sono
prettamente politiche, determinate dal bisogno di “parità” della classe plebea.
Principalmente si occupavano di diritto pubblico, come l’assetto costituzionale della civitas, la funzione
delle magistrature, la repressione criminale, difficilmente interessano il diritto privato.
Legge (lex publica) è la statuizione approvata dal popolo riunito nei comizi su proposta di un magistrato
avente la facoltà di convocare l’assemblea (lex rogata); talvolta è anche emanata direttamente dal
magistrato su delega (lex data).
Le leggi sono:
perfette (perfectae) se, vietando di fare qualcosa, annullano l’atto ad esse contrario;
meno che perfette (minus quam perfectae) se la loro trasgressione al divieto, non annullano l’atto
ma infliggono solo una pena;
imperfette (imperfectae) se non annullano né puniscono.
Formalmente diverso dalla legge è il plebiscito, cioè la deliberazione della plebe convocata in assemblea
(concilium plebis) su proposta del tribuno. La distinzione tra legge e plebiscito termina nel 286 a.C.
successivamente alla lex Hortensia; da questa data le deliberazioni della plebe vincolano tutto il popolo e
non solo i plebei come in precedenza.
L’inserimento della legislazione scritta nell’ordinamento romano inizia nel 449 a.C. con l’emanazione della
Lex XII tabularum, la Legge delle XII tavole, definito il primo punto fermo nella storia del diritto romano.
Tale legge contiene un complesso di disposizioni di vario contenuto, un codice di leggi. Sembra che su
iniziativa dei plebei, interessati a una legislazione scritta e riformatrice, furono inviati degli ambasciatori in
Grecia per studiare le leggi locali. In seguito venne istituito un collegio di 10 membri (decemvirato) alla cui
attività seguì l’emanazione della legge. Il testo originario non è giunto a noi, ma mediante le citazioni di
giuristi, letterati, filosofi è stato possibile tentare di ricostruire il contenuto. Le XII tavole non trattano solo
del diritto privato, ma di varie specie di rapporti interessanti la civitas.
Con il termine ius civile si intende il complesso normativo risultante dagli antichi mores, consegnati
all’oralità e le disposizioni della Legge delle XII tavole. Questo diritto ha i suoi custodi nei pontefici, uno dei
collegi componenti la classe sacerdotale. Appartiene a loro il potere di interpretare e l’appartenenza al ceto
patrizio indirizza verso un senso conservatore. Infatti la tendenza arcaica all’interpretazione letterale e
l’indirizzo conservatore dei depositari (pontefici) non favoriscono l’evoluzione della tecnica giuridica; si
dovrà attendere la laicizzazione della giurisprudenza.
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4. Il sistema pretorio
Il 367 a.C. è una data importante per l’evoluzione del diritto romano, che segna il termine del periodo
arcaico e l’inizio del periodo preclassico. Viene creata un’apposita magistratura la pretura, con il compito di
amministrare la giustizia tra cittadini romani.
A questo preator urbanus farà seguito nel 242 a.C. un preator peregrinus con il compito di amministrare la
giustizia tra cittadini stranieri e tra stranieri e romani.
Il pretore non è giudice, perché non emette sentenze, non è legislatore non potendo fare o abrogare leggi,
rappresenta un passaggio obbligato sulla via della realizzazione delle attese giuridiche. Il pretore, all’inizio
della sua carica annuale, emana un programma l’edictum prima orale (edictum da dicere) poi scritto, nel
quale annuncia quali indirizzi seguirà nell’esercizio della sua giurisdizione. Particolari condizioni potevano
poi condurre ad emanare un editto in corso d’anno (edictum repentinum).
Prima i pretori poi i magistrati, tendenzialmente conservatori, si orientano a riprodurre l’editto precedente
che abbia dato buona prova di se, creando un insieme tendenzialmente immutato. Nel 130 d.C. il
giureconsulto Salvio Giuliano (sotto il potere di Adriano) diede all’editto la sua forma definitiva: edictum
perpetuum, cioè stabile vigente per tutto il tempo di carica dell’emanante.
Il diritto pretorio fu introdotto per confermare, integrare, correggere lo ius civile, si riconosce al pretore
anche la facoltà di correggere o modificare avvalendosi però di meccanismi indiretti. Questa possibilità di
modifica del sistema attraverso la pratica e il quotidiano esercizio dell’ufficio è dovuta alla posizione
centrale che il magistrato assume nelle vicende processuali.
All’inizio della sua attività (IV secolo a C.) i poteri del pretore sono limitati da un sistema processuale
refrattario alle modifiche, vige il sistema delle legis actiones, delle azioni di legge, caratterizzato da un
rigido formalismo che limita ogni tentativo di innovazione.
Secondo Gaio questa è la ragione del decadere del processo per legis actiones, affiancato a metà del II
secolo a. C. dal processo formulare, anche se a determinare la crisi dell’antica forma processuale fu
l’affiancamento al preator urbanus del preator peregrinus.
In questo periodo l’espansione di Roma quale stato mediterraneo ha portato l’urbe ad accogliere molti
stranieri che negoziano tra loro e con i romani. Le azioni di legge sono impraticabili ai peregrini, quindi
nasce il processo per formulas, che riproduce la divisione in 2 fasi dell’antico processo, ripudiandone il
formalismo, offrendo al magistrato nuove possibilità.
Nel processo per formulas il pretore, sentite le richieste e le contro affermazioni delle parti, fissa i termini
della controversia in uno schema verbale, la formula. Fissati così i termini della lite con la litis contestatio, si
chiude la fase in iure (davanti al magistrato) e si apre la fase apud iudicem (davanti al giudice), un privato
scelto dalle parti che sulla base delle prove addotte, condannerà o assolverà secondo il suo potere
(sententia). Processo:
1° fase “in iure” → il pretore ascolta l’attore e il convenuto (litis contestatio), studia la controversia
e la chiude con uno schema verbale in una formula.
2° fase “apud iudicem” → soggetto privato scelto dalle parti, egli studia le prove ed emette la
sentenza di assoluzione o condanna. Gli ampi margini che il pretore ha sulla formula, accrescono i
poteri del pretore. Egli può concedere o meno l’azione legale ma può anche estendere la tutela a
situazioni di fatto che il ius civile non prevedeva legittimando una figura negoziale, o bloccando una
pretesa dell’attore.
Il pretore si conforma alla realtà fattuale anche attraverso il ricorso all’analogia (azioni utili, adattate a
situazioni simili a quelle per cui furono originariamente costituite). Egli adegua il diritto alla realtà sociale
che muta, abbassando il livello di formalismo.
Si rivolge alla tutela di situazioni sfavorite, per il mancato adeguamento a solennità o regole non più sentite
dalla società in evoluzione. Il pretore si fa interprete nel campo del diritto ereditario, non contemplato
dall’antico sistema. La nuova società romana rifiuta l’irrilevanza del vincolo di parentela in linea femminile,
l’eccessivo rigore formale dei testamenti, l’indifferenza verso i figli emancipati, tutto ciò implica un nuovo
ordine successorio che però il pretore non può operare modificando il sistema civilistico, non può
intervenire sulla nozione di erede, ma può creare situazioni analoghe e difenderle.
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Ecco allora la bonorum possessio, l’attribuzione dei beni ereditari talvolta a favore dello stesso erede per
diritto civile, talvolta a favore di altri. La situazione derivante dalla bonorum possessio consente
l’utilizzazione di tutti gli strumenti a tutela del possesso e, col decorso del tempo, l’acquisto per usucapione
della proprietà quiritaria.
Questa duplicità di sistemi (diritto civile e diritto pretorio) crea una situazione conflittuale che si tradurrà
poi in norme formalmente legislative o ad esse equiparate (senatoconsulti, costituzioni imperiali).
Con la redazione definitiva dell’Editto (edictum perpetuum) sotto Adriano, ogni attività normativa va
ricondotta al princeps, con il ridimensionamento del ruolo del pretore.
5. Le norme dell’impero
Con Augusto si realizza un nuovo assetto costituzionale con il passaggio dalla repubblica al principato. Il
primo imperatore svuota dall’interno le strutture costituzionali repubblicane per realizzare la
predominanza di uno (il princeps).
Questo mutamento costituzionale si riflette anche sulle fonti di produzione del diritto: sono destinati ad
esaurirsi le leges publicae e gli edicta dei magistrati. Prenderà corpo il potere normativo del senato, sotto il
controllo dell’imperatore mentre la volontà di quest’ultimo si manifesterà direttamente attraverso le
constitutiones.
La continuità con il precedente sistema avviene tramite la giurisprudenza che prosegue la sua opera volta
all’elaborazione scientifica e alla soluzione del caso pratico. Sotto Augusto la legge ha un periodo di intensa
attività perché il princeps realizza la propria volontà riformatrice attraverso lo strumento comiziale. Si
ricordano le leges Iuliae che innovano profondamente vari settori. In seguito il ricorso alla lex si attenua e
scompare. L’ultima legge è emanata da Nerva nel 96 d.C.
Il principato vede affermare il potere normativo al senato. Tra le attribuzioni senatorie vi è quella di
fornire ai magistrati direttive politiche in forma di consiglio (senatus consulta), formalmente non
vincolante, ma di fatto costituisce un forte strumento di pressione.
Il passaggio del senatoconsulto da parere preventivo dato al magistrato sulla proposta di legge, ad atto di
normazione diretto si attua con l’avvento del principato. Già nel I secolo d.C. la delibera del senato è
preceduta da una proposta imperiale, manifestata dal princeps davanti all’assemblea. Questa oratio
principis diviene il vero oggetto sostanziale della delibera con conseguente evoluzione in senso
monocratico e autoritario, e con perdita di autorità del senato.
La volontà normativa del princeps, vero padrone dello Stato, si attua mediante le costitutiones, termine che
indica globalmente atti di diversa forma ed efficacia.
Le costituzioni imperiali sono di diversi tipi: edicta, mandata, decreta, rescripta, epistulae.
Gli editti (edicta), fondati sul ius edicendi, ripropongono lo schema dell’editto dei magistrati, sia
nella struttura del provvedimento che nella modalità di pubblicità (affissione). Mentre l’editto
del pretore rappresenta un programma e i criteri a cui egli dovrà conformarsi, l’editto imperiale
impone norme generali e astratte, rivolte immediatamente a tutti i soggetti: magistrati,
funzionari, sudditi. Mentre l’editto del pretore vale per la durata della carica di chi lo ha
emanato, l’editto del princeps vale anche per i successori fino a fatti abrogativi.
Più rilevanti, per l’ambito privatistico, sono i mandati (mandata), istruzioni dell’imperatore ai
propri funzionari e ai governatori delle province, in forza dell’imperium proconsulare. In
principio erano destinati al singolo sott’ordinato, successivamente nacque una raccolta che si
impose come un insieme stabile di istruzioni (liber mandatorum).
Il decreto (decreta) è la pronuncia dell’imperatore che opera in veste di giudice. A lui possono
rivolgersi privati o magistrati affinché decida in modo inappellabile su una controversia. In
questo caso l’imperatore decidendo, crea veramente il principio di diritto che assumerà
pienamente il valore di legge. La sostanza della pronuncia costituisce un exemplum da cui gli
altri giudici, in forza dell’autorità imperiale, eviteranno di discordarsi, condizionando i giuristi e
le ulteriori decisioni imperiali.
Il rescriptum è la risposta dell’imperatore a quesiti scritti presentati da privati.
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L’epistula è la risposta a una richiesta formulata da funzionari o magistrati. Diverso è il
destinatario e la forma, ma entrambe perseguono lo scopo di risolvere una questione di
diritto. Mentre il funzionario chiede chiarimenti in funzione di una decisione da prendere, i
privati attendono invece una risposta per porre fine a una controversia. Sia i rescritti che gli
epistula limitano la loro efficacia al caso concreto, tuttavia l’autorità del disponente (princeps)
attribuisce loro un valore di legge.
6. La giurisprudenza
Giurisprudenza indica la categoria degli esperti di diritto (iuris prudentes) e l’opera di elaborazione
scientifica e di consulenza pratica da essi svolta. Il prodotto della loro attività, in particolare i loro responsi,
sono posti tra le fonti del diritto.
Oggi giurisprudenza è l’insieme di decisioni di organi giusdicenti (giurisprudenza della Cassazione, dei
giudici di merito, ecc.) contrapposta alla “dottrina” con cui si indica l’opinione degli studiosi. “Iuris
prudentia” si avvicina a quest’ultimo significato. La giurisprudenza romana, attraverso una classe di
individui qualificati per posizione sociale, interessi e cultura, interpreta anche le altre fonti del diritto.
Un importante momento per la storia della giurisprudenza romana sta nel passaggio dalla chiusa
esperienza pontificale alla conoscenza laica. A partire dal III secolo a.C. l’attività giurisprudenziale non è
più monopolio dei pontefici e prende le forme di un sapere laico.
Cicerone identifica l’attività del giureconsulto con 3 verbi: respondère, àgere, cavère:
respondere è il pronunciarsi su una questione giuridica; il responso è legato all’oralità che
corrisponde a una funzione “oracolare” del competente;
agere indica l’attività di consulenza tecnico-giuridica alle parti e allo stesso magistrato nel corso dei
processi, elaborando azioni e formule che influenzano gli indirizzi del pretore;
cavere significa predisporre precise modalità negoziali tutelando preventivamente la parte con una
saggia impostazione dell’atto.
L’attività della giurisprudenza, nata come fatto orale, si deposita in opere che raccolgono i materiali
prodotti dalla casistica; il passaggio dalla pratica alla scienza si definisce con la scrittura. Inoltre il giurista
esercita una funzione didattica indotta dalla sua attività di rispondente. Attorno ai giuristi si raccolgono
ascoltatori (auditores); le esigenze dei discepoli richiesero poi un apposito insegnamento teorico
elementare che sfociò nella redazione di testi per la didattica.
La nascita della letteratura giuridica viene attribuita a Sesto Elio, console nel 198 a.C. con l’opera
Tripertita; Pomponio che scrisse una storia della giurisprudenza romana afferma che quest’opera contiene i
fondamenti del diritto; era divisa in 3 parti: il testo della Legge delle XII Tavole, l’interpretazione
giurisprudenziale, infine la tutela processuale.
Più tardi Quinto Mucio Scevola redasse un’opera complessiva in 18 libri di diritto civile. Nel periodo del
principato i rapporti tra giurisprudenza e potere vengono definiti in modo nuovo.
Augusto introdusse il ius publica rispondenti, il diritto di dare pubblicamente responsi collegati
all’autorità imperiale. Egli stesso segnalava i giuristi meritevoli, ponendo nel contempo alcune regole
formali per l’utilizzo in giudizio dei responsi, che dovevano essere prodotti in documenti sigillati dal giurista
per evitare di utilizzare responsa non veritieri, per evitare abusi della pratica.
In questo modo si giunge ad un potere di controllo dell’imperatore sulla giurisprudenza, poiché i giuristi
dovevano ottenere il privilegio di essere partecipi della sua auctoritas. I giuristi non muniti di ius
respondenti produrranno una elaborazione scientifica che farà diritto solo indirettamente; davanti al
giudice varranno solo i responsa di coloro a cui è stato consentito di fare diritto. Il giudice nella decisione
è vincolato all’opinione concorde dei giuristi, può scegliere solo in caso di discordanza.
Al principio dell’impero va ricondotta la nascita delle scuole dei Sabiniani e dei Proculiani. Furono le
principali correnti di pensiero giuridico, sviluppatesi tra il I ed il II sec. d.C. Il clima di fervore scientifico-
letterario della tarda età repubblicana e dei primi secoli del Principato favorì la nascita e lo sviluppo delle 2
scuole giuridiche, caratterizzate ciascuna da diverse impostazioni socio-politiche e dall’acerrima rivalità tra i
rispettivi caposcuola. In particolare:
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1. la Scuola sabiniana si ispirava al pensiero giuridico di Capitone, ed annoverava tra le sue fila giuristi
del valore di Sabino (da cui prese nome), Cassio, Giuliano e Gaio; era espressione di tendenze
conservatrici ed era legata ai valori tradizionali;
2. la Scuola proculiana, si ispirava, invece, al pensiero giuridico di Labeone, ed annoverava tra le sue
fila giuristi del calibro di Proculo (da cui prese nome) e Celso; era portatrice di orientamenti
marcatamente progressisti.
Secondo parte della dottrina, tra le due scuole non sussisteva una sostanziale contrapposizione di
orientamenti giuridici, bensì una diversità esclusivamente politica: i sabiniani sarebbero stati, infatti, legati
al potere imperiale, mentre i proculiani sarebbero stati fondamentalmente indipendenti.
La dottrina dominante è, invece, dell’avviso che le due scuole fossero profondamente diverse proprio sotto
il profilo squisitamente giuridico concettuale: l’opera dei Proculiani, maggiormente rilevante dal punto di
vista scientifico ebbe carattere essenzialmente casistico e pratico, mentre l’opera dei Sabiniani,
culturalmente meno originale, fu diretta prevalentemente all’esposizione sistematica.
A partire dalla fine del II secolo d.C., le due scuole conobbero una progressiva decadenza, da taluni
attribuita all’autorevolezza del pensiero giuridico di Salvio Giuliano, capace di superare i contrasti tra i
giuristi dei due indirizzi; le due scuole scomparvero del tutto in età tardo-classica.
Con il principato di Adriano si ha un processo di accentramento del potere normativo nelle mani
dell’imperatore il cui segno iniziale fu l’introduzione del ius respondenti. Ora i giuristi vengono inseriti in un
organismo stabile, il consilium principis ed il loro status di ius respondenti deriva ormai dalla professione di
burocrati inseriti nel sistema imperiale.
Tra i giuristi più noti dell’epoca c’è Gaio che vive sotto il principato di Adriano e muore dopo il 178 a.C.. Le
Istituzioni di Gaio sono l’unica opera della giurisprudenza classica pervenuteci al di fuori della compilazione
giustinianea. Sono il principale punto di riferimento per la conoscenza del diritto classico, per la loro
completezza ed integrità in quanto pervenuteci direttamente. L’opera si divide in 4 libri “commentarii”. Il
diritto viene diviso in 3 punti a seconda dell’argomento: persone, cose e azioni. Il diritto delle cose è la
parte più complessa, tratta la tematica relativa alla proprietà, all’acquisto di beni, all’eredità e ai diritti di
obbligazione.
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Solo tra il 292 e il 294 d.C. vengono raccolte costituzioni da Adriano a Diocleziano in 2 opere, il Codice
Gregoriano e il Codice Ermogeniano e per la prima volta compare il termine “codex” che diverrà il termine
tecnico per designare una raccolta di costituzioni imperiali, nel tempo assumerà un significato
generalizzato di raccolta di norme giuridiche. Nel 429 d.C. l’imperatore Teodosio II prevede un corpus
normativo in cui leges e iura convivono, denominato Codice Teodosiano, entrato in vigore nel 439,
costituito da 16 libri che raggruppano le costituzioni di argomento affine ordinate cronologicamente.
8. La compilazione giustinianea
Nell’impero d’Oriente l’imperatore Giustiniano persegue il fine di risistemare il diritto, sentendosi il tramite
tra gli uomini e la divinità, egli deve realizzare sulla terra i fini divini mediante la monarchia universale
romana. Compito dell’imperatore è la realizzazione di un disegno restauratore e unificatore sotto 3 profili:
politico mediante il riassetto delle strutture dello Stato e la riconquista delle regioni già sottratte
all’impero;
religioso mediante la difesa dell’ortodossia;
giuridico attraverso la ristrutturazione di tutto il sistema del diritto.
L’imperatore vuole la sistemazione dell’ordinamento giuridico eliminando il superfluo e il contraddittorio,
dando alle norme carattere di certezza ed immutabilità.
Giustiniano dà attuazione ai suoi progetti, nel febbraio del 528 d.C. emana la costituzione Haec quae
necessario con la quale manifesta l’intenzione di raccogliere in un unico testo le costituzioni in vigore.
Con la costituzione Summa rei publicae nell’aprile 529 viene pubblicato il Novus Iustinianus Codex che
sopprime tutte le raccolte precedenti, anche se solo 5 anni dopo apparirà superato. A noi è giunto solo un
papiro contenente i titoli dell’indice del primo libro.
Nel dicembre del 530 con la costituzione Deo auctore nostrum, Giustiniano istituisce una commissione
presieduta dal questor sacri palatii Triboniano, affiancato da 16 collaboratori, per estrarre dalle opere dei
giuristi muniti di ius respondenti tutti i frammenti utili alla realizzazione di un’opera organica alla quale non
saranno più ammessi futuri interventi. L’opera si chiamerà Digesta (da digerere ovvero ordinare), in greco
Pandette. Nel corso di 3 anni la commissione esaminò 2000 libri. Nel dicembre 533 la costituzione bilingue
Tanta-Dédoken annuncia la pubblicazione dell’opera che entrerà in vigore il 30 dicembre 533.
Col Digesto viene radicalmente modificato il regime postclassico degli iura; è formato da 50 libri suddivisi in
titoli la cui rubrica fornisce l’argomento. Solo i libri 30, 31, e 32 non hanno la suddivisione in titoli in quanto
trattano un singolo argomento.
Ogni titolo è suddiviso in frammenti ognuno dei quali si apre con una inscriptio che indica da dove è tratto il
frammento stesso seguito dal testo antico. Ogni frammento è suddiviso in paragrafi preceduti da un
principio. Attualmente un passo del Digesto si indica con la lettera D. seguita dal numero del libro, dal
numero del titolo, dal frammento e dal paragrafo, separati da un punto. Il Digesto è legge, ha la stessa
forza normativa delle costituzioni imperiali in quanto introdotto da una costituzione imperiale.
Storico di diritto romano e critico del Digesto fu il tedesco Theodor Mommsen (1817-1903), premio Nobel
per la letteratura nel 1902, la cui edizione critica è a tutt’oggi la più accreditata edita in due versioni, l’edizio
minor in un unico volume e la edizio maior in due volumi.
Tre settimane prima della pubblicazione del Digesta, Giustiniano pubblica una costituzione denominata In
nomine Domini Dei nostri Ihesu Christi, indirizzata ai giovani che si iscrivevano alla facoltà di giurisprudenza
delle università di Beirut e Istambul, detti dupondi, ai quali è destinata l’opera compilatoria detta Iustiniani
Institutiones formata da 4 libri suddivisi in titoli e paragrafi. Il primo volume tratta della persona, il secondo
e il terzo delle cose, il quarto di diritto processuale criminale. È pubblicato nel novembre del 533 e oltre ad
essere uno strumento didattico esso ha in tutto e per tutto il valore di legge.
La nuova legislazione tra il 529 e il 533 ha reso subito superato il Novus Iustinianus Codex, rendendo
necessaria una nuova opera. Nel novembre 534 la costituzione Cardi nobis promulga il Codex repetitae
praelectiones che sostituirà il precedente ed entrerà in vigore il 29 dicembre 534. È l’unico ad esserci
pervenuto, in quanto Giustiniano vieterà in modo perentorio l’uso del precedente che è andato distrutto, è
diviso il 12 libri suddivisi in tioli che contengono un numero variabile di costituzioni, con indicato il nome di
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chi le ha emesse e il destinatario ( es. Imppp. [imperatori 3 p perché in questo esempio erano 3] + Graziano
Valentiniano Teodosio + AAA [Augusto titolo dato agli imperatori] + destinatario della costituzione + il testo
cioè la disposizione di legge), si chiude sempre con un subscriptium che indica la data pubblicazione della
costituzione. Le parti iniziali delle costituzioni hanno carattere celebrativo che nel Codex sono state epurate
riportando solo il testo normativo.
Brani del Codex si indicano con C. [libro] . [titolo] . [costituzione] . [paragrafo, se c’è].
Così l’ultima raccolta ufficiale del mondo romano si ricollega alla prima, la Legge delle XII tavole. La materia
privatistica occupa 7 dei 12 libri; Giustiniano vieta la citazione di tutto quanto non è ricompreso nell’opera,
eccetto quanto si renderà necessario emanare successivamente.
Le norme successive sono state raccolte in un testo Novelle Costituzioni di natura prevalentemente di
diritto pubblico. Quelle di argomento privato apportano tuttavia elementi di novità e di rottura,
particolarmente nelle materie delle persone e dell’eredità. Sono raccolte operate da privati e non ordinate
da Giustiniano. Sono tre volumi, due in latino e uno in greco: il riassunto di Giuliano (555-557), la Collezione
latina (1000), la Collezione greca compilata durante l’impero di Tiberio (578 circa).
Nel novembre del 565 Giustiniano muore, ma la sua opera è modello e punto di riferimento per secoli.
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CAPITOLO II – PERSONE E FAMIGLIA
1. La persona
Sia Gaio che Giustiniano antepongono ad ogni altro argomento la trattazione del diritto delle persone; per i
romani “persona” è semplicemente l’essere umano e non il soggetto di diritto, perciò il diritto delle
persone attiene al diritto degli esseri umani.
Le terminologie di capacità giuridica e capacità di agire sono estranee al mondo romano ma utili per
comprendere situazioni e modalità:
capacità giuridica è l’idoneità ad essere titolari di diritti e doveri giuridici;
capacità di agire è l’idoneità del soggetto a porre in essere validamente un’attività rilevante per il
diritto.
Preliminare ad ogni indagine relativa alla capacità è la verifica dell’esistenza di un essere umano, che si
stabilisce attraverso alcuni requisiti:
1. nascita: l’uomo comincia ad esistere quando viene alla luce, ma anche il solo individuo concepito è
considerato dai romani come già nato e per questo, durante il periodo prenatale, è nominato un
“curatore del ventre” a tutela dei beni del nascituro; in seguito alla nascita, la separazione dal corpo
della madre permette l’acquisizione dell’autonomia;
2. vita: per l’esistenza occorre che l’essere separato sia vivo e perciò i nati morti o coloro che vivono per
brevissimo tempo, non sono considerati né nati né procreati; la prova della vita, per i Proculiani
consiste nell’emissione del vagito mentre per i Sabiniani (e Giustiniano) in una qualunque
manifestazione di vita;
3. forma umana: il nato non deve essere deforme o mostruoso tanto che il diritto antico impone per
questi l’eliminazione, in quanto portatori di sventura; i testi distinguono fra nati mostruosi e deformi,
ma con Giustiniano entrambi vengono considerati a vantaggio della madre.
La persona fisica si estingue con la morte, dalla quale si apre la successione, l’obbligo del lutto per i parenti
stretti e il periodo entro il quale la vedova non può passare a seconde nozze.
Una volta stabilita l’esistenza, è importante determinare i requisiti necessari per godere della capacità, che
si rifanno all’appartenenza agli status rispettivamente di libero, di cittadino romano e di non sottoposto
ad alcuno nell’ambito familiare, ossia essere sui iuris o pater familias.
Nel diritto romano, accanto alla morte fisiologica vi è una sorta di morte civile, data dal fenomeno della
capitis deminutio, ossia una variazione di status; essa può essere:
maxima quando un libero diventa schiavo;
il soggetto cessa di esistere per l’ordinamento;
media quando si perde la cittadinanza o si è sottoposti ad una pena criminale;
il soggetto cessa di appartenere al consorzio dei cittadini;
minima quando lo status muta a livello familiare (es. adozione, emancipazione);
il soggetto cessa di esistere per quella famiglia.
Accanto al tema delle persone fisiche, è inevitabile il richiamo alle persone giuridiche; la persona giuridica è
da intendere come un centro di imputazione di diritti e doveri, e anche se questa nozione non è romana ma
di epoca successiva, i romani hanno comunque riconosciuto la soggettività di entità diverse dall’uomo.
- corporazione: è la persona giuridica su base associativa i cui diritti e doveri sono considerati distinti da
quelli dei componenti; i romani prendono in considerazione singole tipologie associative:
o popolo romano-Stato: è titolare di diritti e conclude negozi giuridici che sono particolari per via
della sua posizione di supremazia;
o enti cittadini: sono caratterizzati dalla dimensione privatistica che possono assumere i rapporti
facenti loro capo;
o collegi: sono prodotti della volontà dei singoli di costituire associazioni con capacità di diritto
privato (queste manifestazioni di autonomia vengono fortemente ostacolate);
- fondazione: si tratta di un patrimonio senza titolare destinato ad uno scopo duraturo:
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o eredità giacente: è il patrimonio ereditario in attesa della persona cui spetta; in varie fonti viene
considerata titolare di diritti;
o opere pie: sono patrimoni che un benefattore lascia ai vescovi o alle chiese perché vengano
impiegati a scopi assistenziali; vengono intesi come autonomi centri di imputazione.
2. La schiavitù
Esiste una summa divisio personarum, ossia una distinzione fondamentale fra:
- liberi: sono soggetti di diritto; saranno ingenui quando nati liberi e libertini quando liberati da
schiavitù;
- schiavi: sono oggetti di diritto, ossia res.
La condizione servile muta in base alle epoche: in antichità gli schiavi sono pochi e per razza e modo di
pensare sono vicini ai loro padroni; con la fase di espansione la situazione cambia, poiché affluiscono a
Roma schiavi di diversa razza, tendenza e religione che divengono presto minaccia per la tranquillità e
l’ordine pubblico.
Per questo motivo inizia un periodo di repressione e crudeltà, che sfocia nella rivolta di Spartaco e con
l’inizio dell’Impero si raggiunge la massima tensione: significativo è il senatoconsulto Silaniano, che
dispone la tortura e il supplizio degli schiavi dimoranti sotto lo stesso tetto, nell’ipotesi che il padrone sia
perito di morte violenta; in questo modo si suppone il coinvolgimento, spesso ingiusto, degli schiavi
nell’uccisione.
Progressivamente gli eccessi vanno diminuendo: la legge Petronia vieta l’utilizzo degli schiavi per spettacoli
senza l’autorizzazione del magistrato, l’Imperatore Claudio dispone che il servo malato abbandonato se
guarisca sia libero, Adriano arriva a sanzionare con pena criminale la padrona colpevole di ingiustificate
crudeltà e Antonino Pio, emana due rescritti fondamentali; il primo fa soggiacere alla legge Cornelia sugli
assassini chi abbia senza motivo ucciso il proprio servo, mentre il secondo costringe il padrone a vendere lo
schiavo qualora questi si sia rifugiato presso le statue degli imperatori per sfuggire alla crudeltà dello stesso
padrone.
Con il periodo cristiano viene di molto mitigata la condizione dei servi, vietandone la prostituzione, dando
rilevanza al vincolo di sangue tra schiavi e non consentendo la separazione delle famiglie; in questa fase
nasce il colonato, premessa alla servitù della gleba, e la distinzione tra liberi e schiavi tende ad annullarsi in
quella tra persone di alta e bassa condizione.
Giustiniano spesso sottolinea la contrarietà dello stato di schiavitù rispetto al diritto naturale, secondo il
quale gli uomini sarebbero per natura in una condizione di uguaglianza, ma per esigenze economiche non
può rinnegarla, così come tutti nel mondo antico; ove possibile però, Giustiniano favorisce l’acquisto della
libertà, e questo favor libertatis rappresenta uno dei criteri ispiratori del diritto delle persone.
In generale, coloro che sono in uno stato di schiavitù:
- sono subordinati a padroni che su di loro esercitano la potestas dominica, potestà che gli permette di
avere sugli stessi il diritto di vita e di morte;
- anche se ritenuti cose, possono porre in essere comportamenti rilevanti ai fini giuridici (spesso sono
puniti in maniera più grave rispetto ai liberi);
- da una certa epoca antecedente a Gaio, la loro uccisione viene parificata a quella dei liberi e può
soggiacere alla legge Cornelia, come previsto anche dal rescritto di Antonino Pio;
- hanno molte limitazioni in campo privato, infatti non hanno diritti familiari, non contraggono
matrimonio, non possono avere successori, non possono stare in giudizio e non possono essere titolari
di rapporti patrimoniali;
- hanno una sorta di capacità di agire, in quanto possono trovarsi parte di un atto giuridico i cui effetti
vadano a vantaggio del padrone; non potendo possedere nulla, qualunque cosa acquistino va al
padrone.
Vi sono però due istituti alla luce dei quali leggere questi principi:
Peculio: si tratta di un’entità patrimoniale lasciata dal padrone alla disponibilità dello schiavo; consta di
denaro o altri beni provenienti dal padrone, da terzi o dai piccoli traffici del servo.
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Con questo patrimonio di fatto il servo può negoziare con i terzi, dando luogo ad una obbligazione
naturale a tutela della quale non c’è azione ma a cui sono riconosciuti effetti tra cui la soluti retentio,
per cui non si può ripetere quanto pagato; si riconosce quindi lo stato di fatto conseguente
all’adempimento.
Di conseguenze il peculio può accrescersi o diminuire ed essere la base per negozi con i terzi e con lo
stesso padrone: spesso il servo può ottenere la propria libertà offrendogli la somma accumulata.
Azioni aggiuntive: prevedono il coinvolgimento del padrone per atti compiuti dal servo, andando ad
“aggiungersi” la sua responsabilità a quella naturale del servo; queste azioni sono predisposte dal
diritto pretorio a tutela del terzo qualora lo spontaneo adempimento del servo non sia sufficiente come
nel caso del negozio concluso dal servo in base alla volontà espressa o presunta del padrone.
Abbiamo diverse azioni:
o exercitoria: viene fornita contro l’armatore della nave qualora questi ne abbia affidato il comando
ad un suo schiavo che di conseguenza ha contratto obbligazioni;
o institoria: viene data contro il padrone che abbia preposto il servo come direttore di una bottega o
di un commercio e vi siano debiti riconducibili all’attività; lo schiavo è visto come delegato del
padrone ed è perciò quest’ultimo ad essere chiamato in causa;
o quod iussu: spetta per i debiti contratti dal servo dietro benestare del padrone;
o de peculio e de in rem verso: vengono fornite, a favore dei creditori in ordine di presentazione e
contro il padrone, per obbligazioni assunte dal servo in presenza di peculio e mancando la volontà
del padrone; la prima consiste in un’azione fino all’ammontare dell’attivo del peculio, mentre la
seconda si ha quando il ricavo dell’affare è entrato a far parte del patrimonio, risultando quindi
insufficiente il peculio, e l’azione sarà quindi nei limiti del suo arricchimento;
o tributoria: sempre in caso di peculio ma con la consapevolezza da parte del padrone dell’attività del
servo, viene concessa ai creditori in caso di insolvenza se il padrone non distribuisce il peculio
proporzionalmente tra di loro;
Con Giustiniano nella maggior parte dei casi è possibile adottare un’azione diretta contro il padrone,
come se l’affare fosse stato concluso con lui.
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Liberi si nasce o si diventa:
1. Liberi si nasce: la nascita come libero da luogo alla condizione di ingenuo.
2. Liberi si diventa, con condizione di libertini:
- come premio: in base al senatoconsulto Silaniano, nel caso in cui il servo abbia contribuito a
svelare l’assassinio del padrone, mentre in base a costituzioni post-classiche, nel caso in cui abbia
denunciato falsari di moneta o un crimine pubblicamente, o abbia permesso la cattura di un
disertore;
- come sanzione verso il padrone nel caso questi abbia abbandonato malato uno schiavo o lo abbia
prostituito con un patto che lo vietava;
- per manumissione: è l’atto con cui il padrone libera volontariamente il servo rinunciando alla al
potere del capo famiglia, la manus; questa rende il servo libero e cittadino se fatta nei 3 modi che
la rendono giusta e legittima:
o testamento: il testamento può contenere la dichiarazione che libera il servo (“Stico sia libero”);
la libertà può essere data direttamente o per fedecommesso, ossia rimettendosi alla lealtà
dell’erede che lo deve liberare
con il tempo cambia e non richiede più uno schema predeterminato;
o vindicta: è atto tra vivi e si svolge come un finto processo davanti al pretore; un adsertor
d’accordo con il padrone, dichiara che il servo è un uomo libero e il padrone non replica
con il tempo cambia e non richiede più il contesto del finto processo;
o censu: consiste nell’iscrizione dello schiavo nelle liste dei cittadini in occasione del censimento
con il tempo scompare seguendo la sorte del censimento.
Anche se solo questi 3 modi portano ad una manumissione giusta e legittima, nella prassi si fanno
largo anche altre dichiarazioni di volontà, che seppur irrilevanti per il diritto civile, possono essere
fatte valere con intervento del pretore; in questi casi, la legge Iunia Norbana prevede che gli schiavi
diventino sì liberi, ma latini giuniani anziché cittadini romani (essi soffrono di limitazioni, la più
importante delle quali è quella che prevede che alla loro morte il padrone prenda i loro beni).
Nel periodo cristiano si attua un accrescimento delle forme di manomissione:
o in ecclesia: prevede una dichiarazione resa davanti all’assemblea dei fedeli;
o adozione del servo con effetto di liberazione; viene riconosciuta da Giustiniano.
In epoca augustea, poiché la manumissione comporta l’inserimento fra i cittadini di persone di
razza, cultura e abitudini diverse, vengono inserite alcune leggi limitatrici delle manumissioni:
Fufia Caninia: riguarda la manumissione per testamento e prevede che il numero di schiavi
affrancabili sia una frazione variabile in rapporto al numero di schiavi posseduti
questa legge viene abrogata da Giustiniano;
Elia Senzia: riguarda la manumissione fra vivi e prevede che il minore di 20 anni, che possa fare
testamento, possa affrancare solo vindicta e a seguito dell’accertamento di una giusta causa
che se manca comporta la condizione di latino giuniano.
La stessa legge, prevede anche che nel caso siano manomessi schiavi di condotta turpe
(fuggitivi, messi in catene etc.), questi non ottengano la cittadinanza ma la condizione di
peregrini dediticii, con il divieto di risiedere a Roma o nelle vicinanze; da ultimo, la legge
prevede che siano vietate le liberazioni compiute in frode dei creditori o del patrono
di questa legge Giustiniano salva solo alcune parti: il divieto di liberazione in frode ai
creditori e la parte riguardante il manomissore in giovane età, cambiando l’età a 14 anni.
Nel nuovo assetto giustinianeo, vengono eliminate le condizioni di latini giuniani e peregrini deditici, e i
libertini acquistano la cittadinanza romana.
Nonostante la liberazione, la condizione del libertino però, rimane di molto inferiore a quella dell’ingenuo,
infatti soffre di limitazioni nel campo del diritto pubblico ed è vincolato da una serie di obblighi personali e
patrimoniali nei confronti del patrono: è escluso dal senato e da molte cariche e deve onore e riverenza al
padrone, che sui suoi beni gode di un diritto di successione; per questo motivo, in età imperiale, il sovrano
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concede ai libertini il diritto agli anelli d’oro, che permette l’apparenza di ingenuo e la ricostruzione della
nascita, che invece mette il libertino nella condizione di chi è nato libero.
Con Giustiniano, si dispone che al momento della manumissione, oltre alla libertà sia implicata l’ingenuità,
fermo restando però gli obblighi verso il patrono e il diritto di successione.
4. La cittadinanza
La titolarità piena di diritti e obblighi all’interno dell’ordinamento, consegue solo allo status di cittadino;
solo il civis Romanus può fruire delle norme tipiche ed esclusive dello ius civile, mentre lo straniero
(peregrino) può fruire unicamente delle norme dello ius gentium.
Tuttavia la maggior snellezza degli istituti del diritto delle genti, finisce per diffondersi, comportando nella
pratica una differenziazione tra cittadino e straniero meno evidente; ancor di più questo lo si vede con la
concessione di commercium e conubium, rispettivamente facoltà di compiere negozi di diritto civile e
facoltà di contrarre un matrimonio giusto e legittimo.
In generale, allo status di cittadino, si contrappongono quelli di:
peregrino: appartenente ad una comunità che si è volontariamente sottomessa a Roma; essa, pur non
acquistando la cittadinanza, mantiene autonomia, leggi e costumi propri;
peregrino dediticio: colui che ha lottato contro Roma e poi si è arreso; in questa condizione si è liberi
ma non autonomi e gravati da limitazioni;
schiavo: colui che è stato vinto con la forza; è il bottino di guerra;
latino: condizione degli schiavi manomessi nei modi non legittimi.
È comunque possibile ottenere la cittadinanza, in diversi modi:
- per concessione del potere pubblico:
o su base territoriale: con Caracalla e la Constitutio Antoniniana, i confini vanno a coincidere con la
romanità; con l’evoluzione dello Stato assoluto invece, si considera cittadino il soggetto sottoposto
all’autorità assoluta, estendendo la cittadinanza a tutti, salvo latini giuniani e peregrini deditici;
o su base individuale: prima dal popolo e poi dall’Imperatore, la cittadinanza viene concessa a titolo
di elargizione o riconoscimento di meriti;
- per acquisto della libertà: solitamente attraverso la manumissione che opera su base individuale;
- per nascita: diretta conseguenza dello status dei genitori e dell’unione dei genitori, che deve essere
legittima, ossia in linea con il diritto civile:
o figlio di cittadini romani = il matrimonio sarà sicuramente legittimo e il figlio sicuramente cittadino;
o figlio di romano/straniero = se il matrimonio è legittimo perché il conubium è concesso, il figlio
segue la condizione del padre al momento del concepimento, mentre se l’unione non è legittima, il
figlio segue la condizione della madre al momento del parto.
In deroga a questa regola, la legge Minicia, prevede che in assenza di matrimonio legittimo, se uno
dei due genitori è straniero, il figlio nasce comunque straniero;
o figlio di romano/latino = il principio è lo stesso che si segue con lo straniero, con la precisazione che
se la madre è romana e il padre latino, il figlio nasce in ogni caso cittadino.
La cittadinanza può anche essere persa per via di capitis deminutio media del soggetto.
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o in potestà: lo sono i discendenti in primo grado e i discendenti in grado ulteriore se procreati in
linea maschile da persona soggetta a potestà (nipoti e pronipoti);
o in mano: lo sono le donne che vengono assoggettate in forza di un atto giuridico alla famiglia
(matrimonio con il capofamiglia o con un discendente in potestà di costui);
o in mancipio: lo sono le persone cedute dal capofamiglia ad un altro; nella nuova famiglia esse
vengono a trovarsi in una condizione tra quella di figlio e di servo
con Giustiniano rimangono solo i soggetti a potestà.
Questa distinzione riporta alla familia romana, termine con molti significati, primo fra tutti quello di
insieme di persone che per cause naturali o giuridiche sono soggette al potere di uno, il pater familias.
La famiglia può essere:
- proprio iure: costituita dall’insieme di persone attualmente sottoposte al potere del capofamiglia;
- communi iure: costituita da coloro che sarebbero stati soggetti a uno stesso capofamiglia se questi non
fosse morte; da tutti coloro che acquistano l’autonomia nasceranno altre famiglie proprio iure.
Per quanto riguarda invece la parentela, detta agnazione, secondo il diritto civile passa attraverso la linea
maschile e lega i sottoposti al capofamiglia e tra loro, in linea retta o collaterale; i passaggi che separano le
persone tra loro risalendo al comune capostipite sono detti gradi e arrivano fino al sesto/settimo:
padre e figlio = agnati in primo grado in linea retta;
fratelli = agnati in secondo grado in linea collaterale;
cugini = agnati in quarto grado in linea collaterale.
Non c’è vincolo di agnazione con i discendenti in linea femminile, poiché questi appartengono alla famiglia
del loro padre (il figlio della sorella non è agnate perché è parte della famiglia di suo padre); per la
parentela non è necessario il vincolo di sangue, la cognazione, poiché l’adozione conduce già l’estraneo tra
i figli.
Esso è invece rilevante in altri ambiti: è d’impedimento al matrimonio ed è fondamentale ai fini dell’obbligo
degli alimenti; progressivamente assumerà sempre maggior importanza.
6. La patria potestà
Solo i cittadini possono esercitare la patria potestà; sono sottoposti al potere i figli procreati in legittimo
matrimonio, quelli adottati o legittimati dopo la nascita e i discendenti di coloro che siano soggetti a
potestà.
Il contenuto del potere del pater è indicato dalla formula ius vitae et necis, ossia diritto di vita e di morte, e
sta ad indicare potenzialmente un potere illimitato; schematizzando, i poteri principali sono 3:
- diritto di esporre: facoltà del padre di abbandonare in luogo pubblico il figlio, inviandolo a morte o ad
essere accolto e allevato da un terzo
con Giustiniano si stabilisce che l’allevato detiene la condizione di ingenuo, mentre prima era il
raccoglitore a decidere del suo status;
- diritto di vendere: nel periodo classico cade in disuso ma viene ripreso in età post-classica
Giustiniano ammette la vendita del figlio neonato, con l’effetto di ridurlo in schiavitù, in caso di
estrema povertà e con facoltà di riscatto;
- diritto di dare a nossa: facoltà del capofamiglia di sottrarsi a responsabilità per illeciti dei sottoposti,
figli o schiavi, consegnando all’offeso il colpevole
con Giustiniano viene meno questo diritto nei confronti dei figli, rimanendo invece per gli schiavi.
Con Costantino, in età post-classica, il diritto di vita e di morte è considerato appartenente al passato e non
è consentita l’uccisione indiscriminata del figlio; una costituzione occidentale afferma che all’interno della
famiglia c’è il potere di correzione e che la punizione domestica non deve essere senza limiti.
Origine della potestà: nascita, adozione e legittimazione, morte del pater familias con conseguente origine
di potestà dei discendenti sui loro figli.
Estinzione della potestà: morte del titolare, perdita della libertà o della cittadinanza da parte del figlio,
adozione (fino a Giustiniano), raggiungimento di dignità o carica elevata (con Giustiniano), sanzione del
padre per esposizione del figlio o crimini sessuali, emancipazione; quest’ultima consta in una volontaria
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rinuncia del padre: la legge delle XII tavole prevede 3 vendite del figlio perché questi sia libero; con
Giustiniano è previsto che l’emancipazione avvenga per rescritto o davanti al funzionario/giudice
competente e richiede il consenso dell’interessato.
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relativamente ai quali il padre abbia l’usufrutto, egli possa trattenere non il terzo in proprietà, ma la
metà a titolo di usufrutto.
Al termine dell’evoluzione, i figli hanno acquistato una significativa indipendenza.
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Colono. Nel basso impero i lavoratori venivano legati al fondo su cui lavoravano: se il fondo veniva
alienato, ne seguivano la condizione. Non possono mutare la propria condizione che trasmetterà
anche ai figli.
Esercenti taluni mestieri. Ad. es. fabbri, mugnai, erano assoggettati alla loro condizione, ma non ad
una persona particolare.
Rientrano tra i soggetti in condizione di diminuita capacità:
donne. Non possono essere titolari di patria potestas e, in origine, non potevano fare testamento. Il
senatoconsulto Velleiano (46 d.C.) vietò loro di obbligarsi a vantaggio altrui. La Lex Voconia (169
a.C.) vieta che vengano istituite eredi testamentarie per grandi patrimoni. Le donne sono
totalmente incapaci nel diritto pubblico.
Castrati. Non potevano sposarsi né, in diritto Giustinianeo, adottare.
Infami. Persone che sono considerate meritevoli di disistima (per nota censoria, intervento del
pretore o dell’imperatore): condannati per furto, rapina, ingiuria, chi fa turpi mestieri e via dicendo.
Essi non possono proporre istanze per altri, rappresentare altri o farsi rappresentare.
Seguaci di religioni. Si ha a partire dall’epoca cristiana:
o eretici e apostati non possono acquistare né alienare beni e neppure fare testamento;
o ebrei e pagani non possono sposare cristiani né avere schiavi.
Funzioni svolte che comportano alcune limitazioni: soldati, senatori, sacerdoti e decurioni (membri della
curia cittadina).
10. Il matrimonio
Per il diritto civile, l’idoneità a fornire una discendenza legittima, è la peculiarità che caratterizza il
matrimonio rispetto ad ogni altro tipo di unione.
Le definizioni di matrimonio sono principalmente 3:
- le prime 2, contenute nel Digesto e nelle Istituzioni di Giustiniano, pongono come presupposto
dell’unione la presenza di un maschio e una femmina allo scopo di avere figli e creare quindi una
discendenza; da questo discende l’inesistenza del matrimonio dei castrati e di persone dello stesso
sesso (è invece permesso agli ermafroditi previa individuazione del sesso prevalente);
- la terza, di Ulpiano, svaluta il dato della copula a favore del consenso; nella concezione classica è detto
continuo, poiché fondato sulla volontà (maritalis affectio) continua di persone conviventi, di essere
coniugi.
Nel periodo post-classico invece, il consenso è inteso come iniziale e perdurante anche se l’intenzione dei
coniugi di essere marito e moglie viene meno; di qui la limitazione alla libertà di divorzio.
Il matrimonio romano è sempre caratterizzato dalla monogamia. E’ infame colui che dà rilevanza esterna a
una pluralità di rapporti. Nel diritto tardo si arrivò alla repressione criminale della bigamia.
Nel periodo antico il matrimonio è inglobato nella manus; a partire dal III-II secolo a. C. si afferma l’idea di
un matrimonio senza (sine) la manus e questo emerge nella sua autonomia. Cambierà la condizione della
donna: da moglie in mano sottoposta al marito o al padre di lui, a semplice moglie.
Questo tipo di matrimonio non concedeva al marito alcun tipo di potere sulla donna, che restava legata
alla propria famiglia di origine e, quindi, non poteva avere nessuna aspettative ereditaria dalla famiglia del
marito.
Il marito poteva acquisire la manus sulla moglie a seguito della celebrazione di particolari cerimonie nuziali
(la confarreatio o la coemptio) o comunque se sussistevano determinate condizioni (questo è il caso
dell'usus). I poteri della manus arrivavano a comprendere il diritto di uccidere la propria moglie, come
stabilito da una legge attribuita a Romolo, nel caso in cui avesse commesso adulterio o avesse bevuto vino.
Tra i riti nuziali con i quali il marito acquisiva la manus, la confarreatio è sicuramente il più antico. Questo
rito era riservato soltanto alle classi sociali più elevate e richiedeva la presenza del Pontifex Maximus e del
Flamen Dialis. Per questi motivi la confarreatio entrò presto in disuso, sostituita da altri rituali più pratici
come la coemptio.
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La coemptio altro non era se non un adattamento della mancipatio, il negozio anticamente usato per
l'acquisto delle cose di maggior rilievo. In origine, si trattava, in effetti, di una forma di celebrazione del
matrimonio per compera, come la stessa etimologia del termine sembra rivelare (coemptio deriva da cum,
"con" ed emptio, "acquisto, compera"). La coemptio era accessibile anche ai plebei, ai quali la confarreatio
era invece preclusa. Tuttavia, quando la confarreatio cadde in disuso, veniva spesso usata anche dai patrizi.
L'usus, invece, era una forma di matrimonio per usucapione. Si basava su un versetto delle XII tavole, che
stabiliva che le cose mobili potessero essere usucapite dopo un anno. Così, dopo un anno di convivenza, il
marito "usucapiva" la manus sulla moglie.
Nei casi in cui si volesse contrarre matrimonio senza acquisire la manus, si ricorreva all'istituto della
trinoctis usurpatio (o semplicemente trinoctium). La donna si allontanava ogni anno per tre notti dalla casa
coniugale prima che scadesse il termine dell'usus così da impedire che l'usucapione si compisse.
Produttivo di conseguenze civilistiche è solo il matrimonio “giusto e legittimo” (iustum et legitimum) e
l’unione deve rispondere ad alcuni requisiti:
età pubere delle parti: sono puberi il maschio e la femmina che abbiano raggiunto la maturità sessuale;
consenso delle parti: ha rilievo nel momento di determinazione iniziale;
assenso del padre degli sposi: per il maschio si richiede un consenso esplicito mentre per la femmina
una non opposizione; nel caso di padre malato di mente, Giustiniano stabilisce che non sia necessario il
consenso;
presenza del conubium: è la capacità di contrarre validamente matrimonio, collegato alla cittadinanza
e alla parentela; infatti è di regola escluso agli stranieri, salvo consenso, e a persone legate da un
rapporto di parentela o affinità.
Con la Constitutio Antoniniana, al conubium viene tolta ogni giustificazione come requisito positivo: salvo
eccezioni ora tutti sono cittadini romani e perciò l’unione è sempre legittima.
Dalla richiesta di requisiti positivi si passa alla verifica dell’inesistenza di impedimenti, ossia:
- parentela in linea retta e in linea collaterale fino al quarto grado, dove la libertà è piena;
- affinità in linea retta e collaterale: è il vincolo che lega un coniuge ai parenti dell’altro coniuge;
- impedimenti particolari:
es. è vietato il matrimonio dell’adultera, quello tra persone di rango senatorio e libertine e fra
ingenui e donne di cattiva fama, quello tra cristiani ed ebrei, quello tra tutore e pupilla etc.
Con Augusto, per incrementare la popolazione romana, vengono emanate 2 leggi (“Giulia” e “Pappia
Poppea”) con cui si impone l’obbligo matrimoniale a uomini e donne in età feconda e a vedove e divorziate,
si stabilisce la capacità del coniuge di acquistare dall’altro in base al numero dei figli avuti in matrimonio e si
limita la capacità di acquistare dei celibi e degli orbi (sposi senza figli) e viene inoltre vietato ai padri di
impedire senza motivo il matrimonio dei figli.
Nel periodo cristiano si ha però un ritorno al passato, soprattutto riguardo alle seconde nozze: per evitare
che i figli del primo matrimonio siano danneggiati dal secondo, viene stabilito che chi si risposa perda il
patrimonio ricevuto dal defunto a favore dei figli di primo letto, e si impone alle vedove (e poi anche alle
divorziate) si attendere (il “periodo di lutto”) prima di risposarsi.
Il matrimonio può essere preceduto dalla promessa di future nozze, detta sponsio: fino al III sec. a.C.,
l’inadempimento è punito con sanzione di pagamento, ma dall’età classica il fidanzamento non limita più la
libertà e non è più prevista sanzione in caso di inadempimento; i cambiamenti si hanno in età post-classica,
infatti il fidanzamento diviene l’anticipazione del matrimonio: il fidanzamento arrale (arra: caparra),
prevede come una caparra che l’uomo offre alla donna e che perde nel caso di ingiusto rifiuto a sposarsi.
Lo scioglimento del matrimonio si ha per:
morte;
capitis deminutio maxima/media (perdita della libertà); Giustiniano elimina questa causa di
scioglimento;
unione vietata dalle leggi (se viene in essere dopo il matrimonio);
volontà dei coniugi: divorzio se voluto da entrambi, ripudio se voluto da uno soltanto; fino al periodo
cristiano divorzio e ripudio sono sostanzialmente liberi, ma poi la situazione cambia: con Costantino
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viene punito il ripudio, consentito solo a seguito di gravi cause, mentre con Giustiniano sono previsti
scioglimenti puniti e non.
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già sposata, determini adulterio;
vedova o nubile determini stuprum;
libertina, di facili costumi o cattiva fama, come le attrici, sia l’unica situazione in cui il concubinato è
riconosciuto dal diritto e sottratto alle pene previste per adulterio e stupro.
La legislazione cristiana, avversa al concubinato, si pone l’obiettivo di ricondurlo all’istituto matrimoniale; a
questo proposito, viene incentivato il matrimonio consentendo la riconduzione in potestà dei figli nati
dall’unione (legittimazione); i nati da unioni stabili vengono ora chiamati “figli naturali”.
Con Giustiniano, i principali modi di legittimazione, che prima erano 2, vengono perfezionati:
- matrimonio: si compie elevando a moglie la concubina;
- per offerta alla curia: crea un rapporto unicamente tra padre e figlio; nessun diritto successorio potrà
questi vantare rispetto ad agnati e cognati del padre, e anche nei confronti di lui non avrà diritto a
ottenere più del meno favorito dei figli legittimi;
- per rescritto imperiale: condizioni del suo utilizzo sono l’assenza di figli legittimi e l’impossibilità del
matrimonio, come per morte, assenza, immoralità della donna, o per l’insorgere di un divieto legale;
- per dichiarazione solenne: attribuisce lo status di legittimo al figlio nominato tale in un idoneo
documento, purché avuto da donna libera con cui fosse possibile il matrimonio
non si tratta di una vera e propria forma di legittimazione, ma più un mezzo semplificativo. E’ detta
per nuncupationem.
13. L’adozione
L’adozione è la creazione artificiale di un figlio; con essa, un soggetto estraneo alla famiglia viene
aggregato e posto sullo stesso piano dei figli procreati, in eguale sottomissione alla potestà del padre.
In origine, le finalità dell’istituto sono legate a necessità di distribuzione di forza lavoro o a scopi politici.
L’adozione in senso lato si specifica in 2 istituti:
1. Arrogazione: consiste nell’adozione di un individuo sui iuris, che può essere anche un capofamiglia con
dei sottoposti; si tratta quindi della fusione di due famiglie e di una delle ipotesi di successio tra vivi.
Per questi motivi, l’arrogazione deve avvenire sotto il controllo della civitas (per evitare spropositati
accrescimenti del peso politico), che si sostanza nelle domande poste dal pontefice massimo
all’arrogante (vuoi che sia tuo figlio?) e all’arrogato (tolleri che accada?) dinnanzi ai littori che
simboleggiano gli antichi comizi; l’istituito è inapplicabile per le donne e gli impuberi, ma per questi
ultimi la situazione muta con Antonino Pio.
L’arrogazione ha come effetto l’acquisto da parte dell’arrogante di tutti i beni e diritti dell’arrogato,
compresi i crediti; per quanto riguarda i debiti, che per il diritto civile si estinguerebbero, il pretore
concede ai creditori un’azione utile contro l’arrogato.
2. Adozione in senso stretto: consiste nell’adozione di un individuo alieni iuris; in sostanza un padre
subentra ad un altro nell’esercizio della potestà sul figlio e ciò non richiede uno specifico controllo,
seppur l’atto sia comunque complesso. Il figlio viene emancipato attraverso le 3 vendite (per la
femmina ne basta 1), divenendo libero; a questo punto l’adottante lo rivendica davanti al padre con il
meccanismo del finto processo (in iure cessio) e una volta che il pretore aggiudica il figlio all’adottante,
questi lo può manomettere facendolo tornare nella condizione di alieni iuris
l’adozione in senso lato è quindi volta a stabilire un rapporto potestativo.
A metà del II sec. d.c. Gaio si chiede se sia possibile un’adozione compiuta da:
- impotenti: per lui tutti gli impotenti possono adottare, indipendentemente dalle cause dell’impotenza;
- donne: per lui le donne non possono adottare poiché non hanno in potestà nemmeno i figli naturali;
- soggetti più giovani: riguardo a questo non risponde, perciò teoricamente è possibile.
Con l’avvento del periodo classico, si fa strada l’esigenza che l’adozione segua la natura, principio che si
esplica meglio in epoca giustinianea, quando cambiano forma e sostanza dell’adozione:
Arrogazione: si attua attraverso il rescritto imperiale;
Adozione in senso stretto: scompare il rituale del finto processo; le parti ora devono presentarsi
davanti al magistrato competente per le necessarie dichiarazioni.
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Sulla base del principio secondo il quale l’adozione deve imitare la natura, la funzione dell’adozione
diviene quella di dare figli a chi non ne ha; questo fa si che vengano date risposte diverse ai quesiti di Gaio:
- impotenti: è possibile solo se l’impotenza deriva da cause naturali e non per evirazione;
- donne: possono creare un rapporto di filiazione con un adottato a conforto di figli procreati e deceduti;
- soggetti più giovani: devono intercorrere almeno 18 anni fra padre e figlio adottivo.
Giustiniano procede alla riforma dell’istituto:
1. Adozione, si distingue in base a chi la compie:
o l’adozione compiuta da un estraneo non comporta potestà sull’adottato che resta sotto quella di
chi lo ha generato; il figlio ottiene un diritto di successione sui beni dell’adottante;
o l’adozione compiuta dall’avo materno/paterno che aveva emancipato il padre dell’adottato oppure
da un estraneo che adotta il nipote di un avo che trattiene ancora il figlio in potestà, comporta il
passaggio della potestà.
2. Arrogazione, resta il vero modo giuridico di acquisto della patria potestà; all’arrogante spetta, sui beni
dell’arrogato, un semplice diritto di usufrutto
è vietato arrogare i figli naturali poiché per questi opera il meccanismo della legittimazione.
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conseguenze sono diverse a seconda che l’atto sia per lui vantaggioso o svantaggioso.
Il pupillo trae dal negozio concluso tutti i vantaggi, senza gli svantaggi, poiché è di interesse del
contraente assicurasi l’autorizzazione del tutore;
gestione d’affari, negotiorum gestio: è sempre utilizzabile, ma risulta indispensabile quando il
pupillo è infante; gli effetti, fino al termine della tutela, si producono in capo al tutore.
Se il pupillo, in grado di manifestare una volontà, compie un negozio senza l’autorizzazione del tutore,
le conseguenze sono diverse, a seconda che l’atto sia per lui vantaggioso o svantaggioso. Non vale
allora la sua alienazione, la sua promessa, la sua assunzione di obblighi contrattuali, la sua accettazione
dell’eredità, che potrebbe nascondere rischi; ma al contrario, gli si dà e gli si promette validamente.
Trae dal negozio concluso senza autorizzazione tutti i vantaggi senza gli svantaggi, tant’è che in un
contratto a prestazioni corrispettive (come la compravendita) solo la controparte si obbliga.
Le cause di estinzione della tutela sono numerose, come rinuncia, cessione in tribunale, morte o capitis
deminutio, ma la principale resta il raggiungimento dell’età pubere; a questo punto, il tutore dovrà
rendere conto del suo operato; contro il tutore malversatore sono previsti diversi rimedi:
1. azione per la distrazione dei conti: nata per il tutore legittimo e poi estesa ad ogni tipo di tutore;
consiste in una azione penale nel doppio delle diminuzioni patrimoniali dolosamente arrecate al
pupillo;
2. accusa di cattiva gestione: nata per il tutore testamentario e poi estesa ad ogni tipo di tutore; le
conseguenze di questa azione vanno dalla semplice rimozione dall’ufficio all’aggiunta di infamia e
sanzioni pubbliche;
3. obbligo di cauzione: nato per il tutore legittimo e poi esteso a quello nominato dal magistrato
municipale; consiste in una promessa formale da parte del tutore di amministrare bene la tutela,
con conseguente legittimazione del pupillo all’azione in caso di inadempimento;
4. actio tutelae: nata per la tutela atiliana viene poi estesa alle altre regolando le reciproche attese
del pupillo e del tutore; il pupillo ha un’actio diretta, volta ad ottenere quanto il tutore abbia
acquistato per lui in regime di rappresentanza indiretta che in caso di condanna comporta
l’infamia, mentre il tutore ha un’actio contraria non infamante, volta alla rilevazione dalle
obbligazioni assunte.
- Cura (o curatela): è applicata a coloro che sono soggetti agli altri tipi di limitazione della capacità;
possono quindi essere assistiti:
soggetti con minorazioni fisio-psichiche (malati di mente, dissipatori di beni ricevuti in eredità e
affetti da minorazioni o malattie inguaribili): per questi, possiamo avere curatori legittimi, se si
tratta di agnati interessati alla conservazione del patrimonio dell’assistito, o curatori onorari se
scelti dal magistrato; al termine della cura, i rapporti sono regolati attraverso l’actio negotiorum
gestorum;
soggetti inesperti a livello di affari, benché in età pubere: per questi, i curatori sono nominati dal
magistrato su loro richiesta al fine di garantire la regolarità dei negozi intrapresi; anche qui lo
strumento di regolazione degli interessi è l’actio negotiorum gestorum.
La cura diventa la continuazione della tutela poiché il sui iuris, divenuto pubere, passa
dall’assistenza del tutore a quella del curatore fino all’età di 25 anni; qualora però, il maschio
ventenne o la femmina diciottenne si dimostrino onesti è svegli, è possibile che operi l’istituto della
venia aetatis (indulgenza verso l’età), che permette loro di amministrare da soli.
Con riferimento all’uscita del minore dalla cura, si delinea la nozione di maggiore età.
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CAPITOLO III – DIFESA DEI DIRITTI
1. Diritto e azione
L’azione è lo strumento a disposizione del singolo per mettere in moto il processo, a sua volta definibile
come l’insieme delle attività svolte per l’affermazione e la realizzazione di una pretesa.
Nel Digesto (per merito di Celso), ci viene data una definizione di azione: diritto di ottenere in giudizio ciò
che ci è dovuto; da questa espressione emerge il collegamento fra diritto sostanziale e azione, poiché senza
azione il diritto non può essere in concreto esercitato.
Definendo l’azione come ius, insieme facoltà e diritto, si ricava che l’azione è il diritto sostanziale trasferito
in sede di giudizio; l’azione sarebbe quindi una conseguenza del diritto.
Dal III al I sec. d.C., si realizza la tipologia del processo formulare, dove è indubbio che i valori sostanziali
emergano attraverso il processo: il diritto può essere fatto valere se l’organo giusdicente riconosce
l’esistenza di motivi validi per instaurare il giudizio, perciò l’azione è concessa o meno in base alla
valutazione del magistrato.
Non concedendo l’azione, si va a correggere il diritto sottostante, mentre concedendola si valorizza una
situazione di fatto non fondata su un diritto preesistente; queste azioni sono definite da Gaio in factum.
L’actio del Digesto, è il complesso di tante singole e ben individuate actiones.
Il processo romano si presentò nel corso dei secoli, in 3 modi diversi:
1. per legis actiones: è la più antica e viene meno in epoca augustea;
2. per formulas: sorge nel III sec. a.C.;
3. cognitio extra ordinem: è di epoca imperiale e elimina definitivamente il procedimento formulare.
L’attività processuale, può realizzare 2 finalità:
- processo di cognizione: permette di ottenere una pronunzia del giudice che accerti una situazione
giuridica ed eventualmente condanni il convenuto contro cui l’azione è diretta;
- processo di esecuzione: permette di realizzare il diritto accertato adeguando di fatto la situazione a
quella fissata in astratto.
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tra i due momenti abbiamo la litis contestatio dove i contendenti invocano i presenti come testimoni
dell’accordo sui termini del giudizio;
2. apud iudicem: le parti devono comparire il giorno dopo davanti al giudicante (giudice o arbitro) per
esporre le proprie argomentazioni; al tramonto il giudice si convince e decide liberamente (questa fase
è eventuale).
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Per pignoris capionem: avviene semplicemente in forza di crediti privilegiati (fondati su interessi sacrali,
fiscali e militari), senza bisogno di sentenza di condanna; ha carattere patrimoniale ed è specifica:
- l’azione si compie con l’acquisizione di beni del debitore, senza procedura né contraddittorio; si
richiede soltanto la pronuncia di parole determinate durante l’impossessamento
è difficile stabilire i rimedi apprestati a tutela del soggetto ingiustamente spossessato.
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Nel caso di normale prosecuzione, il pretore valuta la causa e decide se concedere o meno l’azione;
con questo atto e con la litis contestatio si chiude la prima fase;
litis contestatio: rappresenta il momento di fissazione dei termini della controversia; con essa, attore e
convenuto, si sottomettono al giudice e quindi alla sentenza. Ad essa sono ricollegati effetti estintivi e
preclusivi connessi all’esercizio dell’azione; vale infatti il principio che tradotto significa: “nessun
secondo processo riguardo allo stesso affare” (l’azione non può essere riproposta).
L’effetto preclusivo funziona diversamente in base al tipo di giudizio esperito; la legge augustea ha
distinto fra giudizi legittimi e giudizi connessi con l’imperio (del magistrato): i primi sono quelli che si
svolgono a Roma fra cittadini romani con giudice unico e romano, mentre i secondi sono quelli in cui
manca anche uno solo dei suddetti presupposti. Tra i giudizi legittimi vi sono quelli derivanti da
obbligazione civile, ossia personali (in personam), per i quali operano effetti di diritto civile e
l’estinzione avviene automaticamente con preclusione di una nuova azione; per gli altri giudizi legittimi
(in factum) e quelli connessi con l’imperio, sono i magistrati ad impedire l’esercizio dell’azione
attraverso il rimedio dell’eccezione;
fase apud iudicem: il giudice (privato cittadino o un collegio giudicante) è scelto dalle parti e decide
attraverso l’assunzione e la valutazione delle prove, che possono essere testimoniali o documentali;
l’onere della prova del diritto vantato spetta all’attore, quello di eventuali eccezioni al convenuto.
Presa la decisione, il giudice emana la sentenza, che è inappellabile e solitamente può solo
condannare a una somma di denaro.
(Approfondimento) Gli effetti della litis contestatio possono essere riassunti in 4 punti:
1) Effetto devolutivo, le pretese dell’attore e le difese del convenuto vengono racchiuse nella formula
che è stata fissata definitivamente di comune accordo e che viene devoluta, cioè consegnata al
giudice che dovrà esprimersi.
2) Effetto conservativo riguarda il diritto sostanziale fatto valere. Successivamente alla litis
contestatio, tutti gli eventi modificativi del rapporto sostanziale tra le parti non hanno più alcuna
influenza. Con una metafora potremmo pensare alla litis contestatio come all’immagine fotografica
che fissa un determinato istante della realtà che è esistito solo per quel momento brevissimo. La
litis contestatio fa qualcosa di simile con la situazione sostanziale tra le parti. Esempio: AA agisce
contro NN perchè a suo dire è obbligato a trasferirgli la proprietà dello schiavo Stico. Nella formula
leggeremo “se sarà accertato che NN ha l’obbligo di dare ad AA lo schiavo Stico, tu giudice dovrai
condannare NN a pagare ad AA la somma corrispondente al valore dello schiavo, se non risulta lo
dovrai assolvere”. La litis contestatio ha fotografato questa situazione; se successivamente, ma
prima della sentenza lo schiavo Stico muore per cause naturali, il fatto non influisce in nessun modo
sul processo perché il giudice è chiamato a pronunciarsi su quanto indicato nella litis contestatio. Se
il giudice dichiarerà colpevole NN lo condannerà a pagare ad AA il valore dello schiavo anche se
esso è nel frattempo morto. Tutti gli avvenimenti successivi alla litis contestatio che in qualche
modo incidono sulla situazione sostanziale che ha condotto le parti ad intraprendere il processo,
non potranno essere tenute in alcun conto da parte del giudice. Gaio scrive “ rimane da considerare
ora il problema di che cosa debba fare il giudice nel casi in cui prima della sentenza ma dopo la litis
contestatio il convenuto soddisfi pienamente le pretese dell’attore”. Poiché la litis contestatio ha
fotografato la situazione in un dato momento in cui il convenuto era gravato verso l’attore, per
questo dovrà essere comunque condannato. Su questo tema le scuole di pensiero dei sabiniani e
dei proculiani erano in disaccordo. I sabiniani avevano superato il principio conservativo della litis
contestatio affermando che tutti i processi sono assolutori, cioè deve essere data la possibilità al
convenuto di essere assolto nel caso soddisfi a pieno le pretese dell’attore. I proculiani invece
affermavano che il convenuto andava comunque condannato. I romani conoscevano le azioni
penali (furto, rapina, danneggiamento e ingiuria), esercitate dalle persone offese da un atto illecito,
che avevano lo scopo di portare una punizione all’autore; caratteristica dell’azione penale era
l’intrasmissibilità passiva, cioè l’azione non poteva essere esercitata contro gli eredi. Se NN compie
un furto oggi e muore prima che con AA abbiano concluso la litis contestatio, AA non potrà
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avanzare alcuna pretesa contro gli eredi di NN. Se invece si era già conclusa la litis contestatio AA
potrà portare a termine il processo contro gli eredi di NN, in virtù del principio conservativo.
3) Effetto estintivo (alternativo all’effetto preclusivo), secondo il quale la litis contestatio estingue
l’obbligazione originaria e la sostituisce con un’obbligazione nuova. Nel paragrafo 180 del III
Commentario Gaio spiega in che modo si estinguono le obbligazioni e tra questi cita anche la litis
contestatio. “... una obbligazione può essere tolta di mezzo, può essere sciolta, dalla litis
contestatio purché il processo sia legittimo”. L’obbligazione principale cioè quella che stringeva in
un rapporto obbligatorio attore e convenuto prima del processo, si scioglie e dalla litis contestatio
in poi sorge una nuova obbligazione per il convenuto che è quella di essere sottomesso al giudizio
del giudice (teneris litis contestatione – essere obbligato in forza della litis contestatio). In caso di
condanna questa obbligazione è sostituita da una nuova detta iudicato in facere oportere, cioè
tenere un comportamento conforme a quello ordinato dal giudice nella sentenza di condanna.
Secondo gli antichi giuristi il debitore prima della litis contestatio deve dare oportere (è gravato
dall’obbligo di dare), dopo la litis contestatio è gravato dall’obbligo di sottostare al contenuto della
sentenza (obbligo di essere condannato o assolto), dopo l’eventuale condanna è obbligato ad
adempiere al contenuto della condanna. Questi diversi obblighi non possono coesistere, si
sostituiscono l’un l’altro. Mentre prima della litis contestatio e dopo la condanna il convenuto ha
l’obbligo di tenere un determinato comportamento, nel periodo che va dalla litis contestatio alla
sentenza non ha nessun comportamento materiale da tenere. Non sempre però l’obbligo nascente
dalla litis contestatio è omogeneo con la situazione fatta valere dall’attore nel processo. Infatti il
vincolo costituito dalla litis contestatio non era fondato sullo ius civile e quindi non era omogeneo
con le obbligazioni nei processi formulari precedenti alla legge Giulia, solo con questa legge alcuni
processi formulari furono equiparati alle legis actiones e la litis contestatio, ha potuto estinguere
l’obbligazione per cui si agiva in giudizio. Ma anche dopo tale legge capitava di far valere in giudizio
un diritto reale, una situazione potestativa o uno status, quindi non c’era omogeneità tra la tutela
di un diritto reale (situazione originaria) e la nuova obbligazione sorta con la litis contestatio. Ad
esempio se agisco perché voglio vedere riconosciuto il mio diritto di proprietà sul fondo Corneliano,
in forza della litis contestatio il mio diritto di proprietà non si potrà estinguere poiché non
omogenea. Quindi in tutti i casi in cui la situazione sostanziale che ha generato il processo non è un
diritto di credito (cioè un rapporto obbligatorio), quando non è un processo legittimo, la litis
contestatio non estingue l’obbligazione originaria.
4) Effetto preclusivo (alternativo all’effetto estintivo). In tutti i casi in cui la litis contestatio non
estingueva l’obbligazione originaria, teoricamente l’attore poteva agire nuovamente per la
medesima causa, contro il convenuto già assolto. Ciò avrebbe comportato delle conseguenze
inique, pertanto il pretore ha posto dei correttivi introducendo l’exceptio rei iudicate vel in iudicium
deductae (eccezione di cosa giudicata o venuta in giudizio). Il convenuto già precedentemente
assolto per la stessa causa poteva chiedere di inserire nella formula questa eccezione per
paralizzare la seconda azione dell’attore. Esempio: AA dichiara di essere proprietario del fondo
Corneliano attualmente in mano a NN e lo cita in giudizio. La formula sarà “se sarà accertato che il
fondo Corneliano è di AA e se il fondo non sarà restituito da NN ad AA sulla base dell’ordine del
giudice, tu giudice dovrai condannare NN a pagare ad AA una somma pari al valore del fondo,
altrimenti lo dovrai assolvere”. Il giudice farà gli accertamenti necessari e se AA non riuscirà a
dimostrare di essere il proprietario del fondo assolverà NN che resterà in possesso del fondo.
Poiché tra l’obbligazione nata con la litis contestatio e il diritto fatto valere originariamente non c’è
omogeneità (una è una obbligazione l’altra un diritto reale), il diritto reale non si estinto e AA potrà
nuovamente agire contro NN. Nella seconda causa NN chiede al giudice di inserire nella formula
l’eccezione di cosa giudicata o dedotta in giudizio; il giudice del secondo processo dovrà accertare
se è vero che AA è il proprietario del fondo Corneliano ma dovrà anche accertare se è vero che sulla
medesima questione è già stata emanata una sentenza o conclusa una litis contestatio. Se il giudice
accerta che il fondo non è di AA assolverà subito NN, se invece accerta che il fondo è
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effettivamente di proprietà di AA dovrà comunque assolvere NN perché l’eccezione di cosa
giudicata o passata in giudicato ha paralizzato la pretesa dell’attore. Vale il principio “bis de aedem
re ne sit actio” (nessun secondo processo riguardo allo stesso affare). In realtà è possibile
procedere una seconda volta ma l’attore non potrà mai vincere in un secondo processo. Con la litis
contestatio la carta processuale è definitivamente giocata e non può essere ritirata.
In sintesi la litis contestatio avrà effetto estintivo quando:
Il processo è legittimo- iudicium legitimus (le parti sono cittadini romani, con un giudice unico
romano e il processo è celebrato a Roma).
L’azione è in personam (con la quale si fa valere il diritto di credito/rapporto obbligatorio).
La formula è ius concepta (si fa valere un diritto riconosciuto dallo ius civile).
In questi casi la litis contestatio estingue automaticamente l’obbligo originario (ipso iure - con effetto
immediato).
La litis contestatio avrà effetto preclusivo quando:
Il processo è iudicio imperio continens cioè illegittimo (le parti non sono entrambi cittadini romani,
il giudice non è romano, il processo non si svolge a Roma);
L’azione è in rem (con la quale si fa valere un diritto reale);
La formula è in factum (concessa dal pretore);
In questi casi la litis contestatio non estingue l’obbligazione originaria (ope exceptionis – per poter
essere assolto nel secondo processo il convenuto dovrà far inserire la clausola di cosa giudicata o
passata in giudicato).
Il giudice può essere un privato cittadino (index, arbiter) o un collegio giudicante (recuperatores) per le
questioni di maggiore interesse pubblico o al collegio dei centumviri per cause ereditarie. Al giudice spetta
il compito di accertare quanto nella formula si presenta “ipotetico e alternativo”. Lo schema scritto gli
propone l’enunciazione della pretesa dell’attore e l’obiezione del convenuto: è richiesta una verifica e lo
strumento per metterla in atto sta nelle prove: saranno queste a decidere.
La fase apud iudicem è quella in cui si assumono, si discutono, si valutano le prove. Il numero delle udienze
e le modalità di svolgimento sono rimesse alla discrezionalità del giudice. Le prove testimoniali hanno
maggior peso delle prove documentali, per la possibilità di instaurare un contraddittorio davanti al giudice.
L’onere della prova spetta all’attore, quello di eventuali eccezioni al convenuto. Sulla base delle prove
addotte il giudice valuta e decide liberamente. Lo sbocco conclusivo dello stadio apud iudicem è la
sentenza, termine che significa parere, essa è inappellabile e risolve definitivamente la lite. L’azione non
può essere riproposta. La sentenza di regola può condannare solo al pagamento di una somma di denaro
secondo quanto indicato nella formula.
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4. Condanna, condemnatio: indica sia la condanna irrogata dal giudice che la parte della formula con cui
le parti conferiscono al giudice il potere di condannare o assolvere.
Solitamente la condanna consta sempre in una somma di denaro, che può essere determinata o
indeterminata se rimessa alla valutazione del giudice (quindi certa o incerta); in quest’ultimo caso potrà
essere definito o meno un tetto massimo.
Se l’attore pone nella condanna più rispetto al dovuto, trova rimedio con la restitutio in integrum;
diversamente l’attore che richiede meno del dovuto non trova soccorso.
le ultime due parti sono tendenzialmente alternative, ma possono anche trovarsi insieme.
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A spingere il convenuto alla restitutio c’è un mezzo di coazione: l’ammontare della somma (litis
aestimatio) viene fissato dall’attore mediante giuramento estimatorio (iusiurandum in litem) che si
prospetta come sfavorevole al convenuto.
4. Finzione, fictio: è una clausola modificatrice dell’intentio (pretesa) con cui il pretore impone al giudice
di dare per esistente una circostanza posta come requisito dal diritto civile; questo adattamento serve
ad estendere la tutela processuale a casi non contemplati.
Si ha la fictio ad esempio nel caso dell’actio Publiciana, fingendosi avvenuta l’usucapione non ancora
contemplata, ancora quando si finge non avvenuta una capitis deminutio al fine di consentire al
creditore di agire contro il soggetto divenuto alieni iuris, ovvero quando si considera cittadino lo
straniero, per legittimarlo all’azione di furto.
9. Generi di azioni
Le azioni possono essere classificate in categorie in base a caratteri comuni, all’origine e alla funzione
svolta. In base alla classificazione, si avrà una diversa operatività processuale.
Seguendo il Commentario di Gaio:
I classificazione:
Reali, in rem: sono quelle in cui si afferma che una cosa è nostra, o che ci spetta un diritto su di essa
ovvero neghiamo l’esistenza di tali diritti in capo ad altri e sono dette anche vindicationes; come
conseguenza della passività processuale abbiamo la perdita del possesso del bene;
Personali, in personam: sono quelle in cui si afferma che qualcuno è obbligato verso di noi, per
contratto o illecito e sono dette anche condictiones; come conseguenza della passività processuale
abbiamo la messa in moto della procedura esecutiva.
II classificazione:
Reipersecutorie: sono quelle tese alla reintegrazione patrimoniale, appunto rei persecutio.
Penali: sono quelle dirette al conseguimento di una pena pecuniaria per delitto; la nozione di azione
penale è correlata alla concezione dell’atto illecito come produttivo di sanzioni pubbliche e private.
Miste: sono quelle che tendono alla reintegrazione patrimoniale e a una pena insieme; il convenuto che
nega la pretesa dell’attore viene condannato nel doppio (reintegrazione + pena).
III classificazione:
Civili: sono quelle che vengono da leggi o senatoconsulti; tra queste figurano:
- Azioni arbitrarie: tendono a evitare la condanna pecuniaria.
- Praeiudicia: hanno funzione di semplice accertamento e danno luogo a formule con sola intentio.
- Azioni di buona fede: si tratta di azioni in personam dove l’obbligo viene valutato in base ai principi
della buona fede; il giudice ha ampia discrezionalità e può tener conto di patti altrimenti non
valutabili, degli interessi e dei frutti, di vizi del volere e di eventuali crediti del convenuto.
- Azioni in bonum et aequum conceptae: sono azioni rivolte a ciò che è opportuno e giusto; il
giudice ha ampia discrezionalità e gli è consentito di fissare la condanna secondo giustizia e
opportunità.
- Azioni di stretto diritto: si tratta di azioni in personam che si contrappongono a quelle di buona
fede; il rapporto infatti è valutato con stretto rigore e al giudice non è concessa la discrezionalità.
Pretorie: sono quelle che derivano dalla giurisdizione del pretore; tra queste figurano:
- Azioni in factum: non vi è riferimento a obblighi nascenti dal diritto civile, ma il giudice dovrà
condannare o assolvere in base alla sussistenza di dati di fatto; il pretore persegue la modifica
dell’ordinamento tutelando situazioni che altrimenti non avrebbero avuto riconoscimento;
- Azioni fittizie: il giudice utilizza la fictio, ricalcando l’azione onoraria su quella civile e fingendo
l’esistenza di un presupposto;
- Azioni con trasposizione di soggetti: consentono la condanna a favore di/contro soggetti non
legittimati dal diritto civile; attore o convenuto è una persona diversa da quella a favore di
cui/contro opera la condanna e in questo modo si realizza la rappresentanza processuale. La parte
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può infatti stare in giudizio anche tramite altri. A questo servono nel regime formulare il cognitor e
il procurator, generale o specifico per quella lite.
Differenze: il cognitor va nominato solennemente con dichiarazione diretta all’avversario, attore o
convenuto, il procurator informalmente, e anche senza che l’avversario sia presente o a
conoscenza, sulla base del semplice mandato.
Attraverso cognitor e procurator si realizza una formula “con trasposizione di soggetti”, con
condanna pronunciata ai danni o a favore del rappresentante, il che permette anche di realizzare la
trasmissione del credito.
- Azioni utili: indicano genericamente le azioni pretorie fittizie e specificatamente le azioni costruite
sul modello di azioni previste per casi analoghi.
- Azioni popolari: sono azioni penali date al singolo cittadino per la tutela di un interesse pubblico; la
condanna è a favore dell’attore.
- Azioni temporanee: sono azioni aventi durata limitata nel tempo, ossia si estinguono se non
vengono fatte valere entro un dato termine; vanno a contrapporsi con le azioni civili che hanno
invece durata illimitata (actiones perpetuae).
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4. missio in bona o in possessionem: è il più forte mezzo di coazione e consiste nell’immissione nella
disponibilità dei beni appartenenti ad altro soggetto a vantaggio dell’istante; lo scopo di questo
strumento, è forzare la parte a tenere un comportamento.
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Nel II secolo d. C. il processo formulare è in declino nelle province; nel 342 d.C. una costituzione di
Costanzo e Costante lo abolisce anche formalmente. Il formalismo è ancora invocato come causa del venir
meno del sistema processuale formulare.
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si perde la tipicità delle azioni, e si sviluppa una generale nozione di azione intesa come diritto di far
valere in giudizio la pretesa; il tipo di azione non influenza più il processo e la decisione del giudice.
Nelle classificazioni:
- scompare la contrapposizione fra azioni civili e pretorie, vista la scomparsa dell’organo
giurisdizionale e l’unificazione sostanziale tra i due ordinamenti;
- perde significato la distinzione tra azioni di stretto diritto e di buona fede, poiché vengono estesi i
criteri di queste ultime alla maggior parte dei giudizi;
- alle azioni temporanee si contrappongono ancora quelle perpetue, però ora la qualificazione non
indica più la durata illimitata nel tempo, ma la soggezione ai normali termini di prescrizione per cui
le azioni si estinguono per il decorso di 30/40 anni;
- nasce una nuova categoria di azioni, definite miste (non sono però le miste di prima), ossia quelle
divisorie (per dividere l’eredità, per la divisione di cose comuni) e l’azione per regolamento di
confini; vengono ritenute miste poiché il giudice, oltre ad aggiudicare le cose può condannare a un
conguaglio;
La scomparsa della formula influisce sull’operatività della eccezione, l’arma a difesa del convenuto:
l’eccezione, non è più parte della formula, ma semplicemente un mezzo di tutela processuale; consiste
in qualunque obiezione del convenuto alle pretese dell’attore. Vengono attenuate le conseguenze
dell’eccezione dilatoria che non ha più come inevitabile conseguenza l’assoluzione del convenuto, ma
può portare a una semplice diminuzione della sua condanna;
per quanto riguarda gli strumenti pretori, vengono assorbiti dall’azione:
es. l’azione Pauliana o revocatoria, riassume i vecchi rimedi dell’interdetto o della restitutio in
integrum; questa, a sua volta, è divenuta un’azione di restituzione che il danneggiato può direttamente
intentare.
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soddisfare il creditore. Quest’ultima soluzione rappresenta l’antecedente della espropriazione
forzata, che opera su singoli beni, laddove la distractio bonorum anticipa la procedura fallimentare
che colpisce l’intero patrimonio.
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CAPITOLO IV – SCHEMA DEL NEGOZIO GIURIDICO
1. Nozione ed elementi essenziali
Il negozio giuridico è costruzione dottrinale moderna; nelle fonti romane manca un’esposizione completa e
consapevole a riguardo, ma partendo dalla più ampia categoria del fatto giuridico, è possibile arrivarci.
Per fatto giuridico si intende ogni evento produttivo di effetti giuridici, sia esso dovuto alla natura o
all’uomo; se il fatto rileva in quanto prodotto di azione umana si parla di atto giuridico.
All’interno della categoria dell’atto, possiamo distinguere fra:
- atti illeciti: avremo crimini, che violano un interesse pubblico, e delitti, che ledono la sfera privata;
- atti leciti: all’interno di questi, il negozio giuridico si caratterizza come la manifestazione di volontà
diretta a uno scopo tutelato dall’ordinamento; rispetto all’atto quindi, il negozio si differenzia per una
volontà diretta anche allo scopo, onde si avrà volontà dell’atto e volontà degli effetti.
I moderni, hanno identificato gli elementi essenziali del negozio giuridico:
1. Soggetti: per dare vita al negozio devono essere capaci di agire; sappiamo che:
- possono limitare la capacità cause quali l’età, il sesso, le deficienze psicofisiche o una particolare
condizione;
- può presentarsi incapacità relativa: sordi e muti, tendenzialmente capaci, non possono compiere
negozi per i quali bisogna pronunciare e udire parole solenni;
- può esserci il divieto, per il soggetto, di disporre dell’oggetto del negozio: il marito non può alienare
il fondo italico dotale, di cui è formalmente proprietario, senza il consenso della moglie.
2. Volontà: si manifesta nella dichiarazione, che può essere compiuta personalmente o tramite altri:
- un intermediario, il nuntius, il cui compito è solo quello di comunicare la volontà del soggetto che si
ritiene aver concluso personalmente il negozio
- un rappresentante, a cui è affidata la manifestazione della volontà nonché la sua determinazione;
possiamo avere rappresentanza diretta o indiretta a seconda che gli effetti si producano in capo al
rappresentato o al rappresentate (che poi dovrà trasferire la titolarità dei rapporti al
rappresentato).
Il diritto romano ammette tendenzialmente la sola rappresentanza indiretta, ma talora è possibile
ravvisare una rappresentanza diretta, seppur in situazioni speciali.
3. Forma: è il modo con cui le dichiarazioni si manifestano nella realtà esterna; la volontà viene
riconosciuta solo se si estrinseca in forma determinata ed è tutt’uno con essa.
La forma è presente in ogni negozio; in base alla necessità o meno di seguirne una obbligatoria,
avremo:
- negozi formali: abbiamo mancipazione, cessione in tribunale (in iure cessio) e stipulazione, mezzi
che attraverso appositi adattamenti sono suscettibili di una vasta gamma di utilizzazioni;
componenti fondamentali di questi negozi sono la parola e il gesto, da soli o insieme;
- negozi non formali: vengono riconosciuti in età classica, periodo in cui si afferma il documento
scritto; questo, prevarrà poi nel diritto ultimo, accanto alla scomparsa delle antiche forme
negoziali.
4. Causa: è il fine perseguito, la ragion d’essere oggettiva del negozio (≠ dai mo vi individuali che
determinano il soggetto all’atto); in base ad essa avremo diverse distinzioni di negozi:
I distinzione:
- negozi causali: il fine è essenziale all’atto ed è in genere reso palese dal compimento del medesimo
(la traditio è un negozio causale anche se la causa è celata: negozio a causa variabile)
senza causa, il negozio non produce effetto;
- negozi astratti: si prescinde dalla causa, che non emerge dal negozio; questi negozi, non
esprimendo un fine specifico, possono essere impiegati per gli scopi più vari.
C’è uno stretto rapporto fra astrazione e formalismo, infatti i negozi astratti appartengono
generalmente al novero dei negozi formali: l’osservanza delle forme prende il posto della causa e
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cela il fine nella solennità (mancipazione, cessione in tribunale e stipulazione si reggono infatti
sull’osservanza delle forme, non sul perseguimento di uno scopo)
non rilevando una causa, il negozio resta in piedi in forza della sua struttura.
Contro l’assenza di causa, il pretore concede le eccezioni.
II distinzione:
- negozi tra vivi: contemplano un risultato pratico da realizzarsi in vita delle parti;
- negozi a causa di morte: sono finalizzati ad attuare un regolamento di interessi che diviene
operante dopo la morte del loro autore; questi negozi hanno la caratteristica di essere revocabili.
III distinzione:
- negozi a titolo oneroso: al sacrificio di una parte non ne corrisponde uno analogo dell’altra, che
dunque è la sola a ricevere un vantaggio;
- negozi a titolo gratuito: sacrifici e vantaggi si bilanciano, giustificandosi vicendevolmente.
2. Elementi accidentali
I negozi possono essere adattati alle esigenze delle parti mediante gli elementi accidentali, clausole
aggiuntive che modellano il negozio in concreto; tra queste abbiamo le leges privatae, dichiarazioni
unilaterali di privati in seno a negozi solenni fuori dallo schema tipico dell’atto, e i pacta, ossia convenzioni
atipiche che valgono in quanto accessorie di un negozio principale.
Pur esistendo atti a struttura rigida (atti legitimi), che non tollerano elementi accessori, gli elementi
accidentali generalmente applicabili sono:
1. condictio, condizione: fa dipendere gli effetti del negozio da un evento futuro e incerto; in base a ciò
che riguardano, avremo condizioni:
I distinzione:
- sospensive, se al verificarsi dell’evento consegue il prodursi degli effetti del negozio; per i romani la
condizione è generalmente di questo tipo;
- risolutive, se al verificarsi dell’evento consegue il cessare degli effetti del negozio; i romani
utilizzano questo tipo di condizione solo occasionalmente.
II distinzione:
- positive, se riferite al verificarsi di un evento;
- negative, se riferite al non verificarsi di un evento.
III distinzione:
- causali, se dipendono dal caso e comunque non dalla volontà delle parti del negozio
es. se arriverà la neve;
- potestative, se dipendono dalla volontà della parte che ne trae vantaggio
es. se andrai sul Campidoglio;
- meramente potestative, se fanno dipendere l’efficacia da un semplice atto di volontà
dell’obbligato; in questo caso si hanno effetti invalidanti
es. mi darai cento se vorrai?;
- miste, se dipendono contemporaneamente dalla volontà di una delle parti e dal caso
se sposerai Mevia.
IV distinzione:
- impossibili, fanno riferimento ad aventi che non possono verificarsi al momento del negozio; Gaio
afferma l’effetto invalidante di queste condizioni, ma i Sabiniani introducono l’eccezione secondo
cui nei negozi a causa di morte si considerano come non scritte;
- illecite, ossia contrarie ad un precetto o al buon costume; se apposta ai negozi tra vivi ne determina
l’invalidità, mentre negli atti di ultima volontà (testamenti) si considerano come non scritte
secondo lo stesso principio stabilito per le condizioni impossibili.
Nel periodo in cui l’evento non si è ancora verificato, ma può verificarsi, si ha pendenza della
condizione.
2. dies, termine: clausola che introduce una data da cui si fanno iniziare o cessare gli effetti del negozio:
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- sospensivo, se si tratta di un termine iniziale;
- risolutivo, se si tratta di un termine finale.
Per quanto riguarda la data, essa può essere certa oppure certa nel suo verificarsi ma incerta quanto
al momento; qualora invece l’incertezza riguardi il “se” l’evento si verificherà, si ha condizione.
3. modus, modo: clausola afferente agli atti di liberalità (testamenti, fedecommessi, donazioni) che
impone un onere al beneficato senza però subordinare l’elargizione all’adempimento
es. lascito con obbligo di erigere un monumento.
3. Invalidità
Si ha invalidità quando il negozio non produce regolarmente i suoi effetti; in questo caso si dovrà però
distinguere fra:
nullità: difetto di un requisito essenziale che impedisce il prodursi degli effetti del negozio;
annullabilità: vizio di origine che non osta al prodursi degli effetti, che potranno però essere rimossi.
Questa dicotomia non si propone inizialmente nello ius civile, dove il negozio o è valido ed efficace o
invalido e inefficace; il formalismo garantisce la rispondenza dell’atto all’ordinamento, perciò un atto non
perfetto è come inesistente.
La rigidità dello ius civile viene poi superata dal pretore tramite la concessione di rimedi per quei negozi
civilmente validi ma in qualche modo viziati o iniqui; in questo modo, grazie alla fusione del diritto civile con
quello pretorio, si arriva alla distinzione fra negozio nullo e annullabile.
L’invalidità discende da varie cause, in rapporto con:
- capacità dei soggetti: è invalido il negozio concluso da soggetto privo di capacità di agire o affetto da
incapacità relativa;
- natura dell’oggetto: il negozio può essere invalido per l’impossibilità o l’indeterminatezza dell’oggetto;
- liceità del negozio: il negozio è invalido se contrastante con norme o buon costume;
- divergenza tra volontà e manifestazione:
o simulazione: si ha quando le parti attuano un negozio non volendone in realtà compiere alcuno,
oppure allo scopo di celarne un altro;
o errore ostativo: si ha quando viene dichiarata una cosa mentre in realtà un’altra è voluta.
- anomalie nella formazione della volontà:
o errore motivo/vizio: è il motivo che spinge il soggetto al negozio influenzando gravemente il
processo di formazione della volontà; qui, diversamente dal caso di errore ostativo, c’è un rimedio:
l’eccezione correlata al fatto, dietro valutazione del caso singolo.
Le categorie di errore vizio enucleate dalle fonti romane sono le seguenti:
- Error in negotio, è un errore essenziale e rilevante che produce l’invalidità del negozio.
Esempio: Tizio mi dice che mi vende uno schiavo, io capisco che mi dona uno schiavo.
- Error in persona, riguarda l’identità del destinatario del negozio o della controparte. Nei
negozi mortis causa l’errore è considerato sempre rilevante e produce sempre l’invalidità
del negozio; nei negozi inter vivos è nullo solo quello denominato intuito in persona, cioè in
cui non è indifferente che una determinata attività sia compiuta da un soggetto piuttosto
che da un altro. Esempio: in un negozio di locazione d’opera l’attività di idraulico non può
essere svolta da un falegname.
- Error in corpore, ha come oggetto l’identità fisica dell’oggetto del negozio ed è sempre
rilevante quindi porta all’invalidità del negozio.
- Error in nomine, riguarda l’indicazione nominale di una persona o di un oggetto che però è
stato perfettamente identificato o è identificabile; è un errore irrilevante.
- Error in substantia, riferito alla composizione materiale dell’oggetto. Qui le soluzioni dei
giuristi sono state articolate, ma prevalse l’idea della rilevanza.
- Error in quantitate, riferito alla quantità. Anche in questo caso i giuristi proposero più
soluzioni, o la nullità del negozio stesso o la sua validità ma solo per la quantità reale.
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Esempio: compravendita di un sacco da 50 kg di farina; poi si scopre che la bilancia non era
giusta e i kg sono solo 45.
- Error in qualitate, non è considerato un errore rilevante poichè colui che vuole acquistare
un determinato bene ha a disposizione gli strumenti per accertarne la qualità.
- Error in causa, che verte sui motivi o le circostanze di fatto per cui taluno può essere
indotto a compiere un negozio; si riferisce ai motivi soggettivi del negozio, normalmente si
tratta di un errore irrilevante. Esempio: voglio acquistare un fondo per costruire la casa
delle vacanze; la zona mi viene prospettata come sana e silenziosa: dopo l’acquisto scopro
che non lo è.
o violenza morale: consiste in minacce che alterano la volontà del soggetto (intimidazioni); purché
irrilevante per lo ius civile, il diritto pretorio fornisce alcuni rimedi: la restitutio in integrum, che
ristabilisce la situazione anteriore, l’actio quod metus causa, che è un azione penale nel quadruplo
del pregiudizio arrecato, e l’exceptio quod metus causa, che è lo strumento difensivo per la vittima
che non abbia ancora adempiuto;
o dolo negoziale: consiste in gravi astuzie, macchinazioni e raggiri usati allo scopo di indurre la
controparte in errore; anch’esso irrilevante per lo ius civile, trova rimedi nel diritto pretorio: l’actio
doli, che consente alla parte danneggiata che abbia già adempiuto di agire per ottenere la
riparazione del pregiudizio, e l’exceptio doli, che consente alla vittima convenuta in giudizio di
paralizzare la pretesa dell’autore del dolo (questo rimedio viene poi utilizzato per reprimere ogni
comportamento scorretto che urti contro i criteri di equità: exceptio doli generalis).
Esempio della formula con clausola di exceptio: “se risulta che NN debba dare 1000 sesterzi ad AA,
e se nella questione nulla sia avvenuto o avvenga per dolo malvagio di AA, il giudice dovrà
condannare NN a pagare 1000 sesterzi ad AA, se non risulta andrà assolto”. Con questa clausola il
giudice prima dovrà accertare se la pretesa dell’attore è fondata, poi dovrà verificare se sussistono i
fatti o le circostanze addotte dal convenuto nella exceptio, cioè se si è verificato il fatto doloso. Se il
giudice accerta che NN non deve nulla ad AA il processo si chiude con l’assoluzione; se accerta che
NN deve il denaro ad AA, il giudice dovrà verificare se c’è stato o meno il comportamento doloso di
AA, se c’è stato assolverà NN se non c’è stato lo condannerà. L’exceptio doli è una exceptio scripta
in personam, cioè è rilevante solo se il dolo è stato compiuto dal convenuto e non da terzi. Questo
perché il dolo è ritenuto meno grave della violenza; questa eccezione tutela il dolo negoziale
(avvenuto al momento della conclusione del negozio giuridico) e il dolo processuale (avvenuto in
una fase successiva alla conclusione del negozio). Esempio: Tizio acquista un fondo da Caio per la
coltivazione delle mele; Caio convince Tizio che il terreno è particolarmente fertile giustificando il
prezzo maggiorato. Tizio si accorge di essere stato raggirato prima del pagamento della cifra
pattuita. Tizio non potrà esercitare l’actio de dolo poiché materialmente non ha ancora subito il
danno; potrà attendere l’azione penale di Caio che richiederà il pagamento della somma pattuita,
proponendo poi l’exceptio doli in sede di giudizio.
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CAPITOLO V – DIRITTI REALI E DI POSSESSO
1. Generalità
Si dicono diritti reali quei diritti soggettivi assoluti con diretta incidenza sulle cose; questi, postulano un
generale dovere di astenersi da interferenze nel rapporto tra il titolare e la res, che fa capo a tutti gli altri
consociati. (≠ è il possesso, che pur incidendo direttamente sulla cosa, non costituisce un diritto soggettivo)
Tra i diritti reali distinguiamo da una parte la proprietà, dall’altra tutti i restanti diritti:
- Diritto reale di proprietà, ius in re: è l’unico in grado di porsi come autonomo ed è caratterizzato da un
contenuto più ampio.
- Diritti reali su cosa altrui, iura in re aliena: sono diritti reali minori che presuppongono sulla res un
diritto di proprietà da parte di un altro soggetto; sono caratterizzati da tipicità, in quanto costituiscono
una categoria a numero chiuso.
Essi si distinguono in:
diritti reali di godimento: servitù prediali, usufrutto, uso, abitazione, opere dei servi e degli
animali, ius in agro vectigali, superficie e enfiteusi;
diritti reali di garanzia: pegno e ipoteca.
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1. individuano il suolo e quanto vi è incorporato stabilmente;
2. sono i beni che posso trasportarsi, compresi quelli che si animano per virtù propria (servi/animali).
Cose corporali/Cose incorporali (res corporales/res incorporales):
1. sono le cose concrete;
2. sono quelle cose che consistono in un diritto; ammettono la trasmissione solo mediante in iure cessio,
salvo l’obligatio che non è trasferibile in alcun modo.
Cose fungibili/Cose infungibili:
1. vengono in considerazione per la loro appartenenza ad un genere, entro il quale sono interscambiabili,
rilevando solo in ragione del peso, del numero o della misura (vino/olio/frumento/denaro); riguardo al
regime degli obblighi, vanno restituite cose dello stesso genere e qualità, non le stesse ricevute;
2. la valutazione economico-sociale focalizza nella loro individualità (un fondo/un cavallo/una veste).
Cose consumabili/Cose inconsumabili:
1. sono idonee ad essere utilizzate una sola volta, poiché tale uso ne cagiona la perdita
(olio/vino/denaro); si tratta di una consumazione economica;
2. sono quelle cose che ammettono un uso (normale) ripetuto.
Cose divisibili/Cose indivisibili:
1. sono cose che se fisicamente divise conservano nelle loro parti una funzione economico-sociale
proporzionale rispetto all’intero (un fondo, una barra d’oro/una somma di denaro);
2. sono cose che non ammettono frazionamento senza perire o senza perdere rilevante valore (un
servo/un cavallo/un dipinto/una statua).
Cose semplici/Cose composte/Cose complesse:
1. sono quelle cose che la coscienza sociale considera come entità unitarie (un servo/un cavallo);
2. sono cose formate dall’unione tecnica di cose semplici (una nave/una casa/un armadio); hanno una
sorte giuridica unitaria, infatti può essere rivendicata solo la cosa nel suo complesso, e non perdono la
loro identità se una o più parti vengono sostituite;
3. sono conglomerati di cose fisicamente disgiunte, ma considerate come un tutt’uno (il gregge/ la
biblioteca/ la pinacoteca).
Frutti:
Sono il reddito della cosa e si distinguono fra:
- frutti civili: rendite periodiche derivanti dall’attribuzione o dal godimento di una cosa conferiti ad altri
in forza di un negozio giuridico (canoni/fitti/interessi);
- frutti naturali: prodotti e materiali inorganici (latte/cereali/pietra/marmo).
È escluso dall’area dei frutti il parto della schiava (partus ancillae), poiché non si pratica l’allevamento degli
schiavi a fini riproduttivi e comunque tra frutti che dà l’uomo non può esserci lui stesso; l’usufruttuario
della schiava perciò, non fa oggetto del suo diritto il parto della stessa, che invece spetta al nudo
proprietario.
La soluzione prevalsa è stata quella di riservare il figlio della schiava al titolare del dominium sulla donna.
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illimitatezza interna: estensione dell’appartenenza a tutto ciò che sta sopra e sotto il suolo;
valenza assorbente: il proprietario del fondo assorbe tutto ciò che si incorpora stabilmente ad esso;
elasticità: attitudine a riespandersi al venir meno di un diritto reale parziario che grava su di esso;
perpetuità: la proprietà non può essere circoscritta entro limiti temporali (no proprietà a termine);
natura franca: gratuità della proprietà, ossia mancanza di alcun tributo.
Il dominium ha però dei limiti legali, ossia:
- ambitus: fascia di terreno che, pur appartenendo ai proprietari dei fondi, deve restare libera da
costruzioni o piantagioni
questa norma verrà meno;
- limes: striscia di confine non in proprietà privata che separa poderi assegnati ai singoli
questa norma verrà meno;
Altre norme specifiche riguardano:
le vie private che vanno mantenute lastricate (tra due fondi);
la richiesta di recisione di rami e parti di tronco che si affacciano sul terreno del vicino;
il divieto per motivi di decoro urbano di vendere edifici al fine di demolirli onde far poi commercio
di marmi e fregi;
particolari distanze per la costruzione di edifici urbani, in modo da non togliere loro la vista sul
mare;
Particolare attenzione va riservata anche agli atti emulativi: vale a dire quei comportamenti che il
proprietario, senza alcun utile personale, pone in essere al solo scopo di danneggiare altri o recar loro
fastidio, e in diritto romano non esiste alcun principio che li inibisca; parallelamente a questi si pongono le
immissioni nell’altrui (fumo, esalazioni, schegge, rumori), per le quali affiora il limite segnato dall’uso
normale della cosa.
Infine, con riferimento all’espropriazione per pubblica utilità, è conosciuto il principio per cui l’autorità può
appropriarsi di beni privati al fine di realizzare un interesse pubblico corrispondendo ai loro titolari un
indennizzo.
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eccezione di cosa venduta e consegnata: per paralizzare l’azione di rivendica del dominus
esercitata a seguito della traditio e mantenere quindi il possesso qualificato;
eccezione di dolo: per mantenere il possesso qualificato in caso di trasmissione negoziale diversa;
azione Publiciana: per riacquisire il possesso della cosa, perduto non di propria volontà; si tratta di
una azione fittizia nella quale si finge essere decorso il tempo utile per usucapire (il giudice si
comporta come se avesse a che fare con il dominus);
2. res trasferita dal non proprietario e ricevuta in buona fede (acquisto a non domino): il proprietario
bonitario, seppur dotato degli stessi mezzi di difesa, non è tutelato nei confronti del dominus, il quale
otterrà sempre la vittoria in giudizio; questo perché nel mondo romano vige il principio secondo cui
nessuno può trasferire un diritto più grande di quello di cui egli stesso dispone (chi non ha la
proprietà su un bene, non può trasferirla).
Esiste poi un altro tipo di signoria non paragonabile al dominium ma coperta da tutela erga omnes, ed è la
proprietà provinciale (su beni immobili): il suolo provinciale, essendo nec mancipi ed appartenendo allo
Stato, può essere oggetto di concessioni dietro corresponsione di canoni; il soggetto nei confronti del quale
avviene la concessione, può dirsi riconosciuto come un “proprietario” anche se tecnicamente non lo è.
A difesa di questo diritto, abbiamo erga omens la possibilità di utilizzare un’azione reale pretoria di stampo
analogo alla rivendica.
Discorso simile lo si può fare a proposito del titolare di ius in agro vectigali: si tratta di nuovo di
concessione di terre sia pubbliche che appartenenti a comunità cittadine attraverso la corresponsione di un
canone detto vectigal; anche qui abbiamo tutela erga omens attraverso l’actio in rem vectigalis.
Il titolare della proprietà provinciale e il vettigalista non possono usucapire poiché la loro condizione non
arriva mai ad assimilarsi con quella del dominus; tutte e 3 le situazioni di appartenenza si trasmettono tra
vivi con la traditio.
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della lite altrimenti verrà condannato ad una pena pecuniaria determinata in base al giuramento
estimatorio pronunciato dall’attore.
La restituzione deve avvenire cum causa rei, ossia corredata dalle risorse che avrebbe dovuto
conseguire l’attore:
- frutti naturali: il possessore deve restituire i frutti percepiti prima e dopo la litis contestatio;
- spese sostenute per la cosa: il possessore di buona fede ha diritto al rimborso di quelle necessarie
e di quelle utili, mentre quello di mala fede solo di quelle necessarie;
2. azione negatoria: risponde alla violazione che consiste nell’affermazione da parte di altri di un diritto
reale minore sulla cosa; questa azione è tesa a dimostrare l’insussistenza di tale diritto altrui.
Il dominus deve dimostrare il suo diritto di proprietà, mentre l’onere di giustificare il titolo da lui
vantato è a carico del convenuto;
3. rimedi a tutela dell’integrità della cosa: consistono nell’azione per ristornare l’acqua piovana, la
denuncia di nuova opera, la garanzia per danno eventuale, l’interdetto quod vi aut clam e l’azione per il
regolamento dei confini.
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accessione di mobile a immobile:
semina: il proprietario del suolo acquista i semi immessi su di esso;
piantagione: acquisto della pianta posta sulla propria terra;
edificazione: proprietari di terreno e materiale sono diversi;
se la costruzione è fatta dal proprietario del terreno con materiali altrui,
l’edificio appartiene al proprietario del fondo; finché l’edificio è in piedi il
proprietario dei materiali non può procedere allo scorporo, ma anzi il suo
diritto su di essi è come “dormiente”. Una volta crollato l’edificio, il
proprietario dei materiali può procedere con l’actio de tigno iuncto volta ad
ottenere un corrispettivo;
se la costruzione è fatta dal proprietario dei materiali su terreno altrui, si
guarda alla buona/cattiva fede del costruttore: se era in buona fede si ritorna
al caso precedente (proprietà quiescente), se era in mala fede perde il diritto
sui materiali a favore del proprietario del terreno;
accessione di mobile a mobile: fusione metallica, scrittura, tessitura, tintura, pittura (per la
pictura la regola appare capovolta, poiché è la struttura di supporto che accede a dipinto:
infatti in questo campo è riuscita ad imporsi la tendenziale sproporzione tra il valore della
tavola o della tela e quello dell’opera realizzata sulla stessa);
o specificazione: avviene quando un soggetto, con materia altrui, costruisce un bene che ha diversa
destinazione economica, ed entra perciò a far parte di una nuova species (uva-vino, lana-veste
etc.); il nuovo prodotto è attribuito al titolare della materia se ad essa si può ritornare, all’artefice
in caso contrario (con Giustiniano spetta in ogni caso all’artefice se egli ha usato anche materiali
propri);
o confusione/commistione: mescolanza di liquidi/di sostanze solide in polvere o a grani che si
comportano pressoché come liquidi (sale, farina, ecc.); ci sarà comproprietà fra i titolari delle due
parti se la miscela è irreversibile o c’era volontà comune di crearla, altrimenti ciascuno conserverà
la sua quota;
o acquisto dei frutti: si ha al momento della separazione degli stessi dalla madre e successiva
percezione (manifestazione della volontà di farli propri); se non c’è percezione, i frutti
appartengono al proprietario, non all’usufruttuario;
o usucapione: nato per dare certezza ai rapporti giuridici, consiste nell’aver posseduto per un
determinato periodo di tempo, in buona fede e in base ad un titolo idoneo, una cosa suscettibile di
dominium, quindi di essere usucapita (usucàpere = acquistare [càpere] tramite il possesso [usus]);
le XII tavole definiscono il tempo utile:
2 anni per le res soli ossia i beni immobili;
1 anno per le ceterae res, ossia i beni mobili.
La stessa legge stabilisce che l’alienante è tenuto a prestare l’auctoritas verso l’acquirente, ossia
deve garantire per tutto il tempo utile ed evitare casi di evizione (privazione del bene da parte del
vero titolare nel caso di acquisto da non proprietario); per gli stranieri che non possono usucapire,
la garanzia deve essere eterna.
Requisiti dell’usucapione sono:
idoneità della cosa: non sono suscettibili di usucapione le res extra commercium, i fondi
provinciali, le cose furtive e quelle oggetto di impossessamento violento;
titolo: è la giusta causa, la ragione economico-sociale che giustifica l’acquisto; esso sarebbe
immediato se non fosse per l’inidoneità degli atti traslativi (acquisto a non domino/traditio res
mancipi)
buona fede: onestà, convinzione di non ledere l’altrui diritto.
I casi di usucapione in mala fede sono stati:
-usucapio pro herede, che fa riferimento all’eredita giacente, ossia priva di titolare, posseduta
da soggetto diverso dai possibili eredi e usucapita dopo un anno;
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-usureceptio, fa riferimento a soggetti che possedendo un bene che non è più loro, lo
riacquistano dopo 1 (con la fiducia) o 2 anni (con praediatura, cioè la vendita da parte dello
Stato di un fondo su cui grava ipoteca a suo favore);
possesso: deve trattarsi di possessio proprio nomine, ossia con atteggiamento di proprietario;
decorso del tempo: tempo necessario ad usucapire; se il possesso viene interrotto, il decorso
del termine si azzera e deve ricominciare (se si riacquista il possesso);
Giustiniano fa valere l’usucapione solo per i beni mobili e ne aumenta il tempo a 3 anni
o praescriptio longi temporis: tutela a favore di chi per lungo tempo abbia posseduto in base a un
giusto titolo un fondo, senza che chi aveva la possibilità di querelarsi lo abbia fatto; il titolare
originario non può più rivendicare la sua situazione giuridica e il possesso da parte dell’altro
soggetto diviene proprietà
Giustiniano fa valere questo mezzo per i beni immobili, Teodosio II definisce l’inerzia in 30 anni,
trascorsi i quali, l’azione di rivendica da parte del proprietario non è più esperibile; ne consegue che
pure un possessore in mala fede e/o senza giusta causa non può essere disturbato.
Si delinea anche la praescriptio longissimi temporis quarantennale, prevista per casi speciali,
qualora si debba far valere ad es. contro chiese o venerabili luoghi;
a titolo derivativo: abbiamo una trasmissione del diritto, volontaria o legale, che priva il dominus o
dante causa del suo diritto a favore dell’avente causa che lo acquista; nel diritto romano si parla di
modo di acquisto di diritto delle genti.
Abbiamo tra questi:
o mancipatio: negozio astratto (con effetti indipendenti dalla sussistenza di una causa sul piano del
diritto civile) e modo di acquisto di diritto civile praticabile dai cittadini romani e dagli
stranieri/latini dotati di commercium; è utilizzato per:
la trasmissione di res mancipi;
le disposizioni testamentarie;
il mutamento di status personali di soggetti liberi (adozione, emancipazione);
Nasce prima della coniatura della moneta e consta di un rito solenne detto “per rame e bilancia”
(per aes et libram) in cui vengono posati su una bilancia l’oggetto/persona del negozio e il metallo
che simboleggia il prezzo; questa formula base viene poi adattata ai diversi casi.
A carico del mancipio dans (alienante) sussiste l’obbligo di prestare l’auctoritas verso il mancipio
accipiens (acquirente), ossia di garantire che non avvenga evizione; nel caso questo accada,
l’acquirente può esperire l’actio auctoritatis per conseguire il doppio del prezzo pagato.
l’istituto scompare con Giustiniano che sostituisce il termine mancipatio con traditio;
o in iure cessio: negozio astratto e modo di acquisto di diritto civile utilizzabile in Roma davanti al
pretore e nelle province nel tribunale del preside; è utilizzato per:
la trasmissione di res mancipi e res nec mancipi, compresa una cosa incorporale come
l’eredità;
la trasmissione della tutela muliebre;
l’acquisto della patria potestà nell’adozione;
la costituzione/rinuncia di diritti reali minori di servitù, usufrutto e uso.
Consta in un finto processo (finta lite) nel quale l’acquirente afferma di essere il proprietario del
bene e il vero proprietario non si oppone poiché in realtà lo vuole alienare
l’istituto, già poco utilizzato in età classica, scompare forse già in età costantiniana;
o traditio: negozio causale (o meglio a causa variabile) e modo di acquisto di diritto delle genti
praticabile dai cittadini romani e dagli stranieri/latini indipendentemente dal commercium; è
utilizzato per:
la trasmissione di res nec mancipi corporali compresi i fondi non in suolo italico che però fanno
conseguire solo proprietà provinciale;
la trasmissione di res mancipi che però comporta soltanto proprietà bonitaria (non dominium).
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Sono assenti forme solenni, infatti la traditio consta nella consegna manuale della cosa
accompagnata dalla volontà di alienante e acquirente in ordine al passaggio della proprietà; è
richiesta una iusta causa, ossia una causa sottostante idonea a giustificare il passaggio di
dominium.
In diritto classico, vi sono particolari tipologie di traditio in cui non avviene la consegna usuale:
1. traditio in incertam personam: si ha nel caso di regali gettati alla folla durante le feste con
l’intenzione di trasferirne la proprietà;
2. traditio longa manu: l’oggetto che si intende trasferire viene solo mostrato all’acquirente;
3. traditio brevi manu: non avviene consegna materiale perché l’acquirente detiene già il bene; il
proprietario autorizza il detentore a possederlo a suo nome acquistandone la proprietà;
4. constitutum possessorium: ipotesi inversa nella quale il proprietario possessore inizia a
detenere la cosa; da proprietario diviene detentore;
5. traditio symbolica: serve nella prassi commerciale e consiste nell’atto di consegna delle chiavi
del magazzino ove sono conservate le merci che si vogliono alienare
in diritto giustinianeo la traditio diviene il modo generale di trasmissione delle cose in
commercio senza più necessità che esse siano corporali.
o Contratti a effetti reali (o immediata efficacia reale): vanno affiancati alla traditio quali cause di
acquisto.
o Adiudicatio: essa fa acquistare il dominium ex iure Quiritium se collegata a un iudicum legitimum.
o Litis aestimatio: è un modo di acquisto della proprietà. Esso deriva dalla particolare natura della
condanna nel processo formulare, che è sempre espressa in una somma di denaro: il convenuto
che, non ottemperando all’ordine di restituire, finisca col subire la stessa, fa proprio il bene oggetto
della lite.
o Successioni civili: l’hereditas, l’adrogatio e la conventio in manum di una donna sui iuris: tutte
queste comportano per il successore l’acquisto della proprietà quiritaria.
o Successioni pretorie: la bonorum possessio e la honorum emptio, che danno luogo all’altra, relativa,
tipologia di proprietà.
9. La comproprietà
E’ la possibilità che di una cosa singola o di un patrimonio siano contitolari una pluralità di persone. Una
forma arcaica ricordata da Gaio era il “consorzio da proprietà non divisa” (consortium ercto non cito), che
si realizzava alla morte del pater familias quando gli heredes sui , ossia figli, figlie, moglie, mantenevano
unito il patrimonio ereditario di cui ognuno aveva la titolarità piena, e quindi la facoltà di disporne.
La communio implica invece una titolarità non integrale ma limitata ad una quota ideale dell’oggetto
indiviso, che determina la proporzione in cui ciascuno acquista frutti e accessioni, e paga le spese. Può
derivare da eredità, da un legato congiunto, dal conferimento in società di beni appartenenti a persone
diverse o da eventi accidentali come la confusione.
Ognuno può disporre della propria quota; ogni atto di disposizione integrale deve derivare dalla volontà di
tutti i soci, o della maggioranza se si tratta di rinnovazioni; ciascun socio può anche porle in essere da solo,
ma ognuno degli altri può interporre la prohibitio. La rinuncia di una parte determina il diritto di
accrescimento degli altri : ad es. derelictio e manumissio del servo da parte di un solo condomino.
Ogni condomino può intentare l’azione di divisione che pone fine alla proprietà.
Giustiniano autorizza la solitaria manomissione del servo comune, per il favor libertatis, però chi lo affranca
è tenuto a corrispondere agli altri comproprietari il valore delle loro quote.
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- non uso: per le servitù positive è sufficiente l’inerzia del titolare per 2 anni; per le servitù urbane è
necessaria l’usucapio libertatis ossia il possesso durante un biennio dall’atto contrario al contenuto
della servitù compiuto dal dominus del fondo servente
con Giustiniano i termini sono quelli della longi temporis praescriptio (10 anni tra presenti e 20 tra
assenti);
- confusione: la proprietà dei 2 fondi si concentra in capo ad uno stesso titolare;
- rinuncia: da operarsi con in iure cessio
Strumento di difesa per la servitù è la vindicatio servitutis.
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in regime giustinianeo rimangono pactiones et stipulationes e traditio ed è possibile acquistare
usufrutto tramite longi temporis praescriptio (decennale tra presenti, ventennale tra assenti); può esserci
origine anche nella legge che crea usufrutto legale.
Modi di estinzione dell’usufrutto (e dell’uso):
- morte e capitis deminutio del titolare;
- dopo il termine massimo di un secolo;
- consolidazione (confusione);
- perimento dell’oggetto;
- rinuncia da operarsi con in iure cessio solo a favore del proprietario (altrimenti è inutile);
- non uso biennale o annuale a seconda della natura del bene (mobile/immobile)
con Giustiniano i termini sono quelli della longi temporis praescriptio.
Strumento di difesa per l’usufrutto è la vindicatio usus fructus.
Diritti affini all’usufrutto sono:
1. quasi usufrutto: è come l’usufrutto ma ha come oggetto beni consumabili e qui il quasi usufruttuario
non è un mero detentore, ma un proprietario, con l’obbligo di restituire alla propria morte o capitis
deminutio una somma pari a quanto ricevuto;
2. uso: a differenza dall’usufrutto non vi è la possibilità di fare propri i frutti (esclusione del frui) da parte
dell’usuario, che inoltre non è un detentore;
3. abitazione: è un diritto minore creato da Giustiniano, a risoluzione di una controversia; consiste nel
diritto di abitare come propria una casa altrui. Come per l’usufrutto è ammessa locazione della casa,
ma in questo caso il diritto non si estingue per non uso o per capitis deminutio.
4. opere dei servi e degli animali: consente la locazione e si trasmette mortis causa, estinguendosi solo
con la morte del servo/animale.
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Ne risulta un credito rafforzato dalla possibilità, in capo al creditore, di perseguire la soddisfazione del
proprio interesse attraverso un bene altrui, che da tale scopo non può essere distolto.
Il diritto reale di pegno si costituisce sulla base di un semplice accordo; si avranno 2 situazioni differenti in
base al fatto che la cosa, sulla quale la garanzia si fonda, sia consegnata o meno:
- pignus datum, pegno dato (riguarda beni mobili):
o il bene viene consegnato al pignoratario (o creditore pignoratizio);
o il bene resta di proprietà del debitore, che può quindi alienarlo, sempre però gravato dal ius in re;
o il bene entra nel possesso del creditore, che però non può servirsene, né percepirne i frutti;
o a credito estinto, il bene deve essere restituito;
o in caso di inadempimento del debitore, il creditore può:
1. trattenere l’oggetto acquisendone la proprietà, per mezzo della lex commissoria;
2. vendere l’oggetto e soddisfare la sua pretesa con il ricavato (restituendo l’eccedenza)
la seconda facoltà è quella più usata;
(in caso di anticrèsi: patto legittimante il creditore a imputare i frutti del bene in pegno al pagamento degli
interessi, e, se in esubero, del capitale).
- pignus conventum, ipoteca (riguarda fondi ed edifici):
o il bene resta presso l’oppignorante (debitore o terzo);
o il bene resta di proprietà del debitore, che può quindi alienarlo, sempre però gravato dal ius in re;
o in caso di inadempimento del debitore, il creditore può “inseguire” il bene e soddisfare la sua
pretesa nei modi precedenti.
Oggetto del pegno può essere:
una cosa corporale;
un credito;
un complesso patrimoniale.
Gli strumenti di difesa sono:
1. interdictum Salvianum, esperibile solo nei confronti del debitore/conduttore;
2. actio Serviana, esperibile contro ogni possessore della cosa;
3. actio quasi Serviana o hypothecaria, esperibile erga omnes ed utilizzabile sia nel caso di ipoteca che
nel caso di pegno dato.
14. Il possesso
Accanto al diritto di proprietà esiste una situazione di fatto, detta possesso (non è un diritto soggettivo),
che può definirsi come il potere su un bene che si manifesta in un comportamento corrispondente
all’esercizio della proprietà (art. 1140 c.c.: nel nostro ordinamento però sono ricompresi anche i diritti reali
minori, mentre nel diritto romano no).
Proprietà e possesso non postulano necessariamente un medesimo referente soggettivo, infatti:
- un soggetto può essere proprietario e possessore;
- un soggetto può essere solo proprietario (es. è stato derubato della cosa);
- un soggetto può essere solo possessore (es. ha trovato una cosa smarrita e si comporta come fosse
sua).
I romani individuano 2 elementi necessari affinché si possa parlare di possesso effettivo:
1. corpus: materiale disponibilità della cosa;
2. animus: intenzione di possedere, atteggiamento del dominus.
Le 2 componenti che integrano il possesso sono dette: corpus (possessionis) e animus (possidendi).
Non si ha invece possesso, ma:
mera detenzione (naturalis possessio): manca l’animus; il soggetto riconosce l’altrui possesso ed
esercita la sua disponibilità per conto del suo dante causa. Sono meri detentori l’usufruttuario, il
comodatario, il depositario etc.
possesso anomalo: manca l’animus ma c’è difesa interdittale (interdetto); c’è quindi una tutela a
difesa del possesso, ma non c’è possibilità di arrivare ad usucapire.
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Sono possessori anomali:
o il creditore pignoratizio;
o il sequestratario: soggetto che assume la custodia di una cosa la cui spettanza è controversa
con l’obbligo di restituirla a chi risulterà averne titolo;
o il precarista: soggetto che riceve in graziosa e gratuita concessione un appezzamento di terreno
con l’obbligo di restituirlo al concedente non appena questi gli revochi il favore.
Tuttavia, se è presente solo l’animus, a volte risulta possibile conservare il possesso.
Oggetto del possesso sono le stesse cose corporali su cui si può insistere il diritto di proprietà; sono quindi
da escludersi le res extra commercium e le persone libere.
Solo il possesso di buona fede, sussistendo la iusta causa, può condurre all’usucapione.
Modi di acquisto del possesso:
- acquistando insieme animo et corpore: l’animus deve essere sempre nostro, il corpus può essere
anche altrui;
- occupatio (originario);
- traditio (derivativo);
- tramite sottoposti (filii familias, servi propri o altrui e persone libere purché posseduti in buona fede).
Nell’acquirente il possesso è richiesta la capacità giuridica, nonché quella di intendere e di volere: così
vengono esclusi dall’acquisto il pazzo e l’impubere, a meno che, per quest’ultimo non intervenga
l’auctoritas tutoris.
Conservazione del possesso: vi sono casi in cui essa avviene solo animo (servo in luogo lontano, servo che
fugge, animale selvatico che d’abitudine va e torna).
Modi di estinzione del possesso:
- perdendo insieme animo et corpore nella traditio;
- perdendo solo corpore se ad esempio la cosa viene rubata;
- perdendo solo animo se si desiste dalla volontà di possedere il bene.
Esiste un importante divieto di interversione del possesso: il detentore non può divenire possessore per
un mero mutamento psicologico; occorre l’intervento del possessore (es. traditio brevi manu).
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interdetto uti possidetis (“come possedete”), veniva esperito contro ogni atto di turbativa violenta
del possesso di beni immobili, e comportava l'ordine del magistrato titolare di giurisdizione civile -
pretore, o proconsole nelle province - si smettere immediatamente ogni turbativa, rientrando
quindi nell'interdetto conservativo del possesso, utile ad esempio nel caso di immissioni di fumi o
rumori molesti;
interdetto utrubi (“in quello dei due luoghi”), veniva esperito per la tutela del possesso di beni
mobili: esercitando questo interdetto il possesso veniva restituito a chi, nel corso dell'anno, aveva
per più tempo posseduto la res: in questo modo, il possesso di un cavallo da soma sfuggito dal
recinto sarebbe stato restituito non all'ultimo possessore, ma a colui che l' aveva posseduto per
maggior tempo essendone possessore legittimo.
Nessuno dei due interdetti poteva essere esperito nel caso di possesso vizioso, ovvero per possesso
acquisito in violenza, clandestinità o per mera concessione del possessore legittimo, il quale avrebbe poi
preteso la restituzione della res.
interdetto unde vi (“donde con la violenza”), reintegrazione in caso di violenza, a meno che l’autore
abbia agito per riottenere un possesso per lui violento, clandestino o precario.
In età post-classica proprietà e possesso tendono a confondersi.
Giustiniano ripristina l’interdetto uti possidetis, estendendolo alla difesa delle cose mobili e toglie la
possibilità di opporre all’interdetto unde vi, l’exceptio vitiosae possessionis (di possesso viziato).
Sempre in età post-classica sorge la categoria del possesso dei diritti, la quasi possessio, che rende possibile
l’acquisto dei diritti reali parziari per longi temporis praescriptio (quest’ultima nata con la funzione di
respingere il titolare di un diritto rimasto a lungo inerte).
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CAPITOLO VI – OBBLIGAZIONI
1. Nozioni generali. Cenni sui problemi di origine
Distinzione:
diritti assoluti, reali: per la realizzazione dell’interesse implicato è richiesta la sola astensione da
ingerenze pregiudizievoli all’esercizio del diritto da parte dei restanti consociati;
diritti relativi, di obbligazione: per la realizzazione dell’interesse implicato è richiesto un preciso
comportamento da parte di un soggetto passivo specificatamente determinato.
Definizioni di obligatio:
Paolo (nel Digesto): consiste nel costringere un altro nei nostri confronti a dare, fare, prestare qualcosa
ad essa si collega la definizione di Gaio (nelle Istituzioni) dell’actio in personam che tutela il creditore:
azione che si esperisce contro qualcuno che ci è obbligato in forza di contratto o delitto, ossia quando si
pretende il dare, fare, prestare qualcosa.
Giustiniano: vincolo giuridico in forza del quale siamo necessariamente tenuti a un adempimento
alla necessità di adempiere si collega la responsabilità gravante sul debitore.
Progenitrici dell’obligatio sono:
vades e praedes: sorta di garanti processuali destinati ad assicurare la comparizione del convenuto e ad
una vasta gamma di prestazioni connesse alla lite; rispondono per un altro;
nexum: atto per rame e bilancia, in cui un soggetto (nexus) si pone in condizione paraservile nei
confronti di un altro che gli aveva prestato una somma di denaro; il nexus risponde di persona;
sponsio: prima figura di obligatio a evoluzione compiuta; convoglia sul soggetto passivo del rapporto
obbligatorio sia il debito, sia la responsabilità.
2. La prestazione
Il contenuto della prestazione può consistere in un:
dare: trasmissione della proprietà o costituzione di altro diritto reale;
facere/non facere: compimento di un’opera/astensione da un preciso comportamento; può anche
consistere nella trasmissione del possesso di una cosa;
praestare: “stare responsabile per..”,“rispondere di..”;
La prestazione richiede dei requisiti:
1. possibilità: se la prestazione è oggettivamente inattuabile, l’obbligazione non sorge; l’impossibilità può
essere di natura fisica o giuridica (è valida le promessa di dare una cosa altrui, che obbliga il debitore a
procurarsela e a trasmetterla al creditore);
2. liceità: se la prestazione è vietata o contraria ai boni mores, l’obbligazione è invalida; può essere illecito
l’oggetto dell’obbligazione o la causa del negozio;
3. determinatezza/determinabilità;
4. patrimonialità: la prestazione deve essere suscettibile di valutazione in denaro.
E’ regola del diritto civile che l’erede possa trovarsi ad essere creditore o debitore in rapporto a
un’obligatio posta in vita dall’ereditando solo in forza di successione a quest’ultimo. In altri termini, è
escluso che un soggetto possa far sì che un’obbligazione da lui contratta nasca, dal lato attivo o passivo,
direttamente in capo all’erede: “l’obbligazione non può avere inizio dalla persona dell’erede”.
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se la prestazione si rivela impossibile per cause non imputabili al debitore, si ricadrà sull’altra
prestazione, altrimenti il creditore potrà richiedere la stima della prestazione ormai impraticabile;
obbligazioni generiche: la prestazione consiste nel dare una cosa (o più cose) individuata solo in quanto
alla categoria di appartenenza; essa deve essere almeno di livello medio, e il creditore deve
accontentarsi;
obbligazioni specifiche: la prestazione consiste nel dare qualcosa di determinato nella sua identità.
Con riferimento ai soggetti del rapporto, avremo:
obbligazioni solidali: abbiamo una pluralità di creditori/debitori che sono tenuti a riceve/dare per
intero, in solido, la medesima prestazione; possiamo avere:
o solidarietà attiva quando vi sono più creditori e un debitore comune;
o solidarietà passiva quando vi sono più debitori e un creditore comune.
La solidarietà può essere:
1. solidarietà cumulativa (solitamente passiva): ogni debitore può essere convenuto dal creditore per
l’intero con azioni che si sommano;
2. solidarietà elettiva (attiva o passiva): l’oggetto è visto come uno, perciò se attiva, il pagamento
effettuato dal debitore verso uno dei creditori, lo libera anche rispetto agli altri; se passiva, il
pagamento al creditore da parte di uno dei debitori, libera anche tutti gli altri;
obbligazioni parziarie: abbiamo una pluralità di creditori/debitori che sono tenuti a riceve/dare una
quota, e non la prestazione in solido; possiamo avere:
o parziarietà attiva quando vi sono più creditori e un debitore comune;
o parziarietà passiva quando vi sono più debitori e un creditore comune;
se nulla è disposto, in diritto romano si presume la parziarietà (oggi invece si presume la
solidarietà).
Con riferimento a oggetto e soggetti, avremo:
obbligazioni indivisibili: ha rilievo quasi esclusivamente in presenza di più soggetti, attivi o passivi; in
questo caso la prestazione non può essere scomposta in prestazioni parziali che mantengano, ciascuna,
valore proporzionale rispetto all’intero.
Nell’ambito del facere, è divisibile la prestazione di operae, cioè di lavoro subordinato.
L’obbligazione di non facere è divisibile, se ha per oggetto l’astenersi dal rivendicare una cosa; è invece
indivisibile se l’actio da non esperirsi è la confessoria.
Con riferimento agli effetti, avremo:
obbligazioni naturali: sono le obbligazioni contratte dagli schiavi verso terzi o verso il padrone, e quelle
contratte dai sottoposti verso titolare della potestà; si tratta di un rapporto sprovvisto di azione, perciò
non è possibile ottenere giudizialmente quanto spetta in caso di inadempimento, e in caso di
adempimento non è possibile ripetere quanto corrisposto.
4. L’inadempimento e la mora
Si ha inadempimento nei casi di:
rifiuto di adempiere (da parte del debitore) e impossibilità sopravvenuta imputabile al debitore
se l’impossibilità non è imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue ed egli è liberato.
In questi casi, scatta a carico del debitore la responsabilità contrattuale, che può essere per:
1. dolo: volontà di produrre l’evento;
2. colpa: volontà in ordine ad una condotta inidonea ad evitare l’evento; abbiamo diverse gradazioni:
culpa levissima: emerge nella responsabilità extracontrattuale e identifica una minima
negligenza o imprudenza;
culpa levis: è modellata sulla diligenza dell’uomo mediamente accorto;
culpa in concreto: è modellata sulla diligenza che si è soliti avere nei propri affari;
culpa lata: è parametrata su quel minimo di diligenza che si manifesta nell’attenersi a quanto è
banalmente intuitivo, perciò incorre in culpa lata chi non capisce quel che tutti capiscono; essa
viene equiparata al dolo;
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3. custodia tecnica: corrisponde alla nostra responsabilità oggettiva ed è modellata sulla cura propria
dell’uomo diligentissimo (secondo anche la concezione giustinianea); si è sempre responsabili
tranne per caso fortuito e forza maggiore
i gradi di responsabilità, possono essere pattiziamente mutati dai contraenti, sia per
l’aggravamento che per l’attenuazione (mai sotto il dolo);
mora del debitore, ossia il ritardo nella prestazione.
Perché si abbia mora, sono necessari 2 presupposti:
1. prestazione ancora possibile;
2. interesse ancora persistente del creditore.
Il debitore può dirsi in mora:
o quando, nelle obbligazioni aventi ad oggetto un facere o un dare, il creditore avanza la richiesta di
adempimento tramite l’interpellatio;
o quando vi è un termine che non viene rispettato;
o quando si tratta si obbligazione da delitto;
o quando il debitore non è reperibile;
La mora del debitore (mora debendi) da luogo alla perpetuatio obbligationis, ossia che anche qualora la
prestazione divenga impossibile per causa a lui non imputabile, rimarrà legato e sarà costretto al
risarcimento dei danni; può essere però liberato qualora dimostri che la cosa sarebbe ugualmente perita
anche nelle mani del creditore.
E’ possibile che anche il creditore versi in mora (mora accipiendi), allorché non accetti l’offerta della
prestazione proveniente dal debitore; in questo caso, l’obbligazione non è estinta, però il debitore risponde
del perimento della cosa solo se dovuto a proprio dolo ed ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la
conservazione del bene.
7. I contratti reali
I contratti reali si perfezionano con la consegna della cosa (datio rei), che permette la trasmissione della
proprietà, del possesso o della semplice detenzione, ed è vista come il modo in cui il consenso delle parti
prende corpo e riceve efficacia giuridica.
1. Mutuo: contratto reale, unilaterale e a titolo gratuito.
Il mutuante trasferisce al mutuatario la proprietà di un determinato quantitativo di cose fungibili, con
l’obbligo per chi le riceve di restituirne, sempre in proprietà, altrettante del medesimo genere e qualità.
- è reale perché il mutuante trasferisce la proprietà dei beni; per farlo deve esserne il proprietario o
comunque essere da questo delegato, altrimenti l’obbligazione non sorge;
- è unilaterale perché solo il mutuatario risulta obbligato, mentre il mutuante è sempre e solo
creditore;
- è gratuito perché il mutuatario riceve un beneficio che non è bilanciato ad alcun sacrificio
economico
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gli interessi non possono essere inglobati nella conventio di mutuo, ma possono essere promessi
con stipulazione, ossia mediante un contratto verbale;
- a difesa del mutuo abbiamo:
la condictio certae pecuniae se l’oggetto è una somma di denaro;
la condictio certae rei se l’oggetto è un ammontare di cose fungibili;
- un particolare tipo di mutuo è il fenus nauticum: si tratta del prestito marittimo (in denaro) fatto da
un finanziere ad un esercente il commercio marittimo; in caso di viaggio andato a buon fine, il
mutuante potrà richiedere interessi molto alti, ma in caso di naufragio non potrà pretendere nulla,
perciò è molto rischioso.
2. Comodato: contratto reale, bilaterale imperfetto e a titolo gratuito.
Il comodante consegna al comodatario una cosa inconsumabile, mobile o immobile, perché chi la riceve
se ne serva secondo le modalità convenute e la restituisca alla scadenza del termine previsto, o
altrimenti a richiesta;
- è reale perché il comodante trasmette la detenzione del bene; poiché la proprietà non cambia, può
dare in comodato anche il possessore;
- è bilaterale imperfetto perché il comodatario è sempre obbligato a restituire i beni ricevuti, e in
capo al comodante possono eventualmente sorgere obblighi (rimborso spese per la conservazione
e risarcimento danni arrecati dalla cosa);
- è gratuito perché il comodatario riceve un vantaggio senza dover alcun corrispettivo
un corrispettivo in denaro comporterebbe locazione-conduzione, un compenso d’altro genere
comporterebbe un sinallagma innominato.
- a difesa del comodato abbiamo:
l’actio commodati directa, esperibile dal comodante per riottenere la cosa
ad essa si aggiunge poi un’actio in ius concepta di buona fede;
l’actio commodati contraria, esperibile dal comodatario per ottenere il rimborso spese o il
risarcimento danni;
- al comodatario, fa capo una rigorosa responsabilità, la custodia tecnica: egli è sempre responsabile
per inadempimento salvo il caso fortuito o la forza maggiore.
È sempre e comunque responsabile poi, se il suo utilizzo della cosa è andato al di là delle modalità
previste
con Giustiniano si parlerà di exactissima diligentia custodia rei, ponendo così il beneficiario del
prestito di fronte al più alto grado della diligenza umana;
- un particolare tipo di comodato è quello avente ad oggetto cose consumabili: in questo caso però,
esse vengono adibite a una funzione diversa da quella loro peculiare (monete per lo studio del
conio).
3. Deposito: contratto reale, bilaterale imperfetto e a titolo gratuito.
Il deponente consegna al depositario una cosa mobile perché gliela custodisca, con l’obbligo di
rendergliela alla scadenza o, se un termine non è previsto, a richiesta;
- è reale perché il deponente trasmette la detenzione del bene; poiché la proprietà non cambia, può
dare in deposito anche il possessore;
- è bilaterale imperfetto perché il depositario è obbligato a restituire il bene, e in capo al deponente
possono eventualmente sorgere obblighi (rimborso spese e risarcimento danni);
- è gratuito perché il deponente riceve un beneficio senza dover alcun compenso al depositario che
inoltre, non può usare il bene in alcun modo
un corrispettivo in denaro comporterebbe locazione-conduzione, un compenso d’altro genere
comporterebbe un sinallagma innominato.
- a difesa del deposito abbiamo:
l’actio depositi directa, esperibile dal deponente per riottenere la cosa
ad essa si aggiunge poi un’actio in ius concepta di buona fede;
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l’actio depositi contraria, esperibile dal depositario per ottenere il rimborso spese o il
risarcimento danni;
- al depositario, fa capo la responsabilità per dolo, a cui in seguito viene equiparata la culpa lata
in via pattizia è però possibile mutare la responsabilità aggravandola (estensione alla culpa levis,
al caso fortuito e alla forza maggiore);
- particolari tipi di deposito sono:
o deposito necessario (o miserabile): taluno, nel quadro di una calamità, affida a un depositario
di fortuna i beni che nella circostanza è riuscito a salvare; la responsabilità dell’affidatario è nel
doppio del valore delle cose stesse;
o sequestro: ricorre allorché un bene mobile conteso viene consegnato dai litiganti di comune
accordo a una persona di fiducia perché lo custodisca e, a controversia risolta, lo renda a chi di
spettanza; in questo caso il sequestratario non è mero detentore ma possessore con difesa
interdittale;
o deposito irregolare: è il deposito avente ad oggetto una somma di denaro; esso è consegnato
con previsione di uso, e quindi trasferito in proprietà al depositario, che lo consuma restando
obbligato a restituirne altrettanto
è una figura simile al mutuo, ma a differenza di questo presenta un’azione di buona fede che
lo difende, la possibilità di patti per la corresponsione di interessi e la facoltà per chi deposita
di richiedere in ogni momento la restituzione del denaro.
4. Pegno: contratto reale, bilaterale imperfetto.
L’oppignorante consegna al pignoratario (o creditore pignoratizio) una cosa a garanzia di un rapporto
obbligatorio in cui quest’ultimo figura come soggetto attivo, con obbligo per il ricevente di restituire il
bene una volta che il credito così garantito sia estinto; in caso il credito non si estingua, il pignoratario
ha la facoltà di vendere il bene e trattenere la somma corrispondente all’ammontare del credito.
- è reale perché l’oppignorante trasmette il possesso del bene; in questo caso il pignoratario, ha sul
bene una difesa interdittale;
- è bilaterale imperfetto perché il pignoratario è obbligato a restituire il bene, e in capo
all’oppignorante possono eventualmente sorgere obblighi (rimborso spese e risarcimento danni);
- a difesa del pegno abbiamo:
l’actio pigneraticia directa, esperibile dall’oppignorante per riottenere la cosa;
l’actio pigneraticia contraria, esperibile dal pignoratario per ottenere il rimborso spese o il
risarcimento danni;
- al pignoratario, che non può servirsi in alcun modo del bene, fa capo la responsabilità talora per
colpa, talora per custodia tecnica.
Precedente storico di deposito e pegno è la fiducia; lo scopo fiduciario si realizza mediante un patto che
imprime una specifica funzione causale a un negozio solenne traslativo (mancipatio/in iure cessio), così da
rendere temporaneo o eventuale il persistere della proprietà in capo al fiduciario.
In forza del patto quest’ultimo è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante a richiesta o a debito estinto:
fiducia cum amico se fatta a scopo di deposito o comodato;
fiducia cum creditore se fatta a scopo di pegno.
A tutela della fiducia abbiamo un’azione personale pretoria di buona fede diretta o contraria a seconda che
ad esperirla sia il fiduciante o il fiduciario.
8. I contratti verbali
I contratti verbali si perfezionano mediante la pronuncia di parole solenni idonee a dare vita al vincolo.
1. Stipulazione: contratto verbale, unilaterale, formale e astratto.
Lo stipulante (futuro creditore) pone in essere una domanda al promittente (futuro debitore), il quale
rispondendo si obbliga alla prestazione;
- è verbale perché attuato secondo lo schema tipico di domanda-risposta (sponsio):
le parti devono essere presenti;
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domanda e risposta devono essere contestuali (unitas actus);
le parti devono poter udire, parlare e comprendere la lingua adibita; sono perciò esclusi gli
infanti, i sordi e i muti (la loro eventuale stipulazione risulterebbe nulla);
eccezione: vi sono 2 casi in cui l’obbligazione sorge uno loquente, ossia in virtù di parole
proferite dal solo debitore senza che gli sia fatta alcuna domanda:
1. dotis dictio: modo di costituzione della dote;
2. promissio iurata liberti: giuramento con cui lo schiavo manomesso promette servigi al patrono;
- è unilaterale perché solo il promittente è obbligato ad eseguire la prestazione; questa, può avere
qualsiasi contenuto, poiché nel negozio è possibile riversare qualunque assetto di interessi;
- è formale perché vengono pronunciate parole solenni: il verbo utilizzato è spondere secondo
l’antica formula di diritto civile praticabile dai soli romani (‘Spondes?’ ‘Spondeo’); in seguito con
l’avvento di nuovi schemi verbali, anche in greco, la stipulazione viene aperta agli stranieri;
- è astratto perché la causa è latente, non si manifesta;
- a difesa della stipulazione abbiamo:
l’actio ex stipulatu certi se la prestazione a ad oggetto un dare cose determinate;
l’actio ex stipulatu incerti se la prestazione a ad oggetto un dare cose indeterminate o un
facere;
- molto utilizzato è il documento scritto con valore probatorio che attesta l’avvenuta stipulazione;
- particolare tipo di stipulazione è la stipulazione penale: con questo contratto ci si obbliga a pagare
una somma di denaro in caso di inadempimento dell’obbligazione convenuta; l’ammontare della
responsabilità si conviene fin dall’inizio
questo tipo di stipulazione viene utilizzato per aggirare il divieto di stipulare a favore di terzi
(es. Se non darai a Caio lo schiavo Stico, prometti di dare a me cento?)
In età post-classica si ha con l’Imperatore Leone la deformalizzazione della stipulatio potendo essa
essere compiuta con l’utilizzo di qualunque parola (quibus cunque verbis); a questo punto la stipulatio
diventa una sorta di contratto consensuale che si differenzia da quelli tipici solo per la contestuale
presenza dei soggetti che le danno vita.
9. I contratti letterali
I contratti letterali si perfezionano mediante la redazione di uno scritto
in ambito familiare, si è soliti tenere un registro delle partite contabili in entrata e in uscita; quando
vengono segnate, nella colonna delle uscite, somme non ancora erogate (perciò fittizie), si hanno
obbligazioni letterali.
1. Crediti trascritti: utilizzati dai romani
o da cosa in persona, a re in personam:
Il creditore di una somma di denaro, d’accordo col debitore, registra nelle entrate quanto dovutogli
come se avesse incassato;contemporaneamente segna la stessa somma nelle uscite, come se
l’avesse data al debitore in forza di una diversa fonte (compravendita, locazione-conduzione,
società)
detta operazione, ha lo scopo di trasfondere in una obbligazione letterale un precedente vincolo
di natura consensuale;
o da persona a persona, a persona in personam:
Il creditore, delegato dal debitore d’accordo con un terzo, registra nelle entrate la somma che gli è
dovuta come se l’avesse incassata; contemporaneamente segna la stessa domma nelle uscite, come
se l’avesse data al terzo
detta operazione, ha lo scopo di far nascere un’obbligazione nei confronti del terzo e di
Estinguere quella esistente nei confronti del debitore.
A partire dalla tarda età classica, i crediti trascritti non sono più praticati e vengono eliminati dai testi.
2. Chirografi e Singrafi: utilizzati dagli stranieri; in particolare le singrafi sono generatrici di obbligazioni e
perciò documenti con valore costitutivo:
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Sono documenti firmati da entrambe le parti e conservati in duplice esemplare; i contraenti sono
d’accordo che sorga tra loro un rapporto negoziale sul fondamento di una causa non effettiva.
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4. prelazione: il compratore, qualora intenda vendere la cosa, è tenuto a offrirla in prima battuta
al venditore;
o le eventuali arrae (caparre), possono assumere diverse configurazioni:
prova della conclusione del contratto: il compratore dà la caparra che gli viene poi dedotta al
momento del pagamento (funzione anche di garanzia);
penale per il recesso: se il compratore non esegue la prestazione una volta data la caparra, la
perde a vantaggio del venditore.
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12. Cont.: la società
3. Società: contratto consensuale, bilaterale (o plurilaterale) e di buona fede.
Precedente storico è il consortium ercto non cito (consorzio da proprietà non divisa): qui i compartecipi,
siano i coeredi del capofamiglia defunto o estranei, ascrivono ad un patrimonio comune qualunque
acquisto da loro compiuto; il rapporto di società è esperibile sia da romani che stranieri, e i due istituti
convivono per un certo periodo di tempo. Definizione:
Contratto con cui due o più soggetti, in vista di un vantaggio patrimoniale comune, si vincolano a
conferire beni o energie, nonché a ripartire tra loro utili e perdite secondo i canoni concordati;
o è consensuale perché richiede il consenso di tutti di compartecipi; questo, in particolare, deve
essere continuativo e perdurare affinché la società si mantenga in vita;
o è bilaterale (o plurilaterale) perché ogni socio è obbligato a conferire beni ed energie alla società;
o caratteristica della societas è l’assenza di personalità giuridica cui segue l’irrilevanza esterna del
rapporto sociale (no debito/credito della società ma debito/credito dei soci);
Ulpiano dice: “il socio del mio socio non è mio socio” e spiega che se un soggetto stringe una
società con Tizio e una diversa con Caio, Tizio e Caio tra loro non saranno soci;
o esistono diversi tipi di società:
1. di tutti i beni, societas omnium bonorum (carattere universale): i compartecipi conferiscono
tutte le loro sostanze e tutti gli acquisti conseguiti a qualunque titolo;
2. per un determinato affare, societas unius alicuius negotii (carattere particolare): presenta
quote sociali in cose o in attività specifiche ed è tesa al raggiungimento di un fine utile ai soci di
natura commerciale o di altro genere;
3. di tutto il guadagno, societas universalis quaestus (caratteri delle altre due): la società assorbe
ogni utile derivante da attività economiche, ma non le risorse di fortuna che restano quindi
appannaggio esclusivo del beneficiario;
- a difesa dei soci abbiamo l’actio pro socio;
- per la ripartizione di profitti e perdite ci si regola in base all’accordo sociale; Servio Sulpicio dice:
se sono stabilite solo le parti del lucro, quelle del danno sono ad esse rapportate, e viceversa;
se nulla è fissato, la divisione si fa in quote eguali;
è ammissibile il caso del socio d’opera, il quale per l’importanza dell’attività che svolge, è
partecipe dei guadagni ma non delle perdite;
non è ammissibile il caso della societas leonina (società del leone), nella quale un soggetto è
partecipe delle perdite, ma non dei guadagni (…dalla celebre favola di Fedro, in cui la fiera,
costituito un sodalizio di caccia con 3 animali domestici, si appropria alla fine dell’intera preda);
- la responsabilità che fa capo ai soci è quella per culpa in concreto, parametrata sulla diligenza che
si è soliti avere nelle cose proprie
prima di Giustiniano forse la responsabilità era per dolo;
- la società si estingue:
per lo scadere del termine, se previsto;
per il conseguimento del fine cui tendeva o per l’impossibilità di raggiungerlo;
per recesso unilaterale o, solo nella società di tutti i beni, per recesso doloso;
per morte (salvo patto di non scioglimento);
per capitis deminutiones maggiori;
per confisca o vendita in blocco dei beni;
per esperimento dell’actio pro socio.
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non è molto dissimile dal mandato a vendere;
3. transazione: in diritto giustinianeo si configura come un contratto con cui le parti, facendosi
concessioni reciproche, pongono termine ad una controversia o eliminano la possibilità che la
stessa sorga.
15. I patti
Pacta o pactiones o conventiones: si tratta di accordi, permeati dall’elemento della fides, che incidono sulle
modalità del vincolo generato da un contratto; non sono quindi di per sé generatori di obbligazioni.
Il pretore riconosce e tutela i patti attraverso l’edictum de pactis e c’è chi ipotizza che dall’insieme dei patti
tutelati, alcuni si siano staccati diventando veri e propri contratti.
Le tipologie di patto si distinguono in base al contratto cui accedono e al momento in cui sono conclusi:
patti aggiunti a contratti di buona fede:
- in continenti, ossia aggiunti contestualmente:
o valgono a plasmare il contenuto del contratto;
o sono tutelati dalla medesima actio specifica;
o possono porsi a vantaggio sia del creditore che del debitore;
- ex intervallo, ossia aggiunti in tempo successivo:
o costituiscono un accordo distinto dal contratto;
o sono generatori di sola exceptio;
o possono porsi a vantaggio del solo debitore;
patti aggiunti a contratti di stretto diritto (es. stipulazione):
- in continenti, ossia aggiunti contestualmente:
o costituiscono un accordo distinto dal contratto;
o sono generatori di sola exceptio;
o possono porsi a vantaggio del solo debitore;
- ex intervallo, ossia aggiunti in tempo successivo:
o costituiscono un accordo distinto dal contratto;
o sono generatori di sola exceptio;
o possono porsi a vantaggio del solo debitore;
In età post-classica la situazione muta: grazie alla fusione fra diritto civile e onorario e grazie alla
deformalizzazione della stipulazione; entrano perciò a far parte dei patti:
patti pretori: sono conventiones già tutelate dal pretore con actiones in factum ma rimaste sempre
fuori dalla sfera civilistica; la loro configurazione è simile a quella dei contratti, ma restano esclusi sia
dal novero di quelli tipici che da quelli innominati:
- constitutum debiti proprii (conferma di un debito proprio): il soggetto passivo di una obbligazione,
assicura pattiziamente il creditore che il debito sarà pagato entro il termine;
- constitutum debiti alieni (conferma di un debito altrui): un terzo si impegna in ordine alla
corresponsione al creditore del dovuto;
- receptum argentarii (assunzione di impegni/responsabilità): un banchiere assicura al creditore di
un proprio cliente il pagamento di un debito gravante su quest’ultimo, facendosene carico di
persona o procurando l’intervento di un terzo;
abolito da Giustiniano;
- receptum nautarum, cauponum, stabulariorum: l’esercente di una nave, un albergo o uno
stallaggio, si rende garante per danneggiamento o furto di cose poste da trasportati, ospiti o
avventori nell’ambito logistico di sua competenza;
- receptum arbitri: il soggetto scelto di comune accordo dai contraenti per dirimere una controversia
che li vede coinvolti si obbliga a pronunciare la decisione richiesta;
patti legittimi: sono accordi riconosciuti e tutelati mediante actio da costituzioni imperiali:
- compromissum: due o più litiganti si accordano per deferire a un arbitro la risoluzione di un
vertenza, che si impegnano a rispettare;
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- pactum dotis: consiste nella convenzione informale di costituire la dote;
- pactum donationis: si concreta nell’impegno di trasferire un bene a titolo di liberalità: esso fa
nascere in capo al promittente l’obbligazione di compiere la traditio.
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partecipazione al furto e la sanzione colpisce il ricettatore come chi abbia ricevuto la cosa in buona
fede;
l’actio furti oblati: spetta al condannato per furtum conceptum contro chi gli abbia consegnato la
cosa furtiva perché venga trovata presso di lui. Egli scarica in sostanza la responsabilità su di un
altro, ladro o meno che sia: e difatti entrambe le azioni prevedono una pena nel triplo del valore
della cosa rubata.
Altre 2 azioni per il furto furono introdotte dal pretore:
l’actio furti prohìbiti: punì la condotta di chi si opponeva alla ricerca della cosa rubata.
Sanzione: il quadruplo (come nell’ipotesi di furto manifesto);
l’actio furti non exhìbiti: chiunque non permettesse l’esibizione in giudizio della refurtiva cercata e
trovata presso di lui.
Il diritto giustinianeo considerò solo le specie di furto manifesto (in flagrante) e non manifesto.
dei mezzi, in aggiunta all’actio furti, per la restituzione patrimoniale (azioni reipersecutorie):
1. l’azione di rivendica (azione reale che spetta al proprietario);
2. la condictio ex causa furtiva (azione personale), esperibile per riottenere dal ladro la cosa
è utile quando la cosa non è più in possesso del ladro o è perita.
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I capo:
Chi abbia ucciso ingiustamente uno schiavo altrui o un quadrupede capo di bestiame, corrisponda al
padrone una somma corrispondente al maggior valore che l’oggetto ebbe nell’ultimo anno;
la norma ha ad oggetto uno schiavo o un animale da bestiame (ovini, bovini, cammelli etc.);
l’offeso ha diritto alla reintegrazione patrimoniale nel maggior valore dello schiavo/animale, perciò
la sanzione ha funzione tanto risarcitoria quanto penale (uno schiavo di scarso valore verrà
stimato molto di più se si guarda indietro fino ad un anno)
Giustiniano dice che c’è un’azione mista: reipersecutoria perché reintegra il patrimonio del
danneggiato, penale perché realizza una sanzione.
III capo:
Chi abbia arrecato danno a cose, al di fuori dell’uccisione di schiavi o bestiame, perché bruciate, infrante
o rotte ingiustamente, sia condannato a dare al proprietario il valore di quelle cose negli ultimi trenta
giorni;
la norma ha ad oggetto tutti gli altri casi al di fuori di quelli ricompresi nel I capo;
i verbi urere, frangere e rumpere vincolano la norma a condotte tipiche; grazie all’interpretazione
estensiva di rumpere, rientra nella previsione della legge ogni comportamento che ha come
conseguenza il danneggiamento della cosa:
non si guarda alle modalità, si guarda al risultato;
con Sabino, anche se la norma menziona il solo “valore”, si fa riferimento al maggior valore delle
cose negli ultimi 30 giorni, in parallelismo con il I capo.
In generale la legge Aquilia:
- specifica che il comportamento dell’agente deve avvenire iniuria, ossia ingiustamente: questo
termine, se inizialmente esprime la sola antigiuridicità del comportamento e quindi al
collegamento tra condotta e danno (elemento oggettivo), ben presto viene riferito all’imputabilità
dell’agente in conseguenza al suo atteggiamento psicologico (elemento soggettivo); da una parte
abbiamo il dolo, ossia la volontà di cagionare il danno, dall’altra la colpa, ossia la volontà in ordine
ad una condotta inidonea ad evitare l’evento (Ulpiano dirà che si parla di culpa levissima);
- il danno è sanzionabile se arrecato corpore corpori (col corpo al corpo), ossia se causato
direttamente dall’agente con la sua attività fisica (corpore, col corpo) e arrecato direttamente
all’integrità della cosa (corpori, al corpo).
La giurisdizione pretoria interviene per gli altri casi:
o se vi è assenza di contatto fisico (danno non corpore), è concessa l’azione utile;
o se vi è assenza di lesione fisica (danno non corpori), è concessa l’actio in factum;
- la nozione di danno deve aderire alla funzione di reintegrazione patrimoniale, perciò
l’interpretazione permette al danno di andare al di là dello stretto valore della cosa; non si risponde
solo per il danno emergente (ho ucciso lo schiavo), ma anche per il lucro cessante (ho danneggiato
l’interesse del padrone alla sua integrità); [attuale art. 1223 codice civile]
Il danneggiamento (damnum iniuria datum), nel quadro finale, appare molto diverso: si tratta ancora di un
delitto e l’azione ha caratteri penali (massimo valore), ma il fine perseguito è la reintegrazione
patrimoniale; esso ha ancora per oggetto una pena, ma finalizzata al risarcimento.
con Giustiniano è consentita l’utilizzazione dell’actio legis Aquiliae (diretta, utile e in factum) ad ogni
ipotesi di danno extracontrattuale.
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è prevista la pena del taglione (l’offeso può vendicarsi attuando la stessa menomazione sul
corpo dell’offensore. La norma è tuttavia temperata dalla possibilità di accordarsi, in alternativa,
per il pagamento di una somma di denaro);
frattura di un osso:
è prevista una pena pecuniaria fissa (300 assi per vittime ‘libere’ e 150 assi per i ‘servi’);
altre offese non produttive di conseguenze permanenti:
è prevista una pena pecuniaria fissa (25 assi);
2. intervento del pretore: è volto a ridisegnare un sistema che ha ormai superato il criterio delle pene
fisse:
viene introdotta l’azione di stima delle ingiurie, che consente al giudice di stabilire una sanzione
patrimoniale giusta e opportuna in base all’entità dell’offesa;
viene introdotta la tutela della sfera morale attraverso una serie di previsioni edittali; sono
sanzionabili:
o il convicium, ossia l’offesa verbale arrecata a più voci (insulto);
o l’adtemptata pudicitia, ossia l’offesa al pudore di una madre di famiglia o di giovani;
o l’infamatio, ossia la diffamazione con parole o scritti;
l’ingiuria appartiene al novero dei delitti civili e può essere arrecata anche indirittemante;
3. insieme a questi, contribuisce poi una legge Cornelia che reprime pubblicamente le percosse, le
fustigazioni e la violenta violazione di domicilio; in questi casi è data una specifica azione per una pena
pecuniaria;
con la pubblicizzazione della repressione dell’ingiuria, sia apre il concorso fra delitto civile e delitto
pubblico; nel tardo classico è possibile agire o in penale o in civile.
Con Giustiniano, è possibile scegliere: se si agisce in penale si persegue una pena pubblica ad arbitrio del
magistrato, se si agisce in civile si persegue una pena pecuniaria.
L’azione per ingiurie è tra tutte la più legata all’idea di vendetta (Giustiniano non la menziona né fra le
azioni penali né fra quelle miste).
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- è aperta a cittadini e stranieri;
- si tratta di una promessa di propria prestazione identica a quella principale (idem);
3. fideiussio:
- può garantire ogni sorta di obbligazione;
- si tratta di una assunzione di responsabilità in caso di inadempimento del debitore principale; il
debito del fideiussore si trasmette agli eredi;
- non si promette l’idem ma un equivalente (id); è possibile garantire anche un dare/facere
infungibile perché è si può sempre corrispondere un equivalente in denaro;
in età postclassica è l’unica che sopravvive.
Le garanzie sono:
obbligazioni solidali passive perché debitore e garante si trovano sullo stesso piano e il creditore può
convenire il debitore tanto quanto il garante; tuttavia:
o sponsio e fidepromissio: con lex Furia de sponsu si prevede che i garanti vengano liberati dopo 2
anni e che il creditore, se i garanti sono più di uno, possa richiedere a ciascuno soltanto la sua
parte;
o fideiussio: con il beneficium divisionis di Adriano, si prevede che il creditore possa chiedere a
ciascun fideiussore idoneo solo la sua quota, mentre con il beneficium excussionis di Giustiniano si
stabilisce che il creditore debba rivolgersi in prima al debitore principale, e solo dopo al garante;
Nel caso in cui il garante adempia, gli è concesso il regresso verso il primo obbligato; inizialmente non
era così, ma poi si conclude che nel caso in cui il debitore principale sappia, si configura un mandato,
mentre nell’ipotesi in cui non sappia, si configura una gestione di affari;
obbligazioni accessorie perché accedono ad una obbligazione principale; Werner Flume studia
l’accessorietà e dice che:
-sponsio e fidepromissio sono valide anche se l’obbligazione principale viene meno;
-fideiussio viene meno insieme all’obbligazione principale in quanto accede al rapporto giuridico.
Altre forme di garanzia personale sono:
1. constitutum debiti alieni;
2. mandato di credito (pecuniae credendae) o mandato qualificato: Gaio dice che se Tizio dà incarico a
Caio di concedere cento a muto a Sempronio, si realizza un mandato tuo et aliena gratia, poiché
nell’interesse di Caio e di Sempronio; la funzione di garanzia si realizza poiché se il mutuatario
(Sempronio) non adempie, il mandatario-mutuante (Caio) può intentare l’actio mandati contraria
contro il mandante (Tizio) o contro il mutuatario e ottenere il dovuto;
con Giustiniano le differenze fra mandato di credito e stipulazione di garanzia divengono marginali.
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25. I modi di estinzione delle obbligazioni: l’adempimento
I singoli modi di estinzione delle obbligazioni possono:
operare ipso iure, ossia sul piano sostanziale, facendo venir meno il vincolo;
operare per exceptionem, ossia sul piano processuale, potendo la pretesa del creditore essere
paralizzata dall’opposizione di una eccezione;
Il modo di estinzione principale è l’adempimento (solutio): è l’esatta corresponsione del dovuto, un modo
di estinzione satisfattivo e solitamente si identifica nel pagamento.
Può pagare:
- il debitore;
- il rappresentante del debitore;
- un terzo;
questo pur senza che il debitore lo sappia o lo voglia.
Può riceve il pagamento:
- il creditore;
- il rappresentante del creditore: è un mero addetto alla riscossione;
- il costipulante (adstipulator): può agire in via autonoma essendo un creditore solidale;
a questa figura si ricorre per aggirare il divieto di obbligare qualcuno per dopo la propria morte; ma
con Giustiniano sparisce (in forza del rapporto di mandato egli agiva quando lo stipulante non era
più in vita e riversava il risultato nella sfera dell’erede di lui).
Se il creditore è d’accordo, l’obbligato può dare una cosa diversa da quella dedotta nel rapporto realizzando
la datio in solutum; dopo un dibattito fra Sabiniani e Proculiani, questo modo di estinzione viene
classificato fra le forme di scioglimento ipso iure, secondo la tesi sabiniana:
se non è necessaria l’accettazione da parte del creditore, si ha datio in solutum necessaria.
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Si ha novazione oggettiva se il creditore e il debitore rimangono gli stessi ma cambia il titolo
dell’obbligazione.
Si novazione soggettiva se cambia il debitore o il creditore con la volontà del primo debitore o del
primo creditore.
In diritto Giustinianeo occorre che le parti rendano palese la volontà di compiere la novazione
(animus novandi).
Causa di estinzione legata al meccanismo processuale è la:
o compensazione (compensatio): si ha quando c’è la compresenza di rapporti obbligatori a parti
invertite tra gli stessi soggetti: Tizio deve a Caio cento; Caio deve a Tizio cento. L’estinzione avverrà
integralmente per il debito minore; per il debito maggiore ci sarà una riduzione in misura
corrispondente.
Nei giudizi di buona fede era rimessa alla discrezionalità del giudice. Il banchiere (argentarius) era
costretto ad agire con compensazione, come il bonum emptor, compratore di beni in blocco.
Un rescritto di Marco Aurelio avrebbe consentito di utilizzarla anche nei negozi di stretto diritto
opponendo l’exceptio doli all’azione del creditore.
In diritto Giustinianeo la compensazione è sempre opponibile purché sia di rapida accertabilità e
non si tratti di un giudizio di deposito.
Altre forme minori di estinzione sono:
o mutuo dissenso (contrarius consensus): estingue ipso iure le obbligazione le obbligazioni non
ancora adempiute, derivanti da contratti consensuali;
o litis contestatio: estingue ipso iure le obbligazioni nei iudictia legitima sostituendo all’originario
rapporto sostanziale quello processuale;
o confusione: estingue ipso iure le obbligazioni quando le qualità del creditore e del debitore si
concentrano nel medesimo soggetto;
o concorso di cause (concursus causarum): ricorre quando il creditore riceve quel gli doveva il
debitore, anziché a titolo di pagamento, per altra causa e da altri soggetti.
Si può perciò concludere che estingue ipso iure l’obbligazione, il concorso di 2 cause lucrative e non
quello di 1 causa lucrativa e 1 onerosa;
o impossibilità sopravvenuta non ascrivibile al debitore: impossibilità sopravvenuta non imputabile
al debitore non in mora;
o morte e capitis deminutio del debitore:
o prescrizione delle azioni;
o transazione;
o estinzione a titolo di pena per il crediore: il creditore che senza autorizzazione del magistrato si
soddisfa per autodifesa impossessandosi dei beni del debitore.
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CAPITOLO VII – SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE E DONAZIONI
1. Morte e successione. Delazione dell’eredità
La morte provoca l’apertura di una successione che permette agli heredes di subentrare nel complesso di
situazioni giuridiche soggettive che prima faceva capo al defunto (ereditando o de cuius), ossia l’hereditas;
questo inserimento, è detto nelle fonti successio in universum ius, ossia successione nell’universalità
giuridica, per distinguerlo dalla successio in singulas res, ossia la successione nelle cose singole.
il diritto romano conosce oltre all’hereditas, anche successioni universali tra vivi, mentre nel diritto
vigente è possibile solo la successione universale mortis causa (a causa di morte).
Il termine delazione, indica il dato di una successione aperta e quindi di un’eredità acquisibile da parte del
chiamato o dei chiamati; possiamo avere:
1. delazione testamentaria se il de cuius, attraverso un testamento, esprime la volontà di destinare il suo
complesso ereditario; al di fuori del testamento, sono inammissibili tutte le forme di delegazione
collegate a negozi diversi, come patti e contratti, i quali risultano nulli;
delazione legata in via diretta alla volontà dell’ereditando;
2. delazione ab intestato se è l’ordinamento a individuare le persone e stabilire l’ordine di preferenza dei
successibili:
delazione legata in via diretta alla volontà del diritto oggettivo.
Le due delazioni non possono concorrere: l’una, e in particolare quella testamentaria, esclude l’altra; il
momento della delazione coincide in via generale con l’evento della morte, e da lì, per il diritto civile ha
durata virtualmente perpetua.
Se l’acquisto dell’eredità presuppone un atto di accettazione (aditio), sarà il chiamato a decidere: se muore
prima di averlo fatto oppure rinuncia, la delazione non si trasmette né ai suoi eredi né ad altri in quanto
intrasmissibile.
- successione testamentaria: se vi sono altri istituiti che adiscono, la quota a lui originariamente
spettante si accresce in misura proporzionale a quella dei primi; se invece non vi sono altri eredi, o
quelli che ci sono rifiutano, diventa operativa la delazione intestata;
- successione ab intestato: combinandosi accettazioni e rinunce di più delati, vale la regola
dell’accrescimento, mentre morte o rifiuto dell’unico o di tutti i chiamati rendono l’eredità vacante
con Giustiniano è previsto che agli eredi del chiamato sia data la facoltà di adire l’eredità entro 1 anno
ed è quindi questo un caso di trasmissibilità della delazione.
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Col termine capacitas (idoneità a prendere) si allude, oltre che ai presupposti previsti del diritto civile, a
ulteriori requisiti specifici richiesti da leggi speciali; il grande complesso normativo fondante l’incapacità
in senso stretto è dato dalle due leggi augustee dette lex Iulia et Papia: la capacitas è negata, nella
successione testamentaria, ai caelibes (uomini e donne in età fertile non uniti in matrimonio o quanto
meno, in fidanzamento), agli orbi (coniugati senza prole), ai patres solitarii (vedovi o divorziati senza
figli) e ai coniugi senza prole.
Carenti di capacitas sono in seguito dichiarate da Domiziano le feminae probosae, ossia le donne infami
(attrici, adultere condannate in giudizio pubblico); ciò che gli incapaci non acquistano diventa caducum
(quasi destinato a cadere dalle loro mani), e spetta nell’ordine ai figli, ai legatari e fedecommissari con
figli e infine allo Stato
Giustiniano abolisce il regime caducario e lascia in vita solo l’incapacitas delle donne turpi, anche se
ora si parlerà di carenza di testamenti factio.
In posizione sempre ostativa rispetto all’acquisto sono gli indegni; essi, poiché si sono macchiati di
colpe specifiche, in genere nei confronti del de cuius (attentati alla vita, alla onorabilità, ecc.), non
possono trattenere il lascito che va all’erario.
2. Forme:
Acquistano ipso iure:
gli heredes necessarii, ossia i servi manomessi e al contempo istituiti eredi dal padrone; al
momento della delazione, essi sono liberi ed eredi, indipendentemente dalla loro volontà, perciò
delazione e acquisto coincidono;
gli heredes sui et necessarii, ossia i sottoposti alla potestà dell’ereditando che alla sua morte
diventano sui iuris; per questi, delazione e acquisto coincidono, tuttavia se non immischiati con atti
di gestione nei beni ereditari, ricevono dal pretore la facoltà di astenersi dall’eredità;
Acquistano con aditio (atto di accettazione), tutti gli altri eredi, ossia gli heredes extranei o voluntarii;
l’accettazione può essere:
- formale (cretio): è la solenne dichiarazione, resa dal chiamato, di accettare l’eredità; questa via di
acquisto è l’unica imposta dal testatore a pena di diseredazione (cretio perfecta);
- informale (pro herede gestio): consiste nel compimento di qualsiasi atto che palesi la volontà di
accettare l’eredità;
in età postclassica queste figure giuridiche tendono ad appannarsi; in regime giustinianeo la
tripartizione degli eredi rimane e si afferma che i sui et necessarii diventano automaticamente eredi
salvo la possibilità data dal pretore di astenersi.
Nuda voluntas e pro herede gestio diventano i modi di accettazione degli heredes extranei, mentre
rimangono ancora vincolati all’acquisto i servi heredes necessarii;
3. Effetti:
Effetto dell’acquisto è la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede; ne consegue che
in caso di eredità passiva, l’erede risponde anche dei debiti ereditari e nel caso questi superino
l’eredità, viene intaccato anche il suo stesso patrimonio.
Tuttavia il pretore concede la restitutio in integrum agli heredes sui et necessarii minori di 25 anni e
immischiati con atti di gestione nei beni ereditari e agli heredes extranei che abbiano adito
nel diritto giustinianeo è offerta l’accettazione con beneficio di inventario, che permette ai chiamati
di rispondere solo fino a concorrenza dell’attivo acquistato a causa di morte.
Poiché anche i creditori del defunto possono essere pregiudicati dalla confusione dei patrimoni, il
pretore permette loro di separare i patrimoni per poter essere soddisfatti.
4. Difesa:
La titolarità dell’eredità può non essere accompagnata dalla disponibilità della stessa; il possessore dei
beni infatti, può essere un altro soggetto, il quale:
può opporsi al rilascio vantando a proprio favore un titolo di acquisto fra vivi:
in questo caso l’erede agisce contro di lui con la rivendica;
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può opporsi al rilascio, sia senza alcun titolo (possessor pro possessore), sia perché dichiaratosi egli
stesso erede (possessor pro herede):
in questo caso l’erede può esperire la petizione di eredità; essa può essere esperita anche
contro chi abbia cessato con dolo di possedere allo scopo di eludere il giudizio.
Il possessore soccombente, deve operare la restituzione cum causa rei, ossia della cosa con il suo corredo
di risorse.
Con l’azione di divisione del patrimonio ereditario (actio familiae erciscundae) ogni coerede poteva
provocare il venir meno della comunione ereditaria. Il giudice liquidava a ciascuno la quota trasformandola
in beni specifici. Crediti e debiti fanno capo a ciascun erede pro quota.
3. La bonorum possessio
Nata per garantire all’erede, l’immediato possesso dell’eredità senza dover esperire la petizione di eredità,
la bonorum possessio diviene un vero e proprio sistema successorio creato dal pretore.
Diversamente dalle ipotesi previste dal diritto civile dove l’acquisto è automatico, essa prevede:
- richiesta dell’eredità e successiva agnitio bonorum possessionis per acquisirla;
- un possesso qualificato sui beni ereditari che porterà, una volta decorso il tempo utile, all’usucapione e
quindi alla proprietà quiritaria.
Tipologie di bonorum possessio:
1. contro le tavole, contra tabulas: si è in presenza di testamento che non prevede discendenti
costoro, sono legittimati a chiedere il possesso dei beni;
2. in conformità alle tavole, secundum tabulas: (se non si è già richiesta la 1° tipologia) si è in presenza di
eredi istituiti in un testamento che presenta almeno i requisiti della scrittura e dei sigilli di sette
testimoni;
3. in assenza delle tavole, sine tabulis: (se non si è già richiesta la 2° tipologia) si è in presenza di
un’aspettativa successoria ab intestato fondata almeno sul diritto onorario
possono domandarla gli eredi e i soggetti legati al de cuius da vincolo di sangue o di coniugio.
Funzioni della bonorum possessio rispetto all’eredità:
funzione adiutoria: la tutela pretoria si somma a quella civile, confermandola:
Tizio è istituito unico erede in un testamento valido, ma i beni sono nel possesso, pro herede, di
Caio; Tizio può intentare la petizione di eredità o la bonorum possessio secundum tabulas;
funzione suppletiva: il pretore crea un titolo pretorio e lo pospone ad un titolo civile:
Tizio muore senza testamento lasciando solo la madre e il fratello agnato; per il diritto civile succede
il fratello, tuttavia il pretore concede la bonorum possessio sine tabulis alla madre, la quale potrà
giovarsene nel caso in cui non la richieda il fratello;
funzione correttiva: l’erede pretorio prevarica quello civile:
Tizio muore lasciando un testamento invalido in cui istituisce erede l’amico Caio; per diritto civile
l’eredità spetterebbe allo zio paterno Sempronio, ma poiché manca un testamento valido e la bonorum
possessio secundum tabulas viene prima di quella sine tabulas (avrebbe priorità l’agnato), nell’acquisto
successorio Caio è in grado di precedere Sempronio.
Il bonorum possessor non è un erede, ma come questo può esigere i crediti del de cuius e come questo sarà
convenuto per debiti; è detto quindi loco heredis, in luogo di erede;
in età postclassica essa diviene sempre più simile all’eredità: non è più necessario richiederla in via
giudiziale in quanto è sufficiente la manifestazione di volontà entro i termini e ciò che si ottiene sui beni
è una situazione giuridica soggettiva definita dominium.
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- sui heredes: discendenti in potestà del de cuius che alla morte di questo divengono sui iuris; si
tratta di eredi necessari, per cui delazione e acquisto coincidono:
o se vi sono solo figli e figlie l’eredità si divide per capi (tante persone, tante quote uguali);
o se opera la rappresentazione (successio in locum) si divide per stirpi, ossia a favore dei
discendenti dei figli maschi premorti al de cuius o di coloro che sono usciti dalla famiglia per
capitis deminutio mentre il testatore era ancora in vita;
è ammesso il diritto a succedere del postumus suus, ossia del già concepito al momento della
delazione, che se fosse nato in vita dell’ereditando si sarebbe trovato in diretta potestà di lui
(se manca quest’ultimo requisito abbiamo postumus alienus che è escluso alla successione);
- agnato più prossimo (in mancanza dei primi): collaterale in linea maschile non capite deminutus più
vicino al de cuius; si tratta di erede estraneo, per cui il suo acquisto è subordinato all’adizione (il
rifiuto non giova né all’agnato successivo né ai gentili):
o se vi sono più agnati dello stesso grado l’asse si divide tra loro per capi;
o non opera mai la rappresentazione, per cui il più vicino esclude sempre il più lontano;
la giurisprudenza nega la successione alle agnate di grado superiore al secondo; solo tra
consanguinei le donne mantengono la parità rispetto agli uomini;
- gentili (in mancanza del secondo): gens:
sappiamo poco dell’acquisto; probabilmente avviene in forma collettiva.
2. Sistema pretorio (bonorum possessio sine tabulis):
Concezione che tende a valorizzare il mero legame di sangue e il vincolo coniugale.
Ordini di delati (4 in totale):
- unde liberi (dei discendenti): presuppone un ereditando di sesso maschile e include:
i sui heredes;
i discendenti emancipati e quelli dati in adozione, purché sui iuris:
per essere ammesso, l’emancipato deve conferire la propria massa patrimoniale (collazione
dei beni) che andrà poi a dividersi come l’asse ereditario, mentre la figlia che ha contratto
matrimonio libero deve garantire l’apporto del credito relativo alla dote costituitale dal
genitore (collazione della dote);
opera la rappresentazione, il cui presupposto è la rinuncia del chiamato;
- unde legitimi (dei successori per legge): vi rientrano coloro che il diritto civile considera eredi, cioè
i sui heredes;
gli agnati maschi;
le sorelle consanguinee;
l’ascendente che abbia emancipato il sottoposto;
non opera la rappresentazione, per cui decide la maggiore vicinanza di grado;
- unde cognati (dei parenti di sangue): si basa sul vincolo di parentela in quanto tale, perciò
rientrano:
i figli e gli ulteriori discendenti (non però gli adottivi);
i genitori;
gli avi e i proavi;
i collaterali (entro il sesto grado);
non opera la rappresentazione;
- unde vir et uxor (del marito e della moglie): rientra nella classe solo il coniuge dell’ereditando il cui
matrimonio è stato sciolto dalla morte.
3. Riforme imperiali classiche:
Due senatoconsulti vanno ad incidere sulla successione della madre al figlio e del figlio alla madre.
- S.c. Tertulliano: la madre, se sui iuris e dotata di diritto dei figli, diviene erede civile del proprio
figlio (meramente cognato e pure se illegittimo):
la madre è preceduta dai discendenti del figlio, dal padre e dal fratello consanguineo, divide
invece con le sorelle.
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- S.c. Orfiziano: conferisce uguale titolo al figlio (anche se illegittimo) nella successione alla madre;
può ereditare dalla madre anche il figlio alieni iuris
il figlio è il primo erede della madre, ma non è ammessa rappresentazione.
Entrambi i senatoconsulti prevedono la successione nella delazione, e vanno ad inserire madre e figlio
nella classe unde legitimi (successori per legge) a prescindere dalla manus.
4. Apporti postclassici:
Emerge e si perfeziona un ordine successorio nei beni dei filii familias acquistati senza sostanze paterne:
se l’avente potestà non è l’erede, mantiene sugli acquisti dei figli l’usufrutto legale di cui godeva già in
vita dei sottoposti;
- collazione dei discendenti: vi è l’onere, in capo al discendente che con altri concorre alla
successione, di conferire le risorse pervenutegli dall’ereditando.
5. Sistema successorio giustinianeo:
Riordino della successione ab intestato nei beni degli ingenui;
viene abolita ogni distinzione fra maschi e femmine e fra agnati e cognati.
Ordini dei delati:
- discendenti:
opera la rappresentazione senza limiti;
- ascendenti: dividono solo con i fratelli germani; in presenza di soli ascendenti, la divisione avviene
per capi se appartengono tutti alla stessa linea, mentre se vi sono due linee (paterna e materna),
ogni linea riceve metà dell’asse;
- fratelli germani, fratelli consanguinei e uterini: i primi hanno in comune entrambi i genitori, i
secondi il padre, i terzi la madre:
opera la rappresentazione per tutti i figli, ma unicamente a loro favore, senza proseguire con gli
ulteriori discendenti;
- restanti collaterali: la divisione avviene per capi.
La successione del coniuge è da ritenersi ancora ammessa dopo quella dei parenti.
Per quanto riguarda la situazione della donna in stato di vedovanza, Giustiniano prevede che:
in concorso con i figli comuni, la donna ottiene una quota di usufrutto;
in concorso con i figliastri, la donna ottiene una quota in proprietà;
in tutti gli altri casi, la donna ottiene un quarto dell’asse;
questo beneficio opera anche in caso di eredità testamentaria, ed è detto quarta della vedova
povera.
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- testamentum per aes et libram, per rame e bilancia: l’effettiva destinazione del patrimonio del
testatore è contenuta nelle tavole a cui quello fa riferimento nella sua dichiarazione solenne
(nuncupatio):
è possibile anche la totale assenza di scrittura: testamento meramente orale; tutte le disposizioni
sono in questo caso scandite dal testatore davanti all’accipiente, al pesatore, ai testimoni, ecc. e
quindi affidate alla loro memoria.
È previsto un tipo di testamento anche dal pretore:
- testamento pretorio: è il testamento grazie al quale il pretore concede la bonorum possessio secundum
tabulas, e per essere valido deve almeno presentare i requisiti dei sigilli e di sette testimoni:
non si tratta in fondo di una nuova forma di testamento, poiché il contenuto è lo stesso del
testamento librale, seppur senza i rituali richiesti dal diritto civile.
Sono totalmente esenti da forme le volontà dei militari:
- testamento militare: i militari possono manifestare in qualunque modo le loro volontà testamentarie;
con Giustiniano è possibile solo per quei militari impegnati nelle spedizioni belliche.
Forme testamentarie postclassiche:
- testamento a regime tripartito: è chiamato così da Giustiniano, poiché esso fonde elementi sia del
diritto civile (7 testimoni), sia del diritto pretorio (sigilli), sia delle costituzioni imperiali del tardo antico
(sottoscrizione di testatori e testimoni):
è sempre possibile il testamento orale alla presenza di 7 testimoni;
- testamento olografo: consiste nella stesura del testamento da parte del testatore senza l’utilizzo di
testi:
questo tipo di testamento ha vita breve, ma rimane utilizzabile dal padre che nomina eredi i propri
figli senza beneficiare gli estranei (testamentum parentis inter liberos);
- testamenti pubblici: abbiamo il testamentum principi oblatum, ossia quello presentato all’imperatore,
e il testamentum apud acta, ossia quello posto in essere presso un pubblico ufficio;
- testamenti speciali: sono quei testamenti modificati in via speciale a favore di certe categorie di
soggetti (ciechi, gente di campagna) o per certe situazioni di emergenza (caso di morbo contagioso).
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2. sostituzione pupillare: si ha qualora l’erede muoia prima di divenire pubere; il pater familias per questa
evenienza, redige un testamento per 2 eredità istituendo un erede al suo discendente;
3. sostituzione quasi pupillare: si ha qualora il discendente sia un mentecatto; l’ascendete nomina un
sostituito per il caso in cui il discendente muoia in questo stato.
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8. L’inefficacia del testamento
Il risultato dell’inefficacia, cioè della mancata produzione di effetti, può derivare al testamento da cause
originarie o sopravvenute:
o Cause originarie.
Difetto di capacità del testatore: il testatore deve essere libero, cittadino, sui juris, pubere e
sano di ente. È invalido il testamento del seno, dell’impubere e del prigioniero di guerra. La
donna sui juris può testare con l’autorizzazione del tutore. Il testamento del furiosus è valido se
fatto in lucido.
Vizi di forma: ad esempio l’adibizione di testi impuberi o stranieri.
o Cause sopravvenute. Incidono sulla validità quelle che “rompono” il testamento o lo rendono
“irrito” (capitis deminutio subita in seguito dal testatore), oltre che il testamento posteriormente
fatto, il quale revoca l’atto anteriore. Non incidono sulla validità del testamento le cause di
inefficacia per mancato avveramento della condizione o la mancata accettazione dell’erede.
Revoca: il testamento è sempre revocabile, ma solo da un successivo testamento valido. Basta
la volontà espressa solo nella revoca delle disposizioni a titolo particolare e nel testamentum
militis. Il pretore non concede la bonorum possessio agli eredi se il testatore ha infranto i sigilli
o distrutto le tavole.
Nel diritto postclassico si ammettono sempre più gli atti di pura revoca.
9. I codicilli
Il codicillo è un altro contenitore di disposizioni, più limitato e subordinato al testamento; esso non può
contenere nulla che abbia a che vedere con l’attribuzione diretta dell’eredità.
Abbiamo:
- codicilli confermati: dispongono legati e manumissioni dirette, e per essere validi devono essere
confermati nel testamento;
- codicilli non confermati: dispongono fedecommessi e non è necessaria la conferma nel testamento.
È possibile inoltre che nel testamento sia contenuta la clausola codicillare: così facendo, l’atto mortis causa
invalido come testamento, varrà almeno come codicillo
nel regime postclassico e giustinianeo, si richiede la presenza di 5 testimoni con loro sottoscrizione;
nasce inoltre il codicillo orale.
10. I legati
È detto legato, la disposizione mortis causa a titolo particolare che attribuisce ad un soggetto un
beneficio consistente in un diritto reale o di credito o nella liberazione da un debito.
Il legato può essere gravato da un modus ed è possibile che un fedecommesso a carico del legatario arrivi
ad assorbirne per intero il vantaggio: il peso tuttavia non può mai eccedere l’entità patrimoniale del lascito
e comportare per l’onorato un esborso del suo; il legatario non partecipa né della qualifica di erede né
conseguentemente risponde dei debiti ereditari.
Perché il legato sia valido, occorre che:
- il testamento sia valido;
- il legatario sia dotato di testamenti factio;
- il legato sia disposto in forma solenne e con parole imperative.
La principale legge limitatrice dei legati, dopo il fallimento delle leggi Furia e Voconia, è la legge Falcidia del
40 a.C.: essa prevede che non si possa legare più dei 3/4 dell’asse ereditario; i legati di ammontare
superiore si riducono proporzionalmente, e il valore delle sostanze su cui operare la deduzione va fissato al
momento della morte del testatore.
Poiché l’efficacia del legato è subordinata all’adizione dell’erede, questo potrebbe attendere la morte del
legatario per vedere estinto il legato; la giurisprudenza isola allora 2 termini:
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1. dies cedens: fissa in capo al legatario un’aspettativa e identifica il momento a partire dal quale è sicuro
che, operata l’aditio, il legatario acquisterà il legato; di regola coincide con la morte del testatore.
Se il legatario muore dopo questo termine, il suo diritto si trasmette ai suoi eredi;
2. dies veniens: trasforma l’aspettativa in acquisto effettivo; di regola coincide con l’adizione dell’erede;
i 2 termini possono coincidere nel caso in cui il legato sia sottoposto a condizione e avviene sempre in
caso di legato di usufrutto.
I tipi di legato per Gaio sono 4:
legatum per vindicationem, per rivendica: ha effetti reali, cioè al secondo termine la cosa legata
diventa di proprietà del legatario, e può avere ad oggetto soltanto cose di proprietà del testatore;
legatum per damnationem, per imposizione: ha effetti obbligatori, nel senso che al secondo termine
sorge in capo al legatario un credito nei confronti dell’erede, e può avere ad oggetto cose del testatore,
dell’erede o di un terzo (in questo caso l’erede dovrà procurarsele, anche comprandole);
legatum sinendi modo, con ingiunzione di permettere: ha effetti obbligatori e può avere ad oggetto
solo cose del testatore o dell’erede, non di un terzo;
legatum per praeceptionem, per acquisto preventivo: ha effetti reali e può avere ad oggetto solo cose
del testatore;
Teofilo aggiunge poi il legatum partitionis, di spartizione ereditaria, il quale può considerarsi come una
variazione di quello per imposizione; in base ad esso l’erede è tenuto a trasmettere al legatario una
frazione dell’asse.
I diversi tipi di legato assumono una progressiva unificazione, nella quale assumono veste rilevante:
- il legato con ingiunzione di permettere viene assimilato a quello per imposizione;
- il legato per acquisto preventivo viene assimilato a quello per imposizione;
- il senato consulto Neroniano (56-58 d.C.) salva i legati disposti in modo irrituale convertendoli nella
disposizione idonea; il legato per imposizione diviene la categoria unificante;
- Costantino nel 320 d.C., abolisce ogni sorta di formalismo verbale; resta però la differenza fra legato
con effetti reali e legato con effetti obbligatori.
- Giustiniano assimila la disciplina dei legati a quella dei fedecommessi.
11. I fedecommessi
I fedecommessi nascono per ovviare il problema dei lasciti verso soggetti non dotati di testamenti factio.
In età repubblicana si fa strada la prassi di incaricare l’erede o il legatario, con parole precative, di restituire
in tutto o in parte a un terzo l’acquisto; il disponente nel farlo, si basa soltanto sulla fides.
I fedecommessi sono scritti generalmente sui codicilli con totale libertà formale e sono tutelati da
praetores fideicommissarii al fine di rispettare il volere dell’autore di simili lasciti.
Il fedecommesso ha diverse potenzialità:
permette la restituzione di tutta l’eredità o di una sua parte dall’erede al fedecommissario, da
quest’ultimo a un altro ancora in tempi diversi;
realizza la possibilità di liberare schiavi;
si rende utile strumento atto a salvare la volontà del testatore tramite la conversione di un negozio
invalido (es. la sostituzione pupillare disposta in un codicillo è nulla, ma il sostituto è considerato
beneficiario di un fedecommissario a carico dell’erede legittimo).
Particolare è la figura del fedecommesso di eredità: il disponente incarica l’erede di restituire l’intero asse
o una sua quota, o una quota della quota; inizialmente la restituzione è fatta tramite una vendita ad un
prezzo simbolico ed è seguita da stipulazioni, poi questo macchinoso sistema viene semplificato:
- senatoconsulto Trebelliano: le azioni pro e contro l’erede passano direttamente in via utile pro e
contro il fedecommissario;
- senatoconsulto Pegasiano: interviene per evitare che l’erede, non motivato ad adire, inficiasse il
lascito; prevede che l’erede possa trattenere sempre un quarto dell’asse.
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se questi adisce, rientrano in gioco le stipulazioni che il primo senatoconsulto cercava di eliminare
Se l’erede non intende adire perché teme un’eredità passiva, il fedecommissario può ottenere dal
pretore un decreto di coazione per costringere l’erede ad accettare (adizione coatta);
in questo caso le stipulazioni vengono risparmiate.
Giustiniano riordina il sistema elaborando un impianto misto:
- dal Trebelliano deriva il passaggio diretto delle azioni;
- dal Pegasiano deriva la facoltà di trattenere il quarto e di ottenere l’adizione coatta.
Egli parla di equiparazione dei legati ai fedecommessi; al fedecommissario è concessa l’actio in personam
e l’azione reale e nel caso di divergenze fra le due discipline è da utilizzare quella “più umana” dei
fedecommessi.
12. Le donazioni
Le donazioni hanno come spirito generatore la “volontà di arricchire qualcuno”.
Nelle Istitutiones di Giustiniano sono collocate tra i modi di acquisto della proprietà.
Il negozio con causa liberale è sempre a titolo gratuito ma non è vero il contrario.
In età classica quella liberale è una causa negoziale che caratterizza atti e negozi per cui è tutelata dall’actio
o exceptio del singolo atto.
La lex Cincia (204 a.C.) vietava le donazioni oltre un certo valore eccetto che al coniuge, ai parenti e agli
affini. Tuttavia non molto tempo dopo, si arrivò al divieto di donazione tra coniugi (a motivo soprattutto di
voler togliere dal matrimonio l’aspetto dell’interesse matrimoniale).
Si hanno così 2 fasi della donazione:
Donatio perfecta quando è eseguita e quindi intaccabile.
Donatio imperfecta quando può essere bloccata dall’exceptio, dalla replicatio legis Cinciae. La
morte del donante la rende comunque perfetta.
Riforma Costantiniana.
La riforma Costantiniana presume l’atto scritto, la consegna del bene davanti a testimoni e la
registrazione del documento nei pubblici uffici. È una donatio perfecta. Finché l’iter non è esaurito
può essere ancora revocata dal suo autore (donatio imperfecta).
Riforma Giustinianea.
Viene elevato il limite a 500 solidi e solo sopra di esso è richiesto l’atto scritto e la registrazione.
Inoltre la traditio non è più necessaria al perfezionamento del negozio liberale.
Donazione a causa di morte, è di 2 tipi:
Uno ha nella morte del donante la condizione risolutiva, produce subito effetti che però si
interrompono se il donante non muore come aveva previsto (è per pericolo).
Nell’altra il risultato si produce solo alla morte del donante, sempre che sia anteriore a quella del
donatario: si ha condizione sospensiva. Si ha un progressivo avvicinamento alla disciplina del
legato: le Istitutiones di Giustiniano parlano di pianificazione integrale.
NOTE:
Acquisto a non domino (usucapione): situazione in cui un soggetto acquista un diritto di proprietà su di un
bene proveniente da un soggetto non qualificabile come titolare del diritto medesimo.
Lenocìnio: sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione.
Deferìre: sottoporre qualcosa a un esame, giudizio altrui.
Esperìbile: attuabile; che può essere tentato.
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