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Capitolo 3
Eugen Ehrlich: le istituzioni come fatti del diritto vivente
(1862-1922) Ehrlich ha una particolare concezione delle istituzioni, che elabora all’interno
della teoria del “diritto vivente” esposta ne “I fondamenti della sociologia del diritto”. La sua
dottrina si colloca nel punto di incontro tra storicismo giuridico tedesco e positivismo filosofico
francese.
Fu influenzato da Savigny (1779-1861) secondo il quale il diritto vive e si sviluppa nella società,
riprendendo la teoria istituzionale sia di Comte, sia di Durkheim.
Per Ehrlich la sociologia del diritto è una scienza del diritto e studia i fatti del diritto, ma comune
ad entrambi è la concezione psicologistica del reato, per cui l’azione criminale perseguita dal
diritto penale provoca sentimenti e reazioni emotive più forti rispetto alla trasgressione di norme
non giuridiche (es quelle morali o religiose).
“Alla base di tutte le nostre idee si trovano fatti che abbiamo osservato”: questa espressione
esprime la legge della conoscenza a cui fa riferimento anche l’universo giuridico, infatti anche il
diritto ed i rapporti giuridici sono cose prodotte dal pensiero, la cui elaborazione concettuale è
stata resa possibile dalla precedente percezione dei fatti di natura sociale che regolano il
comportamento umano nei “gruppi sociali” in cui si svolge la vita dell’uomo. Quindi nella
formulazione successiva dei Fondamenti, il diritto è “ciò che vive ed opera nella società umana
come diritto”.
La sociologia del diritto è Beobachtungswissenschaft, cioè scienza che osserva la realtà
sociale da cui il diritto è generato.
Il diritto vivente è il diritto che regola la vita sociale anche se non è formulato
giuridicamente. La fonte di conoscenza di questo diritto è il moderno documento giuridico, ma
anche l’osservazione diretta della vita sociale, degli scambi, delle consuetudini di tutti i gruppi.
I fatti di cui si interessa Ehrlich costituiscono delle istituzioni di natura sociale, cioè delle
reazione fattuali, delle forme vitali di origine sociale, che si svolgono secondo regole, alla cui
obbedienza l’individuo è spinto da certe sanzioni, rappresentazioni e sentimenti, di cui egli può
essere anche solo parzialmente cosciente.
Quindi possiamo dire che il diritto sono le istituzioni e le disposizioni sociale che sono percepite
dalle cerchie influenti della società come fondamento dell’ordinamento statale, sociale ed
economico. Queste istituzioni costituiscono le e vere e proprie officine in cui si forma il diritto, in
cui relazioni di gatto divengono diritto e rapporti giuridici.
Le principali istituzioni sono le comunità ed i gruppi da cui è sorta la società odierna: la famiglia, i
rapporti giuridici sui fondi e sul suolo ecc.
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Non tutte le regole che nascono dalla società diventano norme del diritto, ma lo diventano solo
quello che vengono riconosciute come vincolanti dagli uomini e da parte delle cerchie sociali
influenti, che avvertono queste regole come fondamentali rispetto alla vita del gruppo o della
società nel suo complesso. Su questa base Ehrlich distingue tra:
L’ambito culturale tedesco nell’Ottocento è stato dominato dallo storicismo della Scuola storica
del diritto di Savigny, alla cui influenza era soggetto anche Ehrlich, e a partire dagli anni ’70 ha
visto l’affermazione della concezione giuspositivista dello Stato di diritto. Queste due dottrine
erano antitetiche per alcuni aspetti:
- La Scuola storica si opponeva alla codificazione del diritto negli Stati tedeschi
- La dottrina del giuspositivismo si basava sul dogma per cui tutto il diritto è legge
Entrambe, però, davano per scontato il fatto che il diritto doveva essere obbedito in quanto
adeguato e coerente rispetto all’evoluzione storica di una società concepita come
culturalmente omogenea.
Nonostante questa fosse l’ideologia dominante, nel corso dell’Ottocento inizia ad affiorare tra i
giuristi il problema della validità sociale di un diritto alla cui base si trovavano non i principi di
giustizia, ma arbitrarie decisioni del legislatore. Essi cercano di affrontare la questione mediante la
teoria del riconoscimento, che offre, però, una soluzione inadeguata. Il punto di partenza di questa
teoria è quello dell’effettività del diritto, per cui, alla fine, essa dissolve il problema stesso: è diritto
ciò che viene riconosciuto come tale e obbedito dai consociati giuridici.
Il diritto vivente si costituisce sulla base della consuetudine, che trasforma comportamenti regolari
e reiterati in comportamenti regolati e, quindi, sulla base della
trasformazione di regolarità in regole, di ciò che le norme del diritto (vivente) siano
riconosciute e considerate vincolanti. Ma questa forza normativa del fattuale è già inscritta
nella nozione di consuetudine: essa, come la tradizione, se non viene praticata e reiterata,
cessa di esistere.
In questi termini, anche la questione dell’integrazione sociale sembra trovare una soluzione già
all’origine. Se per integrazione mediante il diritto si intende il processo attraverso cui l’ordinamento
giuridico riesce ad introdurre comportamenti omogenei nei membri della società, allora, si
comprende che questa questione venga risolta per definizione: il diritto vivente si identifica
sempre e solo in quelle istituzioni che sono generate da prassi uniformi e che, a loro volta, lo
generano. Quindi, l’agire dei membri di una formazione sociale coinciderà con il diritto
effettivamente praticato.
Rispetto alla società intesa come “l’insieme di tutti i gruppi umani che sono in contatto tra loro”,
questo tipo di integrazione fattuale diventa problematico, perché si attaglia alla singola istituzione
e al singolo gruppo omogeneo nel suo interno, mentre i gruppi e le istituzione sociale che
compongono la società sono molto differenziati e disomogenei tra loro. In questo caso, Ehrlich
deve ricorrere alla funzione integratrice dello Stato, una volta che esso venga inteso come
organo della società.
La società si compone di una molteplicità differenziata di formazioni sociali, per cui il bisogno di
coesione e di integrazione diventa più acuto; in questo modo, aumenta la consapevolezza che tutti
questi gruppi sociali minori, che in parte si sovrappongono, in parte si intersecano, in parte di
giustappongono, ma sono sempre dei mattoni per costruire un grippo sociale più grande e l’intera
società di cui fanno parte. Quindi la struttura e la costruzione del gruppo più grande dipende dal
modo in cui sono costituiti i singoli gruppi che lo compongono e dal fatto che sussiste una
dipendenza reciproca dei gruppi tra loro.
Secondo Ehrlich, dato che l’esistenza del tutto dipende dalla condizione in cui si trovano le
parti che lo compongono, allora il mutamento di un’istituzione fondamentale comporta, in
una reazione a catena, la modificazione delle altre istituzioni ad essa connesse.
Alla fine, l’ordinamento più ampio della società impone alle formazioni ed istituzioni sociali
minori le proprie norme di natura generale, che sono garantite dal potere statale.
L’ordinamento giuridico generale si configura come ordinamento esterno ai gruppi sociali minori
e rappresenta l’esisto della collocazione dei gruppi nel rango di dominanti e dominati e
rappresenta anche l’espressione della lotta dell’ordinamento sociale complessivo con i gruppi
estranei ed illegali, che non si adeguano all’organizzazione della società.
Nell’organizzazione gerarchica della società, il riconoscimento della forza normativa del fattuale,
intesa come mera ricorsività dell’agire, non è più sufficiente: c’è bisogno dell’intervento dello Stato
inteso come organo della società, ma che fornisce un forte sostegno alle norme di secondo grado
che essa impone ai gruppi sociali inferiori. Oltre alle norme di decisione, si tratta delle norme del
diritto penale e del diritto di polizia, che sostengono le regole prodotte nella società.
Il diritto vivente è la regola che si impone in virtù dei rapporti di potere: qui si riscontra non più la
forza, ma la miseria normativa del fatto compiuto e reiterato, per quanto esso sia supportato dal
convincimento dei gruppi e delle cerchie sociali più influenti e potenti.
Per Ehrlich riconoscere il diritto che vive nella società, implica la consapevolezza del carattere
fattuale e coercitivo della norma.
In Ehrlich, invece, è assente qualsiasi riferimento alla sfera di valori condivisi. La considerazione
dei valori gli avrebbe permesso di affrontare in modo più approfondito la questione della
legittimazione del diritto e delle istituzioni. Ma tale considerazione gli era impedita dal pregiudizio
positivistico, per cui la scienza studia fatti concreti e non idee astratte: pregiudizio poi superato
da Comte che ha considerato i valori come fatti sociali.