Sei sulla pagina 1di 170

DIRITTO ROMANO DA SBOBINE

28/09/2020
Il diritto romano è alla base del diritto di tutto il mondo per due motivi:

1) I romani elaborarono un sistema fondato sullo schema “GENUS SPECIES” (un


insieme di concetti che si spiegano l’uno attraverso l’altro);

2) Elaborazione di una tecnica di interpretazione dei testi che tuttora è alla base
dell’attività del giurista;

Il diritto è un’ingegneria sociale.

I romani hanno raggiunto un alto livello esegetico che venne prima elaborato in seno
ad un collegio sacerdotale, il collegio dei Pontefici che furono i primi interpreti del
diritto.

Successivamente venne adoperata questa tecnica da dei professionisti, i giuristi e non


più i sacerdoti. Nelle fasi più arcaiche, a Roma appunto i giuristi coincidevano con i
Sacerdoti.

La laicizzazione del diritto inizia a partire dalla legge delle 12 Tavole, circa 450 a.C.

Anche in Europa il diritto Romano è stato diritto di base fino al 1900 perché in
quell’anno la nuova Germania si dota di un proprio Codice civile. Prima del 1900 si
applicavano in Germania direttamente i testi del CORPUS IURIS CIVILIS (elaborato
dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo d.C.)

Anche in Italia, fino al 1942 (entrata in vigore del Codice civile tutt’ora vigente) vi
era l’applicazione del diritto romano con la differenza che mentre in Germania si
applicava direttamente il diritto romano, in Italia fino al 1942 si applicava il diritto
romano in VIA RESIDUALE. Il precedente codice civile italiano (1865, promulgato
dopo l’Unità d’Italia) stabiliva che qualora non si fosse trovato nell’ordinamento
italiano una regola per dirimere una controversia, cioè per risolvere un conflitto tra
privati, si doveva ricorrere ai principi generali del diritto che si dovevano rintracciare
nel CORPUS IURIS CIVILIS (diritto romano)

GERMANIA ITALIA E FRANCIA

Applicazione diretta del diritto Romano Applicazione in via Residuale del diritto
Romano

In Italia e Francia si applicava il diritto Romano quando le nuove regole predisposte


dall’Ordinamento Statale lasciassero il caso privo di una risposta.

Il richiamo e l’applicazione del diritto Romano era l’ultimo criterio a cui il giurista e
l’interprete dovevano far ricorso, perché in mancanza di una regola si poteva ricorrere
prima all’ANALOGIA LEGIS (l’applicazione di una legge/regola che disciplina un
caso simile) e infine all’ANALOGIA IURIS (la possibilità di ricorrere al diritto
Romano)

Col Codice del 1942 è venuto tutto meno perché l’articolo 12 stabilisce che
nell’ipotesi in cui non si possa far ricorso ad una regola che disciplina un caso simile,
si dovrà far ricorso ai principi dell’Ordinamento, si tratta di principi generali che non
devono più essere ricavati dal CORPUS IURIS CIVILIS ma bensì da tutte le regole
esistenti nell’Ordinamento Statale Italiano.

CHIUSURA STATUALE LEGALISTA DEGLI ORDINAMENTI: nell’ordinamento


esistono solo le leggi dello Stato e quindi si pone il problema della legge ingiusta.

GAIO fu un giurista romano, probabilmente attivo tra il 140-170/180 d.C., che scrisse
un manuale( risalente al II secolo d.C.) e che si contraddistingueva da una notevole
chiarezza espositiva.

Gli esemplari di questo manuale giunsero a noi dall’Egitto su papiri trovati negli anni
40 del 1900 in alcune discariche.

Nel 1816 avvenne un episodio storicamente clamoroso: un illustre studioso tedesco


NIEBUHR, nella Biblioteca Capitolare di Verona, studiando dei manoscritti antichi
notò che vi era un PALINSESTO (un testo sulla quale si è riscritto sopra ) contenente
un testo giuridico antico

Notò quindi che sotto al testo in superficie vi era altro e utilizzando alcuni reagenti ,
in voga a quel tempo , risaltò la precedente mano di scrittura però rendendo illeggibili
alcune parti.

Si può tuttavia affermare di avere il testo integrale a nostra disposizione.

Il testo di Gaio è l’unico testo della giurisprudenza romana che ci è pervenuto al di


fuori del CORPUS IURIS CIVILIS e soprattutto del DIGESTO.

Il CORPUS IURIS CIVILIS di Giustiniano è formato da più parti. La parte più


grande è quella del DIGESTO ovvero un’antologia di brani della giurisprudenza
Romana. È una raccolta di testi che non riporta integralmente i testi ma vi erano le
parti considerate dall’editore più importanti. Il Digesto rappresentava quindi
un’Antologia dei testi dei giuristi romani.

Non esistevano soltanto le istituzioni di Gaio ma anche quelle del giurista Marciano,
Ulpiano.

ES: Le istituzioni del giurista Marciano sono composte da 16 libri di cui essi sono
stati pervenuti soltanto

150 testi all’interno del digesto.


Le istituzioni di Gaio arrivano in modo integrale. Il suo manuale consta di quattro
libri e poi si articola in tre macroaree:

· DIRITTO CHE ATTIENE ALLE PERSONE = IUS QUOD AD PERSONAS


PERTINET;

· DIRITTO CHE ATTIENE ALLE COSE = IUS QUOD AD RES PERTINET;

· DIRITTO CHE ATTIENE ALLE AZIONI (processo) = IUS QUOD AD


ACTIONES PERTINET;

Queste due capacità non sono espressamente fissate da Gaio ma date da lui per
implicito:

CAPACITÀ GIURIDICA: la capacità di un individuo di essere titolare di diritti e di


obblighi. È una capacità astratta. Questa capacità viene riconosciuta a tutti i soggetti
che siano nati

CAPACITÀ DI AGIRE: Concretizzazione della capacità giuridica. È la capacità di


costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici.

Tutti i soggetti appena nati acquisiscono la capacità giuridica ma non hanno la


capacità di agire dato che si ottiene all’età di 18 anni ( nel nostro ordinamento).

A Roma, la capacità giuridica è propria di tutti i cittadini mentre la capacità di agire si


acquisisce a 12/14 anni, a prescindere dal sesso (Donne a 12 anni – Uomini a 14 anni)

Un individuo entra nel mondo del diritto al momento della nascita ma è necessario
anche la vitalità, cioè se un neonato nasce morto non ha acquistato la capacità
giuridica, mentre se ad esempio nasce un bambino e dopo cinque ore muore, in quel
lasso di tempo ha ottenuto la capacità giuridica.

A proposito di ciò ci sono due scuole di diritto:

Scuola dei Proculiani: secondo loro affinché un neonato fosse considerato vivo, e
quindi dotato del requisito della vitalità che gli avrebbe permesso di acquisire la
capacità giuridica, occorreva che il neonato avesse emesso un vagito, avesse urlato o
pianto.

Scuola dei Sabiniani: secondo loro era necessario che il neonato avesse compiuto un
qualsiasi movimento o emesso un respiro ( a Roma erano state stabilite delle tecniche
che consentivano di analizzare i polmoni dei neonati e vedere se essi avessero avuto
un contatto con l’ossigeno).

IL DIRITTO DI SUCCESSIONE: è il diritto del neonato di acquistare l’eredità di suo


padre in caso il padre fosse immediatamente morto o morto poco dopo. Se il neonato
ha la capacità giuridica, il neonato sarà titolare dell’eredità. Inoltre, se il neonato è
divenuto titolare dell’eredità di suo padre e muore poco dopo, quei beni andranno ai
suoi successori (fratelli, madre etc.)

Sia il diritto Romano che quello odierno riconoscevano la capacità giuridica del
nascituro concepito, ovvero colui che sta per nascere ( differentemente da quello non
concepito cioè da colui che si ha in mente di concepire e non si trova nel grembo
materno). Inoltre il diritto romano stabilisce alcuni diritti successori che possono
spettare al nascituro concepito ( si ha tra il 7-9 mese di gravidanza).

Il momento del concepimento era importante per la determinazione dello status del
neonato. In presenza di matrimonio legittimo (IUSTAE NUPTIAE), la condizione
giuridica del figlio (in particolare la cittadinanza, ma anche lo stato di libertà o
schiavitù) si definiva guardando la condizione del padre al momento del
concepimento. In caso di unioni illegittime fra soggetti che non avevano tra loro lo
IUS CONNUBII (diritto di sposarsi), si guardava alla condizione della madre al
momento della nascita cosicché se la madre fosse stata una cittadina romana, il figlio
sarebbe stato cittadino romano mentre se la madre fosse stata una schiava, il figlio
sarebbe stato schiavo.

Nelle epoche arcaiche del diritto romana non c’era lo IUS CONNUBII neanche tra
patrizi e plebei.

Se lo schiavo e la figlia del padrone hanno un figlio tra loro due non ci sono IUSTAE
NUPTIAE perché affinché ci siano Iustae Nuptiae è necessario che ci sia lo IUS
CONNUBII, e tra una donna libera e uno schiavo non c’è lo IUS CONNUBII ovvero
il diritto di sposarsi.

Quindi di fronte all’unione tra uno schiavo e una donna libera, ci troviamo di fronte
ad un INIUSTE NUPTIAE, cioè un’unione matrimoniale non riconosciuta dal diritto.

In epoche più recenti con la filosofia stoica e il cristianesimo si impone l’introduzione


di un’interpretazione più umana: con il FAVOR LIBERTATIS si stabilì che si
doveva aver riguardo sempre alla condizione della madre nel momento della nascita
ma se essa precedentemente alla sua condizione di schiava fosse stata libera anche
per un breve lasso di tempo, il figlio doveva essere considerato libero.

Il FAVOR LIBERTATIS incomincia a essere introdotto dal II secolo d.C. (età


Severiana).

Un individuo esce dalla sfera giuridica quando muore dato che cessano tutti i propri
diritti che vengono poi trasmessi ai propri eredi. Tuttavia, esistevano delle condanne
penali in base alle quali si perdevano tutti i diritti, si tratta della MORTE CIVILE,
ovvero, il soggetto non è morto ma perde la propria soggettività giuridica, smette di
essere una persona.

COMMORIENZA: ci sono più persone legate tra loro da rapporti familiari che
muoiono contestualmente; l’Ordinamento italiano stabilisce sostanzialmente che i più
giovani premuoiono ai più vecchi perché le condizioni patrimoniali dei bambini sono
meno rilevanti di quelle dei genitori( adulti);

I Romani non arrivarono a fissare dei criteri ben precisi sul punto e fissarono una
serie di regole da definirsi caso per caso;

DIRITTO DELLE PERSONE

Una prima grande classificazione si fa tra:

LIBERI: I soggetti che hanno la piena capacità giuridica, coloro che acquisiranno la
posizione di SUI IURIS e quindi di PATER FAMILIAS.

SCHIAVI: soggetti privi di capacità giuridica e quindi di capacità di agire e non


possono essere soggetti di diritti e obblighi, ma anzi sono OGGETTI DI DIRITTI E
OBBLIGHI, su di loro possono essere esercitati dei diritti, come ad esempio il diritto
di proprietà, possono essere venduti. Non appartengono ad una comunità politica
organizzata.

L’economia del mondo antico si reggeva sugli schiavi. Si parla di MOTO DI


PRODUZIONE SCHIAVISTICO.

A Roma i cittadini non lavoravano e infatti i lavori manuali erano svolti dagli schiavi.
I filosofi (Aristotele, Platone) tendevano a giustificare la schiavitù, sostenendo che
esistessero gli SCHIAVI DI NATURA, ovvero è la natura stessa a concepire
l’esistenza della schiavitù. La schiavitù era secondo loro qualcosa di ontologicamente
necessario. La filosofia stoica, pur affermando che non esistessero schiavi per natura,
ma che sono tali per sfortuna o ingiustizia, non arrivano a mettere in discussione che
il lavoro debba essere svolto solamente dagli schiavi.

Gli Schiavi sono coloro che vengono catturati durante le guerre o vengono sequestrati
al di fuori dei confini della propria città.

CAPTIVITAS: è la principale forma attraverso cui si diventa schiavi.

In una prima fase a Roma gli schiavi erano pochi perché la fonte di
approvvigionamento era limitata, ovvero Roma conduceva piccole guerre che quindi
non determinavano l’ottenimento di intere popolazioni ( ES: Alba Longa o Etruschi)

Gli schiavi erano pochi e ben trattati. Il termine latino per indicare gli schiavi è
SERVUS che deriva da SERVATUS cioè salvato in guerra cioè è il nemico non
ucciso ma reso prigioniero.
Gli Schiavi erano utilizzati nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame dato che
la fonte di ricchezza di Roma era la pastorizia. Alcuni Schiavi erano adibiti ai lavori
domestici, altri erano particolarmente colti e ciò si aveva soprattutto con l’arrivo di
schiavi greci a Roma. Alcuni di loro venivano usati per la formazione dei figli, quindi
con ruolo di precettori. In una prima fase a Roma gli schiavi sono pochi e hanno alto
valore economico. Gli schiavi sono RES MANCIPI (RES PRETIOSIORES) ovvero
le cose più preziose dell’economia antica.

A partire dal III secolo a.C. cioè quando l’espansionismo Romano inizia ad estendersi
senza tregua, Roma diventa dominatrice assoluta del bacino mediterraneo e
cominciano ad arrivare centinaia di migliaia di schiavi.

15 milioni di schiavi e 7 milioni di cittadini romani.

Strabone, geografo dell’antichità, racconta che in un solo giorno nel mercato di Delo
furono venduti 10mila schiavi.

L’incremento del numero di schiavi, ne riduce il valore economico e ciò si ripercuote


sulle loro condizioni di vita e sul loro trattamento.

Gli schiavi sono oggetti di diritto, non possono essere titolari di diritti, non possono
trasmettere il loro patrimonio e sono tenuti a sottostare al padrone. La condizione di
schiavo non dipende dall’esistenza di un diritto di proprietà sullo schiavo ma è una
condizione personale.

Se ad esempio uno schiavo riesce a fuggire dal proprio padrone, resta comunque
schiavo (SERVUS FUGITIVUS). Se ad esempio un padrone (DOMINUS)
abbandona uno schiavo, egli non ottiene la libertà ma diventa RES DERELICTA
(una cosa abbandonata).

I Romani riconoscono il diritto agli schiavi di avere una famiglia, ma non una
famiglia giuridicamente fondata e quindi legittima, ma un’unione che venisse tutelata
socialmente da un Officium, da un dovere sociale, morale di non impedire che due
persone possano avere dei reciproci sentimenti. Se due schiavi avessero avuto una
relazione, nessun padrone avrebbe impedito loro di unirsi.

Il CONTUBERNIUM non ha alcun rilievo giuridico se non sotto il profilo di


impedire gli incesti, ovvero una relazione tra consanguinei. Il Contubernium
acquisiva rilevanza giuridica in questo caso ovvero nel caso di unione tra una madre
schiava e il proprio figlio schiavo, e questa unione era impedita proprio dal
CONTUBERNIUM che giuridicamente non esisteva ma che comunque aveva una
qualche rilevanza nell’impedire unioni tra genitori e figli o fratelli e sorelle.

Da un punto di vista sociale si consentì agli schiavi di avere un proprio patrimonio, il


PECULIUM.
Lo schiavo non ha la proprietà sui beni del patrimonio ma l’amministrazione e
l’utilizzo. I beni del Peculium sono del padrone anche se li ha guadagnati lo schiavo.

Era riconosciuto questo Peculium agli schiavi per spronarli, per favorire una loro
maggiore propensione al lavoro e alla produttività.

Alla morte dello schiavo il Peculium tornava al padrone perché egli ha sempre avuto
l’ADMINISTRATIO. Questa distinzione tra amministrazione e proprietà è oggi alla
base delle SOCIETA’ DI CAPITALE (S.P.A.) che non vengono gestite dai
proprietari ma da un consiglio di amministrazione o da un amministratore delegato
Era possibile che il padrone dotasse lo schiavo di alcuni beni per fare in modo che
egli svolga attività economica e commerciale a favore del padrone. Il padrone quindi
nota di avere uno schiavo intelligente e gli affida i suoi beni al fine di esercitare
attività a suo favore.

Tutto ciò che compie lo schiavo e che acquista lo schiavo, viene acquistato IPSO
IURE cioè automaticamente dal padrone. Lo schiavo non può rendere deteriore la
posizione del padrone cioè se lo schiavo contrae un debito, non è il padrone chiamato
a rispondere del debito dello schiavo: RAPPRESENTANZA DIRETTA

Per evitare che si bloccassero traffici commerciali vengono introdotte una serie di
istituti, come L’ISTITUTO DI OBBLIGAZIONE NATURALE.

RIVEDI= L’Obbligazione naturale si ha quando un terzo soggetto rispetto al padrone


e allo schiavo commercia con lo schiavo, quest’ultimo resta debitore di questo terzo
soggetto ma potrebbe non adempiere al debito. È qui che interviene la fattispecie
dell’Obbligazione Naturale. Secondo i giuristi lo schiavo non è soggetto di diritti
quindi non può essere titolare di debiti o crediti ma in questo caso poiché la sua
natura è quello di uomo , resta obbligato naturalmente

COME FUNZIONA L’OBBLIGAZIONE NATURALE? Se lo schiavo adempie


spontaneamente non potrà ottenere indietro quanto pagato (SOLUTI RETENTIO
ovvero il diritto del creditore naturale di trattenere il pagamento ricevuto dallo
schiavo).

ESEMPIO: in una partita a poker tra amici, se un soggetto A gioca 10 euro e perde,
ha un debito con un altro soggetto B. Il soggetto A non è obbligato a pagare quel
debito perché il soggetto B non ha nessun strumento giuridico per imporre ad A di
pagare.

A Roma se lo schiavo spontaneamente decide di pagare, non potrà più ottenere


indietro quei soldi. Il meccanismo dell’obbligazione naturale era adoperato anche in
presenza di obbligazioni contrarie al buon costume

Perciò lo schiavo, una volta pagato non può più pretendere indietro ciò che ha versato
benché sia nella facoltà e nel diritto di non adempiere e in quel caso, il suo creditore
non avrebbe nessun strumento e non potrebbe rivolgersi al padrone proprio perché lo
schiavo non può rendere deteriore la condizione del padrone.

29/09/2020

FATTISPECIE: termine giuridico che viene tradotto con “ipotesi di fatto”

In diritto Romano sono previste tante categorie di SUCCESSIBILI ovvero coloro che
possono acquistare l’eredità. È presente un’antica norma delle 12 tavole in base alla
quale laddove non ci siano né figli né parenti prossimi ( Adgnati Proximi ), l’eredità e
i suoi beni andranno ai GENTILES. La GENS è quindi un insieme di persone
all’interno del quale si può trovare un successibile.

In caso il padrone di uno schiavo muoia, lo schiavo può andare in eredità al


POPULUS ROMANUS ovvero lo Stato. Lo Stato moderno nasce con la Pace di
Westfalia (1648), quindi usare il termine Stato per l’esperienza giuridica Romana è
inadatto. Con POPULUS ROMANUS si fa riferimento ad un’entità equiparabile al
nostro Stato odierno.

Nel caso in cui lo schiavo possedesse una famiglia e un PECULIUM e in caso


morisse, il PECULIUM sarebbe tornato al padrone.

QUANDO SI HA L’OBBLIGAZIONE NATURALE? Quando lo schiavo è titolare


di un Peculium, non un Peculium messo a disposizione dal padrone. Dato che lo
schiavo non può rendere deteriore la condizione del padrone, nel momento in cui uno
schiavo compie un atto giuridico (come può essere ad esempio acquistare un
giornale) e non paga il giornale, l’edicolante non può rivolgersi contro il padrone per
ottenere i soldi del giornale. Nell’ipotesi in cui lo schiavo paga il giornale (anche se
dal punto di vista del diritto civile non è tenuto proprio perché non è soggetto di
diritti, cioè non è soggetto attivo quindi non è né titolare di crediti né di debiti) pur
non essendo tenuto, non potrà richiedere i soldi indietro. (SOLUTI RETENTIO
ovvero il diritto del creditore naturale di trattenere il pagamento ricevuto dallo
schiavo).

L’obbligazione naturale si ha quando il creditore non ha strumenti giuridici per


conseguire il suo credito perché l’ordinamento giuridico non reputa che il suo credito
sia meritevole di tutela.

QUANDO SI HA OBBLIGAZIONE CIVILE? Quando un soggetto ha un credito e a


fronte dell’inadempimento del debitore, ha degli strumenti giuridici per soddisfare il
proprio credito. AD ESEMPIO: Soggetto A vende un bene a Soggetto B al prezzo di
10mila euro( sesterzi ). B non paga il prezzo e quindi A può rivolgersi ad un giudice
per citare in giudizio B. Inizia un processo per accertare se esista o meno un debito.
Se viene verificata l’esistenza di un debito, A può avviare un’esecuzione forzata sui
beni di B. A può quindi far sequestrare i beni di B fino al raggiungimento della cifra
che deve versare ad A.
Il padrone si accorge di avere uno schiavo intelligente e gli assegna un piccolo
patrimonio per gestirlo a suo conto, in modo che tutte le attività che lui svolge siano a
suo favore. In questo caso, dato che c’è un incarico del padrone, quest’ultimo è
chiamato a rispondere.

ESEMPIO: lo schiavo deve acquistare un appezzamento di terreno ma se lo schiavo


decidesse di non pagare il venditore ovvero l’ALIENANTE ha degli strumenti per
agire contro il padrone.

Questi strumenti sono cinque e sono denominati ACTIONES ADIECTICIAE


QUALITATIS. Sono azioni che si riferiscono alla qualità dello schiavo. Sono azioni
alle quali si può ricorrere quando un padrone ha costituito un peculium per lo schiavo
affinché lo utilizzi per seguire gli interessi del padrone.

In riferimento all’esempio, l’Alienante potrebbe agire contro il padrone attraverso


un’azione che si chiama “ACTIO QUOD IUSSUS”

LISTA DEGLI STRUMENTI ( quando si parla di ACTIO si tratta di azioni


processuali)

1) ACTIO QUOD IUSSU: si agisce in ragione dell’incarico che lo schiavo ha


ricevuto. Il padrone dovrà corrispondere il prezzo, quindi deve rispondere
integralmente del debito contratto dallo schiavo. Si ha questa azione, quando vi è un
incarico specifico da portare a termine. In questo caso il padrone dovrà rispondere di
tutti i debiti contratti dallo schiavo nell’adempimento dell’incarico.

Al fine di attestare che fosse venuta una compravendita tra l’alienante e lo schiavo, vi
erano dei testimoni che difficilmente si facevano corrompere dato che a Roma la
corruzione del testimone era contrastata pesantemente. In alcune ipotesi si arrivava
alla condanna a morte, mentre in altri casi si veniva condannati alla
“INTESTABILITAS” cioè al fatto che non si potessero ricevere testimonianze a
proprio favore. Si veniva quindi interdetti dalle attività commerciali dato che tutte le
attività commerciali a Roma si svolgevano a cospetto di testimoni.

Coloro che venivano corrotti erano automaticamente marchiati di infamia ed era un


marchio che non si limitava a perseguitarli per tutta la vita, ma che si trasmetteva in
generazione in generazione. I soggetti che prestavano testimonianza dovevano quindi
rispondere a dei requisiti di onorabilità.

ES: Se lo schiavo ha preso una carrozza e non ha pagato il vettore esso si può
rivolgere al suo padrone;

Il padrone ha sullo schiavo lo IUS VITAE AC NECIS ovvero diritto di vita o di


morte, quindi può decidere di uccidere lo schiavo o può fustigarlo ( verrà temperato
quando si trasformerà in uno IUS CORRIGENDI) o addirittura può decidere di
DARE A NOSSA lo schiavo, cioè consegnare lo schiavo al debitore e questo
deciderà cosa farne.
2) ACTIO DE PECULIO: in questo caso non c’è un incarico specifico ma il padrone
assegna un Peculium allo schiavo da utilizzare per arricchire il padrone. Laddove lo
schiavo risulti inadempiente di un debito, il creditore può rivolgersi al padrone, ma
quest’ultimo risponderà nei limiti del Peculium. Se il padrone assegna allo schiavo
10mila sesterzi, il venditore a cui non è stata adempiuta l’obbligazione, si può
rivolgere al padrone nei limiti dei 10mila sesterzi. Se lo schiavo contrae un debito
12mila sesterzi, il padrone risponderà solamente dei 10mila, per i restanti 2mila
sesterzi, l’Alienante non avrà strumenti (causa OBBLIGAZIONE NATURALE)

Nel caso dell’Obbligazione naturale, non c’è sempre la Soluti Retentio, perché se A
per sbaglio da dei soldi a qualcun altro, A ha delle azioni attraverso le quali ottenere
indietro i soldi perché in questo caso ci sarebbe un arricchimento senza giusta causa
oppure un pagamento non dovuto.

Questa Actio è alla base di un altro istituto moderno molto importante cioè le SRL
( Società Responsabilmente Limitata) dove i creditori di queste società non possono
agire contro il patrimonio dei soci ma solo contro il patrimonio e i beni che i soci
hanno devoluto alla società.

“ID QUOD PLERUMQUE ACCIDIT”: “CIÒ CHE ACCADE ABITUALMENTE”

In diritto Romano, a seguito della compravendita, il passaggio di proprietà avveniva


al momento della consegna materiale del bene.

3) ACTIO DE IN REM VERSO( I secolo d.C. circa) : serve al creditore nei confronti
del padrone perché gli consente di agire nei limiti dell’arricchimento che il padrone
ha conseguito per l’attività dello schiavo. ESEMPIO: Il padrone assegna allo schiavo
10mila sesterzi. Se lo schiavo contrae un debito da 12mila sesterzi, il venditore a cui
non è stata adempiuta l’obbligazione ora può ottenere i 2mila sesterzi attraverso
questa azione perché questi 2mila sesterzi sono un arricchimento ingiustificato del
padrone. Si ricorre a questa azione quando si nota e si hanno le prove che lo schiavo
ha contratto dei debiti maggiori del PECULIUM messo a disposizione da padrone.

La seconda Actio è più facile da esperire perché ci si deve limitare a scoprire il


Peculium dello schiavo; Per quanto riguarda la terza Actio, si deve scoprire quale
fosse l’ingiusto arricchimento quindi nasce come strumento di tutela per i creditori;

Il compito del giurista romano è quello di migliorare quotidianamente il diritto e


qualora si accorgesse di uno squilibrio tra contendenti deve ragionare per creare dei
nuovi strumenti di tutela.

“ONERE PROBATORIO”: provare in giudizio la propria pretesa. L'onere della prova


è un principio in base al quale chi vuole dimostrare l'esistenza di un fatto ha l'obbligo
di fornire le prove per l'esistenza del fatto stesso. Esiste in ogni azione processuale.

· 4) e 5): Queste azioni presuppongono che lo schiavo sia particolarmente


capace. In questi due casi il padrone assegnava la gestione di un’impresa. Sono
due azioni identiche ma cambia solamente il tipo di impresa affidata allo
schiavo

1. ACTIO INSTITORIA

2. ACTIO EXERCITORIA

· 4) ACTIO INSTITORIA: lo schiavo era preposto allo svolgimento di


un’impresa terrestre. Il padrone nominava lo schiavo come amministratore
delegato della sua impresa edile. Lo schiavo gestiva l’impresa e in questo caso
il padrone rispondeva di tutti i debiti contratti dallo schiavo.

· 5) ACTIO EXERCITORIA: funziona allo stesso modo ma in questo


caso lo schiavo gestiva un’impresa marittima e veniva quindi nominato
armatore di una barca.

RESPONSABILITÀ PENALE DELLO SCHIAVO:

Il diritto penale dei Romani è diverso rispetto a quello attuale. Il diritto penale
moderno è figlio di Cesare Beccaria e della corrente Illuminista e ha come base la
funzione rieducativa della pena.

A Roma, vi erano tutta una serie di atti illeciti che davano luogo a OBBLIGAZIONI
CIVILI. Ad esempio, il furto, dava luogo ad obbligazioni di diritto civile. Nel diritto
penale romano si fa una distinzione tra:

· DELICTA: davano luogo ad obbligazioni di diritto civile. In questo caso


si doveva rispondere di un debito;

· CRIMINA: davano luogo ad obbligazioni di diritto penale e quindi al


perseguimento penale dello schiavo da parte del POPULUS ROMANUS.

All’esito dei crimini si poteva arrivare alla crocifissione e quindi la morte. Se il


crimine fosse stato particolarmente efferato, lo schiavo sarebbe stato anche torturato
prima di essere ucciso.

Se lo schiavo avesse commesso un crimine, avrebbe risposto penalmente ( ma non


perché viene riconosciuto come una persona giuridica), sarebbe stato perseguito e il
perseguimento dello schiavo sarebbe avvenuto al fine di evitare che i fenomeni
criminosi aumentassero esponenzialmente. Le pene dovevano quindi scoraggiare la
ribellione degli schiavi.

Un crimine commesso da uno schiavo riceve punizioni molto più severe e pesanti di
quelle previste per gli uomini liberi. Generalmente se uno schiavo commette un
crimine, viene condannato a morte mentre un uomo libero, se commette un crimine
può essere condannato a diverse pene, come può essere ad esempio la RELEGATIO
IN INSULAM oppure l’allontanamento da Roma.

Il Populus Romanus così danneggiava la posizione del padrone ma perché vi era un


interesse superiore cioè la tutela della “sicurezza pubblica”.

RES:“bene,possesso”: lo schiavo era considerato una cosa.

Un DELICTA può essere invece un furto, un danneggiamento. Ad esempio, se uno


schiavo uccide il cavallo di un uomo libero o incendia il campo di un uomo libero il
padrone può risarcire il danno ( perché ritiene che lo schiavo gli sia utile) oppure dà
lo schiavo al danneggiato (tenendo con sé il Peculium dello schiavo).

Aulo Gellio afferma che all’origine di Roma, qualora i creditori fossero stati più di
uno il dominus poteva scegliere di uccidere lo schiavo e di dare un pezzo del suo
corpo a ciascun creditore (usanza desueta).

L’uccisione o il ferimento di uno schiavo era considerato danneggiamento di un bene.


Tutto ciò veniva considerato un DELICTUM e veniva perseguito dalla legge tramite
la LEX AQUILIA (286 a.C.) e precedentemente attraverso l’ACTIO INIURIARUM
(l’azione di offesa).

La LEX AQUILIA stabiliva che il padrone doveva essere risarcito per il prezzo
massimo che aveva raggiunto il prezzo dello schiavo nel mercato dell’ultimo anno.

Nel mercato degli schiavi :

· Si verificavano le oscillazioni di prezzo .

· Si prendeva come riferimento lo schiavo migliore sul mercato che poteva


essere uno schiavo intellettuale o uno schiavo medico

E in base a tutte queste considerazioni veniva definito il valore del risarcimento del
danno.

30/09/2020
IL MIGLIORAMENTO DELLA CONDIZIONE DEGLI SCHIAVI

Gaio nelle sue Istitutiones divide il diritto della persona (ius quod ad personam
pertinet) in due macrocategorie:

· Liberi: coloro che hanno pieni diritti civili e giuridici. Questa categoria si
divide a sua volta in due sottocategorie. I Libertini ovvero coloro che erano
schiavi e sono diventati liberi, e gli Ingenui, ovvero uomini nati liberi e garanti
di tutti i diritti.

· Schiavi: coloro che sono esenti da ogni diritto civile giuridico.

Nonostante lo schiavo non potesse essere garante di diritti civili e giuridici,


nell’ambito religioso aveva una valenza quantomeno umana. Infatti, al
momento della morte il luogo di sepoltura diveniva un LOCUS RELIGIOSUS,
dunque aveva un’importanza religiosa. Quindi Il luogo dove veniva sepolto lo
schiavo diveniva Locus Religiosus esattamente alla stessa maniera in cui
diveniva luogo dove fosse stato sepolto un uomo libero.

Il Locus Religiosus era una RES RELIGIOSA, cioè un bene consacrato agli Dei
inferi, ovvero gli Dei dell’Oltretomba.

Lo schiavo poteva svolgere dei VOTA, cioè delle richieste che un soggetto
rivolgeva ad una divinità in cambio poi di un certo comportamento. Ci si
recava nel tempio di una divinità e si chiedeva grazia ad essa, in cambio di una
prestazione. In diritto Romano si trattava di un’obbligazione giuridica. Infatti,
se il soggetto non avesse adempiuto il voto, il sacerdote sarebbe potuto andare
in tribunale e richiedere l’adempimento.

Per via dell’influenza dello Storicismo, che giunge a Roma grazie alla filosofia
greca, comincia a prevalere la convinzione che non sia giusto maltrattare in
maniera ingiustificata gli schiavi e quindi gli imperatori assumono una serie di
provvedimenti volti a impedire l’ingiusto maltrattamento degli schiavi.

Perciò in età imperiale la condizione schiavista tende a migliorare tramite


l’emanazione di vari editti

· L’imperatore CLAUDIO (I secolo d.C.) è il terzo imperatore della dinastia


GIULIO CLAUDIA e ciò che lo caratterizza è la sua grande apertura mentale.
Egli sancì che qualora lo schiavo si ammalasse e venisse poi abbandonato dal
dominus al tempio di Esculapio, ubicato sull’isola Tiberina, per inefficienza sul
lavoro e qualora egli successivamente guarisse, lo schiavo sarebbe stato
considerato libero.

· DOMIZIANO regna per un breve periodo ed è il terzo imperatore della


dinastia FLAVIA. Egli trattò la condizione schiavista stabilendo il divieto di
evirare gli schiavi, prassi molto diffusa per evitare incesti con la famiglia del
dominus.

· ADRIANO invece lavorò anche sul maltrattamento fisico e sessuale degli


schiavi e infatti il dominus che incappava in tale atto doveva pagare una multa.
Nel suo provvedimento, quindi, veniva considerato come maltrattamento
l’adibizione ad attività degli schiavi contrarie al buon costume

· Successivamente ANTONINO PIO, fratello di Marco Aurelio, decretò invece


che il dominus, a seguito di una violenza sullo schiavo sarebbe stato privato di
quest’ultimo, divenendo così un uomo libero. I due provvedimenti sebben
uguali vedono delle differenze: difatti il primo implica un danno pecuniario sul
dominus all’erario pubblico, mentre il secondo implica un mutamento della
condizione dello schiavo, per questo si pensa che i due provvedimenti siano
coesistiti.

Il giusto rispetto di tali norme era nelle mani del PRAEFECTUS URBI, il quale
aveva il compito di valutare la situazione in esame e valutare l’attivazione o meno del
provvedimento.

Il principale magistrato giuristi ente era il PRETORE (II a.C. – III a.C.) era incaricato
di amministrare la giustizia. Ogni anno emanava un editto pubblico fisso nel Foro
Romano, nel quale indicava attraverso quali criteri avrebbe amministrato la giustizia.
Nello specifico caso dello schiavo, la competenza era stata accordata al Praefectus
Urbi.

Dopo il II secolo d.C. , la figura del pretore comincia a scomparire, facendo acquisire
tutte le cariche al Praefectus Urbi.

Tali provvedimenti con il procedere della successione imperiale potevano essere


abrogati o prolungati, nel secondo caso solo quando il provvedimento incarnava un
ambito specifico e lo stesso oggetto del precedente. Tuttavia, alcuni imperatori,
essendo garanti di giustizia, tendevano ad affermare i propri provvedimenti. Nel caso
dei provvedimenti sulla condizione schiavista rimangono quasi sempre vigenti,
vertendo infatti sul miglioramento di tale condizione. Ciò non è altro che il frutto
dell’espansione romana e dei conseguenti contatti con il mondo che hanno portato
alla considerazione di rivalutare il trattamento degli schiavi nell’antica Roma.

MODI CON CUI SI DIVENTA SCHIAVI

Si è schiavi:

· Per nascita. Avviene quando il figlio nasce in un Contubernium o in una


relazione occasione tra schiavi, ma soprattutto quando la mamma è schiava, in
quanto al momento della nascita, la condizione del nascituro viene valutata
prendendo in considerazione la condizione della madre in quanto essa non ha
diritto delle Iuste Nuptiae (questo solo alle origini di Roma) , dunque si nasce
schiavi da genitori schiavi.

· Perché ci si diventa (AUT NASCUNTUR AUT FIUNT). In questo caso si


parla di soggetti liberi che diventano schiavi. Uno dei primi modi primo è la
CAPTIVITAS, ovvero la cattura di prigionieri di guerra o soggetti catturati in
attività belliche. Tuttavia, non venivano catturati solamente i prigionieri di
guerra ma tutta la popolazione sconfitta qualora non facesse la DEDITIO,
ovvero la resa e l’accettazione della sottomissione al popolo romano. Questi
venivano portati a Roma e venduti e il ricavato veniva dato all’erario. Quindi la
Captivitas era uno dei modi principali per diventare schiavi. Chi si prostrava
alla Deditio era un uomo libero considerato e Latino e successivamente potrà
acquisire la cittadinanza romana.

La Captivitas era considerata un istituto di IUS GENSIUM che non era un istituto
proprio dei Romani ma piuttosto un diritto di tutti i popoli che andavano
intrattenevano relazioni con loro e che era un diritto proprio di tutti gli esseri
umani, difatti tale modalità di reclutamento valeva anche nel momento in cui
era Roma a perdere. Inoltre, la Captivitas non implica solo la cattura in caso di
guerra, ma la cattura in generale fuori dai confini romani. Il sequestro infatti
portava inevitabilmente al diventare schiavi, sebbene venisse considerata una
Iniusta Servitus ovvero una schiavitù ingiusta, il Populus Romano, spesso si
prodigava a liberare il sequestrato divenuto schiavo (es. Giulio Cesare fu
catturato e il riscatto fu pagato da Crasso).

Con l' Iniusta Servitus si verificava il Postliminium ovvero qualora un cittadino


romano catturato al di fuori dell’Impero Romano, avesse varcato i confini
romani egli diveniva libero e cadeva la condizione di schiavo. Ciò determinava
il ritorno alla persona del suo pristino stato, ovvero si ricostituiva il proprio
stato ritornando allo status quo ante e riprendendo anche tutti i propri beni, i
diritti reali e di credito.

Tali beni nel momento della Captivitas Iniusta erano in stato di quiescenza rimanendo
sospesi, vigendo la Spes Liminii ovvero la speranza del ritorno finché non si ha
notizia certa della sua morte.

Tuttavia, il Postliminium non si verificava in due situazioni di fatto:

· Il matrimonio, che implica una certa continuità nella relazione.

· Il possesso, che è ben diverso dalla proprietà, perché mentre quest’ultima è un


diritto, il possesso è una situazione di fatto. Infatti, nel caso in cui il cittadino
romano è solo possessore di un bene e non proprietario, questo è perso. Se due
cittadini romani marito e moglie venivano catturati da nemici, il loro
matrimonio degradava in Contubernium e di conseguenza, gli eventuali figli
diventavano schiavi. Eventuali figli di questi, fatti prima della cattura,
rimangono cittadini romani ma non possono ritenersi proprietari dei beni,
possono solo usufruirne e svolgere atti di amministrazione, eccetto atti di
vendita o edili.

Nell'81 a.C. Lucio Cornelio Silla per ingraziarsi l’esercito, il quale lo aveva portato
alla vittoria contro Gaio Mario, stabilisce che se un soldato romano venisse catturato
in battaglia e fosse divenuto schiavo e successivamente fosse morto in stato di
cattività si considerava che egli fosse morto prima di essa della cattura, dunque
moriva libero di modo che diventasse possibile la successione ai figli del soldato
deceduto, dato che in caso di Captivitas il testamento, redatto prima della guerra,
perdeva ogni valenza. Questo decreto prende il nome di LEX CORNELIA o FICTIO
IURIS CORNELIAE, dove per Fictio Iuris si intende una legge che viene emanata e
si verifica in una situazione fittizia, spesso abrogata anche ad altri tipi di leggi come
quelle che vigevano all’eredità senza testamento in caso di morte in guerra, sempre
per far sì che i beni passassero alla famiglia del soldato.

È giusto sottolineare che nell’antica Roma non vi era un legame parentale tra marito e
moglie, difatti la moglie non ha diritto ad ereditare i beni del marito, che passavano ai
figli in caso di morte del coniuge.

Un’altro modo per diventare schiavo è la vendita Trans Tiberim ( oltre il Tevere ,
all’estero); un cittadino romano non poteva diventare schiavo all’interno dei confini
di Roma ( vi sono poche eccezioni ).

Se un cittadino romano non riusciva a pagare il debito a un creditore, poteva


diventare schiavo.Infatti se dopo un processo di cognizione veniva emessa una
sentenza che dichiarava la persona come debitore insolvente, il creditore poteva
prendere il suddetto romano ( che diveniva un addictus ) per un periodo di 60 giorni e
dopo aver portato la persona tre volte al mercato degli schiavi per vedere se qualche
familiare avesse pagato il suo debito, poteva venderlo come schiavo fuori dai confini
di Roma ( solo dopo i 60 giorni ).

Ci sono due eccezioni che portano la condizione servile entro i confini romani:

· INDELECTUS: colui che si sottrae alla leva militare, in quanto tutti i cittadini
maschi sono chiamati a diventare un soldato e a difendere la patria. La
grandezza di Roma si basava sulla leva militare e sul popolo-esercito.
Inizialmente soltanto gli eroi tendevano a combattere, ma successivamente
anche i cittadini incominciarono a divenire soldati e proprio per questo il fatto
che un soggetto si sottragga a ciò, veniva visto in modo negativamente

· INCENSUS, ovvero colui che si è sottratto alle liste del censimento, utile per
definire il quantum di imposte dovute all’erario. L'incensus era allo stesso
tempo un Indelectus, in quanto il censimento era la fonte da cui si sviluppava
l’esercito.

05/10/2020

La capacità di agire e la capacità giuridica si acquisiscono?

La capacità giuridica si acquista con la nascita e a Roma valeva per i nati liberi. Lo
schiavo non ha capacità giuridica, non è soggetto di diritti ma è oggetto di diritti.
Quindi lo schiavo non aveva alcuna capacità giuridica.

Gli uomini liberi invece acquisivano la capacità giuridica al momento della nascita.
Al contrario, la capacità di agire si acquista con il tempo. Oggi si acquista con il
compimento dei 18 anni, in diritto romano si acquisiva con altri meccanismi.

Per ricapitolare, la CAPACITÀ GIURIDICA è la capacità di essere titolari di diritti e


obblighi, di diritti soggettivi più in generale. È una capacità astratta. Diversamente, la
CAPACITÀ DI AGIRE è un qualcosa di concreto, va a concretizzare la capacità
giuridica ed è la capacità di costituire, modificare o estinguere i rapporti giuridici.
Rappresenta la capacità di poter validamente stipulare un contratto o di compiere atti
giuridici.

Gli ultimi due modi attraverso cui si diventa schiavi:

Donna: qualora una donna libera avesse intrattenuto una relazione sessuale con uno
schiavo (non con il proprio schiavo perché col proprio schiavo avrebbe potuto fare
quello che le pareva) altrui, e il proprietario di questo schiavo avesse per tre volte
intimato alla donna di cessare questa relazione. In mancanza della cessazione della
relazione, la donna sarebbe diventata schiava del padrone dello schiavo. Questa
decisione fu introdotta dal Senato Consulto Claudiano. Questo vale solo per le donne,
non per gli uomini. Il termine “intimazione” indica una dichiarazione, una richiesta
formale di compiere un certo atto.

Commissione di un crimine: qualora un cittadino romano libero avesse compiuto un


crimine, cioè una condotta tale da turbare la società, quindi un omicidio o atti
particolarmente efferati, diveniva schiavo del Populus Romanus e poteva essere
adibito a lavorare in miniera, AD METALLA, o AD BESTIAS, cioè a combattere nei
giochi gladiatori contro le bestie. Questa era un’ ipotesi diversa dalle altre in cui si
diveniva schiavi del popolo romano, perché come abbiamo visto anche nel caso degli
Incensus e Indelectus si diveniva schiavi del popolo romano, ma in generale in quei
casi il cittadino divenuto schiavo veniva venduto a privati, nel caso sopracitato invece
c’era anche un elemento di diritto penale, di condotte penalmente rilevanti al fine di
garantire la sicurezza sociale e per questo soggetti erano inviati a lavorare nelle
miniere o a combattere al Colosseo nei giochi gladiatori contro gli animali.
Quando un cittadino romano libero diveniva schiavo, subiva quella che Gaio
definisce “CAPITIS DEMINUTIO MAXIMA”, ovvero una riduzione al più alto
livello del Caput che indica lo Status Giuridico.

Esistono altri due tipi di Capitis Deminutio

· CAPITIS DEMINUTIO MEDIA si ha quando un cittadino romano


perde la cittadinanza.

· CAPITIS DEMINUTIO MINIMA si ha quando un cittadino perde la


capacità di agire. Resta sempre titolare della capacità giuridica, ma per una
serie di fattori perde la capacità di agire e torna, dal punto di vista giuridico ad
uno stadio infantile. Da persona Sui Iuris torna quindi ad essere Alieni Iuris.

ATTI ATTRAVERSO CUI UNO SCHIAVO DIVENTA LIBERO

Questi atti si chiamano MANUMISSIONI. Dal punto di vista etimologico


“Manumissione” indica l’allontanamento “missio, mittere” dalla MANUS del
dominus. La manus è un’antica forma di potere assoluto su una persona. Se uno
schiavo viene abbandonato, l’abbandono di per sé non implica la liberazione dello
schiavo che quindi resta tale. Occorre un atto “costituivo di status”, e questo atto è
per l’appunto la Manumissio, la Manumissione. Dobbiamo distinguere due grandi
categorie di Manumissioni:

· MANUMISSIONI DI DIRITTO CIVILE

· MANUMISSIONI DI DIRITTO PRETORIO

Le Manumissioni di tipo civile sono antichissime e sono tre:

· MANUMISSIO VINDICTA

· MANUMISSIO CENSU

· MANUMISSIO TESTAMENTO
MANUMISSIO VINDICTA:

È quell’atto attraverso cui si libera uno schiavo che si svolge davanti al Pretore
attraverso un finto processo. Cos’è questo finto processo? Vi è un dominus che ha
deciso di liberare lo schiavo. Si accorda con un suo amico e insieme a questo suo
amico, e allo schiavo, si recano nel Foro Romano in tribunale davanti al Pretore.
L’amico del padrone assume le vesti di ADSERTOR IN LIBERTATEM (colui che
asserisce la libertà dello schiavo) e afferma “lo schiavo è libero, non è schiavo”. Il
padrone, essendo d’accordo con tutto quello che si sta svolgendo, assume un
contegno passivo, cioè tace e non si oppone. Questo atteggiamento lo, si chiama “In
Iure Cessio”, cioè cede in tribunale. La Manumissione indica una riduzione del
patrimonio del dominus. Quindi l’Adsertor In Libertatem afferma che lo schiavo è
libero. Il dominus tace e il Pretore riconosce la libertà dello schiavo. .

Questa forma di Manumissione si chiama Vindicta perché l’Adsertor In Libertatem


tocca lo schiavo con una festuca, un bastoncino che ha il nome di Vindicta (che
simboleggia l’antica lancia bellica) e che serve a riconoscere davanti a tutti che
quell’uomo è libero.

Attorno al II – III d.C. questa Manumissione avveniva senza la costruzione del finto
processo, bastava che il dominus dello schiavo si recasse davanti al pretore e lo
toccasse con questa Vindicta dicendo “questo uomo è libero”. Non serviva più quindi
il finto processo. Perché in origine serviva questo finto processo? Serviva per dare
evidenza pubblica al procedimento, per rendere evidente a tutti nella comunità che
quell’uomo non era più uno schiavo.

MANUMISSIO CENSU:

È l’atto esattamente contrario della fattispecie dell’Incensus. Cioè, mentre l’Incensus


diveniva schiavo perché si era sottratto dalle liste del censimento, nel caso della di
questa Manumissio, il dominus inseriva il nome dello schiavo negli elenchi del
censimento tra i cittadini liberi. Dunque, anche il censimento è un atto costitutivo di
status che rende l’uomo libero.

MANUMISSIO TESTAMENTO

Si ha quando il dominus inserisce nel suo testamento la volontà di liberare lo schiavo.


È una disposizione testamentaria (è un atto Mortis Causa). Questa forma di
Manumissione era la peggiore possibile, perché mentre negli altri due casi acquisiva
la libertà immediatamente, in questo caso si doveva aspettare il momento di apertura
della successione ovvero la morte del dominus. Se il dominus fosse stato
particolarmente longevo ci sarebbe stato il rischio che lo schiavo potesse morire
prima di vedere la libertà. Anche in questa forma di Manumissione vi era
un’evidenza pubblica, perché le forme più arcaiche di testamento si svolgevano o
davanti all’assemblea del popolo o davanti ai Comizi Curiati oppure davanti
all’esercito in procinto di partire per la guerra, e siccome tutti i membri dell’esercito
erano cittadini, anche in questo caso il testamento si compiva davanti al cospetto di
tutto il popolo. Lo schiavo acquisiva la cittadinanza del dominus e diveniva cittadino
romano. Il dominus non poteva dire “io voglio solo liberare lo schiavo ma non voglio
riconoscergli la cittadinanza”. La cittadinanza era una conseguenza necessaria
prevista dall’ordinamento.

Lo schiavo avrà degli oneri di carattere sociale verso il suo patronus e una volta
manomesso sarà un Liberto. Colui che viene manomesso con una di queste forme
sarà un uomo libero, ma nella categoria dei Liberti (o Libertini) e avrà una serie di
oneri verso il suo dominus, oneri di riconoscenza.

ES.se il Liberto non fa testamento i suoi beni vanno direttamente al dominus.

Il Liberto deve prestare delle giornate lavorative a favore del suo vecchio dominus. Si
può quindi dire che egli rientri nella categoria dei Clientes del dominus e quindi avrà
un vincolo ancora forte verso di lui.

In una prima fase, ai liberti veniva impedito di fare testamento, proprio perché i beni
devono andare al dominus.

Con queste tre forme di Manumissioni l’ex schiavo, divenuto Liberto, acquisiva la
cittadinanza romana. Ciò creò alcune problematiche perché soprattutto nell’epoca a
partire da Augusto in cui vi erano moltissimi schiavi e quindi moltissime
Manumissioni, il problema era che il numero di cittadini cresceva esponenzialmente e
spesso con persone che non erano romane ma che venivano da fuori e magari
serbavano qualche rancore e quindi ciò poteva creare problematiche sociali. Vengono
perciò imposte delle limitazioni alla possibilità di manomettere. In particolare, con la
LEX AELIA SENTIA si stabilisce che lo schiavo che abbia meno di 30 anni non
possa essere manomesso, così come il dominus che abbia meno di 20 anni non possa
effettuare Manumissioni. Vi è dunque una limitazione della possibilità di ricorrere
alla Manumissione.

Quando lo schiavo veniva liberato il Peculium tornava al dominus ma in generale era


a discrezione del dominus se lasciarlo allo schiavo o meno. Durante l’età degli
Antonini, si verificò anche che gli schiavi col proprio Peculium acquistassero la
propria libertà. Ad esempio, se avessero avuto un Peculium di mille sesterzi,
avrebbero dato questo Peculium al dominus in cambio di una Manumissione. Se il
dominus non avesse compiuto la Manumissione, dopo che lo schiavo aveva pagato la
somma richiesta, l’imperatore Marco Aurelio avrebbe riconosciuto a questi schiavi
una parziale capacità processuale: consentì loro di citare in giudizio il dominus
sempre nel caso in cui il dominus non avesse compiuto la Manumissione”

MANUMISSIONI DI DIRITTO PRETORIO:


· MANUMISSIO PER MENSAM:

· MANUMISSIO INTER AMICOS

· MANUMISSIO PER EPISTULAM

MANUMISSIO PER MENSAM:

Un esempio può essere la tavola imbandita ed il padrone, in compagnia dei suoi amici
e preso dai fumi dell’alcool dichiara “voglio liberare questo schiavo”.

Per lungo tempo questa dichiarazione era priva di conseguenza, ma arrivati ad un


certo momento però interviene il pretore, che offre una tutela di tipo indiretta allo
schiavo. Infatti, il pretore interviene non concedendo al dominus l’azione per
rivendicare lo schiavo e quindi non può intentare un processo, una “VINDICATIO IN
SERVITUTEM.

MANUMISSIO INTER AMICOS

È identica alla Manumissio Per Mensam”, con la differenza che non c’è una tavola
imbandita. C’è solo una discussione tra amici in un qualche contesto che non è una
cena.

MANUMISSIO PER EPISTULAM

È una Manumissio scritta in una lettera inviata allo schiavo e laddove il dominus
dovesse pentirsi di quanto dichiarato e dovesse rivolgersi al pretore per esperire la
Vindicatio In Servitutem, si troverebbe di fronte alla DENEGATIO ACTIONI
ovvero, il pretore gli negherebbe l’azione per poter riprendere lo schiavo. In questi
casi lo schiavo non consegue però la cittadinanza romana, ma una cittadinanza di
rango inferiore: la cittadinanza Latina.

In particolare, vi è una legge, la LEX IUNIA NORBANA (risalente probabilmente al


19 d.C.) con la quale viene riconosciuta a questi schiavi liberati la LATINITAS
IUNIANA.
All’ epoca del diritto romano cristiano, cioè dopo l’Imperatore Costantino nasce e si
sviluppa, la MANUMISSIO IN ECCLESIA, cioè lo schiavo poteva essere liberato
attraverso una dichiarazione dinnanzi alla comunità dei fedeli e in particolare
dinnanzi al Vescovo della comunità, tanto è vero che spesso questo tipo di
Manumissione avveniva nel giorno di Pasqua. Questa forma di Manumissio è
successiva all’Editto di Milano del 313 d.C. (che è una data fondamentale per la
storia dell’Occidente).

Il cristianesimo prima non si poteva professare perché il Dio dei cristiani non era
stato inserito nel Pantheon, luogo nel quale sono inseriti tutti gli Dèi. L’Imperatore
Tiberio voleva inserire il Dio dei cristiani, ma i cristiani e gli ebrei non vollero perché
il loro Dio era unico, non poteva trovarsi con altri dei, Quindi, non essendo quel Dio
presente nel Pantheon, quella religione non poteva essere professata, non facendo
parte delle religioni lecite. Con Costantino viene professata e seguita dentro l’impero
romanao Tuttavia, diventa religione lecita ma non religione di Stato, sarà con
Teodosio il Grande che il cristianesimo diverrà religione di Stato.

Chi nasceva a Roma da cittadini romani, da Iuste Nuptiae, aveva la


CITTADINANZA ROMANA che nel mondo antico era un enorme privilegio, perché
significava essere titolari di posizioni giuridiche per quella che era la potenza
mondiale di allora. La cittadinanza romana era il massimo a cui un uomo
dell’antichità potesse ambire, tant’è vero che i romani giocavano con questo elemento
per costruire delle alleanze. Accanto alla cittadinanza Romana (che riconosceva tutti i
diritti possibili) vi era la CITTADINANZA LATINA.

La cittadinanza Latina erano i diritti che Roma riconosceva agli abitanti dell’antico
Lazio, sulla base di un accordo con tutte le principali città del Lazio. L’accordo
prevedeva cinque diritti.

· IUS COMMERCII, cioè se fosse andato a Roma avrebbe potuto compiere atti
di diritto civile con i cittadini romani.

· IUS CONNUBII cioè il diritto di compiere Iuste Nuptiae con i cittadini


romani, ed era fondamentale perché andava ad incidere poi anche sulla
condizione giuridica dei figli. Sino alla “Lex Canuleia” lo Ius Connubi non
esisteva neanche tra patrizi e plebei.

· IUS SUFFRAGII FERENDI cioè il diritto di votare qualora ci si trovi a Roma


in un giorno di elezioni, in un collegio elettorale che veniva estratto a sorte.
· IUS MIGRANDI cioè il diritto di trasferirsi a vivere a Roma e ottenere la
cittadinanza romana.

· IUS NOXE DANDI.

Roma poi ruppe il patto con i latini e cominciò una guerra infinita che poi ricompose
lentamente attraverso progressive concessioni di cittadinanza. Si può dire quindi che
Roma applicava il principio di DIVIDE ET IMPERA in base al quale, di volta in
volta, cercava di dividere i suoi avversari che così non riuscivano mai a coalizzarsi,
attraverso la concessione di diritti e forme di cittadinanza. Tuttavia, intorno al 90 a.C.
si ebbe la guerra sociale nella quale Roma si trovò a combattere contro tutti gli alleati
italici.

Roma vinse anche a seguito di concessioni di cittadinanza, di tipo romano questa


volta. In particolare, ci sono due leggi, la prima è LEX IULIA DE CIVITATE (90
a.C.) che prevedeva la cittadinanza romana per tutti coloro che non si fossero
schierati contro Roma o si fossero ritirati per stipulare un trattato di pace con Roma.
Nell’89 a.C. fu promulgata la LEX PLAUTIA PAPIRIA in base alla quale tutti gli
abitanti della penisola italica potevano far richiesta della cittadinanza romana con una
procedura.

Mentre prima anche le popolazioni non belligeranti con Roma avevano lo status di
Hostis, di nemici, successivamente diventano “Peregrini”, quindi Roma inizia a
riconoscere loro alcuni diritti. Quindi se nella fase arcaica un cittadino straniero si
fosse trovato a Roma, poteva essere soggetto a Captivitas, e quindi a schiavitù.
Successivamente, quando Roma inizia a stipulare dei trattati, comincia a riconoscere
dei diritti, quindi i cittadini stranieri non dovevano temere , andando a Roma, di
essere trasformati in schiavi e valeva il diritto reciproco. Quindi gli Hostis sono solo
le popolazioni con cui Roma sta combattendo, invece i Peregrini sono le altre
popolazioni con cui Roma non ha conflitti in corso ma anzi, con cui magari ha anche
stipulato dei trattati. A questi peregrini vengono riconosciuti due diritti, che sono lo
Ius Commercii e lo Ius Connubii. In alcuni casi veniva anche riconosciuta
TESTAMENTI FACTIO PASSIVA ovvero la possibilità di essere nominati eredi da
un cittadino romano.

Nel 212 d.C. viene introdotta la CONSTITUTIO ANTONIANA, voluta da Antonino


Caracalla e che concede la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero. Lo scopo
principale di questa concessione della cittadinanza (che non ha più il valore che aveva
200 anni prima) è semplicemente quello di individuare nuovi soggetti per pagare le
imposte, le tasse per l’Erarium, in una fase in cui le guerre di conquista terminavano e
quindi anche Roma cominciava a trovarsi in una situazione di crisi economica.
Gaio ci dice che se un cittadino romano avesse perso la cittadinanza, avrebbe subito
una Capitis Deminutio Media.

SOGGETTI IN CONDIZIONE PARASERVILE

I soggetti in condizione paraservile sono soggetti pienamente liberi da un punto di


vista giuridico ma che sono assoggettati ad un potere di fatto di un altro cittadino
romano. Le figure più importanti sono:

· AUCTORATUS, ma ve ne erano pochi.

· ADDICTUS

• REDEMPTOR AB HOSTIBUS, cioè il riscattato dai nemici

• I COLONI; solamente in età più tarda e ve ne erano molti.

• IN MANCIPIO

IN MANCIPIO

Il soggetto In Mancipio è un FILIUS FAMILIAS che viene venduto dal padre ad un


altro cittadino romano. Esiste un antichissimo versetto delle XII tavole che prevede
quanto segue: “qualora il padre abbia venduto per tre volte il proprio figlio, perde la
potestas su questo”. Quindi non si può vendere il figlio per più di due volte, perché la
Potestas si perde alla terza (la figlia invece solo una volta). Durante la fase arcaica in
cui non vi era un grande afflusso di schiavi a Roma, in un certo momento dell’anno
poteva accadere che qualcuno chiedesse la manodopera di un figlio di un altro
cittadino romano, e quindi il figlio di un pater passava in mancipio ad un altro pater.
Dopo il lavoro per un certo periodo, lo manometteva e il figlio tornava ipso iure sotto
la potestà di suo padre. La vendita avveniva sulla base di un accordo e se il cittadino
non avesse voluto restituire il figlio, il Pater avrebbe potuto agire in giudizio.

Se il figlio in mancipio a sua volta concepisce un figlio e diviene padre, questo


soggetto, il neonato, non è in mancipio come suo padre, non segue la condizione di
suo padre, ma è un soggetto su cui la patria potestas è sospesa (proprio perché suo
padre è in mancipio). Se suo padre muore in mancipio, diventa Sui Iuris (dotato di
piena capacità di agire). Se però il soggetto in mancipio che ha avuto un figlio è
ancora sotto la potestas di suo padre, il figlio del soggetto in mancipio ricade sotto la
potestas del nonno. Il soggetto in mancipio non ha capacità di agire e si trova in una
situazione simile a quella dello schiavo.

ADDICTUS
È la figura del debitore insolvente, ma in un determinato frangente, cioè prima della
vendita trans Tiberim. ES. Ci sono due soggetti che hanno stipulato un contratto. Un
soggetto effettua la propria prestazione, l’altro soggetto non effettua la
controprestazione quindi questo risulta debitore. Dopo le intimazioni di pagamento,
questo soggetto continua a non pagare quindi viene citato in giudizio davanti al
pretore, si svolge un processo di cognizione e alla fine di questo processo, il soggetto
debitore viene riconosciuto come debitore. Se il soggetto non paga spontaneamente
entro un termine, può aver luogo la procedura esecutiva, che a Roma è una procedura
personale. Il debitore viene assegnato al creditore. Il creditore deve tenerlo presso di
sé e può portarlo per tre volte al mercato entro 60 giorni e dichiarare il debito
pubblicamente. A quel punto si deve verificare se ci sia qualcuno che possa fare da
garante, cioè un soggetto terzo che paghi il debito per l’Addictus e a quel punto egli
tornerà nella condizione originaria di cittadino romano. Ovviamente deve ripagare chi
ha pagato a sua volta per lui, altrimenti riaccade la stessa situazione e si riapre la
procedura. Se però dopo tre mercati nessuno ha pagato il debito per conto di questo
soggetto, il creditore ha due opzioni, ovvero o ucciderlo ma perderebbe i soldi e non
gli conviene o venderlo come schiavo oltre il Tevere, trans Tiberim e a seconda di
quello che ricaverà dalla vendita potrà rifarsi del suo credito. Trans Tiberim perché il
cittadino romano non può diventare schiavo all’interno di Roma se non in ipotesi
eccezionali.

REDEMPTOR AB HOSTIBUS

È il riscattato dai nemici. In questo caso la fattispecie è il mercante di schiavi romani


che si trova in un mercato fuori da Roma e compra uno schiavo. Se lo porta a Roma
ed emerge che questo schiavo era un cittadino romano succede che scatta il
Postliminium e questo riprende tutti i suoi diritti e torna cittadino libero. La
fattispecie può essere anche un’altra, ovvero un cittadino romano che si trova
all’estero e trova il mercante di schiavi romano. Lo schiavo chiede a questo di essere
comprato per essere portato a Roma, per poi ridare a colui che l’ha comprato i soldi
che ha speso. Il problema è che nel momento in cui scatta il Postliminium il cittadino
non ha alcuna obbligazione verso il mercante, se non una obbligazione naturale.
Quindi nasce la figura del Redemptor Ab Hostibus che è un soggetto che viene tenuto
assoggettato al mercante per tutto il periodo necessario a ripagare con le proprie
opere, cioè con il proprio lavoro, per i soldi che ha versato. Tuttavia, questi mercanti
erano soggetti senza scrupoli e tenevano questi soggetti per sé per tempi maggiori e
intervengono quindi delle leggi. Per evitare abusi si stabilisce il periodo massimo di
tempo in cui un cittadino romano può trovarsi in questa condizione, che deve essere
al massimo di cinque anni. E non può essere adibito a svolgere attività contrarie al
buon costume (ad esempio la prostituzione o i giochi gladiatori)

ACUTORATUS
È un soggetto che attraverso un giuramento che si chiama AUCTURAMENTUM si
auto assoggetta ad un altro soggetto per svolgere alcune attività, ed in particolare ai
giochi gladiatori. In questo caso il cittadino romano si assoggetta nei confronti di un
Lanista, cioè un impresario che organizza giochi gladiatori. I giochi gladiatori a
Roma avevano un’importanza enorme ma allo stesso tempo, l’assoggettarsi
all’espletamento dei giochi gladiatori era qualcosa di indegno perché si percepivano
dei soldi a fronte dell’esibizione del proprio corpo.

L’Auctoratus era quindi un cittadino romano libero, magari un ex soldato caduto in


disgrazia che sapeva solo combattere e non sapeva fare altro, che si assoggettava
compiendo il giuramento, pronunciando precise parole: giurava di combattere, di
farsi uccidere, massacrare e di farsi bruciare vivo qualora il Lanista lo avesse
richiesto. Quindi si trovava in condizione para-servile. Da una parte quindi il
gladiatore è in una condizione paraservile, ma essendo gladiatore, era un soggetto
molto famoso e molto ricco, perché c’era la gara per andare a vedere i giochi
gladiatori. Insieme a questi gladiatori, c’erano anche i gladiatori schiavi. Se questo
soggetto non fosse morto nei giochi gladiatori sarebbe potuto tornare in una
condizione di libertà attraverso una Manumissione, esattamente come gli schiavi. In
questo caso però veniva consegnata al gladiatore una spada di legno la Rudis, come
simbolo di libertà . Nel momento in cui il lanista avesse consegnato la spada di legno
all’Auctoratus, questo riacquisiva tutti i suoi diritti di cittadino romano e libero.

06/10/2020

Rispetto alle precedenti figure analizzate, i COLONI sono figure ricorrenti quasi di
massa. Etimologicamente parlando il termine “colono” deriva dal verbo latino
“COLERE” (coltivare). I Coloni quindi sono coloro che coltivano la terra.

Non è certa l'effettiva origine di questa figura, tuttavia la si può ricondurre ad una
prassi risalente precisamente all'imperatore Augusto: coloro che erano proprietari di
appezzamenti di terreno iniziavano, proprio sotto l'imperatore Augusto, a inserire nel
CATASTO (il registro in cui venivano indicate le proprietà immobiliari di ogni
cittadino romano) il nome dell'individuo che coltivava questo terreno. Da ciò si
evince che comincia a nascere un legame che non è tra due persone ma è tra una
persona e la cosa, ovvero l'appezzamento di terreno a cui veniva collegato il nome di
colui che lo coltiva.

Tuttavia, in una prima fase molto probabilmente questi coloni erano soggetti che
avevano in affitto questo terreno, cioè pagavano un canone mensile o secondo la
cadenza temporale fissata nel contratto e coltivavano la terra, a cui spesso veniva
aggiunta anche la prestazione di giornate lavorative a favore del proprietario del
fondo. Inoltre, spesso, erano tenuti a versare al dominus del fondo una parte del
raccolto. Fino a questa fase i coloni restano uomini pienamente liberi ma comunque
legati alla terra e non avevano limitazioni di capacità.

Le cose iniziano a cambiare nel secondo terzo secolo d.C. quando finiscono le guerre
di conquista, la quale comporta la scarsa affluenza di schiavi a Roma, dunque
diminuisce l’affluenza di soggetti che “per natura” ed erano adibita a lavorare la terra
o comunque questo tipo di mansione. Di conseguenza, la figura del colono cambia,
difatti non sono più i coloni i soggetti che avevano preso in affitto il campo, ma
diventano legati inscindibilmente al campo stesso, diventano quindi “SERVI
DELLA TERRA”. Si può dire che il colono, a partire dal IV secolo, è all'origine
della figura della servitù della gleba ed è una condizione che impone molteplici
limitazioni, in quanto vi era la necessità che il colono non cambiasse mestiere e il
vincolo che all’inizio non implicava limitazioni di capacità finisce per diventare
inscindibile: il colono e la sua famiglia non potevano più lasciare la terra, erano
costretti a vivere per sempre su quell’appezzamento di terra e lavorarlo, così anche i
figli dei coloni. Erano previste anche una serie di limitazioni matrimoniali proprio per
evitare che i coloni, dopo il matrimonio, abbandonassero la terra e andassero a vivere
in città o si dedicassero ad altre attività, tant’è che si arriverà all'età di Giustiniano
durante il quale verrà stabilito che i coloni possono sposarsi solo tra loro.

Nonostante ciò, i coloni da un punto di vista teorico restano soggetti liberi, infatti la
loro è una limitazione nella libertà di movimento però potevano stipulare dei contratti
ed erano strettamente legati al fondo. Infatti, se il dominus avesse venduto il fondo
insieme ad esso vendeva il colono ed è per questo che si crea questo vincolo
inscindibile tra il colono e la terra. Egli diventa il soggetto che perennemente e che
per generazioni deve coltivare quello appezzamento di terra.

In epoca tarda il dominus potrà esercitare sul colono lo IUS CORRIGENDI ovvero
il diritto del dominus di picchiare il colono qualora egli non si attenga agli accordi
stabiliti in termini di concessione di giornate lavorative e di conferimento di beni in
natura al dominus. In sostanza siamo all'origine della società feudale e il colono
rappresenta il passaggio tra il modo di produzione schiavistico e il modo di
produzione feudale che invece caratterizzerà il medioevo. È opportuno sottolineare
che il colono era libero, ma le sue capacità giuridiche e di agire erano estremamente
limitate, egli per esempio non poteva citare in giudizio il dominus (con cui aveva un
rapporto di soggezione anche personale) del fondo che coltivava.

Il colono aveva il diritto di possedere un peculio, un patrimonio proprio, essendo un


cittadino libero, però non poteva acquistare la propria libertà proprio perché non era
schiavo, quindi non poteva svincolarsi comprando la propria libertà o il territorio del
dominus. Inoltre, aveva la cittadinanza romana però per esempio non poteva recarsi a
Roma per andare a votare, quindi aveva una cittadinanza che serviva soltanto da
mezzo per fargli pagare le imposte.

Qualora la discendenza del colono terminasse il terreno sarebbe tornato al dominus,


in quanto da un punto di vista proprietario, il dominus resta proprietario del terreno
mentre il colono coltiva soltanto il terreno e nel caso invece di fine della discendenza
del dominus il terreno finisce in capo ai successori e in ultima istanza, se proprio non
dovesse esserci nessuno, finisce allo Stato che deciderà cosa fare se venderlo con i
coloni o se tenerlo e lasciare i coloni a coltivarlo. Difatti il colono non può usucapire
il terreno perché per usucapirlo ci vuole il possesso, il che implica il cosiddetto
ANIMUS POSSIDENDI ovvero la convinzione che ha colui che sta utilizzando quel
bene, di esserne proprietario, e in questo caso non ha la convinzione perché sa di
essere colono. Tant'è che ci sono degli atti che lo provano e quindi lui non possiede,
ma lo detiene. In aggiunta, se il dominus avesse lasciato nel testamento ai coloni il
terreno, la terra non sarebbe andata al colono proprio perché egli su quella terra
poteva stare solo in qualità di coltivatore e quindi sarebbero entrate in successione
altre figure.

Coloni si nasce, quindi tutti i figli dei coloni sono coloni, tuttavia a partire dal III/IV
Secolo si può divenire colori per ASSEGNAZIONE FORZOSA, ovvero un
provvedimento dello Stato nel quale si prendono gruppi di persone, generalmente
mendicanti o gente senza fissa dimora, e vengono assegnati a terre di confine in modo
tale che anche le terre al confine con i nemici, ovvero le più pericolose perché a
rischio di invasioni, siano coltivate. In questo modo l’Impero Romano costruiva
anche delle zone cuscinetto attuando una strategia difensiva.

COME CI SI LIBERA DALLA CONDIZIONE DI COLONO?

Sono ipotesi assai rare:

• È la più rara di tutte ed è quella in cui il dominus del fondo cancella dal
registro del catasto il nome del colono.

• Si ha quando il colono o il figlio di un colono vuole intraprendere la carriera


monastica, ma in questo caso occorre un'autorizzazione del dominus del fondo.
Invece, qualora il colono si prestasse al servizio militare, vi si recava sempre
nella condizione di colono e infatti, al termine del servizio, egli tornava su quel
campo.

• Si ha quando il colono vuole intraprendere la carriera sacerdotale, che a


differenza di quella monastica, è una carriera di tipo ecclesiastico. Se il colono
fosse divenuto direttamente vescovo non avrebbe avuto più bisogno
dell’autorizzazione del dominus del fondo, perché la posizione di vescovo è
una posizione di particolare prestigio sociale.

LIBERTINI

Gaio dichiara che la condizione di uomini di liberi si divide in:

• INGENII
• LIBERTINI

Un altro giurista, Ulpiano sostiene che gli uomini si distinguono in Tria categorie:

• LIBERI

• LIBERTINI

• SCHIAVI

Nella classificazione di UIpiano, la categoria dei Libertini è a sé stante rispetto a


quella dei Liberi, il che implica che, nella prospettiva di questo giurista, i Libertini
non erano in tutto e per tutto equiparabili ai Liberi. Molti giuristi romani erano divisi
a causa della natura di questa categoria dei Libertini. Quando i giuristi romani
discutono o comunque avevano un dibattito, si utilizza l’espressione IUS
CONTROVERSUM. Questa differenza di prospettive tra due Giuristi è in qualche
modo indicativa del fatto che i Libertini avessero delle limitazioni e non avessero
tutte le facoltà degli uomini liberi. Le limitazioni che vincolano i libertini sono varie
ma di poco conto:

• Vi è una limitazione di tipo matrimoniale. Infatti, i Libertini non potevano sposare


donne di rango senatorio o di rango equestre. Questa limitazione è risalente
probabilmente ad Augusto perché in effetti Augusto introdusse tutta una serie di
previsioni anche sulle manomissioni con lo scopo proprio di limitare
l’accrescimento del numero dei Liberti all'interno di Roma.

• Il Libertino ha dei vincoli di ordine morale e sociale verso il dominus che l’ha
manomesso. Questi vincoli vengono definiti OBSEQUIUM. Quindi i coloni sono
tenuti all’ossequio verso il dominus che potevano essere ad esempio il dovere della
SALUTATIO nella quale il Liberto doveva quotidianamente recarsi a fare visita al
dominus per portargli i saluti, attività svolta anche dai CLIENTES (difatti tutti
Liberti erano Clientes)

• Il Liberto non poteva citare mai in giudizio il suo dominus (o meglio dire
PATRONUS, perché il vecchio dominus dopo che ha manomesso, diventa
patronus) e in particolare non poteva esercitare due ECCEZIONI
PROCESSUALI. L’eccezione processuale è un’affermazione del convenuto
ovvero colui che è stato citato in giudizio ed è un'affermazione che ha l'obiettivo di
introdurre un ulteriore elemento di valutazione per il giudice, al fine di emettere
una sentenza favorevole al convenuto: la prima eccezione è la EXCEPTIO QUOD
METUS CAUSA che è l'eccezione di violenza ovvero un vizio della volontà, ad
esempio la stipulazione di un contratto sotto minaccia. In un’ipotesi analoga, il
liberto non poteva sollevare questa eccezione nei confronti del dominus, ma poteva
sollevarla nei confronti di tutto il resto del mondo meno che al dominus appunto,
proprio a causa di questi rapporti di riconoscenza che gli doveva. La seconda
eccezione era la EXCEPTIO DOLI nella quale il DOLO che in materia
civilistica, è un raggiro mentre generalmente in diritto penale è un atto di volontà
che si contrappone alla colpa (che a sua volta discende da negligenza o imperizia o
imprudenza) è quindi un raggiro, e si ha quando una persona è stata convinta a
concludere un atto giuridico ma vi è un inganno da parte di una delle parti nei
confronti dell'altra. Una delle due parti ha concluso un contratto sulla base di una
falsa rappresentazione della realtà che ha indotto la parte a prestare il proprio
consenso. In questo caso sostanzialmente il liberto non poteva addurre in giudizio
di essere stato ingannato dal suo dominus, di essere stato raggirato dal suo dominus

• L’ERRORE che è semplicemente una falsa rappresentazione della realtà che non
dipende da raggiro.

Queste eccezioni processuali e in generale la limitazione dei diritti si verificavano


solo nei confronti del dominus.

Il dominus era portato a citare in giudizio il proprio liberto, in quanto questi poteva
avere rapporti negoziali e divenire imprenditore. Spesso i liberti si arricchivano a tal
punto da ricoprire cariche lavorative importanti, come i banchieri.

Altre limitazioni erano in materia di diritto successorio. Infatti, ove il Libertus non
avesse fatto testamento l'eredità di quest’ultimo non andava ai figli ma al dominus,
differentemente da quanto avveniva per gli Ingenuii, la cui eredità andava ai propri
figli. All'inizio per il Liberto era anche complicato fare testamento, ma a partire dal II
secolo a.C. i Liberti otterranno il diritto di fare testamento.

Qualora il Libertus avesse compiuto delle “iniurie”, ovvero delle offese nei confronti
del dominus, poteva incorrere in gravissime sanzioni. Addirittura, l'imperatore
Claudio stabilì che se l’iniura fosse particolarmente grave si sarebbe potuto dar luogo
alla REVOCATIO IN SERVITUTEM, cioè il libero poteva tornare a essere
schiavo. Tuttavia, questa previsione dell'imperatore Claudio non sarà praticamente
mai applicata e quindi cadrà in desuetudine.

Ci sono, inoltre due istituti attraverso i quali il Liberto acquista la condizione di


ingenuo:

• RESTITUTIO NATALIUM, un provvedimento dell'imperatore che, a fronte


di un Liberto particolarmente meritevole o che si era particolarmente distinto,
poteva emanare un provvedimento con il quale rendeva il Liberto un Ingenuo e
quindi decadevano tutte le limitazioni. Si può quindi considerare una Fictio
Iuris, perché il soggetto viene portato in una condizione nella quale non si è
mai trovato. Molto probabilmente si deve questo provvedimento all'influenza
dello stoicismo perché la restituzione dei Natali rinvia a un'idea di uguaglianza
naturale di tutti gli uomini che era un'idea forte dello stoicismo. Il nuovo
ingenuo ex Liberto ed ex schiavo può anche accedere al Rango senatorio e può
diventare appunto Senatore, in quanto non ha più alcun tipo di limitazione.
• IUS ANULORUM ove “anello” era il simbolo che individuava la classe dei
Cavalieri o degli Equites e quindi consisteva nell’azione dell’imperatore che
trasformava il Liberto in un cavaliere e quindi in un ingenuo. La differenza tra
le istituzioni Natalium e Anulorum sta nel fatto che in un caso veniva iscritto al
ceto senatorio nell'altra invece nel rango equestre. Il ceto senatorio era più
importante rispetto a quello equestre.

IL DIRITTO DI FAMIGLIA: LO STATUS FAMILIAE

Gaio nella sua Summa Divisio divide

LIBERI : SCHIAVI

Libertini

Ingenuii

I liberi in generale tanto i Libertini quanto gli ingenui si distinguono in soggetti

• SUI IURIS ovvero soggetti di diritto proprio, hanno la pienezza della capacità
giuridica e della capacità di agire.

• ALIENI IURIS ovvero soggetti di diritto altrui; individui soggetti al potere di altre
persone, ad un potere familiare.

Questa ALIA DIVISIO elaborata da Gaio introduce il tema del diritto di famiglia: lo
STATUS FAMILIAE.

La famiglia romana si fonda su un vincolo di carattere giuridico non su un vincolo di


carattere di sangue (COGNATIO). Il vincolo di carattere giuridico prende il nome di
ADGNATIO ed è quindi il vincolo che lega tutte le persone che sono assoggettati
alla stessa patria potestas quindi a un unico pater oppure tutte le persone che
sarebbero state sottoposte alla medesima potestas se il Pater non fosse morto. Questa
nozione dà luogo alla cosiddetta FAMILIA COMMUNI IURE, ovvero la famiglia
di diritto comune, che comprende quindi non solo le persone assoggettate alla patria
potestas ma anche coloro che sarebbero assoggettati alla patria potestas se non fosse
morto. Da questa si distingue la FAMILIA IURE PROPRIO che è invece il ristretto
nucleo familiare, la famiglia mononucleare, ovvero il padre con i suoi figli. Quindi se
muore quel Pater resta la Famiglia Communi Iure tra i fratelli ma non quella Iure
Proprio.
A Roma gli unici soggetti Sui Iuris sono i Patrer Familias, mentre i soggetti Alieni
Iuris invece sono i soggetti sottoposti ai Pater e quindi sono soggetti sottoposti a un
potere che è quello della patria potestas. Questi soggetti sottoposti alla Patria Potestas
possono essere soggetti IN MANCIPIO o possono essere soggetti IN MANU. Inoltre,
i soggetti Sui Iuris, che sono gli unici a Roma che hanno piena capacità giuridica e
piena capacità di agire, a loro volta possono essere dotati di piena capacità di agire o
di parziale capacità di agire nel caso in cui abbiano delle difficoltà ad esempio da un
punto di vista mentale oppure nel caso in cui abbiano un’età inferiore ai 25 anni.

07/10/2020

Gaio, dopo aver sottolineato una Summa Divisio tra liberi e schiavi, sostiene che
esista comunque una ALIA DIVISIO che attiene ai liberi, sia ingenui che libertini

L'insieme “ingenui e libertini” dà luogo ad ulteriore classificazione tra SUI IURIS e


ALIENI IURIS

I soggetti Sui Iuris sono gli unici soggetti che hanno la pienezza della capacità
giuridica e della capacità di agire. I soggetti Alieni Iuris invece sono soggetti liberi
ma che hanno un potere di tipo familiare su di loro.

Il potere di tipo familiare che può esistere sul capo di questi soggetti Alieni Iuris può
essere di tre tipi:

• POTESTAS
• MANUS
• MANCIPIUM
Molto probabilmente questi tre poteri erano articolazioni interne della Potestas

Un soggetto che da Sui Iuris diviene Alieni Iuris subisce una CAPITIS DEMINUTIO
MINIMA

Gli studiosi moderni di diritto romano chiamano ciò la TEORIA DEGLI STATUS:

•STATUS LIBERTATIS

•STATUS CIVITATIS

•STATUS FAMILIAE

Ad ognuno di questi stati corrisponde una Capitis Deminutio ovvero:


•CAPITIS DEMINUTIO MAXIMA: corrisponde alla perdita della libertà (libero
che diviene schiavo) che attiene allo Status Libertatis.

•CAPITIS DEMINUTIO MEDIA: corrisponde alla perdita della cittadinanza


romana (attiene allo Status Civitatis), quindi un cittadino romano che perde la
cittadinanza romana e diviene o latino o peregrino o peggio ancora HOMO
NULLIUS CIVITATIS cioè una persona che non aveva nessuna cittadinanza.

•CAPITIS DEMINUTIO MINIMA: è un peggioramento dello status, della propria


condizione giuridica, rispetto ai rapporti familiari (attiene allo Status Familiae).
Quindi un soggetto che da Sui Iuris diventa Alieni Iuris.

Anche se parliamo di tre poteri (Potestas, Manus, Mancipium) si trattano


dell'articolazione di un unico potere, quello della potestas, che è il più ampio.

La Potestas si rivolge a tutti i figli.

La Manus si rivolge esclusivamente alla moglie che si sposa CUM MANU. A


seconda che il matrimonio avvenga Cum Manu” o Sine Manu” la moglie entra a far
parte della famiglia del marito e costituisce rapporti giuridici di tipo familiare con i
figli.

Il Mancipium è quel potere che si ha sul figlio che è stato venduto. Quando il padre
vende il proprio figlio ad un altro Pater Familias, il figlio diventa soggetto in
Mancipio.

La famiglia romana si caratterizza perché il vincolo che lega tutti i componenti è di


natura giuridica e non di sangue. Ad esempio: se la moglie non compie la manus,
quindi non si sposa compiendo questo ulteriore atto di sottomissione, il matrimonio
resta perfettamente valido, ma la moglie è una Sui Iuris, che avrà una propria
famiglia e una propria discendenza (che è quella che le deriva dal padre).

Se la moglie si sposa Sine Manu non ha alcun rapporto giuridico con i figli.

Tutti gli individui che sono assoggettati alla potestas di uno stesso Sui Iuris, sono
legati dal vincolo di agnazione, l’ADGNATIO, che appunto è il vincolo giuridico
che caratterizza la famiglia romana.

L'Adgnatio è quel rapporto che lega tra loro, tutti coloro che sono sottoposti ad
un’unica patria potestas, quindi che sono sottoposti ad un unico pater, o coloro che
sarebbero stati sottoposti ad un unico pater se questi non fosse morto. Se muore un
pater, i tre figli diventano a loro volta tre pater, quindi diventano soggetti Sui Iuris e
questo vale anche per la donna che diventa Sui Iuris.

Ad esempio, una donna Sui Iuris sposa un Pater Familias. Se si sposa Cum Manu
entra a far parte della famiglia del marito in condizione di figlia, in condizione
LOCO FILIAE, quindi nella posizione di figlia. Rispetto ai figli la madre si troverà
in posizione di sorella.
La famiglia romana nasce dal matrimonio, dalle Iuste Nuptiae tra due soggetti Sui
Iuris cittadini o da soggetti che abbiano comunque lo Ius Connubii. Questo primo
nucleo configurava la FAMILIA PROPRIO IURE. Questo secondo nucleo
rappresenta la FAMILIA COMMUNI IURE.

La manus e il matrimonio sono due istituti giuridici distinti, tant'è vero che ci può
essere un matrimonio senza manus. La donna che si sposa può decidere se compiere
la manus o no. Anche senza manus restano “Iustae Nuptiae” se sono cittadini romani
o se entrambi hanno reciprocamente lo ius Connubii. Se il marito dovesse morire, la
donna diventa Sui Iuris, ma verso i figli resta sempre in condizione di sorella.

Secondo Gaio questo diritto di famiglia è IUS CIVILE ovvero un diritto proprio ed
esclusivo dei cittadini romani.

Un giurista italiano, Pietro Bonfante, sosteneva che la famiglia romana avesse una
natura principalmente politica. Persegue gli obiettivi propri di uno Stato. Bonfante
pensava che la famiglia romana fosse il nucleo primordiale dello Stato. Cioè diceva
che vi è dà una parte la FAMILIA, più Familiae costituiscono una gens , più Gentes
insieme si uniscono e costituiscono il Popolus Romanus, quindi Roma, lo Stato
romano.

In una fase primordiale, quando Roma, ancora non si era formata in tutta la sua forza
e in tutta la sua consistenza, la presenza di queste Gentes era talmente forte che
contrastava, o quanto meno limitava la nascita dello Stato.

Caio Giulio Cesare ad esempio: Giulio era il nome della Gens Iulia, ovvero una Gens
antichissima dalla quale era nata quella importante famiglia, che aveva dato a Roma
Consoli, Pretori e altri importanti esponenti delle classi dirigenti.

Pietro Bonfante porta diversi argomenti a sostegno della sua tesi sulla natura politica
della famiglia romana. Individua cinque elementi che sono in grado di dimostrare a
suo avviso come la famiglia romana avesse una natura politica.

• Il potere del Pater Familias ricorda esattamente il potere di un capo di Stato.


Cioè a dire, la patria potestas, tanto più in una fase arcaica, non è distinguibile
dal potere di un sovrano anche perché il pater aveva diritto di vita e di morte
sui figli.

• Nella famiglia romana si entra e si esce attraverso congegni giuridici che sono
simili ai modi attraverso cui si entra a far parte di uno Stato, o vi si esce. Si
entra a far parte della famiglia romana attraverso una serie di regole e si esce
soltanto a seguito della commissione di alcuni atti particolarmente gravi.
Inoltre, un soggetto può appartenere esclusivamente ad una sola famiglia, non
a più famiglie, esattamente come si può avere la cittadinanza di un solo Stato.

• Ogni famiglia ha un proprio culto religioso, i Lari e i Penati.


• Attraverso la successione testamentaria si individuava l'erede e quindi il nuovo
capo della famiglia.

Secondo Bonfante quindi il testamento, oltre allo scopo di trasferire i beni,


persegue anche il fine di individuare il nuovo capo. Questa argomentazione
non funziona innanzitutto perché noi non sappiamo se nasce prima la
successione con il testamento (quella nella quale si individuano i singoli eredi)
o la successione senza testamento, cioè quella prevista in astratto dalla legge.
Quindi se il padre non fa testamento e tutti i figli succedono in egual misura al
padre, non possono essere tutti capi famiglia. Inoltre, sappiamo che col
testamento si potevano istituire più eredi, e quindi questo elemento
dell'individuazione dell'erede testamentario come nuovo capo della famiglia
non funziona.

• Ogni famiglia aveva un tribunale domestico, cioè il luogo dove il Pater Familias
dirimeva, scioglieva, i litigi e le controversie tra gli appartenenti alla famiglia.
Tuttavia, il tribunale domestico poteva rientrare nel primo tipo di argomento, cioè
quello per il quale fondamentalmente il pater è come un sovrano.

POTERI DEL PATER FAMILIAS

Il pater Familias è l'unico soggetto titolare di piena capacità giuridica e di piena


capacità di agire. I figli, cioè i soggetti alieni iuris, hanno una piena capacità di diritto
pubblico ma una limitatissima capacità di diritto privato, anzi hanno una capacità
patrimoniale quasi simile a quella degli schiavi.

I poteri del Pater Familias:

• IUS VITAE AC NECIS, ovvero il potere di vita e di morte sui figli. È un


potere che si incontra molto in età arcaica, ma è un potere che viene
progressivamente attenuato, fino a trasformarsi in IUS CORRIGENDI che è il
diritto di educare i propri figli anche con manieri forti.

• IUS VENDENDI, ovvero il padre poteva vendere il proprio figlio. Quando il


padre vendeva il proprio figlio, questo era in condizione di mancipio. Per
liberarsi dalla Mancipio occorreva una Manumissione. A seguito della
Manumissione da parte di colui che aveva il soggetto in mancipio, il figlio
tornava sotto la potestà del pater, fino alla terza volta. Alla terza volta, in virtù
del limite previsto dalle XII tavole, la Potestas si estingueva. L' emancipazione
è la conseguenza dell'abuso dello Ius Vendendi. La potestas dopo la terza
vendita era estinta. Anche lo Ius Vendendi poi fu limitato, all'epoca di
Giustiniano ad esempio, il figlio poteva essere venduto solo da genitori in
condizioni di indigenza, che non avevano altro modo per sopravvivere.

• IUS NOXAE DANDI ovvero il figlio autore di un delitto (non un crimine),


poteva essere consegnato al soggetto danneggiato, così il padre poteva evitare
di pagare e di risarcire il danno. In questo caso il figlio va sotto la patria
potestà di quest’ultimo.

• IUS EXPONENDI, ovvero il diritto di esporre il figlio, ovvero il diritto di non


riconoscere il figlio. Cioè nell’ipotesi in cui nasceva un figlio, il padre poteva
decidere per una qualsiasi ragione, di non riconoscerlo e quindi lo esponeva, lo
metteva al pubblico. Ciò significa che poteva essere acquistata la paternità su
questo figlio da parte di qualsiasi soggetto sui iuris. Generalmente si
esponevano i Monstra o i Prodigia, cioè i neonati nati con gravi malformazioni.

L'atto opposto allo Ius Exponendi, cioè l'atto con il quale il pater riconosceva il figlio
nella propria famiglia era il TOLLERE LIBEROS. La dottrina è divisa perché non
tutti ritengono che questa fosse la procedura per riconoscere il figlio, ma molte fonti
lasciano intendere in questa direzione.

Il Tollere Liberos era il sollevamento del figlio. Appena nato il figlio veniva sollevato
in alto dal padre e con questo atto formale nasceva la potestà del pater sul figlio. Si
trattava di un atto che ebbe delle conseguenze enormi nel diritto romano.

L’imperatore Augusto, per concedere uno dei tanti privilegi ai soldati, elaborò il
TOLLERO LIBEROS RETROATTIVO che troviamo nei diplomi militari. Il diploma
militare è la HONESTA MISSIO cioè il congedo che veniva vergato a favore dei
soldati, perché avevano svolto adeguatamente le loro mansioni. Augusto riconosce ai
soldati la possibilità di inserire una formula scritta, un Tollere Liberos, perché magari
poteva accadere che un soldato fosse stato per venti anni a combattere in guerra e nel
frattempo avesse concepito dei figli lì, che potevano anche essere figli nati da
Iniustae Nuptiae, perché non è detto che l'accoppiamento fosse avvenuto con
qualcuno dotato di ius Connubii. Il soldato, nel suo congedo, poteva conoscere
retroattivamente questi figli nati in un momento nel quale non poteva sorgere la
potestas perché non vi erano Iustae Nuptiae. Quindi molto probabilmente, il Tollere
Liberos era l'atto formale con il quale nasceva la potestas. Inoltre, ai veterani fu
riconosciuto anche il diritto di riconoscere la compagna con cui avevano concepito
questo figlio. Il riconoscimento era retroattivo per i figli, per la moglie no. Il figlio
prendeva lo status del pater.

ALIENI IURIS

Da un punto di vista del diritto privato, sono considerati, in tutto e per tutto, soggetti
privi di capacità patrimoniale. Tutto quello che acquista il figlio si produce IPSO
IURE in capo al padre”, in virtù di un meccanismo di RAPPRESENTANZA
DIRETTA. Quindi non possono stipulare contratti, non possono fare donazioni, non
possono manomettere schiavi.
Il figlio non può deteriorare la condizione patrimoniale del pater. Ciò vuol dire che,
qualora il figlio contragga un debito, il padre può essere tenuto a risponderne solo nei
limiti del peculio.

Se il figlio contrae un debito, il creditore potrà agire nei confronti del padre nei limiti
del peculio, con l'Actio De Peculio. Il figlio sul peculio ha una administratio, non una
proprietà. Il peculio del figlio è costituito da regali che gli fa il padre, da beni
guadagni che ha autoprodotto e così via.

In età di Augusto, al fine di andare in contro alle esigenze dei soldati, viene istituito il
PECULIUM CASTRENSE cioè il peculio dei figli di famiglia soldati, che hanno
combattuto per difendere l'urbe. Su questo peculio il figlio ha una sorta di diritto di
proprietà.

12/10/2020

I Fili Familias sono soggetti Alieni Iuris, ovvero soggetti sui quali grava un potere di
tipo familiare e che non hanno capacità giuridica e capacità di agire, quindi hanno
sostanzialmente una posizione analoga a quella dello schiavo. Tuttavia, il figlio di
famiglia ha nel diritto pubblico i pieni diritti, ha una soggettività piena. Tant’è vero
che può ad esempio accedere al CURSUS HONORUM e diventare addirittura
console nonostante in ambito privato sia comunque un soggetto Alieni Iuris. Di
conseguenza la Patria Potestas che grava su questi soggetti, diventa nulla ove il
console deve prendere decisione per il bene del Populus Romanus, mentre il padre
deciderà per quanto concerne la famiglia.

Nonostante il padre possa vendere un proprio figlio, il furto di quest’ultimo è


considerato comunque un reato, mentre qualora sia il figlio ad arrecare danno ad un
terzo, viene punito alla pari di uno schiavo. Dunque, la condizione del figlio è alla
pari di quella di uno schiavo, con la differenza che alla morte del Pater Familias il
figlio diventa soggetto Sui Iuris.

Come lo schiavo, il figlio non può deteriorare la condizione del padre e qualora egli
sia soggetto a obbligazione, a rispondere sarà il padre nei limiti del Peculio del figlio,
sul quale questi aveva una semplice Administratio e non ne aveva dunque un potere
patrimoniale. È opportuno sottolineare che probabilmente, anche se non attestato
dalle fonti con certezza, dal punto di vista giuridico i Fili Familias venivano giudicati
alla pari di uno schiavo.

Con Augusto viene istituito il PECULIUM CASTRENSE (dal latino castrum,


accampamento militare) per i soldati nell’ambito militare, in quanto l’esercito era
formato per lo più dai Fili Familias: il Peculium Castrense erano i beni che il soldato
accumulava dopo e durante le vicende belliche concedendo una parvenza di
autonomia patrimoniale, tanto che il Peculium castrense può essere oggetto di
testamento. I beni conseguiti dopo il servizio militare possono essere beni anche
ottenuti al di fuori del servizio stesso. (es. un soggetto che regala un bene al soldato).

Con l’imperatore Augusto le cose iniziano a cambiare, in riguardo soprattutto ai


militari. Siccome spesso le truppe erano composte da soggetti di famiglia, cioè figli
sottoposti ad un pater, Augusto creò l’istituto del Peculium Castrense, cioè quel
patrimonio di beni acquisiti durante e a causa del servizio militare ( soldi, prede
belliche…). Il Peculium Castrense è l’inizio di un riconoscimento giuridico per il
figlio, che con quei beni può fare testamento, cosa molto importante perché per un
soldato le probabilità di morte erano elevatissime. La gamma di beni rientranti nel
peculium castrense viene progressivamente estesa, andando a comprendere anche
donazioni effettuate come ringraziamento per il servizio militare svolto. Se nel
peculium castrense vi fosse stato uno schiavo, e il figlio avesse voluto manometterlo,
lo schiavo diveniva liberto, ma il rapporto di patronato almeno in una prima fase non
sorgeva tra l’ex schiavo ed il soggetto che lo aveva manomesso, ma tra l’ex schiavo e
il padre del soggetto che lo aveva manomesso. Se nell’ambito del Peculium Castrense
vi era uno schiavo e il Filius Familias decida di manometterlo, questi diventava
liberto, in quanto oggetto del Peculium castrense, ma il rapporto di Patronato nasceva
non con il figlio ma con il padre di questi.
Inoltre, nel caso in cui il soggetto non inseriva il Peculium Castrense nel testamento,
questo andava al padre ma non per eredità di successione, ovvero Iure Successionis,
ma per Iure Peculii: in caso di eredità oberata, il padre sarebbe stato responsabile dei
debiti del figlio solo nei limiti del peculio, in quanto l’eredità era comprensiva dei
debiti.
Tuttavia, per evitare tale situazione il padre poteva eseguire un’accettazione con
beneficio di inventario, ovvero la stipulazione di tutti i debiti e delle effettive
proprietà presenti nell’eredità e solo dopo la sua valutazione effettiva accettare o
meno l’eredità.
L’istituzione del Peculium Castrense apportò delle modifiche al rapporto dal punto di
vista patrimoniale tra padre e figlio, tant’è che con il tempo tale Peculium fu esteso
ad altre figure, in particolare Costantino lo estese ai Palatini, agli avvocati del prefetto
del pretorio e dell’urbe, mentre i successori di Costantino lo estendono a tutti i
funzionari statali e ai dignitari della carriera ecclesiastica e comprendeva non solo i
beni ottenuti nell’ambito lavorativo ma tutti i beni acquistati dal soggetto, prendendo
il nome di Peculium Quasi Castrense (Quasi sta per “come se”). In questo stesso
periodo, in caso di Manumissione di uno schiavo, il rapporto di patronato sarebbe
sorto tra il Filius e l’ex schiavo, non più tra il padre e l’ex schiavo.

I MODI ATTRAVERSO CUI SI COSTITUISCE LA PATRIA POTESTAS

Fili Familias si nasce o si diventa.


Nel primo caso il figlio che nasce da Iuste Nuptiae cade sotto la patria potestas del
padre e anche gli eventuali figli del Filius Familias sono sotto la potestà del nonno
fino alla sua morte.

Tuttavia, ci sono dei modi artificiali per acquisire la patria potestas:

• Adrogatio= modo attraverso cui un pater familias diventa filius di un altro pater
familias, in questo caso si ha una capitis deminuxio minima. Ma perché un soggetto
sui iuris dovrebbe decidere di assoggettarsi ? Fondamentalmente per ragioni di
successioni e testimoniali. L’Adrogatio si svolgeva davanti ai comizi curiati,
presieduti dal pontefice massimo ( che all’inizio erano giuristi ), avveniva che il
soggetto arrogato ( quello che diveniva alieni iuris, cioè quello che si assoggettava )
ed il soggetto arrogante rivolgevano al pontefice massimo l’istanza se il popolo
fosse favorevole alla costituzione della nuova famiglia. A questo punto da soggetto
su iuris diveniva soggetto alieni iuris. Il pontefice deve ancora compiere
un’operazione, dato che una famiglia si estingue, chiamata Detestatio Sacrorum.
Tutto il patrimonio della famiglia adrogata, passa sotto la potestas del padre
adrogans, ma non sappiamo riguardo ai debiti. Con l’adrogatio si compiva quella
che è chiamata Successio Inter Vivos.
· ADOPTIO, che implica il passaggio di un soggetto Alieni Iuris da un pater ad
un secondo pater, con la dovuta procedura per estinguere la patria potestas del
primo pater familias, dato che a Roma la Patria Potestas non poteva essere
eliminata se non nel caso in cui il Pater vendesse il figlio più di tre volte. In
questa situazione due Patres Familias si accordano: il primo pater fa la
Mancipatio e il figlio si trova in una condizione di mancipio nei confronti del
secondo Pater. Per liberarsi di questa condizione viene manomesso e ritorna
sotto la Potestas del padre originario, avviene la seconda vendita, poi la
seconda Manumissione e dopo la terza vendita, il figlio si trova in mancipio del
secondo Pater. Subentra un terzo soggetto, ovvero il pater adottante rivendica il
figlio dinanzi al Pretore. Il secondo pater assume un contengo passivo essendo
tutti d’accordo e cede in diritto e di conseguenza il pretore affidava il figlio al
terzo pater. Probabilmente all’inizio era richiesto anche il favore dell’adottante.
Questa pratica venne usata dagli imperatori per costruire la successione al
trono. Ad un certo punto nasce l’adoptio naturae imitatur e si stabilisce che il
padre adottante debba avere almeno 18 anni in più al figlio che va ad adottare,
per seguire di più l’andamento della natura.

Si distinguono inoltre altre due figure: l’ADOPTIO PLENA che avviene da parte di
un soggetto che rientra comunque nella famiglia di origine, e ADOPTIO ANGUSTA,
che avviene per mano di un terzo.

I MODI DI COSTITUZIONE DELLA MANUS E LA SUA ESTINZIONE

La MANUS è sostanzialmente l’articolazione della potestas che si rivolge alla donna,


dunque il rapporto di soggezione tra la moglie e il marito e questo potere coincide
esattamente con la Potestas. Il termine Manus è riferito solo alla donna. Per effettuare
la manus si deve eseguire la CONVENTIO IN MANU, a seguito della quale la donna
passa da soggetto Sui iuris a soggetto Alieni Iuris sotto la Potestas del pater nei
confronti del quale si trova nella in condizione LOCO FILIAE, mentre dinanzi ai figli
è LOCO SORIIS e si effettua per lo più delle volte con l’atto del matrimonio. Quali
sono i modi di costituzione della manus?

• CUM FARREATIO= ovvero una cerimonia religiosa che si eseguiva al cospetto di


Giove Farreo, di dieci testimoni e al LIBRIPENS. I due soggetti che dovevano
costituire la manus spezzavano un pane di farro e a seguito di questa azione la
donna diveniva soggetto in manu del nuovo pater, molto probabilmente del nuovo
marito. I figli nati da questa unione potevano accedere ad alte cariche ecclesiastiche
che allo stesso tempo avevano anche spesso importanti impegni di matrice politica.
Questo rituale risale ad un’epoca molto antica ove il principale alimento e la
principale coltivazione era il farro.

· COEMPTIO= ovvero la mancipatio con il fine ultimo del passaggio di


potestà svolta dal pater originario della donna al secondo pater che molto
probabilmente sarà il marito, sottolineando che nel caso della donna era
necessaria una sola vendita per annullare la patria potestà del padre.

· COEMPTIO USUS= l’acquisto della mano per il decorso del tempo.


L’ipotesi è che si sia celebrato un matrimonio senza fare né la comfarreatio né
la coemptio, quindi al termine di un anno la manus sorgeva per il solo
compimento dell’anno. Se la donna voleva evitare che si costituisse la manus
del marito su di lei poteva impedirlo con il Trinoctium o Usurpatio Trinoctii:
ella doveva dormire per tre notti lontano dal marito, prima dello scadere
dell’anno, possibilmente con dei testimoni. Questa pratica doveva essere
ripetuta ogni anno, anche se la pratica col tempo andò in disuso.

Il modo più immediato per estinguere la Potestas è la morte del Patres e tutti i
soggetti a lui sottoposti divengono Sui Iuris. Tuttavia, qualora il pater subisse una
Capitis Demiutio o compisse determinati crimini che portavano la condanna
all’esilio, il soggetto avrebbe perso la potestas.

Il secondo moto di estinzione della potestas è l’emancipazione: questa avviene dopo


le tre vendite. Se il figlio viene sia venduto sia manomesso tre volte, questo soggetto
diventa sui iuris, perdendo però ogni pretesa successoria nei confronti del padre ( è
quindi sconveniente per lui ).
Per annullare la manus vi era il divorzio, consentito a Roma fino all’avvento del
Cristianesimo, che si verificava in modi diversi in base al modo in cui si era istituita
la manus: in caso di Cum Farreatio si aveva la situazione opposta ovvero la
DIFFAREATIO nella quale i due coniugi dovevano ricongiungere il pane di farro che
avevano spezzato in segno di unità. In caso della Coemptio e Coemptio Usus si aveva
la Remancipatio, dove la donna tornava Sui Iuris.
SOGGETTI CON LIMITATA CAPACITÀ DI AGIRE

I soggetti Sui Iuris hanno sempre capacità giuridica, ma spesso non hanno la
possibilità di avere una piena capacità di agire. Bisogna fare una distinzione tra:

· Soggetti sottoposti a tutela. La tutela attiene alla persona. Questi soggetti


sono gli IMPUBERI e le DONNE .

· Soggetti sottoposti a cura. La cura attiene alle cose, al patrimonio. Questi


soggetti sono i FURIOSI, i PRODIGI e i MINORI DI 25 ANNI.

· Tutela Muliebre= tutela per le donne al di sopra dei 12 anni, quindi uscite dalla
pubertà; tutela poco gravosa e quasi formale.

IMPUBERI

Sono i ragazzi e le ragazze che non hanno raggiunto la pubertà. Secondo i giuristi
romani per le donne si raggiunge al compimento del dodicesimo anno di vita, mentre
per quanto riguardano gli uomini sono divisi. Infatti, secondo i Proculiani, la pubertà
si raggiunge intorno al quattordicesimo anno di età mentre secondo i Sabiniani si
devono fare delle verifiche apposite e dunque effettuare la INSPECTIO CORPORIS .
Gli impuberi si suddividono in due fasce di età:

· La INFANSA MINOR dai 0 ai 7 anni

· La INFANSA MAIOR dai 7 ai 12/14 anni

La differenza sta negli oneri e nelle responsabilità del tutore.

Tale categoria non ha capacità di agire perché i soggetti appartenenti sono considerati
troppo giovani per avere capacità decisionale e patrimoniale e di estinguere o attuare
rapporti giuridici. Tuttavia, hanno piena capacità giuridica.

La donna sui iuris superati i 12 anni non è più soggetta alla tutela degli impuberi ma
proprio alla tutela delle donne.

I modi attraverso cui si può nominare il tutore sono vari, primo tra tutti la nomina
testamentaria, legittima, fiduciaria e dativa e per la donna si aggiunge la tutela
Optiva.
La TUTELA TESTAMENTARIA, presente già probabilmente nella Roma
monarchica e presente anche nelle XII Tavole, è quella indicata da un soggetto Sui
Iuris, prossimo alla morte, che dichiara nel testamento la presenza di un eventuale
tutore che affianchi il figlio nella gestione degli affari della famiglia. Inoltre, è anche
possibile che il pater designa due tutori, uno per i figli maschi e uno per le figlie
femmine o la moglie.

Nonostante il tutore venisse designato dal padre egli poteva anche rifiutare l’incarico,
in quanto volontario tramite l’ABDICATIO TUTELAE e successivamente con
l’imperatore Claudio il tutore designato era in qualche modo “obbligato” ad espletare
il suo dovere grazie all’agire dei consoli, i quali imponevano al soggetto in questione
di ricoprire quel ruolo. In aggiunta il tutore in origine era designato allo scopo di
tutelare i beni della famiglia.

La TUTELA LEGITTIMA è quella prevista in astratto dalla legge nel caso in cui il
padre, morto improvvisamente, non ha dichiarato un tutore per i figli e la legge
predetermina un tutore tra i parenti in linea collaterale per il figlio e deve essere un
soggetto Sui Iuris con piena capacità di agire, in particolare ADGNATUS
PROXIMUS, ovvero il più prossimo degli Agnati (parente Sui Iuris non sottoposto a
tutela) e i Gentiles, ovvero un membro della gens che subentrava qualora non ci
fossero potenziali tutori tra gli agnati. Non ci si poteva sottrarre a tale tutela in quanto
l’incarico si estingueva quanto il soggetto tutelato raggiungeva la pubertà.

13/10/2020

La tutela serve a garantire la persona, mentre la cura serve a garantire il patrimonio.


La donna Sui Iuris, superata la fase della pubertà, non è più soggetta alla tutela degli
impuberi ma alla TUTELA MULIEBRE (Tutela Mulierum), una forma di tutela
molto leggera e quasi formale.

Gli impuberi si suddividono in:

• INFANS MAIOR= dai 7 ai 12 anni per le donne/dai 7 ai 14 anni per gli uomini

• INFANS MINOR= dai 0 ai 7 anni d’età. Erano considerati del tutto incapaci
d’agire in quanto si ritenesse anche che non fossero in grado di parlare bene. Il
raggiungimento della piena capacità di parlare avveniva all’età di 7 anni

TIPOLOGIE DI TUTELA
• TUTELA TESTAMENTARIA: Il figlio dopo la morte del padre diveniva un
soggetto Sui Iuris.

All’interno del testamento si poteva prevedere anche la tutela per la moglie o per la
figlia, quindi un soggetto poteva essere il tutore per la figlia fino al
raggiungimento dei 12 e un altro soggetto diveniva tutore dopo il superamento
dei 12 anni da parte della figlia. La tutela in origine era prevista perché il tutore
divenisse l’erede del soggetto tutelato, a maggior ragione si pensava che questi
soggetti tutelati avrebbero avuto vita breve e quindi il tutore veniva visto come
colui che doveva preservare quel patrimonio per poi acquisirlo lui stesso.
Successivamente però la tutela diviene un Munus Publicum cioè un onere
pubblico, perché era di pubblico interesse che il soggetto Sui iuris Impubere
venga coadiuvato nell’amministrazione del proprio patrimonio. Quindi è
nell’interesse di tutti che questi soggetti abbiano una forma di protezione.
L’istituto della tutela e della curatela esistono tutt’ora.

• TUTELA LEGITTIMA: Quella prevista in astratto dalla legge cioè quella


legge che predetermina in astratto i soggetti che dovranno assumersi l’onore e
l’onere della tutela. Questi soggetti sono: l’ADGNATUS PROXIMUS che
poteva essere generalmente il fratello se esso fosse stato soggetto Sui Iuris e
non sottoposto a tutela oppure uno zio. A partire dal 200 d.C. la madre potrà
svolgere la tutela. Se non fossero stati gli Adgnatus Proximi, sarebbero stati i
GENTILES ovvero i membri della GENS. È una forma di tutela più pesante
che sarà eliminata successivamente dall’imperatore Claudio rispetto alle
donne. La fattispecie implica che il padre muoia improvvisamente senza
testamento dove indichi i tutori oppure che ci sia un testamento nella quale non
venga indicato nessun tutore, interviene quindi la legge che predetermina in
astratto il tutore cioè determina la categoria nella quale esso debba essere
cercato quindi o tra gli Adgnati Proximi o tra i Gentili in caso non vi siano
Adgnati. A questa tutela non ci si poteva sottrarre, veniva considerato un onere
non gravoso perché cessava al compimento dell’età della pubertà del fanciullo
ma nel caso della donna che aveva superato la pubertà, poiché era vitalizia, il
tutore poteva rinunciare solo se ci fosse stato un nuovo tutore che lo avrebbe
sostituito.

Le ultime due tutele sono suppletive poiché si verificano quando non si riescono ad
individuare né Adgnati Proximi né Gentiles.

• TUTELA DATIVA: viene istituita attraverso la LEX ATINIA sicuramente


precedente al 186 a.C. Questa tutela prevede che sia il pretore ad individuare chi
debba essere il tutore del soggetto Sui Iuris impubere. All’inizio fu il pretore, poi
l’imperatore Claudio deciderà che questo compito spetterà ai consoli e infine Marco
Aurelio e Lucio Vero istituiranno una nuova magistratura, il PRETORE
TUTELARE. La tutela dativa è un Ius Publicum quindi non vi si poteva rinunciare
se non in presenza di particolari EXCUSATIONES cioè motivi validi, previsti dalla
legge e tassativamente fissati quindi non si potevano inventare motivi per sottrarsi ad
essa. Queste excusationes sono:

• ABSENTIA REI PUBLICE CAUSA ovvero l’assenza del tutore per


l’interesse della Repubblica.

• PROBLEMI DI SALUTE GRAVI E PROVATI che non consentono al


tutore di svolgere questo compito.

• NUMERO DI FIGLI DEL TUTORE cioè il tutore che aveva già un numero
elevato di figli sotto la sua potestas poteva non accettare.

• LONTANANZA DI OLTRE 20 MIGLIA DA ROMA.

Il bambino dopo i 14 anni rientrava nella fattispecie della tutela dei minori di 25 anni.

• TUTELA FIDUCIARIA che si ha quando a seguito della terza vendita, il figlio si


trova in mancipio del Pater acquirente (P2) il quale lo manomette affinché divenga
Sui Iuris, ma se questo soggetto che diviene Sui Iuris è un impubere, P2 ovvero il
Pater acquirente, ne diventa tutore.

Per capire i compiti del tutore è utile la differenziazione che fece Gaio tra:

• INFANS 0-7 ANNI: Soggetto sui iuris con piena capacità giuridica ma che a
causa dell’età in cui si trova è totalmente incapace di agire. Il tutore ha una
funzione SOSTITUTIVA, si sostituisce in toto e gestisce tutte le attività
patrimoniali dell’Infans. Amministra e gestisce integralmente il patrimonio e
ha poteri molto ampi. Il tutore non ha rappresentanza diretta che si ha invece
quando tutti gli atti posti in essere da un soggetto producono immediatamente i
loro effetti nella sfera patrimoniale del soggetto rappresentato. Nel caso
dell’Infans, vi è una RAPPRESENTANZA INDIRETTA quindi gli effetti
della gestione del patrimonio non si producono direttamente nella sfera
giuridica dell’Infans ma in quella del tutore il quale avrebbe poi dovuto
ritrasferire gli affetti al bambino con ulteriori atti e negozi giuridici. Ci sono
alcuni atti che il tutore non può svolgere e che sono detti gli ATTI
PERSONALISSIMI come l’ACQUISTO DELL’EREDITÀ. Il tutore
dell’Infans non può acquisire un’eredità quindi nel caso in cui l’Infans fosse
stato nominato erede da un soggetto ed esso morisse, si aprirebbe l’eredità e vi
sarebbero due opzioni:
• Che l’Infans abbia compiuto almeno i 7 anni per poter compiere l’ADITIO
EREDITATIS cioè l’accettazione dell’eredità. Tuttavia, lasciare un’eredità in
stato di quiescenza ha molte controindicazioni e quindi vi era l’interesse che il
bambino l’acquistasse subito.

• Che venga utilizzato uno schiavo del patrimonio dell’Infans e dato che, tutto
ciò che acquista lo schiavo lo acquista ipso iure il padrone, l’Infans sarebbe
stato in grado di acquisire l’eredità

INFANS MAIOR: 7-12/14 ANNI: La tutela è INTEGRATIVA e non più


sostitutiva. I romani li considerano come soggetti parzialmente capaci di agire e
ritengono che possano compiere da soli tutti quegli atti che comportino un guadagno,
un incremento dei beni e non una perdita ( ES: può accettare donazioni, può
usucapire un bene etc..) mentre per tutti gli altri atti occorreva la presenza del tutore il
quale doveva INTEGRARE la parziale capacità di agire, in modo da renderla piena
prestando l’AUCTORITAS .Essa si prestava presenziando al negozio ( il tutore era
quindi presente al momento dell’atto) e il tutore doveva rispondere a una precisa

domanda che la controparte dell’Infans poneva

AUCTOR ES ? : PRESTI L’AUCTORITAS ?

AUCTOR SUM : SONO L’AUTORE, PRESTO L’AUCTORITAS

In quel momento il negotium si sarebbe concluso.

Se il bambino fosse andato per esempio ad acquistare un cavallo senza il tutore si


sarebbe avuto sostanzialmente la fattispecie del NEGOTIUM CLAUDICANS cioè
il negozio nel quale si producevano soltanto gli effetti favorevoli per il bambino
quindi il commerciante subiva una perdita poiché il fanciullo doveva essere
necessariamente accompagnato dal tutore.

RESPONSABILITÀ DEL TUTORE VERSO L’INFANS

In origine ( fase arcaica in cui sostanzialmente la tutela era prevista più nell’interesse
del tutore che non nell’interesse del bambino) poiché si riteneva che la tutela fosse
una potestas del tutore verso il bambino il tutore poteva anche disinteressarsi
dell’amministrazione del patrimonio. Perciò era prevista nelle XII tavole
un’AZIONE PUBBLICA nel caso in cui il tutore testamentario avesse compiuto
malversazioni o frodi a danno del bambino. Quest’azione pubblica prese il nome di
ACCUSATIO SUSPECTI TUTORIS(accusa del tutore sospetto).

L’azione pubblica era un’azione a legittimazione popolare cioè un’azione che potesse
essere esperita da qualsiasi cittadino che avesse il sospetto che un tutore stesse
frodando o stesse compiendo malversazioni a danno del bambino. Il soggetto poteva
quindi agire in giudizio con questa azione.
In una prima fase il tutore veniva immediatamente sospeso dall’incarico e veniva
nominato un nuovo tutore in attesa della definizione del giudizio. Veniva svolto un
processo e se all’esito di esso il tutore fosse risultato innocente sarebbe stato
reintegrato nella sua funzione altrimenti si assegnava definitivamente questo compito
al tutore designato precedentemente come sostituto.

Se l’accusa fosse stata falsa il tutore sarebbe ritornato nella sua funzione e colui che
aveva intentato l’azione subiva una querela per calunnia e un processo penale
all’esito del quale diveniva un infame.

Se l’Infans avesse avuto questo dubbio poteva dirlo a chiunque e questi poteva agire
con questa accusatio. Successivamente si è deciso che, dopo essersi aperto un
processo, il tutore andava cambiato definitivamente a prescindere dall’esito del
giudizio perché evidentemente si riteneva che quella figura non fosse più in grado
anche se innocente di gestire nel miglior modo possibile gli interessi del bambino.

Nel caso della tutela testamentaria non sappiamo come si svolgessero i processi
mentre per la tutela legittima venne prevista un’azione specifica l’ACTIO
RATIONIBUS DISTRHAENDIS che si poteva esperire contro il tutore legittimo il
quale avesse sottratto beni dal patrimonio del bambino e il tutore sarebbe stato tenuto
a risarcire una quantità di danaro pari al doppio del valore delle cose sottratte. Essa in
origine era considerata un’azione pubblica e nel momento in cui il bambino avrebbe
compiuto il 14esimo o 12esimo anno di vita avrebbe potuto esperirla direttamente.

La tutela nel corso del tempo cambiò natura: intorno al 196/197 d.C. occorse quasi
sempre per gli atti di alienazione l’autorizzazione del pretore tutelare, perché divenne
un interesse pubblico tutelare questi bambini e infatti nacquero una serie di azioni
volte a vietare che i tutori si disinteressassero del patrimonio. L’ ACTIO TUTELAE
è molto diversa dalle azioni viste precedentemente, essa non veniva esercitata per
l’ipotesi di malversazioni o di furti o di frodi ma veniva eseguita per il solo caso in
cui il tutore avesse mal amministrato o non avesse amministrato affatto il patrimonio.

Quindi:

• ACCUSATIO SUSPECTI TUTORIS ha il compito di impedire malversazioni e


frodi

• ACTIO RATIONIBUS DISTRHAENDIS ha il compito di evitare furti;

• ACTIO TUTELAE ha il compito di evitare che il tutore non amministrasse i beni


o che si disinteressasse dell’amministrazione dei beni o che li amministrasse in
maniera disattenta. Secondo i giuristi romani il tutore doveva gestire i beni del
bambino come se gestisse i propri. In questo caso il tutore veniva condannato non
soltanto per l’ipotesi del dolo cioè per l’ipotesi della volontà di frodare il bambino
ma anche per la propria colpa, ovvero il tutore, nell’amministrazione dei beni
doveva essere molto attento e non poteva essere negligente o inesperto o
imprudente.
14/10/2020

La tutela delle donne

La tutela delle donne è un residuo di un’epoca arcaica, pre-decemvirale e quindi


precedente alle XII tavole (le XII tavole furono scritte dai Decemviri con il compito
di promulgare le leggi e di cui il cui l’esponente principale fu Appio Claudio Cieco).
In questa fase pre-decemvirale la donna non diveniva mai SUI IURIS e aveva sempre
una potestas su di sé anche nel caso in cui fosse morto il padre o l’eventuale marito.

I Decemviri sono i 10 uomini, le XII tavole furono in realtà da prima X ma dopo una
delle riunioni della commissione dei Decemviri si produssero due ulteriori tavole per
completare la disciplina del diritto a Roma.

Infatti, Tito Livio ci disse che le XII tavole erano la fonte di tutto il diritto pubblico e
privato. Queste due ulteriori leggi, che prendono il nome di TABULAE INIQUIAE ,
vengono considerate come contenenti delle leggi ingiuste causando la ribellione del
popolo anche contro Appio Claudio e la fine del potere dei Decemviri sulla città
perché costoro, oltre ad avere l’incarico di redigere le leggi complementari di Roma
per quel periodo avevano il compito di governare la città.

Così come Tarquinio il Superbo venne cacciato da Roma accusato di stupro di una
giovane fanciulla romana altrettanto accadrà ad Appio Claudio cioè quella di aver
stuprato una giovane donna romana ed è questo un topos che ritornerà nella storia
romana: quando si vuole condannare la condotta di un capo politico si ricorre a
quest’accusa di stupro e che per la sua gravità era in grado di determinare la
deposizione di un capo politico. Le XII tavole non sono pervenute a noi perché,
racconta Tito Livio, quando i Galli occuparono Roma, nel Foro esse furono bruciate;
non le abbiamo quindi per tradizione diretta ma le conosciamo attraverso le citazioni
che giuristi e autori ne fecero come Gaio nel suo commentario alla legge delle XII
tavole ma tante citazioni si trovano anche in Ulpiano, in autori della letteratura
( Cicerone, Tito Livio, Tacito) e poeti ( Orazio, Aulo Gellio).

Con la nascita della Res Publica la donna poté alla morte del pater o del marito,
divenire soggetti Sui Iuris, diventando un soggetto con piena capacità d’agire.
Le forme di tutele previste per le donne sono le medesime di quelle istituite per gli
impuberi, a cui si aggiunge quella Optiva (da optio, scegliere), che avveniva in un
caso ben specifico cioè ove la donna (moglie) in manu avesse il diritto di scegliere la
propria tutela in quanto il marito ha espresso la volontà di voler far scegliere a lei il
tutore nel testamento.

L’OPTIO può essere:

• PLENA quando il marito stabilisce che la donna può scegliere il proprio tutore
tutte le volte che voglia qualora questi muoia o rinunci all’incarico.

• ANGUSTA quando il marito stabilisce che la donna può scegliere il tutore una
sola volta. In caso di morte del tutore si fa ricorso alla tutela legittima cioè alla
legge che predetermina in astratto le categorie di coloro che sono chiamati a
gestire la tutela.

Queste tipo di tutela si verificano solo quando la donna ha superato l’età della
pubertà, ovvero abbia minimo 13 anni.

La tutela legittima degli impuberi è IRRINUNCIABILE perché si ritiene che si tratti


di un incarico poco gravoso e a tempo determinato ( bisogna attendere che la
fanciulla o il fanciullo arrivi a 12 o 14 anni e l’incarico sarebbe finito). La tutela
legittima delle donne è più gravosa perché VITALIZIA infatti la donna è soggetta a
tutela fino alla morte, per questo viene consentito ai tutori di compiere la
ABDICATIO TUTELAE e la scelta del nuovo tutore sarebbe stata data alla donna o
eventualmente dal pretore ma qualora il nuovo tutore ( TUTORE CESSICITIUS=
TUTORE CESSICIZIO) fosse morto, fosse impazzito, si fosse ammalato gravemente
, vada all’estero per causa legata alla Repubblica, sarebbe tornato in carica il vecchio
tutore restato come garante di ultima istanza e ove quest’ultimo fosse morto si
sarebbe dato luogo ad un’ulteriore tutela legittima quindi ad un ulteriore Adgnatus
fino ad arrivare ai Gentiles.

La tutela legittima per le donne venne abolita dall’imperatore Claudio, in quanto


questa era la pratica più odiosa.

ES: Nelle successioni AB INTESTATO (cioè senza testamento) il successore della


donna era l’Adgnatus Proximus (tendenzialmente il fratello o lo zio) o eventualmente
i Gentiles, secondo ciò che le XII tavole stabilirono. Vi era, però, una
sovrapposizione tra la figura del tutore e dell’erede e tutto ciò limitava la possibilità
della donna di fare testamento perché per farlo necessitava l’Auctoritas del tutore ma
egli da un eventuale testamento della donna avrebbe subito una perdita perché :

• Se la donna avesse voluto lasciare tutto al suo Adgnatus Proximus avrebbe potuto
non fare il testamento.
• Se avesse voluto fare testamento il suo obiettivo era quello di lasciare il patrimonio
ad altri soggetti e poiché il soggetto diseredato finiva per essere il tutore, egli non
avrebbe prestato l’Auctoritas ereditando quindi tutti i beni della donna. C’era un
conflitto di interesse tra la donna e il tutore perché il tutore veniva a trovarsi nella
duplice veste di tutore legittimo ed Erede Ab Intestato di primo grado ( anche il
tutore era uno dei più prossimi degli agnati).

Se la donna si fosse sposata in manu il parente più prossimo sarebbe diventato il


figlio, in quanto nella manus la donna sotto patria potestas diventava al cospetto dei
figli Loco Soris. Di conseguenza se il figlio non fosse un Impubero, egli diverrebbe il
tutore della madre ma poiché risultava sconveniente che la madre fosse sottoposta
alla tutela dei figli nacque la tutela Optiva.

I compiti del tutore per gli impuberi per quanto riguarda l’infanzia Minor erano
pervasivi e sostitutivi mentre nel caso dell’infanzia Maior erano integrativi.

Nel caso della donna sono FORMALI. Dopo le XII tavole, la donna può agire da
sola e non ha bisogno del tutore. Infatti, si chiedeva che la donna fosse accompagnata
dal tutore affinché questi prestasse l’Auctoritas, soltanto quando la donna avesse
dovuto compiere gli antichi atti dello Ius Civile (il testamento e la Mancipatio) che
erano ormai pochissimi. Difatti se la donna avesse redatto un testamento senza il
tutore questo non avrebbe prodotto effetti e se avesse compiuto senza l’Auctoritas del
tutore la Mancipatio (ovvero l’atto che serviva per trasferire la proprietà da un
soggetto a un secondo soggetto come gli schiavi, i fondi italici etc..), l’atto sarebbe
comunque nullo, sarebbe comunque nullo anche con un effettivo scambio materiale,
in quanto la res mancipi rimaneva sotto la proprietà della donna.

ES : Una donna possiede uno schiavo, per venderlo deve porre in essere la
Mancipatio perché è previsto necessariamente quest’atto ma è necessario anche il
tutore per l’Auctoritas. Se la donna vendesse lo schiavo senza la presenza del suo
tutore la Mancipatio non avrebbe prodotto effetti e se la donna lo avesse consegnato
all’acquirente in realtà la proprietà sarebbe rimasta della donna. L’acquirente avrebbe
avuto solo il possesso dello schiavo, un possesso non utile all’usucapione ( uno dei
requisiti affinché possa maturare l’Usucapione è che la res sia abilis cioè sia abile ad
essere usucapita).

Si arriverà a una situazione in cui non solo la donna avrebbe potuto compiere tutti gli
atti da sola ( anche perché il testamento e la Mancipatio assumeranno nuove forme in
cui non ci sarà più bisogno del tutore) ma in cui essa avrà la possibilità di scegliere il
proprio tutore, difatti alla tutela Optiva si affiancò quella FIDUCIARIA (il
TUTORE FIDUCIARIO= colui che manomette il soggetto Alieni Iuris a scopo di
emancipazione cioè affinché questo soggetto diventi Sui Iuris. I giuristi romani
realizzarono questo meccanismo affinché la donna potesse scegliere sempre il proprio
tutore anche se il marito non le avesse lasciato quest’opzione. La donna si
organizzava con tre persone:
• T1= tutore assegnato

• P1= pater

• P2= tutore scelto dalla donna;

Con l’Auctoritas di T1, la moglie M Sui Iuris compiva una Coemptio nei confronti di
P1 cioè passava in manu di P1, successivamente sarebbe intervenuto un nuovo
soggetto cioè colui che aveva scelto la donna come tutore P2 e P1 avrebbe compiuto
la Mancipatio di M a P2. Secondo le XII tavole, a seguito della Mancipatio della
donna si estingueva la potestas o la manus quindi M sarebbe tornata ad essere
soggetto Sui Iuris ma in causa mancipi cioè in mancipio di P2 (in una condizione
paraservile). P2 allora avrebbe manomesso M allo scopo di emancipare cioè avrebbe
manomesso M affinché divenisse completamente Sui Iuris. P2 diveniva quindi il
tutore fiduciario di M.

LA CURA FURIOSI

La prima categoria di soggetti sottoposti a cura sono i FURIOSI, ovvero coloro che,
assecondando l’aspetto etimologico (derivante dal sostantivo furor,oris --> ira,
pazzia) , erano soggetti, secondo la mitologia , in preda alle Furie ( ovvero divinità
infernali) e di conseguenza non erano considerati soggetti con piene capacità di agire
in quanto erano soliti eseguire azioni non pertinenti al buon senso.

Esempi di personaggi della Mitologia impossessati dalle Furie:

• Oreste

• Aiace ovvero il più forte degli Achei e cugino dello stesso Achille. A seguito
della morte di quest’ultimo desiderava ricevere in eredità la sua armatura
forgiata dal dio Vulcano però durante la riunione dei re che combatterono a
Troia, l’intervento di Atena fa prevalere la tesi che le armi di Achille dovessero
spettare ad Ulisse e siccome la concessione delle armi implicava il
riconoscimento di chi fosse il più valoroso combattente a Troia, Aiace preso da
un attacco di furia sterminò un gregge di pecore convinto che esse fossero i
troiani.

Questo tema della pazzia che toglie lucidità e che non rende capaci di agire attraversa
tutta la storia antica del mondo classico dalla Grecia fino a Roma.
I romani si pongono il problema della differenziazione tra

• FURIOSUS

• DEMENS

• MENTECACTUS

Nel caso del Furiosus si devono tener conto oltre che ai momenti di pazzia anche
quelli di stabilità mentali e quindi i lucidi intervalli (es: Lucrezio scrisse la sua
maggior opera il De Rerum Natura durante lucidi intervalli) e di conseguenza è
opportuno stabilire se si deve affiancare un curatore anche nei lucidi intervalli.

Uno dei problemi più diffusi a Roma era l’epilessia e poiché non avevano le
conoscenze mediche di oggi riconducevano alla figura dei furiosi anche coloro che
erano affetti di epilessia. Il Furiosus nei momenti di lucidità non aveva necessità di
cura, gli si attribuiva la curatela legittima e dunque i curatori potevano essere o
l’Adgnatus Proximus o i Gentiles e solo in assenza di questi un magistrato che
individuava un curatore. Non esisteva la curatela testamentaria però qualora il padre
avesse nominato un curatore per il figlio Furiosus nel testamento, questi su consenso
del magistrato sarebbe diventato curatore ( nel testamento c’era un’indicazione che
non aveva efficacia giuridica ma il curatore diveniva tale solo perché veniva
nominato dal magistrato).

La curatela a Roma opera ipso iure (automaticamente) dunque tutti gli atti che
venivano posti in essere da un Furiosus non avevano validità giuridica né tantomeno
effetti e la curatela si attuava in automatico. Di conseguenza, un eventuale negotium
si attuava solo con la presenza del curatore, considerando che anche il curatore, come
il tutore, aveva il fine ultimo di salvaguardare il patrimonio del curato.

In origine era previsto un tutore anche per questi soggetti. Se ci fosse stato un
bambino furioso fino ai 14 anni sarebbe sottoposto alla tutela degli impuberi, il
problema della nomina del curatore si poneva dopo i 14 anni.

La disciplina della cura dei furiosi sarà definitivamente fissata da Giustiniano, il


quale recupererà tutte le regole:

• Il curatore del Furiosus opera in automatico e non occorre la nomina del


magistrato salvo in casi eccezionali.

• Il pater non può prevedere il curatore per via del testamento;

• Qualora ci siano dei lucidi intervalli in essi gli atti negoziali posti in essere dal
Furiosus sono validi ed efficaci;
• Qualora il Furiosus abbia stipulato un negotium, quest’ atto continua a
produrre effetti anche qualora torni in una situazione di pazzia;

Nel caso in cui un Furiosus avesse compiuto un crimen cioè un reato perseguito dal
Populus Romanus , nella fase più arcaica la pazzia era vista come una colpa, un
aggravante ma con l’avvento dello stoicismo e del cristianesimo gli atti criminosi di
questi soggetti vennero condannati in maniere più tenui in quanto soggetti incapaci di
intendere e di volere.

Se il soggetto sottoposto a cura fosse stata una donna su di essa gravava non la
curatela ma la tutela, considerata un’istituzione più importante rispetto alla curatela.

Questi istituti esistono ancora all’interno del nostro codice civile e funzionano quasi
nella stessa maniera solo che oggi i soggetti sottoposti a tutela sono interdetti mentre i
soggetti sottoposti a cura sono inabilitati. A partire dagli anni 2000 l’ordinamento
italiano ha creato un nuovo istituto, amministrazione di sostegno, che opera in
maniera diversa e interviene soltanto quando il soggetto parzialmente capace di agire
ha bisogno soltanto dell’intervento quindi non c’è una figura fissa ma una che
interviene in base all’atto che vengono indicati in un decreto del giudice tutelare.

PRODIGUS

Il Prodigus o prodigi era colui che aveva sperperato il patrimonio del pater e dunque è
colui che non è in grado di gestire i propri averi in quanto ha la tendenza patologica
all’acquisto di beni inutili e alla spesa di denaro quindi a sperperare i propri beni in
un modo che non rientra nella normalità. Per questo motivo gli veniva affiancato un
curatore in modo tale che egli non sperperasse il patrimonio e che potesse garantire
una trasmissione ereditaria.

In origine il Prodigo era soltanto colui che sperperava il patrimonio avito cioè quello
ricevuto sulla base di una successione Ab Intestato (cioè senza testamento) perché i
romani ritenevano che qualora un soggetto avesse sperperato il patrimonio ricevuto
attraverso il testamento non si configurava l’ipotesi della prodigalità in quanto era
stato il pater o il testatore a ritenere che quel soggetto fosse in grado di gestire i beni
nel modo migliore. Perché si riteneva che il pater che avesse indicato nel suo
testamento il figlio come erede, avesse valutato a sua volta l’opportunità di assegnare
quei beni a quel soggetto (è quindi una decisione del pater).

A differenza della cura Furiosi, occorreva sempre l’intervento del magistrato che
constava di due fasi:

• I FASE che è quella dell’INTERDIZIONE ovvero l’emissione di un decreto


attraverso il quale il prodigo veniva interdetto e gli veniva quindi imposto il
divieto di utilizzare e amministrare il proprio patrimonio e di compiere atti
negoziali, atti giuridicamente vincolanti.
• II FASE nella quale il pretore nomina il curatore o individuando gli
appartenenti agli Adgnati Proximi o ai Gentiles.

Tuttavia, il Prodigus poteva eseguire da solo atti che comportavano esclusivamente


un guadagno nel suo patrimonio (come ad esempio usucapire un terreno) e non che
ne comportavano la perdita. Il curatore interveniva qualora si dovessero compiere
degli atti che oltre all’acquisto comportassero delle perdite

MINORI DI 25 ANNI

Erano soggetti inesperti che rischiavano la CIRCUMSCRIPTIO cioè di essere


raggirati. Nel 190 a.C. viene promulgata la LEX LAETORIA o PLAETORIA ( non
si sa con precisione quale fosse il nome di questa Lex) che prevedeva un’azione
pubblica, esercitata da un qualsiasi cittadino, qualora un minore di 25 anni sia stato
raggirato in un’attività commerciale a causa della sua inesperienza e dunque abbia
subito una Circumscriptio. Allo stesso tempo la legge prevedeva anche un’azione
privata attuata dal minore che reputi di essere stato raggirato grazie a cui il minore
stesso poteva chiedere e ottenere la risoluzione del contratto (Restitutio In Integrum).
Il contratto concluso non avrebbe quindi prodotto effetti e qualora avesse già iniziato
a produrli, le due parti erano tenute a ripristinare la condizione giuridica precedente al
contratto e a ricostituire lo Status Quo Ante cioè la situazione precedente alla
stipulazione del contratto.

ES: un minore acquista un cavallo, a seguito di quest’azione gli vengono restituiti i


soldi e lui riconsegna il cavallo.

In aggiunta viene prevista l’ipotesi che qualora il minore fosse stato citato in giudizio
per non aver adempiuto a quanto pattuito, egli avrebbe potuto sollevare una difesa
processuale e quindi ove il minore fosse stato in grado di provare la Circumscriptio
poteva non pagare non adempiendo alle proprie obbligazioni.

Questo sistema di tutele proteggeva eccessivamente il minore tanto che nessuno


voleva più commerciare con essi perché sorgevano molti rischi (rischio di non
vedersi corrisposto il prezzo, al rischio del ripristino o un’azione pubblica); ragione
per il quale nasce la figura del curatore. All’inizio sono proprio i commercianti o
coloro che entrano in rapporti contrattuali con il minore di 25 anni a richiedere la
presenza del curatore che sia in grado di provare che il commerciante non lo stia
raggirando e in modo tale che concluso il negotium poi l’accordo stabilito rimanga
tale.

Con Marco Aurelio inizia a istituzionalizzarsi la figura del curatore per i minori di 25
anni ma in origine nella sua previsione si trattava di un curatore che veniva nominato
per singoli atti non di uno in generale. È quindi grazie all’intervento dell’imperatore
Aureliano che nasce un nuovo istituto che concedeva la VENIA AETATIS cioè un
provvedimento concesso ai minori di 25 anni in base al quale il minore rinunciava a
esercitare tutti quegli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento per la loro
condizione di minori. Successivamente Giustiniano creerà questa figura del curatore
del minore di 25 anni che avrà una funzione generale quindi sarebbe stato sempre
necessario il suo accompagnamento durante la stipulazione dei negotium.

19/10/2020

La Manus è propedeutica al matrimonio, ma quest'ultimo può avvenire anche senza


Manus a seguito del quale non sorgono rapporti di Agnazione (ADGNATIO) tra
marito e moglie e tra la madre e suoi figli e viceversa, sorgono rapporti di parentela
naturali (COGNATIO).

Secondo il giurista Ulpiano, il matrimonio romano è determinato dal consenso tra


coniugi e non dalla consumazione (Affectio Maritalis). Mentre più tardi, nel diritto
canonico, il Papa poteva, attraverso un suo provvedimento, dichiarare che un
matrimonio pur essendosi celebrato non è mai venuto in essere in quanto non c'era
stata la consumazione. Per i Romani non era così, per loro il tema della
consumazione non aveva alcun rilievo.

Secondo il giurista Modestino, il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna


che costituiscono una "società", mettono insieme tutti gli aspetti della vita, sia quelli
attinenti al diritto umano che quelli attinenti al diritto religioso. Nel 1804 con il
codice Napoleonico il matrimonio è definito come un contratto tra i coniugi.

L’elemento fondamentale del matrimonio è il consenso; questo deve essere


continuato, deve essere quindi sempre presente nel rapporto tra i coniugi. È
sufficiente che il consenso venga meno per determinare la fine del matrimonio.
L'unico aspetto che i giuristi romani ritengono tale da poter dimostrare l'esistenza del
matrimonio è il trasferimento della donna presso la casa del marito (DEDUCTIO IN
DOMUM MARITI).

Per distinguere il matrimonio dal concubinato si aggiunse l’HONOR


MATRIMONII, ovvero la necessità che il marito trattasse la donna anche
pubblicamente come la propria moglie.

Il diritto romano, a differenza degli altri diritti, non ha mai conosciuto ipotesi di
poligamia o bigamia ma si è sempre fondato su un sistema monogamo. I nubendi
(coloro che si dovevano sposare) dovevano prestare il loro consenso anche qualora
questi soggetti fossero stati Alieni iuris anche cioè qualora moglie e marito avessero
avuto il proprio Pater su di sé e costui non doveva opporsi al matrimonio bensì dare il
proprio assenso.

A tal proposito, l'imperatore Marco Aurelio promulga una costituzione nella quale si
stabilisce che i Patres non potevano turbare la felicità matrimoniale dei soggetti a loro
sottoposti.

REQUISTI DEL MATRIMONIO

• PUBERTÀ: occorreva che la donna avesse superato i 12 anni e l'uomo i 14 anni;

• ASSENZA DI VINCOLI PARENTALI SIA CIVILI CHE DI SANGUE: tra i


nubendi non doveva esserci né Adgnatio né Cognati.

• IUS CONNUBII: diritto di porre in essere il matrimonio tra due soggetti.

• SANITÀ MENTALE DEI NUBENDI: un furioso non poteva prestare consenso


matrimoniale nemmeno se accompagnato dal curatore poiché era un atto personale.
Se uno dei due coniugi fosse impazzito (FUROR SUPERVENIENS) sarebbe cessato
la sua continuità del consenso. Qualora il coniuge sano di mente ritenga di poter
continuare a stare con il coniuge impazzito, si presume che ci sia il consenso; spetta
quindi al coniuge sano di mente di decidere se continuare o far venir meno il vincolo
matrimoniale.

Nel 445 a.C. con la LEX CANULEIA si abolisce il divieto di Connubium tra patrizi
e plebei.

Due leggi vennero introdotte dall’imperatore Augusto, la LEX IULIA DE


MARITANDIS ORDINIBISU e la LEX PAPIA POPPEA. L’imperatore impose
che tutti gli uomini (tra i 25 e i 60 anni) e tutte le donne (tra i 20 e i 50 anni)
dovessero essere sposati. Qualora così non fosse stato, avrebbero dovuto pagare più
tasse. Si stabilisce inoltre che le coppie sposate debbano avere dei figli poiché,
altrimenti, avrebbero subito ulteriori aggravi di imposta e infine stabilisce anche dei
premi per tutte quelle donne che avessero messo al mondo tre o più figli a seconda se
Ingenue o Libertine. Augusto introduce ancora delle ulteriori limitazioni: gli uomini
di rango senatorio non possono sposarsi con Liberte o con donne che lavoravano
utilizzando il loro corpo (come ad esempio potevano essere le attrici). Tale
limitazione fu superata da Giustiniano in modo tale da potersi sposare con Teodora.

FIDANZAMENTO

Nell’antica Roma con il termine SPONSALIA si fa riferimento al fidanzamento. Nel


diritto arcaico la SPONSIO era la promessa di matrimonio ed era un istituto
giuridico. Gli sponsali sono i due promessi sposi e se l'uomo si fosse sottratto sarebbe
stato tenuto al pagamento di una penale. Qualora non avesse pagato il debito, avrebbe
potuto esserci la vendita trans Tiberim. La sponsio era accompagnata dalla
prestazione di una garanzia: il promesso sposo versava una somma di denaro alla
moglie o al soggetto avente la potestas su di lei ( ARRHA SPONSALICIA ovvero
una sorta di caparra). Se le nozze non si fossero celebrate nei due anni successivi alla
Sponsio per colpa del fidanzato, la donna avrebbe potuto tenersi l’Arrha, se al
contrario fosse stata colpa della donna, questa avrebbe dovuto restituire il quadruplo
della somma ricevuta.

SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO

A Roma questo era totalmente libero sia per l'uomo che per la donna, non occorreva
andare davanti a un giudice per porre fine al sodalizio matrimoniale.

• DIVORZIUM: cessazione del matrimonio concordata tra i coniugi, sono entrambi


d’accordo.

• REPUDIUM: atto unilaterale recettizio, ovvero una lettera inviata da uno dei due
coniugi, ma che deve giungere nella sfera di conoscibilità dell'altro coniuge. In altre
parole, la decisione della fine del matrimonio doveva essere portata a conoscenza
dell’altro.

• MORTE: deceduto uno dei due coniugi il matrimonio viene meno. In tal caso, la
donna doveva aspettare dieci mesi (TEMPUS IUGENDI) prima di risposarsi per
evitare che nascessero dei bambini di cui non si era certi del padre, invece l'uomo
poteva risposarsi subito

• ADULTERIO: sia da parte dell’uomo che della donna. Per adulterio da parte della
moglie, il marito doveva svolgere un’azione penale altrimenti gli si venivano
attribuiti i Crimen Lenocinii cioè veniva accusato di essere un favoreggiatore
dell’adulterio.

• CAPITIS DEMINUTIO MAXIMA E MEDIA

In caso di divorzio i figli sarebbero rimasti sotto la tutela del pater; qualora egli non li
avesse voluti li avrebbe potuti emancipare ( cosa che succedeva raramente poiché i
figli erano una ricchezza ).

RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI

L’istituto principale quando si parla di rapporti patrimoniali tra coniugi è quello della
DOTE

La dote è un’entità patrimoniale con la quale la donna o la famiglia di questa assegna


alla al marito della moglie dei beni, i quali potevano essere utilizzati solo per il
benessere della famiglia. L'istituto della dote si applicava, oltre ai matrimoni in manu,
anche ai matrimoni senza la manus. I beni della dote, quindi, passano in proprietà al
marito.

LEX IULIA DE FUNDO DOTALI imponeva dei limiti all'utilizzo dei beni della
dote al marito. Quest’ultimo non poteva vendere i beni della dote (che potevano
essere ad esempio appezzamenti di terreno) senza il consenso della moglie. Inoltre,
pur essendo beni in proprietà del marito, la donna manteneva un diritto alla
restituzione dei beni qualora si fosse sciolto il matrimonio.

La dote poteva essere costituita o dal padre della donna o da qualsiasi altro soggetto
avente la potestas su di lei (DOS PROFECTICIA) o dalla donna stessa (soggetto
Sui Iurisi) o un terzo soggetto che ha un debito con lei (DOS ADVENTICIA). La
dote si può costituire o attraverso un negozio obbligatorio o attraverso un negozio ad
effetti reali. Il primo è detto DOTIS DICTIO e, mediante questo, il soggetto che
vuole costituirla non dà direttamente i beni della dote al marito, ma si obbliga a
darglieli. Il secondo invece è detto DOTIS DATIO con il quale si consegnavano
materialmente i beni della dote. I beni venivano consegnati attraverso tre negozi:

• MANCIPATIO

• IN IURE CESSIO

• TRADITIO

20/10/2020

Nella DOTIS DATIO non vi è una promessa ma un’immediata consegna dei beni.

In origine la dote entrava in proprietà del marito e così per tutta l’esperienza ma con
delle differenze, perché mentre nell’età arcaica la dote restava per sempre nella
proprietà del marito, in età classica si inizia ad introdurre l’idea che, ove il
matrimonio dovesse finire e ci dovesse essere un DIVORTIUM o un REPUDIUM,
la dote dovesse essere restituita alla moglie.

In origine però non era previsto che il marito restituisse la dote alla moglie o al
soggetto che la abbia costituita (ES: il padre) e dunque si ricorreva a uno strumento
elaborato dai giuristi che rientra nell’ambito dell’autonomia privata (ovvero il potere
dei privati di organizzare come meglio ritengono gli assetti di interessi tra loro, cioè
decidono come disciplinare i rapporti tra loro). Viene quindi fissata una procedura
che consenta la restituzione della dote: il soggetto che aveva costituito la dote (ES:
padre o moglie) nel momento in cui la costituiva faceva sottoscrivere al marito una
STIPULATIO ovvero un contratto verbale e da ciò scaturiva l’obbligo in capo al
marito di restituire la dote qualora il matrimonio si fosse sciolto ( l’obbligo dipendeva
comunque da un ulteriore contratto che le parti avevano concluso in aggiunta alla
costituzione della dote).

Per ottenere indietro la dote qualora il marito non l’avesse restituita, o la donna, o
colui che aveva la potestas sul di lei o colui che aveva costruito la dote, quando vi era
la Stipulatio poteva agire attraverso l’ACTIO EX STIPULATO cioè un’azione
basata su quanto le parti hanno pattuito.

Il pretore introdurrà successivamente un’azione, l’ACTIO REI UXORIAE


(AZIONE DELLE COSE DELLA MOGLIE) in base alla quale la donna o l’avente
potestà su di lei, finito il matrimonio, poteva agire in giudizio per ottenere la
restituzione della dote. Quindi la dote non è più in proprietà del marito, perché un
bene in proprietà generalmente non deve essere più restituito a nessuno ed emerge
dunque l’idea definitiva che la dote sia un patrimonio che serve esclusivamente per il
benessere della famiglia. In ragione di questa visione anche i poteri del marito sui
beni dotali vengono limitati.

Se in una prima fase il marito poteva utilizzare e gestire i beni della dote come
meglio avrebbe creduto in età augustea si impose un limite attraverso la LEX IULIA
DE FUNDO DOTALI, in base alla quale si stabiliva che il marito non avrebbe
potuto vendere i beni della dote ( i beni immobili e in particolare i fondi italici cioè
gli appezzamenti di terra che si trovano in Italia e che rientravano nella stessa
categoria degli schiavi cioè delle res mancipi) perché se li avesse venduti in caso di
scioglimento non avrebbe più potuto restituirli.

Non occorreva più la Stipulatio per ottenere indietro i beni dotali perché vi era una
previsione del pretore cioè quella figura che introduceva sempre a Roma elementi di
sviluppo del diritto, Marciano, un importante giurista, affermerà che il pretore è la
viva voce del diritto civile, colui che aggiorna e migliora costantemente lo ius civili
attraverso l’editto, cioè l’atto scritto su lastroni di bronzo, collocato nel Foro romano
e che pubblica all’inizio dell’entrata del suo anno in carica.

Se il marito avesse venduto la dote sarebbe stato quindi debitore nei confronti della
moglie con la somma della dote.

Nell’ipotesi della DOTE ADVENTICIA cioè quella dote costituita dalla moglie,
qualora essa fosse morta in costanza del matrimonio, la dote restava al marito e ai
figli.

Nell’ipotesi di DOTE PROFECTICIA cioè quella della dote costituita da chi ha la


potestas su di lei, in caso di morte della donna in costanza di matrimonio, il marito
avrebbe dovuto restituire la dote al soggetto che l’avesse costituita, cioè al pater della
moglie o al soggetto avente potestà su essa.

La manus rientra poco in questa situazione perché la dote veniva costituita a


prescindere dal patrimonio della donna, ma se ci fosse stata, ove la moglie avesse
costituito un ulteriore patrimonio, quello andava ai figli mentre la dote no, tornava
alla donna perché era stata fatta prima della manus. Se la moglie, in costanza di
matrimonio avesse costituito un suo ulteriore patrimonio bisognava distinguere se ci
fosse o meno la manus perché alla sua morte quei beni dovevano essere assegnati ai
soggetti che avessero l’Adgnatio con lei.

Nell’ipotesi di Dote Profecticia, qualora la moglie fosse morta in costanza di


matrimonio, il padre della donna avrebbe avuto diritto alla restituzione della dote ma
allo stesso tempo il marito aveva diritto di trattenere una quota della dote pari ad 1/6
dei beni della dote per ogni figlio (RETENTIO PROPTER LIBEROS). Se non ci
fossero stati figli avrebbe dovuto restituire tutta la dote.

Esistono altre due ipotesi di RETENTIONES (il diritto del marito a trattenere delle
quote della dote della moglie) diverse dalla prima perché discendono dal
DIVORTIUM o dal REPUDIUM, quindi nel caso in cui il matrimonio si fosse
sciolto:

• RETENTIO PROPTER LIBERO: nella quale il marito può trattenere una


quota pari ad 1/6 dei beni del patrimonio dotale per ogni figlio ma con un
limite della metà della dote, quindi al massimo poteva trattenerlo per 3 figli.

• RETENTIO PROPTER BONOS MORES: (nella quale il matrimonio è


venuto meno a causa di attività della moglie contrarie al buon costume o per
violazione dell’obbligo di fedeltà ) In questo caso il marito aveva diritto a
trattenere un ulteriore 1/6 del patrimonio dotale oltre a quella per i figli. ES: Se
avessero avuto soltanto un figlio, il marito avrebbe potuto trattenere 1/6 per il
figlio e un ulteriore 1/6 a titolo di Retentio Propter Bonos Mores.

Esistevano inoltre degli strumenti del pretore che consentivano in caso di mancato
accordo tra le parti di stabilire quali beni dovessero spettare a chi.

PERSONE GIURIDICHE

Le persone giuridiche sono enti, organizzazioni in generale pluri-personali oppure


possono essere dei patrimoni (esistono infatti nell’ordinamento giuridico dei
patrimoni che hanno diritti ed obblighi) ai quali l’ordinamento riconosce la capacità
giuridica e la capacità di agire anche non essendo delle persone fisiche. Ad esempio,
la FONDAZIONE è un patrimonio che ha diritti ed obblighi. Le associazioni come i
partiti politici e i sindacati sono Enti.
Nel diritto romano l’elaborazione teorica del concetto di persona giuridica non era
stata elaborata. Bisogna comunque distinguere tra persone giuridiche di carattere
pubblico e persone giuridiche di carattere privato.

PERSONE GIURIDICHE DI DIRITTO PUBBLICO:

Il POPOULUS ROMANUS cioè lo Stato. Il Populus è titolare di diritti ed obblighi


perché può avere dei beni in proprietà ( Aerarium, Schiavi, Ager Publicus), può
ricevere beni in eredità da privati ma anche da re stranieri come i Tolomei, i regnanti
d’Egitto, che ogni volta lasciavano in eredità il loro regno al Populus Romanus.
Questa ovviamente era una finzione basata sul presupposto che Roma li avesse
sconfitti militarmente però poi essa li faceva gestire a dei sovrani fantoccio che ogni
volta, nel momento della loro morte , scrivevano il testamento e lasciavano il regno al
popolo romano, ma al di là di quest’ipotesi fittizia, i privati potevano lasciare i beni al
Populus Romanus. Inoltre, si è visto che qualora non vi fossero eredi, i beni del Sui
Iuris sarebbero andati ad esso.

Il Populus Romanus possedeva un AERARIUM che poteva essere utilizzato per


acquistare dei beni (ES: acquisto delle vettovaglie per l’esercito), poteva dare in
locazione i propri beni. Si comportava esattamente come un cittadino romano Sui
Iuris, ecco perché si parla di personalità giuridica. Ovviamente esso operava sempre
su un piano di sovra-ordinazione rispetto ai privati, quindi, poteva comportarsi da
privato però aveva delle prerogative, aveva una supremazia nei rapporti con i privati (
tra quest’ultimi invece vi era un piano di perfetta parità).

Anche oggi lo Stato può avere rapporti con i privati sia su un piano di diritto pubblico
quindi su un piano non pari-ordinato (in cui lo Stato ha un ruolo prevalente) sia su un
piano di pari-ordinazione. Ad esempio, il contratto di locazione viene concluso su un
piano di perfetta parità tra il privato cittadino e lo Stato, a Roma invece quest’ipotesi
non si dava mai.

Il Populus Romanus aveva un patrimonio distinto dai propri cittadini. A seguito della
vendita di un terreno il denaro non andava ai cittadini, cioè in astratto erano dei
cittadini ma in realtà i soldi appartenevano all’organizzazione.

La nozione di Res Publica significava almeno nella sua fase iniziale COSA DI
TUTTI. Qualcuno ha ritenuto che nella traduzione più corretta di RES PUBLICA
ROMANORUM fosse COSA NOSTRA nel senso di beni appartenenti a tutti intesi
come singoli nella visione teorica, ma poi nella visione concreta accadeva che il
Populus Romanus avesse un patrimonio proprio, distinto da quello dei singoli
cittadini.

Il Populus Romanus agiva per mezzo dei magistrati o utilizzando i propri schiavi
pubblici perché se essi avessero acquistato dei beni essi sarebbero divenuti ipso iure
(automaticamente) del Populus Romanus. L’AERARIUM ovvero la cassa pubblica,
si trasformò in FISCUS quando vi fu un mutamento degli assetti istituzionali, cioè
quando dopo l’imperatore Augusto, nacque il principato dato che le finanze dello
stato divennero sempre più articolate e quindi si pose la necessità di distinguere tra la
cassa pubblica e il patrimonio personale del principe. Quindi:

• FISCUS / RES CESARI è il patrimonio dello Stato;

• RES PRIVATA PRINCIPIS è il patrimonio del principe. Il princeps agiva


sulla Res Privata Principis come un privato mentre utilizzava i beni del
FISCUS esclusivamente per il perseguimento dell’utilità pubblica. Quindi il
principe utilizzava i due patrimoni con diverse funzioni: con uno comprava i
beni per sé stesso mentre con l’altro amministrava le risorse pubbliche.

Altre persone giuridiche di diritto pubblico erano le CIVITATES cioè le città.


Le Civitates si articolavano in:

• MUNICIPIA = Città sottomesse dai Romani ormai perfettamente integrate


nell’organizzazione dell’Impero Romano.

• COLONIAE = Città fondate da Roma per amministrare e gestire dei territori


occupati.

Entrambe funzionavano esattamente come il Populus Romanus ma se fossero entrate


in rapporti contrattuali con esso ovviamente si sarebbero trovate in una posizione
subordinata. Anche questi enti potevano ricevere eredità e potevano costituire diritti
di usufrutto a loro favore.

PERSONE GIURIDICHE DI STAMPO PRIVATO

A Roma, fin dalle epoche più risalenti, esistevano:

• LE ASSOCIAZIONI DI TIPO PROFESSIONALE che comprendevano


persone che svolgevano lo stesso lavoro e che si univano per rendere più
proficua la loro associazione;

• LE ASSOCIAZIONI DI TIPO POLITICO che per molto tempo si pensò


fossero nate in epoche recenti ma in realtà fu grazie ad un avvenimento
archeologico, il LAPIS SATRICANUS riportante un’iscrizione sui Sodales
(ovvero i compagni, i partiti , amici di partito) di VALERIO PUBLICOLA,
colui che si ribellò a Tarquinio il Superbo e cacciò i re da Roma. Con il
ritrovamento di quest’epigrafe, scritto in una forma di latino molto arcaico
risalente al V secolo a.C. si capì che sin da quell’epoca esistevano anche le
organizzazioni di questo tipo;

• LE ASSOCIAZIONI DI TIPO RELIGIOSO che erano associazioni dedite al


culto delle divinità della Roma arcaica come i FRATRES ARVALES.

Gaio, in un’opera diversa dalle Istitutiones cioè il COMMENTARIO ALLA


LEGGE DELLE XII TAVOLE, riporta una disposizione delle XII tavole che
riconosceva che a Roma vi era piena libertà di associazione a patto che esse non
avessero avuto statuti contrari alle leggi dello Status Romanus e Gaio inoltre afferma
che questa legge fu introdotta nelle XII tavole sul modello della LEGISLAZIONE
SOLONICA, ripresa dalle leggi di SOLONE.

Roma per molto tempo mantenne questa libertà di associazione e il primo intervento
per limitarla fu un provvedimento del 186 a.C. da parte del SENATO CONSULTO
SUI BACCANALI (SENATUS CONSULTUM DE BACCHANALIBUS )
attraverso il quale si vietavano le associazioni dedite al rito di Bacco che creavano
disordine.

Successivamente questo provvedimento verrà inserito in una campagna dei settori più
conservatori di Roma contro le idee che provenivano dal mondo greco che si possono
sintetizzare nella figura di Catone.

Si ebbe una prima vera limitazione della libertà di associazione con la LEX IULIA
di cui non si conosce il promulgatore molto probabilmente questa legge venne
inizialmente promulgata da GIULIO CESARE e successivamente riapprovata da
AUGUSTO: essa vietava tutte le associazioni salvo le più antiche associazioni di
stampo religioso e salvo i COLLEGIA TENUIORUM cioè le associazioni dei
poveri che si riunivano per finalità di mutuo soccorso e per lo scopo funeratizio.

Tutte le altre associazioni affinché si potessero validamente costituire necessitavano


di un’autorizzazione del senato che dunque doveva effettuare un controllo preventivo
sullo statuto dei Collegia e fu proprio sotto la forma giuridica dei Collegia Tenuiorum
che si riunirono i primi.

21/10/2020

I COLLEGIA TENUIORUM (o anche COLLEGIA DEI TENUIORES) sono


l'unica categoria di associazioni, insieme alle antiche associazioni religiose che non
vengono assoggettate alla preventiva autorizzazione del Senato da parte della LEX
IULIA DE COLLEGIIS istituita poiché al tramonto dell'età repubblicana (in quello
noto come il secolo delle guerre civili),vi era stata una notevole diffusione di scontri
da parte di bande armate e di azioni violente, di cui queste organizzazioni
(sovraritates) si erano rese protagoniste.

Questa la ragione per cui si arriva a questo provvedimento generale che assoggetta al
controllo le associazioni.

Quindi si parte da una situazione di assoluta libertà associativa prevista dalle 12


tavole a una prima limitazione imposta dal senato consulto che però è limitata a un
tipo di associazioni considerate contrarie al buon costume.

Successivamente si arriva un provvedimento generale che vieta tutte le associazioni,


tranne le due categorie sopra nominate ma consente alle nuove associazioni di potersi
costituire solo per sottendere una preventiva autorizzazione.

I Collegia Tenuiorum furono la prima forma con la quale si organizzarono le prime


comunità cristiane, le quali dovevano nascondersi a seguito della decisione del
Senato di Roma di non accogliere Cristo nel Pantheon, che era il luogo in cui i
romani accoglievano tutte le divinità ed era anche il simbolo di come Roma
intendesse gestire il potere, accogliendo progressivamente le tradizioni, gli usi e i
costumi e la religione dei popoli sottomessi.

Di conseguenza ogni qualvolta Roma conquista un popolo, poco dopo, per costruire
anche un consenso verso il proprio dominio da parte delle popolazioni conquistate (in
quanto il potere si gestisce anche con il consenso, non soltanto con la forza bruta)
accoglieva queste divinità.

Tuttavia, rispetto al cristianesimo si pose un problema. In primis è opportuno


sottolineare che il cristianesimo, a sua volta, nasce come eresia dell'ebraismo, non a
caso Gesù viene processato dall’assemblea ebrea in quanto eretico, quindi i romani da
un lato avevano degli accordi non scritti con i sacerdoti dell'ebraismo.

A seguito della grande espansione del cristianesimo, Tiberio, dopo aver ricevuto una
relazione da Ponzio Pilato su cosa era il cristianesimo, propose al Senato di
accogliere Cristo nel Pantheon, ma furono proprio le prime comunità cristiane ad
opporsi.

Il cristianesimo a Roma si stava ormai insediando e ne sono una testimonianza San


Pietro e San Paolo, i quali avevano due visioni diverse di quello che dovesse essere il
cristianesimo:

• Per San Pietro dovevano essere cristiani soltanto i soggetti nati in Palestina.

• Per San Paolo potevano aderire al cristianesimo tutti coloro che accolgano
questo tipo di credo.
Prevale l’opinione di San Paolo, considerato anche il vero fondatore del
Cristianesimo, dopo Cristo, e non San Pietro poiché era ancora legato agli schemi
ebraici.

Insieme al cristianesimo si muovono tante correnti di pensiero, tante visioni diverse,


come quella Cattolica, considerata un’eresia del cristianesimo stesso.

Dunque, i primi cristiani si riuniscono nei Collegia Tenuiorum ovvero nei collegi dei
più poveri, che hanno la possibilità di attivare taluni diritti, come svolgere attività
funeratizie. Infatti, è in seno a questi Collegia Tenuiorum che si organizzano le
catacombe in quanto questi Collegia avevano tra gli scopi principali quello di
garantire una dignitosa sepoltura agli associati.

la Lex Iulia De Collegiis stabilisce che affinché ci potesse essere un'associazione,


fosse necessario un numero minimo di tre persone.

Il giurista Nerazio utilizza a proposito questa formula: TRES FACIUNT


COLLEGIUM (tre persone affinché si costituisca un collegio).

Inoltre, le associazioni devono necessariamente disporre di uno statuto, ovvero un


insieme di regole che disciplinano la vita interna dell'organizzazione. Quindi nello
statuto sono previste:

• Le modalità per aderire all’associazione.

• Corresponsione della quota associativa e il quantum di questa.

• Scioglimento dell’associazione.

• Regole di condotta dei singoli associati.

• Regole relative al subentro, qualora uno degli associati muoia o qualora uno
degli associati voglia recedere dal proprio rapporto associativo.

È opportuno sottolineare una peculiare differenza che vi è tra associazione e società,


ove le società perseguono scopi di lucro, mentre le associazioni no.

Nel diritto romano questi statuti prendono il nome di LEGES PRIVATAE e in


particolare si conoscono due importanti statuti:

• lo statuto di un'associazione di Danubio.

• lo statuto di una famiglia Silvani, un’associazione dedicata al dio Fauno,


ambedue incisi su pietra.
In aggiunta, l'associazione doveva avere una cassa comune denominata ARCA
COMMUNIIS, che era un patrimonio distinto dal patrimonio dei singoli associati e
ciò mette in risalto l'elemento della soggettività giuridica dell'associazione, in quanto
se l'associazione avesse acquistato un immobile, esso era dell'associazione, non degli
associati e colui che avrebbe venduto l'immobile all'associazione, per vedersi
corrispondere il prezzo dell'immobile doveva rivolgersi all'associazione (e non ai
singoli associati) e recuperare eventualmente i soldi dall’arca communiis, e soltanto
in via subordinata poter eventualmente rivolgersi contro gli associati.

Ovviamente l'associazione aveva bisogno di qualche soggetto che agisse in nome e


per conto di essa e infatti vi ieri erano degli amministratori dell’associazione, che
prendevano il nome di SINDACI, ove il Sindacus era il soggetto deputato ad
amministrare le risorse economiche e patrimoniali dell’associazione.

Accanto alle associazioni vi è un altro fenomeno che inizia a svilupparsi di pari


passo, ovvero quello delle FONDAZIONI che sono dei patrimoni con soggettività
giuridica, anche se in realtà a Roma questo fenomeno era poco diffuso, e inizia a
prendere piede dopo l'imperatore Costantino, e il fenomeno più diffuso è quello delle
PIAE CAUSAE, che erano appunto patrimoni destinati a perseguire scopi di
beneficenza (magari un benestante che moriva senza avere eredi, lasciava il
patrimonio per aiutare le persone bisognose).

Tale patrimonio veniva acquisito anche con gli oneri che quest’ultimo comportava e
doveva essere esclusivamente utilizzato al fine per il quale era stato costituito.

In caso di reato commesso da uno dei partecipanti dell’associazione, si valuta il tipo


di reato commesso e a risponderne sarà sempre il soggetto: in caso di crimine, dunque
di matrice penale, il soggetto viene condannato in base al crimine commesso e alla
pena prevista dall'ordinamento.

In caso di delitto, che è fonte di obbligazione, risponde dapprima il patrimonio


sociale e poi quello dell'associazione perché è stato svolto nell'esercizio delle sue
funzioni, quindi si presume nell'interesse dell’associazione e ne rispondeva
l’amministratore.

Inoltre, il patrimonio dell'associazione è più capiente, dunque, è più ricco e quindi il


creditore ha più possibilità di soddisfare un proprio credito agendo sul patrimonio
dell'associazione e a riguardo esiste un principio, il BENEFICIUM EXCUSSIONIS
in base al quale bisogna prima aggredire il patrimonio dell'associazione e quindi in
via subordinata, ove il patrimonio dell'Associazione non sia capiente, agire anche sul
patrimonio degli amministratori.

IUS GENIUTM E IUS HONORARIUM

È rilevante nell’ambito del diritto delle persone individuare alcuni termini cardine, in
primis la definizione di IUS GENTIUM, ovvero il diritto che appartiene a tutti i
popoli e da cui scaturiscono istituti che si applicano a tutti i popoli che avevano
rapporti tra loro, non soltanto ai romani.

Gaio, infatti, afferma che lo ius gentium si fonda sulla NATURALIS RATIO, dunque
sulla naturale ragione di tutti gli uomini. Quindi se il diritto civile è il diritto proprio
dei cittadini romani e che si applica solo ai cittadini romani, lo ius gentium è il diritto
che si applica a tutti i popoli. Non è però una sorta di “diritto internazionale”, perché
il diritto internazionale è quello che si applica tra Stati e che quindi disciplina i
rapporti tra gli Stati stessi.

Lo IUS HONORARIUM da un punto etimologico vuol dire il “diritto dei


magistrati” e, in particolare, nell’età classica il principale esercente e produttore di
tale ius è il PRETORE, ovvero un magistrato che amministra la giustizia attraverso
la gestione del processo e attraverso un atto, l’EDITTO del pretore.

Egli rimane in carica un anno, proclama editti per delineare come arbitrerà la
giustizia, in modo tale che tutti i cittadini possano sapere in anticipo come il pretore
agirà in presenza di determinate fattispecie. Al termine della carica del pretore, gli
editti che questi aveva emanato potevano rimanere vigenti per decisione del
successore, il quale poteva confermare, modificare o abrogare l’editto.

Sotto l’imperatore Adriano, il giurista Salvio Giuliano, incaricato dall’imperatore


stesso, redige l’EDITTO PERPETUO, di conseguenza l’editto del pretore diventa
perpetuo e il suo successore non può apporre modifiche o abrogarlo.

Dopo l'editto perpetuo, la principale fonte dello ius honorarium, saranno le


magistrature che emergeranno nei nuovi assetti istituzionali dell’impero, come ad
esempio il PREFETTO del pretorio, dell’urbe etc.

Inoltre, il pretore poteva modificare o abrogare un suo editto attraverso il ricorso alle
decisioni equitative, ove l’equità è la giustizia del caso concreto quando
l'applicazione del diritto finisce per determinare un'ingiustizia (non a caso Cicerone
era solito dire SUMMUM IUS, SUMMA IURA ovvero, SOMMA GIUSTIZIA,
SOMMA INGIUSTIZI) e tramite il decreto il pretore poteva prendere una decisione
diversa o difforme dall’edito stesso.

IUS QUOD AD RES PERTINENT: LE SUCCESSIONI

Gaio nel suo manuale inizia questa parte relativa alle Res con una nuova summa
divisio, che concerne la classificazione delle cose.

Per affrontare l’analisi del diritto che attiene alle cose è opportuno partire dall’analisi
del diritto delle successioni in quanto vi è una stretta correlazione tra successioni e
famiglia.

Le successioni rientrano nella costruzione di Gaio, nel diritto che attiene alle res, in
quanto egli individua un'importante categoria di res che quella delle RES
INCORPORALES, identificabili come le RES QUAE TANGIT NON POSSUNT
(le cose che non si possono toccare) quindi ad esempio il diritto di usufrutto, il diritto
di seguito, i diritti di successioni etc.

Quando si parla di SUCCESSIONI, si considera la sorte del patrimonio e della


posizione giuridica di un soggetto per il tempo successivo al suo decesso, ove per
posizione giuridica si intende il patrimonio, i diritti, gli obblighi e quant’altro. I
romani conoscevano due modi attraverso cui si poteva stabilire la sorte dei beni dopo
la morte:

• SUCCESSIONE TESTAMENTARIA che si ha quando è il soggetto,


prossimo alla morte, a decidere come devolvere il patrimonio dopo che sarà
morto.

• SUCCESSIONE LEGITTIMA che si ha quando è la legge che predetermina


in astratto i soggetti che saranno chiamati a succedere.

• SUCCESSIONE PRETORIA (o bonorum possessiones) che si ha quando le


regole del diritto successorio vengono stabilite dal pretore in parziale riforma
rispetto a quelle previste dal diritto civile, di conseguenza la si può considerare
una categoria a sé stante, un insieme di regole che impattano tanto sulla
successione legittima quanto su quella testamentaria.

Per poter fare testamento occorre la TESTAMENTI FACTIO ATTIVA, intesa


come la capacità e il diritto di poter fare un testamento e spetta ai soggetti sui iuris
puberi, ovvero soggetti dotati di piena capacità giuridica e di piena capacità di agire.
A ciò si aggiungono due eccezioni:

• i Fili Familias soldati che avevano un Peculium castrense su cui potevano fare
testamento.

• la donna che pur sottoposta a tutela poteva redigere, nonostante sia in linea
teorica parzialmente capace di agire.

Sebbene fare il testamento fosse una pratica usuale a Roma e risalente alle epoche
arcaiche, i romani della Roma monarchica vedevano con disvalore l'ipotesi che un
soggetto facesse testamento perché generalmente si fa testamento per togliere dei
beni del proprio patrimonio ai propri successori o per destinarlo a terzi o per dividerlo
in parti diverse ai successori.

Quindi nella Roma arcaica, in particolare nell’epoca intorno alle XII tavole e in
quella monastica, pur esistendo la prassi testamentaria era molto difficile eseguirla ed
è questo, peraltro, uno degli elementi di debolezza della Tesi di Bonfante sulla natura
politica della famiglia Romana, che sosteneva che il testamento serviva a individuare
l'erede.

Inoltre, è opportuno sottolineare che la moglie nelle regole testamentarie rientrava di


diritto solo se ella era sposata e legata al marito in manu poiché, a livello giuridico
aveva una valenza di figlia e divideva in parti uguali il testamento con i fratelli.
Invece se non c'è la manus la donna è estranea alla famiglia e quindi non ha diritto a
ricevere il testamento.

Nella Roma arcaica vi erano due modi per fare testamento:

• il TESTAMENTUM CALATIIS COMITIIS: si svolge al cospetto dei


comizi curiati ed è presieduto dal pontefice massimo, in età regia
probabilmente presieduto dal rex, e inoltre si tratta di una procedura molto
vicina all'Adrogatio nella quale un soggetto sui iuris diveniva alieni iuris di un
altro soggetto. Il testamentum calatiis comitiis aveva lo scopo di stabilire chi
potesse essere l'erede. In una fase molto arcaica si poteva dar luogo a questa
forma di testamento solo qualora il padre non avesse avuto figli sui eredis, cioè
eredi naturali, e poteva contenere esclusivamente un’istituzione di erede.

• il TESTAMENTUM IN PROCINCTU: esso viene posto in essere dinanzi


all’esercito schierato prima di iniziare una battaglia, in quanto in battaglia il
rischio di morte è esponenzialmente più elevato e di conseguenza tutti i soldati
possono sentire il bisogno di fare testamento.

Queste due forme di testamento erano testamenti orali, in quanto il testamento in


forma scritta arriverà a Roma diversi secoli dopo tenendo conto anche del fatto che la
scrittura avveniva perlopiù su tavolette di cera, quindi era anche complicato scrivere.

Gaio mette in evidenza che queste due forme di testamento erano complesse perché
venivano posti in essere in situazioni complicate e poco ricorrenti. Infatti, da una
parte era necessaria la convocazione dei comizi curiati, che si riunivano due volte
all’anno, mentre dall’altra era necessario avere l'esercito schierato in battaglia. Di
conseguenza un soggetto che è in procinto di morte non può redigere un testamento
se non è in una situazione bellica o se non vi sono i comizi curiati riuniti.

A questa esigenza i giuristi Romani creano un testamento in via interpretativa che


prende il nome di MANCIPATIO FAMILIAE ove per “Familiae” in questo caso si
intende il patrimonio familiare inteso nella sua materialità, da non confondere con
l’ereditas che contiene al suo interno i diritti non patrimoniali, quali sono ad esempio
il nome gentilizio, i lari e i penati, dunque la religione familiare.

In questa forma di testamento si ha solo un trasferimento delle ricchezze, difatti la


Mancipatio era un modo per trasferire la proprietà da un soggetto a un altro, quindi è
un atto INTER VIVOS motivo per il quale non era in origine considerato un vero e
proprio testamento.
L’origine di questo tipo di testamento è da cercare in una norma delle XII Tavole, la
quale afferma quanto segue:

CUM NEXUM FACIET MANCIPIUMQUE UTI LINGUA NUNCUPASSIT,


ITA IUS ESTO

“quando qualcuno avrà posto in essere o una Nexum (una forma di contratto verbale)
o una Mancipatio così come lingua avrà pronunciato così sarà il diritto”

Ciò implica che quando un soggetto pone in essere una Mancipatio può creare diritto
con le parole, dunque può introdurre attraverso un NONCUPATIO, cioè la
pronuncia di parole solenni, delle regole ulteriori a cui dovranno attenersi.

Di conseguenza le parti possono stabilire il regolamento attraverso le parole che


pronunciano riguardo il trasferimento di proprietà e qualora un soggetto volesse fare
testamento in emergenza chiamava un secondo soggetto il FAMILIAE EMPTOR,
compiva la Mancipatio a favore di questo soggetto e il patrimonio passava a
quest’ultimo.

Tuttavia, affinché la Mancipatio potesse svolgersi regolarmente, era necessario che i


due soggetti fossero sui iuris, puberi e cittadini romani e occorreva il libripens con
cinque testimoni, anch’essi puberi e sui iuris nonché cittadini Romani. A questo
punto, nel pieno di questa Mancipatio, colui che deve fare testamento pronuncia la
noncupatio e quindi “produceva il diritto”, dichiarando al Familiae emptor che
doveva custodire i beni che gli trasmetteva e trasferirli, quando sarebbe morto il
testatore, ai soggetti indicati.

La noncupatio consiste di due parti:

• l'obbligo di custodire i beni detto CUSTODELA.

• l’incarico a trasferire quei beni, non appena fosse morto il soggetto che voleva
fare testamento, ai soggetti che aveva indicato, detto MANDATELA

Qualora in questa indicazione alcune parti del patrimonio fossero restate senza
destinatario, questi beni spettavano al Familiae emptor.

26/10/2020
SUCCESSIONI TESTAMENTARIE

Le SUCCESSIONI TESTAMENTARIE sono quelle successioni che vengono


disciplinate da un atto MORTIS CAUSA (testamento) posto in essere dal soggetto
che è in procinto di morire o che intende disciplinare le sorti del proprio patrimonio
per il periodo successivo alla sua morte.

Questa non è l’unica ipotesi di successione perché ne esiste un’altra, la successione


AB INTESTATO (successione senza testamento) in cui è la legge che predetermina
in astratto i soggetti che succederanno al DE CUIUS (colui che muore).

Attraverso la MANCIPATIO FAMILIAE si sopperiva ad un problema strutturale


del diritto successorio romano, che era quello dell’impossibilità o dell’estrema
difficoltà a fare testamento nel corso dell’anno perché si poteva fare soltanto davanti
ai comizi curiati che si riunivano due volte l’anno o di fronte l’esercito schierato a
battaglia.

Proprio per consentire una maggiore libertà per fare testamento i giuristi romani già
dalle epoche più arcaiche inventano la Mancipatio Familiae, che non era un vero e
proprio testamento, ma un negotium inter vivos che però aveva l’effetto di far
pervenire il patrimonio, non l’ereditas, cioè solo gli aspetti materiali dei diritti
successori non quelli non patrimoniali come potevano essere ad esempio il nome
gentium o i culti domestici (lari e penati), al soggetto individuato dal de cuius come
erede.

Tuttavia, vi è un preciso momento in cui questa operazione complessa della


mancipatio familiae si trasforma in un vero e proprio testamento: il
TESTAMENTUM PER AES ET LIBRAM ovvero il testamento con il bronzo,
attraverso il bronzo e la bilancia perché proprio nella Mancipatio Familiae appariva il
libripens il quale stava lì a pesare l’entità dell’aes (la più arcaica forma di moneta che
non era coniata e si andava a peso) ma ha una funzione esclusivamente simbolica.

Nel testamentum per aes et libram si ripete tutta la procedura della mancipatio
familiae con una sostanziale novità, cioè che tutto quello che accade, accadeva solo in
forma simbolica. Nella mancipatio familiae, il mancipio dans, doveva dare i beni al
mancipio accipiens incaricandolo poi di dover trasferire questi beni al soggetto da lui
designato.

Quando si arriva al testamentum per aes et libram, intorno al II-I sec. a.C., non c’è
più nessun passaggio di ricchezze di beni tra il mancipio dans e il mancipio accipiens,
si ripete solo la procedura in modo simbolico. In questo caso, il momento decisivo è
quello della NONCUPATIO, come prima ma con la differenza che questa volta con
la noncupatio viene direttamente indicato il nome dell’erede, tant’è vero che si parla
di NONCUPATIO HEREDIIS.
Quando arriviamo al testamentum per aes et libram sono presenti tutti i soggetti che
erano presenti nell’antica Mancipatio Familiae ovvero:

• i CINQUE TESTIMONI

• il FAMILIAE EMPTOR

• il MANCIPIO DANS (colui che vuole fare testamento)

• il LIBRIPENS

Ma non c’è più il passaggio del patrimonio al Familiae emptor, come avveniva prima,
ovvero il patrimonio non passava più a colui che acquistava i beni, li custodiva e poi
li trasferiva al soggetto indicato quando il mancipio dans fosse morto.

Nel caso di questo tipo di testamento, si riuniscono tutti soggetti indicati sopra e colui
che vuole fare testamento pronuncia la noncupatio herediis ovvero, esprime
chiaramente il nome del soggetto che intende istituire come erede.

Gli effetti di questo atto si produrranno quando il testatore sarà morto. Fino a quel
momento i beni resteranno nella disponibilità del soggetto che fa il testamento.
Fino al I sec d.C. avviene in forma orale perché la forma scritta degli atti a Roma arriverà in un
secondo momento.

Quando Gaio nel II sec. d.C. racconta ai suoi studenti il testamentum per aes et
libram spiega che al suo tempo (ovvero l’età degli Antonini, quindi 170 d.C.
orientativamente) era in forma scritta, tanto che non si ha più la noncupatio
herediis ma si ha la NONCUPATIO TESTAMENTI, nella quale le parole
solenni (noncupatio) fanno riferimento a quello che è stato scritto nelle tavole
testamentarie. In quest’epoca chi

vuole fare testamento predispone per iscritto su tavole cerate le proprie


disposizioni a causa di morte (come, ad esempio, dovrà essere distribuito il
patrimonio) e convoca i sette, che hanno la funzione di testimoni, e recita:
“testimoni qui riuniti tutti, voglio che la mia successione sia disciplinata così
come ho deciso nelle tavole del testamento”. Una volta fatto ciò, i 7 soggetti
apponevano i sigilli al testamento (una sorta di firma) e il soggetto conservava il
testamento fino alla morte.

All’inizio non c’erano formalità per aprire il testamento, poi intorno al I sec. d.C. sarà
necessario andare dal pretore per aprire questo testamento, entro cinque giorni dalla
morte del soggetto e l’apertura di esso implicava che i beni fossero devoluti ai
soggetti indicati nelle tavole.

Senza la noncupatio le tavole non avrebbero avuto nessun valore.

Nel periodo tardoantico succede che non viene più conservata nemmeno la formalità
dell’antica mancipatio familiae, ma si stabilisce che è sufficiente che il testatore
chiami sette testimoni e dichiari le sue volontà.

Con l’imperatore Costantino, viene consentito che si possa fare testamento anche in
lingua greca, perché tutti ormai erano diventati cittadini romani dopo la
COSTITUTIO ANTONINIANA (chiamata anche editto di Caracalla 212 d.C.).

Quindi per esempio, per un soggetto nato e cresciuto nell’odierna Siria e che quindi
molto probabilmente non parlava il latino, gli veniva impossibile fare testamento.

Si arriva al punto quindi che era sufficiente fare una dichiarazione davanti a sette
testimoni in cui si indicano le ultime volontà.

All’epoca di Giustiniano si arriverà ad una ulteriore evoluzione per la quale il


testamento dovrà svolgersi al cospetto di cinque testimoni (il Testamento Civile).

Affianco a tutto questo ben presto nasce un altro testamento: il TESTAMENTUM


MILITIS ovvero il testamento dei soldati e ancora una volta i gruppi dirigenti
dell’impero prevedono una normativa di favore nei confronti dei soldati.

Il primo a riconoscere questi privilegi è Giulio Cesare (anche se non era un


imperatore) con una serie di costituzioni che miravano tutte a limitare le formalità
necessarie per redigere il testamento a favore dei soldati, cioè i soldati potevano fare
testamento anche senza seguire i rigidi formalismi previsti per il testamento civile.

Questo processo di progressiva limitazione della rigidità delle forme in favore dei
soldati raggiunge il suo culmine con un provvedimento dell’imperatore Traiano, che
con una sua costituzione stabilisce che i militari possano fare testamento come
vogliano o come possano purché sia chiara la volontà del testatore.

Quindi il testamento dei militari è totalmente privo di forme, ciò che conta è che sia
chiaro ciò che il testatore voglia fare dei suoi beni nel periodo successivo alla sua
morte. Queste libertà non sono soltanto relative alle forme, ma sono anche
sostanziali.

Colui che faceva testamento andava incontro ad alcune limitazioni, per esempio il
fatto che non si potesse distribuire più di 3⁄4 del patrimonio attraverso i legati
(disposizioni testamentarie a titolo particolare) mentre ai militari questa regola non si
applicava ma anzi, potevano addirittura distribuire tutto il patrimonio attraverso i
legati o fare testamento anche attraverso una lettera.
Un’altra regola del diritto testamentario romano è che il testamento successivo revoca
il testamento precedente anche se i due sono compatibili tra di loro. Per i militari
questa regola non esisteva ma appunto potevano scrivere due testamenti e fare in
modo che entrambi fossero validi purché non fossero in contrasto.

Il testamento dei militari può essere fatto in un preciso lasso temporale che è quello in
cui il soggetto sia nell’accampamento o comunque impegnato in operazioni di guerra
e questo testamento valeva entro l’anno dalla fine del servizio militare; vuol dire che
se il soldato, in seguito al congedo dell’HONESTA MISSIO (il momento in cui si
congeda un soldato in seguito al termine di un servizio militare regolare) fosse
vissuto dieci anni, il testamento fatto durante il periodo militare cadeva nel nulla
entro l’anno. Quindi se avesse voluto disporre dei propri beni per il periodo
successivo alla sua morte, avrebbe dovuto scrivere un nuovo testamento secondo le
regole del diritto civile.

COME SI SCRIVE IL TESTAMENTO?

Gaio afferma un principio che in seguito verrà ribadito dall’imperatore Giustiniano


ovvero l’istituzione del CAPUT ET FUNDAMENTUM TOTIUS TESTAMENTI
cioè non si può avere un testamento senza istituzione d’erede (ad eccezione dei
militari). L’istituzione d’erede è una disposizione testamentaria a titolo universale
con la quale viene indicato il soggetto o i soggetti che succederanno a titolo di eredi.

L’istituzione d’erede è il fondamento di ogni testamento perché in assenza di


istituzione d’erede, il testamento civile non è valido (TAMQUAM NON ESSET)

Se l’istituito erede non accetta l’eredità, sono poste nel nulla tutte le altre disposizioni
presenti nel testamento come la manomissione dello schiavo, la nomina dei tutori, i
legati e quant’altro.
Se ci sono più eredi basta che uno soltanto accetti il testamento per far sì che questo abbia valore.

L’istituzione d’erede deve essere la prima disposizione all’interno di un


testamento che quindi doveva aprirsi con la disposizione d’erede e sopra ad essa
non poteva esserci nulla
Infatti, i giuristi romani affermano che tutte le disposizioni aggiunte prima della
disposizione d’erede non hanno valore. Questa regola verrà poi limitata,
soprattutto dai proculiani che sostenevano che se prima

dell’istituzione d’erede ci fosse stata una nomina di un tutore (DATIO


TUTORIS), la nomina sarebbe stata comunque valida e questa tesi prevarrà su
quella dei sabiniani che affermavano il contrario, cioè che anche se la datio tutoris
fosse stata posta prima dell’istituzione d’erede, essa non avrebbe avuto valore.
La seconda eccezione è quella di consentire la diseredazione prima dell’istituzione
d’erede, perché il testatore può anche decidere di diseredare un figlio.
Inoltre, i giuristi romani ci dicono che l’istituzione d’erede va fatta con CERTA
VERBA (parole precise) che devono essere dirette e imperative, il che implica
l’utilizzo di un sintagma ben preciso:

TITIUS HERES ESTO= TIZIO SIA EREDE


senza questa formula l’intestazione d’erede era nulla.
Successivamente viene consentita un’altra formula:

IUBEO TITIUM HEREDEM ESSE → ORDINO CHE TIZIO SIA EREDE


Con l’istituzione d’erede si assegnava o l’intero patrimonio o una quota di esso, vale a dire che il
soggetto istituito erede subentrava o nell’integralità delle posizioni giuridiche del De Cuius o in una
quota di esse. Quindi non si poteva assegnare un bene specifico ed è questo che li distingue dai
legati.

Se un testatore lascia indicazioni solo per due figli e non scrive nulla per il terzo,
in questo caso opera un istituto che si chiama ACCRESCIMENTO che opera
quando non tutte le quote del patrimonio ereditario vengono assegnate, cioè
l’ulteriore terzo del patrimonio non assegnato verrà diviso tra i due che hanno già
avuto i 2/3, perché non si può aprire la successione ab intestato su quell’ulteriore
terzo figlio secondo una regola generale del diritto successorio, che si applica
tutt’oggi, che dice: “NEMO PRO PARTE TESTATUS PRO PARTE
INTESTATUS DECEDERE POTEST, ovvero, NESSUNO PUÒ
DISTRIBUIRE IL PROPRIO PATRIMONIO IN PARTE PER VIA
TESTAMENTARIA, IN PARTE ATTRAVERSO LA LEGGE cioè o decide
di redigere il testamento o segue la successione legittima.

L’istituzione d’erede deve svolgersi ad una persona certa; il populus romanus è


considerato persona certa quindi lo si poteva far erede. Invece, altri enti come i
municipia e le colonie non sono considerate persone certe, solo in un secondo
momento lo saranno.

Il fatto che l’istituzione debba essere fatta a persone certe significa anche che è nulla
un’istituzione formata nei seguenti termini: “sarà erede il primo che arriverà al mio
funerale.”.

Questa istituzione è nulla perché si rivolge a persona incerta.


Rispetto all’istituzione d’erede si applica una regola:

SEMEL HERES SEMPER HERES → UNA VOLTA EREDI SI È SEMPRE


EREDI

la conseguenza è che l’istituzione d’erede non può essere soggetta ad un TERMINE o


ad una CONDIZIONE RISOLUTIVA. Il termine è l’individuazione di una data a
partire dalla quale un atto non ha più valore.

Nel testamento non si può apporre un termine proprio perché dal momento in cui si è
eredi lo si è per sempre proprio come non si può apporre una condizione risolutiva
che è un elemento accidentale del negozio giuridico che determina la cessazione degli
effetti del negozio ad un evento futuro ed incerto. La differenza tra il termine e la
condizione risolutiva è che il termine è e si sa quando accadrà mentre la condizione
non si sa se e quando accadrà.

Diversa invece è la CONDIZIONE SOSPENSIVA che sospende gli effetti


dell’istituzione.

Nell’ipotesi in cui l’erede muoia prima del De Cuius, se ci sono più eredi interviene sempre l
quando una quota non è assegnata o quando ci siano più eredi e uno dei co-eredi non può o no

Oppure si ha la SOSTITUZIONE VOLGARE nella quale si introduce un altro istituito tratt


prevedere un’istituzione ad erede subordinata alla mancata accettazione dell’eredità da parte
La sostituzione volgare è dunque un’istituzione sottoposta alla condizione che il primo istitui

Accanto alla sostituzione volgare troviamo la SOSTITUZIONE PUPILLARE che è


una forma di sostituzione prevista dal pater che abbia istituito erede un proprio figlio
impubere. Se questo/a fanciullo/a sarà morto/a prima di raggiungere la pubertà,
prenderà l’eredità il soggetto indicato nella sostituzione pupillare. Quindi la
sostituzione pupillare è l’istituzione d’erede fatta dal pater subordinata al fatto che il
primo istituito muoia prima di raggiungere la pubertà.

Cicerone racconta di una causa curiana dove si era posto un problema ovvero il fatto
che il de Cuius avesse istituito come erede suo figlio concepito ma non nato ancora e
aveva previsto una sostituzione pupillare. Tuttavia, se figlio non nasce a causa di un
aborto e il padre muore, gli agnati di quest’ultimo rivendicano l’eredità in quanto il
bambino non è nato, quindi l’istituzione della sostituzione pupillare non ci dovrebbe
nemmeno essere e si aprirebbe in teoria la successione testamentaria. Si svolge il
processo che vede come avvocati due tra i più illustri esponenti del diritto di allora
Quinto Mucio e Licinio Crasso.

• Per Mucio non si deve svolgere la sostituzione pupillare perché il bambino non
è mai nato

• Per Crasso si deve svolgere la sostituzione pupillare come sostituzione volgare


e quindi come istituzione subordinata al fatto che il primo istituito non avesse
potuto accettare l’eredità anche perché questo sarebbe stato più conforma alla
volontà del testatore.

Alla fine, prevale la tesi di Crasso e quindi si ritiene che in un caso del genere la
sostituzione pupillare operi come una sostituzione volgare e quindi come sostituzione
d’erede subordinata.

27/10/2020

I LEGATI sono disposizioni testamentarie a titolo particolare.

Vi è differenza con l'istituzione d’erede che è invece una disposizione testamentaria a


titolo universale. La differenza è che con l'istituzione di erede il testatore (DE
CUIUS) assegna:

• o il suo intero patrimonio

• o quote del patrimonio.

Con i legati invece si assegnano singoli beni o singoli diritti.

Di conseguenza, nell’ipotesi d’istituzioni d’erede vi è un subentro dell’erede nella


posizione del De Cuius, cioè l’erede possiamo dire “continua” la vita del De Cuius
sotto il profilo patrimoniale.

Ciò non avviene coi legati poiché a quest’ultimi viene assegnato un singolo bene o un
singolo diritto, tant’è che una parte della dottrina ritiene che i legati non siano altro
che una forma di donazione. Si può accogliere questa idea dato che vi si ravvisa nella
donazione e nel legato un elemento comune cioè l’ATTO DI LIBERALITÀ, ovvero
un’assegnazione di beni ad un altro soggetto senza avere nulla in cambio.

Anche la materia dei legati è disciplinata da una antica disposizione delle 12 tavole.
Questa disposizione è simile in materia di Mancipatio Familiae. La disposizione è la
seguente:

UTI LEGASSIT SUAE REI ITA IUS ESTO= COSÌ COME SI SARÀ LEGATO
SULLA PROPRIA RES (sul proprio patrimonio), COSÌ SARÀ IL DIRITTO

In questa espressione ricorre l’imperativo futuro ESTO, una formula presente nelle
dodici tavole che sta ad indicare un obbligo, un ordine da parte del diritto.

“Uti legassit suae rei ita ius esto” è una previsione che riconosce il diritto
nell’introdurre nei testamenti queste disposizioni a titolo particolare.

L'istituto dei legati esiste dalle epoche più antiche di Roma e sulla natura di questo
istituto si è discusso a lungo. In particolare, un giurista di nome FIORENTINO, di
poco successivo a Gaio, sosteneva che i legati fossero una riduzione del patrimonio
ereditario dato che sostanzialmente esso era una disposizione a favore di un soggetto
diverso dall'erede e proprio per questo motivo si parla di riduzione del patrimonio,
perché tutti i beni di cui un soggetto disponeva a mezzo di legato vengono sottratti
all'erede.

I protagonisti della fattispecie del legato sono tre:

• il TESTATORE.

• l’ONORATO (Il legatario, colui che riceve il bene e quindi colui che
destinatario del legato).

• l'ONERATO (l’erede che subisce un peso, riceve un patrimonio decurtato dai


beni concessi al legatario).

Gaio nelle sue istituzioni individua quattro generi di legato che si distinguono a
seconda della formula adoperata dal testatore e in base ai rapporti che intercorrono tra
Onerato o Onorato:

• LEGATUM PER VINDICATIONEM

• LEGATUM PER DAMNATIONEM

• LEGATUM SINENDI MODO

• LEGATUM PER PRAECEPTIONEM

In ognuno di questi legati i rapporti tra onerato o onorato si articolano in modi diversi
e di conseguenza, seguono effetti diversi.
LEGATUM PER VINDICATIONEM

È il più antico e deve presentare la formula DO LEGO (assegno, attribuisco).

DO LEGO è un’endiadi ovvero due parole che esprimono la stessa cosa, tant’è vero
che assai spesso in questi legati o si trova solo DO o solo LEGO. Tuttavia, la formula
più corretta è quando si adottano entrambi i termini.

Attraverso questo legato, il testatore assegna un bene in proprietà al legatario oppure


assegna ad egli un DIRITTO REALE (ovvero dei diritti che si possono difendere
erga omnes, cioè contro tutti).

Il testatore assegna al legatario il diritto di proprietà su un bene del suo patrimonio o


un diritto reale come può essere ad esempio l’usufrutto, la servitù, la superficie o
l’enfiteusi.

In questa ipotesi l'erede non interviene, non entra in gioco perché vi è


un’assegnazione diretta, tant'è che qualora l'erede dovesse opporvisi, il legatario, pur
non essendo entrato nella disponibilità del bene può esercitare direttamente le azioni
processuali a difesa della proprietà o del diritto reale che gli è stato assegnato.

• REI VINDICATIO (azione a difesa della proprietà)

• VINDICATIO USUSFRUCTUS

• USUFRUCTUS DE SERVITUTIS.

Queste sono le azioni che poteva fare il legatario qualora l’erede o un terzo soggetto
si fosse opposto a che egli potesse acquistare e disporre di questi beni. Il bene non
passa quindi nella disponibilità dell’erede.

LEGATUM PER DAMNATIONEM

In questo caso la formula da adoperare è il sintagma DAMNAS ESTO (tradotto con


“sei obbligato a....” )

• DAMNAS ESTO IN DANDO (DARE)

• DAMNAS ESTO IN FACIENDO (FARE)

• DAMNAS ESTO NON FACIENDO (NON FARE)

Non apparivano tutte e tre le forme insieme.


Con questo legato, il testatore creava un obbligo in capo all’erede di DARE, di FARE
o di NON FARE. L’obbligo lo creava in forza di questa formula DAMNAS ESTO.

In questo caso non nasceva un diritto reale a favore del legatario, ma nasceva un
diritto di credito quindi un credito del legatario e un debito dell’erede.

L’erede era debitore di fare, dare o non fare qualcosa. Il legatario in questo caso
poteva agire soltanto nei confronti dell’erede e soltanto in riferimento alla prestazione
versata nel legato.

Questa forma di legato che diventerà la prevalente, ha un ambito di applicazione


vastissimo. Addirittura, il testatore poteva obbligare l’erede a dare beni altrui al
legatario.

AD ESEMPIO: se il testatore obbligava l’erede a dare al legatario la terra di Caio,


l’erede doveva comprare da Caio la terra per darla al legatario.

Mentre nella LEGATIO PER VINDICATIONEM, l’oggetto del legato poteva essere
esclusivamente un bene del patrimonio ereditario, in questo caso no, perché potevano
essere oggetto di obbligazione nascente dal legato un bene del patrimonio ereditario o
un bene dell’erede che non aveva acquisito tramite l’eredità o addirittura anche un
bene di un terzo.

Se si ha l’obbligo di dare al legatario la casa di un terzo e quindi l’erede, per


adempiere al suo dovere deve comprare la casa del terzo ma quest’ultimo non gliela
vende, succede che l’erede è liberato perché la prestazione è impossibile.

LEGATUM SINENDI MODO

Questo tipo di legato ha efficacia obbligatoria, cioè funziona come il precedente ma


con una precisazione. Nella formula doveva essere presente l'espressione SINERE,
quindi il legato doveva assumere questa formula:

HERES MEUS DAMNAS ESTO SINERE= IL MIO EREDE SIA OBBLIGATO


NEI CONFRONTI DEL LEGATARIO A SOPPORTARE…

SINERE significa proprio sopportare.

L’erede doveva quindi sopportare che ad esempio il legatario prendesse dei beni che
potevano essere o beni del patrimonio ereditario o dell'erede stesso, ma non di un
terzo.

Generalmente, affinché i legati possano avere efficacia, ci deve essere stata


l’accettazione dell’eredità, perché se non si accetta l’eredità, il testamento viene posto
nel nulla. Occorre quindi sempre la preventiva accettazione dell’eredità e
successivamente si procede.
Solitamente il testamento si apriva nel modo seguente:

• ISTITUZIONE D’EREDE

• EVENTUALI MANOMISSIONI DI SCHIAVI

• EVENTUALI NOMINE DI TUTORI

• DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE A TITOLO PARTICOLARE

LEGATUM PER PRAECEPTIONEM

In questo caso appariva l’espressione PRAECIPITO (cioè favorire un soggetto).

Questo tipo di legato avviene solo se ci sono più di un erede e in queste ipotesi, il
testatore decide di fare una preferenza, cioè ad uno dei due o tre eredi assegna un
bene in più. Quindi oltre ad assegnare le quote ereditarie, ad uno dei figli assegnava
un ulteriore bene a titolo di legato.

AD ESEMPIO: un padre avvocato ha tre figli, ad ognuno dà una quota d’eredità, ma


c’è un figlio tra i tre che esercita la professione l’avvocato, di conseguenza il padre,
che potrebbe avere elementi utili all’attività di avvocatura, li dà solamente al figlio
avvocato, perché agli altri due non servirebbero a niente.

Il LEGATO PER PRAECEPTIONEM è quindi una forma di legato nella quale si


tende a fare una preferenza a favore di uno dei due eredi.

Il bene non passa agli altri coeredi ma arriva direttamente in capo al legatario il quale,
ove gli altri eredi dovessero opporsi, ha a disposizione la REI VINDICATIO,
Vindicatio perché questi beni gli vengono assegnati in proprietà.

La fattispecie prevedeva l’esistenza di più eredi, di conseguenza se non ci fossero


stati più di un erede, non si sarebbe eseguito questo tipo di legato, ma piuttosto quello
per Vindicatio perché aveva effetti reali. Gli elementi di coincidenza tra il primo
legato e questo è il fatto che i beni passano direttamente al legatario.

Per lungo tempo in diritto romano è stata impedita l’istituzione d’erede EX


RECEPTA ovvero l’istituzione fatta in riferimento a specifici beni. Poi fu ammessa
nel periodo di Giustiniano.

Il concetto di QUOTA LEGITTIMA è inteso come quota che non si può sottrarre
agli eredi. Nasce nel diritto romano per limitare il legato, perché arrivati ad un certo
punto si poneva il rischio che all'erede restasse solo il nome, il NUDO NOME DI
EREDE dato che tutti bei venivano distribuiti ad altri.
A questo punto i romani si rendono conto che la situazione non può funzionare,
perché se al soggetto viene lasciato il nudo nome d’erede e di conseguenza nessun
bene, il soggetto non accetterà il testamento e quindi i legati non acquisteranno
efficacia.

Dapprima viene promulgata una legge, la LEX FURIA TESTAMENTARIA (200


a.C.) la quale prevedeva che i legati non potessero avere un valore superiore a 1000
assi (le assi sono una moneta antichissima che verranno poi sostituiti dai sesterzi.
1000 assi valevano 250 sesterzi più o meno).

Questa norma non risolveva il problema perché nell’ipotesi in cui un testatore, avesse
avuto un patrimonio di 10mila assi e avesse fato 10 legati da 1000 assi, nuovamente
l’erede rimaneva con nulla in mano.

Viene introdotta la LEX VOCONIA (169 a.C.) che verrà anche essa superata perché
non risolverà il problema. Infatti, essa stabiliva che un legato non poteva avere un
valore maggiore dei beni assegnati all'erede. Anche in questo caso però vi era il
rischio di lasciare pochissimo all'erede e fare piuttosto tanti legati di piccolo valore ad
altri.

Viene introdotta infine la LEX FALCIDIA (40 a.C.) risolve il problema stabilendo
che l’istituito erede doveva ricevere ALMENO il 25% del patrimonio ereditario. Se il
testatore avesse fatto legati tali da non permettere ciò, si sarebbe agito in riduzione,
cioè i legati venivano ridotti proporzionalmente al fine di raggiungere il 25% del
patrimonio da assegnare l'erede.

I militari potevano disinteressarsi della Lex Falcidia e potevano quindi distribuire il


loro patrimonio in legati. Il testamento per questa categoria di soggetti poteva
prevedere anche solo legati senza l’istituzione d’erede, cosa che invece era
impossibile nel testamento civile.

SUCCESSIONE SENZA TESTAMENTO

Essa era la forma primordiale di successione ereditaria, tant'è che vi erano delle forti
limitazioni alla possibilità di testare. Infatti, bisognava aspettare che l’esercito fosse
schierato in battaglia, o che si svolgesse la riunione dei comizi curiati.

La prima forma accettata di successione ereditaria è la SUCCESSIONE SENZA


TESTAMENTO perché si riteneva che i beni dovessero restare all’interno della
famiglia, del patrimonio familiare piuttosto che darlo a terzi.

Nelle fasi più arcaiche era molto difficile ricorrere al testamento e la forma generale
della successione ereditaria era la SUCCESSIONE LEGGITTIMA, ovvero quella
prevista dalla legge. È la legge quindi che predeterminava in astratto i soggetti
chiamati a prendere l’eredità.

All’interno delle XII tavole vi è un versetto che disciplina la successione legittima:


SI INTESTATO MORITUR CUI SUUS HERES NEC ESCIT, ADGNATUS
PROXIMUS FAMILIAM HABETO. SI ADGNATUS PROSIMUS NEC ESCIT,
GENTILES FAMILIA HABETO= SE UN TALE SIA MORTO SENZA FARE
TESTAMENTO E NON ABBIA UN SUUS HERES, LA FAMIGLIA (ovvero il
patrimonio ereditario, quindi le ricchezze materiali della famiglia) SPETTERÀ
ALL’ADGNATUS PROXIMUS, SE NON CI SARÀ NEANCHE EGLI, LA
FAMIGLIA SPETTERÀ AI GENTILES

La norma ha un’impostazione particolare, perché parte con due negazioni, ovvero


quella del morire senza testamento e quella dell’assenza di un Suus Heres.

Questa norma, in primo luogo individua che la famiglia spetta agli Adgnati o
eventualmente ai Gentiles e in secondo luogo dà per presupposto che se c’è il Suus
Heres, l’eredità spetta a lui, mentre tutti gli altri non subentrano, non hanno alcun
diritto, rimangono esclusi.

La norma riconosce quindi un diritto naturale, preesistente dei SUI HEREDES ad


acquisire l’eredità. Tant’è che gli Adgnati non sono chiamati eredi e infatti loro non
ricevono l’ereditas ma ricevono la Familia.

Gli unici che possono acquisire l’eredità e il nome di eredi in tutto e per tutto sono i
Sui Heredes. Sono dei successori naturali.

I Sui Heredes sono tutti i soggetti sottoposti alla potestas del padre ma con una
precisazione, ovvero tutti i soggetti sottoposti in primo grado alla potestas del padre,
quindi solo i figli (maschi e femmine) ma non i nipoti. I sui Heredes subentrano in
parti uguali.

In questa categoria rientra anche la moglie sposata con la manus, il figlio in adoptio e
anche i figli che erano usciti e rientrati nella potestas.

I nipoti invece non rientrano in questa categoria a meno che il loro padre non sia
premorto AD ESEMPIO:

• F = Padre

• B1 = Primo Figlio

• B2 = Secondo figlio

F, padre di B1 e B2 muore prima che muoia il nonno dei suoi due figli.

B1 e B2 subentreranno ma nella quota che spettava al padre, quindi prenderanno il


terzo che spettava al padre, subentrano perciò nella posizione del padre che è
premorto. Questo istituto si chiama RAPPRESENTAZIONE nel senso che i figli
rappresentano il padre e si ha l’ipotesi di SUCCESSIONE PER STIRPE

28/10/2020

Nell’ambito della successione senza testamento esiste un versetto fondamentale delle


XII tavole nella quale si dà per presupposto che l’erede naturale sia il SUUS HERES
cioè il figlio in potestate o qualsiasi soggetto in potestate ( anche un soggetto che si
trova sotto la potestà a seguito di Adrogatio o Adoptio e anche la moglie che ha
contratto matrimonio Cum Manu la quale si trova quindi in posizione di loco Filiae).

A Roma le figlie e i figli ereditano allo stesso modo e nella stessa misura, non c’è una
discriminazione patrimoniale ma piuttosto una discriminazione nella gestione, in
quanto la donna è sempre sottoposta a tutela quindi nel gestire questi beni dovrà a
partire da una certa epoca, seppur formalmente, ottenere l’autorizzazione del tutore.

I soggetti ereditano in parti uguali ma in un’epoca molto antica, gli eredi tendevano a
non dividere il patrimonio costituendo il CONSORTIUM ERCTO NON CITO
(che sarà anche all’origine di uno dei contratti più importanti cioè il contratto di
società).

I figli lasciavano quindi il patrimonio ereditario indiviso perché Roma aveva un


ordinamento sociale di tipo timocratico e ciò significava che più un soggetto era ricco
più aveva peso politico.

Di conseguenza, mantenendo il patrimonio unito questo peso politico era maggiore.

Il patrimonio era amministrato secondo le regole del condominio: i parenti che


avevano questo patrimonio comune dovevano accordarsi su ogni aspetto e bisognava
anche tenere conto del fatto che a ognuno spettasse il diritto di veto quindi occorreva
sempre l’unanimità .

Questo è un istituto molto antico che poi nella Roma repubblicana, verso quindi il
III/II secolo a.C. scomparve ed inoltre, da un punto di vista teorico è un ulteriore
aspetto che pone in crisi un punto della famosa teoria di Bonfante sul diritto delle
successioni. Infatti, quest’ultimo sosteneva che la successione sarebbe stata utilizzata
nell’antica famiglia romana per individuare l’erede.

Esiste un rilievo di archeologia libraria che ci ha permesso di venire a conoscenza di


questo istituto che non c’è quindi pervenuto attraverso il manuale di Gaio trovato
nella biblioteca capitolare di Verona nel 1816, ma attraverso un papiro trovato in
Egitto il quale conteneva anch’esso le Istituzioni di Gaio.
Ci troviamo al cospetto di due versioni delle istituzioni di Gaio:

• Il Gaio “veronese” che non parla del consortium;

• Il Gaio “egiziano” che discute di questa fattispecie;

Molto probabilmente si trattavano di due edizioni diverse, una di più ampia portata
magari destinata a studiosi che avevano anche interesse ad approfondire fenomeni
ormai desueti, l’altra invece era più rivolta agli studenti e quindi visto che l’istituto
non si applicava più non è stato citato.

Esisteva uno strumento che serviva a procedere alla divisione ossia l’ACTIO
FAMILIAE ERCISCUNDA (azione di divisione della famiglia, dove per “famiglia”
si intendeva il patrimonio).

Il Suus era erede necessario, non poteva rinunciare all’eredità né doveva accettarla
dato che il passaggio del patrimonio avveniva in automatico (anche se lui non
dichiarava di accettare, comunque ha dato il consenso). Non gli è data quindi facoltà
di scelta.

Si tratta di successione senza il testamento perché se vi fosse il testamento


significherebbe che l’erede sia stato diseredato poiché, se un de cuius voleva far
pervenire i suoi beni al Suus non avrebbe avuto bisogno di fare testamento (e quindi
convocare i testimoni, il libri pens e tutte le altre figure).

ES: Se un pater avesse voluto lasciare tutti i bene al suo amico Caio senza specificare
di aver diseredato il Suus, il testamento non avrebbe avuto validità dato che il Suus
doveva essere espressamente diseredato.

Gli ADGNATI sono coloro che sono legati dal vincolo di Adgnatio, coloro che
discendono da un comune pater Familias ma sono legati in linea collaterale. Il più
prossimo degli Adgnati è il FRATELLO o la SORELLA e poi lo ZIO
eventualmente.

Nella figura degli Adgnati rientrava anche la MADRE sposata Cum manu ed essendo
loco sororis rispetto ai propri figli, viene prima dello zio.

In questa categoria rientrano anche i soggetti con i quali si è costituito il vincolo di


Adgnatione con l’ADROGATIO e con l’ADOPTIO ( nel momento in cui c’è
l’Adoptio il soggetto adottato diventa filius del pater e diventa fratello dei figli del
pater che lo ha adottato).

L’Adgnatio subentra qualora non ci sia un figlio. Infatti, nel versetto decemvirale si
afferma che qualora non ci fosse un Suus Heres la famiglia (il patrimonio) dovesse
andare all’Adgnato Proximo.
Tutte queste figure sono considerate come fratelli con l’unica differenza che in un
caso la fratellanza è di sangue mentre in altri essa è stata costituita artificialmente
attraverso dei meccanismi giuridici. Nel caso degli Adgnati non opera la successione
per stirpe ma opera la SUCCESSIONE PER CAPITA.

ES: Se un soggetto ha tre fratelli ed è sposato Cum manu, alla morte di questo tutto il
patrimonio va alla moglie e non ai fratelli perché rispetto agli altri soggetti lei è nella
posizione di Suus.

ES: Un soggetto non ha Sui Heredes (non ha figli, non ha fatto adozioni, non si è
sposato Cum manu) ma ha tanti fratelli: entrano in campo gli Adgnati. Ha tre fratelli
che sono i suoi Adgnati Proximi e quindi ognuno riceverà in parti uguali l’eredità
(1/3 per ciascuno). Se morisse uno dei fratelli avente due figli ci sarebbero due
ipotesi:

• se i fratelli sopravvivessero, i nipoti non prenderebbero l’eredità dello zio

• se i due fratelli moriranno, la quota del patrimonio non verrà divisa tra i nipoti
che si prenderebbero la parte del genitore e se ci fossero 4 nipoti il patrimonio
verrà suddiviso in 4 parti proprio perché questi subentrano per capita.

Il fatto che si parli di Adgnati Proximi esclude la successione per stirpe.

È importante il criterio di vicinanza che si calcola in base a quanti soggetti ci sono dal
capostipite (prima si scende e poi si sale): si deve considerare la maggiore vicinanza
cioè quante persone ci sono tra il soggetto che deve devolvere la propria eredità e
coloro che sono chiamati a succedere (nella gran parte dei casi eredita il fratello).

I LIBERTI hanno soltanto i Sui Heredes quindi l’Adgnato del liberto è il patronus
ossia il soggetto che lo aveva manomesso ( se il patronus fosse morto sarebbe
subentrata la famiglia del patronus stesso).

Se un uomo non avesse avuto Adgnati fino al sesto grado, sarebbero subentrati i
Gentiles ovvero tutti coloro che avevano lo stesso nomen gentilizio (ES. Giulio
Cesare, Giulio è il nomen gentilizio) ma non si hanno informazioni su come ciò
avvenisse perché molto probabilmente quest’ipotesi di successione della Gens fu ben
presto superata.

Durante il periodo dell’imperatore Adriano questo sistema fu in parte riformato per


rispondere a un’esigenza molto concreta cioè quella di inserire in questi articolati
meccanismi anche la moglie sposata SINE MANUS perché ormai in quell’epoca la
manus era un relitto archeologico, i matrimoni avvenivano ormai al 99% senza la
manus.
Si pose così il problema del fatto che la madre non avrebbe potuto acquisire l’eredità
di diritto civile del figlio e viceversa.

Per far fronte a questo problema furono prolungati due Senatus Consultum:

• SENATUS CONSULTUM TERTULLIANUM= stabilì che qualora un soggetto


sui iuris fosse morto senza Sui Heredes, sarebbe entrata in successione come Adgnata
Proxima anche sua madre (in parità con gli eventuali fratelli di questo soggetto)
benché non fosse legata dal vincolo di Adgnatio perché sposata sine manu al padre di
questo soggetto morto. La madre sarebbe subentrata anche se si fosse sposata sine
manu con un altro uomo diverso dal padre poiché si tendeva a dare rilievo al vincolo
di sangue, alla COGNATIO.

• SENATUS CONSULTUM ORFITIANUM (180-198 d.C.): faceva riferimento


all’ipotesi in cui la madre fosse morta prima del figlio. In questo caso si stabilì che
anche se la madre si fosse sposata sine manu (quindi con un proprio patrimonio) con
il padre di questo soggetto preso in considerazione, i figli sarebbero succeduti alla
madre.

Attraverso questi due provvedimenti del senato si fingeva che si fosse costituita
l’Adgnatio tra questi soggetti proprio per consentire al figlio e alla madre di avere
rapporti di diritto successorio fondati sullo ius civile: il figlio avrebbe avuto una
posizione migliore rispetto agli Adgnati Proximi, avrebbe avuto la precedenza.

Qui si era già superata la fase in cui il tutore legittimo della donna era anche il suo
Adgnatus Proximus, in quanto questa figura era stata abrogata dall’imperatore
Claudio proprio per evitare che potesse sorgere un conflitto di interessi tra il tutore e
la donna nel momento in cui questa avesse deciso di fare testamento.

Prima del Senato Consulto Orfiziano, era già stato il pretore, intorno alla fine del I
sec a.C. a cercare di dare rilievo al vincolo di sangue (Cognatio) creando il sistema
delle BONORUM POSSESSIONES (possesso dei beni). Sostanzialmente il pretore
che non avrebbe potuto concedere l’eredità, immetteva alcuni soggetti nel possesso
dei beni ereditati che avrebbero acquistato la proprietà attraverso l’usucapione.

Si iniziò a dare più rilievo al legame di sangue perché a Roma iniziarono a confluire,
a seguito della conquista della Grecia, nuove idee che si fondavano su principi di
equità e che consideravano ingiusto ritenere parenti soltanto le persone con le quali si
fosse costruito un vincolo giuridico. Un passo di Orazio descrisse bene questo
processo:

GRAECIA CAPTA FERUM VICTOREM CEPIT= ROMA CONQUISTÒ LA


GRECIA, MA NE RESTÒ CONQUISTATA.

Come tutte le operazioni di conquista, anche quelle culturali subirono forti resistenze,
tanto che a Roma si aprì un forte dibattito tra i gruppi dirigenti dell’Urbe su come
avrebbero dovuto comportarsi rispetto a queste nuove idee. In una prima fase
prevalse un approccio conservatore (il Senatus Consultum De Bacchanalibus era
figlio di questo approccio) e l’alfiere di ciò fu Catone.

La famiglia più illustre di Roma, quella degli SCIPIONI (*coloro che avevano vinto
su Cartagine facendo contento Catone, il quale si recava sempre in Senato con dei
fichi freschi provenienti da Cartagine per dimostrare che se la frutta arrivasse così
fresca ciò avrebbe significato che Cartagine fosse dietro l’angolo rappresentando un
pericolo per Roma quindi si sarebbe dovuto procedere alla sua distruzione; tutta
questa discussione si inserì nella visione Tucididea sul fatto che se ci fossero state
due potenze vicine, prima o poi sarebbero arrivate allo scontro, schema che Tucidide
applicò nella guerra tra greci e persiani, ma anche tra Atene e Sparta, odierna
Tunisia*), famiglia di rilevante peso politico, salvatori della patria e coloro che si
aprirono a queste nuove idee provenienti dalla Grecia.

A Roma si svolse un dibattito su come porsi rispetto a queste nuove idee, al punto che
questa discussione fu portata in Senato.

I senatori dissero che non avrebbero potuto decidere in via pregiudiziale e quindi
decisero di convocare una delegazione di filosofi ateniesi a Roma affinché li
potessero convincere ad accogliere queste nuove idee.

In questa delegazione di filosofi vi fu anche Carneade, il quale insieme ad altri due si


recò al senato romano e tenne una relazione di due giorni: il primo giorno esaltò le
virtù della GIUSTIZIA (valore fondante di ogni società, il principio assoluto a cui
doveva ispirarsi l’agire umano) mentre il giorno seguente sostenne il contrario cioè
che la giustizia non esistesse, che la giustizia fosse l’idea del più forte che voleva
farla passare come idea migliore. I romani stupiti cacciarono questa delegazione
ateniese.Carneade cercò di spiegare il concetto di relatività e introdusse la dialettica
nel modo di ragionare dei romani.

Inizialmente, anche se per poco, i romani respinsero queste idee, poi però prevalsero
(anche grazie al peso politico degli Scipioni) tanto che anche il procedimento
dialettico fu posto alla base di tutti gli scritti dei saperi tecnici del mondo latino. È a
partire da questo momento che all’ambito giuridico venne applicato lo schema Genus
Species. È a partire da questo momento che si superò l’idea che la famiglia fosse
soltanto quella fondata sui vincoli giuridici e si iniziò a dar rilievo al vincolo di
sangue.

Il primo a recepire queste idee fu il pretore, in quanto attraverso il suo editto aveva
una maggiore agilità nell’intervenire e modificare alcuni schemi di funzionamento
del diritto, creando così le BONORUM POSSESSIONES.

Nella BONORUM POSSESSIO SINE TABULIS, il pretore interveniva sulla


successione ab intestato cambiando le regole previste dal versetto decemvirale
secondo cui i primi ad ereditare sarebbero stati i Sui Heredes, poi gli Adgnati Proximi
e infine i Gentiles. Il pretore individuò nel suo editto nuove categorie di successibili
(ogni categoria escludeva l’altra):
• UNDE LIBERI: Tutti i FIGLI DI SANGUE che si aggiungevano a quelli
sotto la potestas del padre, per filiazione naturale oppure costituita per mezzo
dell’Adrogatio, dell’Adoptio o della manus. Avrebbero potuto richiedere il
possesso dei beni ereditari del pater anche i FIGLI EMANCIPATI oltre a
quelli rimasti sotto la potestas del padre.

A differenza della successione legittima, in cui gli eredi diventavano direttamente


proprietari, qui i figli emancipati acquisivano il possesso dei beni e per
divenire proprietari occorreva il decorso dei termini affinché maturasse
l’USUCAPIONE (modo di acquisto della proprietà che si ha con il possesso di
una cosa prolungato nel tempo).

Questa nuova categoria degli Unde Liberi, avrebbe potuto creare delle ingiustizie
nei confronti dei figli rimasti sotto la potestas del padre, in quanto questi ultimi
non avevano potuto sfruttare le proprie capacità lavorative perché tutto quello
che avevano guadagnato era andato al pater mentre il figlio emancipato, nel
momento in cui si era tolto il vincolo di Adgnatio, ciò che aveva guadagnato
con il suo lavoro era divenuto di sua proprietà. Esisteva quindi il rischio che il
figlio emancipato avesse potuto ereditare il patrimonio del padre, arricchito
grazie al lavoro dei figli rimasti sotto la sua potestà.

Per evitare una disparità di trattamento il pretore creò un istituto: la COLLATIO


BONORUM ( esiste tutt’oggi come collazione dei beni) nella quale, se il
figlio emancipato fosse voluto entrare nel possesso dei beni del de cuius,
avrebbe dovuto collazionare il suo patrimonio a quei beni, in modo da dividere
tutto, anche quello che si era guadagnato, ponendosi in una condizione
paritaria rispetto ai fratelli.

Oggi questo istituto si applica in maggioranza in presenza di donazioni, ovvero se


un soggetto ha ricevuto tante donazioni in vita da chi gli lascia l’eredità, se poi
vuole partecipare all’eredità deve apportare i beni ottenuti in donazione al
patrimonio comune. Questo viene fatto per evitare che si partecipi due volte:
prima attraverso le donazioni e poi attraverso la partecipazione alla
successione.

Oggi il rischio è quello di ledere la quota indisponibile degli altri eredi. In questa
categoria operava il meccanismo della rappresentazione come per i Sui
Heredes.

• UNDE LEGITTIMI: Gli Adgnati Proximi.

• UNDE COGNATI: Tutti coloro che avessero avuto un vincolo di sangue,


quindi in questo caso è compresa anche la madre sposata sine manu al pater del
soggetto preso in considerazione che sarebbe potuta entrare in possesso dei
beni del figlio ( i senati consulti successivi furono necessari perché attraverso
quelli la madre avrebbe avuto la proprietà dei beni, in questo caso invece
sarebbe solo entrata in possesso dei beni del figlio.Inoltre, negli altri due casi la
madre sarebbe entrata in proprietà dei beni non come cognata ma come
legittima).

• UNDE VIR ET UXOR: Si riconobbe la possibilità per la moglie o per il marito ( a


seconda di chi fosse morto prima) di entrare nel possesso dei beni del patrimonio
dell’altro.

BONORUM POSSESSIO SECUNDUM TABULAS

BONORUM POSSESSIO CONTRA TABULAS

Dall’analisi di queste figure emerse in primo luogo il rilievo assegnato alla Cognatio
e in secondo luogo l’applicazione di criteri equitativi volti a rendere più elastici i
criteri di diritto successorio romano.

Il pretore introdusse questi istituti in quella che era la sua funzione di correggere il
diritto civile, tanto che alcune di queste correzioni vennero recepite anche dal diritto
civile stesso con i due senati consulti.

Attraverso questi meccanismi i soggetti chiamati a succedere sarebbero entrati nel


possesso dei beni e con il tempo il POSSESSO,( situazione di fatto che assomiglia
alla proprietà, ma che non è tale perché manca l’atto genetico del diritto di proprietà e
occorre che colui che possiede si comporti come se fosse il proprietario. Questo tipo
di situazione viene poi sanata dal diritto dopo un certo decorso di tempo,
trasformandosi in proprietà sempre che non vi siano opposizioni dato che il possesso
di usucapione può essere interrotto) si sarebbe trasformato in PROPRIETÀ ( diritto
derivante da un atto preciso e difeso da azioni).

POSSESSO PROPRIETÀ

situazione di fatto diritto

Il tempo a Roma era relativamente breve, almeno in una prima fase:

• Per quanto riguarda i BENI MOBILI= un anno

• Per quanto riguarda i BENI IMMOBILI= due anni

Nel tardo antico (dopo Costantino) anche a Roma, come è tutt’oggi, il tempo
necessario all’usucapione sarebbe divenuto VENTENNALE.

Prima che il tempo necessario all’usucapione fosse finito ( prima che fosse decorso
uno dei termini scritti in precedenza), il pretore avrebbe protetto questo possesso,
attraverso uno strumento chiamato INTERDICTUM QUORUM HONORUM, un
ordine secondo il quale se un terzo avesse turbato quel possesso, il pretore gli avrebbe
vietato di farlo.

La formula precisa era:

VIM FIERI VETO= TI VIETO DI FARLO

Esisteva solo uno strumento rispetto al quale l’ordine del pretore si sarebbe potuto
bloccare ed era il fatto che colui che avesse turbato il possesso:

• avesse esibito un testamento;

• avesse potuto vantare un diritto di successione fondato sullo ius civile.

02/11/2020

Vi sono altri due ipotesi di BONORUM POSSESSORIUM:

• BONORUM POSSESSIO SECUNDUM TABULAS= (ovvero possesso dei


beni secondo le tavole del testamento). In questo caso è evidente che il
testamento ci sia, ma che presenta dei vizi formali tali da renderlo nullo per il
diritto civile. In particolare, si ricorre a questo strumento quando vi sia stato un
errore nell’istituzione d’erede (non è stata svolta secondo le formule indicate),
oppure quando l’istituzione d’erede non sia stata collocata all’inizio del
testamento. Per il resto il testamento presenta i sigilli dei sette testimoni. Il
pretore concede la bonorum possessio quando il testamento è affetto da un
vizio formale, ma si tratta di un testamento nel quale risulti chiara la volontà
del testatore, siano presenti i sette sigilli dei testimoni, e al tempo stesso non
devono esservi manomissioni (corruzione del testo del testamento, ovvero
l’atto testamentario non deve essere corrotto da atti successivi). In presenza di
questi tre elementi, ovvero la chiara volontà del testatore, le sette firme dei
testimoni e la circostanza che il testamento risulti comunque autentico, il
pretore immette gli eredi nel possesso secondo quello che è scritto nel
testamento, non tenendo conto degli errori formali in esso previsti. Fino a quel
momento questi errori formali ponevano nel nulla il testamento, con la
conseguenza che si apriva poi la successione prevista dalle 12 tavole.
• BONORUM POSSESSIONES CONTRA TABULAS / COLLATIO
BONORUM CONTRA TABULAS= ( CONTRO IL TESTAMENTO ): Ben
presto a Roma fu introdotta una regola che è la seguente: i SUI HEREDES o
devono essere istituiti eredi, o devono essere diseredati espressamente. Gaio
sostiene:

SUI HEREDES AUT INSTITUENDI SUNT AUT EX HEREDANDII

GLI EREDI SUOI SI DEVONO ISTITUIRE O DISEREDARE

Il padre non può evitare di menzionare i suoi figli nel testamento, o nel senso che
siano istituiti, o nel senso che siano diseredati. Addirittura, si prevedeva che
anche la diseredazione debba avvenire, dice Gaio, NOMINATIM, cioè deve
essere chiaramente menzionato anche il nome del figlio diseredato (es. non era
sufficiente dire” diseredo i miei figli”).

Questo perché diseredare i propri figli, a Roma, non era visto di buon occhio,
quindi cominciarono ad essere imposte delle limitazioni formali.

Non sappiamo qual è il momento a partire dal quale questa regola viene fissata,
perché inizialmente, con il testamento Calatis Comitiis (una delle forme più arcaiche
di testamento) si potevano istituire soltanto i figli per distribuire i beni a quote diverse
da quelle previste dalla successione legittima (che prevedeva una divisione in parti
uguali). Molti studiosi odierni ritengono che fu proprio all’interno del testamento
calatis comitiis che si iniziò a dover dichiarare la necessità di istituire eredi o di
diseredare i propri figli. Da questo punto di vista c’è chi ritiene che anche la
mancipatio familiae doveva essere preceduta da un testamento calatis comitiis nel
quale si diseredavano espressamente i propri figli. Il professor Dursi non è d’accordo
su questa impostazione per due motivi:

• Imporre la necessità di un preventivo calatis comitiis vanificava l’utilità della


Mancipatio Familiae.

• La Mancipatio Familiae è un negozio inter vivos, non è un atto mortis causa,


quindi non è un testamento.

Diverso è il caso per il testamento Aes et Libram (che si ha quando tutto il


meccanismo della mancipatio familiae diventa una pura formalità e i beni vengono
direttamente destinati all’erede), perché in questo caso occorreva necessariamente
procedere all’istituzione o alla diseredazione dei Sui Heredes.
La formula della diseredazione doveva essere uguale e contraria a quella
dell’istituzione. Se non ci fosse stata la formula di diseredazione, il testamento
sarebbe caduto nel nulla e quindi si apriva la successione senza il testamento, con la
conseguenza che il figlio diseredato diventava erede (poiché la successione legittima
prevede che i beni vadano al Suus Heres).

Se si fosse trattato di altri soggetti sotto la potestà del pater, ad esempio i nipoti, in
questo caso il testamento non veniva posto nel nulla.

ES. Tizio muore prima di suo padre, ma quest’ultimo aveva due figli. Se il nonno
(quindi il padre di Tizio) dimentica di diseredare espressamente i nipoti, il testamento
non viene posto nel nulla ma il pretore riconosce a questi soggetti, la quota spettante
in base alla successione legittima, che verrà ricavata andando a ridurre le quote di
eredità destinati agli eredi indicati nel testamento.

Quando si stabilì che anche il figlio emancipato dovesse essere considerato nella
categoria dei liberi, si stabilì che all’interno del testamento, dovesse essere egli stesso
istituito o diseredato. Quindi, ove non fosse stato istituito o diseredato, il testamento
subiva delle modifiche, ma in questo caso non cadeva nel nulla.

Il figlio emancipato poteva andare dal pretore a chiedere la BONORUM POSSESSIO


CONTRA TABULAS (contro le tavole del testamento) ma doveva effettuare la
COLLATIO BONORUM, proprio per evitare che si creassero disparità di
trattamento.

PRETERIZIONE: i figli non vengono menzionati nel testamento, vengono esclusi.

Un’altra ipotesi è la QUERELA INOFFICIOSI TESTAMENTI che significa


AZIONE PER IL TESTAMENTO INOFFICIOSO (ipotesi di successione contro la
volontà del testatore).

È un ulteriore modo attraverso cui gli eredi possono ottenere l’eredità contro le
volontà del loro pater. In questo caso vi è un testamento perfetto, cioè un testamento
in cui i figli sono stati espressamente diseredati, ma che viene considerato un
testamento ingiusto e quindi i giuristi e gli avvocati, iniziano a studiare come porre
nel nulla un testamento che dal punto di vista formale è ineccepibile. Questa azione è
influenzata molto dalla cultura Greca, perché replica un’azione usata nei tribunali ad
Atene che si chiama AZIONE DELLA PAZZIA. I giuristi romani, sull’esempio di
quanto era stato elaborato in Grecia, iniziano a sostenere che il padre che avesse
diseredato completamente i propri figli fosse pazzo e che avesse redatto il testamento
in COLOR INSANIAE, cioè avesse scritto il testamento in un momento in cui non
ragionava. Quindi il testamento del pazzo cadeva nel nulla.

I figli diseredati riuscivano quindi a riprendere l’eredità (ovviamente dopo un


processo che verificava la mancata lucidità del padre nel momento della stesura del
testamento).
In origine la Querela Inofficiosi Testamenti poteva essere esperita soltanto dai figli,
successivamente si allargò la possibilità anche alla moglie, e anche alla madre nei
confronti dei figli e viceversa.

In età severiana viene introdotta un’altra regola: se i figli avessero comunque ottenuto
una parte di eredità pari al 25%, a quel punto tutto il resto dell’eredità poteva andare a
chi piaceva.

Così nasce il concetto di QUOTA EREDITARIA INDISPONIBILE ovvero quella


parte dell’eredità che deve andare necessariamente ai figli di cui non si può quindi
disporre.

Tutt’oggi il padre non può diseredare completamente i figli, salvo non ricorrano
ipotesi di indennità o di altra natura.

DIRITTI REALI

Sono quei diritti che l’ordinamento giuridico tutela nei confronti di tutti i consociati,
vi è dunque una tutela ERGA OMNES, cioè verso tutti.

DIRITTI REALI: “reali” deriva da RES cioè “Cosa”. Sono quindi quei diritti che
implicano un rapporto diretto tra l’individuo e la res.

DIRITTI REALI DIRITTI RELATIVI

Possono farsi valere verso tutti Possono farsi valere soltanto

nei confronti di un preciso

soggetto.

Il punto di partenza è il concetto di COSA, che in senso giuridico è intesa come una
porzione di realtà che può essere oggetto di rapporti patrimoniali.

I giuristi romani elaborano tutta una serie di classificazioni di res. Gaio, che introduce
una prima classificazione, sostiene che le cose sono o in patrimonio o fuori dal nostro
patrimonio.

LE COSE IN PATRIMONIO= sono quelle su cui sussiste un diritto reale di un


soggetto.

LE COSE EXTRA PATRIMONIUM= sono quei beni sui quali non vi è in atto un
diritto reale di un soggetto.

Questa distinzione generalmente viene paragonata ad un’altra distinzione delineata da


POMPONIO, tra Res In Commercio e Res Extra Commercium.

Le RES IN COMMERCIO sono i beni su cui possono sussistere rapporti giuridici


(es. beni che si possono acquistare).
Le RES EXTRA COMMERCIUM sono i beni sulle quali non possono sussistere
rapporti giuridici privati.

Gaio introduce poi una summa divisio tra RES UMANI IURIS(cose di diritto
umano) e RES DIVINI IURIS (cose di diritto divino).

RES UMANI IURIS RES DIVINI IURIS

Sono pubblicae e privatae possono essere res sacrae, res

religiosae e res sanctae.

• Le RES SACRAE sono i beni dedicati al culto degli DÈI SUPERI cioè gli dèi
a cui vengono dedicati i templi. Affinché una res diventi res sacrae occorrono
delle procedure.

In primo luogo, se si tratta di beni pubblici, occorre la DEDICATIO, che è un


provvedimento del senato attraverso la quale il bene viene dedicato ad una
divinità, e successivamente la CONSACRATIO ovvero una procedura
religiosa in cui il pontefice massimo svolgeva un rito con il quale questo bene
veniva consacrato alla divinità prescelta.

Qualora il bene fosse stato di un privato, occorreva la preventiva volontà del


privato di destinare questo bene alla divinità. Nel momento in cui la res
diventava res sacrae, diventava res extra commercium.

Inoltre, il furto di una res sacrae dava luogo ad un crimen gravissimo, il


SACRILEGIO.

• Le RES RELIGIOSAE invece sono dedicati agli antenati morti e sono di due tipi:

• 1) IUS INFERENDI= il diritto di seppellire i morti e questo diritto può


appartenere o al proprietario del fondo o può essere acquistato.

• 2) IUS SEPOLCRI= il diritto di commemorare i propri defunti.

03/11/2020

Con l’impatto del Cristianesimo, nel diritto romano la distinzione tra res sacrae e res
religiose viene meno, questo perché i morti, quantomeno quelli di alto lignaggio,
venivano sepolti nelle chiese.
Si nota quindi come da una parte i luoghi destinati al culto dei defunti iniziano ad
essere le chiese stesse e dall’altra il fatto che per il Cristianesimo non vi era più
alcuna distinzione tra Mani e dèi Superi dato che vi era una sola divinità, ovvero Dio.

Iniziava a prevalere la prassi di seppellire i defunti nelle chiese e questa sarà proprio
una delle ragioni per cui si arriverà all’Editto di Saint Cloud con Napoleone, dato che
si rischiava di creare enormi problemi igienico-sanitari.

Con il diritto romano cristiano restano solo le res sacrae che comprendono anche le
vecchie res religiose. Nei cimiteri venivano edificate delle chiese per simboleggiare
questa nuova categoria delle res sacrae che rispondeva al culto della nuova religione
che eliminava tutte le divinità del mondo pagano, per sostituirle con le figure dei
SANTI. (ES. Nel mondo pagano c’era la divinità che proteggeva gli artigiani così nel
Cristianesimo si creano queste nuove figure come ad esempio San Giuseppe che
protegge gli artigiani).

RES SANCTAE

Sono i confini, le mura e le porte delle città. Si tratta di beni dedicati alla divinità
Iuppiter Terminalis, il Giove protettore dei confini.

ES. Possiamo rintracciare un reperto archeologico nel nome di molte stazioni


ferroviarie come ad esempio Termini.

Gaio precisa che le res sanctae non sono in tutto e per tutto da considerarsi res divini
iuris ma sono assimilabili ad esse e afferma che in realtà sono beni a metà strada tra
res pubblicae (res humani iuris) e res divini iuris.

Assomigliano alle res publicae perché evidentemente le porte di una città o le mura
sono state costruite non con la finalità di perseguire un culto ma per proteggere la
città. Tuttavia, si può chiamare a protezione della città anche una divinità, quindi la
finalità di questi beni non è quella di svolgere i culti per una divinità come il Tempio
ma allo stesso tempo, per rafforzare la finalità di protezione si chiama a difendere
questi specifici beni GIOVE, il Protettore dei Confini.

RES HUMANI IURIS

La prima categoria delle res humani iuris è quella delle RES PUBLICAE che si
articolano in tre sottocategorie:

• RES PUBLICAE IN USU PUBBLICO (cose pubbliche in uso pubblico):


sono ad esempio le strade, le piazze, i teatri o altri beni che sono rimessi
immediatamente e quotidianamente all’utilizzo diretto del popolo romano.

• RES PUBLICAE IN PATRIMONIO FISCI ( cose pubbliche nel patrimonio


del fisco): sono i beni destinati a specifiche finalità da parte dello Stato, non
possono essere quindi direttamente utilizzate da qualsiasi cittadino.
ES. L’ARMATURA DI UN SOLDATO: essa a partire da quando si passa
dall’esercito degli eroi all’esercito di popolo, è una res publica perché fornita
dallo stato ma finalizzata allo scopo di vestire un soldato per la guerra.

ES: LE MINIERE ( un semplice cittadino non può andare nelle miniere e prendere
da solo il carbone perché è una res publica ma è utilizzata per specifiche
finalità dello Stato.)

• RES PUBLICAE CHE LO STATO UTILIZZA A SCOPI


PRIVATISTICI: sono beni utilizzati dal populus Romanus secondo gli
schemi del diritto privato, cioè i beni che si utilizzano in rapporti commerciali
con privati.

ES: Uno schiavo divenuto pubblico, il quale può essere venduto o locato ( dato in
affitto) dal populus romano ad un privato.

La categoria più importante che rientra in queste res publicae è l’AGER PUBLICUS
ovvero le terre conquistate ai nemici, che lo Stato di volta in volta vende o dà in
affitto o dà in concessione. Questi Ager Publicus erano anche terre che il populus
Romanus donava ai veterani.

In origine si riteneva che su questi beni esistesse una comproprietà di tutti i cittadini,
cioè che tutti fossero titolari di una piccola parte di suddetti beni. Tuttavia, quando si
verificò quel processo di costituzione della soggettività del populus Romanus si capì
immediatamente che quelli erano beni dello Stato.

RES PRIVATAE

La prima distinzione è quella tra:

• RES MANCIPI: Gaio afferma che sono i beni più preziosi (RES
PRETIOTIORES) perché necessari e fondamentali all’esercizio
dell’agricoltura dato che Roma era principalmente una società agricola. In
particolare, erano res mancipi: gli SCHIAVI, gli ANIMALI DA TIRO E DA
SOMA, i FONDI ITALICI ( la terra ) e le QUATTRO ANTICHE
SERVITÙ RUSTICHE (iter, actus, via, aqueductus ).

Le quattro servitù rustiche sono DIRITTI REALI SU COSE ALTRUI.

ES: Il diritto di via o servitù di passaggio è il diritto di passare su un fondo altrui


per raggiungere la strada principale: ci sono due fondi confinanti e uno dei due
(il FONDO DOMINANTE) non ha accesso alla strada quindi il suo
proprietario non vi avrebbe accesso se non attraversando il fondo del vicino.
Gaio, che scrive nel II secolo d.C. ,si chiede se tra gli animali da tiro e da soma
( che erano considerati principalmente i buoi, i cavalli, gli asini ) rientrassero
anche animali da poco conosciuti dai romani come gli elefanti e i cammelli che
pur con qualche difficoltà si potevano domare attraverso il collo e il dorso.
Gaio stesso risponde sostenendo che i giuristi romani non avevano mai ritenuto
che essi potessero rientrare nella categoria degli animali da tiro e da soma
( quindi nelle res mancipi) , poiché l’esigenza di regolamentare questi beni non
si poneva per due motivi: in primo luogo perché si trovavano in numero esiguo
quindi non ci sarebbe stato un utilizzo di massa e in secondo luogo perché la
società romana non era più una società esclusivamente agricola ma era una
società che si sviluppava anche nel mediterraneo. Alla base delle regole
giuridiche vi erano sempre ragioni economiche.

Per trasferire la proprietà di questi beni occorreva la procedura della Mancipatio,


cioè una procedura ad evidenza pubblica ( come si evince dalla presenza dei
testimoni e del libri pens dato che il populus Romanus doveva controllare i
passaggi di ricchezza dei beni di produzione) o dell’IN IURE CESSIO che
non era in senso tecnico, un modo di trasferimento della proprietà ma era un
utilizzo del processo per quel fine.

Talvolta risultava più semplice andare dal pretore e far finta che ci fosse una lite e
quindi quello che intendeva vendere al fronte della rivendica di colui che
voleva acquistare, assumeva il contegno passivo ed era il pretore che assegnava
i beni. Questa tecnica garantiva comunque il controllo pubblico, in questo caso
rappresentato dal pretore.

Si arriverà al momento in cui il pretore interverrà creando l’istituto dell’ IN BONIS


HABERE per fornire una tutela nel caso in cui questi beni venissero alienati,
trasferiti con una procedura diversa dalla Mancipatio, che in precedenza
avrebbe reso nulla la vendita e senza effetti.

A partire da un certo momento la Mancipatio non viene più utilizzata ed è la


ragione per cui la tutela della donna comincia a non avere più senso.

• RES NEC MANCIPI: Sono tutte le altre res e si caratterizzano perché non
sono richieste particolari formalità per il trasferimento della proprietà, essendo
sufficiente la semplice consegna materiale. Non vi era quindi bisogno della
presenza dei testimoni e del libri pens.

La distinzione tra res mancipi e res nec mancipi grossomodo coincide in termini
economico-sociali, con la odierna distinzione tra BENI IMMOBILI (per il cui
trasferimento richiesto un controllo pubblico esercitato dal notaio) e BENI
MOBILI.
Questa distinzione esisteva già nel diritto romano anche se aveva scarso rilievo, ad
eccezione di un caso nella quale determinava delle conseguenze giuridiche
ovvero nei tempi di maturazione dell’USUCAPIONE che era l’acquisto della
proprietà tramite il decorso del tempo:

Per i beni mobili occorreva il decorso di 1 ANNO.

Per i beni immobili occorreva il decorso di 2 ANNI.

Nella società romana la casa non era ritenuta essenziale alla produzione agricola. ES:
Le quattro servitù consentono o l’accesso al fondo o il passaggio dell’acqua, gli
schiavi servivano fondamentalmente per la lavorazione della terra gli animali per
arare i campi.

Per i Romani quindi, i beni più importanti e fonte di ricchezza non erano quelli del
patrimonio, quelli costituenti la rendita ma quelli dediti alla produzione.

Esiste un’ulteriore distinzione che è meno evidente ( fanno sempre parte delle Res
Privatae ):

• RES FUNGIBILI: beni che vengono individuate sulla base di uno tra questi
tre parametri:

Peso (ES: 1 litro di latte)

Numero ( ES: 10 quintali di grano)

Misura (ES: 12 botti di vino)

Sono beni sostituibili perché sono sostanzialmente beni di genere.

• RES INFUNGIBILI: sono beni che hanno una specifica individuazione, che
si individuano cioè in base a delle precise caratteristiche e perciò non sono
sostituibili. Sono quelle e solo quelle.

ES: La casa di X ( Alberto Sordi) è solo quella, non può essere un’altra.

Un esempio di bene fungibile è il DANARO: un soggetto ha una banconota da


€100 che equivale a tutte le altre banconote da €100 ma se su quella banconota
è riportata la firma di un noto personaggio famoso, essa non sarà più una
banconota sostituibile a tutte le altre perché da fungibile diventa infungibile.

La distinzione è rilevante per ciò che riguarda le obbligazioni, soprattutto in materia


di inadempimento dell’obbligazione poiché nel caso delle res fungibili non si
potrà mai eccepire l’impossibilità dell’oggetto dato che, essendo cose
generiche non periscono mai. Un esempio è dato da un soggetto obbligato a
vendere 10 litri di vino qualunque, senza ulteriori specificazioni. Diverso è il
discorso se il soggetto è obbligato a vendere 10 litri di vino dell’annata X,
quindi il bene da fungibile diventa infungibile.

In caso di bene fungibile, il venditore non potrà dire all’acquirente che non può
adempiere alla prestazione poiché il vino è finito perché comunque può trovare
10 litri di un altro vino.

Non può dunque eccepire l’impossibilità sopravvenuta e in caso contrario ne sarà


chiamato a rispondere, risarcendo il danno.

ES: Se un soggetto è obbligato a vendere la villa di Alberto Sordi e avviene un


incendio che non è dipeso da egli, potrà eccepire che l’inadempimento è dipeso
dall’impossibilità dell’oggetto perché il bene è perito, non esiste più. In questo
caso il soggetto non sarà tenuto a risponderne.

Vi un’ulteriore distinzione tra:

• RES CONSUMABILI: beni a utilizzo singolo se utilizzati secondo la loro


destinazione economico- sociale.

ES: Se un soggetto ha una mela, la sua destinazione economico-sociale è


mangiarla. Se invece decide di usarla per dipingere una natura morta la può
usare anche più volte, anche in quadri diversi ma non secondo la sua
destinazione economico-sociale.

• RES INCONSUMABILI: beni che possono essere utilizzati più volte, anche
se ciò a lungo andare li può deteriorare.

Successivamente Giustiniano introdusse nel suo manuale la categoria dei BENI


DETERIORABILI ovvero i beni che si consumano progressivamente a seguito
dell’uso (ad esempio i vestiti ).

Essi hanno una maggiore tendenza e probabilità a deteriorarsi rispetto alle res
inconsumabili e si collocano quindi a metà tra le res consumabili e le res
inconsumabili.

Vi è poi la distinzione tra:

• COSE SEMPLICI: beni composti da un singolo corpo.

ES: Una pecora, un cavallo.

• COSE COMPOSTE: beni che si caratterizzano per essere l’unione di più cose
semplici.
ES: Un gregge, una mandria, un orologio.

• UNIVERSALITÀ o UNIVERSALITATES RERUM: beni che nascono


dall’unione di più cose semplici e più cose composte ma che hanno però una
loro individualità.

ES: La biblioteca che è data dall’unione di cose semplici e ose composte ma ha allo
stesso tempo una propria individualità. Infatti, un soggetto può vendere o un
singolo libro o l’intera biblioteca perché quest’ultima in quanto tale ha una
propria funzione, diversa rispetto alle singole res che la compongono.

I beni possono essere al contempo individuati in più categorie a seconda del punto
di vista adottato.

ES: Un fondo in quanto tale è considerata una res semplice ma se vengono


considerati ad esempio, anche gli alberi al suo interno, diviene una res
composta.

Un’altra distinzione è tra:

• RES DIVISIBILI: beni che, se frazionati anche in più parti, mantengono


comunque una specifica utilità e un valore, nonostante ne assumano uno ridotto
a seconda del tipo di frazionamento. ES: Un campo, una casa.

• RES INDIVISIBILI: beni che non possono essere frazionati poiché ciò
comporterebbe la rottura del bene e quindi la sua inutilizzabilità.

ES: Un orologio.

Un’ulteriore distinzione molto importante in materia di usufrutto è quella tra:

• RES FRUCTIFERE: beni che periodicamente e organicamente producono dei


beni, i FRUTTI che, separati dalla cosa madre, mantengono una propria destinazione
economico-sociale. ES: gli alberi da frutta (in questo caso i frutti del bene sono la
MELA, la PERA etc.), una pecora (i frutti sono la LANA, i FIGLI, il LATTE).

Il problema si pose in confronto al figlio della schiava perché giuridicamente essa è


una res ma i giuristi romani affermeranno che il figlio non è un frutto perché manca
la periodicità con riferimento al parto e successivamente, i giuristi di età Severiana
aggiungeranno a questa considerazione il fatto che da un uomo non possa nascere un
frutto.

Anche un intero gregge può essere considerato una res fructifera ma soltanto in
riferimento ai capi di bestiame maggiori rispetto al numero iniziale del gregge.
ES: Un soggetto dà in usufrutto un gregge di pecore. Dato che l’usufruttuario ha il
diritto di acquisire la proprietà dei frutti, potrà acquistare la proprietà sul numero di
capi di bestiame maggiore rispetto a quelli avuti all’inizio. Un soggetto dà in
usufrutto un gregge di 100 pecore e alla fine di questo periodo questo gregge
comprende 120 pecore: i frutti saranno quelle 20 pecore in più e se nel gregge ci
saranno dei capi morti, questi dovranno essere sostituiti dai nuovi nati ( SUMMISSIO
) e soltanto dopo la sostituzione si potrà verificare quali numeri eccedenti ci saranno
rispetto al numero iniziale. Successivamente, attraverso l’istituto della PERCEPTIO
l’usufruttuario potrà tenere per sé i frutti.

ES: Un soggetto dà in usufrutto 100 pecore per 3 anni, nascono 5 pecore e ne


muoiono altre 5 in questo caso non ci saranno frutti perché il numero complessivo
alla fine dell’usufrutto rimarrà invariato.

ES: Il soggetto si trova nella condizione precedentemente spiegata ma in questo caso


ne sono morti 5 e ne sono nati 8. Questo significa che si è verificata un’eccedenza di
3 pecore che sono i frutti e conseguentemente, saranno di proprietà dell’usufruttuario.

ES: Se un soggetto dà in usufrutto una schiava e nel frattempo nasce un bambino, il


bambino apparterrà al proprietario della schiava e non dell’usufruttuario perché il
PARTUS ANCILLAE non è un frutto.

Anche la casa data in locazione può produrre frutti non naturali, ma che in questo
caso sono di carattere civile.

• RES INFRUCTIFERE: beni che non producono i frutti. ES: una schiava.

Vi è un’altra distinzione o meglio una summa divisio non a effetti giuridici ma per
ciò che concerne l’organizzazione della sua materia e la sua esposizione:

• RES CORPORALES: cose che si possono toccare (QUAE TANGI


POSSUNT)

• RES INCORPORALES: cose che non si possono toccare (QUAE TANGI


NON POSSUNT)

ES: I diritti, le successioni, la proprietà.

Attraverso le res incorporales Gaio può distinguere all’interno del suo manuale tre
sezioni:

• Persone

• Cose
• Azioni

Tuttavia, questa categoria ha più una valenza sistematica che permette a Gaio di
organizzare la materia nella sua opera.

Categoria che non rientra né tra le res publicae né tra le res privatae ( è un terzus
genus ) è:

• RES COMMUNES OMNIUM: sono i beni comuni di tutti ed è una categoria che
non si ritrova nel manuale di Gaio ma nel manuale di ELIO MARCIANO, il quale
afferma che sono beni comuni di tutti per diritto naturale.

L’ARIA che non serve soltanto per respirare.

L’ACQUA che scorre. Il MARE che non serve solo per viaggiare, ma anche per
pescare e procurarsi il cibo.

Il LIDO o la SPIAGGIA che viene utilizzato per l’accesso al fine di pescare ed è


importante sottolineare questo legame perché se il lido avesse avuto un regime
giuridico differente, l’accesso al mare sarebbe stato proibito.

Sono quindi beni che non possono essere sottratti a nessuno e che tutti devono poter
utilizzare in quanto forniscono gli elementi necessari alla sopravvivenza.

Questa categoria risponde quindi alle esigenze primordiali dell’uomo, che si fondano
sul diritto naturale (Marciano stesso afferma che per natura, tutti gli uomini hanno il
diritto di poter sopravvivere) e che si caratterizza per il libero accesso a quei beni da
parte di tutti.

ES: I pesci che vi si trovano nel mare sono RES NULLIUS cioè beni di nessuno, e
quindi sono occupabili da chiunque. Tutti possono pescare e quando lo fanno il pesce
diventa di chi l’ha pescato ed egli può farne ciò che vuole

ES: L’aria è una res communes omnium e gli uccelli che si trovano in essa possono
essere occupati da chiunque.

Emerge uno schema che si può definire “di contenitore”, dove il contenitore è
rappresentato dalla categoria delle res communes omnium (che appartengono a tutti )
e ciò che vi sta dentro può essere occupato da tutti.

Tutt’oggi ci si interroga su quali siano questi beni e se si debbano considerare beni


pubblici o beni privati. Questo schema è stato recentemente utilizzato da alcuni
studiosi al centro di diritto spaziale di LEIDEN per individuare il regime giuridico
dei pianeti.

È tornata la considerazione che l’uomo debba “colonizzare” i pianeti e soprattutto la


Luna ma anche lo spazio in generale, ponendo dunque il problema di appartenenza
della Luna.
Negli anni ’70 vi fu già un trattato sulla Luna e sugli altri corpi celesti. Questo trattato
individuava la Luna come bene comune dell’umanità e quindi ciò significava che
chiunque vi fosse arrivato poteva utilizzare il sottosuolo lunare ma non vi poteva né
istaurare una sovranità politica né una proprietà di diritto privato. Lo utilizzava in una
maniera non esclusiva.

La Luna è una RES COMMUNES IURIS mentre i Beni che si trovano sulla Luna o
nel sottosuolo sono res nullius e dunque occupabili da chi ci si trovi in quel momento.

Ciò è anche un modo per incentivare la ricerca e il possibile approdo su questi corpi
celesti perché individuare un totale regime di inutilizzabilità di quei beni vorrebbe
dire far perdere interesse all’obbiettivo di andarci.

04/11/2020

DIRITTO DI PROPRIETÀ

Il diritto privato dei Romani e quelli da esso derivati, i cosiddetti diritti“ della
famiglia romanistica”, si fondano su due istituti che nel corso del tempo hanno
assunto differente importanza.

• CONTRATTO: un diritto reale parziario che si fonda sull’AUTONOMIA


PRIVATA. Ad oggi il contratto ha una maggiore centralità perché maggiori
sono gli scambi commerciali e di conseguenza viene utilizzato maggiormente
l’atto giuridico del contratto.

• PROPRIETÀ: un diritto reale pieno, è il massimo diritto che un uomo può


avere su una cosa. Da un punto di vista storico ha rivestito una grande
importanza dato che a causa della proprietà delle terre sono sorte molte guerre
civili in una società antica dedita maggiormente all’agricoltura.

Fin dai tempi di Romolo, vennero assegnati ai cittadini (principalmente ai pater


Familias) i BINA IUGERA (“bina”: due, “iugera”: unità di misura), ovvero
piccoli appezzamenti di terra che dopo la concessione dovevano essere usati
dai soggetti a cui erano stati assegnati, nel modo ritenuto da essi più opportuno.
Oltre la proprietà individuale vi era la PROPRIETÀ GENTILIZIA.

I Romani non forniscono mai una definizione generale del diritto di proprietà. Il
dominus (da Plauto definito nelle sue commedie ERUS, termine dal latino arcaico)
può utilizzare il bene nel modo che ritiene più opportuno, perché ha il potere più
ampio sulla res. Le facoltà connesse al diritto di proprietà sono:
• USUFRUTTO

• SERVITÙ

• SUPERFICIE

• ENFITEUSI

Vi sono anche i DIRITTI REALI DI GARANZIA nella quale vi è una res che viene
data in garanzia nell’adempimento di un’obbligazione.

ES: chi chiede un mutuo in banca, lo ottiene solo se la banca riceve un bene in
ipoteca, perché se il debitore di essa non dovesse restituirli, la banca avrebbe con sé
un bene del soggetto che può rivendere per rifarsi del proprio credito.

I diritti reali di garanzia sono:

• PEGNO

• IPOTECA

Nelle epoche più remote del diritto romano, la proprietà veniva indicata con
l’espressione MEUM ESSE ( è mio), cioè come una manifestazione esterna della
propria persona.

Vi era una totale coincidenza tra la res e il diritto, per questo motivo inizialmente non
esistevano i diritti reali parziali.

Intorno al II secolo a.C. si sviluppa l’idea di DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM


(dominio dei Quiriti, che era l’antico nome dei cittadini Romani abitanti del colle
Quirinale) rispetto alla res. Il dominium quindi non coincide più con la res.

In quel momento storico si ha la certezza della nascita del diritto di usufrutto perché
al II secolo a.C. risale la discussione tra giuristi riguardo il Partus Ancillae, per cui il
figlio della schiava era un frutto, e occorreva stabilire a chi dovesse andare il figlio di
una schiava data in usufrutto.

Conseguentemente si era verificata l’ASTRAZIONE del diritto di proprietà ed era


quindi possibile avere il diritto di proprietà sulla cosa, ma quest’ultima poteva essere
utilizzata da altri. In questo senso, la proprietà si era DEMATERIALIZZATA.

Generalmente, l’usufrutto può avere un termine, altrimenti finisce con la morte.

DIRITTI REALI DI GODIMENTO

I DIRITTI REALI PARZIARI si possono costituire in diversi modi, uno dei quali è
MORTIS CAUSA oppure con il legato per vindicationem.
Questi diritti reali parziari, o detto in un altro modo, DIRITTI REALI DI
GODIMENTO sono appunto definiti parziali, in quanto si formano in relazione alla
proprietà, che abbiamo detto essere il massimo diritto dell’uomo sulla cosa.

I diritti reali di godimento si trovano in un CATALOGO CHIUSO, sono


NUMERUS CLAUSUS (numero chiuso) cioè sono solo quelli previsti dalla legge,
di conseguenza l’autonomia privata non può introdurli. Questi diritti rappresentano
un minus rispetto ai poteri e alle facoltà che discendono dal diritto di proprietà.

Il diritto di proprietà viene tutelato con un’actio in rem (azione verso la cosa), la REI
VINDICATIO ovvero un’azione processuale che può essere esercitata contro tutti i
consociati che hanno il dovere di astenersi nel recare turbative o impedimenti al
dominus nell’esercizio e nel godimento del suo bene.

Il CODICE NAPOLEONICO all’art 544 presenta una definizione reale e astratta del
diritto di proprietà

IL DIRITTO DI PROPRIETÀ È IL DIRITTO DI UTILIZZARE E GODERE


DELLA COSA NELLA MANIERA PIÙ ASSOLUTA.

e il primo codice italiano lo riprendeva pedissequamente. Nel nostro codice del ‘42,
all’art 1832, vi è una definizione in cui si parla del:

DIRITTO DI UTILIZZARE LA COSA IN MANIERA PIENA ED ESCLUSIVA

e quindi, è possibile escludere gli altri nell’utilizzo della cosa.

Gli autori del codice Napoleonico erano tutti professori e giuristi del diritto Romano,
mentre il codice italiano del 1942 fu redatto da FILIPPO VASSALLI, anche lui
giurista.

Il diritto di proprietà ha quattro caratteristiche risalenti ai codici europei dell’800 e


900, fino al codice italiano del 1942:

• ASSOLUTEZZA: a sostegno di essa, veniva richiamata la nozione di IUS


UTENDI ET ABUTENDI ovvero il diritto di usare e di abusare della cosa. Questa
nozione non si trova nelle fonti romane, ma è un’elaborazione dei giuristi medievali a
partire dalle fonti romane.

(ES: se un soggetto vuole distruggere la cosa, ha il diritto di farlo)

(ES: un soggetto può possedere un fondo e lasciarlo incolto, non utilizzarlo).

Gaio sosteneva, riferendosi al diritto di proprietà, che non si può utilizzare male il
proprio diritto; In questa affermazione di Gaio, si profila un concetto, tutt’ora
esistente, che è quello dell’ABUSO DEL DIRITTO (anche oggi vietato). A Roma il
diritto di proprietà era pieno, esclusivo, ma non assoluto, perché appunto non vi era il
diritto di abusare della res.
Catone nel “De Agricoltura”, sosteneva che a Roma, se un cittadino non avesse
coltivato il proprio campo avrebbe subito dapprima una nota censoria e
successivamente avrebbe potuto rischiare anche di perdere la proprietà di quel
terreno.

Il concetto di ATTI EMULATIVI viene elaborato da Ulpiano e Mela ed è


disciplinato ancora oggi dall’articolo 833 del codice civile Italiano che appunto lo
vieta.

Un atto emulativo è quell’atto posto in essere da un proprietario sulla propria res, AL


SOLO SCOPO di recare danno ad altri. (ES: un soggetto possiede un campo e vi
costruisce sopra un muro per impedire al vicino di osservare il panorama).

Altro limite delle fonti Romane e oggi presente nel nostro codice civile è quello delle
IMMISSIONI, cioè odori e rumori che arrivano ad una proprietà, da un’altra
proprietà.

Secondo i giuristi Romani, le immissioni sono tollerate nei limiti dell’uso normale del
bene secondo l’art 838 del c.c.

• ILLIMITATEZZA: il diritto di proprietà è illimitato dal PUNTO DI VISTA


SPAZIALE, si estende USQUE AD SIDERA USQUE AD INFEROS (fino
alle stelle e fino agli inferi), si estende per tutto ciò che sta sopra e tutto ciò che
sta sotto.

Per ciò che concerne i beni immobili, appartiene al proprietario dell’immobile, tutto
ciò che verticalmente sta sopra e tutto ciò che verticalmente sta sotto.

Per i giuristi Romani tutto ciò che si trova sulla superficie, appartiene al
proprietario della superficie stessa, SUPERFICIE SOLO CEDIT.

Il diritto di proprietà è illimitato anche dal PUNTO DI VISTA TEMPORALE per


cui il diritto di proprietà non può essere a tempo, è per sempre, a meno che il
soggetto non decida di alienarlo.

• ELASTICITÀ: è la capacità del diritto di proprietà di estendersi e


comprimersi a seconda dell’esistenza sulla res di altri diritti parziali di
godimento, quali possono essere la superficie, l’usufrutto, le servitù etc. Nasce
nel diritto Romano ed è trasfusa nei nostri codici.

• UNITARIETÀ: il diritto di proprietà è unico e ha la stessa disciplina a


prescindere dal tipo di bene. Non si riscontra nel diritto Romano ma nei i
codici dell’800 e del 900.

Gaio sosteneva tuttavia che in diritto Romano esistesse un duplex dominium.


09/11/2020

I modi di acquisto della proprietà sono FATTI GIURIDICI con i quali si acquista il
diritto di proprietà, cioè il DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM.

Da questi fatti giuridici discende l’acquisto del diritto di proprietà e scaturiscono


effetti giuridici in base alle previsioni dell’ordinamento giuridico stesso.

I giuristi romani elaborano anche un’ulteriore classificazione dei modi di acquisto


della proprietà, e sostengono che esistano modi di acquisto delle proprietà di diritto
delle genti e modi di acquisto di proprietà di diritto civile.

La differenza è che nel primo caso possono essere utilizzati da chiunque, nel secondo
caso invece possono essere utilizzati solo dai cittadini romani, o eventualmente dai
soggetti a cui i romani hanno concesso lo ius commercii.

I modi di acquisto della proprietà si distinguono in:

MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ A TITOLO ORIGINARIO

Questi modi di acquisto presuppongono un rapporto diretto dell’uomo con la cosa che
si acquista, senza intermediazione di altri soggetti. In questi casi in linea di massima,
il bene su cui si acquista la proprietà non ha un precedente proprietario, era cioè un
bene di nessuno.

I modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono:

1) OCCUPATIO:

Apprensione materiale di un bene di nessuno, (chiamato RES NULLIUS cioè una


cosa che non è nel patrimonio di nessuno) accompagnata dalla volontà di fare proprio
quel bene. Questa volontà è chiamata ANIMUS OCCUPANDI.

Affinché vi sia l’occupazione dunque devono ricorrere 3 elementi:

• APPRENSIONE MATERIALE.

• RES NULLIUS.

• ANIMUS OCCUPANDI.

Vi erano casi particolari di res nullius:


• ANIMALI: l'attività economica più importante che si realizza attraverso
l’Occupatio è l’apprensione di PESCI e ANIMALI OGGETTO DI CACCIA
(anch’essi res nullius).

Questo perché essi si trovano all’interno di RES COMMUNES OMNIUM ovvero


“cose comuni di tutti”, per esempio il mare o l’aria.

Un animale si può considerare oggetto di caccia quando o è chiaramente selvaggio


(per esempio una lepre) oppure quando si tratta di animali che non hanno la
CONSUETUDO REVERTENDI. La Consuetudo Revertendi è l’abitudine
dell’animale di rientrare all’interno delle strutture del padrone.

I giuristi romani svolgono delle discussioni riguardo questa abitudine soprattutto in


riferimento alle api, che producono il miele, molto prezioso ed unico
dolcificante a Roma. Pare che le api abbiano la tendenza a tornare nell’alveare
predisposto per il loro allevamento, quindi si potevano occupare solo le api che
non avevano la Consuetudo Revertendi”.

• Gaio afferma che anche l’INSULA IN MARI NATA (isola nata nel mare) è
una res nullius, quindi suscettibile di Occupatio. I giuristi contemporanei si
sono chiesti perché Gaio parlasse di una “isola nata nel mare, ritenendo che
fosse una cosa strana, ma verso fine ‘800 vi fu l’emersione di un’isola,
chiamata “Ferdinandea”, a sud della Sicilia.

Dalle letture di Plinio il vecchio e di Seneca, si deduce che i romani assistettero alla
nascita di un’isola chiamata “Vulcanello”, nell’attuale arcipelago delle isole
Eolie, vicino l’isola di Vulcano. I giuristi romani e Gaio affermano quindi che
queste isole, se di piccola dimensione, sono res nullius.

• Gaio si soffermò anche sul fenomeno dell’ISOLA NATA SU UN FIUME,


anch’essa res nullius.

Occupatio è un modo di acquisto delle proprietà di diritto delle genti.

• STRUTTURE EDIFICATE IN SPIAGGIA O IN MARE : in teoria queste


strutture sono res nullius perché si trovano in delle res communes omnium, ma
per i giuristi romani l’apprensione materiale (Occupatio) in questi due luoghi si
realizza al momento stesso della costruzione. Il costruttore che costruisce,
manifesta la sua volontà di occupare il bene costruito, ipso iure.

• RES DERELICTAE (cose abbandonate): secondo i Sabiniani, sono res


nullius. Secondo i Proculiani invece, sono beni che vengono trasferiti da colui
che li abbondona ad una “persona incerta”.

Sui beni abbandonati c’è un diritto di proprietà e si tratta di un modo di acquisto


della proprietà diverso dall’Occupatio. Si parla di TRADITIO IN
INCERTAM PERSONAM (e quindi con TRADITIO, si intende la consegna
materiale di un bene).

In questi casi quindi si avrebbe la “consegna a persona incerta”, ovvero la persona


di cui si ignora l’identità.

Nei due casi quindi cambia il modo di acquisto a cui le due scuole fanno
riferimento.

2) ACQUISTO DEL TESORO:

Il giurista Paolo afferma che per “tesoro” si intende un insieme di monete o di gioielli
che sono stati nascosti e di cui se ne è perso il ricordo, quindi non esiste più un
proprietario. Colui che trova il tesoro si chiama INVENTOR TESAURI.

In una prima fase, per il diritto romano, soltanto il proprietario del fondo in cui viene
trovato il tesoro ha la proprietà di questi beni nascosti. Più tardi l’imperatore Adriano
definisce dei criteri di individuazione dell’acquisto del tesoro: in primo luogo se il
tesoro è stato rinvenuto dal proprietario del fondo non si pongono problemi, il tesoro
gli appartiene. In secondo luogo, se il tesoro è stato trovato da un soggetto diverso dal
proprietario del fondo, l’imperatore Adriano stabilisce che il tesoro vada diviso a
metà: una parte al proprietario del fondo e l’altra all’Inventor Tesauri.

Bisogna tener conto che affinché si possano applicare queste regole occorre che il
tesoro sia stato trovato casualmente e che il rinvenimento sia avvenuto NON DATA
OPERA (senza che ci sia stato cioè l’incarico specifico di andare alla ricerca del
tesoro).

La stessa regola si applica anche qualora il rinvenimento del tesoro avvenga in un


Ager Publicus (campo del populus romanus), ma più tardi si riterrà preferibile far
prevalere le ragioni del “FISCUS” e quindi si afferma una disciplina diversa: se il
tesoro è stato rinvenuto all’interno di un campo pubblico, esso apparterrà al Populus
Romanus.

Successivamente l’imperatore Giustiniano tornerà alla disciplina sancita da Adriano.

3) ACCESSIONE

Unione di due beni appartenenti a due proprietari diversi. Questa unione dà luogo a
una terza Res, che ha una propria destinazione economico-sociale diversa da quella
delle singole Res che sono state unite.

Il criterio generale fissato dai giuristi romani per individuare il proprietario di questa
nuova Res è quello della RES PRINCIPALE ovvero la res che più determina la
destinazione economico-sociale della nuova res.
ES: un orafo per errore (quindi in buona fede) prende una pietra preziosa altrui e ne
fa un anello. La pietra ha un valore maggiore del supporto, ma è proprio il supporto a
determinare maggiormente la destinazione economica-sociale della nuova res, cioè
l’anello. Questo è un esempio di ACCESSIONE DI BENI MOBILI

Quando si parla di accessione bisogna distinguere tre fattispecie:

• Accessione di BENI MOBILI a BENI MOBILI: a proposito di questa accessione,


i giuristi romani discutono della PICTURA, SCRIPTURA e TEXTURA. A seguito
di esse si ha un’unione definitiva di 2 beni mobili.

La SCRIPTURA è il foglio (pergamena) scritto. Nella RES SCRIPTA, Il bene con


più valore è il foglio. Per i Sabiniani, si applica il criterio generale secondo cui la
pergamena scritta appartiene al proprietario della pergamena. Per i Proculiani invece
bisogna riconoscere il valore all’opera d’ingegno (l’apporto intellettuale) di colui che
ha scritto, quindi il foglio scritto apparterrà a quest’ultimo (che è il proprietario
dell’inchiostro) benché l’inchiostro non sia il bene che più determina la destinazione
economico-sociale del libro/foglio scritto.

La PICTURA è in relazione ad un quadro, atelier. Per i Sabiniani, che sono più


conservatori si applica il criterio generale. Per i Proculiani, che sono invece più
progressisti e innovatori bisogna considerare l’opera d’arte, e quindi la res deve
essere riconosciuta a colui che ha fatto l’opera (il pittore).

Il problema però è che questa situazione poteva determinare un danno per il


proprietario della tavola (o della pergamena)e quindi questa regola determina una
sorta di inequità per il proprietario della tavola/pergamena.

Per questo motivo i giuristi romani individuano un meccanismo processuale volto a


consentire al proprietario della tavola/pergamena di ottenere almeno il valore
economico di quest’ultima.

La situazione di danno al proprietario della tavola/pergamena in questo caso è la


causa di un errore del pittore/scrittore (ES: un pittore dipinge per sbaglio sulla tavola
di un altro soggetto). Se dovesse quindi sorge una lite e il proprietario della tavola
dovesse prendere il quadro, il pittore potrebbe esercitare contro il proprietario della
tavola la REI VINDICATIO ovvero l’azione processuale di rivendica della
proprietà.

L’EXCEPTIO DOLI invece è l’eccezione processuale in base alla quale il


proprietario della tavola può conseguire il valore economico della tavola/pergamena
stessa (il quadro è di un soggetto A, il pittore, ma quest’ultimo ha preso la tavola del
soggetto B e quindi A deve versare a B i soldi del costo della tavola).

La TEXTURA: la colorazione di indumenti. In questo caso i giuristi romani


applicano la regola generale secondo cui il proprietario del vestito colorato è il
proprietario del tessuto.
• Accessione da BENI MOBILI a BENI IMMOBILI: la res principale è
sempre la cosa immobile. Il proprietario della nuova res è quindi il proprietario
del bene immobile (ES: terreno/edificazione, il terreno è immobile, quindi il
proprietario dell’edificazione è il proprietario del fondo in forza del principio
SUPERFICIES SOLO CEDIT.

• Accessione da BENI IMMOBILI a BENI IMMOBILI: esclusivamente per


l’attività dei fiumi. I fiumi staccano delle porzioni di terra da un campo e le
agganciano ad un altro campo.

In questo caso vi possono essere due fenomeni:

• 1) AVULSIO: è l’unione di due pezzi di terra appartenenti a proprietari diversi


in forza dell’attività fiume. In questo caso si applica la regola canonica del bene
principale e quindi il proprietario della nuova res (composta dal pezzo di terra
che già c’era e quello che si è unito grazie al fiume) è il proprietario del fondo
che ha ricevuto il nuovo pezzo di terra.

• 2) ADLUVIO: si ha quando il fiume aggiunge detriti e materiale terroso sul


fondo di un certo proprietario. Il proprietario è colui che ha ricevuto i detriti e
materiale terroso grazie al fiume.

4) SPECIFICAZIONE:

Si ha quando un soggetto (SPECIFICATORE) trasforma (in buona fede) una


materia prima altrui in una nuova res chiamata RES SPECIFICATA.

Esempio: un soggetto trasforma in vino l’uva di un altro soggetto.

Per i Sabiniani, la res specificata è identica alla res originaria. Il proprietario del vino
è il proprietario dell’uva, a prescindere da chi abbia operato in concreto la
trasformazione dell’uva in vino.

Per i Proculiani bisogna riconoscere il valore economico della prestazione d’opera. Il


proprietario sarà colui che ha trasformato l’uva in vino (Specificatore) il quale dovrà
però versare al proprietario dell’uva (res trasformata) il prezzo di quest’ultima.

In età severiana, il giurista Giulio Paolo individuerà successivamente una Media


Sententia ovvero una soluzione di compromesso tra i Sabiniani e Proculiani che sarà
accolta poi da Giustiniano.

Per Giulio Paolo bisognava distinguere le ipotesi in cui la specificazione


(trasformazione) è definitiva oppure no.

Se si può tornare alla res originaria (a seguito della specificazione) il proprietario


della res resterà il proprietario del bene originario. Se non si può tornare allo stato
originario il proprietario sarà lo Specificatore che pero dovrà versare il prezzo della
res originaria al suo proprietario.

ES. l’orafo che fa l’anello.

5) USUCAPIONE:

È il modo di acquisto della proprietà che discende dal possesso prolungato nel tempo.
L'usucapione, racconta Cicerone, era disciplinata nelle XII tavole. In esse si legge che
si può acquistare la proprietà di BENI IMMOBILI a seguito del possesso prolungato
per due anni e la proprietà di BENI MOBILI a seguito del possesso prolungato per un
anno. Nelle XII tavole l’istituto dell’usucapione viene menzionato come USUS.

Il POSSESSO, indica la disponibilità materiale di un bene. È una situazione di fatto


perché alla base di questa disponibilità materiale della res, manca un valido titolo di
acquisto (altrimenti si avrebbe la proprietà).

La disponibilità materiale deve essere accompagnata dall’ANIMUS POSSIDENDI


(detto anche ANIMUS REM SIBI HABENDI), cioè la volontà di avere la cosa come
propria.

Nella possessione, colui che ha la disponibilità materiale del bene è convinto di


essere il proprietario e la presenza dell’animus possidendi permette la distinzione tra
il possesso e la detenzione.

La DETENZIONE consiste anch’essa nella disponibilità materiale del bene, ma in


questo caso colui che dispone del bene sa che esso appartiene ad un altro (ES: la casa
in locazione).

Vi è un ampio dibattito sul definire l’usucapione come modo di acquisto della


proprietà a titolo derivativo o originario.

Esso presuppone un rapporto diretto con la “res” (possesso continuato nel tempo) e
quindi sembrerebbe originario, tuttavia a seguito dell’usucapione un soggetto perde il
suo diritto e un altro lo acquista.

Ad oggi si ritiene preferibile inquadrare l’usucapione tra i modi di acquisto della


proprietà a titolo originario.

MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ A TITOLO DERIVATIVO

Questi modi di acquisto presuppongono invece un passaggio del diritto di proprietà


da un soggetto ad un altro soggetto. In questi casi quindi vi è un precedente diritto di
proprietà che viene trasferito ad un altro soggetto.

I modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo sono:

• MANCIPATIO
• IN IURE CESSIO

• TRADITIO

Accanto a questa macro-distinzione, i giuristi romani elaborano anche una ulteriore


classificazione del diritto di proprietà. Essi dicono che esistono:

• MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ DI DIRITTO DELLE


GENTI(ius gentium): questi modi di acquisto possono essere utilizzati da tutte
le persone libere, a prescindere dalla cittadinanza. Un esempio è l’Occupatio.

• MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ DI DIRITTO CIVILE:


possono essere impiegati solo dai cittadini romani o eventualmente dai soggetti
ai quali i romani hanno concesso il IUS COMMERCII.

10/11/2020

Il possesso e la proprietà, presentano effetti giuridici completamente diversi.

Il POSSESSO è la disponibilità materiale di un bene che si accompagna all’Animus


Possidendi. Quest’ultima è l’intenzione o la volontà di essere proprietario di quel
bene, benché non si sia effettivamente proprietari perché manca l’atto genetico della
proprietà, che è assente o che non ha portato ai risultati voluti.

L’ATTO GENETICO DELLA PROPRIETÀ è uno dei modi di acquisto della


proprietà.

Inoltre, mentre il possesso è una SITUAZIONE DI FATTO, la proprietà è una


SITUAZIONE DI DIRITTO più ampia, proprio perché vi è l’atto che la costituisce.

In aggiunta, la proprietà può essere tutelata con un’azione: VINDICATIO O REI


VINDICATIO lo strumento principale che lo stato romano offre ai propri cittadini
per tutelare i propri beni.

DIFFERENZA TRA POSSESSO E DETENZIONE

Nella detenzione si ha la disponibilità materiale del bene ma non si ha l’Animus


Possidenti, perché si ha la piena consapevolezza che quel bene appartiene a qualcun’
altro. (ES. un immobile in locazione).

Siccome è interesse dell’ordinamento giuridico rendere stabili e definitive le


situazioni, i Romani inventano l’istituto dell’usucapione per trasformare il possesso
in proprietà. Al decorso del tempo previsto dall’ordinamento giuridico (che oggi sono
vent’anni, ma esistono anche casi di usucapione abbreviata decennale, o nel caso
dell’antico diritto romano, 1 anno per i beni mobili e 2 anni per i beni immobili) il
bene che si possedeva diviene bene in proprietà, quindi, dalla situazione di fatto
prolungata nel tempo, nasce il diritto, perché l’ordinamento vuole dare certezza alle
situazioni di fatto.

Il diritto romano conosce l’usucapione sin dalle origini, infatti, le XII Tavole
stabiliscono che i BENI MOBILI si possono usucapire in 1 ANNO , mentre i BENI
IMMOBILI in 2 ANNI.

I giuristi romani, in epoca classica, individuano una serie di requisiti affinché ci possa
essere l’usucapione, e si discute, se questi requisiti che venivano individuati nel II
sec. a.C. si applicassero già alle XII Tavole. Affinché avvenga il passaggio da
possesso a usucapione occorre:

• RES HABILIS (cosa idonea ad essere usucapita)

• IUSTA CAUSA o TITULUS

• BUONA FEDE

• DECORSO DEL TEMPO

• DISPONIBILITÀ MATERIALE DEL BENE

Il possesso può avere inizio o tramite l’acquisto del bene da un soggetto che non è
proprietario (ACQUISTO A NON DOMINO), oppure quando viene posto in essere
un atto di trasferimento della proprietà inefficace, come l’acquisto di una res mancipi
attraverso una traditio, dato che le res mancipi si possono acquistare o con la
Mancipatio o con in iure cessio, essendo esse le uniche vie idonee affinché avvenga il
negozio. Queste due sono le ipotesi più frequenti attraverso cui inizia il possesso.

RES HABILIS

Dopo la nascita del possesso, occorre che la res sia habilis e quindi dev’essere idonea
ad essere usucapita. Questo vuol dire che vi sono delle Res non idonee ad essere
usucapite, ad esempio una proprietà pubblica (RES COMMERCIUM), la spiaggia o
le cose rubate.

Tra il II e III sec. a. C intervenne la LEX ATINIA, la quale stabiliva espressamente il


divieto di usucapire la RES FURTIVA (la cosa rubata), limite già sancito nelle XII
Tavole.
I giuristi romani discutono sul fatto dell’inidoneità della res furtiva ad essere
usucapita e si chiedevano se fosse un criterio oggettivo o soggettivo: se fosse un
criterio soggettivo non potrebbe usucapire la res furtiva soltanto il ladro, dunque la
natura della res furtiva dipenderebbe dal soggetto che ha rubato, difatti se questi
abbandona la res e un terzo la trova e la possiede questi potrebbe usucapirla, invece
se fosse un criterio oggettivo, il furto renderebbe sempre la res inusucapibile,
chiunque ne consegua il possesso anche se la inizia a possedere un terzo che non l’ha
rubata. Tra i due criteri, quello prevalente sarà il criterio oggettivo.

Per i giuristi romani si poteva usucapire la res furtiva solo nel caso in cui questa fosse
tornata al legittimo proprietario e a quel punto perdeva la natura di res furtiva. Oltre
alla res furtiva, non può neppure essere usucapita la RES VI POSSESSAE ovvero la
res di cui si è conseguito il possesso con un atto violento.

REQUISITO DELLA IUSTA CAUSA

Questo è il fondamento giuridico attraverso cui si è stabilito il possesso, che può


essere o di natura pubblica o di natura privata.

In particolare, di natura privata, ad esempio, quando le due parti si accordano ma


pongono in essere un atto inidoneo al passaggio di proprietà, oppure quando nessuno
delle due parti è titolare del bene, secondo il principio NEMO PLUS IURIS IN
ALIUM TRANSFERRE POTEST QUAM IPSE HABET (nessuno può trasferire
ad altri un bene che non ha).

In caso il possesso sia di natura pubblica si ha invece la BONORUM POSSESSIO


ove il pretore consegna i beni in possesso e questi soggetti acquistano la proprietà
tramite l’usucapione.

BUONA FEDE

È la convinzione di non ledere un diritto altrui nel momento in cui si possiede un


bene. Occorre quindi che la buona fede sia iniziale.

Ad un certo punto a Roma giunge dall’Oriente un nuovo istituto il PRAESCRIPTIO


LONGI TEMPORIS. Questo istituto è molto simile all’usucapione, ma agisce in
modo diverso in quanto è un istituto processuale. In questa ipotesi, il proprietario
esercita l’azione di rivendica contro il soggetto che sta possedendo il suo bene, ma il
possessore può utilizzare questo istituto per opporsi al proprietario, poiché il diritto
del proprietario si è PRESCRITTO, nel senso che per vent’anni non è stato utilizzato,
di conseguenza nella fattispecie analizzata, il proprietario non ha più la proprietà del
bene.

In aggiunta, alcuni imperatori stabiliscono che tale actio operi in dieci anni tra
presenti (persone che abitano nella stessa città) e vent’anni tra assenti (persone che
non abitano nella stessa provincia). Con Giustiniano vengono uniformati i tempi per
l’usucapione e per la praescriptio longi temporis (vent’anni), ad eccezione che per i
beni mobili ove viene messo un limite di tre anni.

I MODI D’ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ A TITOLO DERIVATIVO

Presuppongono un passaggio di proprietà da un soggetto ad un altro, quindi non un


rapporto diretto tra l’uomo e la cosa, ma un rapporto tra due soggetti.

A differenza del nostro ordinamento, nel diritto romano non vige il principio del
consenso traslativo, che nel nostro ordinamento è sancito dall’articolo 1376 del c.c.
ove è sancito che nel momento in qui è concluso l’accordo tra le parti, si verifica il
passaggio della proprietà e non è necessaria la consegna materiale del bene, il che
implica il cambiamento della disciplina del rischio.

MANCIPATIO

Atto in cui si consegna un bene che dev’essere una res mancipi e avviene al cospetto
di un libripens e di cinque testimoni che dovevano essere soggetti puberi dotati di
piena capacità giuridica, più ovviamente i due soggetti che si scambiano il bene.

Coloro che si scambiano il bene sono: il MANCIPIO DANS (colui che da) e il
MANCIPIO ACCIPIENS (colui che acquista).

Il Mancipio Accipiens pronunciava delle parole solenni

HUNC EGO HOMINEM MEUM ESSE AIO EX IURE QUIRITIUM

QUESTO BENE È IL MIO IN BASE AL DIRITTO DEI QUIRITI E LO


ACQUISTO IN BASE AL BRONZO E ALLA BILANCIA

Oltre alla Noncupatio (le parole solenni sopra citate), la Mancipatio poteva
contemplare una DEDUCTIO (una sottrazione) cioè si trasferiva la proprietà di un
bene ma si sottraeva qualcosa, come ad esempio il diritto di usufrutto. L’alienante
(mancipio dans) vendeva il bene ma restava usufruttuario del bene medesimo.

Quindi l’alienante manteneva l’usufrutto e il mancipio accipiens diveniva solo nudo


proprietario.

Inoltre, la Mancipatio dava vita naturalmente all’AUCTORITAS, oggi definita una


garanzia per edizione, che è l’obbligo giuridico dell’alienante di assistere in giudizio
l’acquirente qualora un terzo soggetto affermi la proprietà sul bene.

IN IURE CESSIO

Processo impiegato a scopi negoziali. Poteva essere utilizzato per l’acquisto delle
cose res mancipi e anche delle res nec mancipi. In questo caso, due soggetti si
recavano davanti al pretore, ed il soggetto che intendeva acquistare esercitava
l’azione di rivendica mentre il soggetto alienante (proprietario) assumeva il contegno
passivo.

A seguito di questo contegno passivo, il pretore assegnava il bene a colui che aveva
pronunciato la rivendica, e quest’ultimo diveniva quindi proprietario del bene. Tutto
ciò si svolgeva tenendo conto del fatto che entrambi le parti fossero d’accordo.

TRADITIO

È il modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo delle res nec mancipi (cose
meno importanti e che non rientrano tra le res pretiosiores).

In questo caso non vi erano formalità ma era sufficiente la semplice consegna del
bene. Per questo motivo è un atto di acquisto della proprietà di diritto delle genti,
perché può essere posto in essere al di là della cittadinanza.

In alcuni casi la consegna non poteva effettuarsi, quindi nascevano dei casi speciali di
traditio:

• in caso di alienazione di un bene immobile (un appezzamento di terra), si aveva la


TRADITIO SIMBOLICA e si assegnava una parte del bene che simboleggiava il
tutto.

• La TRADTIO LONGA MANUS con la quale si indicava da lontano con il


braccio, il bene che si trasferiva, non vi era il passaggio, ma ci si limitava ad
indicare da lontano.

• TRADITIO BREVI MANU con la quale un soggetto che era detentore del
bene acquistava il bene stesso, quindi non vi era il bisogno del passaggio
materiale del bene, in quanto il soggetto aveva già la disponibilità materiale del
bene.

• COSTITUTO POSSESSORIO che era l’inverso della traditio brevi manu,


quindi il soggetto proprietario del bene, trasferisce il bene ma ne conserva la
detenzione. (ES. un soggetto vende un appartamento ma vi continua ad abitarvi
dentro come conduttore, pagando l’affitto al nuovo proprietario).

È opportuno sottolineare che affinché la traditio fosse valida, era necessario il


TITULUS come un contratto di compravendita.

COME SI DIFENDE IL DIRITTO DI PROPRIETÀ

La proprietà si difende con la Rei Vindicatio, un’azione erga omnes, cioè che si può
esperire contro tutti coloro che avessero turbato il diritto, ed è un’azione reale.

Vi sono due parti:


• Il LEGITTIMATO ATTIVO, ovvero colui che può esercitare l’azione ed è il
proprietario.

• LEGITTIMATO PASSIVO su cui viene esercitata l’azione ed è colui che ha


turbato il godimento del diritto di proprietà da parte del proprietario.

Nel caso dell’azione di rivendica, il proprietario dovrà provare il suo diritto di


proprietà (ONERE PROBATORIO), quindi dovrà allegare uno dei modi di acquisto
di quella proprietà.

Qualora il soggetto che abbia turbato la proprietà (una turbativa della proprietà è ad
esempio lo SPOSSESSAMENTO, nella quale un soggetto ha conseguito
illegittimamente il possesso del bene), trasferisca il bene ad un terzo, l’azione si
esperisce sempre contro colui che ha esercitato lo spossessamento.

Quindi, quando si svolgerà il processo, il proprietario dovrà presentare sia uno dei
modi di acquisto della proprietà, sia dovrà dimostrare le turbative subite.

Il secondo strumento a difesa della proprietà è l’ACTIO NEGATORIA, che si


esperisce da parte del proprietario nei confronti di colui il quale affermi di essere
titolare di un diritto reale parziale su quel bene. In questo caso il proprietario dovrà
provare il suo diritto di proprietà, mentre il convenuto deve provare l’esistenza del
suo diritto reale parziale poiché non è ammessa la prova del fatto negativo, dunque il
proprietario non può negare l’esistenza del diritto reale parziale, è colui che sostiene
di essere titolare del diritto reale parziale che ne deve dimostrare l’esistenza.

11/11/2020

IN BONIS HABERE: ( avere fra i propri beni, nel patrimonio ) è un’espressione


metonimica in cui si indica il tutto con la parte. La fattispecie da cui sorge in bonis
habere, è quella di un soggetto che acquista una res mancipi attraverso la
TRADITIO.

ES: vi sono due soggetti che devono trasferire la proprietà di uno schiavo e invece di
chiamare cinque testimoni e il libripens, decidono semplicemente di effettuare una
consegna materiale del bene.

Il proprietario prende i soldi dall'acquirente e consegna lo schiavo, in questo caso


però manca l'atto pubblico, quindi l'acquirente pur avendo pagato, è un mero
possessore del bene e quindi acquisterà il bene stesso solamente a seguito del
verificarsi dell'usucapione. Questo avviene sino al I sec. a. C.

Nel I sec a.C. un pretore, PUBLICIO, ritiene di dover approntare una maggiore tutela
di questa situazione.

La ragione è ignota ma si può ipotizzare che la necessità di introdurre delle forme


rafforzate di tutela derivasse dal fatto che questi atti venissero posti in essere in
attività commerciali tra romani e peregrini. Questo perché i peregrini non potevano
compiere l'atto della Mancipatio, visto che è un atto del Ius Civilis e per poterlo porre
in essere bisognava essere titolare dell'ius Commercii.

Non tutti i peregrini avevano lo IUS COMMERCII, anzi, erano pochissimi coloro
che lo avevano.

Questo diritto era riconosciuto in linea generale soltanto ai latini, e ad alcune


categorie di peregrini con cui i romani stipulavano un apposito trattato internazionale.
Ma la maggior parte dei peregrini veniva a Roma senza avere appunto lo ius
Commercii. Magari un peregrino voleva acquistare uno schiavo, o un romano voleva
acquistare uno schiavo da un peregrino, e non potevano fare la Mancipatio.

Visto che non potevano compiere la Mancipatio, avveniva una semplice consegna
dello schiavo da cui scaturiva la semplice condizione di possesso in capo
all'acquirente.

Si pone l'esigenza di creare una particolare tutela rispetto a questa ipotesi, perché
molto probabilmente si diffusero sempre di più gli scambi commerciali tra romani e
peregrini.

Ovviamente il possesso aveva meno tutele:

• non si aveva il diritto di proprietà e quindi il venditore avrebbe potuto in qualsiasi


momento rivendicare la proprietà dello schiavo.

• poteva accadere che l'acquirente venisse spossessato di un bene da parte di un terzo


e in questo caso non avrebbe potuto esperire la rei Vindicatio proprio perché non vi
era la proprietà ma il semplice possesso.

Publicio per questi motivi intervenne introducendo due strumenti a tutela di questa
fattispecie:

• ACTIO PUBLICIANA: è un'azione fittizia che si forma su una fictio. È


l'azione che colui che ha acquistato la res mancipi con la traditio può esperire
contro tutti i terzi (tranne contro il soggetto che gli ha trasferito il bene). In
questo caso il pretore finge che sia già maturato il termine per l'usucapione e
quindi che il soggetto abbia acquistato la proprietà, benché in realtà non siano
decorsi i termini per l'usucapione, (si riteneva ingiusto che un cittadino potesse
perdere il bene per le rigidità dell' antico ius civile).
Quindi se il soggetto che ha acquistato lo schiavo con la traditio viene spossessato
dello schiavo, non potrà agire con la rei Vindicatio, ma avrà a disposizione
questo strumento, questa azione creata dal pretore. È un'azione che può essere
esperita contro tutti i terzi e in particolare contro coloro che abbiano
spossessato colui che ha acquistato il bene tramite traditio.

Questa azione non poteva essere esperita contro colui che ha venduto il bene,
perché quest’ultimo poteva contrapporgli, nella dinamica processuale, il titolo
di proprietà. A fronte del diritto di proprietà, fondato quindi su atto di acquisto,
la posizione dell'acquirente è recessiva, ma viene tutelata anche questa
fattispecie con un secondo strumento: l’exceptio rei venditae e traditae.

• EXCPETIO REI VENDITAE E TRADITAE ( eccezione delle cose vendute


e consegnate): la fattispecie è quella in cui l'alienante agisce in rivendica contro
l'acquirente.

ES: Tizio trasferisce uno schiavo a Caio con la traditio.

Caio paga il prezzo convenuto e Tizio, (sapendo che non ha trasferito la proprietà)
dopo cinque giorni, cita in giudizio Caio con la rei Vindicatio e chiede che gli venga
trasferito il bene in quanto proprietario.

Fino all'intervento del pretore Publicio, da un punto di vista di stretto diritto, Caio
non aveva strumenti proprio perché non aveva applicato i mezzi giuridici volti a
trasferire la proprietà di quel bene.

Il pretore Publicio introduce quindi questa eccezione a favore dell'acquirente perché


non ha i mezzi di tutela giuridici della proprietà.

L'eccezione è quindi un istituto processuale che consiste in una condizione negativa


della condanna. Il giudice, accertato che Tizio è il proprietario, dovrà al tempo stesso
verificare che si sia effettuata la vendita e la consegna del bene; se effettivamente c'è
stata significa che l'eccezione si è verificata e quindi si paralizza, si interrompe,
l'azione di rivendica, non producendo i suoi effetti. Quindi Tizio perde la causa.

Una terza ipotesi, sempre in ambito di in bonis habere, è quella del proprietario che
va a riprendere lo schiavo. A differenza della seconda ipotesi analizzata nella quale
Tizio cita in giudizio Caio, nella terza ipotesi l'alienante passa alle vie di fatto,
andando ad esempio a casa di Caio e riprendendosi lo schiavo.

In questo caso siamo di fronte a un'eccezione processuale particolare, perché


l'acquirente utilizzerà l'Actio Publiciana che sarà inefficace perché Tizio potrà
opporre l'eccezione di giusto dominio”. A questo punto però il pretore concederà
all'acquirente un' ulteriore replicatio: la REPLICATIO DOLI, con la quale viene
nuovamente bloccata l'EXCEPTIO IUSTI DOMINII sulla base della condotta
scorretta dell'alienante.

Il pretore assegnerà il bene a colui che aveva acquistato lo schiavo senza Mancipatio.

Viene considerata una tutela sostanziale perché non vi sono gli atti interruttivi del
possesso.

DIRITTI REALI SU COSE ALTRUI:

• USUFRUTTO

• SERVITÙ

• ENFITEUSI

• SUPERFICIE

Si tratta di diritti tutelati erga omnes, cioè contro tutti.

Sono diritti la cui esistenza determina una compressione dei poteri del proprietario da
cui la caratteristica dell'ELASTICITÀ.

Se su un bene esiste un diritto reale parziale il diritto di proprietà si comprime, cioè il


proprietario perde tutti i diritti che ha sulla res, se questi diritti non esistono i diritti
del proprietario si espandono nuovamente, come un elastico.

Esistono altri tipi di diritti reali:

• DIRITTI REALI DI GODIMENTO vedono la possibilità di beneficiare, di


utilizzare, di trarre godimento dal bene altrui.

• DIRITTI REALI DI GARANZIA servono a garantire delle obbligazioni (ES:


un soggetto paga il suo debito perché in caso non lo facesse, il creditore
potrebbe vendere quel bene e rifarsi del suo debito).

Il più antico diritto reale di godimento è il DIRITTO DI SERVITU' ovvero un peso


su un bene immobile a favore di un altro bene immobile.

ES: prendiamo in considerazione due fondi, il FONDO DOMINANTE e il FONDO


SERVENTE. Tra questi due fondi, a beneficiare della servitù sarà quello dominante,
proprio perché quello servente offre un’utilità a quello dominante.

I fondi hanno due proprietari diversi.


Il proprietario del fondo servente su cui vi è la servitù è tenuto o a non compiere
un'attività sul proprio fondo (che in mancanza della servitù potrebbe compiere in
qualità di proprietario), oppure a tollerare che il proprietario del fondo dominante
svolga delle attività nel fondo servente, attività che, in assenza del diritto di servitù, il
proprietario del fondo servente potrebbe respingere e impedire.

ESEMPIO DI UNA SERVITÙ DI PASSAGGIO: il titolare del fondo dominante


può passare nel fondo servente e il proprietario del fondo servente deve sopportare
ciò.

La servitù è connessa INSCINDIBILMENTE al fondo, nel senso che se il fondo


servente o dominante vengono alienati, la servitù rimane a prescindere di chi siano gli
specifici titolari del fondo.

La servitù deve essere connessa a un’utilità oggettiva in quanto risponde


all'UTILITAS PUBLICA cioè all'utilità oggettiva del fondo.

È il fondo che deve trarre giovamento dalla servitù.

• ES: nella produzione agricola la servitù deve arrecare migliorie al fondo.

L'utilità del fondo non è semplicemente quella di un incremento del valore


commerciale del fondo ma è quella che ha recato un'utilità oggettiva cioè deve
rendere più facile e migliore la produzione agricola.

Queste servitù sono antichissime, e in una fase arcaica, prima di essere configurate
come diritti di godimento su cose altrui, si riteneva che le servitù fossero la proprietà
della striscia di terra su cui si passava. Quindi si riteneva che il proprietario del fondo
dominante Tizio fosse anche proprietario della striscia di terra che passava sul fondo
altrui. Questa concezione a partire dal III sec. a.C. verrà poi superata e, il diritto di
passaggio viene considerato come diritto di godimento su cose altrui.

Indubbiamente sono presenti delle somiglianze con la figura dei coloni dato che essi
sono connessi al fondo e quindi seguono la sorte del fondo, così come le servitù
seguono la sorte del fondo a prescindere dai vari possibili passaggi di proprietà.

Nei coloni non vi è l'utilità del fondo in senso generale, mentre in questo caso vi è
una stretta connessione delle servitù rispetto all'utilità del fondo e quindi alla
produzione agricola del fondo.

La servitù è determinata dal fatto che in assenza di essa, il fondo dominante sarebbe
gravemente compromesso nelle sue capacità di produzione agricola.

Ad esempio, se questo fondo non avesse accesso alla strada, sarebbe inutilizzabile.
Lo stesso se vi è un fiume che si ferma e non vi è la servitù di presa d'acqua, cioè il
proprietario del fondo non ha il diritto di prendere un secchio d'acqua e portarselo per
annaffiare le sue produzioni. Di conseguenza il fondo diviene inutilizzabile e per
questo è necessario che vi sia un' utilità del fondo.
In età arcaica queste servitù erano così importanti e quindi considerate res mancipi.
Le quattro SERVITÙ RUSTICHE, ovvero le servitù della vita agreste di campagna
sono:

• ITER: era la semplice servitù di passaggio, il titolare del fondo dominante (che
era quindi titolare della servitù di iter) poteva attraversare a piedi il fondo
servente.

• VIA: consentiva sia il passaggio a piedi che con animali e carri di bestiami.
Era quindi la più ampia.

• AQUAEDUCTUS: consentiva il passaggio dei corsi d’acqua.

• ACTUS: consentiva al proprietario del fondo dominante di attraversare con


animali o carri di bestiame sul fondo altrui, che era il fondo servente.

Per costituire queste quattro antichissime servitù rustiche si ricorreva all'atto più
formale che era la Mancipatio. Tuttavia, la servitù può nascere anche sulla base
dell'Usus cioè della ripetizione costante da tempo in memore di un certo
comportamento e in quel caso non vi è nessuna utilità, infatti è una compressione del
diritto di proprietà proprio perché il titolare del fondo servente deve non fare qualcosa
che non potrebbe fare o accettare che il proprietario del fondo dominante svolga
un'attività sul suo fondo che egli avrebbe potuto impedire.

La circostanza che la servitù sia connessa all'utilità del fondo impone anche che i due
fondi siano contigui e se non confinanti almeno vicini.

ESEMPIO:

Consideriamo tre fondi: A, B, C

Fondo A è fondo dominante rispetto a C di una servitù di presa d'acqua, cioè può
andare alla sorgente che c'è in C e prendere l'acqua, ma tra A e C vi è B.

Il titolare di A avrà anche la necessita di avere una servitù d'acquedotto su B,


altrimenti non potrà portare l'acqua sul suo fondo. Sono entrambi fondi serventi, ma
con servitù diverse:

C è una servitù di PRESA D’ACQUA e vuol dire che A può recarsi su C per
prendere l'acqua perché vi è una sorgente. Ma A per arrivare a C dovrà passare su B
per prendere e portare l'acqua e quindi A sarà fondo dominante rispetto a B per una
SERVITÙ D’ACQUEDOTTO.
Se A e C fossero stati vicini ,sarebbe stato sufficiente la semplice servitù di presa
d'acqua, ma siccome c'è un altro pezzo di terra di un altro proprietario c'è bisogno
dell' Acqueductus per portare l'acqua.

Ci sono tre regole fondamentali in materia di servitù:

1. La prima regola è: NEMINI RES SUA SERVIT

NESSUNO PUÒ AVERE DIRITTO DI SERVITÙ SULLA SUA COSA

non si può avere servitù di una cosa propria (perché in una cosa di mia proprietà ho
già tutti i poteri che discendono dalla servitù).

Il proprietario del fondo dominante acquista il fondo servente e quindi c'è l'estinzione
della servitù, perché viene a coincidere il proprietario del fondo dominante con quello
del fondo servente e quindi c'è questa regola delle res. Non si può quindi avere una
servitù sul bene proprio e di conseguenza la servitù si è estinta.

Se il signore che ha acquistato il fondo servente aliena nuovamente il fondo a un


terzo, la servitù torna in essere.

Esiste anche nel nostro ordinamento un istituto che si chiama “servitù per
destinazione di padre di famiglia”. Ciò significa che se tra due fondi c'è una servitù e
cambia poi il regime di proprietà di uno dei due fondi la servitù permane.

ESEMPIO presente nel nostro codice civile: vi è un fondo unico che viene poi diviso
dal padre di famiglia tra i due figli: TIZIO e CAIO. Tizio ha ottenuto il fondo senza
accesso alla strada ma siccome quei due fondi erano uniti, allora il fondo di Tizio
deve mantenere la stessa condizione che aveva quando era insieme al fondo di Caio e
così facendo tutte le servitù che vi erano risorgono.

In questo caso manca l'atto costitutivo della servitù, ma essa nasce spontaneamente
(per questo vi è la particolarità).

2. La seconda regola è: SERVITUS IN FACIENDO CONSISTERE NEQUIT

LA SERVITÙ NON PUÒ CONSISTERE IN UN OBBLIGO DI FARE

ovvero dalle servitù non può scaturire un'attività di fare in capo al titolare del fondo
servente, quale dovrà O SOPPORTARE O NON FARE. Il diritto di servitù non può
mai consistere in un facere, ma sempre e soltanto in doveri negativi, oppure in un
lasciar fare. A questa regola vi è un’eccezione che si chiama: SERVITUS ONERIS
FERENDI ovvero servitù che porta degli onori.

È la servitù di appoggio della parete, servitù urbane e non rustiche cioè non connesse
all'agricoltura ma servitù che disciplinano i rapporti tra vicini.
ES: una casa che si poggia sul muro del vicino. Colui che subisce l'appoggio è
titolare del bene servente, colui che si appoggia è titolare della casa dominante.

In questo caso vi è un’eccezione, perché il titolare della casa servente dovrà


mantenere la parete, cioè dovrà fare in modo che essa non si rovini.

Ecco perché è un’eccezione alla regola: il titolare del bene servente può avere oneri
di fare in positivo.

3. La terza regola è: SERVITUS SERVITUTIS ESSE NON POTEST

NON PUÒ ESSERVI SERVITÙ DELLA SERVITÙ

cioè non si può costituire una servitù sulla servitù. Se un soggetto ha la servitù di
passaggio sul fondo altrui non può costituire sul fondo servente una servitù di
passaggio a favore di un altro.

Parte della dottrina ritiene che il testo riportato sia giunto a noi corrotto, che ci sia
stato un a parte di un amanuense e che la versione autentica sarebbe: USUFRUCTUS
SERVITUTIS ESSE NON POTEST ovvero, il titolare del diritto di usufrutto non può
costituire la servitù sul bene che ha in usufrutto.

MODI DI COSTITUZIONE DELLA SERVITÙ

• MANCIPATIO, perché le servitù rustiche sono res mancipi.

• LEGATO PER VENDICATIONEM all'interno del testamento, perché


questo tipo di legato serve a costituire diritti reali e la servitù è un diritto reale.

Attraverso la formula del DO LEGO, si poteva costituire un diritto di servitù.

La servitù si poteva anche costituire tramite la IN IURE CESSIO e infine tramite


l’USUS, cioè la servitù poteva costituirsi se tra due fondi c'era sempre stato il diritto
di passaggio, di presa d'acqua etc. e nessuno aveva mai contestato.

Attraverso l'Usus nasceva questo diritto, c he era anche il modo più frequente in cui
nascevano servitù e allo stesso tempo, anche quello che portava a più liti giudiziali,
mentre negli altri modi (quindi con la Mancipatio, in iure cessio, legatum per
vindicationem) vi era un atto.

Intorno al I secolo .a.C. fu promulgata la LEX SCRIBONIA.

Essa impediva l'usucapione delle servitù, in quanto erano diventate dei diritti reali su
cose altrui e quindi erano divenute res incorporales e in quanto tali non si potevano
possedere e conseguentemente neanche usucapire. Sarà poi Giustiniano che
consentirà anche l'usucapione delle servitù.

Non si possederanno più solo beni materiali res corporales ma si potranno possedere
anche res incorporales.

Infine, la servitù si difende con l’ACTIO CONFESSORIA, un’azione che si rivolge


contro il titolare del fondo servente che impedisce l'esercizio della servitù. In questo
caso l'attore (colui che chiede di esercitare la propria servitù) dovrà dimostrare il
titolo costitutivo della servitù.

16/11/2020

MODI DI ESTINZIONE DELLA SERVITÙ

La servitù segue il fondo, quindi anche se il fondo viene alienato o viene trasmesso
mortis causa, il diritto di servitù resta ma esistono dei modi di estinzione di questo
diritto:

· CONFUSIONE: il titolare del fondo dominante e del fondo servente


vengono a coincidere e di conseguenza, la servitù si estingue ( il fondo
dominante e il fondo servente divengono di proprietà di un singolo soggetto
sostanzialmente )

· NON USUS: se il titolare del fondo dominante non esercita la servitù


per un certo periodo di tempo (non è noto quanto fosse il periodo di tempo
richiesto ) la servitù si estingueva perché evidentemente era venuta meno
l’utilità del fondo.

· USUCAPIO LIBERTATIS ( si tratta di servitù urbane e non rustiche ):


il titolare del bene servente assume una condotta contraria a quella che
dovrebbe assumere in presenza della servitù.

ES: Il titolare della casa dominante ha un diritto di servitù, ad esempio la SERVITUS


ALTIUS NON TOLLENDI che consiste nel divieto del vicino di casa di non
costruire sopra una certa altezza. Tuttavia, quest’ultimo adotta una condotta antitetica
rispetto all’esistenza del diritto di servitù, costruendo sopra la suddetta altezza.

Se il titolare del bene dominante non si oppone per un determinato periodo di tempo (
forse per due anni ma non vi sono certezze su ciò ), il bene servente veniva liberato
dalla servitù. Fondamentalmente questo modo di estinzione della servitù è simile al
non usus perché anche in questo caso il titolare della servitù non la utilizzava, non
opponendosi in questo caso.

DIRITTO DI USUFRUTTO

Basandoci sulla definizione del giurista di età Severiana Giulio Paolo:

IUS ALIENIS REBUS UTENDI FRUENDI SALVA RERUM SUBSTANTIA

IL DIRITTO DI USARE BENI ALTRUI E DI GODERNE I FRUTTI,

RESTANDO SALVA LA CONSISTENZA DEI BENI cioè il diritto di usufrutto è il


diritto su cosa altrui di utilizzare la cosa e di percepirne i frutti fatta salva la
destinazione economico-sociale della cosa medesima.

Oggi la definizione nel nostro codice civile è la medesima. L’usufrutto può sussistere
su beni inconsumabili che possono essere anche beni fruttiferi (proprio perché se ne
possono percepire i frutti).

A seguito della costituzione del diritto di usufrutto il proprietario del bene diventa
NUDO PROPRIETARIO ( NUDUS DOMINUS ), espressione con la quale si vuole
rendere evidente che il proprietario non ha alcuna facoltà di quelle proprie di un
titolare di un diritto di proprietà su un bene ad eccezione della possibilità di alienare il
diritto di proprietà, che però è l’alienazione della nuda proprietà.

Il dominus non potrà amministrare e gestire il bene, avrà soltanto l’aspettativa che
terminato l’usufrutto egli rientri nella piena disponibilità del bene e che quindi da
Nudus Dominus torni ad essere dominus a pieno titolo (una delle caratteristiche della
proprietà è l’elasticità: in presenza del diritto di usufrutto è molto compressa infatti il
proprietario può soltanto vendere il diritto ma venuto meno ciò il diritto di proprietà
si espande nuovamente).

Il proprietario del bene in presenza di un diritto di usufrutto può alienare il bene ma


non può in alcun modo deteriorare la condizione di utilizzo da parte
dell’USUFRUTTUARIO.
DIRITTI DELL’USUFRUTTUARIO

L’usufruttuario può utilizzare il bene con una limitazione: farne l’uso del BUON
PADRE DI FAMIGLIA, espressione usata tutt’oggi per indicare quelli che sono i
criteri di ragionevolezza, buona fede e correttezza.

Nelle prime fasi del diritto romano, per vincolare l’usufruttuario a comportarsi
secondo le regole che ispirano il buon padre di famiglia, al momento di costituzione
dell’usufrutto veniva stipulata tra il nudo proprietario e l’usufruttuario, una garanzia (
CAUTIO ) di utilizzare e fruire del bene secondo i criteri del buon padre di famiglia
rimessi all’arbitrio del buon uomo (ARBITRIUM BONI VIRI).

Qualora l’usufruttuario non avesse utilizzato i beni secondo i criteri di ragionevolezza


e buona fede, attraverso questa cauzione doveva versare dei soldi al nudo
proprietario.

Successivamente non ci fu più bisogno di questa cauzione perché la garanzia divenne


un elemento naturale del contratto, quindi veniva prodotta automaticamente anche
qualora le parti non si fossero accordate.

LIMITI DELL’USUFRUTTUARIO:

· SALVA RERUM SUBSTANTIA ( fatta salva la destinazione


economico-sociale del bene ): il maggior limite contro cui andava incontro
l’usufruttuario era quello che emergeva dal salva rerum substantia che non
concedeva all’usufruttuario la possibilità di trasformare la destinazione
economico sociale del bene neanche in senso migliorativo.

Sarà solo Giustiniano che renderà questa regola più elastica ammettendo la
possibilità di migliorare la natura del bene dato in usufrutto.

Prima l’usufruttuario che avesse modificato la natura economico sociale del bene
incorreva in una responsabilità, che in origine corrispondeva alla garanzia che
avevano stipulato le parti e successivamente la somma di denaro da versare nei
confronti del nudus dominus venne stabilita dal pretore. La responsabilità più
alta poteva arrivare all’estinzione del diritto di usufrutto ma ciò che accadeva
più abitualmente era che rispondesse con la garanzia che aveva prestato
attraverso la Cautio.

ES: nella fattispecie in cui un usufruttuario scopra dei giacimenti in un campo di


patate, egli non potrà trasformarlo in un fondo per l’estrazione dell’oro, anche
se ciò migliorerebbe e renderebbe il valore del fondo maggiore.

· LIMITE TEMPORALE: qualora al momento di costituzione della


servitù le parti non avessero disposto alcun che, l’usufrutto durava fin quando
fosse rimasto in vita l’usufruttuario e quindi il nudus dominus o i suoi eredi
divenivano nuovamente proprietari a pieno titolo.
Spesso però nel momento dell’atto costitutivo dell’usufrutto le parti concordavano
un termine di durata. Inoltre, potevano apporre all’atto costitutivo
dell’usufrutto una CONDIZIONE RISOLUTIVA cioè un fatto futuro e
incerto al verificarsi del quale il diritto di usufrutto si estingueva.

I giuristi romani pongono il tema dell’usufrutto in relazione alle persone giuridiche


e in particolare ai MUNICIPIA. Dopo una lunga discussione a riguardo, Gaio
confermerà che si può stabilire un usufrutto a favore dei MUNICIPIA per una
durata massima di 100 anni perché si ritiene che 100 anni sia la massima
speranza di vita di un soggetto.

Se non vi si fosse posto un limite, l’usufrutto sarebbe stato infinito e trasformato in


una vera forma di proprietà. L’usufrutto ha proprio senso in quanto
l’aspettativa del nudus dominus di tornare pieno titolare del diritto si possa
effettivamente verificare.

· L’IMPOSSIBILITÀ DI VENDERE L’USUFRUTTO: qualora


l’usufruttuario dovesse vendere il bene l’usufrutto si estingueva
automaticamente. L’usufruttuario può dare in locazione il bene e ne potrà
percepire i frutti ( il canone rientrerebbe tra i frutti civili ) che rientrano quindi
nella piena e totale proprietà dell’usufruttuario.

FRUENDI è il diritto di percepire i frutti.

L’acquisto della proprietà sui frutti dei beni in usufrutto si ha attraverso la


PERCEPTIO, ovvero l’effettiva apprensione dei frutti. Tuttavia, vi sono ipotesi
complesse di questo diritto:

1. PARTUS ANCILLAE: Il figlio della schiava non è frutto perché non si ha


l’elemento della periodicità e successivamente i giuristi romani diranno che un
uomo non può produrre frutti.

2. USUFRUTTO DEI GREGGI: per i greggi si considerano frutti soltanto i


capi ulteriori rispetto al numero iniziale.

ES: la fattispecie consiste in un usufrutto di 100 pecore per 10 anni nella quale ne
muoiono 15 e ne nascono 20. I frutti saranno soltanto 5 perché prima si dovrà
sostituire (SUMMISSIO) i 15 morti e i capi eccedenti costituiranno i frutti.

Le pecore però danno vita ad ulteriori frutti che possono essere il latte, la lana, la
carne e nell’ipotesi della carne dei capi premorti, in quanto frutti spetteranno
all’usufruttuario.

3. BENI ACQUISTATI DALLO SCHIAVO IN USUFRUTTO: se uno


schiavo in usufrutto acquista un bene, ci si chiede di chi sia questo bene.
La regola generale è che se uno schiavo effettua l’acquisto utilizzando beni e
risorse dell’usufruttuario, i beni saranno dell’usufruttuario e si ritiene anche
che siano di quest’ultimo i beni che lo schiavo ha acquistato con il proprio
lavoro (perché il proprio lavoro rientra nel diritto di utilizzo dello schiavo da
parte dell’usufruttuario).

Se lo schiavo acquista dei beni a titolo gratuito o senza svolgere nessun lavoro
(come nel caso dell’acquisto del tesoro ) i beni saranno del nudus dominus.

POSSIBILITÀ O MENO DI COSTITUIRE IL DIRITTO DI USUFRUTTO SU


BENI CONSUMABILI

L’usufrutto si costituisce su beni inconsumabili in quanto implica la restituzione del


bene. Quindi se il bene fosse stato consumabile non sarebbe ovviamente stato
possibile restituirlo, ma a partire da un certo momento, i giuristi romani introdussero
la possibilità di costituire l’usufrutto su beni consumabili.

Questa possibilità viene ammessa, perché assai spesso veniva costituito un usufrutto a
favore di determinati soggetti che comprendeva sia beni consumabili che
inconsumabili, questo perché uno dei modi di costituzione dell’usufrutto è il legato
per Vindicationem, quindi il soggetto che stava per morire lasciava alla moglie non
solo l’usufrutto della casa ma anche quello su beni consumabili (fondamentalmente il
denaro ).

Per lungo tempo si ritenne che questo usufrutto non fosse valido ma successivamente
i giuristi romani introdussero la possibilità che si potessero dare in godimento anche i
beni consumabili, che chiamano QUASI USUFRUTTO e si richiede che
l’usufruttuario presti una garanzia con la quale si obbliga a restituire al termine
dell’usufrutto il TANTUNDEM EIUSDEM GENERIS ovvero la restituzione degli
stessi beni nella stessa quantità e nello stesso genere al nudus dominus.

ES: se fosse stato costituito un quasi usufrutto su 100 sesterzi, l’usufruttuario si


obbligava al termine a restituire 100 sesterzi che ovviamente non saranno gli stessi
che aveva avuto originariamente ma che avranno lo stesso valore ( quantità e
genere ).

Si individua un meccanismo obbligatorio perché se si fosse costituito l’usufrutto su


beni consumabili (che generalmente sono anche fungibili), nell’utilizzarli
l’usufruttuario ne avrebbe disposto a pieno titolo, quindi è come se si fosse acquistata
la nuda proprietà sulle monete. Esse, non venendo conservate, vengono utilizzate e
alienate ma poi al termine dell’usufrutto si era obbligati a restituire la stessa quantità
di denaro o di altri beni fungibili al nudo proprietario.

DIRITTO D’USO
I Romani introdussero una figura affine all’usufrutto che è il diritto d’uso che
coincide con l’usufrutto salvo che l’usuario non possa percepire i frutti.

TIPI DI COSTITUZIONE DELL’USUFRUTTO:

· IN IURE CESSIO: un finto processo in cui le parti sono già d’accordo


e si recano dal pretore per ratificare pubblicamente un accordo tra loro già
avvenuto: colui che vuole costituire l’usufrutto dichiara di essere titolare del
diritto d’usufrutto mentre il proprietario assume un contegno passivo al fine di
permettere ad entrambi di conseguire i propri interessi.

· LEGATO PER VINDICATIONEM: disposizione particolare


all’interno del testamento con la quale si costituiscono diritti reali.

· DEDUZIONE DI USUFRUTTO ALL’INTERNO DELLA


MANCIPATIO: all’interno della Mancipatio venivano pronunciate delle
parole solenni ( NUNCUPATIO ) che portavano alla costituzione del diritto
d’usufrutto.

Quindi non si trasferiva la proprietà ma si limitava a trasferire il diritto d’usufrutto


oppure si trasferiva la proprietà ma al tempo stesso l’alienante si costituiva
usufruttuario.

MODI DI ESTINZIONE DELL’USUFRUTTO:

· MORTE DELL’USUFRUTTUARIO.

· VERIFICARSI DEL TERMINE O DELLA CONDIZIONE


RISOLUTIVA.

· PER CONFUSIONE qualora l’usufruttuario divenisse proprietario del


bene acquistando la nuda proprietà (NUDUM DOMINIUM) perché non può
sussistere un diritto reale parziario su un bene proprio.

· NON RISPETTO DA PARTE DELL’USUFRUTTUARIO DELLA


DESTINAZIONE ECONOMICO-SOCIALE del bene.

· TENTATIVO DI VENDITA DEL BENE DA PARTE


DELL’USUFRUTTUARIO.

· AZIONE CONFESSORIA ovvero, un ACTIO IN REM che si può


esperire contro tutti.

L’usufruttuario potrà citare in giudizio il nudo proprietario o qualsiasi terzo che


turbi il godimento del suo diritto e dovrà allegare l’atto costitutivo
dell’usufrutto come prova d’esistenza del suo diritto.
La SUPERFICIE e l’ENFITEUSI sono gli ultimi due diritti reali di godimento e
sono due diritti tardi cioè che nascono tardi nel diritto romano e non ci sono quindi
delle origini come per la servitù e l’usufrutto.

Sono due diritti molto invasivi, in quanto coloro che li detengono hanno gli stessi
diritti del proprietario del bene, al quale rimane il diritto a percepire un canone (
CANONE SUPERFICIARIO o CANONE ENFITEUTICO in base al caso) e
l’aspettativa di rientrare nella piena disponibilità del bene qualora il diritto reale
parziario si estingua.

Nelle fonti medievali si parla anche di dominio utile ( DOMINUIM UTILE ) che
appartiene al titolare dell’enfiteusi o della superficie e di dominio eminente
( DOMINIUM EMINENTE ) che è il diritto del proprietario del fondo proprio a
sottolineare la quasi perfetta coincidenza tra i due.

DIRITTO DI SUPERFICIE

In origine non è conosciuto dai romani perché vigeva il principio secondo cui tutto
ciò che sta su un fondo appartiene al proprietario del fondo medesimo, quindi non si
poteva distinguere tra proprietario del fondo e proprietario di ciò che sorgeva sul
fondo. Ma con lo sviluppo dell’attività edilizia si pone l’esigenza di distinguere tra le
due figure ed è a partire da questo momento che nacque il diritto di superficie.

In realtà le prime forme di emersione del diritto di superficie attengono alla


costruzione di TABERNE su spazi pubblici del foro romano. Le taberne erano delle
locande che venivano gestiti da privati ( quelli che oggi si chiamano bar) ma
sorgevano sul suolo pubblico quindi da un punto di vista giuridico sarebbero spettati
al populus romanus che era proprietario del fondo su cui sorgevano.

Nacque però l’idea di una concessione a tempo indeterminato di queste taberne a


coloro che le gestivano. In origine questa concessione non era tutelata in nessun
modo nei confronti del concedente (Populus Romanus ) che poteva decidere in
qualsiasi momento di sottrarre questi beni, ma veniva tutelata solo nei confronti di
terzi attraverso lo strumento concesso dal pretore che era l’ INTERDICTUS DE
SUPERFICIEBUS (interdetto sulla superficie ).

La concessione non era a titolo gratuito ma si pagava un canone versato o in unica


soluzione o mensilmente nonostante non avesse tutele contro il concedente. Nacque
perciò un’ACTIO IN REM che poteva essere esperita contro tutti i terzi e anche
contro il concedente (quindi questa azione prese il posto dell’interdetto). È questo il
momento nel quale la superficie diventa un diritto cioè dopo il II sec d.C. e quindi in
epoca tardo antica. Un meccanismo analogo avvenne nell’ipotesi in cui questa
concessione perpetua fosse stata effettuata da un privato ad un altro privato.
ES: la fattispecie è quella di un palazzo che sorge su un fondo privato. Colui che
aveva costruito il palazzo, per farlo aveva ottenuto una concessione perpetua da parte
del proprietario del fondo ma anche in questo caso, in origine, l’unico strumento di
tutela contro il proprietario di un fondo poteva essere quello derivante da un
contratto, successivamente fu estesa l’actio in rem.

Nacque il diritto di superficie sia in riferimento a queste taberne che venivano


costruite sugli spazi pubblici sia rispetto a costruzioni che venivano edificate su fondi
privati. L’utilità di questo nuovo diritto fu quella di consentire la distinzione tra il
proprietario del fondo e il titolare di ciò che sorgeva sul fondo facendo riferimento
alle nuove tecniche urbaniste che sorgevano a Roma.

DIRITTO DI ENFITEUSI

L’enfiteusi è il diritto reale su cosa altrui da cui discende il diritto di godere e di


disporre del bene ( poter vendere il diritto di enfiteusi ) e anche il diritto di arrecare
migliorie sul bene medesimo.

Anche il diritto di enfiteusi nacque molto tardi, nel 480 d.C. (fine V secolo d.C.) ad
opera dell’imperatore Zenone che promulgò una costituzione nella quale disciplinò
questo istituto.

L’enfiteusi nasce a partire dalla concessione perpetua del Populus Romanus dei fondi
patrimoniali (FUNDI PATRIMONIALES ) affinché il concessionario potesse
usarli, coltivarli e migliorarli: erano appezzamenti di terra che rientravano nei beni
dello Stato (RES CAESARIS) e nei beni del patrimonio personale del principe (RES
PRIVATA PRINCIPIS).

Questi beni venivano dati in concessione perpetua a fronte del pagamento di un


canone (VECTIGAL). Venivano concessi in un momento nel quale Roma viveva
una crisi economica, la famosa crisi del II-III d.C. che porterà a un progressivo
depotenziamento dell’Impero Romano fino a determinarne la caduta.

In origine non vi era un actio in rem che difendesse il titolare del diritto di enfiteusi
contro tutti i terzi, ma ben presto fu Zenone a stabilire che il diritto di enfiteusi
potesse anche essere alienato a terzi.

L’enfiteusi rispetto all’usufrutto si può vendere, ma per procedere alla vendita


occorre il consenso del proprietario che aveva un DIRITTO DI PRELAZIONE ( il
diritto del titolare della proprietà sul bene concesso in enfiteusi, di acquistare il bene
prima degli altri, quindi colui che vuole alienare il diritto di enfiteusi prima di
procedere a ciò dovrà rivolgersi al proprietario ) ed esercitandolo tornava ad essere il
pieno titolare del bene perché si verificava la confusione, egli poteva quindi
riacquistare lo IUS ENFITEUTICARIUM.
Qualora non venisse fatto ciò dal proprietario, colui che acquisterà il bene otterrà il
diritto di enfiteusi e anche il diritto di utilizzarlo ma resterà pur sempre esistente il
proprietario del bene.

Qualora il proprietario decida di non esercitare il diritto di prelazione, ha diritto al 2%


sulla vendita del diritto di enfiteusi, che prende il nome di LAUDEMIO.

Infine, Zenone imporrà dei criteri di responsabilità, stabilendo che la responsabilità


generale sulla res, concernente la straordinaria amministrazione e le questioni
generali relative alla gestione del bene, sarebbero gravate sul proprietario, mentre le
questioni concernenti l’ordinaria amministrazione ( lavori quotidiani o ciò che attiene
all’utilizzo quotidiano del bene ) sull’enfiteuta.

L’enfiteuta può anche cambiare la destinazione economico-sociale del bene, il suo


unico limite, essendo l’enfiteusi equiparata alla proprietà, sarà quello di non
distruggere il fondo.

Vedi bene distinzione tra superficie ed enfiteusi.

17/11/2020

DIRITTI REALI DI GARANZIA

La funzione di questi diritti è quella di fornire una garanzia rispetto all’adempimento


di una obbligazione.

La fattispecie è quella di un soggetto creditore al quale viene dato un bene nel caso in
cui la prestazione non venga adempiuta. Se appunto questa prestazione non viene
adempiuta, il creditore potrà soddisfare la sua pretesa creditoria attraverso quel bene
che gli è stato consegnato.

Quindi, il soggetto titolare del diritto reale di garanzia è allo stesso tempo anche
soggetto creditore.

Questi diritti possono essere tutelati erga omnes.

Ad oggi parliamo di diritti reali di garanzia quando parliamo di PEGNO e


IPOTECA. La differenza tra questi due istituti è che il pegno grava sui BENI
MOBILI, mentre l’ipoteca grava sui BENI IMMOBILI.
Nel diritto romano invece, pegno e ipoteca coincidevano ed infatti i giuristi usano
indifferentemente il termine pegno e il termine ipoteca per indicare una qualsiasi
garanzia, a prescindere dalla tipologia del bene.

I diritti reali di garanzia presentano due aspetti fondamentali:

• IUS SEQUELAE (DIRITTO DI SEQUELA):vuol dire che il diritto reale di


garanzia esiste sul bene a prescindere dal titolare de bene stesso: A chiede dei soldi
a B e da come garanzia, in ipoteca, l’immobile I. A vende poi l’immobile I ad una
persona C. Se A non ripagherà il debito al creditore, B potrà prendere l’immobile I
anche se diventato di proprietà di C. Ovviamente però l’ipoteca esiste fino a
quando esiste il debito, in caso di estinzione del debito, l’ipoteca sulla casa si
estingue. L’ipoteca, quindi, segue il bene a prescindere da chi sia il titolare di esso.

Se un soggetto non costituisce questi diritti reali di garanzia, cosa può fare a fronte
dell’inadempimento? L’art.2740 del nostro Codice Civile ci dice che ognuno di noi
risponde delle proprie obbligazioni con tutto il proprio patrimonio. Il diritto reale di
garanzia offre un qualcosa in più, cioè c’è un bene espressamente dedicato a quel
debito. Si pone soprattutto in presenza di più creditori, perché in questo caso, se non
si è costituito un diritto reale di garanzia, vige un principio cosiddetto della PAR
CONDICIO CREDITORUM, cioè tutti i creditori hanno diritto di rifarsi del
proprio credito.

Il titolare del diritto di garanzia è chiamato CREDITORE PRIVILEGIATO, perché


sul quel bene sarà lui che potrà soddisfarsi prima degli altri, o in luogo degli altri. Ciò
è chiamato IUS PRELATIONIS.

• IUS PRELATIONIS (DIRITTO DI PRELAZIONE): il diritto reale di garanzia


del titolare di rifarsi prima degli altri creditori, ecco perché è un creditore
privilegiato.è il diritto che dà, a chi ne è titolare, una posizione di preferenza
rispetto ad altri nel soddisfare il proprio credito. Detto Meglio= diritto di
prelazione. Il titolare del diritto reale di garanzia trarrà soddisfazione dal bene
ipotecato o in pegno prima degli altri creditori.

In caso di più beni in pegno o ipotecati i primi ad essere presi saranno quelli più
facilmente liquidabili ( vendibili ) e con maggior valore. In caso di usucapione e
ipoteca la prima non può essere svolta; l’immobile non può quindi essere usucapito.
L’ ipoteca scatta immediatamente quando le due parti la costituiscono e termina
quando avviene l’adempimento dell’obbligazione.
PIGNUS DATUM

È la forma più antica di diritto reale di garanzia a Roma. È un diritto reale di garanzia
che implicava (proprio perché non vi era una smaterializzazione del diritto di
proprietà) la consegna del bene.
Ma il creditore che otteneva la consegna informale del bene, non aveva la proprietà
su di esso, ma aveva la semplice disponibilità materiale, quindi si trovava in una
posizione di tipo possessorio.

In una prima fase il creditore aveva (a tutela di questo possesso) a disposizione solo
degli interdetti del pretore. Nel I secolo a.C. invece, viene applicata anche all’ipotesi
del pegno dato, l’ACTIO SERVIANA, un’azione erga omnens che aveva la finalità
di consentire al creditore di mantenere, conseguire o recuperare il possesso del bene.

Forma più antica di diritto reale di garanzia: Pignus Datum.


Nasce poi il Pignus Convenctum, sulla base di una conventio, un accordo; la novità è
che le parti stipulano l’accordo con il quale stipulano un diritto reale di garanzia su un
bene, ma non si è più bisogno della consegna informale del bene al creditore, che
quindi non ne entra in possesso. L’eventuale possesso del bene serve solo a porre il
creditore in una posizione di ulteriore vantaggio e non è quindi una necessità. Il
Pignus Convenctum nasce a garanzia dei canoni di affitto di un fondo agricolo e, in
particolare, questo diritto reale di garanzia sorgeva per gli Invecta Et Inlata ; essi
erano gli strumenti di lavoro di un soggetto che aveva preso in affitto un campo. Se
l’affittuario non avesse pagato il proprietario avrebbe potuto prendere questi beni e
rifarsi del proprio credito; successivamente sarà esteso ad ogni bene. Il creditore
aveva a difesa del suo diritto reale di garanzia l’Interdetto Servianum: serviva a fare
in modo che non fosse spossessato, ad esempio, degli inventa et inlata. Dal Pignus
Convenctum venne poi estesa anche al Pignus Datus. Le due figure poi finiranno per
coincidere. Il Pignus Convenctum è anche un tipo di contratto reale. Intorno al II
secolo a.C., il creditore aveva a tutela del suo diritto reale di garanzia
l’INTERDICTUM SERVIANO che serviva a fare in modo che non fosse
spossessato da Invecta et Inlata.
ES: un soggetto agricoltore prende in affitto un fondo ma non ha pagato il canone. Il
proprietario del fondo prende la sua zappa e il suo aratro, ma prima di venderle, un
terzo ruba questi attrezzi. Il creditore che aveva preso questi strumenti per venderli e
soddisfare il credito del soggetto agricoltore, nei confronti del terzo ha l’interdetto per
far in modo che possa riprendere questi beni.
Successivamente viene formulata, a tutela del titolare del diritto di garanzia, l’Actio
Serviana. Questa azione, come abbiamo già detto, nasce per il Pignus Conventum e
solo successivamente viene estesa al Pignus datum. Al seguito di questa estensione,
le due figure finiscono per coincidere.

Chi è che può costituire il pegno? Ovviamente il proprietario del bene (ES. il
soggetto che è il proprietario della casa).

Ma può costituire il pegno anche il titolare dell’In Bonis Habere. (ES. se un soggetto
ha comprato uno schiavo con la traditio, può dare in pegno quello schiavo.)
Può accadere che un soggetto costituisca un pegno sullo stesso bene a favore di più
creditori, per questo motivo i romani elaborarono delle regole che valgono tutt‘oggi e
che gestiscono un pegno a favore di più creditori:

1. MELIOR EST CONDICIO POSSIDENTIS: colui che per primo abbia


conseguito il possesso, è l’unico creditore privilegiato, e cioè l’unico che potrà
rifarsi su quel bene.

2. PRIOR TEMPORE POTIOR IURE: qualora nessuno abbia conseguito il


possesso, prevale il diritto di pegno istituito per primo.

Ci si chiedeva come in concreto il creditore, che non era proprietario del bene, ma ne
era in possesso, poteva effettivamente soddisfare la sua pretesa creditoria.

Nel diritto romano sono conosciuti due strumenti: la LEX COMMISSORIA e il IUS
VENDENDI, che avevano la finalità di garantire l’escussione del bene, cioè fare in
modo che attraverso i beni, il creditore soddisfacesse la sua pretesa creditoria.

· LEX COMMISSORIA: era quella clausola in forza della quale, a


seguito dell’inadempimento, il creditore poteva divenire su richiesta, il
proprietario del bene oggetto del pegno. Generalmente il pegno a garanzia
aveva un valore maggiore del credito stesso (ma poteva succedere anche il
contrario). L’applicazione di questa Lex, doveva essere espressamente richiesta
quindi non operava in automatico. Fu abrogata da Costantino nel 320 d.C. (ma
già prima era caduta in desuetudine e sostituita dallo ius vendendi ).

· IUS VENDENDI: era il diritto di vendere il bene soggetto di pegno da


parte del creditore, pur non essendo questi il proprietario del bene. In sostanza,
si riconosceva al creditore un diritto che solitamente scaturiva con la proprietà
sul bene, ma in questo caso lui non aveva la proprietà su di esso. Tuttavia, a
seguito della vendita, il creditore poteva trattenere per sé soltanto la parte di
prezzo conseguita pari al suo debito. La parte eccedente doveva essere
restituita al debitore.

ES. il debitore aveva dato a garanzia del suo debito di 100 euro, un anello di 200
euro. A seguito dell’inadempimento il venditore vendeva l’anello e otteneva
200 euro. Di questi 200 euro poteva trattenere per sé solo i 100 euro che
servivano per soddisfare il debito, e doveva restituire la parte eccedente al
debitore.

LE OBBLIGAZIONI
Rientrano per Gaio tra le res incorporali, e l’obbligazione è un diritto relativo che può
farsi valere solo con determinati soggetti con cui si ha un contratto, e che implica la
collaborazione del debitore per il soddisfacimento delle aspettative del creditore.

ES. se un soggetto è creditore di 100 euro, per vedere soddisfatta la sua aspettativa, il
debitore deve concedere al creditore 100 euro. Senza la collaborazione non si può
conseguire il soddisfacimento della propria aspettativa.

I momenti fondamentali delle obbligazioni sono due:

· il DEBITO cioè la condotta cui il debitore è tenuto.

· la RESPONSABILITÀ che è sempre connessa alla figura del debitore


che è chiamato a rispondere qualora non assuma la condotta alla quale si è
obbligato (INADEMPIMENTO IMPUTABILE).

18/11/2020

LE OBBLIGAZIONI

Le caratteristiche dell’obbligazione sono:

• Il DEBITO: la condotta alla quale il debitore è tenuto verso un altro soggetto


(creditore ) e che sorge sulla base di uno dei fatti costitutivi delle obbligazioni che
si chiamano FONTI DELLE OBBLIGAZIONI (sono quegli atti o fatti da cui
nascono delle obbligazioni ).

• La RESPONSABILITÀ: sorge nel caso in cui il debitore è tenuto a rispondere


qualora non assuma la condotta alla quale è tenuto.

Gaio e i giuristi di epoca classica elaborarono un sistema articolato delle fonti delle
obbligazioni e questo sistema sarà poi definitivamente messo a punto dall’imperatore
Giustiniano.

Tuttavia, prima di Gaio l’esperienza giuridica romana aveva già attraversato i secoli
(infatti dalle XII tavole a Gaio vi sono circa 700 anni).

L’ORIGINE DELLE OBBLIGAZIONI

Nella fase più arcaica del diritto romano le fonti delle obbligazioni erano due:
· CONTRATTI o ATTI LECITI.

· DELITTI o ATTI ILLECITI.

Si deve capire cos’è successo prima dei 700 anni (partendo almeno dalle XII tavole e
arrivando circa al II secolo d.C.) e capire quindi se in un ordinamento giuridico nasca
prima la fonte di obbligazione atto illecito o la fonte di obbligazione atto lecito.

Ciò non vuol dire che si debba stabilire se nasca prima l’atto illecito o l’atto lecito ma
soltanto quali di questi due fatti per primo divenne fonte di obbligazione.

Secondo i più accreditati studi antropologici e storici, nelle società primitive si


preoccupava di dettare delle regole relative ai diritti personali, ai diritti di famiglia
(comprese le successioni) e alla disciplina dell’appartenenza dei beni.

Quindi sembrerebbe mancare una disciplina degli scambi ( che dà luogo


fondamentalmente al contratto, ovvero lo strumento giuridico principale che consente
gli scambi ) perché ovviamente quest’ultimi presupponevano una diffusione dei
traffici commerciali e le società primitive in linea di massima non avevano sviluppato
quel tipo di economia: si può affermare quindi che in queste tipologie di società, i
contratti e gli atti leciti (fonte di obbligazione) siano una conquista successiva.

In una prima fase in cui vi è una poca diffusione dei traffici commerciali non
occorreva una disciplina degli scambi viceversa è attestato che si producessero delle
conseguenze giuridiche negative qualora uno dei consociati violasse una delle regole
relative ai rapporti personali o al regime di appartenenza dei beni e proprio la lesione
di uno di questi aspetti in una fase arcaica dava nascita agli atti illeciti.

Si può affermare che le fonti più arcaiche di obbligazione sono gli ATTI ILLECITI (i
delitti) però anche qui va posta attenzione su un preciso excursus storico su cui
peraltro sono pervenuti alcuni testi delle XII tavole che consentono di cogliere il
passaggio tra le diverse fasi.

Vi è una fase primordiale in cui a seguito dell’atto illecito, l’ordinamento giuridico


rispondeva consentendo la vendetta, la DIFESA PRIVATA.

ES. Un soggetto A viola un diritto di un altro soggetto B, colpendolo ad esempio con


un pugno. Il soggetto colpito A poteva uccidere B e ciò gli era riconosciuto, gli era
riconosciuto il suo diritto alla vendetta.

E’ una fase primordiale in cui il diritto è ancora in via di formazione ma ciò durerà
poco perché ben pesto sopravvenne in tutte le società antiche l’idea della
PROPORZIONALITÀ cioè l’idea per cui se un soggetto avesse subito una certa
offesa avrebbe potuto vendicarsi con un offesa di pari misura ed è proprio questo
principio che sta alla base della LEGGE DEL TAGLIONE ( le cui prime
attestazioni risalgono al codice di Hammurabi del 1200 a.C. e delle possibili tracce vi
sono anche nelle sacre scritture) .

Già l’idea della proporzionalità manifesta un passo in avanti rispetto alla vendetta
privata in cui un soggetto che ha subito un’offesa può rispondere senza dover tener
conto della necessaria proporzionalità dell’offesa ricevuta ma ovviamente ancora con
questa legge si resta in un ambito di vendetta privata e anche questa fase
presupponeva in qualche misura un’esistenza molto labile del diritto.

Ben presto nelle società primitive prevarrà l’orientamento che questi fenomeni
debbano essere disciplinati da TERZI, quindi, irrompe lo Stato (per utilizzare
l’elaborazione di Hobbes irrompe il “Leviatano” che disciplina le controversie tra
privati).

Nel diritto romano è anche conservato un passaggio simbolico nelle forme più
arcaiche del processi,( PROCESSO PER LEGIS ACTIONES ) la LEGIS ACTIO
SACRAMENTO IN REM ( sorta di rappresentazione teatrale ) in cui si osserva
questa scena nella quale i due contendenti relativamente rispetto a una res ( ES: uno
schiavo ) iniziano a contendersi fisicamente, ad afferrare la RES LITIGIOSA finché
non interveniva il pretore dicendo “MITTITE AMBO HOMINEM” ( lasciate
entrambi l’uomo).

Tutto ciò è simbolo dell’intervento dello Stato, quindi di un potere terzo che
disciplina le controversie tra privati.

Interviene e si sviluppa lo Stato che, basandoci sulla citazione di Weber, acquisisce il


monopolio dell’USO LEGITTIMO DELLA FORZA. Infatti, all’interno di un
ordinamento statale soltanto lo Stato poteva utilizzare legittimamente la forza ed è
questo il motivo per cui non si poteva più dar luogo alla vendetta privata.

Vi sono anche qui delle tappe per cui lo Stato non interverrà immediatamente
fissando delle regole processuali e superando del tutto la vendetta privata, perché
sempre nelle XII tavole e in particolare in una norma relativa al MEMBRUM
RUPTUM (amputazione di un arto ) si stabilì che il soggetto che avesse arrecato
un’offesa ( come poteva essere l’amputazione di un arto) poteva provare ad offrire
del denaro alla soggetto offeso e le parti avrebbero dovuto trovare in questo caso un
accordo sulla somma: ciò viene indicata con il nome di COMPOSIZIONE
VOLONTARIA che impone alle parti di provare a trovare un accordo rispetto
all’offesa che uno ha arrecato all’altro (non impone quindi una soluzione alla
controversia ) ma se le parti non dovessero trovare quest’accordo, dicono le XII
tavole in un versetto decemvirale:

NI CUM EO PACIT, TALIO ESTO= SE LE PARTI NON AVRANNO


TROVATO UN ACCORDO VI SIA IL TAGLIONE

Tuttavia, anche questa fase verrà superata e il taglione resterà soltanto un antico
ricordo.
Si arriverà alla COMPOSIZIONE LEGALE (si chiama così perché è la legge che
impone direttamente la somma da versare e quindi non vi sono le parti che devono
trovare un accordo ) e sempre all’interno delle XII tavole vi è una altro versetto
relativo allo OS FRACTUM ( frattura di un osso ) in cui si stabilì già direttamente
(quindi è lo Stato che stabilirà ciò ) quanto l’offensore debba versare all’offeso per
l’ipotesi in cui un soggetto abbia rotto un braccio ad un altro.

Con questa composizione la legge del taglione e la vendetta privata vennero espulsi
dall’ordinamento giuridico e si verifica l’alba di un ordinamento giuridico compiuto
che è appunto quello che nasce a Roma con le XII tavole).

Questo è fondamentalmente l’ordinamento precedente alle XII tavole e con esse resta
solo un’ipotesi residuale di taglione ma che uscirà definitivamente anche ‘essa
dall’ordinamento.

Nel momento in cui, a fronte di un’offesa si rispondeva con il versamento di una


somma di denaro da parte dell’offensore all’offeso, nasceva l’OBLIGATIO EX
DELICTO (l’obbligazione da fatto illecito).

L’obbligazione (che in questo caso, è quella di versare quella somma di denaro)


rientra nella più ampia categoria della responsabilità extracontrattuale, fondata su uno
dei principi di fondo, il NEMINEM LEDERE ( non ledere nessuno) che poi avrà il
suo precipitato giuridico nell’articolo 2043 (articolo sulla responsabilità
extracontrattuale detta anche AQUILIANA perché arrivati in un certo momento sarà
promulgata a Roma una LEX AQUILIA DE DAMNO INIURIA DATO e ancora
oggi per indicare quel tipo di danno si utilizza quest’espressione latina ) del codice
civile in base al quale chiunque cagioni ad un altro un danno ingiusto è tenuto a
risarcire il danno.

Nelle XII tavole sono già menzionate alcune forme di contratto e nel momento in cui
inizieranno a svilupparsi i traffici commerciali, nacque l’esigenza di creare strumenti
giuridici che fornissero delle regole per questi scambi.

Vengono menzionate quattro figure di contratto:

• VADIATURA

• PREDIATURA

• NEXUM

• SPONSIO

La VADIATURA e la PREDIATURA sono le più antiche e sono cosiddette forme


di ETEROGARANZIA di una condotta. Le figure non si erano obbligate da sé ma
rispondevano per un’obbligazione altrui assoggettandosi al potere materiale del
creditore. Quindi i VADES e o PRAEDES erano dei soggetti che divenivano
“ostaggio” di un soggetto creditore della prestazione.
ES: Un soggetto si accordava con un altro affinché gli venda un suo bene. Quindi
questi restava obbligato della prestazione di pagare del denaro. Tuttavia, in questa
fase arcaica non poteva nascere così l’obbligazione ma affinché essa potesse sorgere
occorreva che il debitore individuasse dei soggetti che garantissero personalmente per
lui, cioè che potessero mettersi in ostaggio del creditore, perché se il debitore stesso
si fosse assoggettato, non avrebbe potuto avere la possibilità di raccogliere le
ricchezze per pagare il debito e quindi occorreva qualcuno che garantisse.

Generalmente costui era un famigliare.

Qualora non avesse adempiuto a quest’obbligazione non sarebbe divenuto schiavo


perché comunque avrebbe conservato una parte dei suoi diritti politici, ma la sua
condizione era simile a quella della servitù e avrebbe quindi dovuto lavorare a vita
per il creditore.

Probabilmente vi è una differenza tra la VADIATURA e la PREDIATURA anche


perché sono riportati due nomi distinti per indicarli ma purtroppo non si è riusciti ad
individuare una linea di confine tra le due perché si tratta di figure molto arcaiche che
spariranno presto.

L’inadempimento era un’ipotesi molto rara in questo contesto di società primitiva


poiché i due soggetti si potevano accordare affinché si alternassero, cioè una volta un
soggetto avrebbe ricoperto la figura dell’ostaggio e l’altro del debitore e ovviamente
viceversa per favorire anche gli scambi commerciali.

Per quanto riguarda il NEXUM, questa forma presupponeva l’esistenza dell’uomo


con la bilancia (LIBRI PENS) e quindi l’esistenza dell’ AES RUDE.

Si presuppone quindi che il Nexum appartenesse a una fase nella quale esisteva già
una forma seppur primordiale di moneta e quindi si era superata la mera fase di
baratto.

In questa forma di contratto il debitore si auto-assoggettava, quindi non vi era più


l’ipotesi di un soggetto diverso che garantisse. In caso di inadempimento il debitore
diveniva schiavo ma successivamente questo istituto verrà abrogato con la LEX
POETELIA PAPIRIA del IV secolo a.C.

Infine, la SPONSIO è la prima vera e propria forma di contratto inteso come oggi.
Nasce inizialmente anch’essa come una forma di garanzia prestata da un soggetto, lo
SPONSOR ( che non era colui che aveva contratto l’obbligazione ma un soggetto
che si prestava a garantirla ) ma successivamente non vi fu più un nuovo soggetto che
garantisse per il debitore ma era il debitore stesso che si obbligava a compiere una
determinata prestazione attraverso il pronunciamento di parole solenni.

Gaio afferma secoli dopo nelle Istitutiones che le obbligazioni nascessero da delitto o
da contratto.
Si pose il problema di dove collocare la INDEBITI SOLUTIO che era il pagamento
effettuato per sbaglio di una somma non dovuta. In questo caso, al fronte di un
pagamento non dovuto, sarebbe nata l’obbligazione che colui che avesse ricevuto il
pagamento restituisca la somma.

Gaio afferma che non avrebbe potuto collocarla né tra i delitti dato che non era un
atto illecito né tra i contratti dato che il soggetto che pagava non avrebbe voluto
costituire un’obbligazione ma piuttosto estinguerla seppur non esistesse.

Gaio, in un’opera successiva (RES COTTIDIANAE) individua una tripartizione


delle fonti delle obbligazioni affermando che le obbligazioni nascano da:

· CONTRATTO

· DELITTO

· VARIAE CAUSARUM FIGURAE ovvero TUTTI GLI ALTRI ATTI


O FATTI IDONEI A PRODURLE.

Quindi sono una categoria residuale dove confluiscono tutte quelle fonti delle
obbligazioni non inquadrabili tra i contratti e tra i delitti. Gaio afferma che tra
esse rientrino fattispecie simili ai contratti e fattispecie simili ai delitti.
Tutt’oggi l’art 1173 c.c. afferma che le obbligazioni nascano da contratti, atti
illeciti e da tutti gli altri atti o fatti idonei a produrle.

Successivamente Giustiniano nelle sue ISTITUTIONES introdusse una


quadripartizione delle fonti delle obbligazioni affermando che esse nascano da:

• CONTRATTI

• QUASI CONTRATTI

• DELITTI

• QUASI DELITTTI

Sostanzialmente Giustiniano da dignità di categoria a sé ai due sottoinsiemi che Gaio


includeva tra le VARIAE CAUSARUM FIGURAE.

Quindi ricapitolando, le fonti delle obbligazioni nascono da:

SECONDO GAIO SECONDO GIUSTINIANO

• CONTRATTO -CONTRATTI

• DELITTO -QUASI CONTRATTI


• VARIAE CAUSARUM FIGURAE -DELITTI

-QUASI DELITTI

Il primo codice unitario dell’Italia del 1865 riprendeva le Istituzioni di Giustiniano,


quindi alle fonti delle obbligazioni indicava questa quadripartizione. Invece quello
del 1942 tornò alla tripartizione di Gaio.

I CONTRATTI potevano essere:

• REALI

• VERBALI

• LETTERALI

• CONSENSUALI

La differenza tra questi è il modo in cui si manifesta il consenso che vi è sempre e a


loro volta le varie ipotesi di contratto si articolavano in ulteriori forme.

CONTRATTI

REALI: VERBALI:

• MUTUO -DOTIS DICTIO

• COMODATO -NEXUM

• DEPOSITO -PROMISSIO IURATA


LIBERTI

• PEGNO -SPONSIO

——————————————————————————————————

LETTERALI: CONSENSUALI

• SINOGRAFI -COMPRAVENDITA

• CHIROGRAFI -LOCAZIONE

-MANDATO

-SOCIETA’

——————————————————————————————————

Nei CONTRATTI REALI, il consenso si manifestava con la DAZIONE


MATERIALE del bene.
Nei CONTRATTI VERBALI, il consenso si manifestava con la PRONUNCIA DI
PRECISE PAROLE IN RISPOSTA DI PRECISE DOMANDE. Occorreva quindi
la congruità e contemporaneità tra domanda e risposta

Nei CONTRATTI LETTERALI, il consenso si manifestava con la SCRITTURA


DI PRECISE FORMULE.

Sono di scarsa importanza perché a Roma la scrittura per gli atti giuridici fu molto
tarda e non vennero molto utilizzati. Venivano per lo più dal mondo orientale.

Questi tipi di contratti sono sostanzialmente delle scritture contabili, dei REGISTRI
CONTABILI nella quale si scriveva chi dovesse qualcosa a qualcuno e a fronte di
questa scrittura vi era la firma del debitore.

Nei CONTRATTI CONSENSUALI, il consenso si poteva manifestare IN


QUALSIASI FORMA, sono quelli che oggi verrebbero definiti contratti a forma
libera.

I DELITTI si articolavano in :

· INIURIA

· DAMNUM INIURA DATUM: è il danneggiamento aquiliano ed è la


categoria più importante.

· FURTUM: a Roma non è considerato un crimine ma un atto dal quale


scaturiscono obbligazioni quindi era considerato un delitto.

· RAPINA: furto aggravato, corroso dalla violenza.

I QUASI CONTRATTI vengono definiti così perché MANCA IL CONSENSO,


l’obbligazione nasce da un atto unilaterale e quindi non vi è accordo tra le parti. Si
articolavano in:

· VOTUM: promessa ad una divinità per l’ipotesi in cui essa arrechi un qualche
beneficio.

· POLLICITATIO: promessa al pubblico che a Roma aveva delle


caratteristiche particolari.

Generalmente erano promesse elettorali che producevano delle obbligazioni.

(Nel nostro ordinamento giuridico è simile a chi cerca il proprio cane sparito e in
cambio del suo ritrovamento pone una ricompensa, quindi quella persona è
giuridicamente tenuta a dare quei soldi ).
· NEGOTIORUM GESTIO: gestione d’affari altrui.

· INDEBITI SOLUTIO: adempimento di una prestazione non dovuta.


(Fu l’elemento che portò Gaio a cambiare la ripartizione).

I QUASI DELITTTI si articolano in:

· ACTIO DE EFFUSIS ET DEIECTIS: Azione delle cose versate o


gettate

ES: Un soggetto lancia una pietra dalla finestra che uccide uno schiavo altrui.

· ACTIO DE POSITO ET SUSPENSO: azione per le cose sporgenti, esposte o


sospese.

ES: Il vaso sul davanzale della finestra che cade.

· ACTIO CONTRA NATATIS, STABULARIOS ET CAUPONES:


azione contro battellieri, stallieri e albergatori.

ES: Un soggetto lascia la propria valigia nell’albergo e tornato si accorge che


manca un suo bene e potrà quindi agire con questo strumento.

· IUDEX QUI LITEM SUAM FECERIT: il giudice che ha fatto propria


la lite, diverso dal giudice corrotto (un giudice che ha un interesse personale
nella causa).

CONTRATTI

Nascono dopo i delitti. Essi sono degli accordi tra due o più parti volto a costituire,
modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art.1321 c.c.).

Elementi essenziali del contratto sono l’ACCORDO (ove manchi si tratterebbe di


QUASI CONTRATTI) e la PATRIMONIALITÀ (ove manchi non vi è contratto ).

Nella Roma post decemvirale ( dopo le XII tavole ) vi furono pochi contratti perché
essi sono legati all’esigenza degli scambi commerciali ( maggiori sono gli scambi
commerciali maggiore sarà il numero di esigenza dei contratti ).

In questa fase ma anche per tutta quella repubblicana vi è un sistema di TIPICITA’


CONTRATTUALE in base al quale le parti possono porre in essere soltanto ed
esclusivamente le tipologie di contratti previsti dall’ordinamento.

Oggi tutto ciò non avviene perché l’articolo 1322 del Codice Civile, stabilisce che le
parti possano versare nel contratto qualsivoglia assetto di interessi purché si
perseguano interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico salvo
che siano contrarie all’ordine pubblico, al buon costume, norme imperative.

ES: Oggi esiste il contratto di LEASING ( una forma di contratto che contiene aspetti
simili alla vendita e simili alla locazione ma non è nessuna delle due) e il
FACTORING i quali in origine non erano previsti dall’ordinamento, ma le parti
potevano comunque stipularlo in via dell’articolo 1322 perché perseguiva interessi
meritevoli di tutela. Questi tipi contratti divennero molto frequenti, perciò intervenne
una legge speciale dell’ordinamento che individuò delle regole del LEASING e del
FACTORING.

A Roma iniziò a cambiare ciò intorno al I secolo d.C. perché cominciarono ad esservi
i CONTRATTI INNOMINATI (a fianco dei contratti espressamente previsti furono
ammessi i contratti che si caratterizzavano per questi comportamenti) cioè attraverso
essi le parti poterono integrare quattro schemi contrattuali:

· DO UT DES: un soggetto dà una cosa affinché l’altro gliene dia


un’altra.

· DO UT FACIAS: un soggetto dà una cosa affinché l’altro soggetto ne


faccia un’altra.

· FACIO UT DES: un soggetto fa qualcosa affinché l’altro soggetto gli


dia qualcos’altro.

· FACIO UT FACIAS: un soggetto che fa qualcosa affinché l’altro


soggetto ne faccia un’altra.

Già dal I secolo verrà scalfito il principio della tipicità contrattuale.

Il giurista ARISTONE ( del I secolo d.C. e inoltre consigliere dell’imperatore


Traiano) dirà che un contratto è un qualsiasi accordo SINALLAGMATICO ( deriva
dal greco “ rapporto reciproco”) e inoltre affermerà che il SINALLAGMA è l’
ULTRO CITROQUE OBLIGATIO ( obbligazione dell’uno verso l’altro ), cioè
citando anche un giurista precedente di età augustea LABEONE (che chiamato al
consolato da Augusto oppose il gran rifiuto), il contratto è un'obbligazione assunta
dall'una e dall'altra parte.

Questa imposizione (anche se restò minoritaria) scalfì ulteriormente il principio di


tipicità contrattuale, per cui sono contratti solo quelli conformi ai modelli astratti ( ad
esempio mutuo, compravendita etc ... ) ma è anche più ampia di quella che
ammetteva i contratti innominati (do ut des ...) la quale faceva comunque riferimento
a schemi tipici.

Dunque, per Aristone, era sufficiente che vi fossero obbligazioni reciproche anche se
queste scaturissero da atti diversi dai contratti in astratto previsti e non presentassero
lo schema dei contratti innominati (do ut des ...) : per questo era una impostazione più
ampia.

CONTRATTO UNILATERALE E CONTRATTI BILATERALI:

· I CONTRATTI UNILATERALI: sono contratti nei quali


l’obbligazione sorge solo a carico di uno delle parti.

·  I CONTRATTI BILATERALI: sono contratti nei quali l’obbligazione


sorge in capo ad entrambe le parti.

Per Aristone tutte le ipotesi di contratto erano bilaterali.

DISTINZIONE TRA CONTRATTI A TITOLO ONEROSO E CONTRATTI A


TITOLO GRATUITO:

· CONTRATTI A TITOLO ONEROSO: sono contratti in cui a fronte


del vantaggio di una delle parti corrisponde lo svantaggio dell’altra e viceversa.
Entrambe le parti ricavano uno svantaggio e un vantaggio, cioè il vantaggio
dell’una coincide con lo svantaggio dell’altra e viceversa.

· CONTRATTO A TITOLO GRATUITO sono contratti in cui solo una


delle due parti trae vantaggio. Ad esempio, il CONTRATTO DI MUTUO è un
contratto reale unilaterale a titolo gratuito. È quel contratto in forza del quale
una parte detta MUTUANTE consegna all’altra detta MUTUATARIO una
somma di danaro o di altro bene fungibile e il mutuatario si obbliga a restituire
al termine pattuito o a richiesta del mutuante la somma di danaro o bene
fungibile ricevuto o comunque la stessa quantità dello stesso genere di beni
fungibili (TANTUNDEM EIUSDEM GENERIS).
23/11/2020

Il Mutuo:
E’ un contratto reale, in cui il consenso si manifesta attraverso la datione materiale
di un bene, che nel caso del mutuo deve avere una particolare caratteristica: deve
essere un bene fungibile e quindi, in linea generale, il mutuo ha ad oggetto una
somma di denaro. E’ un contratto unilaterale e a titolo gratuito.
Unilaterale in quanto l’obbligazione sorge soltanto in capo al mutuatario, cioè colui
che riceve la somma di denaro. L’obbligazione è quella di restituire la somma di
denaro. Il mutuo romano è anche a titolo gratuito, differentemente dalle regole
odierne; non consentiva infatti la previsione di interessi, pertanto il mutuatario
doveva restituire il Tantundem Eiusdem Generis ( la stessa quantità dello stesso
genere di bene ). Il mutuatario inoltre otteneva la proprietà dei beni; questo è un
aspetto importante. Se avesse restituito uno somma inferiore si considerava che la
quota non restituita rientrasse nell’ambito di una donazione. Perché il mutuo nasce in
questo modo a Roma ? Perché probabilmente nasce come prestito di derrate
alimentari tra pater familias, nell’ambito di un’economia agricola; molto
probabilmente inoltre chi aveva beneficiato del mutuo avrebbe prestato ad altri e così
via. Tuttavia quando si diffonde il prestito monetario la situazione cambia: il mutuo
resta sempre un contratto a titolo gratuito ( non ci poteva essere una clausola che
prevedesse interessi per il mutuatario ), ma i giuristi romani affiancano al contratto di
mutuo un altro contratto che si chiama Sponsio; questo è un contratto verbale che in
questo caso colui che riceveva la somma di denaro prometteva di dare una certa
somma di denaro a titolo di interessi al mutuatario. Sappiamo che i romani provarono
ad imporre un limite a questi interessi: un primo limite è previsto nelle 12 tavole, ma
non siamo in grado di stabilirne la misura. Probabilmente poteva essere l’1% al mese,
ma in un contesta in cui l’anno comprendeva 10 mesi. Abbiamo notizie precise
rispetto ai limiti previsti nell’eta del principato: il limite era l’1% al mese, cioè 12%
all’anno; questo limite massimo operava qualora le parti avessero stipulato la sponsio
senza indicare l’entità degli interessi, salvo che non operasse il cosiddetto Mos
Regionis ( il costume di una località ); se in questo caso vigeva un’altra disciplinata
degli interessi si sarebbe applicata quella sempre che non eccedesse il limiti del 12%
annuo. Qualora le parti avessero pattuito interessi superiori al 12% la sponsio era
nulla e dunque non produceva alcun interesse. In un epoca più tarda alcuni giuristi
ritengano che non sia necessario giungere alla nullità della sponsio, ma la parte
eccedente il limite doveva imputarsi al capitale: la somma eccedente viene
considerata come restituzione del capitale che si aveva avuto a prestito, si scalava
rispetto alla somma che aveva avuto a prestito. L’usura sopra un certo limite diviene
infine un crimen, un reato penale. Da segnalare che il cristianesimo è contrario al
prestito con interessi e quando divenne religione egemone nell’Impero Romano gli
unici che prestavano ad interessi erano gli ebrei. Questa è una ragione per la quale
l’imperatore Costantino sarà il primo ad introdurre l’usura come crimine. Qualora il
mutuatario non avesse restituito la somma di denaro il mutuante aveva un’azione
civile per citarlo in giudizio chiamata Actio Certae Creditae Pecuniae ( credito di
somma certa ) o Actio Certae Rei qualora il mutuo avesse avuto per oggetto un bene
differente da una somma di denaro.
Ci sono 3 ipotesi particolari di mutuo, in quanto sono le uniche ipotesi in cui il mutuo
prevede automaticamente degli interessi, senza prevedere la stipulazione della
sponsio:
-Il mutuo concesso da città: non sappiamo per quale motivo, probabilmente per
ragioni di pubblico interesse.
-Mutuo di derrate alimentari: gli interessi si giustificavano per i rischi del prestito
stesso.
-Fenus Nauticum ( detto anche Pecuniam Traiecticia ): prestito per imprese
marittime: anche in questo caso era elevato il rischio cui andavano incontro un
mutuante ( l’imbarcazione che doveva portare degli schiavi affonda e muoiono tutti e
colui che aveva preso in prestito la somma non è più in grado di ripagarla ). Solo in
questo caso gli interessi non sono limitati al 12%, ma sono rimessi al libero accordo
tra le parti.

Il Comodato:
E’ un contratto reale di diritto delle genti il cui consenso si manifesta con la
datione del bene. Il comodato è quel contratto in forza del quale una parte, il
comodante, consegna all’altra, detta comodatario, un bene inconsumabile e quindi
tendenzialmente infungibile, affinchè il comodatario ne faccia l’uso pattuito tra le
parti e lo restituisca al termine pattuito o a richiesta del comodante. Il comodatario ha
il bene in detenzione perché non ha l’Animus Possidenti, sa che il bene non è suo; il
comodato si chiama anche prestito d’uso. Elemento fondamentale è che la res sia
inconsumabile perché alla fine del contratto deve essere restituita. I romani
ammettano anche il comodato di beni consumabili o fungibili Ad Pompam, quindi
non per usarlo per la sua destinazione economico-sociale, perché al termine del
contratto quei beni devono essere restituiti. Altro elemento fondamentale è la sua
gratuità, perché se fosse prevista una somma di denaro il bene si avrebbe in locazione
e non in comodato. Il comodato è imperfettamente bilaterale: vuol dire che le
obbligazioni nascono necessariamente in capo ad una delle parti ( quello di restituire
il bene ) ma, a differenza del mutuo, vi può essere l’eventualità in cui l’obbligazione
sorga anche in capo al comodante ( mentre ho il bene in comodato devo affrontare dei
costi di gestione straordinaria che devono poi essere rimborsati dal comodante ).
La responsabilità del comodatario, per comprendere la quale dobbiamo avere
riguardo per la Utilitas Contraentium ( quale delle parti trae maggiore giovamento dal
contratto ); i giuristi romani dicono che in questo caso il contratto è concluso
nell’esclusivo interesse del comodatario, sul quale quindi deve gravare una maggiore
responsabilità; sarà infatti chiamato a rispondere per dolo, per colpa, per colpa lieve e
per custodia, quindi sia che egli distrugga il bene, sia che esso venga distrutto per una
sua azione imprudente e negligente, sia che il bene sia stato distrutto da un terzo dato
che doveva custodire il bene. Qualora abbia utilizzato il bene per un uso diverso da
quello pattuito tra le parti in primo luogo si risponde per Furto d’Uso ma soprattutto
si risponde anche se, nell’ambito di questo utilizzo diverso da quello stabilito, il bene
venga distrutto per caso fortuito o forza maggiore.
Il comodato in origine non era dotato di un’apposita azione processuale. Il comodante
doveva quindi far ricorso alla Rei Vindicatio, nella quale però bisogna provare
sempre il titolo di proprietà. Il pretore intorno al II secolo a.C. introduce l’Actio
Comodati, con la quale il comodante doveva semplicemente dimostrare l’esistenza
del contratto tra le parti.

Il Deposito:
E’ un contratto reale di diritto delle genti e a titolo gratuito, imperfettamente
bilaterale con il quale una parte, detta depositante, consegna all’altra, detta
depositario, un bene affinchè il depositario lo conservi e lo restituisca al termine
convenuto o a richiesta del depositante. Il rapporto tra il depositario e la res sarà la
detenzione perché il depositario sa che il bene non è suo, ma del depositante. Anche
in questo la gratuità è un elemento essenziale; se fosse previsto il pagamento di una
somma di denaro si parlerebbe di Locatio Operis. Il depositario ha la custodia del
bene ma non la custodela. Rispetto alla tipologia di res che possono essere oggetto di
deposito non vi è una precisazione: si può dare anche un bene fungibile ma non si
deve poi restituire un genere uguale ma non lo stesso ( una banconota da 5 qualsiasi ),
bisogna invece restituire lo stesso bene ( la stessa banconota da 5 ). Se il depositario
utilizza il bene viene integrata la possibilità del Furto Musus. In questo caso però è il
depositante a trarre giovamento dal deposito, infatti il depositario risponde per dolo o
colpa grave. Le parti possono però fissare dei criteri diversi di risponsabilità. Il
contratto è perfettamente bilaterale perché vi è l’obbligazione di restituire il bene, ma
qualora il depositario abbia dovuto effettuare delle spese, stavolta anche di ordinaria
amministrazione, il depositante dovrà rimborsare quelle spese. Qualora il depositario
non restituisca il bene sarà tenuto a dare al depositante il valore del bene. Esistono
anche delle ipotesi particolari di deposito:
-Deposito necessario: si ha quando il depositante, in una situazione caratterizzata da
calamità, consegna i beni ad un soggetto che però non può scegliere, praticamente il
primo che incontra, affinchè li conservi fino al superamento della situazione di
pericolo. Qualora il depositario non restituisca il bene sarà tenuto a dare al
depositante il doppio del valore del bene.
-Sequestro conservativo: si ha quando le parti di una lite consegnano la res litigiosa,
oggetto della controversia, ad un terzo soggetto di reciproca fiducia affinchè la
conservi e la consegni al termine della lite al soggetto che ne risulta vincitore.
-Deposito irregolare: è alla base del deposito bancario. In questo caso oggetto del
deposito è una somma di denaro, ma a differenza del deposito regolare che pure può
avere ad oggetto una somma di denaro, in questo caso il depositario sarà costretto a
restituire non le stesse monete, come nel deposito ordinario, ma semplicemente la
stessa somma di monete; ciò implica che il depositario può anche usare quelle
monete. Qua si rischia però di confondersi con il mutuo, essendo la situazione di fatto
uguale; in questo caso però l’utilità è del depositante, cioè di colui che deposita i
soldi, mentre nel mutuo il vantaggio va a colui che riceve i soldi, cioè il mutuatario.
Inizialmente si doveva solamente restituire la somma ricevuta. Solo successivamente,
quando ci sarà la possibilità al depositario di investire quei soldi dati in deposito, si
consentirà di riconoscere un interesse al depositante, che all’origine va concordato
attraverso la Sponsio, mentre in epoca più tardi il deposito irregolare produrrà
automaticamente interesse, senza quindi il bisogno di stipulare la Sponsio.
L’attività bancaria a Roma fu piuttosto fiorente, soprattutto con l’imperatore
Commodo, tanto che conosciamo la vicenda di un crack bancario simile a quello
della Liman Broders nel 2008.

Pegno:
Diritto reale di garanzia. In questo caso però lo studiamo come contratto reale;
può essere un contratto reale perché le parti, a garanzia di una precedente
obbligazione o debito, possono pattuire di consegnare un bene e il consenso si
perfeziona al momento della consegna del bene. In questo caso il debitore del
rapporto garantito e principale è creditore del contratto di pegno, perché è colui che
consegna il bene e che ha il diritto di vedersi restituito il bene non appena abbia
estinto l’obbligazione principale. Il pretore, per tutelare le ragioni del creditore
pignoratizio ( colui che ha dato il bene in pegno ma che era debitore di un precedente
rapporto tra le stesse parti ) crea un’azione chiamata Actio Pignoraticia In Personam;
se dopo aver pagato il debito della prima obbligazione e non aver però ricevuto
indietro il bene dato in pegno con quest’azione potrà o ricevere il bene
precedentemente dato in pegno o il valore corrispondente al bene. In attesa della
restituzione del bene sarà quindi il creditore del contratto principale a divenire
debitore del contratto di pegno.

24/11/2020

Sponsio: il più importante contratto verbale, è antichissimo tanto che è già attestato
dalle 12 tavole. Nasce in un contesto religioso e molti pensano che in origine fosse la
promessa di un sacrificio ad una divinità. Si caratterizzava per la pronuncia di parole
solenni, formule specifiche che dovevano essere pronunciate nell’ambito di un
dialogo tra due soggetti che si svolgeva con una domanda e una risposta contestuali e
dall’impiego del medesimo verbo, impiegato quindi sia nella domanda che nella
risposta: “ centum mihi dari spondes” cui si rispondeva “spondeo”. Questa all’inizio
era l’unico modo per stabilire un contratto reale, e le parti per cautela portavano con
loro dei testimoni. Intorno al 3-4 secolo il novero per stipulare la sponsio fu ampliato
e ben presto fu consentito l’impiego di tutti i verbi che avevano come significato una
promessa, tuttavia l’unica forma valida per i cittadini romani era quella con il verbo
Sponsio, gli altri verbi potevano essere usati tra pellegrini o tra romani e pellegrini.
Intorno al I secolo a.C. la sponsio cambia nome e viene chiamata Stipulatio; cambia
però semplicemente che tutti i verbi che stavano a significare una promessa potevano
ora essere usati anche dai romani. La Sponsio è un contratto unilaterale, perché
l’obbligazione nasce soltanto a carico di chi risponde, di chi promette e a favore di
chi chiede. E’ inoltre un contratto astratto, ciò vuol dire che essa può avere qualsiasi
contenuto. In origine probabilmente il contenuto poteva essere solamente
l’obbligazione di dare una somma di denaro o un bene. In quel tempo colui che aveva
ricevuto la promessa aveva un’azione chiamata Actio Certae Creditae Pecuniae
qualora la promessa vertesse su una somma di denaro o l’Actio Certae Rei se la
promessa vertesse su un bene specifico. Successivamente fu ammessa anche
l’obbligazione di fare, in questo caso veniva concessa un’azione chiamata Actio
Incerti. In epoca più tarda, intorno al 2-3 secolo d.C. cambiò molto e Ulpiano ci dice
che a fronte della domanda di Stipulatio si poteva semplicemente rispondere di si,
senza più dire “prometto”; non serviva quindi usare lo stesso verbo sia per la
domanda che per la risposta. Sempre in questo periodo inizia a prevalere l’impiego di
documenti scritti, quindi spesso la promessa veniva scritta in un documento, senza
però scrivere più la domanda. A questo punto i giuristi romani affermano che in
presenza di un documento, dal quale risulti una promessa verso un soggetto specifico,
si deve presumere che vi sia stata la domanda, salvo che vi siano evidenze che non vi
è stata la domanda ( si tratta quindi di una presunzione semplice e non di una
presunzione assoluta ).
Ultimi 3 contratti verbali, che però conosciamo molto poco:
-Promissio Iurata Liberto: è un contratto uno-loquente e viene posto in essere
dal liberto prima di essere manomesso ( quando è ancora schiavo ). Se non ci fosse il
giuramento sarebbe un’obbligazione naturale e dopo la manomissione il patronus non
avrebbe strumenti per garantire la prestazione del liberto. Bisogna ricordarsi che lo
schiavo non può obbligarsi ma può giurare al cospetto di una divinità.
-Dotis Dictio: verte sulla consegna della dote e questa promessa può essere
formulata dalla donna, dal pater della donna o da un terzo soggetto debitore della
donna, ma deve essere presente o il marito della donna o il soggetto avente la potestà
sul marito della donna, il quale assume un contegno passivo ( manifestazione tacita di
consenso ).
-Nexum: È un contratto verbale molto antico (le notizie su di esso sono
frammentate ) perché vi è la pronuncia di parole solenni (NUNCUPATIO).
L’inserimento di questo contratto all’interno di quelli verbali è un po’ controverso
poiché alcuni ritengono che sia un contratto reale dato che secondo loro questo
contratto si perfezionerebbe al momento del passaggio dell'oggetto del Nexum al
creditore.
In particolare, il Nexum consiste nell'auto assoggettamento di un debitore al creditore
cioè, attraverso questo contratto, un uomo libero che non è in grado di far fronte ai
propri debiti si obbliga a lavorare a favore del creditore per ripagare il debito
medesimo.

Questo tipo di contratto fu eliminato a metà del IV a.C. , ritenuto tra l'altro
socialmente odioso ( alla base della schiavitù per debiti ), con la LEX POETELIA
PAPIRIA a seguito delle lotte plebee che vertevano su tre aspetti ovvero:

Eliminazione del Nexum e cioè della schiavitù per debiti ( il soggetto manteneva
comunque la sua capacità giuridica ma nei fatti era auto assoggettato al potere del
creditore)

· Accesso alle magistrature dato che fino ad una certa fase i plebei non potevano
accedere alle più importanti magistrature

· Accesso ai Ager Pubblicus.

In realtà vi era anche una quarta rivendicazione ma che viene conseguita con la Lex
Canuleia per il superamento di divieto di Connubium tra patrizi e plebei.

Contratti Consensuali:
Contratto Consensuale
-Compravendita ( Empio Venditio ): la funzione economico-sociale della
compravendita, cioè la causa è la definitiva e pacifica consegna del venditore di un
bene a fronte del pagamento di un prezzo. Essa produce effetti obbligatori, obbliga
quindi alla consegna del bene ma non implica il passaggio di proprietà del bene come
accade nel nostro ordinamento, questo perché a Roma non opera il principio del
consenso traslativo, non presente tuttora in alcuni ordinamenti quali quello tedesco e
cinese. Il compratore deve limitarsi a pagare il prezzo. Il prezzo può essere stabilito
attraverso l’indicazione di una somma specifica oppure nel contratto possono essere
individuati dei criteri attraverso cui individuare il prezzo. Vi è anche la possibilità che
le parti rimettano ad un terzo l’individuazione del prezzo. In generale però essa è
rimessa alle parti. Con Giustiniano viene fissato il principio della Laesio Enormis in
riferimento a beni immobili: qualora nella compravendita di un bene immobile fosse
stato pattuito un prezzo inferiore alla metà del valore di mercato del bene la
compravendita sarebbe stata nulla, ma si riconosceva al compratore la possibilità di
integrare la somma del prezzo fino a raggiungere lo Iustum Praetium e dare quindi
validità al contratto. Tutti i beni tranne quelli extra-commercium e anche i diritti
potevano essere oggetti di compravendita.
-Locazione:
-Mandato:
-Società:
In essi il consenso può essere manifestato in qualsiasi modo, oggi verrebbero definiti
contratti a forma libera. Nascono grazie alla giurisdizione del pretore peregrino,
nascono quindi nell’ambito dei rapporti di scambio tra romani e peregrini, ma poiché
si tratta di forme contrattuali caratterizzati da ampia elasticità ben presto vengono
riconosciuti anche dallo Ius Civile, potendo essere così utilizzati anche tra cittadini
romani.

25/11/2020

In origine a Roma non era chiaro se il prezzo dovesse essere una somma di denaro o
se fosse sufficiente corrispondere altre cose, sul punto si sviluppa una discussione:
per i Sabiniani si aveva la compravendita anche laddove ci fosse uno scambio di cosa
contro cosa ( baratto, permuta ) per i Proculiani occorreva necessariamente lo
scambio di cosa contro soldi. Prevale l’impostazione dei Proculiani perché nasce
anche un diverso contratto tipico chiamato permuta, caratterizzato dallo scambio di
cosa contro cosa. Elemento caratterizzante della compravendita sarà quindi la somma
di denaro data in cambio al bene.
Non si possono vendere cose extra-commercium ( la vendita è nulla se vendo la
fontana di Trevi ); in questo caso si pone un problema di responsabilità: ci possono
essere infatti dei beni che possono non sembrare beni extra-commercium, quindi si
può trarre in inganno un acquirente in buona fede. In questo caso, qualora
l’acquirente a seguito della declaratoria di nullità della compravendita sia in grado di
provare la malafede dell’alienante avrà diritto al risarcimento del danno nei limiti
dell’interesse negativo; l’interesse negativo è anche detto Lucro Cessante, vuol dire
che colui che ha comprato la cosa extra-commercium ha perso un guadagno che
avrebbe potuto avere commerciando un altro bene invece della res extra-commercium
( essendo nullo in contratto egli inoltre non perderà mai la somma di denaro pattuita
perché non dovrà corrisponderla all’alienante ).
Può essere oggetto di compravendita una cosa futura, ancora non venuta in essere. Vi
sono però due ipotesi:
-Emptio Rei Speratae: acquisto della cosa sperata. Le parti si accordano sul prezzo
di una cosa che ancora non esiste a condizione che la cosa verrà ad esistenza. Due
parti si accordano sul prezzo per il figlio di una schiavi; la compravendita produrrà i
propri effetti obbligatori solamente se il bambino nascerà. Giuridicamente è una
compravendita sottoposta a condizione.
-Emptio Spei: acquisto della speranza. Tipico contratto aleatorio: sono quei
contratti che presentano un ampio margine di rischio. Per esempio se un soggetto si è
accordato per comprare a 100 sesterzi tutto il pesce pescato da un pescatore e
quest’ultimo non pesca niente, il compratore dovrà comunque corrispondere la
somma al pescatore. Il compratore deve comunque corrispondere la somma pattuita.
Vale anche il contrario: il pescatore potrebbe portare una quantità grandissima di
pesce e dovrebbe comunque venderla per 100 sesterzi, andando quindi a perdere
un’ingente quantità di denaro. Questa pratica è inoltre molto frequente.

L’unica obbligazione del compratore è di consegnare la somma di denaro


pattuita.
Obbligazioni del venditore:
-Trasferire il possesso del bene: il venditore non è obbligato a trasferire la proprietà
del bene, ma solamente il possesso in maniera pacifica e definitiva. Questo perché il
contratto di compravendita nasce con i contratti con i peregrini, con i quali non si
potevano porre in essere i negozi dello Ius Civile. Se fossero stati due cittadini si
poteva porre in essere la Mancipatio, ma anche in questo caso il venditore non è
obbligato ad effettuare la Mancipatio; sarà onere del compratore richiedere la
Mancipatio al venditore. Senza di ciò il compratore diverrà proprietario di quel bene,
e non più solo possessore, grazie all’usucapione.
-Garantire l’ evizione: garanzia che il venditore presta al compratore nell’ipotesi in
cui un terzo rivendichi la proprietà sul bene. Può verificarsi che, dopo la vendita di
uno schiavo, un terzo soggetto eserciti la Rei Vindicatio contro il compratore dello
schiavo. Per scongiurare ciò il venditore dovrà assistere in giudizio il compratore nel
processo nel quale il compratore è stato convenuto dal terzo soggetto. E’ quindi
l’evoluzione dell’Auctoritas. Se non assiste o se pur avendo assistito il venditore
perde e si accerta che lo schiavo è veramente del terzo soggetto, il venditore dovrà
corrispondere il doppio del bene al compratore, il quale sarà a sua volta privato dello
schiavo che andrà al terzo soggetto. In origine occorreva una specifica Sponsio che
dovesse accompagnare la compravendita ( il venditore prometteva quindi di assistere
in giudizio il compratore e, in caso, di corrispondergli il doppio del bene ).
Successivamente la garanzia per evizione divenne un elemento naturale del contratto
di compravendita, operava comunque anche senza la Sponsio. Le parti possono
inoltre accordarsi per escludere la garanzia per evizione.
-Comportarsi secondo buona fede e quindi astenersi da qualsiasi condotta
dolosa: sono quelle condotte che pongono in essere dei raggiri per ingannare il
compratore. Dal dolo bisogna distinguere il Dolus Bonus ( raggiro di lieve entità
presente anche nel nostro ordinamento, non tale da trarre in inganno; il tessere le lodi
del prodotto ); questo non rientra nelle condotte da cui il venditore deve astenersi, in
quanto si tratta dell’ordinaria attività pubblicitaria che il commerciante deve svolgere
per convincere il compratore a prendere il suo prodotto. Se però il prodotto in
questione non ha nessuna qualità di quelle dichiarate ( per esempio il detersivo che
lava più di tutti, quando in realtà non lava o macchia ) siamo in presenza della Res
Viziata. In origine vi era un solo strumento contro i vizi della cosa chiamato Actio
Empti, con il quale il compratore, verificati i vizi, poteva o restituire il bene e
riprendere il prezzo pagato ( risoluzione del contratto ) o poteva chiedere al venditore
di restituirgli una parte del prezzo pagato in modo tale che il prezzo della
compravendita fosse proporzionato al valore della res viziata. Bisogna anche
considerare che le parti spesso, affianco alla compravendita, concludevano il
contratto della Sponsio con il quale il venditore si obbligava a restituire una parte del
prezzo qualora la res si fosse dimostrata viziata. Diversa invece era la disciplina dei
vizi della cose comprate al mercato, perché esso era regolamentato da un atto di
alcuni magistrati che avevano questa specifica competenza. In particolare ogni anno
emanavano un editto in cui fissavano queste regole. In particolare, con riferimento al
problema dei vizi della cosa, stabilirono che il commerciante ha l’obbligo di
dichiarare i vizi, anche quelli occulti ( cioè quelli che ad una prima occhiata non si
notano ) indicandoli in un cartello affisso vicino alla merce. Se però il venditore non
ha osservato quest’obbligo, può incorrere in due conseguenze: qualora il bene non sia
affatto idoneo alla svolgimento della sua funzione economico-sociale, il compratore
avrà diritto all’Actio Redibitoria: questa andava esperita entro sei mesi dal momento
della compravendita, il compratore ha diritto a restituire il bene e ad avere indietro i
soldi, si ha quindi la risoluzione del contratto. Qualora invece fosse comunque idoneo
a svolgere la sua funzione economico-sociale, il compratore aveva diritto all’Actio
Quanti Minoris, che poteva essere esperita entro un anno e dava luogo al diritto del
compratore di ottenere una parte del prezzo versato, in modo tale che il prezzo
definitivo del bene corrispondesse al suo effettivo valore.
La Locazione: contratto consensuale e bilaterale che si articola in tre fattispecie:
-Locatio Rei: una parte, il locatore, consegna un bene all’altra, detta conduttore, il
quale potrà utilizzare questo bene purchè paghi un canone pattuito. Oggetto della
locatio rei può essere sia un bene mobile che un bene immobile. Il conduttore ha la
detenzione del bene, sa che il bene non è suo e quindi non può usucapirlo, ed è tenuto
oltre a pagare il canone, ad utilizzare la res secondo criteri di ragionevolezza e può
rispondere qualora la res venga danneggiata per dolo o colpa. Nell’ipotesi in cui la res
viene danneggiata per caso fortuito o forza maggiore non sarà tenuto a risponderne.
Le obbligazione del locatore sono quelle di garantire il pieno godimento del bene al
conduttore, e quindi sarà chiamato a rispondere qualora ponga in essere condotte che
impediscano o limitano l’utilizzo del bene da parte del conduttore. Gaio sottolinea
come la locatio rei possa presentare profili di somiglianza con la compravendita:
l’esempio è quello di un signore che vuole organizzare dei giochi gladiatori e prende
degli schiavi da un lanista per 100 sesterzi. In questo momento non si è in grado di
stabilire se il contratto sia una compravendita o una locazione; se i gladiatori
muoiono ci sarà una compravendita, se sopravvivono e vengono riportati al lanista si
tratta di una locazione.
-Locatio Operarum: contratto di lavoro; il locatore pone a disposizione del
conduttore le proprie opere, i propri servizi, a fronte del pagamento di un canone, che
in questo caso si chiamerà Mercede. A Roma vi sono alcune professioni che non
vengono retribuire proprio per non essere assimilate alla figura dei mercenari; il
compenso dato per queste professioni era un onorario, che indicava che non era un
prezzo dato per una controprestazione ma era un riconoscimento per il lavoro svolto.
-Locatio Operis: il locatore pone a disposizione del conduttore un bene affinchè il
conduttore vi svolga un’attività e il locatore paga una Mercede al conduttore.
Si discute anche di un’ulteriore azione chiamata Lopus Faciendum ( l’opera da
costruirsi, alle origine del contratto d’appalto ): i giuristi romani discutono se si tratti
di una compravendita o di una locatio operis. L’ipotesi è quella di un signore che
chiede ad un altro di costruirgli una casa: si tratta di un contratto di una locatio operis
se i materiali atti a costruire la casa sono di proprietà di colui che ha chiesto di
costruire la proprietà. Se sono di proprietà del soggetto che costruisce siamo
nell’ambito della compravendita.
Aspetti comune delle forme di locazione: semplicemente uno, colui che da prende
sempre il nome di locatore, ma invece non è vero il contrario, non sempre colui che
paga è il conduttore ( guarda locatio operis ). In tutti questi casi le controversie tra le
parti si esplicheranno con l’Actio Locati che una parte può rivolgere contro l’altra a
seguito dell’inadempimento degli obblighi. Nel caso della Locatio Rei, qualora il
conduttore sia turbato nel godimento del bene da un terzo non ha strumenti di tutela,
non essendo titolare di un diritto reale sul bene; dovrà quindi chiedere al locatore di
proteggerlo rispetto alle turbative provenienti dai terzi. Se il locatore non lo facesse il
conduttore avrebbe diritto al risarcimento del danno da parte del locatore.

LEZIONE 30 NOVEMBRE

Contratto di società: contratto di diritto delle genti molto importanti. I romani


utilizzano questa tipologia contrattuale per diverse finalità quali la gestione comune
di un patrimonio, lo svolgimento in comune di una o più attività commerciali. Può
definirsi come “quel contratto consensuale in cui due o più parti ( quindi bilaterale o
plurilaterale ) pongono in comune il loro patrimonio allo scopo di perseguire finalità
comuni”. Ne esistono diverse tipologie:
• Societas Omnium Bonorum: la più antica; le parti del contratto mettono in
comune tuti i loro beni, sia quelli presenti, che quelli futuri. Tutto il patrimonio
pregresso di tutti i soci entra a far parte della societas attraverso un meccanismo
chiamato Transitus Legalis. Si ritiene che la sua origine storica sia il patrimonio
indiviso tra eredi ( Consortium ercto non cito ).
• Societas Omnium Bonorum Quae Questo Veniunt: va distinta dalla societas
omnium bonorum e in questo caso le parti mettono in comune soltanto i beni che
acquisteranno dopo la stipula del contratto di società.
• Societas Unius Negotii: le parti pongono in comune dei beni per il perseguimento
di un’unica attività commerciale ( mentre nelle altre potevano perseguire più
attività ).
Caratteristica comune è che il consenso deve essere continuato, a differenza degli
altri contratti dove deve essere solamente iniziale. Questo tipo di consenso si
chiama Adfectio Societatis ( stesso termine usato per il consenso del matrimonio ).
Altra caratteristica è che si tratta di un contratto Intuitus Personae: ai fini della
produzione dei fini giuridici del contratto rilevano le caratteristiche delle parti che lo
pongono in essere, rileva addirittura l’entità delle parti che lo pongono in essere.
Questi due aspetti sono fondamentali con riguardo alla fine del contratto di società.
Partes Damni Et Lucri ( ripartizione tra i soci degli utili e delle perdite )= la regole
generale è che, in assenza di specifiche previsioni, le parti dividano utili e perdite in
parti uguali. Tuttavia si poneva il problema di differenziare la partecipazione dei soci
agli utili e alle perdite; si pone anche la questione di differenziare gli utili e le perdite
in capo ad uno stesso socio. Sarà Servo Sulpicio Rufo ad ammettere entrambe
queste due possibilità; ammette addirittura la possibilità che vi siano dei soci che
partecipano soltanto agli utili e non alle perdite; è l’ipotesi ad esempio del socio
d’opera, il quale non conferisce beni alla societas ma soltanto le sue prestazioni
lavorative. L’unica limitazione è quella della Societas Cum Leone ( patto leonino )
cioè vieta che un socio partecipi solo alle perdite e non agli utili ( ipotesi vietata
anche nel nostro ordinamento ).
Cessazione degli effetti del contratto si società:
• cessa per morte di uno dei soci.
• per capiti deminutio maxima, media o minima di uno dei soci.
• per rinuncia di uno dei soci. I soci possono accordarsi per continuare e svolgere
l’attività della società, ma giuridicamente si va a creare una nuova società. La
rinuncia non può essere dolosa o intempestiva. Si ha una rinuncia dolosa quando
uno dei soci, consapevole di star per ricevere un’eredità ad esempio esce dalla
società per non devolvere il suo patrimonio alla società stessa; in questo caso il
diritto romano prevede che il patrimonio sarà ripartito tra tutti i soci, la rinuncia
dolosa non produce quindi effetti giuridici in riferimento al patrimonio che ha
determinato la rinuncia alla società. La rinuncia intempestiva si ha quando uno dei
cosi rinuncia in un momento non opportuno determinando delle perdite per la
società; in questo caso è stabilito che il socio rinunciante parteciperà alle perdite
della società e dovrà conferire tutti i beni che ha acquisito, non parteciperà però
agli utili né alla ripartizione dei beni acquisiti dagli altri soci.
La società nn produce effetti nei confronti dei terzi, infatti i soci agiscono per nome e
per conto proprio, dopodiché in forza del contratto di società, il singolo socio dovrà
attribuire ad ognuno i guadagni e le perite dell’attività svolta. Bisogna ricordare che
le società, a differenza delle associazioni, ha come finalità il guadagno dei soci.
Qualora uno dei soci avesse tenuto condotte caratterizzate da dolo o colpa nella
gestione delle attività comuni gli altri soci avrebbero avuto a disposizione l’Actio Pro
Socio.
Contratto di mandato: contratto consensuale a titolo gratuito, imperfettamante
bilaterale in forza del quale una parte, il mandante, da un un incarico all’altra, detta
mandatario, affinché questo’ultimo svolga un’attività giuridica o un’attività
materiale ( oggi è limitato ad attività giuridiche ) a favore del mandante o a favore di
un terzo. Se fosse prevista la corresponsione di una somma di denaro non ci sarebbe
il contratto di mandato ma la Locatio Operis. L’incarico deve inoltre essere
nell’interesse del mandante o del terzo, se l’interesse fosse del mandatario sarebbe
semplicemente un consiglio privo di rilievo giuridico. E’ a titolo gratuito perché si
fonda su doveri sociali o di amicizia: alla base di questo contratto vi sono quindi dei
vincolo pre-giuridici. Il mandatario risponde per dolo o colpa grave. L’Actio Mandati
è quell’azione che il mandante può esperire contro il mandatario qualora abbia
arrecato danno per dolo o colpa grave; è anche quell’azione del mandatario contro il
mandante qualora non rispetti le sue obbligazioni.
Quasi Contratti:
Nascono da atto lecito unilaterale, manca quindi l’accordo tra le parti.
Indebiti Solutio: si ha quando una parte paga una somma di denaro non dovuta; vi è
dunque uno spostamento patrimoniale non giustificato che determina un
arricchimento ingiustificato. A seguito del pagamento non dovuto sorge
l’obbligazione di restituire la somma di denaro. Occorrono alcuni elementi per
l’indebiti solito: la Solutio ( quindi il pagamento non dovuto ), l’elemento soggettivo
dell’Indebito; cioè quando non esistono obbligazioni che giustifichino il pagamento,
quando l’obbligazione esiste ma è diversa ( pago invece di restituire il bene ), oppure
quando l’obbligazione esiste ma il creditore è diverso ( pago un soggetto invece di
un altro ). Vi deve poi essere un elemento soggettivo che è l’Errore, che deve essere
in capo sia a chi paga, sia a chi riceve, perché se chi riceve la somma non dice niente
e la tiene per se commette un furto. L’azione attraverso cui il soggetto può avere
indietro i soldi si chiama Conditio Indebiti.
Negotiorum Gesto= gestione di affari altrui che avviene in assenza di un incarico ( se
ci fosse un incarico saremmo nell’ipotesi del mandato o della locatio operis ).
Occorrono diversi elementi: in primo luogo l’altruità dell’affare, in secondo luogo la
consapevolezza di colui che gestisce l’affare altrui che si tratti di un affare altrui
( Animus Aliena Negotii Gerendi ) e infine occorre l’Utilite Coeptum; colui che inizia
a gestire l’affare altrui deve valutare che quest’azione convenga, almeno solo
inizialmente, al soggetto assente. L’obbligazione di colui che gestisce l’affare altrui è
quella di portare a termine l’attività iniziatele di ritrasferire gli effetti in capo al
dominus negotii. Il dominus nogotii dovrà ratificare le attività svolte dal gestore e
tenerlo indenne dalle spese e dai danni sostenuti a causa dell’attività. Qualora una
delle parti venga meno ai propri obblighi vi è un’azione chiamata Actio Negotiorum
Gestorum.
Pollicitatio= promessa al pubblico che produce obbligazioni. Generalmente era volta
dai canditati alle magistrature, era quindi una promessa elettorale detta anche
Pollicitatio Ob Honorem Causa. I giuristi romani si dividono sul momento in cui
sorga l’obbligazione: se sorga al momento della promessa o al momento
dell’obbligazione. Secondo la dottrina prevalente sorge al momento dell’elezione. Vi
è poi la Pollicitatio Non Ob Honorem Causa: in questo caso l’obbligazione sorge nel
momento in cui è stata iniziata l’opera ( se prometto di costruire un teatro
l’obbligazione sorge nel momento in cui ho posto la prima pietra del teatro ). Tutti i
cittadini potevano agire contro chi aveva effettuato la promessa con un processo
chiamato Per Cognitiones Extra Ordinem.
Votum: promessa di una prestazione rivolta ad una divinità qualora questa faccia
una grazia al promettente, vi è quindi la condizione che la richiesta alla divinità
venga esaurita. In età arcaica era addirittura considerato un contratto ( Voti Sponsio
). Vi era poi il Votum per la salvezza della repubblica; in esso il soggetto doveva
adempiere subito alla prestazione, senza quindi aspettare che la divinità realizzasse
quanto chiesto come nei precedenti casi. La forma più estrema di questo votum era
l’atto del generale che, per salvare la sua legione, si lanciava nel campo di battaglia
andando quindi a sacrificare la sua vita.

LEZIONE 1 DICEMBRE

DELITTI
In diritto romano alcuni fatti illeciti oggi considerati reati e puniti dallo stato, erano
considerati fonti di obbligazione, in quanto si riteneva che a essere leso fosse un
interesse privato. Possiamo anche osservare, in questi delitti, il passaggio dalla
vendetta privata all’intervento dello stato
FURTUM= nasce a tutela della proprietà privata e la prima disciplina de furto si
rinviene nelle XII Tavole. Il furto è l’impossessamento o la mozione di una cosa altrui
contro la volontà del proprietario. Le XII Tavole distinguono due categorie di furto:
- Furtum Manifestum: furto in cui il ladro è scoperto in flagranza, nell’atto di
compiere il furto. Le XII Tavole prevedevano una pena molto pesante; si
prevedeva la fustigazione del ladro, ma soprattutto il ladro sarebbe divenuto un
addictus, in pratica schiavo, del soggetto che aveva subito il furto.

- Furtum Nec Manifestum: non vi è la prova lampante he il soggetto abbia


compiuto l’atto e veniva punito con la pena del doppio; il soggetto che aveva
rubato doveva pagare il doppio della cosa rubata al soggetto che aveva subito il
furto. Se non avesse pagato sarebbe potuto essere venduto Trans Tiberim dato
che era un debitore insolvente ( cosa che poteva accadere, più raramente, anche
nel furtum manifestum ).
Le XII Tavole equiparano al Furtum Manifestum un’altra fattispecie nota come
Quaestio Lancio Lincioque: era una perquisizione effettuata dal soggetto derubato
nei confronti del soggetto di cui egli sospettava. In particolare il soggetto derubato si
recava nella casa del soggetto sospettato nudo, cinto soltanto da un panno e con un
cesto in mano: perché così si evitava che reintroducesse la refurtiva nella casa del
soggetto ladro; se il derubato avesse trovato la refurtiva, il sospettato veniva
considerato come se fosse posto in flagranza, quindi come Fur Manifestus, e subiva
quindi le stesse punizioni del caso. Questa perquisizione all’inizio veniva autorizzata
dal re, successivamente questo compito passò ai consoli. Se ovviamente durante la
perquisizione non si fosse trovato nulla il sospettato non sarebbe più stato
considerato tra i probabili ladri.
Le XII Tavole prevedono poi due ipotesi di furto aggravato:
-Fur Nocturnus ( il ladro notturno ) e il ladro che si difende con le armi: in queste
due ipotesi il soggetto poteva uccidere il ladro; prima di procedere all’uccisione
doveva però urlare ( endo ploratio ) in modo tale da chiamare dei testimoni.
Le XII Tavole conoscono un ulteriore ipotesi, del Furtum Oblatum: si ha quando il
derubato svolge una perquisizione informale nella casa di un soggetto sospettato,
diversa quindi dalla Lancio Lincioque; in questo caso il derubato dovrà però essere
accompagnato da testimoni e la condanna prevista equivaleva al triplo del valore
della cosa rubata. Molto probabilmente si ricorreva a questa perquisizione perché la
Lancio Lincioque cadde in desuetudine.
Qualora il sospettato avesse ostacolato la perquisizione poteva comunque essere
condannato a versare il triplo del valore della res rubata tramite Actio Furti
Prohibitii.
Intorno al II secolo a.C. il pretore stabilì che in caso di Furtum Manifestum il ladro
sarebbe stato condannato aò quadruplum; cambiò anche la definizione di furto che
divenne la seguente: contrectatio rei invito domini incri faciendi causa
( maneggiamento della cosa contro la volontà del padrone della cosa allo scopo di
trarne un lucro, un guadagno ). Dal furto così l’Actio Furti, che poteva essere
esperita in primo luogo dal proprietario della cosa rubata, in secondo luogo dal
possessore della cosa, o dal detentore della cosa che abbia la custodia sul bene.

RAPINA= è il furto aggravato dalla violenza; è una fattispecie che nasce per opera
del pretore Lucullo per frenare i furti violenti. Veniva perseguita con un’azione
chiamata Actio Vi Bonorum Raptorum ( azione dei beni presi con la forza ), in
questo caso se l’azione veniva esperita entro un anno il rapinatore veniva
condannato al quadruplum, dopo un anno veniva condannato a restituire la cosa o a
ripagare il valore della cosa.

DAMNUM INIURIA DATUM= danneggiamento arrecato ingiustamente. Venne


istituito con la Lex Aquilia nel 286 a.C., ma già le XII tavole disciplinavano singole
fattispecie, in particolare il taglio degli alberi altrui; in questo caso la condanna era di
25 assi per ogni albero abbattuto. Vi era anche la fattispecie per i danni cagionati
dagli animali; se le mie pecore avessero danneggiato le piantagioni del vicino avrei
dovuto risarcire il danno, che andava definito caso per caso.
La Lex Aquilia constava di 3 capitoli:

- 1 capitolo= prevedeva la fattispecie dell’uccisione di schiavi o animali da tiro, da


soma, o bovini e equini. In questo caso il risarcimento era pari al valore massimo
raggiunto dal bene nell’ultimo anno.

- 2 capitolo= non ci è pervenuto, ma probabilmente si trattava dall’ipotesi di


remissione del debito verso un creditore ( da non sapere )

- 3 capitolo= prevedeva l’ipotesi della distruzione, dell’incendio o del taglio della


cosa. In questo caso il risarcimento era pari al valore massimo raggiunto dal bene
nell’ultimo mese.
Nesso di causalità: rapporto tra il fatto, cioè il danneggiamento e la condotta.
Quando la condotta è causa del danneggiamento ? Nella Lex Aquilia si stabilisce che
si ha il nesso di causalità quando si ha un rapporto diretto con la cosa, un contatto
materiale tra il soggetto agente e la cosa danneggiata. Se non ci fosse stato questo
contatto, almeno in una prima fase, non vi era nesso di causalità e di conseguenza
non si veniva obbligati a ripagare il danno. Ben presto il pretore arriverà a
sanzionare la condotta anche qualora non vi sia stato contatto tra la cosa
danneggiata e il soggetto agente. Viene inoltre condannato anche chi induce, chi
istiga a commettere un danno.
Viene chiamato a risarcire il danno chi ha agito con dolo; i giuristi romani dicono
però che si risponde anche per colpa ( quindi per esempio anche per negligenza ); si
ha colpa tutte le volte in cui non si prevede qualcosa che un uomo di ordinaria
diligenza dovrebbe prevedere.

INIRUIA= offesa contraria al diritto. Gaio ci racconta che nelle XII Tavole erano
previste tre fattispecie di iniuria:

- membrum ruptur: già visto in precedenza; se i due soggetti non si accordano per
il risarcimento del danno vi sia la legge del taglione.

- Os fractum: già visto; in questo caso la legge stabilisce il risarcimento del danno
( 300 assi per uomini liberi e 150 per schiavi ) e non si può più ricorrere al
taglione.

- Iniuria semplice: qualsiasi offesa arrecata al decoro di un’altra persona o una


qualsiasi condotta offensiva e violenta diverse però dal membrum ruptum e
dall’os fractum. In questo caso la pena prevista era di 25 assi, ma sappiamo che
ben presto, quando si passò dalle assi ai sesterzi, questa pena di 25 assi divenne
irrisoria. Si racconta infatti di cavaliere che si divertiva a schiaffeggiare chi trovava
sul suo cammino, salvo poi risarcirli sul momento. Il pretore cambiò quindi il
criterio del risarcimento del danno: si passò quindi a definire il risarcimento caso
per caso.

LEZIONE 2 NOVEMBRE

QUASI DELITTI
Sulle ragioni che tengono insieme queste figure si è molto discusso perché non si sa
bene quale sia la ragione che indusse i giuristi a tenere insieme queste 4 figure; si
pensa siano figure di creazione pretoria, mentre altri ritengono che siano ipotesi di
responsabilità per fatto altrui ( si viene quindi a chiamare a rispondere per un fatto
compiuto da un altro ), altra tesi è che si tratterebbe di ipotesi nelle quali si
persegue il responsabile solo a titolo di colpa, ma si può notare che non è così. Si
tratta di una categoria residuale, nel quale vengono collocate tutte quelle figure che
presentano della similitudini con i delitti.
Iude Qui Litem Sua Fecerit ( il giudice che ha fatto propria la lite )= il giudice che
non rispettando le regole procedurali del processo emette una sentenza che arrechi
danno ad una delle parti; si ritiene che sia il giudice che non abbia rispettato le
indicazioni contenute nella formula processuale ( non si tratta di corruzione, perché
questa è un crimine ed è punita con la pena di morte ); si è la precisa volontà di
danneggiare o favorire una delle parti ma non è corruzione perché non vi è l’accordo
tra il giudice e una delle parti.
Actio De Effusi Et Deiectis ( azione delle cose versate o gettate )= questa figura
nasce a seguito della riforma urbanistica a Roma, che porta a costruire i palazzi.
Siamo di fronte ad una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, dato che viene a
chiamato l’habitator della casa, colui che ci abita, chiunque sia stato il soggetto che
ha lanciato il bene dalla finestra ( anche se è stato un amico dell’habitator ).
L’habitator può però agire in rivalsa nei confronti del soggetto che ha accusato il
danno, qualora questo soggetto sia noto. Questa actio comporta le seguenti pene:
-qualora sia stato danneggiato un bene l’habitator viene condannato a pagare il
doppio del valore del bene.
-qualora sia stata ferita una persona o uno schiavo il pretore dovrà valutare il valore
del risarcimento.
-se invece viene uccisa una persona libera è prevista una pena di 50.000 sesterzi.
Qualora l’habitator sia ingrado di dimostrare chi è stato il soggetto colpevole, ad
aver lanciato il vaso ad esempio, dopo aver pagato la somma potrà agire in rivalsa
contro quell’individuo e ottenere la restituzione della somma pagata.
Giustiniano introdurrà poi il tema della colpa e il criterio della responsabilità
oggettiva sfumerà.
Actio De Posito ed Suspenso= qualora io poggi un oggetto su una superficie dove è
facile che cada e alla fine questo cade, per esempio a causa di un colpo di vento,
danneggiando un bene si dovrà prima verificare in concreto il danno, per poi
calcolare l’ammontare del risarcimento. Se si uccide un uomo libero l’ammontare
del danno sarà di 10.000 sesterzi. Anche questa azione in origine viene rivolta contro
l’habitator della casa, è ancora una volta un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui.
In un secondo momento si cercherà di individuare il soggetto che ha lasciato il bene
in un luogo pericoloso. Si tratta di un illecito di pericolo e attraverso un’azione
popolare, esperibile da qualsiasi cittadino, si può agire prima che si verifichi il danno
per chiedere di rimuovere l’oggetto dal luogo di pericolo in cui si trova; se il soggetto
non provvedere a rimuovere l’oggetto viene condannato al risarcimento dei 10.000
sesterzi anche se non si è verificato alcun danno.
Actio Contra Nautas, Caupones Et Stabularios= azione rivolta contro i battellieri, gli
albergatori e gli stallieri. In questo caso essi risponderanno per il danneggiamento o
il furto di una res su cui questi soggetti avevano un obbligo di custodia, chiunque
abbia compiuto l’illecito. Per i giuristi romani esistono infatti due tipi di colpa: la
colpa nell’aver scelto i propri collaboratori e la colpa, la negligenza, nel controllo
delle attività lavorative dei propri collaboratori o sottoposti. In questo caso si è
tenuti a risarcire un danno pari a quello che si è in concreto verificato; il battelliere,
l’albergatore o lo stalliere dovrà versare una somma di denaro pari al valore della
res danneggiata o rubata.
DIRITTO CHE ATTIENE ALLE AZIONI:
La forma più arcaica di processo per Legit Actiones a Roma si caratterizza da una
rigidità formale, dalle parole da pronunciare e per i riti che le parti in giudizio
devono compiere. Era talmente rigido che bastava sbagliare una parola per perdere
la causa, anche se si era nel giusto. Per questo venne sostituito dal Processo
Formulare nel II a.C.; Gaio ci dice che si passa dal litigare con formule specifiche alla
possibilità di litigare con formule meno rigide e concetti astratti, potevano per
esempio descrivere il fatto che era accaduto.
Il processo per Legit Actiones si articola in 5 forme di processo, 3 di cognizione, volto
ad accertare chi ha torto e chi ha ragione, e 2 esecutive, per far si che la sentenza sia
eseguita, qualora la parte condannata non abbia dato esecuzione alla sentenza
spontaneamente.
Legis Actio Sacramento In Rem= serviva per far valere un diritto reale.
Legit Actio Sacramento In Personam= serviva per far valere un credito.
Legis Actio Per Iudicis Arbitrive Postulationem= con essa si chiedeva un giudice, nel
caso si litigasse per un credito nascente da sponsio, oppure un arbitro quando vi era
da risolvere questioni tecniche, in particolare in 4 ipotesi:

- Actio Familiae Erciscunde= utilizzata per dividere il patrimonio ereditario lasciato


in comune.

- Actio Communi Dividundo= utilizzata per dividere una comunioni di beni di altra
natura, non ereditari ( per esempio i beni di una società ).
- Actio Finium Regundorum= utilizzata per fissare il confine tra campi limitrofi.
- Actio Aquae Pluviae Arcendae= utilizzata per regolamentare il flusso delle acque
tra fondi onde evitare che, ad opera dell’uomo, si alterasse il naturale deflusso
delle acque andando a danneggiare un fondo.
Venne aggiunta successivamente una nuova azione con il nuovo processo.
Legis Actio Per Condictionemlex = introdotta da due leggi, serviva per crediti aventi
ad oggetto certae res ( cose certe ) e certae pecunia ( una somma certa di denaro ).
Azioni Esecutive:

- Manus Iniectio
- Pignoris Capio= serviva qualora un commerciante avesse venduto a credito un
bene e sospettasse che il compratore non fosse più in grado di pagare; in questo
caso il commerciante poteva riprendersi il bene.
Il processo è bi-fasico: viene portato dinanzi al pretore per poi essere portare ad un
giudice che è un privato, il quale accerterà i fatti e decreterà la sentenza seguendo le
istruzioni del pretore.
IUS QUOD AD ACTIONES PERTINET: IL PROCESSO
È la terza parte del manuale di Gaio.
Il processo a Roma conosce varie fasi. La forma più arcaica si chiama:

• PROCESSO PER LEGIS ACTIONES: è un processo che si caratterizza per la rigidità


formale, per l’indicazione delle parole da pronunciare nel giudizio all’interno della
legge. Dice Gaio che questo processo era talmente rigido che bastava sbagliare
una sola parola e anche laddove ci si fosse trovati nel giusto si perdeva la causa.
Gaio porta l’esempio delle viti e degli alberi: siccome la legge prevedeva di
utilizzare la parola piante e non viti nel processo, qualora il soggetto avesse subito
un danno alla vite (che è una pianta) e utilizzasse in processo il termine vite
avrebbe perso la causa. A causa della sua rigidità, questo il processo per legis
actiones fu sostituito intorno al ll sec. a.C.
• PROCESSO FORMULARE: si passa dal litigare, dice Gaio, per certa verba
(parole specifiche che si dovevano utilizzare) a un litigare per concepta verba.
Il processo per legis actiones si articola in 5 forme di processo: 3 di
COGNIZIONE e 2 ESECUTIVE.
· PROCESSO DI COGNIZIONE serve ad accertare chi ha torto e chi ha
ragione.

· PROCESSO DI ESECUZIONE serve a dare esecuzione alla sentenza


qualora la parte condannata non vi adempia spontaneamente.

Le tre ipotesi di legis actiones per cognizione sono:

1. LEGIS ACTIO SACRAMENTO IN REM: serviva a far valere un diritto


reale. Sacramento perché il culmine della procedura è una scommessa, ma
non ci possiamo soffermare su cosa volesse dire.

2. LEGIS ACTIO SACRAMENTO IN PERSONAM: serviva a far valere


un credito.

3. LEGIS ACTIO PER IUDICIS ARBITRIVE POSTULATIONEM: legis


Actio con la quale si chiedeva un giudice o un arbitro. Si chiedeva il giudice
in una sola ipotesi, cioè quando si litigava per un credito nascente da
sponsio. Si chiedeva un arbitro quando vi era da risolvere questioni tecniche.
L’arbitro era un soggetto dotato di competenze tecniche e in particolare si
chiedeva l’arbitro in quattro ipotesi:

· ACTIO FAMILIAE HERCISCUNDAE: veniva utilizzata per


dividere il patrimonio ereditario lasciato in comune, per dividere il
consortium ercto non cito e quindi occorreva una persona in grado di
stimare i beni, un perito.

· ACTIO COMMUNI DIVIDUNDO: chiedeva un arbitro per dividere


una comunione di beni di altra natura, non ereditari.

· ACTIO FINIUM REGUNDORUM: serviva a fissare i confini,


veniva chiamato un AGRIMENSORE (persona che aveva competenze
nella misurazione) per fissare la pietra miliare sul confine tra campi
limitrofi.

· ACTIO AQUAE PLUVIAE ARCENDAE: azione che serviva per


regolamentare il deflusso delle acque tra un fondo e un altro, onde
evitare che attraverso l’opera dell’uomo si modificasse il regolare
flusso delle acque in modo tale da arrecare danno a uno dei fondi.
Queste sono le quattro cognizioni più antiche perché successivamente ne fu
aggiunta una quarta che coincide proprio con il momento di passaggio al
nuovo processo (quello formulare).

LEGIS ACTIO PER CONDITIONEM: questa legis actio fu introdotta da


due leggi, Lex Silia e Lex Calpurnia e serviva per crediti aventi ad oggetto
certae res o certae pecunia, quindi aveva lo scopo di ottenere indietro un
certo bene o una certa somma di denaro.

AZIONI ESECUTIVE:

· MANUS INIECTIO.

· PIGNORIS CAPIO: serviva qualora un commerciante avesse venduto a


credito un bene e sospettasse che il suo debitore, cioè colui che aveva
comprato il bene, non fosse in grado di pagare. In questo caso, ove si fossero
verificate delle circostanze di urgenza e necessità, il creditore poteva andare
dal debitore a riprendersi il bene.

ES. un mercante di galli (animali sacri a Esculapio, Dio della medicina) vende un
gallo a un soggetto che lo ha chiesto per fare un volume con la promessa che lo
avrebbe pagato il giorno successivo. Avuto il gallo, lo porta al tempio di Esculapio
per fare il suo voto quindi uccide il gallo. Il commerciante ha il sospetto che
l’acquirente non gli pagherà la somma promessa e quindi può andare e riprendersi
il gallo. È un’azione questa, dice Gaio, che avviene extra ius ossia fuori dal
tribunale.
Il processo formulare come anche quello per legis actiones si caratterizza per
essere un cosiddetto processo bifasico, nel senso che viene istituito davanti al
pretore ma poi viene deciso da un giudice privato (privato cittadino), il quale non
ha un compito giuridico ma deve solo accertare i fatti perché riceve delle
indicazioni dal pretore alle quali si deve attenere.

Potrebbero piacerti anche