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28/09/2020
Il diritto romano è alla base del diritto di tutto il mondo per due motivi:
2) Elaborazione di una tecnica di interpretazione dei testi che tuttora è alla base
dell’attività del giurista;
I romani hanno raggiunto un alto livello esegetico che venne prima elaborato in seno
ad un collegio sacerdotale, il collegio dei Pontefici che furono i primi interpreti del
diritto.
La laicizzazione del diritto inizia a partire dalla legge delle 12 Tavole, circa 450 a.C.
Anche in Europa il diritto Romano è stato diritto di base fino al 1900 perché in
quell’anno la nuova Germania si dota di un proprio Codice civile. Prima del 1900 si
applicavano in Germania direttamente i testi del CORPUS IURIS CIVILIS (elaborato
dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo d.C.)
Anche in Italia, fino al 1942 (entrata in vigore del Codice civile tutt’ora vigente) vi
era l’applicazione del diritto romano con la differenza che mentre in Germania si
applicava direttamente il diritto romano, in Italia fino al 1942 si applicava il diritto
romano in VIA RESIDUALE. Il precedente codice civile italiano (1865, promulgato
dopo l’Unità d’Italia) stabiliva che qualora non si fosse trovato nell’ordinamento
italiano una regola per dirimere una controversia, cioè per risolvere un conflitto tra
privati, si doveva ricorrere ai principi generali del diritto che si dovevano rintracciare
nel CORPUS IURIS CIVILIS (diritto romano)
Applicazione diretta del diritto Romano Applicazione in via Residuale del diritto
Romano
Il richiamo e l’applicazione del diritto Romano era l’ultimo criterio a cui il giurista e
l’interprete dovevano far ricorso, perché in mancanza di una regola si poteva ricorrere
prima all’ANALOGIA LEGIS (l’applicazione di una legge/regola che disciplina un
caso simile) e infine all’ANALOGIA IURIS (la possibilità di ricorrere al diritto
Romano)
Col Codice del 1942 è venuto tutto meno perché l’articolo 12 stabilisce che
nell’ipotesi in cui non si possa far ricorso ad una regola che disciplina un caso simile,
si dovrà far ricorso ai principi dell’Ordinamento, si tratta di principi generali che non
devono più essere ricavati dal CORPUS IURIS CIVILIS ma bensì da tutte le regole
esistenti nell’Ordinamento Statale Italiano.
GAIO fu un giurista romano, probabilmente attivo tra il 140-170/180 d.C., che scrisse
un manuale( risalente al II secolo d.C.) e che si contraddistingueva da una notevole
chiarezza espositiva.
Gli esemplari di questo manuale giunsero a noi dall’Egitto su papiri trovati negli anni
40 del 1900 in alcune discariche.
Notò quindi che sotto al testo in superficie vi era altro e utilizzando alcuni reagenti ,
in voga a quel tempo , risaltò la precedente mano di scrittura però rendendo illeggibili
alcune parti.
Non esistevano soltanto le istituzioni di Gaio ma anche quelle del giurista Marciano,
Ulpiano.
ES: Le istituzioni del giurista Marciano sono composte da 16 libri di cui essi sono
stati pervenuti soltanto
Queste due capacità non sono espressamente fissate da Gaio ma date da lui per
implicito:
Un individuo entra nel mondo del diritto al momento della nascita ma è necessario
anche la vitalità, cioè se un neonato nasce morto non ha acquistato la capacità
giuridica, mentre se ad esempio nasce un bambino e dopo cinque ore muore, in quel
lasso di tempo ha ottenuto la capacità giuridica.
Scuola dei Proculiani: secondo loro affinché un neonato fosse considerato vivo, e
quindi dotato del requisito della vitalità che gli avrebbe permesso di acquisire la
capacità giuridica, occorreva che il neonato avesse emesso un vagito, avesse urlato o
pianto.
Scuola dei Sabiniani: secondo loro era necessario che il neonato avesse compiuto un
qualsiasi movimento o emesso un respiro ( a Roma erano state stabilite delle tecniche
che consentivano di analizzare i polmoni dei neonati e vedere se essi avessero avuto
un contatto con l’ossigeno).
Sia il diritto Romano che quello odierno riconoscevano la capacità giuridica del
nascituro concepito, ovvero colui che sta per nascere ( differentemente da quello non
concepito cioè da colui che si ha in mente di concepire e non si trova nel grembo
materno). Inoltre il diritto romano stabilisce alcuni diritti successori che possono
spettare al nascituro concepito ( si ha tra il 7-9 mese di gravidanza).
Il momento del concepimento era importante per la determinazione dello status del
neonato. In presenza di matrimonio legittimo (IUSTAE NUPTIAE), la condizione
giuridica del figlio (in particolare la cittadinanza, ma anche lo stato di libertà o
schiavitù) si definiva guardando la condizione del padre al momento del
concepimento. In caso di unioni illegittime fra soggetti che non avevano tra loro lo
IUS CONNUBII (diritto di sposarsi), si guardava alla condizione della madre al
momento della nascita cosicché se la madre fosse stata una cittadina romana, il figlio
sarebbe stato cittadino romano mentre se la madre fosse stata una schiava, il figlio
sarebbe stato schiavo.
Nelle epoche arcaiche del diritto romana non c’era lo IUS CONNUBII neanche tra
patrizi e plebei.
Se lo schiavo e la figlia del padrone hanno un figlio tra loro due non ci sono IUSTAE
NUPTIAE perché affinché ci siano Iustae Nuptiae è necessario che ci sia lo IUS
CONNUBII, e tra una donna libera e uno schiavo non c’è lo IUS CONNUBII ovvero
il diritto di sposarsi.
Quindi di fronte all’unione tra uno schiavo e una donna libera, ci troviamo di fronte
ad un INIUSTE NUPTIAE, cioè un’unione matrimoniale non riconosciuta dal diritto.
Un individuo esce dalla sfera giuridica quando muore dato che cessano tutti i propri
diritti che vengono poi trasmessi ai propri eredi. Tuttavia, esistevano delle condanne
penali in base alle quali si perdevano tutti i diritti, si tratta della MORTE CIVILE,
ovvero, il soggetto non è morto ma perde la propria soggettività giuridica, smette di
essere una persona.
COMMORIENZA: ci sono più persone legate tra loro da rapporti familiari che
muoiono contestualmente; l’Ordinamento italiano stabilisce sostanzialmente che i più
giovani premuoiono ai più vecchi perché le condizioni patrimoniali dei bambini sono
meno rilevanti di quelle dei genitori( adulti);
I Romani non arrivarono a fissare dei criteri ben precisi sul punto e fissarono una
serie di regole da definirsi caso per caso;
LIBERI: I soggetti che hanno la piena capacità giuridica, coloro che acquisiranno la
posizione di SUI IURIS e quindi di PATER FAMILIAS.
A Roma i cittadini non lavoravano e infatti i lavori manuali erano svolti dagli schiavi.
I filosofi (Aristotele, Platone) tendevano a giustificare la schiavitù, sostenendo che
esistessero gli SCHIAVI DI NATURA, ovvero è la natura stessa a concepire
l’esistenza della schiavitù. La schiavitù era secondo loro qualcosa di ontologicamente
necessario. La filosofia stoica, pur affermando che non esistessero schiavi per natura,
ma che sono tali per sfortuna o ingiustizia, non arrivano a mettere in discussione che
il lavoro debba essere svolto solamente dagli schiavi.
Gli Schiavi sono coloro che vengono catturati durante le guerre o vengono sequestrati
al di fuori dei confini della propria città.
In una prima fase a Roma gli schiavi erano pochi perché la fonte di
approvvigionamento era limitata, ovvero Roma conduceva piccole guerre che quindi
non determinavano l’ottenimento di intere popolazioni ( ES: Alba Longa o Etruschi)
Gli schiavi erano pochi e ben trattati. Il termine latino per indicare gli schiavi è
SERVUS che deriva da SERVATUS cioè salvato in guerra cioè è il nemico non
ucciso ma reso prigioniero.
Gli Schiavi erano utilizzati nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame dato che
la fonte di ricchezza di Roma era la pastorizia. Alcuni Schiavi erano adibiti ai lavori
domestici, altri erano particolarmente colti e ciò si aveva soprattutto con l’arrivo di
schiavi greci a Roma. Alcuni di loro venivano usati per la formazione dei figli, quindi
con ruolo di precettori. In una prima fase a Roma gli schiavi sono pochi e hanno alto
valore economico. Gli schiavi sono RES MANCIPI (RES PRETIOSIORES) ovvero
le cose più preziose dell’economia antica.
A partire dal III secolo a.C. cioè quando l’espansionismo Romano inizia ad estendersi
senza tregua, Roma diventa dominatrice assoluta del bacino mediterraneo e
cominciano ad arrivare centinaia di migliaia di schiavi.
Strabone, geografo dell’antichità, racconta che in un solo giorno nel mercato di Delo
furono venduti 10mila schiavi.
Gli schiavi sono oggetti di diritto, non possono essere titolari di diritti, non possono
trasmettere il loro patrimonio e sono tenuti a sottostare al padrone. La condizione di
schiavo non dipende dall’esistenza di un diritto di proprietà sullo schiavo ma è una
condizione personale.
Se ad esempio uno schiavo riesce a fuggire dal proprio padrone, resta comunque
schiavo (SERVUS FUGITIVUS). Se ad esempio un padrone (DOMINUS)
abbandona uno schiavo, egli non ottiene la libertà ma diventa RES DERELICTA
(una cosa abbandonata).
I Romani riconoscono il diritto agli schiavi di avere una famiglia, ma non una
famiglia giuridicamente fondata e quindi legittima, ma un’unione che venisse tutelata
socialmente da un Officium, da un dovere sociale, morale di non impedire che due
persone possano avere dei reciproci sentimenti. Se due schiavi avessero avuto una
relazione, nessun padrone avrebbe impedito loro di unirsi.
Era riconosciuto questo Peculium agli schiavi per spronarli, per favorire una loro
maggiore propensione al lavoro e alla produttività.
Alla morte dello schiavo il Peculium tornava al padrone perché egli ha sempre avuto
l’ADMINISTRATIO. Questa distinzione tra amministrazione e proprietà è oggi alla
base delle SOCIETA’ DI CAPITALE (S.P.A.) che non vengono gestite dai
proprietari ma da un consiglio di amministrazione o da un amministratore delegato
Era possibile che il padrone dotasse lo schiavo di alcuni beni per fare in modo che
egli svolga attività economica e commerciale a favore del padrone. Il padrone quindi
nota di avere uno schiavo intelligente e gli affida i suoi beni al fine di esercitare
attività a suo favore.
Tutto ciò che compie lo schiavo e che acquista lo schiavo, viene acquistato IPSO
IURE cioè automaticamente dal padrone. Lo schiavo non può rendere deteriore la
posizione del padrone cioè se lo schiavo contrae un debito, non è il padrone chiamato
a rispondere del debito dello schiavo: RAPPRESENTANZA DIRETTA
Per evitare che si bloccassero traffici commerciali vengono introdotte una serie di
istituti, come L’ISTITUTO DI OBBLIGAZIONE NATURALE.
ESEMPIO: in una partita a poker tra amici, se un soggetto A gioca 10 euro e perde,
ha un debito con un altro soggetto B. Il soggetto A non è obbligato a pagare quel
debito perché il soggetto B non ha nessun strumento giuridico per imporre ad A di
pagare.
Perciò lo schiavo, una volta pagato non può più pretendere indietro ciò che ha versato
benché sia nella facoltà e nel diritto di non adempiere e in quel caso, il suo creditore
non avrebbe nessun strumento e non potrebbe rivolgersi al padrone proprio perché lo
schiavo non può rendere deteriore la condizione del padrone.
29/09/2020
In diritto Romano sono previste tante categorie di SUCCESSIBILI ovvero coloro che
possono acquistare l’eredità. È presente un’antica norma delle 12 tavole in base alla
quale laddove non ci siano né figli né parenti prossimi ( Adgnati Proximi ), l’eredità e
i suoi beni andranno ai GENTILES. La GENS è quindi un insieme di persone
all’interno del quale si può trovare un successibile.
Al fine di attestare che fosse venuta una compravendita tra l’alienante e lo schiavo, vi
erano dei testimoni che difficilmente si facevano corrompere dato che a Roma la
corruzione del testimone era contrastata pesantemente. In alcune ipotesi si arrivava
alla condanna a morte, mentre in altri casi si veniva condannati alla
“INTESTABILITAS” cioè al fatto che non si potessero ricevere testimonianze a
proprio favore. Si veniva quindi interdetti dalle attività commerciali dato che tutte le
attività commerciali a Roma si svolgevano a cospetto di testimoni.
ES: Se lo schiavo ha preso una carrozza e non ha pagato il vettore esso si può
rivolgere al suo padrone;
Nel caso dell’Obbligazione naturale, non c’è sempre la Soluti Retentio, perché se A
per sbaglio da dei soldi a qualcun altro, A ha delle azioni attraverso le quali ottenere
indietro i soldi perché in questo caso ci sarebbe un arricchimento senza giusta causa
oppure un pagamento non dovuto.
Questa Actio è alla base di un altro istituto moderno molto importante cioè le SRL
( Società Responsabilmente Limitata) dove i creditori di queste società non possono
agire contro il patrimonio dei soci ma solo contro il patrimonio e i beni che i soci
hanno devoluto alla società.
3) ACTIO DE IN REM VERSO( I secolo d.C. circa) : serve al creditore nei confronti
del padrone perché gli consente di agire nei limiti dell’arricchimento che il padrone
ha conseguito per l’attività dello schiavo. ESEMPIO: Il padrone assegna allo schiavo
10mila sesterzi. Se lo schiavo contrae un debito da 12mila sesterzi, il venditore a cui
non è stata adempiuta l’obbligazione ora può ottenere i 2mila sesterzi attraverso
questa azione perché questi 2mila sesterzi sono un arricchimento ingiustificato del
padrone. Si ricorre a questa azione quando si nota e si hanno le prove che lo schiavo
ha contratto dei debiti maggiori del PECULIUM messo a disposizione da padrone.
1. ACTIO INSTITORIA
2. ACTIO EXERCITORIA
Il diritto penale dei Romani è diverso rispetto a quello attuale. Il diritto penale
moderno è figlio di Cesare Beccaria e della corrente Illuminista e ha come base la
funzione rieducativa della pena.
A Roma, vi erano tutta una serie di atti illeciti che davano luogo a OBBLIGAZIONI
CIVILI. Ad esempio, il furto, dava luogo ad obbligazioni di diritto civile. Nel diritto
penale romano si fa una distinzione tra:
Un crimine commesso da uno schiavo riceve punizioni molto più severe e pesanti di
quelle previste per gli uomini liberi. Generalmente se uno schiavo commette un
crimine, viene condannato a morte mentre un uomo libero, se commette un crimine
può essere condannato a diverse pene, come può essere ad esempio la RELEGATIO
IN INSULAM oppure l’allontanamento da Roma.
Aulo Gellio afferma che all’origine di Roma, qualora i creditori fossero stati più di
uno il dominus poteva scegliere di uccidere lo schiavo e di dare un pezzo del suo
corpo a ciascun creditore (usanza desueta).
La LEX AQUILIA stabiliva che il padrone doveva essere risarcito per il prezzo
massimo che aveva raggiunto il prezzo dello schiavo nel mercato dell’ultimo anno.
E in base a tutte queste considerazioni veniva definito il valore del risarcimento del
danno.
30/09/2020
IL MIGLIORAMENTO DELLA CONDIZIONE DEGLI SCHIAVI
Gaio nelle sue Istitutiones divide il diritto della persona (ius quod ad personam
pertinet) in due macrocategorie:
· Liberi: coloro che hanno pieni diritti civili e giuridici. Questa categoria si
divide a sua volta in due sottocategorie. I Libertini ovvero coloro che erano
schiavi e sono diventati liberi, e gli Ingenui, ovvero uomini nati liberi e garanti
di tutti i diritti.
Il Locus Religiosus era una RES RELIGIOSA, cioè un bene consacrato agli Dei
inferi, ovvero gli Dei dell’Oltretomba.
Lo schiavo poteva svolgere dei VOTA, cioè delle richieste che un soggetto
rivolgeva ad una divinità in cambio poi di un certo comportamento. Ci si
recava nel tempio di una divinità e si chiedeva grazia ad essa, in cambio di una
prestazione. In diritto Romano si trattava di un’obbligazione giuridica. Infatti,
se il soggetto non avesse adempiuto il voto, il sacerdote sarebbe potuto andare
in tribunale e richiedere l’adempimento.
Per via dell’influenza dello Storicismo, che giunge a Roma grazie alla filosofia
greca, comincia a prevalere la convinzione che non sia giusto maltrattare in
maniera ingiustificata gli schiavi e quindi gli imperatori assumono una serie di
provvedimenti volti a impedire l’ingiusto maltrattamento degli schiavi.
Il giusto rispetto di tali norme era nelle mani del PRAEFECTUS URBI, il quale
aveva il compito di valutare la situazione in esame e valutare l’attivazione o meno del
provvedimento.
Il principale magistrato giuristi ente era il PRETORE (II a.C. – III a.C.) era incaricato
di amministrare la giustizia. Ogni anno emanava un editto pubblico fisso nel Foro
Romano, nel quale indicava attraverso quali criteri avrebbe amministrato la giustizia.
Nello specifico caso dello schiavo, la competenza era stata accordata al Praefectus
Urbi.
Dopo il II secolo d.C. , la figura del pretore comincia a scomparire, facendo acquisire
tutte le cariche al Praefectus Urbi.
Si è schiavi:
La Captivitas era considerata un istituto di IUS GENSIUM che non era un istituto
proprio dei Romani ma piuttosto un diritto di tutti i popoli che andavano
intrattenevano relazioni con loro e che era un diritto proprio di tutti gli esseri
umani, difatti tale modalità di reclutamento valeva anche nel momento in cui
era Roma a perdere. Inoltre, la Captivitas non implica solo la cattura in caso di
guerra, ma la cattura in generale fuori dai confini romani. Il sequestro infatti
portava inevitabilmente al diventare schiavi, sebbene venisse considerata una
Iniusta Servitus ovvero una schiavitù ingiusta, il Populus Romano, spesso si
prodigava a liberare il sequestrato divenuto schiavo (es. Giulio Cesare fu
catturato e il riscatto fu pagato da Crasso).
Tali beni nel momento della Captivitas Iniusta erano in stato di quiescenza rimanendo
sospesi, vigendo la Spes Liminii ovvero la speranza del ritorno finché non si ha
notizia certa della sua morte.
Nell'81 a.C. Lucio Cornelio Silla per ingraziarsi l’esercito, il quale lo aveva portato
alla vittoria contro Gaio Mario, stabilisce che se un soldato romano venisse catturato
in battaglia e fosse divenuto schiavo e successivamente fosse morto in stato di
cattività si considerava che egli fosse morto prima di essa della cattura, dunque
moriva libero di modo che diventasse possibile la successione ai figli del soldato
deceduto, dato che in caso di Captivitas il testamento, redatto prima della guerra,
perdeva ogni valenza. Questo decreto prende il nome di LEX CORNELIA o FICTIO
IURIS CORNELIAE, dove per Fictio Iuris si intende una legge che viene emanata e
si verifica in una situazione fittizia, spesso abrogata anche ad altri tipi di leggi come
quelle che vigevano all’eredità senza testamento in caso di morte in guerra, sempre
per far sì che i beni passassero alla famiglia del soldato.
È giusto sottolineare che nell’antica Roma non vi era un legame parentale tra marito e
moglie, difatti la moglie non ha diritto ad ereditare i beni del marito, che passavano ai
figli in caso di morte del coniuge.
Un’altro modo per diventare schiavo è la vendita Trans Tiberim ( oltre il Tevere ,
all’estero); un cittadino romano non poteva diventare schiavo all’interno dei confini
di Roma ( vi sono poche eccezioni ).
Ci sono due eccezioni che portano la condizione servile entro i confini romani:
· INDELECTUS: colui che si sottrae alla leva militare, in quanto tutti i cittadini
maschi sono chiamati a diventare un soldato e a difendere la patria. La
grandezza di Roma si basava sulla leva militare e sul popolo-esercito.
Inizialmente soltanto gli eroi tendevano a combattere, ma successivamente
anche i cittadini incominciarono a divenire soldati e proprio per questo il fatto
che un soggetto si sottragga a ciò, veniva visto in modo negativamente
· INCENSUS, ovvero colui che si è sottratto alle liste del censimento, utile per
definire il quantum di imposte dovute all’erario. L'incensus era allo stesso
tempo un Indelectus, in quanto il censimento era la fonte da cui si sviluppava
l’esercito.
05/10/2020
La capacità giuridica si acquista con la nascita e a Roma valeva per i nati liberi. Lo
schiavo non ha capacità giuridica, non è soggetto di diritti ma è oggetto di diritti.
Quindi lo schiavo non aveva alcuna capacità giuridica.
Gli uomini liberi invece acquisivano la capacità giuridica al momento della nascita.
Al contrario, la capacità di agire si acquista con il tempo. Oggi si acquista con il
compimento dei 18 anni, in diritto romano si acquisiva con altri meccanismi.
Donna: qualora una donna libera avesse intrattenuto una relazione sessuale con uno
schiavo (non con il proprio schiavo perché col proprio schiavo avrebbe potuto fare
quello che le pareva) altrui, e il proprietario di questo schiavo avesse per tre volte
intimato alla donna di cessare questa relazione. In mancanza della cessazione della
relazione, la donna sarebbe diventata schiava del padrone dello schiavo. Questa
decisione fu introdotta dal Senato Consulto Claudiano. Questo vale solo per le donne,
non per gli uomini. Il termine “intimazione” indica una dichiarazione, una richiesta
formale di compiere un certo atto.
· MANUMISSIO VINDICTA
· MANUMISSIO CENSU
· MANUMISSIO TESTAMENTO
MANUMISSIO VINDICTA:
È quell’atto attraverso cui si libera uno schiavo che si svolge davanti al Pretore
attraverso un finto processo. Cos’è questo finto processo? Vi è un dominus che ha
deciso di liberare lo schiavo. Si accorda con un suo amico e insieme a questo suo
amico, e allo schiavo, si recano nel Foro Romano in tribunale davanti al Pretore.
L’amico del padrone assume le vesti di ADSERTOR IN LIBERTATEM (colui che
asserisce la libertà dello schiavo) e afferma “lo schiavo è libero, non è schiavo”. Il
padrone, essendo d’accordo con tutto quello che si sta svolgendo, assume un
contegno passivo, cioè tace e non si oppone. Questo atteggiamento lo, si chiama “In
Iure Cessio”, cioè cede in tribunale. La Manumissione indica una riduzione del
patrimonio del dominus. Quindi l’Adsertor In Libertatem afferma che lo schiavo è
libero. Il dominus tace e il Pretore riconosce la libertà dello schiavo. .
Attorno al II – III d.C. questa Manumissione avveniva senza la costruzione del finto
processo, bastava che il dominus dello schiavo si recasse davanti al pretore e lo
toccasse con questa Vindicta dicendo “questo uomo è libero”. Non serviva più quindi
il finto processo. Perché in origine serviva questo finto processo? Serviva per dare
evidenza pubblica al procedimento, per rendere evidente a tutti nella comunità che
quell’uomo non era più uno schiavo.
MANUMISSIO CENSU:
MANUMISSIO TESTAMENTO
Lo schiavo avrà degli oneri di carattere sociale verso il suo patronus e una volta
manomesso sarà un Liberto. Colui che viene manomesso con una di queste forme
sarà un uomo libero, ma nella categoria dei Liberti (o Libertini) e avrà una serie di
oneri verso il suo dominus, oneri di riconoscenza.
Il Liberto deve prestare delle giornate lavorative a favore del suo vecchio dominus. Si
può quindi dire che egli rientri nella categoria dei Clientes del dominus e quindi avrà
un vincolo ancora forte verso di lui.
In una prima fase, ai liberti veniva impedito di fare testamento, proprio perché i beni
devono andare al dominus.
Con queste tre forme di Manumissioni l’ex schiavo, divenuto Liberto, acquisiva la
cittadinanza romana. Ciò creò alcune problematiche perché soprattutto nell’epoca a
partire da Augusto in cui vi erano moltissimi schiavi e quindi moltissime
Manumissioni, il problema era che il numero di cittadini cresceva esponenzialmente e
spesso con persone che non erano romane ma che venivano da fuori e magari
serbavano qualche rancore e quindi ciò poteva creare problematiche sociali. Vengono
perciò imposte delle limitazioni alla possibilità di manomettere. In particolare, con la
LEX AELIA SENTIA si stabilisce che lo schiavo che abbia meno di 30 anni non
possa essere manomesso, così come il dominus che abbia meno di 20 anni non possa
effettuare Manumissioni. Vi è dunque una limitazione della possibilità di ricorrere
alla Manumissione.
Un esempio può essere la tavola imbandita ed il padrone, in compagnia dei suoi amici
e preso dai fumi dell’alcool dichiara “voglio liberare questo schiavo”.
È identica alla Manumissio Per Mensam”, con la differenza che non c’è una tavola
imbandita. C’è solo una discussione tra amici in un qualche contesto che non è una
cena.
È una Manumissio scritta in una lettera inviata allo schiavo e laddove il dominus
dovesse pentirsi di quanto dichiarato e dovesse rivolgersi al pretore per esperire la
Vindicatio In Servitutem, si troverebbe di fronte alla DENEGATIO ACTIONI
ovvero, il pretore gli negherebbe l’azione per poter riprendere lo schiavo. In questi
casi lo schiavo non consegue però la cittadinanza romana, ma una cittadinanza di
rango inferiore: la cittadinanza Latina.
Il cristianesimo prima non si poteva professare perché il Dio dei cristiani non era
stato inserito nel Pantheon, luogo nel quale sono inseriti tutti gli Dèi. L’Imperatore
Tiberio voleva inserire il Dio dei cristiani, ma i cristiani e gli ebrei non vollero perché
il loro Dio era unico, non poteva trovarsi con altri dei, Quindi, non essendo quel Dio
presente nel Pantheon, quella religione non poteva essere professata, non facendo
parte delle religioni lecite. Con Costantino viene professata e seguita dentro l’impero
romanao Tuttavia, diventa religione lecita ma non religione di Stato, sarà con
Teodosio il Grande che il cristianesimo diverrà religione di Stato.
La cittadinanza Latina erano i diritti che Roma riconosceva agli abitanti dell’antico
Lazio, sulla base di un accordo con tutte le principali città del Lazio. L’accordo
prevedeva cinque diritti.
· IUS COMMERCII, cioè se fosse andato a Roma avrebbe potuto compiere atti
di diritto civile con i cittadini romani.
Roma poi ruppe il patto con i latini e cominciò una guerra infinita che poi ricompose
lentamente attraverso progressive concessioni di cittadinanza. Si può dire quindi che
Roma applicava il principio di DIVIDE ET IMPERA in base al quale, di volta in
volta, cercava di dividere i suoi avversari che così non riuscivano mai a coalizzarsi,
attraverso la concessione di diritti e forme di cittadinanza. Tuttavia, intorno al 90 a.C.
si ebbe la guerra sociale nella quale Roma si trovò a combattere contro tutti gli alleati
italici.
Mentre prima anche le popolazioni non belligeranti con Roma avevano lo status di
Hostis, di nemici, successivamente diventano “Peregrini”, quindi Roma inizia a
riconoscere loro alcuni diritti. Quindi se nella fase arcaica un cittadino straniero si
fosse trovato a Roma, poteva essere soggetto a Captivitas, e quindi a schiavitù.
Successivamente, quando Roma inizia a stipulare dei trattati, comincia a riconoscere
dei diritti, quindi i cittadini stranieri non dovevano temere , andando a Roma, di
essere trasformati in schiavi e valeva il diritto reciproco. Quindi gli Hostis sono solo
le popolazioni con cui Roma sta combattendo, invece i Peregrini sono le altre
popolazioni con cui Roma non ha conflitti in corso ma anzi, con cui magari ha anche
stipulato dei trattati. A questi peregrini vengono riconosciuti due diritti, che sono lo
Ius Commercii e lo Ius Connubii. In alcuni casi veniva anche riconosciuta
TESTAMENTI FACTIO PASSIVA ovvero la possibilità di essere nominati eredi da
un cittadino romano.
· ADDICTUS
• IN MANCIPIO
IN MANCIPIO
ADDICTUS
È la figura del debitore insolvente, ma in un determinato frangente, cioè prima della
vendita trans Tiberim. ES. Ci sono due soggetti che hanno stipulato un contratto. Un
soggetto effettua la propria prestazione, l’altro soggetto non effettua la
controprestazione quindi questo risulta debitore. Dopo le intimazioni di pagamento,
questo soggetto continua a non pagare quindi viene citato in giudizio davanti al
pretore, si svolge un processo di cognizione e alla fine di questo processo, il soggetto
debitore viene riconosciuto come debitore. Se il soggetto non paga spontaneamente
entro un termine, può aver luogo la procedura esecutiva, che a Roma è una procedura
personale. Il debitore viene assegnato al creditore. Il creditore deve tenerlo presso di
sé e può portarlo per tre volte al mercato entro 60 giorni e dichiarare il debito
pubblicamente. A quel punto si deve verificare se ci sia qualcuno che possa fare da
garante, cioè un soggetto terzo che paghi il debito per l’Addictus e a quel punto egli
tornerà nella condizione originaria di cittadino romano. Ovviamente deve ripagare chi
ha pagato a sua volta per lui, altrimenti riaccade la stessa situazione e si riapre la
procedura. Se però dopo tre mercati nessuno ha pagato il debito per conto di questo
soggetto, il creditore ha due opzioni, ovvero o ucciderlo ma perderebbe i soldi e non
gli conviene o venderlo come schiavo oltre il Tevere, trans Tiberim e a seconda di
quello che ricaverà dalla vendita potrà rifarsi del suo credito. Trans Tiberim perché il
cittadino romano non può diventare schiavo all’interno di Roma se non in ipotesi
eccezionali.
REDEMPTOR AB HOSTIBUS
ACUTORATUS
È un soggetto che attraverso un giuramento che si chiama AUCTURAMENTUM si
auto assoggetta ad un altro soggetto per svolgere alcune attività, ed in particolare ai
giochi gladiatori. In questo caso il cittadino romano si assoggetta nei confronti di un
Lanista, cioè un impresario che organizza giochi gladiatori. I giochi gladiatori a
Roma avevano un’importanza enorme ma allo stesso tempo, l’assoggettarsi
all’espletamento dei giochi gladiatori era qualcosa di indegno perché si percepivano
dei soldi a fronte dell’esibizione del proprio corpo.
06/10/2020
Rispetto alle precedenti figure analizzate, i COLONI sono figure ricorrenti quasi di
massa. Etimologicamente parlando il termine “colono” deriva dal verbo latino
“COLERE” (coltivare). I Coloni quindi sono coloro che coltivano la terra.
Non è certa l'effettiva origine di questa figura, tuttavia la si può ricondurre ad una
prassi risalente precisamente all'imperatore Augusto: coloro che erano proprietari di
appezzamenti di terreno iniziavano, proprio sotto l'imperatore Augusto, a inserire nel
CATASTO (il registro in cui venivano indicate le proprietà immobiliari di ogni
cittadino romano) il nome dell'individuo che coltivava questo terreno. Da ciò si
evince che comincia a nascere un legame che non è tra due persone ma è tra una
persona e la cosa, ovvero l'appezzamento di terreno a cui veniva collegato il nome di
colui che lo coltiva.
Tuttavia, in una prima fase molto probabilmente questi coloni erano soggetti che
avevano in affitto questo terreno, cioè pagavano un canone mensile o secondo la
cadenza temporale fissata nel contratto e coltivavano la terra, a cui spesso veniva
aggiunta anche la prestazione di giornate lavorative a favore del proprietario del
fondo. Inoltre, spesso, erano tenuti a versare al dominus del fondo una parte del
raccolto. Fino a questa fase i coloni restano uomini pienamente liberi ma comunque
legati alla terra e non avevano limitazioni di capacità.
Le cose iniziano a cambiare nel secondo terzo secolo d.C. quando finiscono le guerre
di conquista, la quale comporta la scarsa affluenza di schiavi a Roma, dunque
diminuisce l’affluenza di soggetti che “per natura” ed erano adibita a lavorare la terra
o comunque questo tipo di mansione. Di conseguenza, la figura del colono cambia,
difatti non sono più i coloni i soggetti che avevano preso in affitto il campo, ma
diventano legati inscindibilmente al campo stesso, diventano quindi “SERVI
DELLA TERRA”. Si può dire che il colono, a partire dal IV secolo, è all'origine
della figura della servitù della gleba ed è una condizione che impone molteplici
limitazioni, in quanto vi era la necessità che il colono non cambiasse mestiere e il
vincolo che all’inizio non implicava limitazioni di capacità finisce per diventare
inscindibile: il colono e la sua famiglia non potevano più lasciare la terra, erano
costretti a vivere per sempre su quell’appezzamento di terra e lavorarlo, così anche i
figli dei coloni. Erano previste anche una serie di limitazioni matrimoniali proprio per
evitare che i coloni, dopo il matrimonio, abbandonassero la terra e andassero a vivere
in città o si dedicassero ad altre attività, tant’è che si arriverà all'età di Giustiniano
durante il quale verrà stabilito che i coloni possono sposarsi solo tra loro.
Nonostante ciò, i coloni da un punto di vista teorico restano soggetti liberi, infatti la
loro è una limitazione nella libertà di movimento però potevano stipulare dei contratti
ed erano strettamente legati al fondo. Infatti, se il dominus avesse venduto il fondo
insieme ad esso vendeva il colono ed è per questo che si crea questo vincolo
inscindibile tra il colono e la terra. Egli diventa il soggetto che perennemente e che
per generazioni deve coltivare quello appezzamento di terra.
In epoca tarda il dominus potrà esercitare sul colono lo IUS CORRIGENDI ovvero
il diritto del dominus di picchiare il colono qualora egli non si attenga agli accordi
stabiliti in termini di concessione di giornate lavorative e di conferimento di beni in
natura al dominus. In sostanza siamo all'origine della società feudale e il colono
rappresenta il passaggio tra il modo di produzione schiavistico e il modo di
produzione feudale che invece caratterizzerà il medioevo. È opportuno sottolineare
che il colono era libero, ma le sue capacità giuridiche e di agire erano estremamente
limitate, egli per esempio non poteva citare in giudizio il dominus (con cui aveva un
rapporto di soggezione anche personale) del fondo che coltivava.
Coloni si nasce, quindi tutti i figli dei coloni sono coloni, tuttavia a partire dal III/IV
Secolo si può divenire colori per ASSEGNAZIONE FORZOSA, ovvero un
provvedimento dello Stato nel quale si prendono gruppi di persone, generalmente
mendicanti o gente senza fissa dimora, e vengono assegnati a terre di confine in modo
tale che anche le terre al confine con i nemici, ovvero le più pericolose perché a
rischio di invasioni, siano coltivate. In questo modo l’Impero Romano costruiva
anche delle zone cuscinetto attuando una strategia difensiva.
• È la più rara di tutte ed è quella in cui il dominus del fondo cancella dal
registro del catasto il nome del colono.
LIBERTINI
• INGENII
• LIBERTINI
Un altro giurista, Ulpiano sostiene che gli uomini si distinguono in Tria categorie:
• LIBERI
• LIBERTINI
• SCHIAVI
• Il Libertino ha dei vincoli di ordine morale e sociale verso il dominus che l’ha
manomesso. Questi vincoli vengono definiti OBSEQUIUM. Quindi i coloni sono
tenuti all’ossequio verso il dominus che potevano essere ad esempio il dovere della
SALUTATIO nella quale il Liberto doveva quotidianamente recarsi a fare visita al
dominus per portargli i saluti, attività svolta anche dai CLIENTES (difatti tutti
Liberti erano Clientes)
• Il Liberto non poteva citare mai in giudizio il suo dominus (o meglio dire
PATRONUS, perché il vecchio dominus dopo che ha manomesso, diventa
patronus) e in particolare non poteva esercitare due ECCEZIONI
PROCESSUALI. L’eccezione processuale è un’affermazione del convenuto
ovvero colui che è stato citato in giudizio ed è un'affermazione che ha l'obiettivo di
introdurre un ulteriore elemento di valutazione per il giudice, al fine di emettere
una sentenza favorevole al convenuto: la prima eccezione è la EXCEPTIO QUOD
METUS CAUSA che è l'eccezione di violenza ovvero un vizio della volontà, ad
esempio la stipulazione di un contratto sotto minaccia. In un’ipotesi analoga, il
liberto non poteva sollevare questa eccezione nei confronti del dominus, ma poteva
sollevarla nei confronti di tutto il resto del mondo meno che al dominus appunto,
proprio a causa di questi rapporti di riconoscenza che gli doveva. La seconda
eccezione era la EXCEPTIO DOLI nella quale il DOLO che in materia
civilistica, è un raggiro mentre generalmente in diritto penale è un atto di volontà
che si contrappone alla colpa (che a sua volta discende da negligenza o imperizia o
imprudenza) è quindi un raggiro, e si ha quando una persona è stata convinta a
concludere un atto giuridico ma vi è un inganno da parte di una delle parti nei
confronti dell'altra. Una delle due parti ha concluso un contratto sulla base di una
falsa rappresentazione della realtà che ha indotto la parte a prestare il proprio
consenso. In questo caso sostanzialmente il liberto non poteva addurre in giudizio
di essere stato ingannato dal suo dominus, di essere stato raggirato dal suo dominus
• L’ERRORE che è semplicemente una falsa rappresentazione della realtà che non
dipende da raggiro.
Il dominus era portato a citare in giudizio il proprio liberto, in quanto questi poteva
avere rapporti negoziali e divenire imprenditore. Spesso i liberti si arricchivano a tal
punto da ricoprire cariche lavorative importanti, come i banchieri.
Altre limitazioni erano in materia di diritto successorio. Infatti, ove il Libertus non
avesse fatto testamento l'eredità di quest’ultimo non andava ai figli ma al dominus,
differentemente da quanto avveniva per gli Ingenuii, la cui eredità andava ai propri
figli. All'inizio per il Liberto era anche complicato fare testamento, ma a partire dal II
secolo a.C. i Liberti otterranno il diritto di fare testamento.
Qualora il Libertus avesse compiuto delle “iniurie”, ovvero delle offese nei confronti
del dominus, poteva incorrere in gravissime sanzioni. Addirittura, l'imperatore
Claudio stabilì che se l’iniura fosse particolarmente grave si sarebbe potuto dar luogo
alla REVOCATIO IN SERVITUTEM, cioè il libero poteva tornare a essere
schiavo. Tuttavia, questa previsione dell'imperatore Claudio non sarà praticamente
mai applicata e quindi cadrà in desuetudine.
LIBERI : SCHIAVI
Libertini
Ingenuii
• SUI IURIS ovvero soggetti di diritto proprio, hanno la pienezza della capacità
giuridica e della capacità di agire.
• ALIENI IURIS ovvero soggetti di diritto altrui; individui soggetti al potere di altre
persone, ad un potere familiare.
Questa ALIA DIVISIO elaborata da Gaio introduce il tema del diritto di famiglia: lo
STATUS FAMILIAE.
07/10/2020
Gaio, dopo aver sottolineato una Summa Divisio tra liberi e schiavi, sostiene che
esista comunque una ALIA DIVISIO che attiene ai liberi, sia ingenui che libertini
I soggetti Sui Iuris sono gli unici soggetti che hanno la pienezza della capacità
giuridica e della capacità di agire. I soggetti Alieni Iuris invece sono soggetti liberi
ma che hanno un potere di tipo familiare su di loro.
Il potere di tipo familiare che può esistere sul capo di questi soggetti Alieni Iuris può
essere di tre tipi:
• POTESTAS
• MANUS
• MANCIPIUM
Molto probabilmente questi tre poteri erano articolazioni interne della Potestas
Un soggetto che da Sui Iuris diviene Alieni Iuris subisce una CAPITIS DEMINUTIO
MINIMA
Gli studiosi moderni di diritto romano chiamano ciò la TEORIA DEGLI STATUS:
•STATUS LIBERTATIS
•STATUS CIVITATIS
•STATUS FAMILIAE
Il Mancipium è quel potere che si ha sul figlio che è stato venduto. Quando il padre
vende il proprio figlio ad un altro Pater Familias, il figlio diventa soggetto in
Mancipio.
Se la moglie si sposa Sine Manu non ha alcun rapporto giuridico con i figli.
Tutti gli individui che sono assoggettati alla potestas di uno stesso Sui Iuris, sono
legati dal vincolo di agnazione, l’ADGNATIO, che appunto è il vincolo giuridico
che caratterizza la famiglia romana.
L'Adgnatio è quel rapporto che lega tra loro, tutti coloro che sono sottoposti ad
un’unica patria potestas, quindi che sono sottoposti ad un unico pater, o coloro che
sarebbero stati sottoposti ad un unico pater se questi non fosse morto. Se muore un
pater, i tre figli diventano a loro volta tre pater, quindi diventano soggetti Sui Iuris e
questo vale anche per la donna che diventa Sui Iuris.
Ad esempio, una donna Sui Iuris sposa un Pater Familias. Se si sposa Cum Manu
entra a far parte della famiglia del marito in condizione di figlia, in condizione
LOCO FILIAE, quindi nella posizione di figlia. Rispetto ai figli la madre si troverà
in posizione di sorella.
La famiglia romana nasce dal matrimonio, dalle Iuste Nuptiae tra due soggetti Sui
Iuris cittadini o da soggetti che abbiano comunque lo Ius Connubii. Questo primo
nucleo configurava la FAMILIA PROPRIO IURE. Questo secondo nucleo
rappresenta la FAMILIA COMMUNI IURE.
La manus e il matrimonio sono due istituti giuridici distinti, tant'è vero che ci può
essere un matrimonio senza manus. La donna che si sposa può decidere se compiere
la manus o no. Anche senza manus restano “Iustae Nuptiae” se sono cittadini romani
o se entrambi hanno reciprocamente lo ius Connubii. Se il marito dovesse morire, la
donna diventa Sui Iuris, ma verso i figli resta sempre in condizione di sorella.
Secondo Gaio questo diritto di famiglia è IUS CIVILE ovvero un diritto proprio ed
esclusivo dei cittadini romani.
Un giurista italiano, Pietro Bonfante, sosteneva che la famiglia romana avesse una
natura principalmente politica. Persegue gli obiettivi propri di uno Stato. Bonfante
pensava che la famiglia romana fosse il nucleo primordiale dello Stato. Cioè diceva
che vi è dà una parte la FAMILIA, più Familiae costituiscono una gens , più Gentes
insieme si uniscono e costituiscono il Popolus Romanus, quindi Roma, lo Stato
romano.
In una fase primordiale, quando Roma, ancora non si era formata in tutta la sua forza
e in tutta la sua consistenza, la presenza di queste Gentes era talmente forte che
contrastava, o quanto meno limitava la nascita dello Stato.
Caio Giulio Cesare ad esempio: Giulio era il nome della Gens Iulia, ovvero una Gens
antichissima dalla quale era nata quella importante famiglia, che aveva dato a Roma
Consoli, Pretori e altri importanti esponenti delle classi dirigenti.
Pietro Bonfante porta diversi argomenti a sostegno della sua tesi sulla natura politica
della famiglia romana. Individua cinque elementi che sono in grado di dimostrare a
suo avviso come la famiglia romana avesse una natura politica.
• Nella famiglia romana si entra e si esce attraverso congegni giuridici che sono
simili ai modi attraverso cui si entra a far parte di uno Stato, o vi si esce. Si
entra a far parte della famiglia romana attraverso una serie di regole e si esce
soltanto a seguito della commissione di alcuni atti particolarmente gravi.
Inoltre, un soggetto può appartenere esclusivamente ad una sola famiglia, non
a più famiglie, esattamente come si può avere la cittadinanza di un solo Stato.
• Ogni famiglia aveva un tribunale domestico, cioè il luogo dove il Pater Familias
dirimeva, scioglieva, i litigi e le controversie tra gli appartenenti alla famiglia.
Tuttavia, il tribunale domestico poteva rientrare nel primo tipo di argomento, cioè
quello per il quale fondamentalmente il pater è come un sovrano.
L'atto opposto allo Ius Exponendi, cioè l'atto con il quale il pater riconosceva il figlio
nella propria famiglia era il TOLLERE LIBEROS. La dottrina è divisa perché non
tutti ritengono che questa fosse la procedura per riconoscere il figlio, ma molte fonti
lasciano intendere in questa direzione.
Il Tollere Liberos era il sollevamento del figlio. Appena nato il figlio veniva sollevato
in alto dal padre e con questo atto formale nasceva la potestà del pater sul figlio. Si
trattava di un atto che ebbe delle conseguenze enormi nel diritto romano.
L’imperatore Augusto, per concedere uno dei tanti privilegi ai soldati, elaborò il
TOLLERO LIBEROS RETROATTIVO che troviamo nei diplomi militari. Il diploma
militare è la HONESTA MISSIO cioè il congedo che veniva vergato a favore dei
soldati, perché avevano svolto adeguatamente le loro mansioni. Augusto riconosce ai
soldati la possibilità di inserire una formula scritta, un Tollere Liberos, perché magari
poteva accadere che un soldato fosse stato per venti anni a combattere in guerra e nel
frattempo avesse concepito dei figli lì, che potevano anche essere figli nati da
Iniustae Nuptiae, perché non è detto che l'accoppiamento fosse avvenuto con
qualcuno dotato di ius Connubii. Il soldato, nel suo congedo, poteva conoscere
retroattivamente questi figli nati in un momento nel quale non poteva sorgere la
potestas perché non vi erano Iustae Nuptiae. Quindi molto probabilmente, il Tollere
Liberos era l'atto formale con il quale nasceva la potestas. Inoltre, ai veterani fu
riconosciuto anche il diritto di riconoscere la compagna con cui avevano concepito
questo figlio. Il riconoscimento era retroattivo per i figli, per la moglie no. Il figlio
prendeva lo status del pater.
ALIENI IURIS
Da un punto di vista del diritto privato, sono considerati, in tutto e per tutto, soggetti
privi di capacità patrimoniale. Tutto quello che acquista il figlio si produce IPSO
IURE in capo al padre”, in virtù di un meccanismo di RAPPRESENTANZA
DIRETTA. Quindi non possono stipulare contratti, non possono fare donazioni, non
possono manomettere schiavi.
Il figlio non può deteriorare la condizione patrimoniale del pater. Ciò vuol dire che,
qualora il figlio contragga un debito, il padre può essere tenuto a risponderne solo nei
limiti del peculio.
Se il figlio contrae un debito, il creditore potrà agire nei confronti del padre nei limiti
del peculio, con l'Actio De Peculio. Il figlio sul peculio ha una administratio, non una
proprietà. Il peculio del figlio è costituito da regali che gli fa il padre, da beni
guadagni che ha autoprodotto e così via.
In età di Augusto, al fine di andare in contro alle esigenze dei soldati, viene istituito il
PECULIUM CASTRENSE cioè il peculio dei figli di famiglia soldati, che hanno
combattuto per difendere l'urbe. Su questo peculio il figlio ha una sorta di diritto di
proprietà.
12/10/2020
I Fili Familias sono soggetti Alieni Iuris, ovvero soggetti sui quali grava un potere di
tipo familiare e che non hanno capacità giuridica e capacità di agire, quindi hanno
sostanzialmente una posizione analoga a quella dello schiavo. Tuttavia, il figlio di
famiglia ha nel diritto pubblico i pieni diritti, ha una soggettività piena. Tant’è vero
che può ad esempio accedere al CURSUS HONORUM e diventare addirittura
console nonostante in ambito privato sia comunque un soggetto Alieni Iuris. Di
conseguenza la Patria Potestas che grava su questi soggetti, diventa nulla ove il
console deve prendere decisione per il bene del Populus Romanus, mentre il padre
deciderà per quanto concerne la famiglia.
Come lo schiavo, il figlio non può deteriorare la condizione del padre e qualora egli
sia soggetto a obbligazione, a rispondere sarà il padre nei limiti del Peculio del figlio,
sul quale questi aveva una semplice Administratio e non ne aveva dunque un potere
patrimoniale. È opportuno sottolineare che probabilmente, anche se non attestato
dalle fonti con certezza, dal punto di vista giuridico i Fili Familias venivano giudicati
alla pari di uno schiavo.
• Adrogatio= modo attraverso cui un pater familias diventa filius di un altro pater
familias, in questo caso si ha una capitis deminuxio minima. Ma perché un soggetto
sui iuris dovrebbe decidere di assoggettarsi ? Fondamentalmente per ragioni di
successioni e testimoniali. L’Adrogatio si svolgeva davanti ai comizi curiati,
presieduti dal pontefice massimo ( che all’inizio erano giuristi ), avveniva che il
soggetto arrogato ( quello che diveniva alieni iuris, cioè quello che si assoggettava )
ed il soggetto arrogante rivolgevano al pontefice massimo l’istanza se il popolo
fosse favorevole alla costituzione della nuova famiglia. A questo punto da soggetto
su iuris diveniva soggetto alieni iuris. Il pontefice deve ancora compiere
un’operazione, dato che una famiglia si estingue, chiamata Detestatio Sacrorum.
Tutto il patrimonio della famiglia adrogata, passa sotto la potestas del padre
adrogans, ma non sappiamo riguardo ai debiti. Con l’adrogatio si compiva quella
che è chiamata Successio Inter Vivos.
· ADOPTIO, che implica il passaggio di un soggetto Alieni Iuris da un pater ad
un secondo pater, con la dovuta procedura per estinguere la patria potestas del
primo pater familias, dato che a Roma la Patria Potestas non poteva essere
eliminata se non nel caso in cui il Pater vendesse il figlio più di tre volte. In
questa situazione due Patres Familias si accordano: il primo pater fa la
Mancipatio e il figlio si trova in una condizione di mancipio nei confronti del
secondo Pater. Per liberarsi di questa condizione viene manomesso e ritorna
sotto la Potestas del padre originario, avviene la seconda vendita, poi la
seconda Manumissione e dopo la terza vendita, il figlio si trova in mancipio del
secondo Pater. Subentra un terzo soggetto, ovvero il pater adottante rivendica il
figlio dinanzi al Pretore. Il secondo pater assume un contengo passivo essendo
tutti d’accordo e cede in diritto e di conseguenza il pretore affidava il figlio al
terzo pater. Probabilmente all’inizio era richiesto anche il favore dell’adottante.
Questa pratica venne usata dagli imperatori per costruire la successione al
trono. Ad un certo punto nasce l’adoptio naturae imitatur e si stabilisce che il
padre adottante debba avere almeno 18 anni in più al figlio che va ad adottare,
per seguire di più l’andamento della natura.
Si distinguono inoltre altre due figure: l’ADOPTIO PLENA che avviene da parte di
un soggetto che rientra comunque nella famiglia di origine, e ADOPTIO ANGUSTA,
che avviene per mano di un terzo.
Il modo più immediato per estinguere la Potestas è la morte del Patres e tutti i
soggetti a lui sottoposti divengono Sui Iuris. Tuttavia, qualora il pater subisse una
Capitis Demiutio o compisse determinati crimini che portavano la condanna
all’esilio, il soggetto avrebbe perso la potestas.
I soggetti Sui Iuris hanno sempre capacità giuridica, ma spesso non hanno la
possibilità di avere una piena capacità di agire. Bisogna fare una distinzione tra:
· Tutela Muliebre= tutela per le donne al di sopra dei 12 anni, quindi uscite dalla
pubertà; tutela poco gravosa e quasi formale.
IMPUBERI
Sono i ragazzi e le ragazze che non hanno raggiunto la pubertà. Secondo i giuristi
romani per le donne si raggiunge al compimento del dodicesimo anno di vita, mentre
per quanto riguardano gli uomini sono divisi. Infatti, secondo i Proculiani, la pubertà
si raggiunge intorno al quattordicesimo anno di età mentre secondo i Sabiniani si
devono fare delle verifiche apposite e dunque effettuare la INSPECTIO CORPORIS .
Gli impuberi si suddividono in due fasce di età:
Tale categoria non ha capacità di agire perché i soggetti appartenenti sono considerati
troppo giovani per avere capacità decisionale e patrimoniale e di estinguere o attuare
rapporti giuridici. Tuttavia, hanno piena capacità giuridica.
La donna sui iuris superati i 12 anni non è più soggetta alla tutela degli impuberi ma
proprio alla tutela delle donne.
I modi attraverso cui si può nominare il tutore sono vari, primo tra tutti la nomina
testamentaria, legittima, fiduciaria e dativa e per la donna si aggiunge la tutela
Optiva.
La TUTELA TESTAMENTARIA, presente già probabilmente nella Roma
monarchica e presente anche nelle XII Tavole, è quella indicata da un soggetto Sui
Iuris, prossimo alla morte, che dichiara nel testamento la presenza di un eventuale
tutore che affianchi il figlio nella gestione degli affari della famiglia. Inoltre, è anche
possibile che il pater designa due tutori, uno per i figli maschi e uno per le figlie
femmine o la moglie.
Nonostante il tutore venisse designato dal padre egli poteva anche rifiutare l’incarico,
in quanto volontario tramite l’ABDICATIO TUTELAE e successivamente con
l’imperatore Claudio il tutore designato era in qualche modo “obbligato” ad espletare
il suo dovere grazie all’agire dei consoli, i quali imponevano al soggetto in questione
di ricoprire quel ruolo. In aggiunta il tutore in origine era designato allo scopo di
tutelare i beni della famiglia.
La TUTELA LEGITTIMA è quella prevista in astratto dalla legge nel caso in cui il
padre, morto improvvisamente, non ha dichiarato un tutore per i figli e la legge
predetermina un tutore tra i parenti in linea collaterale per il figlio e deve essere un
soggetto Sui Iuris con piena capacità di agire, in particolare ADGNATUS
PROXIMUS, ovvero il più prossimo degli Agnati (parente Sui Iuris non sottoposto a
tutela) e i Gentiles, ovvero un membro della gens che subentrava qualora non ci
fossero potenziali tutori tra gli agnati. Non ci si poteva sottrarre a tale tutela in quanto
l’incarico si estingueva quanto il soggetto tutelato raggiungeva la pubertà.
13/10/2020
• INFANS MAIOR= dai 7 ai 12 anni per le donne/dai 7 ai 14 anni per gli uomini
• INFANS MINOR= dai 0 ai 7 anni d’età. Erano considerati del tutto incapaci
d’agire in quanto si ritenesse anche che non fossero in grado di parlare bene. Il
raggiungimento della piena capacità di parlare avveniva all’età di 7 anni
TIPOLOGIE DI TUTELA
• TUTELA TESTAMENTARIA: Il figlio dopo la morte del padre diveniva un
soggetto Sui Iuris.
All’interno del testamento si poteva prevedere anche la tutela per la moglie o per la
figlia, quindi un soggetto poteva essere il tutore per la figlia fino al
raggiungimento dei 12 e un altro soggetto diveniva tutore dopo il superamento
dei 12 anni da parte della figlia. La tutela in origine era prevista perché il tutore
divenisse l’erede del soggetto tutelato, a maggior ragione si pensava che questi
soggetti tutelati avrebbero avuto vita breve e quindi il tutore veniva visto come
colui che doveva preservare quel patrimonio per poi acquisirlo lui stesso.
Successivamente però la tutela diviene un Munus Publicum cioè un onere
pubblico, perché era di pubblico interesse che il soggetto Sui iuris Impubere
venga coadiuvato nell’amministrazione del proprio patrimonio. Quindi è
nell’interesse di tutti che questi soggetti abbiano una forma di protezione.
L’istituto della tutela e della curatela esistono tutt’ora.
Le ultime due tutele sono suppletive poiché si verificano quando non si riescono ad
individuare né Adgnati Proximi né Gentiles.
• NUMERO DI FIGLI DEL TUTORE cioè il tutore che aveva già un numero
elevato di figli sotto la sua potestas poteva non accettare.
Il bambino dopo i 14 anni rientrava nella fattispecie della tutela dei minori di 25 anni.
Per capire i compiti del tutore è utile la differenziazione che fece Gaio tra:
• INFANS 0-7 ANNI: Soggetto sui iuris con piena capacità giuridica ma che a
causa dell’età in cui si trova è totalmente incapace di agire. Il tutore ha una
funzione SOSTITUTIVA, si sostituisce in toto e gestisce tutte le attività
patrimoniali dell’Infans. Amministra e gestisce integralmente il patrimonio e
ha poteri molto ampi. Il tutore non ha rappresentanza diretta che si ha invece
quando tutti gli atti posti in essere da un soggetto producono immediatamente i
loro effetti nella sfera patrimoniale del soggetto rappresentato. Nel caso
dell’Infans, vi è una RAPPRESENTANZA INDIRETTA quindi gli effetti
della gestione del patrimonio non si producono direttamente nella sfera
giuridica dell’Infans ma in quella del tutore il quale avrebbe poi dovuto
ritrasferire gli affetti al bambino con ulteriori atti e negozi giuridici. Ci sono
alcuni atti che il tutore non può svolgere e che sono detti gli ATTI
PERSONALISSIMI come l’ACQUISTO DELL’EREDITÀ. Il tutore
dell’Infans non può acquisire un’eredità quindi nel caso in cui l’Infans fosse
stato nominato erede da un soggetto ed esso morisse, si aprirebbe l’eredità e vi
sarebbero due opzioni:
• Che l’Infans abbia compiuto almeno i 7 anni per poter compiere l’ADITIO
EREDITATIS cioè l’accettazione dell’eredità. Tuttavia, lasciare un’eredità in
stato di quiescenza ha molte controindicazioni e quindi vi era l’interesse che il
bambino l’acquistasse subito.
• Che venga utilizzato uno schiavo del patrimonio dell’Infans e dato che, tutto
ciò che acquista lo schiavo lo acquista ipso iure il padrone, l’Infans sarebbe
stato in grado di acquisire l’eredità
In origine ( fase arcaica in cui sostanzialmente la tutela era prevista più nell’interesse
del tutore che non nell’interesse del bambino) poiché si riteneva che la tutela fosse
una potestas del tutore verso il bambino il tutore poteva anche disinteressarsi
dell’amministrazione del patrimonio. Perciò era prevista nelle XII tavole
un’AZIONE PUBBLICA nel caso in cui il tutore testamentario avesse compiuto
malversazioni o frodi a danno del bambino. Quest’azione pubblica prese il nome di
ACCUSATIO SUSPECTI TUTORIS(accusa del tutore sospetto).
L’azione pubblica era un’azione a legittimazione popolare cioè un’azione che potesse
essere esperita da qualsiasi cittadino che avesse il sospetto che un tutore stesse
frodando o stesse compiendo malversazioni a danno del bambino. Il soggetto poteva
quindi agire in giudizio con questa azione.
In una prima fase il tutore veniva immediatamente sospeso dall’incarico e veniva
nominato un nuovo tutore in attesa della definizione del giudizio. Veniva svolto un
processo e se all’esito di esso il tutore fosse risultato innocente sarebbe stato
reintegrato nella sua funzione altrimenti si assegnava definitivamente questo compito
al tutore designato precedentemente come sostituto.
Se l’accusa fosse stata falsa il tutore sarebbe ritornato nella sua funzione e colui che
aveva intentato l’azione subiva una querela per calunnia e un processo penale
all’esito del quale diveniva un infame.
Se l’Infans avesse avuto questo dubbio poteva dirlo a chiunque e questi poteva agire
con questa accusatio. Successivamente si è deciso che, dopo essersi aperto un
processo, il tutore andava cambiato definitivamente a prescindere dall’esito del
giudizio perché evidentemente si riteneva che quella figura non fosse più in grado
anche se innocente di gestire nel miglior modo possibile gli interessi del bambino.
Nel caso della tutela testamentaria non sappiamo come si svolgessero i processi
mentre per la tutela legittima venne prevista un’azione specifica l’ACTIO
RATIONIBUS DISTRHAENDIS che si poteva esperire contro il tutore legittimo il
quale avesse sottratto beni dal patrimonio del bambino e il tutore sarebbe stato tenuto
a risarcire una quantità di danaro pari al doppio del valore delle cose sottratte. Essa in
origine era considerata un’azione pubblica e nel momento in cui il bambino avrebbe
compiuto il 14esimo o 12esimo anno di vita avrebbe potuto esperirla direttamente.
La tutela nel corso del tempo cambiò natura: intorno al 196/197 d.C. occorse quasi
sempre per gli atti di alienazione l’autorizzazione del pretore tutelare, perché divenne
un interesse pubblico tutelare questi bambini e infatti nacquero una serie di azioni
volte a vietare che i tutori si disinteressassero del patrimonio. L’ ACTIO TUTELAE
è molto diversa dalle azioni viste precedentemente, essa non veniva esercitata per
l’ipotesi di malversazioni o di furti o di frodi ma veniva eseguita per il solo caso in
cui il tutore avesse mal amministrato o non avesse amministrato affatto il patrimonio.
Quindi:
I Decemviri sono i 10 uomini, le XII tavole furono in realtà da prima X ma dopo una
delle riunioni della commissione dei Decemviri si produssero due ulteriori tavole per
completare la disciplina del diritto a Roma.
Infatti, Tito Livio ci disse che le XII tavole erano la fonte di tutto il diritto pubblico e
privato. Queste due ulteriori leggi, che prendono il nome di TABULAE INIQUIAE ,
vengono considerate come contenenti delle leggi ingiuste causando la ribellione del
popolo anche contro Appio Claudio e la fine del potere dei Decemviri sulla città
perché costoro, oltre ad avere l’incarico di redigere le leggi complementari di Roma
per quel periodo avevano il compito di governare la città.
Così come Tarquinio il Superbo venne cacciato da Roma accusato di stupro di una
giovane fanciulla romana altrettanto accadrà ad Appio Claudio cioè quella di aver
stuprato una giovane donna romana ed è questo un topos che ritornerà nella storia
romana: quando si vuole condannare la condotta di un capo politico si ricorre a
quest’accusa di stupro e che per la sua gravità era in grado di determinare la
deposizione di un capo politico. Le XII tavole non sono pervenute a noi perché,
racconta Tito Livio, quando i Galli occuparono Roma, nel Foro esse furono bruciate;
non le abbiamo quindi per tradizione diretta ma le conosciamo attraverso le citazioni
che giuristi e autori ne fecero come Gaio nel suo commentario alla legge delle XII
tavole ma tante citazioni si trovano anche in Ulpiano, in autori della letteratura
( Cicerone, Tito Livio, Tacito) e poeti ( Orazio, Aulo Gellio).
Con la nascita della Res Publica la donna poté alla morte del pater o del marito,
divenire soggetti Sui Iuris, diventando un soggetto con piena capacità d’agire.
Le forme di tutele previste per le donne sono le medesime di quelle istituite per gli
impuberi, a cui si aggiunge quella Optiva (da optio, scegliere), che avveniva in un
caso ben specifico cioè ove la donna (moglie) in manu avesse il diritto di scegliere la
propria tutela in quanto il marito ha espresso la volontà di voler far scegliere a lei il
tutore nel testamento.
• PLENA quando il marito stabilisce che la donna può scegliere il proprio tutore
tutte le volte che voglia qualora questi muoia o rinunci all’incarico.
• ANGUSTA quando il marito stabilisce che la donna può scegliere il tutore una
sola volta. In caso di morte del tutore si fa ricorso alla tutela legittima cioè alla
legge che predetermina in astratto le categorie di coloro che sono chiamati a
gestire la tutela.
Queste tipo di tutela si verificano solo quando la donna ha superato l’età della
pubertà, ovvero abbia minimo 13 anni.
• Se la donna avesse voluto lasciare tutto al suo Adgnatus Proximus avrebbe potuto
non fare il testamento.
• Se avesse voluto fare testamento il suo obiettivo era quello di lasciare il patrimonio
ad altri soggetti e poiché il soggetto diseredato finiva per essere il tutore, egli non
avrebbe prestato l’Auctoritas ereditando quindi tutti i beni della donna. C’era un
conflitto di interesse tra la donna e il tutore perché il tutore veniva a trovarsi nella
duplice veste di tutore legittimo ed Erede Ab Intestato di primo grado ( anche il
tutore era uno dei più prossimi degli agnati).
I compiti del tutore per gli impuberi per quanto riguarda l’infanzia Minor erano
pervasivi e sostitutivi mentre nel caso dell’infanzia Maior erano integrativi.
Nel caso della donna sono FORMALI. Dopo le XII tavole, la donna può agire da
sola e non ha bisogno del tutore. Infatti, si chiedeva che la donna fosse accompagnata
dal tutore affinché questi prestasse l’Auctoritas, soltanto quando la donna avesse
dovuto compiere gli antichi atti dello Ius Civile (il testamento e la Mancipatio) che
erano ormai pochissimi. Difatti se la donna avesse redatto un testamento senza il
tutore questo non avrebbe prodotto effetti e se avesse compiuto senza l’Auctoritas del
tutore la Mancipatio (ovvero l’atto che serviva per trasferire la proprietà da un
soggetto a un secondo soggetto come gli schiavi, i fondi italici etc..), l’atto sarebbe
comunque nullo, sarebbe comunque nullo anche con un effettivo scambio materiale,
in quanto la res mancipi rimaneva sotto la proprietà della donna.
ES : Una donna possiede uno schiavo, per venderlo deve porre in essere la
Mancipatio perché è previsto necessariamente quest’atto ma è necessario anche il
tutore per l’Auctoritas. Se la donna vendesse lo schiavo senza la presenza del suo
tutore la Mancipatio non avrebbe prodotto effetti e se la donna lo avesse consegnato
all’acquirente in realtà la proprietà sarebbe rimasta della donna. L’acquirente avrebbe
avuto solo il possesso dello schiavo, un possesso non utile all’usucapione ( uno dei
requisiti affinché possa maturare l’Usucapione è che la res sia abilis cioè sia abile ad
essere usucapita).
Si arriverà a una situazione in cui non solo la donna avrebbe potuto compiere tutti gli
atti da sola ( anche perché il testamento e la Mancipatio assumeranno nuove forme in
cui non ci sarà più bisogno del tutore) ma in cui essa avrà la possibilità di scegliere il
proprio tutore, difatti alla tutela Optiva si affiancò quella FIDUCIARIA (il
TUTORE FIDUCIARIO= colui che manomette il soggetto Alieni Iuris a scopo di
emancipazione cioè affinché questo soggetto diventi Sui Iuris. I giuristi romani
realizzarono questo meccanismo affinché la donna potesse scegliere sempre il proprio
tutore anche se il marito non le avesse lasciato quest’opzione. La donna si
organizzava con tre persone:
• T1= tutore assegnato
• P1= pater
Con l’Auctoritas di T1, la moglie M Sui Iuris compiva una Coemptio nei confronti di
P1 cioè passava in manu di P1, successivamente sarebbe intervenuto un nuovo
soggetto cioè colui che aveva scelto la donna come tutore P2 e P1 avrebbe compiuto
la Mancipatio di M a P2. Secondo le XII tavole, a seguito della Mancipatio della
donna si estingueva la potestas o la manus quindi M sarebbe tornata ad essere
soggetto Sui Iuris ma in causa mancipi cioè in mancipio di P2 (in una condizione
paraservile). P2 allora avrebbe manomesso M allo scopo di emancipare cioè avrebbe
manomesso M affinché divenisse completamente Sui Iuris. P2 diveniva quindi il
tutore fiduciario di M.
LA CURA FURIOSI
La prima categoria di soggetti sottoposti a cura sono i FURIOSI, ovvero coloro che,
assecondando l’aspetto etimologico (derivante dal sostantivo furor,oris --> ira,
pazzia) , erano soggetti, secondo la mitologia , in preda alle Furie ( ovvero divinità
infernali) e di conseguenza non erano considerati soggetti con piene capacità di agire
in quanto erano soliti eseguire azioni non pertinenti al buon senso.
• Oreste
• Aiace ovvero il più forte degli Achei e cugino dello stesso Achille. A seguito
della morte di quest’ultimo desiderava ricevere in eredità la sua armatura
forgiata dal dio Vulcano però durante la riunione dei re che combatterono a
Troia, l’intervento di Atena fa prevalere la tesi che le armi di Achille dovessero
spettare ad Ulisse e siccome la concessione delle armi implicava il
riconoscimento di chi fosse il più valoroso combattente a Troia, Aiace preso da
un attacco di furia sterminò un gregge di pecore convinto che esse fossero i
troiani.
Questo tema della pazzia che toglie lucidità e che non rende capaci di agire attraversa
tutta la storia antica del mondo classico dalla Grecia fino a Roma.
I romani si pongono il problema della differenziazione tra
• FURIOSUS
• DEMENS
• MENTECACTUS
Nel caso del Furiosus si devono tener conto oltre che ai momenti di pazzia anche
quelli di stabilità mentali e quindi i lucidi intervalli (es: Lucrezio scrisse la sua
maggior opera il De Rerum Natura durante lucidi intervalli) e di conseguenza è
opportuno stabilire se si deve affiancare un curatore anche nei lucidi intervalli.
Uno dei problemi più diffusi a Roma era l’epilessia e poiché non avevano le
conoscenze mediche di oggi riconducevano alla figura dei furiosi anche coloro che
erano affetti di epilessia. Il Furiosus nei momenti di lucidità non aveva necessità di
cura, gli si attribuiva la curatela legittima e dunque i curatori potevano essere o
l’Adgnatus Proximus o i Gentiles e solo in assenza di questi un magistrato che
individuava un curatore. Non esisteva la curatela testamentaria però qualora il padre
avesse nominato un curatore per il figlio Furiosus nel testamento, questi su consenso
del magistrato sarebbe diventato curatore ( nel testamento c’era un’indicazione che
non aveva efficacia giuridica ma il curatore diveniva tale solo perché veniva
nominato dal magistrato).
La curatela a Roma opera ipso iure (automaticamente) dunque tutti gli atti che
venivano posti in essere da un Furiosus non avevano validità giuridica né tantomeno
effetti e la curatela si attuava in automatico. Di conseguenza, un eventuale negotium
si attuava solo con la presenza del curatore, considerando che anche il curatore, come
il tutore, aveva il fine ultimo di salvaguardare il patrimonio del curato.
In origine era previsto un tutore anche per questi soggetti. Se ci fosse stato un
bambino furioso fino ai 14 anni sarebbe sottoposto alla tutela degli impuberi, il
problema della nomina del curatore si poneva dopo i 14 anni.
• Qualora ci siano dei lucidi intervalli in essi gli atti negoziali posti in essere dal
Furiosus sono validi ed efficaci;
• Qualora il Furiosus abbia stipulato un negotium, quest’ atto continua a
produrre effetti anche qualora torni in una situazione di pazzia;
Nel caso in cui un Furiosus avesse compiuto un crimen cioè un reato perseguito dal
Populus Romanus , nella fase più arcaica la pazzia era vista come una colpa, un
aggravante ma con l’avvento dello stoicismo e del cristianesimo gli atti criminosi di
questi soggetti vennero condannati in maniere più tenui in quanto soggetti incapaci di
intendere e di volere.
Se il soggetto sottoposto a cura fosse stata una donna su di essa gravava non la
curatela ma la tutela, considerata un’istituzione più importante rispetto alla curatela.
Questi istituti esistono ancora all’interno del nostro codice civile e funzionano quasi
nella stessa maniera solo che oggi i soggetti sottoposti a tutela sono interdetti mentre i
soggetti sottoposti a cura sono inabilitati. A partire dagli anni 2000 l’ordinamento
italiano ha creato un nuovo istituto, amministrazione di sostegno, che opera in
maniera diversa e interviene soltanto quando il soggetto parzialmente capace di agire
ha bisogno soltanto dell’intervento quindi non c’è una figura fissa ma una che
interviene in base all’atto che vengono indicati in un decreto del giudice tutelare.
PRODIGUS
Il Prodigus o prodigi era colui che aveva sperperato il patrimonio del pater e dunque è
colui che non è in grado di gestire i propri averi in quanto ha la tendenza patologica
all’acquisto di beni inutili e alla spesa di denaro quindi a sperperare i propri beni in
un modo che non rientra nella normalità. Per questo motivo gli veniva affiancato un
curatore in modo tale che egli non sperperasse il patrimonio e che potesse garantire
una trasmissione ereditaria.
In origine il Prodigo era soltanto colui che sperperava il patrimonio avito cioè quello
ricevuto sulla base di una successione Ab Intestato (cioè senza testamento) perché i
romani ritenevano che qualora un soggetto avesse sperperato il patrimonio ricevuto
attraverso il testamento non si configurava l’ipotesi della prodigalità in quanto era
stato il pater o il testatore a ritenere che quel soggetto fosse in grado di gestire i beni
nel modo migliore. Perché si riteneva che il pater che avesse indicato nel suo
testamento il figlio come erede, avesse valutato a sua volta l’opportunità di assegnare
quei beni a quel soggetto (è quindi una decisione del pater).
A differenza della cura Furiosi, occorreva sempre l’intervento del magistrato che
constava di due fasi:
MINORI DI 25 ANNI
In aggiunta viene prevista l’ipotesi che qualora il minore fosse stato citato in giudizio
per non aver adempiuto a quanto pattuito, egli avrebbe potuto sollevare una difesa
processuale e quindi ove il minore fosse stato in grado di provare la Circumscriptio
poteva non pagare non adempiendo alle proprie obbligazioni.
Con Marco Aurelio inizia a istituzionalizzarsi la figura del curatore per i minori di 25
anni ma in origine nella sua previsione si trattava di un curatore che veniva nominato
per singoli atti non di uno in generale. È quindi grazie all’intervento dell’imperatore
Aureliano che nasce un nuovo istituto che concedeva la VENIA AETATIS cioè un
provvedimento concesso ai minori di 25 anni in base al quale il minore rinunciava a
esercitare tutti quegli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento per la loro
condizione di minori. Successivamente Giustiniano creerà questa figura del curatore
del minore di 25 anni che avrà una funzione generale quindi sarebbe stato sempre
necessario il suo accompagnamento durante la stipulazione dei negotium.
19/10/2020
Il diritto romano, a differenza degli altri diritti, non ha mai conosciuto ipotesi di
poligamia o bigamia ma si è sempre fondato su un sistema monogamo. I nubendi
(coloro che si dovevano sposare) dovevano prestare il loro consenso anche qualora
questi soggetti fossero stati Alieni iuris anche cioè qualora moglie e marito avessero
avuto il proprio Pater su di sé e costui non doveva opporsi al matrimonio bensì dare il
proprio assenso.
A tal proposito, l'imperatore Marco Aurelio promulga una costituzione nella quale si
stabilisce che i Patres non potevano turbare la felicità matrimoniale dei soggetti a loro
sottoposti.
Nel 445 a.C. con la LEX CANULEIA si abolisce il divieto di Connubium tra patrizi
e plebei.
FIDANZAMENTO
A Roma questo era totalmente libero sia per l'uomo che per la donna, non occorreva
andare davanti a un giudice per porre fine al sodalizio matrimoniale.
• REPUDIUM: atto unilaterale recettizio, ovvero una lettera inviata da uno dei due
coniugi, ma che deve giungere nella sfera di conoscibilità dell'altro coniuge. In altre
parole, la decisione della fine del matrimonio doveva essere portata a conoscenza
dell’altro.
• MORTE: deceduto uno dei due coniugi il matrimonio viene meno. In tal caso, la
donna doveva aspettare dieci mesi (TEMPUS IUGENDI) prima di risposarsi per
evitare che nascessero dei bambini di cui non si era certi del padre, invece l'uomo
poteva risposarsi subito
• ADULTERIO: sia da parte dell’uomo che della donna. Per adulterio da parte della
moglie, il marito doveva svolgere un’azione penale altrimenti gli si venivano
attribuiti i Crimen Lenocinii cioè veniva accusato di essere un favoreggiatore
dell’adulterio.
In caso di divorzio i figli sarebbero rimasti sotto la tutela del pater; qualora egli non li
avesse voluti li avrebbe potuti emancipare ( cosa che succedeva raramente poiché i
figli erano una ricchezza ).
L’istituto principale quando si parla di rapporti patrimoniali tra coniugi è quello della
DOTE
LEX IULIA DE FUNDO DOTALI imponeva dei limiti all'utilizzo dei beni della
dote al marito. Quest’ultimo non poteva vendere i beni della dote (che potevano
essere ad esempio appezzamenti di terreno) senza il consenso della moglie. Inoltre,
pur essendo beni in proprietà del marito, la donna manteneva un diritto alla
restituzione dei beni qualora si fosse sciolto il matrimonio.
La dote poteva essere costituita o dal padre della donna o da qualsiasi altro soggetto
avente la potestas su di lei (DOS PROFECTICIA) o dalla donna stessa (soggetto
Sui Iurisi) o un terzo soggetto che ha un debito con lei (DOS ADVENTICIA). La
dote si può costituire o attraverso un negozio obbligatorio o attraverso un negozio ad
effetti reali. Il primo è detto DOTIS DICTIO e, mediante questo, il soggetto che
vuole costituirla non dà direttamente i beni della dote al marito, ma si obbliga a
darglieli. Il secondo invece è detto DOTIS DATIO con il quale si consegnavano
materialmente i beni della dote. I beni venivano consegnati attraverso tre negozi:
• MANCIPATIO
• IN IURE CESSIO
• TRADITIO
20/10/2020
Nella DOTIS DATIO non vi è una promessa ma un’immediata consegna dei beni.
In origine la dote entrava in proprietà del marito e così per tutta l’esperienza ma con
delle differenze, perché mentre nell’età arcaica la dote restava per sempre nella
proprietà del marito, in età classica si inizia ad introdurre l’idea che, ove il
matrimonio dovesse finire e ci dovesse essere un DIVORTIUM o un REPUDIUM,
la dote dovesse essere restituita alla moglie.
In origine però non era previsto che il marito restituisse la dote alla moglie o al
soggetto che la abbia costituita (ES: il padre) e dunque si ricorreva a uno strumento
elaborato dai giuristi che rientra nell’ambito dell’autonomia privata (ovvero il potere
dei privati di organizzare come meglio ritengono gli assetti di interessi tra loro, cioè
decidono come disciplinare i rapporti tra loro). Viene quindi fissata una procedura
che consenta la restituzione della dote: il soggetto che aveva costituito la dote (ES:
padre o moglie) nel momento in cui la costituiva faceva sottoscrivere al marito una
STIPULATIO ovvero un contratto verbale e da ciò scaturiva l’obbligo in capo al
marito di restituire la dote qualora il matrimonio si fosse sciolto ( l’obbligo dipendeva
comunque da un ulteriore contratto che le parti avevano concluso in aggiunta alla
costituzione della dote).
Per ottenere indietro la dote qualora il marito non l’avesse restituita, o la donna, o
colui che aveva la potestas sul di lei o colui che aveva costruito la dote, quando vi era
la Stipulatio poteva agire attraverso l’ACTIO EX STIPULATO cioè un’azione
basata su quanto le parti hanno pattuito.
Se in una prima fase il marito poteva utilizzare e gestire i beni della dote come
meglio avrebbe creduto in età augustea si impose un limite attraverso la LEX IULIA
DE FUNDO DOTALI, in base alla quale si stabiliva che il marito non avrebbe
potuto vendere i beni della dote ( i beni immobili e in particolare i fondi italici cioè
gli appezzamenti di terra che si trovano in Italia e che rientravano nella stessa
categoria degli schiavi cioè delle res mancipi) perché se li avesse venduti in caso di
scioglimento non avrebbe più potuto restituirli.
Non occorreva più la Stipulatio per ottenere indietro i beni dotali perché vi era una
previsione del pretore cioè quella figura che introduceva sempre a Roma elementi di
sviluppo del diritto, Marciano, un importante giurista, affermerà che il pretore è la
viva voce del diritto civile, colui che aggiorna e migliora costantemente lo ius civili
attraverso l’editto, cioè l’atto scritto su lastroni di bronzo, collocato nel Foro romano
e che pubblica all’inizio dell’entrata del suo anno in carica.
Se il marito avesse venduto la dote sarebbe stato quindi debitore nei confronti della
moglie con la somma della dote.
Nell’ipotesi della DOTE ADVENTICIA cioè quella dote costituita dalla moglie,
qualora essa fosse morta in costanza del matrimonio, la dote restava al marito e ai
figli.
Esistono altre due ipotesi di RETENTIONES (il diritto del marito a trattenere delle
quote della dote della moglie) diverse dalla prima perché discendono dal
DIVORTIUM o dal REPUDIUM, quindi nel caso in cui il matrimonio si fosse
sciolto:
Esistevano inoltre degli strumenti del pretore che consentivano in caso di mancato
accordo tra le parti di stabilire quali beni dovessero spettare a chi.
PERSONE GIURIDICHE
Anche oggi lo Stato può avere rapporti con i privati sia su un piano di diritto pubblico
quindi su un piano non pari-ordinato (in cui lo Stato ha un ruolo prevalente) sia su un
piano di pari-ordinazione. Ad esempio, il contratto di locazione viene concluso su un
piano di perfetta parità tra il privato cittadino e lo Stato, a Roma invece quest’ipotesi
non si dava mai.
Il Populus Romanus aveva un patrimonio distinto dai propri cittadini. A seguito della
vendita di un terreno il denaro non andava ai cittadini, cioè in astratto erano dei
cittadini ma in realtà i soldi appartenevano all’organizzazione.
La nozione di Res Publica significava almeno nella sua fase iniziale COSA DI
TUTTI. Qualcuno ha ritenuto che nella traduzione più corretta di RES PUBLICA
ROMANORUM fosse COSA NOSTRA nel senso di beni appartenenti a tutti intesi
come singoli nella visione teorica, ma poi nella visione concreta accadeva che il
Populus Romanus avesse un patrimonio proprio, distinto da quello dei singoli
cittadini.
Il Populus Romanus agiva per mezzo dei magistrati o utilizzando i propri schiavi
pubblici perché se essi avessero acquistato dei beni essi sarebbero divenuti ipso iure
(automaticamente) del Populus Romanus. L’AERARIUM ovvero la cassa pubblica,
si trasformò in FISCUS quando vi fu un mutamento degli assetti istituzionali, cioè
quando dopo l’imperatore Augusto, nacque il principato dato che le finanze dello
stato divennero sempre più articolate e quindi si pose la necessità di distinguere tra la
cassa pubblica e il patrimonio personale del principe. Quindi:
Roma per molto tempo mantenne questa libertà di associazione e il primo intervento
per limitarla fu un provvedimento del 186 a.C. da parte del SENATO CONSULTO
SUI BACCANALI (SENATUS CONSULTUM DE BACCHANALIBUS )
attraverso il quale si vietavano le associazioni dedite al rito di Bacco che creavano
disordine.
Successivamente questo provvedimento verrà inserito in una campagna dei settori più
conservatori di Roma contro le idee che provenivano dal mondo greco che si possono
sintetizzare nella figura di Catone.
Si ebbe una prima vera limitazione della libertà di associazione con la LEX IULIA
di cui non si conosce il promulgatore molto probabilmente questa legge venne
inizialmente promulgata da GIULIO CESARE e successivamente riapprovata da
AUGUSTO: essa vietava tutte le associazioni salvo le più antiche associazioni di
stampo religioso e salvo i COLLEGIA TENUIORUM cioè le associazioni dei
poveri che si riunivano per finalità di mutuo soccorso e per lo scopo funeratizio.
21/10/2020
Questa la ragione per cui si arriva a questo provvedimento generale che assoggetta al
controllo le associazioni.
Di conseguenza ogni qualvolta Roma conquista un popolo, poco dopo, per costruire
anche un consenso verso il proprio dominio da parte delle popolazioni conquistate (in
quanto il potere si gestisce anche con il consenso, non soltanto con la forza bruta)
accoglieva queste divinità.
A seguito della grande espansione del cristianesimo, Tiberio, dopo aver ricevuto una
relazione da Ponzio Pilato su cosa era il cristianesimo, propose al Senato di
accogliere Cristo nel Pantheon, ma furono proprio le prime comunità cristiane ad
opporsi.
• Per San Pietro dovevano essere cristiani soltanto i soggetti nati in Palestina.
• Per San Paolo potevano aderire al cristianesimo tutti coloro che accolgano
questo tipo di credo.
Prevale l’opinione di San Paolo, considerato anche il vero fondatore del
Cristianesimo, dopo Cristo, e non San Pietro poiché era ancora legato agli schemi
ebraici.
Dunque, i primi cristiani si riuniscono nei Collegia Tenuiorum ovvero nei collegi dei
più poveri, che hanno la possibilità di attivare taluni diritti, come svolgere attività
funeratizie. Infatti, è in seno a questi Collegia Tenuiorum che si organizzano le
catacombe in quanto questi Collegia avevano tra gli scopi principali quello di
garantire una dignitosa sepoltura agli associati.
• Scioglimento dell’associazione.
• Regole relative al subentro, qualora uno degli associati muoia o qualora uno
degli associati voglia recedere dal proprio rapporto associativo.
Tale patrimonio veniva acquisito anche con gli oneri che quest’ultimo comportava e
doveva essere esclusivamente utilizzato al fine per il quale era stato costituito.
È rilevante nell’ambito del diritto delle persone individuare alcuni termini cardine, in
primis la definizione di IUS GENTIUM, ovvero il diritto che appartiene a tutti i
popoli e da cui scaturiscono istituti che si applicano a tutti i popoli che avevano
rapporti tra loro, non soltanto ai romani.
Gaio, infatti, afferma che lo ius gentium si fonda sulla NATURALIS RATIO, dunque
sulla naturale ragione di tutti gli uomini. Quindi se il diritto civile è il diritto proprio
dei cittadini romani e che si applica solo ai cittadini romani, lo ius gentium è il diritto
che si applica a tutti i popoli. Non è però una sorta di “diritto internazionale”, perché
il diritto internazionale è quello che si applica tra Stati e che quindi disciplina i
rapporti tra gli Stati stessi.
Egli rimane in carica un anno, proclama editti per delineare come arbitrerà la
giustizia, in modo tale che tutti i cittadini possano sapere in anticipo come il pretore
agirà in presenza di determinate fattispecie. Al termine della carica del pretore, gli
editti che questi aveva emanato potevano rimanere vigenti per decisione del
successore, il quale poteva confermare, modificare o abrogare l’editto.
Inoltre, il pretore poteva modificare o abrogare un suo editto attraverso il ricorso alle
decisioni equitative, ove l’equità è la giustizia del caso concreto quando
l'applicazione del diritto finisce per determinare un'ingiustizia (non a caso Cicerone
era solito dire SUMMUM IUS, SUMMA IURA ovvero, SOMMA GIUSTIZIA,
SOMMA INGIUSTIZI) e tramite il decreto il pretore poteva prendere una decisione
diversa o difforme dall’edito stesso.
Gaio nel suo manuale inizia questa parte relativa alle Res con una nuova summa
divisio, che concerne la classificazione delle cose.
Per affrontare l’analisi del diritto che attiene alle cose è opportuno partire dall’analisi
del diritto delle successioni in quanto vi è una stretta correlazione tra successioni e
famiglia.
Le successioni rientrano nella costruzione di Gaio, nel diritto che attiene alle res, in
quanto egli individua un'importante categoria di res che quella delle RES
INCORPORALES, identificabili come le RES QUAE TANGIT NON POSSUNT
(le cose che non si possono toccare) quindi ad esempio il diritto di usufrutto, il diritto
di seguito, i diritti di successioni etc.
• i Fili Familias soldati che avevano un Peculium castrense su cui potevano fare
testamento.
• la donna che pur sottoposta a tutela poteva redigere, nonostante sia in linea
teorica parzialmente capace di agire.
Sebbene fare il testamento fosse una pratica usuale a Roma e risalente alle epoche
arcaiche, i romani della Roma monarchica vedevano con disvalore l'ipotesi che un
soggetto facesse testamento perché generalmente si fa testamento per togliere dei
beni del proprio patrimonio ai propri successori o per destinarlo a terzi o per dividerlo
in parti diverse ai successori.
Quindi nella Roma arcaica, in particolare nell’epoca intorno alle XII tavole e in
quella monastica, pur esistendo la prassi testamentaria era molto difficile eseguirla ed
è questo, peraltro, uno degli elementi di debolezza della Tesi di Bonfante sulla natura
politica della famiglia Romana, che sosteneva che il testamento serviva a individuare
l'erede.
Gaio mette in evidenza che queste due forme di testamento erano complesse perché
venivano posti in essere in situazioni complicate e poco ricorrenti. Infatti, da una
parte era necessaria la convocazione dei comizi curiati, che si riunivano due volte
all’anno, mentre dall’altra era necessario avere l'esercito schierato in battaglia. Di
conseguenza un soggetto che è in procinto di morte non può redigere un testamento
se non è in una situazione bellica o se non vi sono i comizi curiati riuniti.
“quando qualcuno avrà posto in essere o una Nexum (una forma di contratto verbale)
o una Mancipatio così come lingua avrà pronunciato così sarà il diritto”
Ciò implica che quando un soggetto pone in essere una Mancipatio può creare diritto
con le parole, dunque può introdurre attraverso un NONCUPATIO, cioè la
pronuncia di parole solenni, delle regole ulteriori a cui dovranno attenersi.
• l’incarico a trasferire quei beni, non appena fosse morto il soggetto che voleva
fare testamento, ai soggetti che aveva indicato, detto MANDATELA
Qualora in questa indicazione alcune parti del patrimonio fossero restate senza
destinatario, questi beni spettavano al Familiae emptor.
26/10/2020
SUCCESSIONI TESTAMENTARIE
Proprio per consentire una maggiore libertà per fare testamento i giuristi romani già
dalle epoche più arcaiche inventano la Mancipatio Familiae, che non era un vero e
proprio testamento, ma un negotium inter vivos che però aveva l’effetto di far
pervenire il patrimonio, non l’ereditas, cioè solo gli aspetti materiali dei diritti
successori non quelli non patrimoniali come potevano essere ad esempio il nome
gentium o i culti domestici (lari e penati), al soggetto individuato dal de cuius come
erede.
Nel testamentum per aes et libram si ripete tutta la procedura della mancipatio
familiae con una sostanziale novità, cioè che tutto quello che accade, accadeva solo in
forma simbolica. Nella mancipatio familiae, il mancipio dans, doveva dare i beni al
mancipio accipiens incaricandolo poi di dover trasferire questi beni al soggetto da lui
designato.
Quando si arriva al testamentum per aes et libram, intorno al II-I sec. a.C., non c’è
più nessun passaggio di ricchezze di beni tra il mancipio dans e il mancipio accipiens,
si ripete solo la procedura in modo simbolico. In questo caso, il momento decisivo è
quello della NONCUPATIO, come prima ma con la differenza che questa volta con
la noncupatio viene direttamente indicato il nome dell’erede, tant’è vero che si parla
di NONCUPATIO HEREDIIS.
Quando arriviamo al testamentum per aes et libram sono presenti tutti i soggetti che
erano presenti nell’antica Mancipatio Familiae ovvero:
• i CINQUE TESTIMONI
• il FAMILIAE EMPTOR
• il LIBRIPENS
Ma non c’è più il passaggio del patrimonio al Familiae emptor, come avveniva prima,
ovvero il patrimonio non passava più a colui che acquistava i beni, li custodiva e poi
li trasferiva al soggetto indicato quando il mancipio dans fosse morto.
Nel caso di questo tipo di testamento, si riuniscono tutti soggetti indicati sopra e colui
che vuole fare testamento pronuncia la noncupatio herediis ovvero, esprime
chiaramente il nome del soggetto che intende istituire come erede.
Gli effetti di questo atto si produrranno quando il testatore sarà morto. Fino a quel
momento i beni resteranno nella disponibilità del soggetto che fa il testamento.
Fino al I sec d.C. avviene in forma orale perché la forma scritta degli atti a Roma arriverà in un
secondo momento.
Quando Gaio nel II sec. d.C. racconta ai suoi studenti il testamentum per aes et
libram spiega che al suo tempo (ovvero l’età degli Antonini, quindi 170 d.C.
orientativamente) era in forma scritta, tanto che non si ha più la noncupatio
herediis ma si ha la NONCUPATIO TESTAMENTI, nella quale le parole
solenni (noncupatio) fanno riferimento a quello che è stato scritto nelle tavole
testamentarie. In quest’epoca chi
All’inizio non c’erano formalità per aprire il testamento, poi intorno al I sec. d.C. sarà
necessario andare dal pretore per aprire questo testamento, entro cinque giorni dalla
morte del soggetto e l’apertura di esso implicava che i beni fossero devoluti ai
soggetti indicati nelle tavole.
Nel periodo tardoantico succede che non viene più conservata nemmeno la formalità
dell’antica mancipatio familiae, ma si stabilisce che è sufficiente che il testatore
chiami sette testimoni e dichiari le sue volontà.
Con l’imperatore Costantino, viene consentito che si possa fare testamento anche in
lingua greca, perché tutti ormai erano diventati cittadini romani dopo la
COSTITUTIO ANTONINIANA (chiamata anche editto di Caracalla 212 d.C.).
Quindi per esempio, per un soggetto nato e cresciuto nell’odierna Siria e che quindi
molto probabilmente non parlava il latino, gli veniva impossibile fare testamento.
Si arriva al punto quindi che era sufficiente fare una dichiarazione davanti a sette
testimoni in cui si indicano le ultime volontà.
Questo processo di progressiva limitazione della rigidità delle forme in favore dei
soldati raggiunge il suo culmine con un provvedimento dell’imperatore Traiano, che
con una sua costituzione stabilisce che i militari possano fare testamento come
vogliano o come possano purché sia chiara la volontà del testatore.
Quindi il testamento dei militari è totalmente privo di forme, ciò che conta è che sia
chiaro ciò che il testatore voglia fare dei suoi beni nel periodo successivo alla sua
morte. Queste libertà non sono soltanto relative alle forme, ma sono anche
sostanziali.
Colui che faceva testamento andava incontro ad alcune limitazioni, per esempio il
fatto che non si potesse distribuire più di 3⁄4 del patrimonio attraverso i legati
(disposizioni testamentarie a titolo particolare) mentre ai militari questa regola non si
applicava ma anzi, potevano addirittura distribuire tutto il patrimonio attraverso i
legati o fare testamento anche attraverso una lettera.
Un’altra regola del diritto testamentario romano è che il testamento successivo revoca
il testamento precedente anche se i due sono compatibili tra di loro. Per i militari
questa regola non esisteva ma appunto potevano scrivere due testamenti e fare in
modo che entrambi fossero validi purché non fossero in contrasto.
Il testamento dei militari può essere fatto in un preciso lasso temporale che è quello in
cui il soggetto sia nell’accampamento o comunque impegnato in operazioni di guerra
e questo testamento valeva entro l’anno dalla fine del servizio militare; vuol dire che
se il soldato, in seguito al congedo dell’HONESTA MISSIO (il momento in cui si
congeda un soldato in seguito al termine di un servizio militare regolare) fosse
vissuto dieci anni, il testamento fatto durante il periodo militare cadeva nel nulla
entro l’anno. Quindi se avesse voluto disporre dei propri beni per il periodo
successivo alla sua morte, avrebbe dovuto scrivere un nuovo testamento secondo le
regole del diritto civile.
Se l’istituito erede non accetta l’eredità, sono poste nel nulla tutte le altre disposizioni
presenti nel testamento come la manomissione dello schiavo, la nomina dei tutori, i
legati e quant’altro.
Se ci sono più eredi basta che uno soltanto accetti il testamento per far sì che questo abbia valore.
Se un testatore lascia indicazioni solo per due figli e non scrive nulla per il terzo,
in questo caso opera un istituto che si chiama ACCRESCIMENTO che opera
quando non tutte le quote del patrimonio ereditario vengono assegnate, cioè
l’ulteriore terzo del patrimonio non assegnato verrà diviso tra i due che hanno già
avuto i 2/3, perché non si può aprire la successione ab intestato su quell’ulteriore
terzo figlio secondo una regola generale del diritto successorio, che si applica
tutt’oggi, che dice: “NEMO PRO PARTE TESTATUS PRO PARTE
INTESTATUS DECEDERE POTEST, ovvero, NESSUNO PUÒ
DISTRIBUIRE IL PROPRIO PATRIMONIO IN PARTE PER VIA
TESTAMENTARIA, IN PARTE ATTRAVERSO LA LEGGE cioè o decide
di redigere il testamento o segue la successione legittima.
Il fatto che l’istituzione debba essere fatta a persone certe significa anche che è nulla
un’istituzione formata nei seguenti termini: “sarà erede il primo che arriverà al mio
funerale.”.
Nel testamento non si può apporre un termine proprio perché dal momento in cui si è
eredi lo si è per sempre proprio come non si può apporre una condizione risolutiva
che è un elemento accidentale del negozio giuridico che determina la cessazione degli
effetti del negozio ad un evento futuro ed incerto. La differenza tra il termine e la
condizione risolutiva è che il termine è e si sa quando accadrà mentre la condizione
non si sa se e quando accadrà.
Nell’ipotesi in cui l’erede muoia prima del De Cuius, se ci sono più eredi interviene sempre l
quando una quota non è assegnata o quando ci siano più eredi e uno dei co-eredi non può o no
Cicerone racconta di una causa curiana dove si era posto un problema ovvero il fatto
che il de Cuius avesse istituito come erede suo figlio concepito ma non nato ancora e
aveva previsto una sostituzione pupillare. Tuttavia, se figlio non nasce a causa di un
aborto e il padre muore, gli agnati di quest’ultimo rivendicano l’eredità in quanto il
bambino non è nato, quindi l’istituzione della sostituzione pupillare non ci dovrebbe
nemmeno essere e si aprirebbe in teoria la successione testamentaria. Si svolge il
processo che vede come avvocati due tra i più illustri esponenti del diritto di allora
Quinto Mucio e Licinio Crasso.
• Per Mucio non si deve svolgere la sostituzione pupillare perché il bambino non
è mai nato
Alla fine, prevale la tesi di Crasso e quindi si ritiene che in un caso del genere la
sostituzione pupillare operi come una sostituzione volgare e quindi come sostituzione
d’erede subordinata.
27/10/2020
Ciò non avviene coi legati poiché a quest’ultimi viene assegnato un singolo bene o un
singolo diritto, tant’è che una parte della dottrina ritiene che i legati non siano altro
che una forma di donazione. Si può accogliere questa idea dato che vi si ravvisa nella
donazione e nel legato un elemento comune cioè l’ATTO DI LIBERALITÀ, ovvero
un’assegnazione di beni ad un altro soggetto senza avere nulla in cambio.
Anche la materia dei legati è disciplinata da una antica disposizione delle 12 tavole.
Questa disposizione è simile in materia di Mancipatio Familiae. La disposizione è la
seguente:
UTI LEGASSIT SUAE REI ITA IUS ESTO= COSÌ COME SI SARÀ LEGATO
SULLA PROPRIA RES (sul proprio patrimonio), COSÌ SARÀ IL DIRITTO
In questa espressione ricorre l’imperativo futuro ESTO, una formula presente nelle
dodici tavole che sta ad indicare un obbligo, un ordine da parte del diritto.
“Uti legassit suae rei ita ius esto” è una previsione che riconosce il diritto
nell’introdurre nei testamenti queste disposizioni a titolo particolare.
L'istituto dei legati esiste dalle epoche più antiche di Roma e sulla natura di questo
istituto si è discusso a lungo. In particolare, un giurista di nome FIORENTINO, di
poco successivo a Gaio, sosteneva che i legati fossero una riduzione del patrimonio
ereditario dato che sostanzialmente esso era una disposizione a favore di un soggetto
diverso dall'erede e proprio per questo motivo si parla di riduzione del patrimonio,
perché tutti i beni di cui un soggetto disponeva a mezzo di legato vengono sottratti
all'erede.
• il TESTATORE.
• l’ONORATO (Il legatario, colui che riceve il bene e quindi colui che
destinatario del legato).
Gaio nelle sue istituzioni individua quattro generi di legato che si distinguono a
seconda della formula adoperata dal testatore e in base ai rapporti che intercorrono tra
Onerato o Onorato:
In ognuno di questi legati i rapporti tra onerato o onorato si articolano in modi diversi
e di conseguenza, seguono effetti diversi.
LEGATUM PER VINDICATIONEM
DO LEGO è un’endiadi ovvero due parole che esprimono la stessa cosa, tant’è vero
che assai spesso in questi legati o si trova solo DO o solo LEGO. Tuttavia, la formula
più corretta è quando si adottano entrambi i termini.
• VINDICATIO USUSFRUCTUS
• USUFRUCTUS DE SERVITUTIS.
Queste sono le azioni che poteva fare il legatario qualora l’erede o un terzo soggetto
si fosse opposto a che egli potesse acquistare e disporre di questi beni. Il bene non
passa quindi nella disponibilità dell’erede.
In questo caso non nasceva un diritto reale a favore del legatario, ma nasceva un
diritto di credito quindi un credito del legatario e un debito dell’erede.
L’erede era debitore di fare, dare o non fare qualcosa. Il legatario in questo caso
poteva agire soltanto nei confronti dell’erede e soltanto in riferimento alla prestazione
versata nel legato.
Mentre nella LEGATIO PER VINDICATIONEM, l’oggetto del legato poteva essere
esclusivamente un bene del patrimonio ereditario, in questo caso no, perché potevano
essere oggetto di obbligazione nascente dal legato un bene del patrimonio ereditario o
un bene dell’erede che non aveva acquisito tramite l’eredità o addirittura anche un
bene di un terzo.
L’erede doveva quindi sopportare che ad esempio il legatario prendesse dei beni che
potevano essere o beni del patrimonio ereditario o dell'erede stesso, ma non di un
terzo.
• ISTITUZIONE D’EREDE
Questo tipo di legato avviene solo se ci sono più di un erede e in queste ipotesi, il
testatore decide di fare una preferenza, cioè ad uno dei due o tre eredi assegna un
bene in più. Quindi oltre ad assegnare le quote ereditarie, ad uno dei figli assegnava
un ulteriore bene a titolo di legato.
Il bene non passa agli altri coeredi ma arriva direttamente in capo al legatario il quale,
ove gli altri eredi dovessero opporsi, ha a disposizione la REI VINDICATIO,
Vindicatio perché questi beni gli vengono assegnati in proprietà.
Il concetto di QUOTA LEGITTIMA è inteso come quota che non si può sottrarre
agli eredi. Nasce nel diritto romano per limitare il legato, perché arrivati ad un certo
punto si poneva il rischio che all'erede restasse solo il nome, il NUDO NOME DI
EREDE dato che tutti bei venivano distribuiti ad altri.
A questo punto i romani si rendono conto che la situazione non può funzionare,
perché se al soggetto viene lasciato il nudo nome d’erede e di conseguenza nessun
bene, il soggetto non accetterà il testamento e quindi i legati non acquisteranno
efficacia.
Questa norma non risolveva il problema perché nell’ipotesi in cui un testatore, avesse
avuto un patrimonio di 10mila assi e avesse fato 10 legati da 1000 assi, nuovamente
l’erede rimaneva con nulla in mano.
Viene introdotta la LEX VOCONIA (169 a.C.) che verrà anche essa superata perché
non risolverà il problema. Infatti, essa stabiliva che un legato non poteva avere un
valore maggiore dei beni assegnati all'erede. Anche in questo caso però vi era il
rischio di lasciare pochissimo all'erede e fare piuttosto tanti legati di piccolo valore ad
altri.
Viene introdotta infine la LEX FALCIDIA (40 a.C.) risolve il problema stabilendo
che l’istituito erede doveva ricevere ALMENO il 25% del patrimonio ereditario. Se il
testatore avesse fatto legati tali da non permettere ciò, si sarebbe agito in riduzione,
cioè i legati venivano ridotti proporzionalmente al fine di raggiungere il 25% del
patrimonio da assegnare l'erede.
Essa era la forma primordiale di successione ereditaria, tant'è che vi erano delle forti
limitazioni alla possibilità di testare. Infatti, bisognava aspettare che l’esercito fosse
schierato in battaglia, o che si svolgesse la riunione dei comizi curiati.
Nelle fasi più arcaiche era molto difficile ricorrere al testamento e la forma generale
della successione ereditaria era la SUCCESSIONE LEGGITTIMA, ovvero quella
prevista dalla legge. È la legge quindi che predeterminava in astratto i soggetti
chiamati a prendere l’eredità.
Questa norma, in primo luogo individua che la famiglia spetta agli Adgnati o
eventualmente ai Gentiles e in secondo luogo dà per presupposto che se c’è il Suus
Heres, l’eredità spetta a lui, mentre tutti gli altri non subentrano, non hanno alcun
diritto, rimangono esclusi.
Gli unici che possono acquisire l’eredità e il nome di eredi in tutto e per tutto sono i
Sui Heredes. Sono dei successori naturali.
I Sui Heredes sono tutti i soggetti sottoposti alla potestas del padre ma con una
precisazione, ovvero tutti i soggetti sottoposti in primo grado alla potestas del padre,
quindi solo i figli (maschi e femmine) ma non i nipoti. I sui Heredes subentrano in
parti uguali.
In questa categoria rientra anche la moglie sposata con la manus, il figlio in adoptio e
anche i figli che erano usciti e rientrati nella potestas.
I nipoti invece non rientrano in questa categoria a meno che il loro padre non sia
premorto AD ESEMPIO:
• F = Padre
• B1 = Primo Figlio
• B2 = Secondo figlio
F, padre di B1 e B2 muore prima che muoia il nonno dei suoi due figli.
28/10/2020
A Roma le figlie e i figli ereditano allo stesso modo e nella stessa misura, non c’è una
discriminazione patrimoniale ma piuttosto una discriminazione nella gestione, in
quanto la donna è sempre sottoposta a tutela quindi nel gestire questi beni dovrà a
partire da una certa epoca, seppur formalmente, ottenere l’autorizzazione del tutore.
I soggetti ereditano in parti uguali ma in un’epoca molto antica, gli eredi tendevano a
non dividere il patrimonio costituendo il CONSORTIUM ERCTO NON CITO
(che sarà anche all’origine di uno dei contratti più importanti cioè il contratto di
società).
Questo è un istituto molto antico che poi nella Roma repubblicana, verso quindi il
III/II secolo a.C. scomparve ed inoltre, da un punto di vista teorico è un ulteriore
aspetto che pone in crisi un punto della famosa teoria di Bonfante sul diritto delle
successioni. Infatti, quest’ultimo sosteneva che la successione sarebbe stata utilizzata
nell’antica famiglia romana per individuare l’erede.
Molto probabilmente si trattavano di due edizioni diverse, una di più ampia portata
magari destinata a studiosi che avevano anche interesse ad approfondire fenomeni
ormai desueti, l’altra invece era più rivolta agli studenti e quindi visto che l’istituto
non si applicava più non è stato citato.
Esisteva uno strumento che serviva a procedere alla divisione ossia l’ACTIO
FAMILIAE ERCISCUNDA (azione di divisione della famiglia, dove per “famiglia”
si intendeva il patrimonio).
Il Suus era erede necessario, non poteva rinunciare all’eredità né doveva accettarla
dato che il passaggio del patrimonio avveniva in automatico (anche se lui non
dichiarava di accettare, comunque ha dato il consenso). Non gli è data quindi facoltà
di scelta.
ES: Se un pater avesse voluto lasciare tutti i bene al suo amico Caio senza specificare
di aver diseredato il Suus, il testamento non avrebbe avuto validità dato che il Suus
doveva essere espressamente diseredato.
Gli ADGNATI sono coloro che sono legati dal vincolo di Adgnatio, coloro che
discendono da un comune pater Familias ma sono legati in linea collaterale. Il più
prossimo degli Adgnati è il FRATELLO o la SORELLA e poi lo ZIO
eventualmente.
Nella figura degli Adgnati rientrava anche la MADRE sposata Cum manu ed essendo
loco sororis rispetto ai propri figli, viene prima dello zio.
L’Adgnatio subentra qualora non ci sia un figlio. Infatti, nel versetto decemvirale si
afferma che qualora non ci fosse un Suus Heres la famiglia (il patrimonio) dovesse
andare all’Adgnato Proximo.
Tutte queste figure sono considerate come fratelli con l’unica differenza che in un
caso la fratellanza è di sangue mentre in altri essa è stata costituita artificialmente
attraverso dei meccanismi giuridici. Nel caso degli Adgnati non opera la successione
per stirpe ma opera la SUCCESSIONE PER CAPITA.
ES: Se un soggetto ha tre fratelli ed è sposato Cum manu, alla morte di questo tutto il
patrimonio va alla moglie e non ai fratelli perché rispetto agli altri soggetti lei è nella
posizione di Suus.
ES: Un soggetto non ha Sui Heredes (non ha figli, non ha fatto adozioni, non si è
sposato Cum manu) ma ha tanti fratelli: entrano in campo gli Adgnati. Ha tre fratelli
che sono i suoi Adgnati Proximi e quindi ognuno riceverà in parti uguali l’eredità
(1/3 per ciascuno). Se morisse uno dei fratelli avente due figli ci sarebbero due
ipotesi:
• se i due fratelli moriranno, la quota del patrimonio non verrà divisa tra i nipoti
che si prenderebbero la parte del genitore e se ci fossero 4 nipoti il patrimonio
verrà suddiviso in 4 parti proprio perché questi subentrano per capita.
È importante il criterio di vicinanza che si calcola in base a quanti soggetti ci sono dal
capostipite (prima si scende e poi si sale): si deve considerare la maggiore vicinanza
cioè quante persone ci sono tra il soggetto che deve devolvere la propria eredità e
coloro che sono chiamati a succedere (nella gran parte dei casi eredita il fratello).
I LIBERTI hanno soltanto i Sui Heredes quindi l’Adgnato del liberto è il patronus
ossia il soggetto che lo aveva manomesso ( se il patronus fosse morto sarebbe
subentrata la famiglia del patronus stesso).
Se un uomo non avesse avuto Adgnati fino al sesto grado, sarebbero subentrati i
Gentiles ovvero tutti coloro che avevano lo stesso nomen gentilizio (ES. Giulio
Cesare, Giulio è il nomen gentilizio) ma non si hanno informazioni su come ciò
avvenisse perché molto probabilmente quest’ipotesi di successione della Gens fu ben
presto superata.
Per far fronte a questo problema furono prolungati due Senatus Consultum:
Attraverso questi due provvedimenti del senato si fingeva che si fosse costituita
l’Adgnatio tra questi soggetti proprio per consentire al figlio e alla madre di avere
rapporti di diritto successorio fondati sullo ius civile: il figlio avrebbe avuto una
posizione migliore rispetto agli Adgnati Proximi, avrebbe avuto la precedenza.
Qui si era già superata la fase in cui il tutore legittimo della donna era anche il suo
Adgnatus Proximus, in quanto questa figura era stata abrogata dall’imperatore
Claudio proprio per evitare che potesse sorgere un conflitto di interessi tra il tutore e
la donna nel momento in cui questa avesse deciso di fare testamento.
Prima del Senato Consulto Orfiziano, era già stato il pretore, intorno alla fine del I
sec a.C. a cercare di dare rilievo al vincolo di sangue (Cognatio) creando il sistema
delle BONORUM POSSESSIONES (possesso dei beni). Sostanzialmente il pretore
che non avrebbe potuto concedere l’eredità, immetteva alcuni soggetti nel possesso
dei beni ereditati che avrebbero acquistato la proprietà attraverso l’usucapione.
Si iniziò a dare più rilievo al legame di sangue perché a Roma iniziarono a confluire,
a seguito della conquista della Grecia, nuove idee che si fondavano su principi di
equità e che consideravano ingiusto ritenere parenti soltanto le persone con le quali si
fosse costruito un vincolo giuridico. Un passo di Orazio descrisse bene questo
processo:
Come tutte le operazioni di conquista, anche quelle culturali subirono forti resistenze,
tanto che a Roma si aprì un forte dibattito tra i gruppi dirigenti dell’Urbe su come
avrebbero dovuto comportarsi rispetto a queste nuove idee. In una prima fase
prevalse un approccio conservatore (il Senatus Consultum De Bacchanalibus era
figlio di questo approccio) e l’alfiere di ciò fu Catone.
La famiglia più illustre di Roma, quella degli SCIPIONI (*coloro che avevano vinto
su Cartagine facendo contento Catone, il quale si recava sempre in Senato con dei
fichi freschi provenienti da Cartagine per dimostrare che se la frutta arrivasse così
fresca ciò avrebbe significato che Cartagine fosse dietro l’angolo rappresentando un
pericolo per Roma quindi si sarebbe dovuto procedere alla sua distruzione; tutta
questa discussione si inserì nella visione Tucididea sul fatto che se ci fossero state
due potenze vicine, prima o poi sarebbero arrivate allo scontro, schema che Tucidide
applicò nella guerra tra greci e persiani, ma anche tra Atene e Sparta, odierna
Tunisia*), famiglia di rilevante peso politico, salvatori della patria e coloro che si
aprirono a queste nuove idee provenienti dalla Grecia.
A Roma si svolse un dibattito su come porsi rispetto a queste nuove idee, al punto che
questa discussione fu portata in Senato.
I senatori dissero che non avrebbero potuto decidere in via pregiudiziale e quindi
decisero di convocare una delegazione di filosofi ateniesi a Roma affinché li
potessero convincere ad accogliere queste nuove idee.
Inizialmente, anche se per poco, i romani respinsero queste idee, poi però prevalsero
(anche grazie al peso politico degli Scipioni) tanto che anche il procedimento
dialettico fu posto alla base di tutti gli scritti dei saperi tecnici del mondo latino. È a
partire da questo momento che all’ambito giuridico venne applicato lo schema Genus
Species. È a partire da questo momento che si superò l’idea che la famiglia fosse
soltanto quella fondata sui vincoli giuridici e si iniziò a dar rilievo al vincolo di
sangue.
Il primo a recepire queste idee fu il pretore, in quanto attraverso il suo editto aveva
una maggiore agilità nell’intervenire e modificare alcuni schemi di funzionamento
del diritto, creando così le BONORUM POSSESSIONES.
Questa nuova categoria degli Unde Liberi, avrebbe potuto creare delle ingiustizie
nei confronti dei figli rimasti sotto la potestas del padre, in quanto questi ultimi
non avevano potuto sfruttare le proprie capacità lavorative perché tutto quello
che avevano guadagnato era andato al pater mentre il figlio emancipato, nel
momento in cui si era tolto il vincolo di Adgnatio, ciò che aveva guadagnato
con il suo lavoro era divenuto di sua proprietà. Esisteva quindi il rischio che il
figlio emancipato avesse potuto ereditare il patrimonio del padre, arricchito
grazie al lavoro dei figli rimasti sotto la sua potestà.
Oggi il rischio è quello di ledere la quota indisponibile degli altri eredi. In questa
categoria operava il meccanismo della rappresentazione come per i Sui
Heredes.
Dall’analisi di queste figure emerse in primo luogo il rilievo assegnato alla Cognatio
e in secondo luogo l’applicazione di criteri equitativi volti a rendere più elastici i
criteri di diritto successorio romano.
Il pretore introdusse questi istituti in quella che era la sua funzione di correggere il
diritto civile, tanto che alcune di queste correzioni vennero recepite anche dal diritto
civile stesso con i due senati consulti.
POSSESSO PROPRIETÀ
Nel tardo antico (dopo Costantino) anche a Roma, come è tutt’oggi, il tempo
necessario all’usucapione sarebbe divenuto VENTENNALE.
Prima che il tempo necessario all’usucapione fosse finito ( prima che fosse decorso
uno dei termini scritti in precedenza), il pretore avrebbe protetto questo possesso,
attraverso uno strumento chiamato INTERDICTUM QUORUM HONORUM, un
ordine secondo il quale se un terzo avesse turbato quel possesso, il pretore gli avrebbe
vietato di farlo.
Esisteva solo uno strumento rispetto al quale l’ordine del pretore si sarebbe potuto
bloccare ed era il fatto che colui che avesse turbato il possesso:
02/11/2020
Il padre non può evitare di menzionare i suoi figli nel testamento, o nel senso che
siano istituiti, o nel senso che siano diseredati. Addirittura, si prevedeva che
anche la diseredazione debba avvenire, dice Gaio, NOMINATIM, cioè deve
essere chiaramente menzionato anche il nome del figlio diseredato (es. non era
sufficiente dire” diseredo i miei figli”).
Questo perché diseredare i propri figli, a Roma, non era visto di buon occhio,
quindi cominciarono ad essere imposte delle limitazioni formali.
Non sappiamo qual è il momento a partire dal quale questa regola viene fissata,
perché inizialmente, con il testamento Calatis Comitiis (una delle forme più arcaiche
di testamento) si potevano istituire soltanto i figli per distribuire i beni a quote diverse
da quelle previste dalla successione legittima (che prevedeva una divisione in parti
uguali). Molti studiosi odierni ritengono che fu proprio all’interno del testamento
calatis comitiis che si iniziò a dover dichiarare la necessità di istituire eredi o di
diseredare i propri figli. Da questo punto di vista c’è chi ritiene che anche la
mancipatio familiae doveva essere preceduta da un testamento calatis comitiis nel
quale si diseredavano espressamente i propri figli. Il professor Dursi non è d’accordo
su questa impostazione per due motivi:
Se si fosse trattato di altri soggetti sotto la potestà del pater, ad esempio i nipoti, in
questo caso il testamento non veniva posto nel nulla.
ES. Tizio muore prima di suo padre, ma quest’ultimo aveva due figli. Se il nonno
(quindi il padre di Tizio) dimentica di diseredare espressamente i nipoti, il testamento
non viene posto nel nulla ma il pretore riconosce a questi soggetti, la quota spettante
in base alla successione legittima, che verrà ricavata andando a ridurre le quote di
eredità destinati agli eredi indicati nel testamento.
Quando si stabilì che anche il figlio emancipato dovesse essere considerato nella
categoria dei liberi, si stabilì che all’interno del testamento, dovesse essere egli stesso
istituito o diseredato. Quindi, ove non fosse stato istituito o diseredato, il testamento
subiva delle modifiche, ma in questo caso non cadeva nel nulla.
È un ulteriore modo attraverso cui gli eredi possono ottenere l’eredità contro le
volontà del loro pater. In questo caso vi è un testamento perfetto, cioè un testamento
in cui i figli sono stati espressamente diseredati, ma che viene considerato un
testamento ingiusto e quindi i giuristi e gli avvocati, iniziano a studiare come porre
nel nulla un testamento che dal punto di vista formale è ineccepibile. Questa azione è
influenzata molto dalla cultura Greca, perché replica un’azione usata nei tribunali ad
Atene che si chiama AZIONE DELLA PAZZIA. I giuristi romani, sull’esempio di
quanto era stato elaborato in Grecia, iniziano a sostenere che il padre che avesse
diseredato completamente i propri figli fosse pazzo e che avesse redatto il testamento
in COLOR INSANIAE, cioè avesse scritto il testamento in un momento in cui non
ragionava. Quindi il testamento del pazzo cadeva nel nulla.
In età severiana viene introdotta un’altra regola: se i figli avessero comunque ottenuto
una parte di eredità pari al 25%, a quel punto tutto il resto dell’eredità poteva andare a
chi piaceva.
Tutt’oggi il padre non può diseredare completamente i figli, salvo non ricorrano
ipotesi di indennità o di altra natura.
DIRITTI REALI
Sono quei diritti che l’ordinamento giuridico tutela nei confronti di tutti i consociati,
vi è dunque una tutela ERGA OMNES, cioè verso tutti.
DIRITTI REALI: “reali” deriva da RES cioè “Cosa”. Sono quindi quei diritti che
implicano un rapporto diretto tra l’individuo e la res.
soggetto.
Il punto di partenza è il concetto di COSA, che in senso giuridico è intesa come una
porzione di realtà che può essere oggetto di rapporti patrimoniali.
I giuristi romani elaborano tutta una serie di classificazioni di res. Gaio, che introduce
una prima classificazione, sostiene che le cose sono o in patrimonio o fuori dal nostro
patrimonio.
LE COSE EXTRA PATRIMONIUM= sono quei beni sui quali non vi è in atto un
diritto reale di un soggetto.
Gaio introduce poi una summa divisio tra RES UMANI IURIS(cose di diritto
umano) e RES DIVINI IURIS (cose di diritto divino).
• Le RES SACRAE sono i beni dedicati al culto degli DÈI SUPERI cioè gli dèi
a cui vengono dedicati i templi. Affinché una res diventi res sacrae occorrono
delle procedure.
• Le RES RELIGIOSAE invece sono dedicati agli antenati morti e sono di due tipi:
03/11/2020
Con l’impatto del Cristianesimo, nel diritto romano la distinzione tra res sacrae e res
religiose viene meno, questo perché i morti, quantomeno quelli di alto lignaggio,
venivano sepolti nelle chiese.
Si nota quindi come da una parte i luoghi destinati al culto dei defunti iniziano ad
essere le chiese stesse e dall’altra il fatto che per il Cristianesimo non vi era più
alcuna distinzione tra Mani e dèi Superi dato che vi era una sola divinità, ovvero Dio.
Iniziava a prevalere la prassi di seppellire i defunti nelle chiese e questa sarà proprio
una delle ragioni per cui si arriverà all’Editto di Saint Cloud con Napoleone, dato che
si rischiava di creare enormi problemi igienico-sanitari.
Con il diritto romano cristiano restano solo le res sacrae che comprendono anche le
vecchie res religiose. Nei cimiteri venivano edificate delle chiese per simboleggiare
questa nuova categoria delle res sacrae che rispondeva al culto della nuova religione
che eliminava tutte le divinità del mondo pagano, per sostituirle con le figure dei
SANTI. (ES. Nel mondo pagano c’era la divinità che proteggeva gli artigiani così nel
Cristianesimo si creano queste nuove figure come ad esempio San Giuseppe che
protegge gli artigiani).
RES SANCTAE
Sono i confini, le mura e le porte delle città. Si tratta di beni dedicati alla divinità
Iuppiter Terminalis, il Giove protettore dei confini.
Gaio precisa che le res sanctae non sono in tutto e per tutto da considerarsi res divini
iuris ma sono assimilabili ad esse e afferma che in realtà sono beni a metà strada tra
res pubblicae (res humani iuris) e res divini iuris.
Assomigliano alle res publicae perché evidentemente le porte di una città o le mura
sono state costruite non con la finalità di perseguire un culto ma per proteggere la
città. Tuttavia, si può chiamare a protezione della città anche una divinità, quindi la
finalità di questi beni non è quella di svolgere i culti per una divinità come il Tempio
ma allo stesso tempo, per rafforzare la finalità di protezione si chiama a difendere
questi specifici beni GIOVE, il Protettore dei Confini.
La prima categoria delle res humani iuris è quella delle RES PUBLICAE che si
articolano in tre sottocategorie:
ES: LE MINIERE ( un semplice cittadino non può andare nelle miniere e prendere
da solo il carbone perché è una res publica ma è utilizzata per specifiche
finalità dello Stato.)
ES: Uno schiavo divenuto pubblico, il quale può essere venduto o locato ( dato in
affitto) dal populus romano ad un privato.
La categoria più importante che rientra in queste res publicae è l’AGER PUBLICUS
ovvero le terre conquistate ai nemici, che lo Stato di volta in volta vende o dà in
affitto o dà in concessione. Questi Ager Publicus erano anche terre che il populus
Romanus donava ai veterani.
In origine si riteneva che su questi beni esistesse una comproprietà di tutti i cittadini,
cioè che tutti fossero titolari di una piccola parte di suddetti beni. Tuttavia, quando si
verificò quel processo di costituzione della soggettività del populus Romanus si capì
immediatamente che quelli erano beni dello Stato.
RES PRIVATAE
• RES MANCIPI: Gaio afferma che sono i beni più preziosi (RES
PRETIOTIORES) perché necessari e fondamentali all’esercizio
dell’agricoltura dato che Roma era principalmente una società agricola. In
particolare, erano res mancipi: gli SCHIAVI, gli ANIMALI DA TIRO E DA
SOMA, i FONDI ITALICI ( la terra ) e le QUATTRO ANTICHE
SERVITÙ RUSTICHE (iter, actus, via, aqueductus ).
Talvolta risultava più semplice andare dal pretore e far finta che ci fosse una lite e
quindi quello che intendeva vendere al fronte della rivendica di colui che
voleva acquistare, assumeva il contegno passivo ed era il pretore che assegnava
i beni. Questa tecnica garantiva comunque il controllo pubblico, in questo caso
rappresentato dal pretore.
• RES NEC MANCIPI: Sono tutte le altre res e si caratterizzano perché non
sono richieste particolari formalità per il trasferimento della proprietà, essendo
sufficiente la semplice consegna materiale. Non vi era quindi bisogno della
presenza dei testimoni e del libri pens.
La distinzione tra res mancipi e res nec mancipi grossomodo coincide in termini
economico-sociali, con la odierna distinzione tra BENI IMMOBILI (per il cui
trasferimento richiesto un controllo pubblico esercitato dal notaio) e BENI
MOBILI.
Questa distinzione esisteva già nel diritto romano anche se aveva scarso rilievo, ad
eccezione di un caso nella quale determinava delle conseguenze giuridiche
ovvero nei tempi di maturazione dell’USUCAPIONE che era l’acquisto della
proprietà tramite il decorso del tempo:
Nella società romana la casa non era ritenuta essenziale alla produzione agricola. ES:
Le quattro servitù consentono o l’accesso al fondo o il passaggio dell’acqua, gli
schiavi servivano fondamentalmente per la lavorazione della terra gli animali per
arare i campi.
Per i Romani quindi, i beni più importanti e fonte di ricchezza non erano quelli del
patrimonio, quelli costituenti la rendita ma quelli dediti alla produzione.
Esiste un’ulteriore distinzione che è meno evidente ( fanno sempre parte delle Res
Privatae ):
• RES FUNGIBILI: beni che vengono individuate sulla base di uno tra questi
tre parametri:
• RES INFUNGIBILI: sono beni che hanno una specifica individuazione, che
si individuano cioè in base a delle precise caratteristiche e perciò non sono
sostituibili. Sono quelle e solo quelle.
ES: La casa di X ( Alberto Sordi) è solo quella, non può essere un’altra.
In caso di bene fungibile, il venditore non potrà dire all’acquirente che non può
adempiere alla prestazione poiché il vino è finito perché comunque può trovare
10 litri di un altro vino.
• RES INCONSUMABILI: beni che possono essere utilizzati più volte, anche
se ciò a lungo andare li può deteriorare.
Essi hanno una maggiore tendenza e probabilità a deteriorarsi rispetto alle res
inconsumabili e si collocano quindi a metà tra le res consumabili e le res
inconsumabili.
• COSE COMPOSTE: beni che si caratterizzano per essere l’unione di più cose
semplici.
ES: Un gregge, una mandria, un orologio.
ES: La biblioteca che è data dall’unione di cose semplici e ose composte ma ha allo
stesso tempo una propria individualità. Infatti, un soggetto può vendere o un
singolo libro o l’intera biblioteca perché quest’ultima in quanto tale ha una
propria funzione, diversa rispetto alle singole res che la compongono.
I beni possono essere al contempo individuati in più categorie a seconda del punto
di vista adottato.
• RES INDIVISIBILI: beni che non possono essere frazionati poiché ciò
comporterebbe la rottura del bene e quindi la sua inutilizzabilità.
ES: Un orologio.
Anche un intero gregge può essere considerato una res fructifera ma soltanto in
riferimento ai capi di bestiame maggiori rispetto al numero iniziale del gregge.
ES: Un soggetto dà in usufrutto un gregge di pecore. Dato che l’usufruttuario ha il
diritto di acquisire la proprietà dei frutti, potrà acquistare la proprietà sul numero di
capi di bestiame maggiore rispetto a quelli avuti all’inizio. Un soggetto dà in
usufrutto un gregge di 100 pecore e alla fine di questo periodo questo gregge
comprende 120 pecore: i frutti saranno quelle 20 pecore in più e se nel gregge ci
saranno dei capi morti, questi dovranno essere sostituiti dai nuovi nati ( SUMMISSIO
) e soltanto dopo la sostituzione si potrà verificare quali numeri eccedenti ci saranno
rispetto al numero iniziale. Successivamente, attraverso l’istituto della PERCEPTIO
l’usufruttuario potrà tenere per sé i frutti.
Anche la casa data in locazione può produrre frutti non naturali, ma che in questo
caso sono di carattere civile.
• RES INFRUCTIFERE: beni che non producono i frutti. ES: una schiava.
Vi è un’altra distinzione o meglio una summa divisio non a effetti giuridici ma per
ciò che concerne l’organizzazione della sua materia e la sua esposizione:
Attraverso le res incorporales Gaio può distinguere all’interno del suo manuale tre
sezioni:
• Persone
• Cose
• Azioni
Tuttavia, questa categoria ha più una valenza sistematica che permette a Gaio di
organizzare la materia nella sua opera.
Categoria che non rientra né tra le res publicae né tra le res privatae ( è un terzus
genus ) è:
• RES COMMUNES OMNIUM: sono i beni comuni di tutti ed è una categoria che
non si ritrova nel manuale di Gaio ma nel manuale di ELIO MARCIANO, il quale
afferma che sono beni comuni di tutti per diritto naturale.
L’ACQUA che scorre. Il MARE che non serve solo per viaggiare, ma anche per
pescare e procurarsi il cibo.
Sono quindi beni che non possono essere sottratti a nessuno e che tutti devono poter
utilizzare in quanto forniscono gli elementi necessari alla sopravvivenza.
Questa categoria risponde quindi alle esigenze primordiali dell’uomo, che si fondano
sul diritto naturale (Marciano stesso afferma che per natura, tutti gli uomini hanno il
diritto di poter sopravvivere) e che si caratterizza per il libero accesso a quei beni da
parte di tutti.
ES: I pesci che vi si trovano nel mare sono RES NULLIUS cioè beni di nessuno, e
quindi sono occupabili da chiunque. Tutti possono pescare e quando lo fanno il pesce
diventa di chi l’ha pescato ed egli può farne ciò che vuole
ES: L’aria è una res communes omnium e gli uccelli che si trovano in essa possono
essere occupati da chiunque.
Emerge uno schema che si può definire “di contenitore”, dove il contenitore è
rappresentato dalla categoria delle res communes omnium (che appartengono a tutti )
e ciò che vi sta dentro può essere occupato da tutti.
La Luna è una RES COMMUNES IURIS mentre i Beni che si trovano sulla Luna o
nel sottosuolo sono res nullius e dunque occupabili da chi ci si trovi in quel momento.
Ciò è anche un modo per incentivare la ricerca e il possibile approdo su questi corpi
celesti perché individuare un totale regime di inutilizzabilità di quei beni vorrebbe
dire far perdere interesse all’obbiettivo di andarci.
04/11/2020
DIRITTO DI PROPRIETÀ
Il diritto privato dei Romani e quelli da esso derivati, i cosiddetti diritti“ della
famiglia romanistica”, si fondano su due istituti che nel corso del tempo hanno
assunto differente importanza.
I Romani non forniscono mai una definizione generale del diritto di proprietà. Il
dominus (da Plauto definito nelle sue commedie ERUS, termine dal latino arcaico)
può utilizzare il bene nel modo che ritiene più opportuno, perché ha il potere più
ampio sulla res. Le facoltà connesse al diritto di proprietà sono:
• USUFRUTTO
• SERVITÙ
• SUPERFICIE
• ENFITEUSI
Vi sono anche i DIRITTI REALI DI GARANZIA nella quale vi è una res che viene
data in garanzia nell’adempimento di un’obbligazione.
ES: chi chiede un mutuo in banca, lo ottiene solo se la banca riceve un bene in
ipoteca, perché se il debitore di essa non dovesse restituirli, la banca avrebbe con sé
un bene del soggetto che può rivendere per rifarsi del proprio credito.
• PEGNO
• IPOTECA
Nelle epoche più remote del diritto romano, la proprietà veniva indicata con
l’espressione MEUM ESSE ( è mio), cioè come una manifestazione esterna della
propria persona.
Vi era una totale coincidenza tra la res e il diritto, per questo motivo inizialmente non
esistevano i diritti reali parziali.
In quel momento storico si ha la certezza della nascita del diritto di usufrutto perché
al II secolo a.C. risale la discussione tra giuristi riguardo il Partus Ancillae, per cui il
figlio della schiava era un frutto, e occorreva stabilire a chi dovesse andare il figlio di
una schiava data in usufrutto.
I DIRITTI REALI PARZIARI si possono costituire in diversi modi, uno dei quali è
MORTIS CAUSA oppure con il legato per vindicationem.
Questi diritti reali parziari, o detto in un altro modo, DIRITTI REALI DI
GODIMENTO sono appunto definiti parziali, in quanto si formano in relazione alla
proprietà, che abbiamo detto essere il massimo diritto dell’uomo sulla cosa.
Il diritto di proprietà viene tutelato con un’actio in rem (azione verso la cosa), la REI
VINDICATIO ovvero un’azione processuale che può essere esercitata contro tutti i
consociati che hanno il dovere di astenersi nel recare turbative o impedimenti al
dominus nell’esercizio e nel godimento del suo bene.
Il CODICE NAPOLEONICO all’art 544 presenta una definizione reale e astratta del
diritto di proprietà
e il primo codice italiano lo riprendeva pedissequamente. Nel nostro codice del ‘42,
all’art 1832, vi è una definizione in cui si parla del:
Gli autori del codice Napoleonico erano tutti professori e giuristi del diritto Romano,
mentre il codice italiano del 1942 fu redatto da FILIPPO VASSALLI, anche lui
giurista.
Gaio sosteneva, riferendosi al diritto di proprietà, che non si può utilizzare male il
proprio diritto; In questa affermazione di Gaio, si profila un concetto, tutt’ora
esistente, che è quello dell’ABUSO DEL DIRITTO (anche oggi vietato). A Roma il
diritto di proprietà era pieno, esclusivo, ma non assoluto, perché appunto non vi era il
diritto di abusare della res.
Catone nel “De Agricoltura”, sosteneva che a Roma, se un cittadino non avesse
coltivato il proprio campo avrebbe subito dapprima una nota censoria e
successivamente avrebbe potuto rischiare anche di perdere la proprietà di quel
terreno.
Altro limite delle fonti Romane e oggi presente nel nostro codice civile è quello delle
IMMISSIONI, cioè odori e rumori che arrivano ad una proprietà, da un’altra
proprietà.
Secondo i giuristi Romani, le immissioni sono tollerate nei limiti dell’uso normale del
bene secondo l’art 838 del c.c.
Per ciò che concerne i beni immobili, appartiene al proprietario dell’immobile, tutto
ciò che verticalmente sta sopra e tutto ciò che verticalmente sta sotto.
Per i giuristi Romani tutto ciò che si trova sulla superficie, appartiene al
proprietario della superficie stessa, SUPERFICIE SOLO CEDIT.
I modi di acquisto della proprietà sono FATTI GIURIDICI con i quali si acquista il
diritto di proprietà, cioè il DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM.
La differenza è che nel primo caso possono essere utilizzati da chiunque, nel secondo
caso invece possono essere utilizzati solo dai cittadini romani, o eventualmente dai
soggetti a cui i romani hanno concesso lo ius commercii.
Questi modi di acquisto presuppongono un rapporto diretto dell’uomo con la cosa che
si acquista, senza intermediazione di altri soggetti. In questi casi in linea di massima,
il bene su cui si acquista la proprietà non ha un precedente proprietario, era cioè un
bene di nessuno.
1) OCCUPATIO:
• APPRENSIONE MATERIALE.
• RES NULLIUS.
• ANIMUS OCCUPANDI.
• Gaio afferma che anche l’INSULA IN MARI NATA (isola nata nel mare) è
una res nullius, quindi suscettibile di Occupatio. I giuristi contemporanei si
sono chiesti perché Gaio parlasse di una “isola nata nel mare, ritenendo che
fosse una cosa strana, ma verso fine ‘800 vi fu l’emersione di un’isola,
chiamata “Ferdinandea”, a sud della Sicilia.
Dalle letture di Plinio il vecchio e di Seneca, si deduce che i romani assistettero alla
nascita di un’isola chiamata “Vulcanello”, nell’attuale arcipelago delle isole
Eolie, vicino l’isola di Vulcano. I giuristi romani e Gaio affermano quindi che
queste isole, se di piccola dimensione, sono res nullius.
Nei due casi quindi cambia il modo di acquisto a cui le due scuole fanno
riferimento.
Il giurista Paolo afferma che per “tesoro” si intende un insieme di monete o di gioielli
che sono stati nascosti e di cui se ne è perso il ricordo, quindi non esiste più un
proprietario. Colui che trova il tesoro si chiama INVENTOR TESAURI.
In una prima fase, per il diritto romano, soltanto il proprietario del fondo in cui viene
trovato il tesoro ha la proprietà di questi beni nascosti. Più tardi l’imperatore Adriano
definisce dei criteri di individuazione dell’acquisto del tesoro: in primo luogo se il
tesoro è stato rinvenuto dal proprietario del fondo non si pongono problemi, il tesoro
gli appartiene. In secondo luogo, se il tesoro è stato trovato da un soggetto diverso dal
proprietario del fondo, l’imperatore Adriano stabilisce che il tesoro vada diviso a
metà: una parte al proprietario del fondo e l’altra all’Inventor Tesauri.
Bisogna tener conto che affinché si possano applicare queste regole occorre che il
tesoro sia stato trovato casualmente e che il rinvenimento sia avvenuto NON DATA
OPERA (senza che ci sia stato cioè l’incarico specifico di andare alla ricerca del
tesoro).
3) ACCESSIONE
Unione di due beni appartenenti a due proprietari diversi. Questa unione dà luogo a
una terza Res, che ha una propria destinazione economico-sociale diversa da quella
delle singole Res che sono state unite.
Il criterio generale fissato dai giuristi romani per individuare il proprietario di questa
nuova Res è quello della RES PRINCIPALE ovvero la res che più determina la
destinazione economico-sociale della nuova res.
ES: un orafo per errore (quindi in buona fede) prende una pietra preziosa altrui e ne
fa un anello. La pietra ha un valore maggiore del supporto, ma è proprio il supporto a
determinare maggiormente la destinazione economica-sociale della nuova res, cioè
l’anello. Questo è un esempio di ACCESSIONE DI BENI MOBILI
4) SPECIFICAZIONE:
Per i Sabiniani, la res specificata è identica alla res originaria. Il proprietario del vino
è il proprietario dell’uva, a prescindere da chi abbia operato in concreto la
trasformazione dell’uva in vino.
5) USUCAPIONE:
È il modo di acquisto della proprietà che discende dal possesso prolungato nel tempo.
L'usucapione, racconta Cicerone, era disciplinata nelle XII tavole. In esse si legge che
si può acquistare la proprietà di BENI IMMOBILI a seguito del possesso prolungato
per due anni e la proprietà di BENI MOBILI a seguito del possesso prolungato per un
anno. Nelle XII tavole l’istituto dell’usucapione viene menzionato come USUS.
Esso presuppone un rapporto diretto con la “res” (possesso continuato nel tempo) e
quindi sembrerebbe originario, tuttavia a seguito dell’usucapione un soggetto perde il
suo diritto e un altro lo acquista.
• MANCIPATIO
• IN IURE CESSIO
• TRADITIO
10/11/2020
Il diritto romano conosce l’usucapione sin dalle origini, infatti, le XII Tavole
stabiliscono che i BENI MOBILI si possono usucapire in 1 ANNO , mentre i BENI
IMMOBILI in 2 ANNI.
I giuristi romani, in epoca classica, individuano una serie di requisiti affinché ci possa
essere l’usucapione, e si discute, se questi requisiti che venivano individuati nel II
sec. a.C. si applicassero già alle XII Tavole. Affinché avvenga il passaggio da
possesso a usucapione occorre:
• BUONA FEDE
Il possesso può avere inizio o tramite l’acquisto del bene da un soggetto che non è
proprietario (ACQUISTO A NON DOMINO), oppure quando viene posto in essere
un atto di trasferimento della proprietà inefficace, come l’acquisto di una res mancipi
attraverso una traditio, dato che le res mancipi si possono acquistare o con la
Mancipatio o con in iure cessio, essendo esse le uniche vie idonee affinché avvenga il
negozio. Queste due sono le ipotesi più frequenti attraverso cui inizia il possesso.
RES HABILIS
Dopo la nascita del possesso, occorre che la res sia habilis e quindi dev’essere idonea
ad essere usucapita. Questo vuol dire che vi sono delle Res non idonee ad essere
usucapite, ad esempio una proprietà pubblica (RES COMMERCIUM), la spiaggia o
le cose rubate.
Per i giuristi romani si poteva usucapire la res furtiva solo nel caso in cui questa fosse
tornata al legittimo proprietario e a quel punto perdeva la natura di res furtiva. Oltre
alla res furtiva, non può neppure essere usucapita la RES VI POSSESSAE ovvero la
res di cui si è conseguito il possesso con un atto violento.
BUONA FEDE
In aggiunta, alcuni imperatori stabiliscono che tale actio operi in dieci anni tra
presenti (persone che abitano nella stessa città) e vent’anni tra assenti (persone che
non abitano nella stessa provincia). Con Giustiniano vengono uniformati i tempi per
l’usucapione e per la praescriptio longi temporis (vent’anni), ad eccezione che per i
beni mobili ove viene messo un limite di tre anni.
A differenza del nostro ordinamento, nel diritto romano non vige il principio del
consenso traslativo, che nel nostro ordinamento è sancito dall’articolo 1376 del c.c.
ove è sancito che nel momento in qui è concluso l’accordo tra le parti, si verifica il
passaggio della proprietà e non è necessaria la consegna materiale del bene, il che
implica il cambiamento della disciplina del rischio.
MANCIPATIO
Atto in cui si consegna un bene che dev’essere una res mancipi e avviene al cospetto
di un libripens e di cinque testimoni che dovevano essere soggetti puberi dotati di
piena capacità giuridica, più ovviamente i due soggetti che si scambiano il bene.
Coloro che si scambiano il bene sono: il MANCIPIO DANS (colui che da) e il
MANCIPIO ACCIPIENS (colui che acquista).
Oltre alla Noncupatio (le parole solenni sopra citate), la Mancipatio poteva
contemplare una DEDUCTIO (una sottrazione) cioè si trasferiva la proprietà di un
bene ma si sottraeva qualcosa, come ad esempio il diritto di usufrutto. L’alienante
(mancipio dans) vendeva il bene ma restava usufruttuario del bene medesimo.
IN IURE CESSIO
Processo impiegato a scopi negoziali. Poteva essere utilizzato per l’acquisto delle
cose res mancipi e anche delle res nec mancipi. In questo caso, due soggetti si
recavano davanti al pretore, ed il soggetto che intendeva acquistare esercitava
l’azione di rivendica mentre il soggetto alienante (proprietario) assumeva il contegno
passivo.
A seguito di questo contegno passivo, il pretore assegnava il bene a colui che aveva
pronunciato la rivendica, e quest’ultimo diveniva quindi proprietario del bene. Tutto
ciò si svolgeva tenendo conto del fatto che entrambi le parti fossero d’accordo.
TRADITIO
È il modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo delle res nec mancipi (cose
meno importanti e che non rientrano tra le res pretiosiores).
In questo caso non vi erano formalità ma era sufficiente la semplice consegna del
bene. Per questo motivo è un atto di acquisto della proprietà di diritto delle genti,
perché può essere posto in essere al di là della cittadinanza.
In alcuni casi la consegna non poteva effettuarsi, quindi nascevano dei casi speciali di
traditio:
• TRADITIO BREVI MANU con la quale un soggetto che era detentore del
bene acquistava il bene stesso, quindi non vi era il bisogno del passaggio
materiale del bene, in quanto il soggetto aveva già la disponibilità materiale del
bene.
La proprietà si difende con la Rei Vindicatio, un’azione erga omnes, cioè che si può
esperire contro tutti coloro che avessero turbato il diritto, ed è un’azione reale.
Qualora il soggetto che abbia turbato la proprietà (una turbativa della proprietà è ad
esempio lo SPOSSESSAMENTO, nella quale un soggetto ha conseguito
illegittimamente il possesso del bene), trasferisca il bene ad un terzo, l’azione si
esperisce sempre contro colui che ha esercitato lo spossessamento.
Quindi, quando si svolgerà il processo, il proprietario dovrà presentare sia uno dei
modi di acquisto della proprietà, sia dovrà dimostrare le turbative subite.
11/11/2020
ES: vi sono due soggetti che devono trasferire la proprietà di uno schiavo e invece di
chiamare cinque testimoni e il libripens, decidono semplicemente di effettuare una
consegna materiale del bene.
Nel I sec a.C. un pretore, PUBLICIO, ritiene di dover approntare una maggiore tutela
di questa situazione.
Non tutti i peregrini avevano lo IUS COMMERCII, anzi, erano pochissimi coloro
che lo avevano.
Visto che non potevano compiere la Mancipatio, avveniva una semplice consegna
dello schiavo da cui scaturiva la semplice condizione di possesso in capo
all'acquirente.
Si pone l'esigenza di creare una particolare tutela rispetto a questa ipotesi, perché
molto probabilmente si diffusero sempre di più gli scambi commerciali tra romani e
peregrini.
Publicio per questi motivi intervenne introducendo due strumenti a tutela di questa
fattispecie:
Questa azione non poteva essere esperita contro colui che ha venduto il bene,
perché quest’ultimo poteva contrapporgli, nella dinamica processuale, il titolo
di proprietà. A fronte del diritto di proprietà, fondato quindi su atto di acquisto,
la posizione dell'acquirente è recessiva, ma viene tutelata anche questa
fattispecie con un secondo strumento: l’exceptio rei venditae e traditae.
Caio paga il prezzo convenuto e Tizio, (sapendo che non ha trasferito la proprietà)
dopo cinque giorni, cita in giudizio Caio con la rei Vindicatio e chiede che gli venga
trasferito il bene in quanto proprietario.
Fino all'intervento del pretore Publicio, da un punto di vista di stretto diritto, Caio
non aveva strumenti proprio perché non aveva applicato i mezzi giuridici volti a
trasferire la proprietà di quel bene.
Una terza ipotesi, sempre in ambito di in bonis habere, è quella del proprietario che
va a riprendere lo schiavo. A differenza della seconda ipotesi analizzata nella quale
Tizio cita in giudizio Caio, nella terza ipotesi l'alienante passa alle vie di fatto,
andando ad esempio a casa di Caio e riprendendosi lo schiavo.
Il pretore assegnerà il bene a colui che aveva acquistato lo schiavo senza Mancipatio.
Viene considerata una tutela sostanziale perché non vi sono gli atti interruttivi del
possesso.
• USUFRUTTO
• SERVITÙ
• ENFITEUSI
• SUPERFICIE
Sono diritti la cui esistenza determina una compressione dei poteri del proprietario da
cui la caratteristica dell'ELASTICITÀ.
Queste servitù sono antichissime, e in una fase arcaica, prima di essere configurate
come diritti di godimento su cose altrui, si riteneva che le servitù fossero la proprietà
della striscia di terra su cui si passava. Quindi si riteneva che il proprietario del fondo
dominante Tizio fosse anche proprietario della striscia di terra che passava sul fondo
altrui. Questa concezione a partire dal III sec. a.C. verrà poi superata e, il diritto di
passaggio viene considerato come diritto di godimento su cose altrui.
Indubbiamente sono presenti delle somiglianze con la figura dei coloni dato che essi
sono connessi al fondo e quindi seguono la sorte del fondo, così come le servitù
seguono la sorte del fondo a prescindere dai vari possibili passaggi di proprietà.
Nei coloni non vi è l'utilità del fondo in senso generale, mentre in questo caso vi è
una stretta connessione delle servitù rispetto all'utilità del fondo e quindi alla
produzione agricola del fondo.
La servitù è determinata dal fatto che in assenza di essa, il fondo dominante sarebbe
gravemente compromesso nelle sue capacità di produzione agricola.
Ad esempio, se questo fondo non avesse accesso alla strada, sarebbe inutilizzabile.
Lo stesso se vi è un fiume che si ferma e non vi è la servitù di presa d'acqua, cioè il
proprietario del fondo non ha il diritto di prendere un secchio d'acqua e portarselo per
annaffiare le sue produzioni. Di conseguenza il fondo diviene inutilizzabile e per
questo è necessario che vi sia un' utilità del fondo.
In età arcaica queste servitù erano così importanti e quindi considerate res mancipi.
Le quattro SERVITÙ RUSTICHE, ovvero le servitù della vita agreste di campagna
sono:
• ITER: era la semplice servitù di passaggio, il titolare del fondo dominante (che
era quindi titolare della servitù di iter) poteva attraversare a piedi il fondo
servente.
• VIA: consentiva sia il passaggio a piedi che con animali e carri di bestiami.
Era quindi la più ampia.
Per costituire queste quattro antichissime servitù rustiche si ricorreva all'atto più
formale che era la Mancipatio. Tuttavia, la servitù può nascere anche sulla base
dell'Usus cioè della ripetizione costante da tempo in memore di un certo
comportamento e in quel caso non vi è nessuna utilità, infatti è una compressione del
diritto di proprietà proprio perché il titolare del fondo servente deve non fare qualcosa
che non potrebbe fare o accettare che il proprietario del fondo dominante svolga
un'attività sul suo fondo che egli avrebbe potuto impedire.
La circostanza che la servitù sia connessa all'utilità del fondo impone anche che i due
fondi siano contigui e se non confinanti almeno vicini.
ESEMPIO:
Fondo A è fondo dominante rispetto a C di una servitù di presa d'acqua, cioè può
andare alla sorgente che c'è in C e prendere l'acqua, ma tra A e C vi è B.
C è una servitù di PRESA D’ACQUA e vuol dire che A può recarsi su C per
prendere l'acqua perché vi è una sorgente. Ma A per arrivare a C dovrà passare su B
per prendere e portare l'acqua e quindi A sarà fondo dominante rispetto a B per una
SERVITÙ D’ACQUEDOTTO.
Se A e C fossero stati vicini ,sarebbe stato sufficiente la semplice servitù di presa
d'acqua, ma siccome c'è un altro pezzo di terra di un altro proprietario c'è bisogno
dell' Acqueductus per portare l'acqua.
non si può avere servitù di una cosa propria (perché in una cosa di mia proprietà ho
già tutti i poteri che discendono dalla servitù).
Il proprietario del fondo dominante acquista il fondo servente e quindi c'è l'estinzione
della servitù, perché viene a coincidere il proprietario del fondo dominante con quello
del fondo servente e quindi c'è questa regola delle res. Non si può quindi avere una
servitù sul bene proprio e di conseguenza la servitù si è estinta.
Esiste anche nel nostro ordinamento un istituto che si chiama “servitù per
destinazione di padre di famiglia”. Ciò significa che se tra due fondi c'è una servitù e
cambia poi il regime di proprietà di uno dei due fondi la servitù permane.
ESEMPIO presente nel nostro codice civile: vi è un fondo unico che viene poi diviso
dal padre di famiglia tra i due figli: TIZIO e CAIO. Tizio ha ottenuto il fondo senza
accesso alla strada ma siccome quei due fondi erano uniti, allora il fondo di Tizio
deve mantenere la stessa condizione che aveva quando era insieme al fondo di Caio e
così facendo tutte le servitù che vi erano risorgono.
In questo caso manca l'atto costitutivo della servitù, ma essa nasce spontaneamente
(per questo vi è la particolarità).
ovvero dalle servitù non può scaturire un'attività di fare in capo al titolare del fondo
servente, quale dovrà O SOPPORTARE O NON FARE. Il diritto di servitù non può
mai consistere in un facere, ma sempre e soltanto in doveri negativi, oppure in un
lasciar fare. A questa regola vi è un’eccezione che si chiama: SERVITUS ONERIS
FERENDI ovvero servitù che porta degli onori.
È la servitù di appoggio della parete, servitù urbane e non rustiche cioè non connesse
all'agricoltura ma servitù che disciplinano i rapporti tra vicini.
ES: una casa che si poggia sul muro del vicino. Colui che subisce l'appoggio è
titolare del bene servente, colui che si appoggia è titolare della casa dominante.
Ecco perché è un’eccezione alla regola: il titolare del bene servente può avere oneri
di fare in positivo.
cioè non si può costituire una servitù sulla servitù. Se un soggetto ha la servitù di
passaggio sul fondo altrui non può costituire sul fondo servente una servitù di
passaggio a favore di un altro.
Parte della dottrina ritiene che il testo riportato sia giunto a noi corrotto, che ci sia
stato un a parte di un amanuense e che la versione autentica sarebbe: USUFRUCTUS
SERVITUTIS ESSE NON POTEST ovvero, il titolare del diritto di usufrutto non può
costituire la servitù sul bene che ha in usufrutto.
Attraverso l'Usus nasceva questo diritto, c he era anche il modo più frequente in cui
nascevano servitù e allo stesso tempo, anche quello che portava a più liti giudiziali,
mentre negli altri modi (quindi con la Mancipatio, in iure cessio, legatum per
vindicationem) vi era un atto.
Essa impediva l'usucapione delle servitù, in quanto erano diventate dei diritti reali su
cose altrui e quindi erano divenute res incorporales e in quanto tali non si potevano
possedere e conseguentemente neanche usucapire. Sarà poi Giustiniano che
consentirà anche l'usucapione delle servitù.
Non si possederanno più solo beni materiali res corporales ma si potranno possedere
anche res incorporales.
16/11/2020
La servitù segue il fondo, quindi anche se il fondo viene alienato o viene trasmesso
mortis causa, il diritto di servitù resta ma esistono dei modi di estinzione di questo
diritto:
Se il titolare del bene dominante non si oppone per un determinato periodo di tempo (
forse per due anni ma non vi sono certezze su ciò ), il bene servente veniva liberato
dalla servitù. Fondamentalmente questo modo di estinzione della servitù è simile al
non usus perché anche in questo caso il titolare della servitù non la utilizzava, non
opponendosi in questo caso.
DIRITTO DI USUFRUTTO
Oggi la definizione nel nostro codice civile è la medesima. L’usufrutto può sussistere
su beni inconsumabili che possono essere anche beni fruttiferi (proprio perché se ne
possono percepire i frutti).
A seguito della costituzione del diritto di usufrutto il proprietario del bene diventa
NUDO PROPRIETARIO ( NUDUS DOMINUS ), espressione con la quale si vuole
rendere evidente che il proprietario non ha alcuna facoltà di quelle proprie di un
titolare di un diritto di proprietà su un bene ad eccezione della possibilità di alienare il
diritto di proprietà, che però è l’alienazione della nuda proprietà.
Il dominus non potrà amministrare e gestire il bene, avrà soltanto l’aspettativa che
terminato l’usufrutto egli rientri nella piena disponibilità del bene e che quindi da
Nudus Dominus torni ad essere dominus a pieno titolo (una delle caratteristiche della
proprietà è l’elasticità: in presenza del diritto di usufrutto è molto compressa infatti il
proprietario può soltanto vendere il diritto ma venuto meno ciò il diritto di proprietà
si espande nuovamente).
L’usufruttuario può utilizzare il bene con una limitazione: farne l’uso del BUON
PADRE DI FAMIGLIA, espressione usata tutt’oggi per indicare quelli che sono i
criteri di ragionevolezza, buona fede e correttezza.
Nelle prime fasi del diritto romano, per vincolare l’usufruttuario a comportarsi
secondo le regole che ispirano il buon padre di famiglia, al momento di costituzione
dell’usufrutto veniva stipulata tra il nudo proprietario e l’usufruttuario, una garanzia (
CAUTIO ) di utilizzare e fruire del bene secondo i criteri del buon padre di famiglia
rimessi all’arbitrio del buon uomo (ARBITRIUM BONI VIRI).
LIMITI DELL’USUFRUTTUARIO:
Sarà solo Giustiniano che renderà questa regola più elastica ammettendo la
possibilità di migliorare la natura del bene dato in usufrutto.
Prima l’usufruttuario che avesse modificato la natura economico sociale del bene
incorreva in una responsabilità, che in origine corrispondeva alla garanzia che
avevano stipulato le parti e successivamente la somma di denaro da versare nei
confronti del nudus dominus venne stabilita dal pretore. La responsabilità più
alta poteva arrivare all’estinzione del diritto di usufrutto ma ciò che accadeva
più abitualmente era che rispondesse con la garanzia che aveva prestato
attraverso la Cautio.
ES: la fattispecie consiste in un usufrutto di 100 pecore per 10 anni nella quale ne
muoiono 15 e ne nascono 20. I frutti saranno soltanto 5 perché prima si dovrà
sostituire (SUMMISSIO) i 15 morti e i capi eccedenti costituiranno i frutti.
Le pecore però danno vita ad ulteriori frutti che possono essere il latte, la lana, la
carne e nell’ipotesi della carne dei capi premorti, in quanto frutti spetteranno
all’usufruttuario.
Se lo schiavo acquista dei beni a titolo gratuito o senza svolgere nessun lavoro
(come nel caso dell’acquisto del tesoro ) i beni saranno del nudus dominus.
Questa possibilità viene ammessa, perché assai spesso veniva costituito un usufrutto a
favore di determinati soggetti che comprendeva sia beni consumabili che
inconsumabili, questo perché uno dei modi di costituzione dell’usufrutto è il legato
per Vindicationem, quindi il soggetto che stava per morire lasciava alla moglie non
solo l’usufrutto della casa ma anche quello su beni consumabili (fondamentalmente il
denaro ).
Per lungo tempo si ritenne che questo usufrutto non fosse valido ma successivamente
i giuristi romani introdussero la possibilità che si potessero dare in godimento anche i
beni consumabili, che chiamano QUASI USUFRUTTO e si richiede che
l’usufruttuario presti una garanzia con la quale si obbliga a restituire al termine
dell’usufrutto il TANTUNDEM EIUSDEM GENERIS ovvero la restituzione degli
stessi beni nella stessa quantità e nello stesso genere al nudus dominus.
DIRITTO D’USO
I Romani introdussero una figura affine all’usufrutto che è il diritto d’uso che
coincide con l’usufrutto salvo che l’usuario non possa percepire i frutti.
· MORTE DELL’USUFRUTTUARIO.
Sono due diritti molto invasivi, in quanto coloro che li detengono hanno gli stessi
diritti del proprietario del bene, al quale rimane il diritto a percepire un canone (
CANONE SUPERFICIARIO o CANONE ENFITEUTICO in base al caso) e
l’aspettativa di rientrare nella piena disponibilità del bene qualora il diritto reale
parziario si estingua.
Nelle fonti medievali si parla anche di dominio utile ( DOMINUIM UTILE ) che
appartiene al titolare dell’enfiteusi o della superficie e di dominio eminente
( DOMINIUM EMINENTE ) che è il diritto del proprietario del fondo proprio a
sottolineare la quasi perfetta coincidenza tra i due.
DIRITTO DI SUPERFICIE
In origine non è conosciuto dai romani perché vigeva il principio secondo cui tutto
ciò che sta su un fondo appartiene al proprietario del fondo medesimo, quindi non si
poteva distinguere tra proprietario del fondo e proprietario di ciò che sorgeva sul
fondo. Ma con lo sviluppo dell’attività edilizia si pone l’esigenza di distinguere tra le
due figure ed è a partire da questo momento che nacque il diritto di superficie.
DIRITTO DI ENFITEUSI
Anche il diritto di enfiteusi nacque molto tardi, nel 480 d.C. (fine V secolo d.C.) ad
opera dell’imperatore Zenone che promulgò una costituzione nella quale disciplinò
questo istituto.
L’enfiteusi nasce a partire dalla concessione perpetua del Populus Romanus dei fondi
patrimoniali (FUNDI PATRIMONIALES ) affinché il concessionario potesse
usarli, coltivarli e migliorarli: erano appezzamenti di terra che rientravano nei beni
dello Stato (RES CAESARIS) e nei beni del patrimonio personale del principe (RES
PRIVATA PRINCIPIS).
In origine non vi era un actio in rem che difendesse il titolare del diritto di enfiteusi
contro tutti i terzi, ma ben presto fu Zenone a stabilire che il diritto di enfiteusi
potesse anche essere alienato a terzi.
17/11/2020
La fattispecie è quella di un soggetto creditore al quale viene dato un bene nel caso in
cui la prestazione non venga adempiuta. Se appunto questa prestazione non viene
adempiuta, il creditore potrà soddisfare la sua pretesa creditoria attraverso quel bene
che gli è stato consegnato.
Quindi, il soggetto titolare del diritto reale di garanzia è allo stesso tempo anche
soggetto creditore.
Se un soggetto non costituisce questi diritti reali di garanzia, cosa può fare a fronte
dell’inadempimento? L’art.2740 del nostro Codice Civile ci dice che ognuno di noi
risponde delle proprie obbligazioni con tutto il proprio patrimonio. Il diritto reale di
garanzia offre un qualcosa in più, cioè c’è un bene espressamente dedicato a quel
debito. Si pone soprattutto in presenza di più creditori, perché in questo caso, se non
si è costituito un diritto reale di garanzia, vige un principio cosiddetto della PAR
CONDICIO CREDITORUM, cioè tutti i creditori hanno diritto di rifarsi del
proprio credito.
In caso di più beni in pegno o ipotecati i primi ad essere presi saranno quelli più
facilmente liquidabili ( vendibili ) e con maggior valore. In caso di usucapione e
ipoteca la prima non può essere svolta; l’immobile non può quindi essere usucapito.
L’ ipoteca scatta immediatamente quando le due parti la costituiscono e termina
quando avviene l’adempimento dell’obbligazione.
PIGNUS DATUM
È la forma più antica di diritto reale di garanzia a Roma. È un diritto reale di garanzia
che implicava (proprio perché non vi era una smaterializzazione del diritto di
proprietà) la consegna del bene.
Ma il creditore che otteneva la consegna informale del bene, non aveva la proprietà
su di esso, ma aveva la semplice disponibilità materiale, quindi si trovava in una
posizione di tipo possessorio.
In una prima fase il creditore aveva (a tutela di questo possesso) a disposizione solo
degli interdetti del pretore. Nel I secolo a.C. invece, viene applicata anche all’ipotesi
del pegno dato, l’ACTIO SERVIANA, un’azione erga omnens che aveva la finalità
di consentire al creditore di mantenere, conseguire o recuperare il possesso del bene.
Chi è che può costituire il pegno? Ovviamente il proprietario del bene (ES. il
soggetto che è il proprietario della casa).
Ma può costituire il pegno anche il titolare dell’In Bonis Habere. (ES. se un soggetto
ha comprato uno schiavo con la traditio, può dare in pegno quello schiavo.)
Può accadere che un soggetto costituisca un pegno sullo stesso bene a favore di più
creditori, per questo motivo i romani elaborarono delle regole che valgono tutt‘oggi e
che gestiscono un pegno a favore di più creditori:
Ci si chiedeva come in concreto il creditore, che non era proprietario del bene, ma ne
era in possesso, poteva effettivamente soddisfare la sua pretesa creditoria.
Nel diritto romano sono conosciuti due strumenti: la LEX COMMISSORIA e il IUS
VENDENDI, che avevano la finalità di garantire l’escussione del bene, cioè fare in
modo che attraverso i beni, il creditore soddisfacesse la sua pretesa creditoria.
ES. il debitore aveva dato a garanzia del suo debito di 100 euro, un anello di 200
euro. A seguito dell’inadempimento il venditore vendeva l’anello e otteneva
200 euro. Di questi 200 euro poteva trattenere per sé solo i 100 euro che
servivano per soddisfare il debito, e doveva restituire la parte eccedente al
debitore.
LE OBBLIGAZIONI
Rientrano per Gaio tra le res incorporali, e l’obbligazione è un diritto relativo che può
farsi valere solo con determinati soggetti con cui si ha un contratto, e che implica la
collaborazione del debitore per il soddisfacimento delle aspettative del creditore.
ES. se un soggetto è creditore di 100 euro, per vedere soddisfatta la sua aspettativa, il
debitore deve concedere al creditore 100 euro. Senza la collaborazione non si può
conseguire il soddisfacimento della propria aspettativa.
18/11/2020
LE OBBLIGAZIONI
Gaio e i giuristi di epoca classica elaborarono un sistema articolato delle fonti delle
obbligazioni e questo sistema sarà poi definitivamente messo a punto dall’imperatore
Giustiniano.
Tuttavia, prima di Gaio l’esperienza giuridica romana aveva già attraversato i secoli
(infatti dalle XII tavole a Gaio vi sono circa 700 anni).
Nella fase più arcaica del diritto romano le fonti delle obbligazioni erano due:
· CONTRATTI o ATTI LECITI.
Si deve capire cos’è successo prima dei 700 anni (partendo almeno dalle XII tavole e
arrivando circa al II secolo d.C.) e capire quindi se in un ordinamento giuridico nasca
prima la fonte di obbligazione atto illecito o la fonte di obbligazione atto lecito.
Ciò non vuol dire che si debba stabilire se nasca prima l’atto illecito o l’atto lecito ma
soltanto quali di questi due fatti per primo divenne fonte di obbligazione.
In una prima fase in cui vi è una poca diffusione dei traffici commerciali non
occorreva una disciplina degli scambi viceversa è attestato che si producessero delle
conseguenze giuridiche negative qualora uno dei consociati violasse una delle regole
relative ai rapporti personali o al regime di appartenenza dei beni e proprio la lesione
di uno di questi aspetti in una fase arcaica dava nascita agli atti illeciti.
Si può affermare che le fonti più arcaiche di obbligazione sono gli ATTI ILLECITI (i
delitti) però anche qui va posta attenzione su un preciso excursus storico su cui
peraltro sono pervenuti alcuni testi delle XII tavole che consentono di cogliere il
passaggio tra le diverse fasi.
E’ una fase primordiale in cui il diritto è ancora in via di formazione ma ciò durerà
poco perché ben pesto sopravvenne in tutte le società antiche l’idea della
PROPORZIONALITÀ cioè l’idea per cui se un soggetto avesse subito una certa
offesa avrebbe potuto vendicarsi con un offesa di pari misura ed è proprio questo
principio che sta alla base della LEGGE DEL TAGLIONE ( le cui prime
attestazioni risalgono al codice di Hammurabi del 1200 a.C. e delle possibili tracce vi
sono anche nelle sacre scritture) .
Già l’idea della proporzionalità manifesta un passo in avanti rispetto alla vendetta
privata in cui un soggetto che ha subito un’offesa può rispondere senza dover tener
conto della necessaria proporzionalità dell’offesa ricevuta ma ovviamente ancora con
questa legge si resta in un ambito di vendetta privata e anche questa fase
presupponeva in qualche misura un’esistenza molto labile del diritto.
Ben presto nelle società primitive prevarrà l’orientamento che questi fenomeni
debbano essere disciplinati da TERZI, quindi, irrompe lo Stato (per utilizzare
l’elaborazione di Hobbes irrompe il “Leviatano” che disciplina le controversie tra
privati).
Nel diritto romano è anche conservato un passaggio simbolico nelle forme più
arcaiche del processi,( PROCESSO PER LEGIS ACTIONES ) la LEGIS ACTIO
SACRAMENTO IN REM ( sorta di rappresentazione teatrale ) in cui si osserva
questa scena nella quale i due contendenti relativamente rispetto a una res ( ES: uno
schiavo ) iniziano a contendersi fisicamente, ad afferrare la RES LITIGIOSA finché
non interveniva il pretore dicendo “MITTITE AMBO HOMINEM” ( lasciate
entrambi l’uomo).
Tutto ciò è simbolo dell’intervento dello Stato, quindi di un potere terzo che
disciplina le controversie tra privati.
Vi sono anche qui delle tappe per cui lo Stato non interverrà immediatamente
fissando delle regole processuali e superando del tutto la vendetta privata, perché
sempre nelle XII tavole e in particolare in una norma relativa al MEMBRUM
RUPTUM (amputazione di un arto ) si stabilì che il soggetto che avesse arrecato
un’offesa ( come poteva essere l’amputazione di un arto) poteva provare ad offrire
del denaro alla soggetto offeso e le parti avrebbero dovuto trovare in questo caso un
accordo sulla somma: ciò viene indicata con il nome di COMPOSIZIONE
VOLONTARIA che impone alle parti di provare a trovare un accordo rispetto
all’offesa che uno ha arrecato all’altro (non impone quindi una soluzione alla
controversia ) ma se le parti non dovessero trovare quest’accordo, dicono le XII
tavole in un versetto decemvirale:
Tuttavia, anche questa fase verrà superata e il taglione resterà soltanto un antico
ricordo.
Si arriverà alla COMPOSIZIONE LEGALE (si chiama così perché è la legge che
impone direttamente la somma da versare e quindi non vi sono le parti che devono
trovare un accordo ) e sempre all’interno delle XII tavole vi è una altro versetto
relativo allo OS FRACTUM ( frattura di un osso ) in cui si stabilì già direttamente
(quindi è lo Stato che stabilirà ciò ) quanto l’offensore debba versare all’offeso per
l’ipotesi in cui un soggetto abbia rotto un braccio ad un altro.
Con questa composizione la legge del taglione e la vendetta privata vennero espulsi
dall’ordinamento giuridico e si verifica l’alba di un ordinamento giuridico compiuto
che è appunto quello che nasce a Roma con le XII tavole).
Questo è fondamentalmente l’ordinamento precedente alle XII tavole e con esse resta
solo un’ipotesi residuale di taglione ma che uscirà definitivamente anche ‘essa
dall’ordinamento.
Nelle XII tavole sono già menzionate alcune forme di contratto e nel momento in cui
inizieranno a svilupparsi i traffici commerciali, nacque l’esigenza di creare strumenti
giuridici che fornissero delle regole per questi scambi.
• VADIATURA
• PREDIATURA
• NEXUM
• SPONSIO
Si presuppone quindi che il Nexum appartenesse a una fase nella quale esisteva già
una forma seppur primordiale di moneta e quindi si era superata la mera fase di
baratto.
Infine, la SPONSIO è la prima vera e propria forma di contratto inteso come oggi.
Nasce inizialmente anch’essa come una forma di garanzia prestata da un soggetto, lo
SPONSOR ( che non era colui che aveva contratto l’obbligazione ma un soggetto
che si prestava a garantirla ) ma successivamente non vi fu più un nuovo soggetto che
garantisse per il debitore ma era il debitore stesso che si obbligava a compiere una
determinata prestazione attraverso il pronunciamento di parole solenni.
Gaio afferma secoli dopo nelle Istitutiones che le obbligazioni nascessero da delitto o
da contratto.
Si pose il problema di dove collocare la INDEBITI SOLUTIO che era il pagamento
effettuato per sbaglio di una somma non dovuta. In questo caso, al fronte di un
pagamento non dovuto, sarebbe nata l’obbligazione che colui che avesse ricevuto il
pagamento restituisca la somma.
Gaio afferma che non avrebbe potuto collocarla né tra i delitti dato che non era un
atto illecito né tra i contratti dato che il soggetto che pagava non avrebbe voluto
costituire un’obbligazione ma piuttosto estinguerla seppur non esistesse.
· CONTRATTO
· DELITTO
Quindi sono una categoria residuale dove confluiscono tutte quelle fonti delle
obbligazioni non inquadrabili tra i contratti e tra i delitti. Gaio afferma che tra
esse rientrino fattispecie simili ai contratti e fattispecie simili ai delitti.
Tutt’oggi l’art 1173 c.c. afferma che le obbligazioni nascano da contratti, atti
illeciti e da tutti gli altri atti o fatti idonei a produrle.
• CONTRATTI
• QUASI CONTRATTI
• DELITTI
• QUASI DELITTTI
• CONTRATTO -CONTRATTI
-QUASI DELITTI
• REALI
• VERBALI
• LETTERALI
• CONSENSUALI
CONTRATTI
REALI: VERBALI:
• COMODATO -NEXUM
• PEGNO -SPONSIO
——————————————————————————————————
LETTERALI: CONSENSUALI
• SINOGRAFI -COMPRAVENDITA
• CHIROGRAFI -LOCAZIONE
-MANDATO
-SOCIETA’
——————————————————————————————————
Sono di scarsa importanza perché a Roma la scrittura per gli atti giuridici fu molto
tarda e non vennero molto utilizzati. Venivano per lo più dal mondo orientale.
Questi tipi di contratti sono sostanzialmente delle scritture contabili, dei REGISTRI
CONTABILI nella quale si scriveva chi dovesse qualcosa a qualcuno e a fronte di
questa scrittura vi era la firma del debitore.
I DELITTI si articolavano in :
· INIURIA
· VOTUM: promessa ad una divinità per l’ipotesi in cui essa arrechi un qualche
beneficio.
(Nel nostro ordinamento giuridico è simile a chi cerca il proprio cane sparito e in
cambio del suo ritrovamento pone una ricompensa, quindi quella persona è
giuridicamente tenuta a dare quei soldi ).
· NEGOTIORUM GESTIO: gestione d’affari altrui.
ES: Un soggetto lancia una pietra dalla finestra che uccide uno schiavo altrui.
CONTRATTI
Nascono dopo i delitti. Essi sono degli accordi tra due o più parti volto a costituire,
modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art.1321 c.c.).
Nella Roma post decemvirale ( dopo le XII tavole ) vi furono pochi contratti perché
essi sono legati all’esigenza degli scambi commerciali ( maggiori sono gli scambi
commerciali maggiore sarà il numero di esigenza dei contratti ).
Oggi tutto ciò non avviene perché l’articolo 1322 del Codice Civile, stabilisce che le
parti possano versare nel contratto qualsivoglia assetto di interessi purché si
perseguano interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico salvo
che siano contrarie all’ordine pubblico, al buon costume, norme imperative.
ES: Oggi esiste il contratto di LEASING ( una forma di contratto che contiene aspetti
simili alla vendita e simili alla locazione ma non è nessuna delle due) e il
FACTORING i quali in origine non erano previsti dall’ordinamento, ma le parti
potevano comunque stipularlo in via dell’articolo 1322 perché perseguiva interessi
meritevoli di tutela. Questi tipi contratti divennero molto frequenti, perciò intervenne
una legge speciale dell’ordinamento che individuò delle regole del LEASING e del
FACTORING.
A Roma iniziò a cambiare ciò intorno al I secolo d.C. perché cominciarono ad esservi
i CONTRATTI INNOMINATI (a fianco dei contratti espressamente previsti furono
ammessi i contratti che si caratterizzavano per questi comportamenti) cioè attraverso
essi le parti poterono integrare quattro schemi contrattuali:
Dunque, per Aristone, era sufficiente che vi fossero obbligazioni reciproche anche se
queste scaturissero da atti diversi dai contratti in astratto previsti e non presentassero
lo schema dei contratti innominati (do ut des ...) : per questo era una impostazione più
ampia.
Il Mutuo:
E’ un contratto reale, in cui il consenso si manifesta attraverso la datione materiale
di un bene, che nel caso del mutuo deve avere una particolare caratteristica: deve
essere un bene fungibile e quindi, in linea generale, il mutuo ha ad oggetto una
somma di denaro. E’ un contratto unilaterale e a titolo gratuito.
Unilaterale in quanto l’obbligazione sorge soltanto in capo al mutuatario, cioè colui
che riceve la somma di denaro. L’obbligazione è quella di restituire la somma di
denaro. Il mutuo romano è anche a titolo gratuito, differentemente dalle regole
odierne; non consentiva infatti la previsione di interessi, pertanto il mutuatario
doveva restituire il Tantundem Eiusdem Generis ( la stessa quantità dello stesso
genere di bene ). Il mutuatario inoltre otteneva la proprietà dei beni; questo è un
aspetto importante. Se avesse restituito uno somma inferiore si considerava che la
quota non restituita rientrasse nell’ambito di una donazione. Perché il mutuo nasce in
questo modo a Roma ? Perché probabilmente nasce come prestito di derrate
alimentari tra pater familias, nell’ambito di un’economia agricola; molto
probabilmente inoltre chi aveva beneficiato del mutuo avrebbe prestato ad altri e così
via. Tuttavia quando si diffonde il prestito monetario la situazione cambia: il mutuo
resta sempre un contratto a titolo gratuito ( non ci poteva essere una clausola che
prevedesse interessi per il mutuatario ), ma i giuristi romani affiancano al contratto di
mutuo un altro contratto che si chiama Sponsio; questo è un contratto verbale che in
questo caso colui che riceveva la somma di denaro prometteva di dare una certa
somma di denaro a titolo di interessi al mutuatario. Sappiamo che i romani provarono
ad imporre un limite a questi interessi: un primo limite è previsto nelle 12 tavole, ma
non siamo in grado di stabilirne la misura. Probabilmente poteva essere l’1% al mese,
ma in un contesta in cui l’anno comprendeva 10 mesi. Abbiamo notizie precise
rispetto ai limiti previsti nell’eta del principato: il limite era l’1% al mese, cioè 12%
all’anno; questo limite massimo operava qualora le parti avessero stipulato la sponsio
senza indicare l’entità degli interessi, salvo che non operasse il cosiddetto Mos
Regionis ( il costume di una località ); se in questo caso vigeva un’altra disciplinata
degli interessi si sarebbe applicata quella sempre che non eccedesse il limiti del 12%
annuo. Qualora le parti avessero pattuito interessi superiori al 12% la sponsio era
nulla e dunque non produceva alcun interesse. In un epoca più tarda alcuni giuristi
ritengano che non sia necessario giungere alla nullità della sponsio, ma la parte
eccedente il limite doveva imputarsi al capitale: la somma eccedente viene
considerata come restituzione del capitale che si aveva avuto a prestito, si scalava
rispetto alla somma che aveva avuto a prestito. L’usura sopra un certo limite diviene
infine un crimen, un reato penale. Da segnalare che il cristianesimo è contrario al
prestito con interessi e quando divenne religione egemone nell’Impero Romano gli
unici che prestavano ad interessi erano gli ebrei. Questa è una ragione per la quale
l’imperatore Costantino sarà il primo ad introdurre l’usura come crimine. Qualora il
mutuatario non avesse restituito la somma di denaro il mutuante aveva un’azione
civile per citarlo in giudizio chiamata Actio Certae Creditae Pecuniae ( credito di
somma certa ) o Actio Certae Rei qualora il mutuo avesse avuto per oggetto un bene
differente da una somma di denaro.
Ci sono 3 ipotesi particolari di mutuo, in quanto sono le uniche ipotesi in cui il mutuo
prevede automaticamente degli interessi, senza prevedere la stipulazione della
sponsio:
-Il mutuo concesso da città: non sappiamo per quale motivo, probabilmente per
ragioni di pubblico interesse.
-Mutuo di derrate alimentari: gli interessi si giustificavano per i rischi del prestito
stesso.
-Fenus Nauticum ( detto anche Pecuniam Traiecticia ): prestito per imprese
marittime: anche in questo caso era elevato il rischio cui andavano incontro un
mutuante ( l’imbarcazione che doveva portare degli schiavi affonda e muoiono tutti e
colui che aveva preso in prestito la somma non è più in grado di ripagarla ). Solo in
questo caso gli interessi non sono limitati al 12%, ma sono rimessi al libero accordo
tra le parti.
Il Comodato:
E’ un contratto reale di diritto delle genti il cui consenso si manifesta con la
datione del bene. Il comodato è quel contratto in forza del quale una parte, il
comodante, consegna all’altra, detta comodatario, un bene inconsumabile e quindi
tendenzialmente infungibile, affinchè il comodatario ne faccia l’uso pattuito tra le
parti e lo restituisca al termine pattuito o a richiesta del comodante. Il comodatario ha
il bene in detenzione perché non ha l’Animus Possidenti, sa che il bene non è suo; il
comodato si chiama anche prestito d’uso. Elemento fondamentale è che la res sia
inconsumabile perché alla fine del contratto deve essere restituita. I romani
ammettano anche il comodato di beni consumabili o fungibili Ad Pompam, quindi
non per usarlo per la sua destinazione economico-sociale, perché al termine del
contratto quei beni devono essere restituiti. Altro elemento fondamentale è la sua
gratuità, perché se fosse prevista una somma di denaro il bene si avrebbe in locazione
e non in comodato. Il comodato è imperfettamente bilaterale: vuol dire che le
obbligazioni nascono necessariamente in capo ad una delle parti ( quello di restituire
il bene ) ma, a differenza del mutuo, vi può essere l’eventualità in cui l’obbligazione
sorga anche in capo al comodante ( mentre ho il bene in comodato devo affrontare dei
costi di gestione straordinaria che devono poi essere rimborsati dal comodante ).
La responsabilità del comodatario, per comprendere la quale dobbiamo avere
riguardo per la Utilitas Contraentium ( quale delle parti trae maggiore giovamento dal
contratto ); i giuristi romani dicono che in questo caso il contratto è concluso
nell’esclusivo interesse del comodatario, sul quale quindi deve gravare una maggiore
responsabilità; sarà infatti chiamato a rispondere per dolo, per colpa, per colpa lieve e
per custodia, quindi sia che egli distrugga il bene, sia che esso venga distrutto per una
sua azione imprudente e negligente, sia che il bene sia stato distrutto da un terzo dato
che doveva custodire il bene. Qualora abbia utilizzato il bene per un uso diverso da
quello pattuito tra le parti in primo luogo si risponde per Furto d’Uso ma soprattutto
si risponde anche se, nell’ambito di questo utilizzo diverso da quello stabilito, il bene
venga distrutto per caso fortuito o forza maggiore.
Il comodato in origine non era dotato di un’apposita azione processuale. Il comodante
doveva quindi far ricorso alla Rei Vindicatio, nella quale però bisogna provare
sempre il titolo di proprietà. Il pretore intorno al II secolo a.C. introduce l’Actio
Comodati, con la quale il comodante doveva semplicemente dimostrare l’esistenza
del contratto tra le parti.
Il Deposito:
E’ un contratto reale di diritto delle genti e a titolo gratuito, imperfettamente
bilaterale con il quale una parte, detta depositante, consegna all’altra, detta
depositario, un bene affinchè il depositario lo conservi e lo restituisca al termine
convenuto o a richiesta del depositante. Il rapporto tra il depositario e la res sarà la
detenzione perché il depositario sa che il bene non è suo, ma del depositante. Anche
in questo la gratuità è un elemento essenziale; se fosse previsto il pagamento di una
somma di denaro si parlerebbe di Locatio Operis. Il depositario ha la custodia del
bene ma non la custodela. Rispetto alla tipologia di res che possono essere oggetto di
deposito non vi è una precisazione: si può dare anche un bene fungibile ma non si
deve poi restituire un genere uguale ma non lo stesso ( una banconota da 5 qualsiasi ),
bisogna invece restituire lo stesso bene ( la stessa banconota da 5 ). Se il depositario
utilizza il bene viene integrata la possibilità del Furto Musus. In questo caso però è il
depositante a trarre giovamento dal deposito, infatti il depositario risponde per dolo o
colpa grave. Le parti possono però fissare dei criteri diversi di risponsabilità. Il
contratto è perfettamente bilaterale perché vi è l’obbligazione di restituire il bene, ma
qualora il depositario abbia dovuto effettuare delle spese, stavolta anche di ordinaria
amministrazione, il depositante dovrà rimborsare quelle spese. Qualora il depositario
non restituisca il bene sarà tenuto a dare al depositante il valore del bene. Esistono
anche delle ipotesi particolari di deposito:
-Deposito necessario: si ha quando il depositante, in una situazione caratterizzata da
calamità, consegna i beni ad un soggetto che però non può scegliere, praticamente il
primo che incontra, affinchè li conservi fino al superamento della situazione di
pericolo. Qualora il depositario non restituisca il bene sarà tenuto a dare al
depositante il doppio del valore del bene.
-Sequestro conservativo: si ha quando le parti di una lite consegnano la res litigiosa,
oggetto della controversia, ad un terzo soggetto di reciproca fiducia affinchè la
conservi e la consegni al termine della lite al soggetto che ne risulta vincitore.
-Deposito irregolare: è alla base del deposito bancario. In questo caso oggetto del
deposito è una somma di denaro, ma a differenza del deposito regolare che pure può
avere ad oggetto una somma di denaro, in questo caso il depositario sarà costretto a
restituire non le stesse monete, come nel deposito ordinario, ma semplicemente la
stessa somma di monete; ciò implica che il depositario può anche usare quelle
monete. Qua si rischia però di confondersi con il mutuo, essendo la situazione di fatto
uguale; in questo caso però l’utilità è del depositante, cioè di colui che deposita i
soldi, mentre nel mutuo il vantaggio va a colui che riceve i soldi, cioè il mutuatario.
Inizialmente si doveva solamente restituire la somma ricevuta. Solo successivamente,
quando ci sarà la possibilità al depositario di investire quei soldi dati in deposito, si
consentirà di riconoscere un interesse al depositante, che all’origine va concordato
attraverso la Sponsio, mentre in epoca più tardi il deposito irregolare produrrà
automaticamente interesse, senza quindi il bisogno di stipulare la Sponsio.
L’attività bancaria a Roma fu piuttosto fiorente, soprattutto con l’imperatore
Commodo, tanto che conosciamo la vicenda di un crack bancario simile a quello
della Liman Broders nel 2008.
Pegno:
Diritto reale di garanzia. In questo caso però lo studiamo come contratto reale;
può essere un contratto reale perché le parti, a garanzia di una precedente
obbligazione o debito, possono pattuire di consegnare un bene e il consenso si
perfeziona al momento della consegna del bene. In questo caso il debitore del
rapporto garantito e principale è creditore del contratto di pegno, perché è colui che
consegna il bene e che ha il diritto di vedersi restituito il bene non appena abbia
estinto l’obbligazione principale. Il pretore, per tutelare le ragioni del creditore
pignoratizio ( colui che ha dato il bene in pegno ma che era debitore di un precedente
rapporto tra le stesse parti ) crea un’azione chiamata Actio Pignoraticia In Personam;
se dopo aver pagato il debito della prima obbligazione e non aver però ricevuto
indietro il bene dato in pegno con quest’azione potrà o ricevere il bene
precedentemente dato in pegno o il valore corrispondente al bene. In attesa della
restituzione del bene sarà quindi il creditore del contratto principale a divenire
debitore del contratto di pegno.
24/11/2020
Sponsio: il più importante contratto verbale, è antichissimo tanto che è già attestato
dalle 12 tavole. Nasce in un contesto religioso e molti pensano che in origine fosse la
promessa di un sacrificio ad una divinità. Si caratterizzava per la pronuncia di parole
solenni, formule specifiche che dovevano essere pronunciate nell’ambito di un
dialogo tra due soggetti che si svolgeva con una domanda e una risposta contestuali e
dall’impiego del medesimo verbo, impiegato quindi sia nella domanda che nella
risposta: “ centum mihi dari spondes” cui si rispondeva “spondeo”. Questa all’inizio
era l’unico modo per stabilire un contratto reale, e le parti per cautela portavano con
loro dei testimoni. Intorno al 3-4 secolo il novero per stipulare la sponsio fu ampliato
e ben presto fu consentito l’impiego di tutti i verbi che avevano come significato una
promessa, tuttavia l’unica forma valida per i cittadini romani era quella con il verbo
Sponsio, gli altri verbi potevano essere usati tra pellegrini o tra romani e pellegrini.
Intorno al I secolo a.C. la sponsio cambia nome e viene chiamata Stipulatio; cambia
però semplicemente che tutti i verbi che stavano a significare una promessa potevano
ora essere usati anche dai romani. La Sponsio è un contratto unilaterale, perché
l’obbligazione nasce soltanto a carico di chi risponde, di chi promette e a favore di
chi chiede. E’ inoltre un contratto astratto, ciò vuol dire che essa può avere qualsiasi
contenuto. In origine probabilmente il contenuto poteva essere solamente
l’obbligazione di dare una somma di denaro o un bene. In quel tempo colui che aveva
ricevuto la promessa aveva un’azione chiamata Actio Certae Creditae Pecuniae
qualora la promessa vertesse su una somma di denaro o l’Actio Certae Rei se la
promessa vertesse su un bene specifico. Successivamente fu ammessa anche
l’obbligazione di fare, in questo caso veniva concessa un’azione chiamata Actio
Incerti. In epoca più tarda, intorno al 2-3 secolo d.C. cambiò molto e Ulpiano ci dice
che a fronte della domanda di Stipulatio si poteva semplicemente rispondere di si,
senza più dire “prometto”; non serviva quindi usare lo stesso verbo sia per la
domanda che per la risposta. Sempre in questo periodo inizia a prevalere l’impiego di
documenti scritti, quindi spesso la promessa veniva scritta in un documento, senza
però scrivere più la domanda. A questo punto i giuristi romani affermano che in
presenza di un documento, dal quale risulti una promessa verso un soggetto specifico,
si deve presumere che vi sia stata la domanda, salvo che vi siano evidenze che non vi
è stata la domanda ( si tratta quindi di una presunzione semplice e non di una
presunzione assoluta ).
Ultimi 3 contratti verbali, che però conosciamo molto poco:
-Promissio Iurata Liberto: è un contratto uno-loquente e viene posto in essere
dal liberto prima di essere manomesso ( quando è ancora schiavo ). Se non ci fosse il
giuramento sarebbe un’obbligazione naturale e dopo la manomissione il patronus non
avrebbe strumenti per garantire la prestazione del liberto. Bisogna ricordarsi che lo
schiavo non può obbligarsi ma può giurare al cospetto di una divinità.
-Dotis Dictio: verte sulla consegna della dote e questa promessa può essere
formulata dalla donna, dal pater della donna o da un terzo soggetto debitore della
donna, ma deve essere presente o il marito della donna o il soggetto avente la potestà
sul marito della donna, il quale assume un contegno passivo ( manifestazione tacita di
consenso ).
-Nexum: È un contratto verbale molto antico (le notizie su di esso sono
frammentate ) perché vi è la pronuncia di parole solenni (NUNCUPATIO).
L’inserimento di questo contratto all’interno di quelli verbali è un po’ controverso
poiché alcuni ritengono che sia un contratto reale dato che secondo loro questo
contratto si perfezionerebbe al momento del passaggio dell'oggetto del Nexum al
creditore.
In particolare, il Nexum consiste nell'auto assoggettamento di un debitore al creditore
cioè, attraverso questo contratto, un uomo libero che non è in grado di far fronte ai
propri debiti si obbliga a lavorare a favore del creditore per ripagare il debito
medesimo.
Questo tipo di contratto fu eliminato a metà del IV a.C. , ritenuto tra l'altro
socialmente odioso ( alla base della schiavitù per debiti ), con la LEX POETELIA
PAPIRIA a seguito delle lotte plebee che vertevano su tre aspetti ovvero:
Eliminazione del Nexum e cioè della schiavitù per debiti ( il soggetto manteneva
comunque la sua capacità giuridica ma nei fatti era auto assoggettato al potere del
creditore)
· Accesso alle magistrature dato che fino ad una certa fase i plebei non potevano
accedere alle più importanti magistrature
In realtà vi era anche una quarta rivendicazione ma che viene conseguita con la Lex
Canuleia per il superamento di divieto di Connubium tra patrizi e plebei.
Contratti Consensuali:
Contratto Consensuale
-Compravendita ( Empio Venditio ): la funzione economico-sociale della
compravendita, cioè la causa è la definitiva e pacifica consegna del venditore di un
bene a fronte del pagamento di un prezzo. Essa produce effetti obbligatori, obbliga
quindi alla consegna del bene ma non implica il passaggio di proprietà del bene come
accade nel nostro ordinamento, questo perché a Roma non opera il principio del
consenso traslativo, non presente tuttora in alcuni ordinamenti quali quello tedesco e
cinese. Il compratore deve limitarsi a pagare il prezzo. Il prezzo può essere stabilito
attraverso l’indicazione di una somma specifica oppure nel contratto possono essere
individuati dei criteri attraverso cui individuare il prezzo. Vi è anche la possibilità che
le parti rimettano ad un terzo l’individuazione del prezzo. In generale però essa è
rimessa alle parti. Con Giustiniano viene fissato il principio della Laesio Enormis in
riferimento a beni immobili: qualora nella compravendita di un bene immobile fosse
stato pattuito un prezzo inferiore alla metà del valore di mercato del bene la
compravendita sarebbe stata nulla, ma si riconosceva al compratore la possibilità di
integrare la somma del prezzo fino a raggiungere lo Iustum Praetium e dare quindi
validità al contratto. Tutti i beni tranne quelli extra-commercium e anche i diritti
potevano essere oggetti di compravendita.
-Locazione:
-Mandato:
-Società:
In essi il consenso può essere manifestato in qualsiasi modo, oggi verrebbero definiti
contratti a forma libera. Nascono grazie alla giurisdizione del pretore peregrino,
nascono quindi nell’ambito dei rapporti di scambio tra romani e peregrini, ma poiché
si tratta di forme contrattuali caratterizzati da ampia elasticità ben presto vengono
riconosciuti anche dallo Ius Civile, potendo essere così utilizzati anche tra cittadini
romani.
25/11/2020
In origine a Roma non era chiaro se il prezzo dovesse essere una somma di denaro o
se fosse sufficiente corrispondere altre cose, sul punto si sviluppa una discussione:
per i Sabiniani si aveva la compravendita anche laddove ci fosse uno scambio di cosa
contro cosa ( baratto, permuta ) per i Proculiani occorreva necessariamente lo
scambio di cosa contro soldi. Prevale l’impostazione dei Proculiani perché nasce
anche un diverso contratto tipico chiamato permuta, caratterizzato dallo scambio di
cosa contro cosa. Elemento caratterizzante della compravendita sarà quindi la somma
di denaro data in cambio al bene.
Non si possono vendere cose extra-commercium ( la vendita è nulla se vendo la
fontana di Trevi ); in questo caso si pone un problema di responsabilità: ci possono
essere infatti dei beni che possono non sembrare beni extra-commercium, quindi si
può trarre in inganno un acquirente in buona fede. In questo caso, qualora
l’acquirente a seguito della declaratoria di nullità della compravendita sia in grado di
provare la malafede dell’alienante avrà diritto al risarcimento del danno nei limiti
dell’interesse negativo; l’interesse negativo è anche detto Lucro Cessante, vuol dire
che colui che ha comprato la cosa extra-commercium ha perso un guadagno che
avrebbe potuto avere commerciando un altro bene invece della res extra-commercium
( essendo nullo in contratto egli inoltre non perderà mai la somma di denaro pattuita
perché non dovrà corrisponderla all’alienante ).
Può essere oggetto di compravendita una cosa futura, ancora non venuta in essere. Vi
sono però due ipotesi:
-Emptio Rei Speratae: acquisto della cosa sperata. Le parti si accordano sul prezzo
di una cosa che ancora non esiste a condizione che la cosa verrà ad esistenza. Due
parti si accordano sul prezzo per il figlio di una schiavi; la compravendita produrrà i
propri effetti obbligatori solamente se il bambino nascerà. Giuridicamente è una
compravendita sottoposta a condizione.
-Emptio Spei: acquisto della speranza. Tipico contratto aleatorio: sono quei
contratti che presentano un ampio margine di rischio. Per esempio se un soggetto si è
accordato per comprare a 100 sesterzi tutto il pesce pescato da un pescatore e
quest’ultimo non pesca niente, il compratore dovrà comunque corrispondere la
somma al pescatore. Il compratore deve comunque corrispondere la somma pattuita.
Vale anche il contrario: il pescatore potrebbe portare una quantità grandissima di
pesce e dovrebbe comunque venderla per 100 sesterzi, andando quindi a perdere
un’ingente quantità di denaro. Questa pratica è inoltre molto frequente.
LEZIONE 30 NOVEMBRE
LEZIONE 1 DICEMBRE
DELITTI
In diritto romano alcuni fatti illeciti oggi considerati reati e puniti dallo stato, erano
considerati fonti di obbligazione, in quanto si riteneva che a essere leso fosse un
interesse privato. Possiamo anche osservare, in questi delitti, il passaggio dalla
vendetta privata all’intervento dello stato
FURTUM= nasce a tutela della proprietà privata e la prima disciplina de furto si
rinviene nelle XII Tavole. Il furto è l’impossessamento o la mozione di una cosa altrui
contro la volontà del proprietario. Le XII Tavole distinguono due categorie di furto:
- Furtum Manifestum: furto in cui il ladro è scoperto in flagranza, nell’atto di
compiere il furto. Le XII Tavole prevedevano una pena molto pesante; si
prevedeva la fustigazione del ladro, ma soprattutto il ladro sarebbe divenuto un
addictus, in pratica schiavo, del soggetto che aveva subito il furto.
RAPINA= è il furto aggravato dalla violenza; è una fattispecie che nasce per opera
del pretore Lucullo per frenare i furti violenti. Veniva perseguita con un’azione
chiamata Actio Vi Bonorum Raptorum ( azione dei beni presi con la forza ), in
questo caso se l’azione veniva esperita entro un anno il rapinatore veniva
condannato al quadruplum, dopo un anno veniva condannato a restituire la cosa o a
ripagare il valore della cosa.
INIRUIA= offesa contraria al diritto. Gaio ci racconta che nelle XII Tavole erano
previste tre fattispecie di iniuria:
- membrum ruptur: già visto in precedenza; se i due soggetti non si accordano per
il risarcimento del danno vi sia la legge del taglione.
- Os fractum: già visto; in questo caso la legge stabilisce il risarcimento del danno
( 300 assi per uomini liberi e 150 per schiavi ) e non si può più ricorrere al
taglione.
LEZIONE 2 NOVEMBRE
QUASI DELITTI
Sulle ragioni che tengono insieme queste figure si è molto discusso perché non si sa
bene quale sia la ragione che indusse i giuristi a tenere insieme queste 4 figure; si
pensa siano figure di creazione pretoria, mentre altri ritengono che siano ipotesi di
responsabilità per fatto altrui ( si viene quindi a chiamare a rispondere per un fatto
compiuto da un altro ), altra tesi è che si tratterebbe di ipotesi nelle quali si
persegue il responsabile solo a titolo di colpa, ma si può notare che non è così. Si
tratta di una categoria residuale, nel quale vengono collocate tutte quelle figure che
presentano della similitudini con i delitti.
Iude Qui Litem Sua Fecerit ( il giudice che ha fatto propria la lite )= il giudice che
non rispettando le regole procedurali del processo emette una sentenza che arrechi
danno ad una delle parti; si ritiene che sia il giudice che non abbia rispettato le
indicazioni contenute nella formula processuale ( non si tratta di corruzione, perché
questa è un crimine ed è punita con la pena di morte ); si è la precisa volontà di
danneggiare o favorire una delle parti ma non è corruzione perché non vi è l’accordo
tra il giudice e una delle parti.
Actio De Effusi Et Deiectis ( azione delle cose versate o gettate )= questa figura
nasce a seguito della riforma urbanistica a Roma, che porta a costruire i palazzi.
Siamo di fronte ad una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, dato che viene a
chiamato l’habitator della casa, colui che ci abita, chiunque sia stato il soggetto che
ha lanciato il bene dalla finestra ( anche se è stato un amico dell’habitator ).
L’habitator può però agire in rivalsa nei confronti del soggetto che ha accusato il
danno, qualora questo soggetto sia noto. Questa actio comporta le seguenti pene:
-qualora sia stato danneggiato un bene l’habitator viene condannato a pagare il
doppio del valore del bene.
-qualora sia stata ferita una persona o uno schiavo il pretore dovrà valutare il valore
del risarcimento.
-se invece viene uccisa una persona libera è prevista una pena di 50.000 sesterzi.
Qualora l’habitator sia ingrado di dimostrare chi è stato il soggetto colpevole, ad
aver lanciato il vaso ad esempio, dopo aver pagato la somma potrà agire in rivalsa
contro quell’individuo e ottenere la restituzione della somma pagata.
Giustiniano introdurrà poi il tema della colpa e il criterio della responsabilità
oggettiva sfumerà.
Actio De Posito ed Suspenso= qualora io poggi un oggetto su una superficie dove è
facile che cada e alla fine questo cade, per esempio a causa di un colpo di vento,
danneggiando un bene si dovrà prima verificare in concreto il danno, per poi
calcolare l’ammontare del risarcimento. Se si uccide un uomo libero l’ammontare
del danno sarà di 10.000 sesterzi. Anche questa azione in origine viene rivolta contro
l’habitator della casa, è ancora una volta un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui.
In un secondo momento si cercherà di individuare il soggetto che ha lasciato il bene
in un luogo pericoloso. Si tratta di un illecito di pericolo e attraverso un’azione
popolare, esperibile da qualsiasi cittadino, si può agire prima che si verifichi il danno
per chiedere di rimuovere l’oggetto dal luogo di pericolo in cui si trova; se il soggetto
non provvedere a rimuovere l’oggetto viene condannato al risarcimento dei 10.000
sesterzi anche se non si è verificato alcun danno.
Actio Contra Nautas, Caupones Et Stabularios= azione rivolta contro i battellieri, gli
albergatori e gli stallieri. In questo caso essi risponderanno per il danneggiamento o
il furto di una res su cui questi soggetti avevano un obbligo di custodia, chiunque
abbia compiuto l’illecito. Per i giuristi romani esistono infatti due tipi di colpa: la
colpa nell’aver scelto i propri collaboratori e la colpa, la negligenza, nel controllo
delle attività lavorative dei propri collaboratori o sottoposti. In questo caso si è
tenuti a risarcire un danno pari a quello che si è in concreto verificato; il battelliere,
l’albergatore o lo stalliere dovrà versare una somma di denaro pari al valore della
res danneggiata o rubata.
DIRITTO CHE ATTIENE ALLE AZIONI:
La forma più arcaica di processo per Legit Actiones a Roma si caratterizza da una
rigidità formale, dalle parole da pronunciare e per i riti che le parti in giudizio
devono compiere. Era talmente rigido che bastava sbagliare una parola per perdere
la causa, anche se si era nel giusto. Per questo venne sostituito dal Processo
Formulare nel II a.C.; Gaio ci dice che si passa dal litigare con formule specifiche alla
possibilità di litigare con formule meno rigide e concetti astratti, potevano per
esempio descrivere il fatto che era accaduto.
Il processo per Legit Actiones si articola in 5 forme di processo, 3 di cognizione, volto
ad accertare chi ha torto e chi ha ragione, e 2 esecutive, per far si che la sentenza sia
eseguita, qualora la parte condannata non abbia dato esecuzione alla sentenza
spontaneamente.
Legis Actio Sacramento In Rem= serviva per far valere un diritto reale.
Legit Actio Sacramento In Personam= serviva per far valere un credito.
Legis Actio Per Iudicis Arbitrive Postulationem= con essa si chiedeva un giudice, nel
caso si litigasse per un credito nascente da sponsio, oppure un arbitro quando vi era
da risolvere questioni tecniche, in particolare in 4 ipotesi:
- Actio Communi Dividundo= utilizzata per dividere una comunioni di beni di altra
natura, non ereditari ( per esempio i beni di una società ).
- Actio Finium Regundorum= utilizzata per fissare il confine tra campi limitrofi.
- Actio Aquae Pluviae Arcendae= utilizzata per regolamentare il flusso delle acque
tra fondi onde evitare che, ad opera dell’uomo, si alterasse il naturale deflusso
delle acque andando a danneggiare un fondo.
Venne aggiunta successivamente una nuova azione con il nuovo processo.
Legis Actio Per Condictionemlex = introdotta da due leggi, serviva per crediti aventi
ad oggetto certae res ( cose certe ) e certae pecunia ( una somma certa di denaro ).
Azioni Esecutive:
- Manus Iniectio
- Pignoris Capio= serviva qualora un commerciante avesse venduto a credito un
bene e sospettasse che il compratore non fosse più in grado di pagare; in questo
caso il commerciante poteva riprendersi il bene.
Il processo è bi-fasico: viene portato dinanzi al pretore per poi essere portare ad un
giudice che è un privato, il quale accerterà i fatti e decreterà la sentenza seguendo le
istruzioni del pretore.
IUS QUOD AD ACTIONES PERTINET: IL PROCESSO
È la terza parte del manuale di Gaio.
Il processo a Roma conosce varie fasi. La forma più arcaica si chiama:
AZIONI ESECUTIVE:
· MANUS INIECTIO.
ES. un mercante di galli (animali sacri a Esculapio, Dio della medicina) vende un
gallo a un soggetto che lo ha chiesto per fare un volume con la promessa che lo
avrebbe pagato il giorno successivo. Avuto il gallo, lo porta al tempio di Esculapio
per fare il suo voto quindi uccide il gallo. Il commerciante ha il sospetto che
l’acquirente non gli pagherà la somma promessa e quindi può andare e riprendersi
il gallo. È un’azione questa, dice Gaio, che avviene extra ius ossia fuori dal
tribunale.
Il processo formulare come anche quello per legis actiones si caratterizza per
essere un cosiddetto processo bifasico, nel senso che viene istituito davanti al
pretore ma poi viene deciso da un giudice privato (privato cittadino), il quale non
ha un compito giuridico ma deve solo accertare i fatti perché riceve delle
indicazioni dal pretore alle quali si deve attenere.