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CITTADINANZA ROMANA

Altre condizioni di cittadinanza


Nel corso della storia romana la condizione dei singoli o delle popolazioni sottomesse al
potere dell'Urbe poteva essere assai variegata, in base ai diritti e ai privilegi concessi, e la
stessa cittadinanza romana poteva variare, nel corso della storia più antica, a seconda del ceto
di appartenenza e del ruolo sociale. Tuttavia si possono identificare alcune categorie generali,
cioè la condizione di latino, di straniero e di peregrino dediticio.

Cittadinanza latina

La condizione di latino stava a metà tra quella di civis romanus e quella di straniero. La
parola latini inizialmente indicava semplicemente le popolazioni abitanti del Lazio (Latini
prisci), popolazioni che erano vicine a Roma politicamente ed etnicamente. Una volta
inglobate nell'entità romana, si ritrovarono presto in una situazione privilegiata rispetto alle
altre popolazioni sottomesse: in particolare i latini potevano concludere legalmente negozi di
diritto romano, attraverso la concessione del commercium ( = ius commercii ), a cui andava
aggiunto il già citato conubium, cioè il diritto di contrarre matrimonio legale. Altri privilegi
erano legati alle sopraddette facilitazioni nell'ottenimento per merito della cittadinanza
romana. Inoltre i latini che, per qualsiasi motivo si trovassero a Roma nel giorno in cui si
fossero riuniti i comizi, potevano esercitare il diritto di voto (ius suffragii). Nel tempo, lo
status di latino stava genericamente ad individuare una condizione di cittadinanza
privilegiata, ma non quanto quella romana (ancora era inibito l'accesso alle cariche
pubbliche): erano quindi latini anche gli abitanti delle colonie create da Roma (latini
coloniarii) e gli schiavi liberati in particolari circostanze.

Gli stranieri

Inizialmente il termine peregrinus indica l'abitante di una comunità diversa da Roma. Se


questa era in conflitto con Roma, i suoi abitanti non avevano alcun diritto o tutela, in caso
contrario, essi non possedevano comunque la possibilità di concludere negozi validi per il
diritto civile, ma lo potevano fare con i negozi del diritto delle genti, come ad esempio la
compravendita. Naturalmente era loro preclusa la possibilità di partecipare alla vita politica
dell'Urbe. Con l'espansione del dominio romano il termine peregrinus comincia ad indicare lo
status di quelle popolazioni (e quindi dei singoli membri) che si sono sottomesse
pacificamente a Roma e che pertanto mantengono una certa autonomia, le loro leggi e i
costumi, a distinguerlo dalla condizione di peregrinus dediticius.
Gli stranieri arresisi a discrezione

Quello di peregrinus dediticius era lo status concesso ai membri di comunità che si erano
arresi dopo aver combattuto contro Roma, e quindi sottoposte alle condizioni (dediticius:
arreso a discrezione) del vincitore. Essi erano liberi ma sottoposti a limitazioni di vario tipo,
quali ad esempio l'impossibilità di risiedere entro cento miglia da Roma e l'impossibilità di
contrarre mai la cittadinanza romana.

Cittadinanza nella prima età repubblicana

Dopo il crollo della monarchia e la nascita della Repubblica, il controllo del governo romano
fu affidato a una manciata di famiglie aristocratiche, i patrizi (da patres o “padri”). Gli
abitanti/cittadini rimanenti erano i plebei, costituiti sia dai poveri, sia da molti cittadini
abbienti. I plebei iniziarono presto a risentirsi della propria condizione di cittadini di seconda
classe e si ribellarono, esigendo di partecipare agli affari di stato ed esercitando i propri diritti
di cittadini romani. Quando la minaccia di uno sciopero divenne realtà, il compromesso a cui
si giunse (il “Conflitto degli ordini”) portò alla creazione del Concilium Plebis o Consiglio
Plebeo. Questo organo rappresentativo fungeva da portavoce dei plebei attraverso alcuni
tribuni eletti. Il Consiglio Plebeo emanava leggi che inizialmente riguardavano solo i plebei,
ma che con il passare del tempo divennero applicabili a tutti i cittadini, inclusi i patrizi.

Agli albori della Repubblica, al governo romano fu assegnato l’obiettivo primario di evitare il
ritorno di un sovrano. L'autorità era nelle mani di un gruppo di magistrati eletti (consoli,
pretori, questori ed edili), di un Senato e di alcune assemblee più piccole. Questo nuovo
concetto di cittadinanza non significava tuttavia una piena eguaglianza; le differenze tra
patrizi e plebei rimanevano. Nel 450 a.C., con la creazione delle Dodici Tavole, ovvero il
primo codice di diritto romano, furono stabilite le regole che governavano, tra le altre cose, i
rapporti tra le due classi. Con il riconoscimento della cittadinanza, un cittadino viveva nello
stato di diritto e aveva un legittimo interesse nel suo governo. È interessante constatare come
vi fosse questo forte desiderio di votare o, in altre parole, di essere un vero romano (civitas
Romanus sum) e poter dire con orgoglio “Sono un cittadino romano”.

Impero: estensione della cittadinanza


Con l’espansione di Roma e con il suo desiderio di estendere i confini oltre le mura cittadine,
cambiò anche il concetto di cittadinanza romana. Questa espansione introdusse una
questione: come trattare questi nuovi abitanti? Farli diventare cittadini romani? Trattarli come
pari? Sebbene Roma fosse sempre stata una città di immigrati, l’ottenimento della
cittadinanza per un residente era diverso da quello di una persona che viveva al di fuori della
città. Come afferma uno storico, c’era differenza tra il riconoscimento della cittadinanza per
un singolo individuo rispetto a un’intera popolazione. Dopo la conquista dei Latini e dei
Sanniti, emerse la questione dei “diritti” e dei “privilegi”.
Pur rimanendo cittadini delle proprie comunità, questi nuovi alleati pretendevano le stesse
libertà dei Romani. Sebbene usufruissero di molti vantaggi in qualità di alleati, come ad
esempio la protezione dalle invasioni, una quota dei bottini delle imprese militari e la
possibilità di sottoscrivere accordi economici, non erano trattati come veri cittadini della
Repubblica. C’erano anche degli svantaggi, poiché dovevano pagare delle imposte oltre a
fornire soldati; di fatto, nel 100 a.C. l’esercito romano era ormai composto per due terzi da
alleati. Gli alleati appartenevano a una seconda classe non ben definita, chiamata ius Latii →
condizione di “vassallaggio” delle comunità straniere sottomesse a Roma. Questa situazione
era propria delle comunità latine, delle colonie latine che seppur dotate di una propria
autonomia interna, erano subordinate a Roma per tutto ciò che riguardava i rapporti esterni
con altre comunità ed avevano inoltre l’obbligo di fornire contingenti militari in caso di
guerra. Usufruivano di molti dei vantaggi dei cittadini, ma senza alcuna rappresentanza nelle
assemblee cittadine.

Quando l’Italia fu invasa dal generale cartaginese Annibale durante la seconda guerra punica
(218 – 201 a.C.), erano già state introdotte alcune piccole modifiche; i cittadini delle
comunità alleate avevano ottenuto il diritto di conubium, secondo cui i figli di un padre
romano e di una madre provinciale erano considerati cittadini romani e non più figli
illegittimi. Un provinciale (un abitante di una delle province) poteva ottenere la cittadinanza
per la sua fedeltà o per i suoi servizi alla repubblica. Più tardi, intorno al 150 a.C., anche i
magistrati di queste cittadine latine (municipia) acquisivano la cittadinanza romana. Per
finire, qualsiasi Latino che si spostava ad abitare nella città di Roma poteva ottenere la
cittadinanza.

Via via che Roma conquistava sempre più terre nella penisola, aumentavano le tensioni
all’interno di molte comunità esterne, poiché queste nuove popolazioni pretendevano un
cambiamento della propria situazione. Sebbene potessero sposarsi con i Romani,
sottoscrivere contratti e godere della libertà di movimento, la cittadinanza senza diritto di
voto (civitas sine suffragio) non bastava: volevano ciò che avevano i cittadini residenti nella
città, ovvero la cittadinanza con diritto di voto (optimo iure). Il tribuno Gaio Gracco
(122-121 a.C) fece una proposta che avrebbe assicurato la piena cittadinanza a tutti gli alleati
italici. Gaio si scontrò purtroppo con l’opposizione sia della nobiltà, sia dei plebei; questi
ultimi, in particolare, temevano la concorrenza sul mercato del lavoro e l’eventuale scarsità di
cibo. Gaio propose anche altre riforme, che piacquero ad alcuni ma non ad altri (il Senato
romano). La sua morte, insieme all’uccisione di 3.000 dei suoi sostenitori, mise fine alle sue
proposte.

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