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Non meno importanti sono le parole del sottotitolo, che rinviano alla connessione fra
communio iuris e propagatio ciuitatis, perché, almeno a partire dalla metà del IV secolo
a.C., fu la communio iuris a favorire la propagatio ciuitatis (nella locuzione latina si
allude alla ciuitas, ossia al diritto di cittadinanza, che progressivamente si estende
includendo pagi vicini).
Tutto ha inizio dalla nascita della communio iuris, che è quello della nascita della
ciuitas, quando Romolo, fondatore e primo re, riunì per la prima volta gli abitanti
della neonata città e, come annota Livio, stabilì le “regole del gioco” (iura dedit)
individuando nei iura, ossia nei “diritti” del cittadino della nuova città, il cemento
comunitario della ciuitas, già formata da stirpi diverse: Latini, Sabini, Etruschi che
avevano dato luogo al sinecismo della città del Palatino nata al confine (il fiume
Tevere) che separava il Lazio, sulla sponda sinistra, dall’Etruria, sulla sponda destra:
lo stesso Romolo aveva in qualche modo dato l’avvio alla propagatio oltrepassando il
fiume e aggiungendo alla città il Trastevere, appartenente ai rivales (ossia quelli
stanziati di là dal fiume) e dunque all’etrusca Veio (ripa Veientana). La leggenda
racconta poi che già qualche mese dopo la fondazione si accrebbe il contributo della
stirpe sabina, e a farne le spese furono le sabine del ratto fatale, quale che sia il
valore da attribuire alla tradizione mitica; fu poi la volta delle città vicine, inglobate
da Roma: Antenne, Cenina, Politorio, Ficana, Tellene, cui seguirono la sconfitta e la
1
Te s t o d el l a pr i ma l e z i one de l C or s o d i A rc he o l ogi a , Sto ri a , Art e e Tra d iz i on i t ra R om a e i C o ll i A lba n i ,
or ga ni z za t o dal l ’ Ar c he oc l ub A r i ci n o Ne m ore n se APC , sv ol ta ad Ari c c ia , ne l l a S a l a B a ria ti nsky d i
Pa la z z o C hi g i i l 1 4 fe bbr a io 2 0 2 4 .
2
L. C A P O G R O S S I C O L O G N E S I : Co me si di v e nta R o m a n i. L ’e sp a n si o n e de l pot er e rom a no i n Ita li a, s tr um e nt i
i st i t uz i o na li e l og ich e d i p ot er e, Na pol i (J ov e ne ), 2 0 2 2.
“distruzione” di Alba Longa, i cui abitanti trasferiti a Roma divennero Romani; l’ager
Romanus giunse quindi al Tirreno con la fondazione di Ostia, la prima colonia.
Le prime città latine incluse nel 338 a pieno titolo (optimo iure) nell’ager Romanus
furono Lanuvium, Aricia, Nomentum e Pedum, che divennero municipii, ossia
appartennero da allora a comunità di cittadini romani che rispondevano ai magistrati
dello stato romano (divenuto loro vera patria), mentre le rispettive comunità
cittadine, in quanto tali, godevano di una limitatissima giurisdizione. La loro nuova
condizione di municipes non era una novità, dal momento che già prima del 338 un
primo municipium era stato costituito a Tusculum, non sappiamo di preciso da quanti
anni, ed è assai probabile che sia stata una decisione in parte punitiva dei ceti
dirigenti di quella città. Inoltre esisteva formalmente (già prima del 338) un
municipio costituito dagli abitanti di Cere, istituito nel 353 dopo la concessione ai
Cèriti della ciuitas sine suffragio: una specie di cittadinanza solo onoraria, senza diritti
politici effettivi (non potevano votare nei comizi), conferita alla città etrusca per
aver accolto i sacra del popolo romano mentre Roma veniva devastata dai Galli nel
390, assicurando la continuazione, anche in quel frangente, delle cerimonie del culto.
Fu inoltre questa, a ben vedere, la più antica attestazione della trasformazione del
diritto di cittadinanza da espressione di un’appartenenza etnica a status giuridico o
anagrafico, se pensiamo che di fatto le tabulae Caeritum continuarono ad essere
aggiornate per includervi gli aerarii, ossia i cittadini romani privati del diritto di voto,
ma soggetti ai munera gravosi dei cittadini optimo iure. Fu la prima volta che la
communio iuris si estendeva, anche se parzialmente, ben oltre il confine del Tevere, nel
pieno del territorio etrusco.
Ho lasciato per ultima una delle più efficaci porte d’accesso alla cittadinanza romana:
quella delle manumissiones, che garantivano all’erario un provento pari al cinque per
cento del valore dello schiavo manomesso (una vicesima, dunque, chiamata anche
vicesima libertatis) in seguito a una legge fatta votare addirittura nel 357 a.C. (siamo
nella prima metà del IV secolo!) dal console Gneo Manlio Capitolino in territorio di
guerra, convocando i comizi nel campo presso Sutri. Sappiamo fra l’altro che qualche
secolo dopo per i soli 32 anni intercorrenti fra l’81 e il 49 a.C. il gettito di questa
uicesima presuppone la manumissio di almeno mezzo milione di schiavi, in un periodo
in cui, secondo il censimento del 70-69 a.C., il numero totale dei cittadini romani
non raggiungeva il milione. Questo corrisponde a ciò che sappiamo sul mercato di
Delo, nel quale venivano venduti in un solo giorno all’incirca diecimila schiavi, che
poi venivano utilizzati dai loro padroni (domini) per qualsiasi mansione, alla stregua
di instrumentum vocale (ossia quasi attrezzo parlante, accanto all’instrumentum semivocale
e all’instrumentum mutum), ma che molto spesso erano apprezzati per le loro capacità e
premiati con la libertà e dunque la cittadinanza (con l’unica limitazione che,
diversamente dagli ingenui, i libertini potevano essere sottoposti a tortura in
procedimenti giudiziari e non avevano mai accesso alle cariche pubbliche) 5. Sembra
assai evidente che i criteri di larghezza nell’estensione della cittadinanza, praticati
dalla classe politica dirigente romana specie nella tarda repubblica e per tutta l’età
imperiale, fino all’editto di Caracalla del 212, furono largamente condivisi nel privato
dalla stragrande maggioranza dei cittadini, che fecero la loro non piccola parte
nell’affidarsi a criteri di meritocrazia e “accoglienza” nella promozione di ceti
inferiori per status ma forniti di apprezzate capacità.
5
Co ntra r i a me n te a qua nt o me ndac e me nte a ffe r ma to ne i te s ti e pi g ra fi c i c he ha n no re s ti tu i to l e tte re
de l r e di Ma c e d on ia F i li pp o V , c on e s or ta zi one a gl i a bi ta nti d i La ri sa i n Te s sa gl ia ad i m i ta re l a
gr a nde li be r al ità d e i R oma ni , c he a ffid a va no a e x sc hi a vi a nc he le ma gi str ature : Sy l l . 3 5 43 = I. L. S .
8 76 3 ; s i tra tta , ov v ia me nte, di un a af fe rm a zi o ne fal sa, c on i nte nt i de ni gr at or i de l c o m por ta me nt o
de i su oi gra nd i a vv e rsa ri .
piangere per il declino dell’antica grandezza ridotta ormai ad esser “serva Italia, di
dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta”, con quel che segue. Ho detto
spesso ai miei studenti che l’Italia romana di fatto non fu la prima “nazione”, ossia
che essa non nacque come tale, ma anzi dopo il superamento della divisione in
“nazioni” che aveva avuto il suo ultimo sussulto nella battaglia di Sentinum del 295
a.C. Sarebbe più corretto dire che l’Italia per la prima volta nella storia dell’umanità,
fu un “modello” che finì col divenire “matrice” delle nazioni che – dopo qualche
secolo – avrebbero consolidato una loro (subalterna) identità staccandosi dal cuore
esausto dell’impero e dando luogo agli esiti della storia moderna e purtroppo anche
contemporanea. Oggi sta tornando di moda il vocabolo “nazione”, e si tende ad
identificare il modello di nazione con un fazzoletto di terra recinto da filo
spinato(magari “avanzato” dal muro di Berlino), e non occorre richiamare la
sequenza nazione-nazionalismo-nazismo per sottolineare la valenza “divisiva” del
vocabolo, che è dichiarata anche nella sua etimologia, che la fa risalire ovviamente al
latino natio, che però – si badi bene – iniziò ad essere usato proprio a partire dall’età
imperiale, specie nel linguaggio delle epigrafi, per distinguere i cittadini romani nati
in provincia e che dunque non potevano dichiararsi domo Roma o domo Italia, e
venivano qualificati dalla loro regione o provincia o addirittura località di
provenienza (natione Hiberus, Hispanus, Graecus, Graius, Suebus, Thraex, Afer ma anche
Thesprotius, Alexandrinus, Samius, Phoenix, Smurnaeus, Biturix, Surus, Aeduus, Brigas etc.).
Ma mentre i nostri antichi progenitori proseguirono speditamente nel realizzare la
reductio ad unum che dopo la costruzione dell’Italia romana puntò risolutamente
all’impero universale (realizzato poco più di due secoli dopo), noi abbiamo
sclerotizzato lo schema delle nazioni prodotte dalla destrutturazione dell’impero, al
punto che oggi sembra quasi si rivendichi una specie di parità dell’Italia con le vere
nazioni come Germania, Francia, Inghilterra, Spagna: una parità (in perdita) che da
noi ha dovuto aspettare il Risorgimento e la conquista dell’unità nazionale, per non
parlare del progetto europeo del Manifesto di Ventotene (non a caso ispirato da un
italiano, Altiero Spinelli) che ai nostri giorni si sta impantanando irrimediabilmente
in un burocratismo a tratti ridicolo.
6
S . M A Z Z A R I N O , L’ i mp ero ro ma n o, R om a -B a ri [ L a ter za] v ol. I [1 9 7 3 ] p . 1 54 s gg ., le ttu r a d i e n or me
i nter e s se per l a c om pr e nsi one de l c on te s to s t or ic o nel qua le ope rò l ’ a pos t ol o P a ol o.
alludere ad Asinio Gallo, figlio di Asinio Pollione) 7. Ancora più stretto il
collegamento con gli euanghélia (ossia “annunci di felicità”) che trasmette il
proconsole d’Asia Paullus Fabius Maximus 8 che in una lettera a noi nota da un testo
epigrafico esorta il koinòn della provincia a scegliere come giorno iniziale del nuovo
anno e della nuova era il 23 settembre del 63 a.C., data di nascita del dio Augusto,
per il cui merito “ormai gli uomini non si pentivano più d’esser nati”. Per quanto
riguarda l’evangelio di Gesù, infine, non è per caso che proprio il cittadino romano
Paolo (di Tarso), che nella lettera ai Romani (11, 13) si definisce “apostolo dei pagani”
abbia così ostinatamente predicato, già a partire dal 32 o 33, in totale disaccordo con
le convinzioni delle comunità giudaiche, ma anche ebreo-cristiane, la necessità di
aprire la nuova religione anche ai gentili non circoncisi, per i quali ovviamente non
poteva esserci (per un Romano) alcun motivo di esclusione dalla nuova religione.
Diversi furono, da parte degli oltranzisti, i tentativi di eliminare lo scomodo
“apostolo”, e in uno di questi casi egli poté sottrarsi al linciaggio, nel tempio di
Gerusalemme, proprio perché tratto in arresto come sobillatore da un intervento
della guarnigione romana: minacciato di fustigazione decise di rivelare la sua
cittadinanza romana (il famoso ciuis Romanus sum), il che costrinse il tribuno che
aveva il comando della guarnigione a portarlo a Cesarea dove Paolo si appellò al
giudizio dell’imperatore. Fu questa circostanza che consentì all’ “apostolo” di
continuare la sua predicazione dell’evangelo dell’acrobystia, estesa ai pagani non
circoncisi, che ebbe così in lui il vero fondatore della religione “cattolica”, ossia
universale.
7 S ul l ’ ide n ti tà d el p uer de l v er s o 8 si ve da F . D E L L A C O R T E , i n “ E nc . v i rg il ia na ” I V [ 1 98 8] p. 3 42 s g. ,
dov e s i pr e fe r i sc e l a s ol uz i one che no n d i u n p u er s i s i a tra tt at o, m a di u na p u e lla , oss i a A n toni a ,
fi g l ia di Mar c o A n to ni o e Ot ta v ia ( sore l l a de l fut u ro Au gu st o).
8 P er i l q ual e si v e da PIR 2 III [ 19 4 3 ] p. 1 0 3 . All a p. 1 6 9, n ota 3 6 , il Ma z zar i no ac c a re z za l’ i de a , c he
S A N P A O L O . L et tere . I nt r o d uz io n e e c om me nt o d i G I U S E P P E B A R B A G L I O (c on i l te s t o gr ec o a f r on te ),
Mi la no [ B U R] 1 9 9 7.