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Un «uomo nuovo» nella politica romana La fine violenta dei Gracchi ebbe l'effetto di

scoraggiare per parecchi anni l'iniziativa politica dei popolari. Solo tra la fine del II e l'inizio del
I secolo a.C. emersero le figure, tra loro piuttosto diverse, di due nuovi capi popolari: Gaio
Mario e Marco Livio Druso.
RICORDA sottomissione com-isola iberica, strap-mesi dopo la seconda, i romani avevano la
resistenza del cel-sedio e la distruzione-pitale Numanzia, nel nità 6..
Il cavaliere Gaio Mario era un cosiddetto uomo nuovo : un individuo che intraprendeva la
carriera politica provenendo da una famiglia in cui nessuno in precedenza aveva ricoperto
cariche pubbliche. Con due sanguinose vittorie sui teutoni ad Aquae Sextiae nel102a.C. e sui
cimbri ai Campi Raudii nel.C.C., il console riuscì a sventare anche questo pericolo. Il prestigio
di Mario raggiunse l'apice.
La riforma dell'esercito Ma l'azione di Mario fu decisiva anche da un altro punto di vista. Come
si è detto, le riforme dei Gracchi, miranti a ricostituire il ceto dei piccoli proprietari terrieri,
avevano anche lo scopo di assicurare un numero sufficiente di arruolabili nell'esercito, che da
tempo soffriva per la scarsità di effettivi, Fallito quel tentativo, a Mario non restò che rendere
regolare una pratica prima adottata in casi di emergenza: Arruolamento divenne cioè
volontario e fu aperto anche ai nullatenenti La riforma, sperimentata già nella guerra
giugurtina e poi nelle campagne contro cimbri e teutoni, modificò in modo sostanziale l'idea
della guerra e la stessa figura del soldato. Essa è passata alla storia come guerra sociale
perché fu combattuta tra Roma e i suoi soci, o «alleati», e fu in una certa misura una guerra
civile, visto che a sollevarsi contro i romani furono popoli abituati da secoli a combattere al
loro fianco.
La guerra sociale fu vinta formalmente da Roma, che incassa la resa progressiva di quasi tutti
i suoi avversari, ma questo risultato fu il frutto di una scelta politica più che di un'affermazione
militare: piuttosto che proseguire i combattimenti, mentre nuove crisi stavano scoppiando ai
confini orientali dell'impero, il senato preferì infatti cedere sulla questione della cittadinanza,
riconoscendola dapprima ai popoli che non avevano aderito alla rivolta, poi a tutti coloro che
avessero deposto le armi entro una certa scadenza. Alcuni focolai, peraltro, rimasero attivi
fino al termine degli anni ottanta: fu questo il caso, in particolare, dei sanniti, che a oltre due
secoli dal loro assoggettamento al dominio romano di- mostrarono di avere ancora un forte
senso della propria identità etnica e, al tempo stesso, un immutata capacità di tenere testa ai
propri avversari.

Per estensione, la parola passò a segnalare la messa al bando o la condanna a morte,


implicando il sequestro e la vendita dei beni del condannato.
la carica di tribuno: chi la ricopriva non avrebbe potuto proseguire la carriera politica.
Un secondo provvedimento impose ai generali al comando di un esercito l'obbliga di
congedare i propri soldati al momento dell'arrivo nel territorio di Roma, i cui fini furono ora
con a fatti coincidere con l'intera penisola la gestione anenti, rafforzando e dell'élite senatoria.
di conseguenza da due a otto. La riforma dei tribunali otteneva sicuramente lo scopo di
rendere più agile e razionale l'amministrazione della giustizia, distinguendo tra diverse
tipologie di reato. Le funzioni attribuite da Silla alle nuove corti permanenti venivano però
tolte alle assemblee popolari, che le avevano esercitate sino ad allora: si trattava dunque di
un altro provvedimento che rafforzava la componente oligarchica a scapito di quella
popolare.
Catilina si era arricchito enormemente all'epoca delle proscrizioni, ma aveva disperso le sue
fortune in ripetuti e fallimentari tentativi di raggiungere il consolato, tra il 65 e il 63 a.C. Decise
allora di instaurare con la forza un potere di tipo personale, riuscendo a raccogliere intorno a
sé un ampio consenso sia in alcune frange dell'aristocrazia sia tra i ceti subalterni. La
congiura fu tuttavia scoperta grazie a una delazione e venne repressa con durezza da
Cicerone, che quell'anno era salito al consolato proprio imponendosi sulla candidatura di
Catilina. Il 21 ottobre del 63 a.C. il console attaccò aspramente il cospiratore in senato
pronunciando la prima delle quattro orazioni note come Catilinarie. Alcuni complici della
congiura furono catturati a Roma e messi a morte senza processo: un provvedimento del
tutto contrario alle leggi in vigore, che qualche anno dopo costerà a Cicerone una condanna
all'esilio . Quanto allo stesso Catilina, dichiarato dal senato nemico pubblico, fu costretto a
fuggire da Roma e a cercare rifugio in Etruria, dove un pugno dei suoi uomini aveva formato
una sorta di esercito irregolare. Eletto tribuno della plebe nel 58 a.C., lo stesso anno in cui
Cesare iniziava il proprio governo in provincia, Clodio riuscì a mandare in esilio Cicerone con
l'accusa di avere messo a morte dei cittadini romani senza riconoscere loro il diritto di
appellarsi al popolo. L'obiettivo di liberarsi di Catone fu invece raggiunto affidandogli un
incarico di governo nella lontana Cipro.
Gli elvezi, stanziati nell'attuale Svizzera, sotto la pressione di alcune tribů germaniche
avevano stabilito di trasferire le loro sedi più a ovest, ma per farlo dovevano transitare
attraverso la provincia romana. Cesare non si lasciò sfuggire l'occasione: dapprima negò loro
il permesso di passare, obbligandoli ad affrontare un percorso alternativo, molto più lungo e
disagevole. Quando poi, proprio seguendo il percorso indicato, gli elvezi stavano
attraversando il territorio degli edui, antichi alleati di Roma, Cesare li aggredì con il pretesto di
difendere gli edui stessi.
, liquidati gli ultimi residui delle forze pompeiane, sembrò finalmente aprirsi la possibilità di
un'attività di governo più continuativa e duratura, ma non fu così.
Il problema più impellente, per Cesare, era quello di definire in qualche modo la propria
posizione all'interno dello stato. Egli era pontefice massimo, dunque suprema autorità in
campo religioso, e dal 48 a.C. era stato più volte console. Pur essendo di origini patrizie, gli
era stata inoltre attribuita la potestà tribunizia, che gli garantiva l'inviolabilità personale e il
diritto di veto. Nel 46 a.C. La carica di dittatore gli venne conferita per la durata di dieci anni,
mentre l'anno successivo, dopo la vittoria di Munda, il senato gli riconobbe a vita il titolo di
imperator, cioè di generale vittorioso, e quello di pater patriae . Al- la fine prevalse la fazione
legata a Cleopatra, divenuta nel frattempo amante del gene- rale romano: dalla relazione
nacque anche un figlio, detto Cesarione. Al momento di lasciare l'Egitto, Cesare impose sul
trono la donna
Egli si mostrò comunque conciliante: dal suo quartiere invernale nei pressi di Ravenna si
dichiarò disposto a sciogliere il suo esercito, a patto che lo stesso facesse Pompeo, il quale
continuava a detenere il controllo delle truppe stanziate in Spagna, oltre che di due legioni
che aveva acquartierato alle porte di Roma con il pretesto di voler impiegare per una
campagna contro i parti.
L'inizio della guerra civile Prudentemente, Cesare aspettò le decisioni del senato nei pressi di
Rimini, sul Rubicone, il fiume che segnava, come abbiamo detto parte del confine tra la Gallia
Cisalpina e il territorio di Roma e che dunque, secondo le norme stabilite da Silla, non poteva
essere oltrepassato dai generali romani senza prima sciogliere il proprio esercito. Con
l'uccisione di Cesare - questo voleva essere il significato dell'immagine-i romani erano tornati
liberi, da schiavi che erano. In realtà, fu ben presto chiaro che la morte del dittatore aveva
posto le premesse per una nuova, violentissima guerra civile.
La lotta contro l'aristocrazia anticesariana Il primo obiettivo di Ottavia- no, Antonio e Lepido
era dunque quello di liquidare l'ala più conservatrice dell'ari- stocrazia, la stessa che, con
l'assassinio di Cesare, aveva dimostrato di essere pronta a difendere con qualsiasi mezzo il
proprio potere. Di fronte alla nuova situazione, Bruto, Cassio e i loro partigiani avevano per
tempo cercato rifugio in Grecia, e li avevano preso ad arruolare un consistente esercito in
vista del prevedibile scontro con i triumviri, che a quel punto appariva solo una questione di
tempo.
Contestualmente vennero rese note le liste di proscrizione. Esse colpivano circa 300 senatori
e 2.000 cavalieri: un vero e proprio bagno di sangue, che in alcuni casi portò alla decimazione
di famiglie che erano da secoli al vertice dello stato.

Il confine dell'impero si attesta così lungo la sponda meridionale del Danubio, fiume che
avrebbe segnato per secoli, insieme al Reno, il limite dell'espansione romana in Europa la
propaganda ufficiale non cessò di annunciare come imminente una campagna contro i parti,
nemici storici dei romani in quell'area, che avrebbe dovuto condurre alla loro definitiva
annessione all'impero. Ma quella campagna in realtà non fu mai intrapresa e Augusto si
accontentò di un assai meno brillante successo di immagine: nel 20 a.C., con una spedizione
guidata dal figliastro e futuro successore Tiberio, ottenne la restituzione delle insegne militari
sottratte dai parti all'esercito di Crasso all'indomani della sconfitta a
Carre .

DIZIONARIO STORICO

Annona Il termine indicava in origine le rendite annuali dello stato in denaro o in prodotti
agricoli: quando iniziarono a manifestarsi problemi di scarsità nel rifornimento di cereali alla
città di Roma, passò a designare l'organizzazione incaricata dell'approvvigionamento e della
distribuzione di grano alla popolazione urbana.

Il controllo delle province Quelli che abbiamo elencato sinora sono i poteri di cui Ottaviano
godeva a Roma e in rapporto con i cittadini romani.

Non meno importanti furono poi i titoli che Ottaviano si fece assegnare nel corso degli anni. Il
primo, Augusto, che gli venne attribuito già nel 27 a.C., apparteneva alla sfera religiosa e
significava «venerabile» o «protetto da- gli dèi»: esso sottolinea dunque come il potere di
Ottaviano godesse dell'approvazione della divinità e avesse lo stesso effetto benefico sulla
vita degli altri uomini. Il secondo, «padre della patria» , gli fu conferito invece nel 2 a.C. e
assimilava la funzione e il ruolo di Ottaviano a quelli di un padre, rispetto al quale i cittadini
nel loro complesso assumevano il ruolo di altrettanti figli. Data la posi- zione rilevante e i
poteri goduti dal pater nella cultura romana, si capisce bene come questo titolo non fosse
solo un riconoscimento formale, ma sottolineasse il tipo di rapporto, benevolo ma al tempo
stesso fortemente gerarchico, che doveva instaurarsi fra signore e popolo.
La fine dell'equilibrio repubblicano Ottaviano dunque non introdusse, almeno formalmente,
magistrature e poteri nuovi: le assemblee continuavano a riunirsi e a votare, le coppie
consolari si alternavano a ogni cambio di anno come era sempre accaduto negli ultimi
cinque secoli della storia di Roma. La novità era però costituita dal fatto che tanti poteri
venivano ora a concentrarsi nelle mani di una sola persona: bastava questa circostanza a
cancellare di fatto il principio del bilanciamento tra le varie istituzioni che era stato uno dei
cardini del regime repubblicano.
Ottaviano erano ormai troppo tesi per pensare a un ulteriore rinnovo. Lo scontro finale era
solo questione di tempo, ed ebbe luogo infatti nel 31 a.C. al largo di Azio, una località sulla
costa dell'Epiro.
Antonio combatteva accanto alle forze navali di Cleopatra, e questo diede a Ottaviano la
possibilità di presentare il conflitto non come l'ennesima guerra civile, ma come una guerra
regolare e legittima contro un nemico esterno. La battaglia si concluse con la vittoria delle
forze di Ottaviano: Cleopatra e Antonio cercarono rifugio in Egitto, ad Alessandria, dove l'anno
successivo, braccati da Ottaviano, si tolsero la vita. Nel 37 a.C., allo scadere del primo
quinquennio, il triumvirato era stato prorogato di altri cinque anni, ma nel 33 a.C. i rapporti fra
Antonio e
Tuttavia, una pattuglia di irriducibili scelse di proseguire ancora la lotta. Essi trovarono un
leader in Sesto Pompeo - figlio di Gneo Pompeo, grande avversario di Cesare-, il quale era
riuscito a crearsi una sorta di dominio personale in Sicilia e utilizzava la propria flotta per
seminare il terrore nel Mediterraneo e attaccare le navi addette al trasporto dei generi
alimentari verso l'Italia.
Le tensioni interne al triumvirato Dopo Filippi, quando l'obiettivo prioritario del triumvirato era
stato ormai raggiunto, tornò a emergere l'antica rivalità fra Antonio e Ottaviano. Un primo
terreno di scontro riguardò l'assegnazione delle terre ai veterani. Ma quella provincia era
stata inizialmente assegnata a Decimo Bruto, uno dei congiurati delle Idi di marzo, che
dapprima si rifiutò di cederla ad Antonio, poi, quando quest'ultimo cercò di imporre con la
forza la propria volontà, trovò rifugio tra le mura di Modena, costringendo l'esercito dell'ex
console a un lungo assedio.
Fu in questo contesto che il senato decise di inviare le truppe regolari, insieme ai soldati di
Ottaviano, in aiuto di Decimo Bruto e dunque contro le forze di Antonio: una sporca guerra in
cui si affrontavano non solo cittadini contro cittadini, ma anche cesariani contro cesariani.
Nella primavera del 43 a.C. le milizie regolari - e con loro Ottaviano - ebbero la meglio, anche
se Antonio riuscì ad allontanarsi dal campo di battaglia senza subire grosse perdite; tuttavia,
nel corso delle operazioni rimasero uccisi entrambi i consoli in carica, i due cesariani Aulo
Irzio e Gaio Pansa.

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