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Giulio Cesare: biografia

Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 a.C., dalla gens Iulia, una famiglia patrizia legata sia
al partito di Silla (infatti sua madre era della gens Aurelia) sia al partito di Mario, dato che sua
zia paterna era stata moglie dello stesso Caio Mario. Sin da piccolo i suoi studi sono orientati
verso la grammatica e la retorica, sotto gli insegnamenti del retore Apollonio Molone, dal quale
sarà influenzato per la sua propensione all’analogismo in campo grammaticale, e
all’atticismo nel campo retorico. Nella vita politica si distingue per la prima volta, ribellandosi
alla dittatura di Silla, ma poi, per evitare che questo gli imponga il divorzio con la moglie
Cornelia, figlia di Cinna, si allontana da Roma, in cui  torna nel 77 a.C, alla morte del dittatore.
Nel 68 diventa questore e dedica due discorsi funebri per la moglie (morta di parto quell'anno) e
per la zia, esaltando Cinna e Mario. Cinque anni dopo, viene eletto pontefice massimo, e sfrutta
la carica religiosa per non fare condannare i catilinari (dopo la congiura di Catilina svelata
da Cicerone), sostenendo l’empietà di tale azione. Schierato dalla parte dei populares, dando a
Catilina l’occasione di un appello diretto al popolo, si guadagna i favori dei democratici in
campo politico. Nel 60 circa, venutosi a creare un clima di disordine e di tensione tra
il Senato e Pompeo Magno, ne approfitta e stipula un accordo segreto che coinvolge anche un
ricco uomo d’affari, Crasso, dando vita al primo triumvirato. L’anno seguente viene
eletto console: ratifica gli atti di Pompeo e favorisce gli affari di Crasso. Nel 58 si
fece proconsole della Gallia e nel 56 conquista l’intera regione. Sempre in quell’anno, rinnova il
triumvirato con Pompeo e Crasso; tenta nuove conquiste in Germania e Britannia senza grandi
successi. Nel 53 a Carre muore Crasso e si scioglie il triumvirato: si assiste così a duri scontri tra
gli optimates e i populares, appoggiati da Cesare.
Un anno più tardi Clodio, tribuno filocesariano, viene ucciso dall'avversario Milone in uno di
questi scontri; nel 50 Cesare perde la possibilità di reggere ancora la Gallia, ma la situazione non
permette nemmeno un ritorno di questo a Roma, dove probabilmente rischia la morte. Il 7
gennaio del 49 a.C. viene dichiarato dal senato nemico pubblico: decide allora di varcare
il Rubicone, e tramite la forza, si impadronisce dell’Italia, senza eccessive complicazioni. I
tentativi di Pompeo di ostacolare Cesare si rivelarono vani, perdendo poi ogni speranza nel 48,
nello scontro di Farsalo; si reca, quindi, in Egitto dove  viene ucciso dal re Tolomeo XIV.
Cesare, pur non essendo sostenitore di Pompeo, condanna il re egiziano, per l’azione
politicamente scorretta e proclama regina sua sorella, Cleopatra, donna che poi diverrà sua
amante. Nel 45, tornato a Roma, assume la dittatura a tempo indeterminato, divenendo sempre
più inviso dall’aristocrazia: Bruto e Cassio, organizzano una congiura, che si attua alle Idi di
Marzo, il 15 marzo del 44 a.C., quando Cesare è pugnalato a morte in Senato.
 

Il De Bello Gallico: genere, genesi e finalità dell’opera


 
Tra le opere di Giulio Cesare di cui si ha notizia, possiamo leggerne per intero solo due, il De
bello Gallico (La guerra in Gallia) e il De bello civili (La guerra civile). Nel De bello Gallico, la
prima ad essere composta, l’autore racconta dettagliatamente la campagna di conquista e
pacificazione della Gallia Transalpina di cui fu personalmente al comando come proconsole
negli anni tra il 58 e il 50 a.C. Il De bello Gallico viene definito con il termine
latino commentarii, che significa “memoria, appunti”. Si tratta infatti di un testo che può essere
considerato un vero e proprio “diario”, una specie il quaderno di appunti di un comandante che
aveva tra i suoi doveri anche quello di informare il Senato del suo operato e non poteva quindi
affidarsi solo alla memoria.
Verosimilmente Cesare ebbe modo di rielaborare questo “diario di guerra” privato facendone
un’opera destinata al pubblico solo dopo essere tornato trionfante dalla Gallia.
 Il De bello Gallico, così come ci è tramandato dalla tradizione medievale, è suddiviso in otto
libri, uno per ciascun anno della campagna militare in Gallia, secondo lo schema tipico
dell’annalistica tradizionale: solo i primi sette libri (che arrivano fino al 52 a.C.), però, sono
opera di Cesare, mentre l’ottavo libro, che copre gli eventi del 51-50 a.C., è spurio e fu composto
da Irzio, luogotenente di Cesare, per esigenze di completezza e per creare una continuità con
il De bello civili, che inizia con il racconto degli avvenimenti del 49 a.C.
L’opera si presenta come una minuziosa cronaca militare, tesa a descrivere nei dettagli la
campagna di Cesare in Gallia, con particolare attenzione sia per la tecnica e la strategia militare,
sia per l’individuazione dei nessi di causa-effetto tra gli avvenimenti. Il resoconto di guerra,
però, lascia spazio anche a digressioni etnografiche sui barbari e, spesso sotto forma di sententiae
(e cioè di massime di sapore filosofico), a sporadiche riflessioni teoriche sull’esercizio del potere
e sul rapporto tra Roma e lo straniero. Tuttavia, l’opera di Cesare è aliena dal moralismo che
caratterizza gran parte della storiografia latina e si avvicina di più all’idea di “storiografia
pragmatica” di Polibio.
L’opera si apre con una breve descrizione fisica della Gallia (libro I), abitata da popolazioni
differenti per lingua, istituzioni e leggi e tra loro in rapporti di ostilità. Sono poi indicate le cause
dell’intervento romano nella regione, presentandolo come un atto di difesa dei territori della
provincia romana della Gallia Narbonense, sede degli Allobrogi, e di quelli degli Edui, alleati di
Roma, dagli Elvezi, intenzionati a lasciare i propri territori per conquistare tutta la Gallia.
L’intervento militare di Cesare costringe gli Elvezi alla resa e pone i Romani in una posizione di
forza, tanto che i diversi popoli della Gallia iniziano a intrecciare rapporti diplomatici con
Cesare. Nei libri successivi (libri II-III) si descrive il procedere delle operazioni militari e la
sconfitta romana di altre popolazioni della Gallia (Belgi, Veneti, Aquitani) che, anziché
sottomettersi ai Romani, tentavano di opporvisi. Una volta conclusa la conquista della Gallia,
Cesare cerca di rafforzarne i confini e di sottomettere anche i popoli vicini, per evitare che
possano portare aiuto ai Galli e sobillarne la ribellione. Cesare compie quindi delle campagne nei
territori dei Germani, al di là del Reno, e in Britannia (libri IV-V). L’invasione della Britannia,
però, è interrotta dallo scoppio di una rivolta generale in Gallia, dove si è formata una lega
antiromana formata da Galli e Germani. La ribellione è faticosamente repressa da Cesare, che
riesce a sottomettere tutti i popoli ribelli, i Treviri, gli Atuatuci, i Nervi, gli Eburoni e, infine, in
seguito alla presa della città di Alesia, anche gli Averni di Vercingetorige (libri VI-VII).
 Dal punto di vista stilistico il De bello Gallico mira alla chiarezza e alla razionalità, con l’intento
di comunicare con il lettore in modo chiaro e diretto. Per questo, la prosa di Cesare è scorrevole,
simmetrica e ordinata. Per quanto riguarda la scelta dei tempi verbali, Cesare alterna l’uso del
perfetto, che dà profondità storica alla narrazione, e quello del presente, che mira a coinvolgere
maggiormente il lettore nei fatti narrati, senza però creare effetti drammatici. Lo stile di Cesare,
infatti, tende alla sobrietà e alla precisione: la narrazione in terza persona evita per l’uso
del discorso diretto (assai raro) e delle figure retoriche, mentre le scelte lessicali sono oculate e
mai volutamente difficili; i dati numerici, fondamentali per un generale sul campo, sono sempre
offerti con estrema puntualità.
 

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