Sei sulla pagina 1di 3

La storiografia romana prima di Catone

Le prime opere di carattere storico a Roma erano state gli annales, i libri in cui i pontefici
registravano anno per anno guerre, paci, patti, catastrofi, eclissi, prodigi: erano dunque documenti
ufficiali, conservati in pubblici archivi. Nonostante lo stile solenne e impersonale in cui erano
composti, gli annales pontificum non erano tuttavia oggettivi. Gli stessi pontefici erano scelti tra i
membri delle grandi famiglie aristocratiche e la selezione dei fatti rispecchiava una visione
filonobiliare della storia e della politica romana.
Più tardi, quando Roma comincia a diventare una potenza mediterranea ( guerre puniche), i primi
storici romani scelgono di usare il greco per le loro opere: Roma ha bisogno di difendere la propria
politica estera e di farsi propaganda nel mondo ellenistico, inizialmente favorevole ai Cartaginesi.
Il primo a scrivere in greco fu Fabio Pittore, un aristocratico che ebbe ruoli importanti durante la
seconda guerra punica; gli furono attribuiti degli Annales in latino, di cui resta qualche frammento,
ma si tratta probabilmente di una traduzione o rielaborazione successiva dell’originale greco,
perduto. Pare che nella sua opera fossero prevalenti gli interessi antiquari, cioè l’attenzione per riti,
tradizioni religiose, istituzioni giuridiche e sociali. Si occupò anche del più importante problema
politico contemporaneo, la guerra tra Roma e Cartagine, assumendo una posizione marcatamente
filoromana, criticata pesantemente da Polibio.
Anche altri autori successivi continueranno a scrivere opere storiche in greco: Lucio Cincio
Alimento, Aulo Postumio Albino e Gaio Acilio, vissuti tra il III e il II secolo a.C.

Catone
Marco Porcio Catone nacque nel 234 a Tusculum, da una famiglia di proprietari terrieri non nobile.
Abbiamo molte notizie della sua vita perché ebbe vari biografi ( Plutarco e Cornelio Nepote); molte
informazioni provengono anche dal trattatello ciceroniano Cato Maior de senectute. Da giovane
combatté nella seconda guerra punica ( tribuno militare in Sicilia); percorse tutte le tappe del cursus
honorum (204: questore in Sicilia e Africa al seguito di Scipione; 199: edile plebeo; 198 pretore in
Sardegna), fino al consolato del 195 a.C., nel corso del quale si oppose all’abrogazione della lex
Oppia, che limitava gli eccessi del lusso tra le classi abbienti. A partire dal 190 a.C. fu impegnato
come accusatore in una serie di processi contro esponenti della fazione aristocratica ellenizzante
( Scipioni). Eletto censore nel 184 a.C. si presentò come il difensore delle antiche virtù romane
contro la degenerazione dei costumi e il dilagare di atteggiamenti individualistici negli uomini di
potere incoraggiati dal pensiero greco. Egli era invece fautore della promozione della ricchezza e
della potenza dello stato e varò un vasto programma di edilizia pubblica. Nel 155 a.C. ottenne
l’espulsione di tre filosofi che Atene aveva inviato come ambasciatori; nel 153, in visita a Cartagine,
si convinse che la sopravvivenza di Roma era legata alla distruzione della rivale; si fece promotore
della terza guerra punica, ma morì nel 149 a. C., prima di vedere l’annientamento della città.
Opere: Orazioni: Cicerone ne conosceva più di 150; a noi sono rimasti i titoli di circa un’ottantina e
diversi frammenti.
Origines: opera storica in 7 libri, di cui ci restano alcuni frammenti.

De agri cultura: il più antico testo in prosa latino che ci sia giunto completo; consta di una
prefazione e di 170 brevi capitoli.
Praecepta ad filium: una serie di operette indirizzate al figlio Marco, tra cui un De medicina, un’opera
di retorica, un trattato di arte militare, ecc. Potrebbe trattarsi di diverse sezioni di una stessa opera.
Carmen de moribus: probabilmente un’opera in prosa, che si suppone scandita e ritmata, a giudicare
dal titolo.
Origines C. scrisse le Origines in età avanzata; fu la prima opera storiografica in latino; la
composizione di opere storiche da parte di membri della classe dirigente, che occupa così in modo
dignitoso il proprio otium, conferisce alla storiografia senatoria romana un notevole impegno
politico. C., nelle Origines, dà largo spazio alle sue preoccupazioni per la corruzione dei costumi e
alle sue battaglie condotte contro il “culto della personalità” tipica dei componenti del circolo
degli Scipioni (in primis Scipione Africano). Nell’opera riporta anche le sue orazioni, come la Pro
Rhodiensibus o quella contro Sulpicio Galba, proprio a sostegno delle sue scelte politiche. Le
Origines constano di 7 libri, che raccontano la storia di Roma dalle origini alla pretura di Sulpicio
Galba nel 152 a.C. Il I libro era dedicato alla fondazione della città; il II e il III alle origini delle città
italiche; il IV raccontava la prima guerra sannitica, il V la seconda, il VI e il VII gli avvenimenti fino
al 152 a.C. come già si è notato per alcune opere poetiche, la narrazione degli eventi si dilata man
mano che si procede verso gli accadimenti più recenti. C. elaborò una concezione della storia di
Roma che insisteva soprattutto sulla lenta formazione dello stato e delle sue istituzioni nel corso di
secoli (concezione che viene parzialmente ripresa da Cicerone nel De re publica): la creazione dello
stato romano era vista come un’opera collettiva del populus Romanus stretto intorno alla classe
dirigente senatoria. In aperto contrasto con la storiografia annalistica, C. non cita mai il nome di
alcun generale, né romano né straniero: Annibale viene semplicemente definito dictator
Chartaginiensium; porta invece alla luce i nomi di personaggi più oscuri, meritevoli di essere presi
ad emblema dell’eroismo collettivo del popolo romano ( Quinto Cedicio). Un altro aspetto
interessante dell’opera è l’attenzione che C. dedica alla storia delle popolazioni italiche, mettendo
in rilievo il contributo che queste avevano dato alla grandezza di Roma e alla costruzione del
modello etico tradizionale. Dei Sabini, ad esempio, vantava la dirittura morale e la tendenza alla
parsimonia; C. dimostra anche un interesse etnografico per i popoli stranieri e per i costumi delle
popolazioni africane e spagnole, che aveva osservato direttamente durante la sua carriera politica e
militare.
La specificità della prosa storica di C. è data dalla presenza di arcaismi lessicali e morfologici, dalla
netta prevalenza della paratassi. La prosa latina non ha ancora trovato la sua misura “ classica”,
come dimostra una certa trascuratezza stilistica, l’abbondanza di anacoluti, la ripetizione di
termini a breve distanza , la frequenza dei pronomi is e ille.
De agri cultura. Si tratta di una serie di precetti esposti in forma asciutta e schematica, che non
lascia spazio agli ornamenti letterari né alle riflessioni filosofiche sulla vita e sul destino degli
agricoltori, diffuse in tanta parte della successiva trattatistica agricola successiva. C. vuole dare una
precettistica generale da applicare al comportamento del proprietario terriero, rappresentato nelle
vesti del pater familias, che si deve dedicare all’agricoltura come all’attività più sicura e onesta, la
più adatta a formare i buoni cittadini e i buoni soldati. Il tipo di proprietà che C. descrive non è il
piccolo appezzamento di terra o la piccola tenuta a conduzione familiare, che era la più diffusa
forma di insediamento sul suolo nelle epoche precedenti, ma un’impresa su vasta scala: il
proprietario dovrà avere dei grandi magazzini, in cui depositare la merce in attesa del rialzo dei
prezzi, dovrà vendere quanto più gli riesce e comprare il meno possibile. Da diversi passi traspare
la brutalità dello sfruttamento della manodopera schiavile. Si colgono i tratti salienti dell’etica di
C., che sono poi gli stessi che la riflessione tardo – repubblicana indicherà come costitutivi del mos
maiorum. Virtù come la parsimonia, la duritia, l’industria, il disprezzo per il lusso e la resistenza ai
piaceri mostrano come il rigore catoniano non sia la saggezza praticata dal contadino incorrotto e
ingenuo, ma rappresenti il risvolto ideologico di un’esigenza pragmatica, cioè trarre
dall’agricoltura vantaggi economici e accrescere la produttività del lavoro schiavile. Lo stile è
scarno, ma colorito da espressioni di saggezza popolare e campagnola che spesso si esprimono in
formulazioni proverbiali.
Praecepta ad filium. L’opera condivide con il De agri cultura il tono precettistico e sentenzioso; pare
si trattasse della prima opera latina di respiro enciclopedico, che toccava diversi saperi ( medicina,
retorica, arte militare, ecc.). Ci sono rimasti alcuni frammenti, in cui vengono formulati gli ideali
del mos maiorum. Significative sono le due famose massime che definiscono in sintesi le due figure
fondamentali della società romana, l’agricola e l’orator.( Vir bonus, Marce fili, colendi peritus, cuius
ferramenta splendent /// Orator est, Marce fili, vir bonus dicendi peritus).
Carmen de moribus. L’opera conteneva una raccolta di pensieri di argomento morale, anche in
questo caso legati all’etica del mos maiorum.
La produzione oratoria. Molto diverso dallo stile dei trattati doveva essere quello oratorio, vivace
e ricco di movimento, almeno per quello che possiamo cogliere dai frammenti rimasti delle
orazioni. C. rifiutava si sottomettersi ai precetti retorici dei diversi manuali greci, che allora
circolavano tra gli oratori. Una famosa massima, che probabilmente si trovava nei Praecepta ad
filium ,sembrerebbe sintetizzare la posizione di C. riguardo alla retorica: “rem tene, verba sequentur”:
un ostentato rifiuto dell’ars, della te/xnh retorica di matrice greca. Questo rifiuto dell’elaborazione
stilistica va interpretato alla luce della costante polemica catoniana contro la penetrazione in Roma
della raffinata cultura greca.
Il rapporto con la cultura greca. Personalmente impregnato di cultura greca (nel De agri cultura si
avvale largamente della scienza agricola greca, mentre nelle Origines si sente l’influenza di Timeo
di Tauromenio) , C. non combatteva tanto quella cultura in sé, quanto certi suoi aspetti di critica
dei valori e dei rapporti sociali tradizionali, che erano stati il lascito della riflessione sofistica.
Questi elementi esercitavano, per C., un’azione corrosiva sulle basi etico – politiche della res publica
e del regime aristocratico: queste preoccupazioni probabilmente spiegano le espulsioni di filosofi e
intellettuali greci da Roma a partire dal 173 a.C. d’altro lato c’era anche il pericolo che l’imitazione
di certi costumi ellenizzanti potesse mettere a rischio l’unità e la coesione interna dell’aristocrazia,
portando all’affermazione di personalità di prestigio eccezionale. In quest’ottica si comprende
anche la battaglia di C. contro il lusso, a favore delle leggi suntuarie, che, limitando i consumi dei
ricchi aristocratici, diminuivano le manifestazioni di sfarzo e di ostentazione da parte di singoli
gruppi familiari; inoltre, cercando si impedire che i patrimoni venissero dissipati in manifestazioni
di prestigio, queste leggi cercavano di evitare il sorgere di eccessive diseguaglianze economiche
all’interno della classe dirigente, pericolose per la sua stabilità.
Nella sua opera letteraria, C. probabilmente si propose il compito di elaborare una cultura che,
mantenendo radici ben salde nella tradizione romana, sapesse accogliere gli apporti greci, senza
farne aperta propaganda. C., che aveva fortemente osteggiato l’Africano, era in buoni rapporti con
Scipione Emiliano; attraverso gli intellettuali della cerchia dell’Emiliano, la cultura greca si
diffonderà entro i limiti voluti dall’aristocrazia romana, per approdare a una nuova sintesi del mos
maiorum, che costituirà a sua volta la base della riflessione etico –politica di Cicerone.
Fortuna. Come figura che assommava in sé le virtù fondamentali della Roma arcaica ( austerità,
parsimonia, attaccamento al lavoro, rigore morale), Cicerone idealizzò C. nel De re publica e nel
Cato maior, mitigandone le più dure asprezze del carattere e i tratti più intransigenti della sua
avversione contro la nobilitas filellenica. C. sarà oggetto di varie biografie, come quelle di Cornelio
Nepote e di Plutarco e quella contenuta nell’anonima opera De viris illustribus del IV secolo d.C. La
più alta valutazione delle sue qualità di scrittore si ebbe con l’Arcaismo del II secolo d. C. (Gellio,
Frontone, l’imperatore Adriano ). Dopo il IV secolo d. C. la conoscenza diretta delle sue opere va
scomparendo: sotto il suo nome circolava una raccolta di massime morali in versi, i cosiddetti
Disticha o Dicta Catonis. Soltanto il De agri cultura sopravvivrà integralmente grazie alla sua
tecnicità e alla sua funzione utilitaristica.

Potrebbero piacerti anche