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SALLUSTIO

Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiterno (Sabina orientale, vicino all’odierna Aquila, nota per la fedeltà alle
tradizioni e ai severi mores) nel 86 da una famiglia plebea arricchita (forse, come Crasso e Catilina, con le
proscrizioni sillane). Dopo gli studi si stabilì a Roma e intraprese una carriera politica: è un homo novus, legato alla
fazione dei populares; sarà nel 55 probabilmente questore e nel 52 tribuno della plebe, poco prima della morte di
Clodio (fa violente campagne scagliandosi attivamente contro Milone e Cicerone). Due episodi lo caratterizzarono
negativamente: l’espulsione dal senato da parte del Censore (per indegnità, 50, 2 anni dopo essere stato tribuno,
pretesto per una vendetta aristocratica vista l'aggressività verso Milone) e un processo de repetundis (46,
governatore Africa Nova, con i profitti accumulati illecitamente copra i famosi horti sallustiani). Per quanto riguarda
invece il secondo evento dopo la vittoria di Cesare alle elezioni quest’ultimo lo riammette (e riammette anche
Cicerone); da qui Sallustio decolla, e Giulio addirittura lo premia, rendendolo governatore appunto dell’Africa Nova
(Numidia, Giuba e Giugurta). Secondo quanto testimoniato al processo, lo storico raccolse in queste terre denaro
illecitamente, rubando ricchezze in quantità esagerate. Non abbiamo comunque effettive prove portate durante il
processo, ed è probabile volessero colpirlo gli aristocratici. Fu salvato entrambe le volte da Cesare, ma fu
obbligato a lasciare la politica dallo stesso: è possibile che Cesare abbia fatto ciò per allontanare dalla sua figura
un personaggio con una cattiva reputazione, in quanto non poteva più difenderlo. Si dedica poi alla letteratura,
senza prendere parte alle guerre civili successive, ma riesce a fare politica anche tramite la storiografia. Muore nel
35. Ha un’idea della moralità molto razionale: si batte contro la corruzione del Senato ma ha comunque una
proprietà immensa, gli Horti Sallustiani: c’è un contrasto tra quello che scrive e quello che viene detto di lui. Ha uno
stile arrabbiato e nebuloso: lascia spesso le frasi sospese, sottintende e adotta una sintassi spiazzante. Fa spesso
uso di chiasmi e parallelismi, servendosi anche di arcaismi e termini precisi. Fu il primo dopo Celio Antipatro
(opera sulla seconda guerra punica) a scrivere un’opera monografica: celebri il “Bellum Iugurthinum" e il “Bellum
Catilinae”. Scrive di cose relativamente vicine a lui, difatti vuole comprendere gli eventi che hanno condotto all’oggi
(essenzialmente nella sua testa fa politica).

Bellum Iugurthinum
L'opera, suddivisa in 114 capitoli, narra le alterne vicende della guerra condotta dai Romani contro il re di Numidia,
Giugurta, tra il 111 e il 105 a.C., e conclusasi con la vittoria del console romano Gaio Mario. Attraverso la
narrazione di vicende che rivestono comunque grande interesse storico, Sallustio si preoccupa di affrontare la
decadenza morale e sociale che portò al crollo della res publica romana e alla nascita dell'Impero. La tecnica
narrativa si manterrà uguale anche nel Bellum Catilinae, ovvero quella tipica della storiografia ellenistica. Infatti,
dopo il proemio, il ritratto del protagonista e gli antefatti che collegano la vicenda con la storia di Roma, lo storico
comincia a narrare gli eventi intervallandoli con digressioni e discorsi che segnano pause di riflessione ed offrono
l'occasione per sfoggi di retorica (appoggia l’asianesimo, seppure usi frasi brevi) e giudizi storici particolarmente
pregnanti.
Nel proemio Sallustio (come nel de Coniuratione Catilinae) giustifica la sua scelta di fare attività letteraria: difatti è
convinto e ribadisce più volte che la vita attiva e la politica siano di gran lunga superiori a quella contemplativa. Da
infatti un primato a chi agisce, nonostante riconosca che senza un poeta eternatore tutta la gloria e la bellezza
sarebbero vani e distrutti dal passato. Parla anche della crisi della società (corrotti): vuole capirne il motivo, è
arrabbiato con la classe dirigente (ricattabili).
Ma tornando alla guerra, perché l’Africa? Stranamente, dice Sallustio, non per l’avarizia del senato, ma per gli
interessi commerciali e di sfruttamento degli equites/mercatores (la plebe sperava anche in una ridistribuzione
delle terre).

De coniuratione Catilinae
L'opera (61 capitoli) presenta anch’essa la struttura tipica delle monografie della storiografia ellenistica, secondo
uno schema molto preciso: un proemio, il ritratto del protagonista - inserito in questa posizione appositamente per
catturare fin da subito l'attenzione dei lettori -, vari excursus politici e morali ed infine l'analisi dei discorsi
pronunciati dai personaggi e dei documenti da cui si è attinto.
Sconfitto alle elezioni dal rivale Cicerone, Catilina decise di ordire un colpo di Stato, raccogliendo intorno a sé un
gruppo di congiurati, provenienti dai ceti più vari della società romana (facinorosi), ma accomunati dal disprezzo
per la legalità e dall'uso della violenza. Catilina, con abili manovre demagogiche, riunì tutti intorno ad un
programma estremistico, ma democratico: i suoi obiettivi fondamentali erano il condono dei debiti, la proscrizione
dei ricchi, saccheggi e la promessa di cariche pubbliche.
Nel proemio Sallustio sostiene come si possa servire lo stato con azioni o parole e come da entrambe queste si
possa ottenere fama e gloria (seppur maggiore quella in guerra). Nonostante ciò, è difficile fare letteratura poichè
bisogna eguagliare con le parole la grandezza degli eventi accaduti; dice inoltre che se parla male dei personaggi
viene ritenuto invidioso, se ne parla bene i lettori ritengono gli eventi o impossibili e inverosimili o di poca
grandezza. Inoltre si “scusa”, ammettendo di aver rubato, ma di averlo fatto poiché inserito in un contesto dove era
comune e “lecito” (impudenza, corruzione, avarizia, seppur non fosse la sua indole). Ripete inoltre come non si sia
ritirato dalla politica per fare il contadino o il nullafacente, ma per servire ugualmente lo stato, anche se in un’altra
maniera. Si ripromette inoltre di essere breve e di avere l’animo libero da speranze, paure o passioni di parte.
Singolare l’excursus dell’ “Archeologia", digressione sul perchè il mos maiorum sia in declino: dopo le guerre
puniche infatti innanzitutto venne meno il timor hostilis (non ci si preoccupa più di essere cauti, di risparmiare, di
aggrapparsi ad una fratellanza) e poi si accumularono eccessive ricchezza nella mani di pochi (debolezza delle
nuove generazioni, non c’è volontà di crescita). Questi esiti si traducono in manovre demagogiche, volti alla fine
però a difendere i diritti di pochi con l’elargizione di ricchezze per il favore del popolo. Il restante popolo interviene
in politica raramente, solitamente è infatti preoccupato di lavorare.

Il secondo excursus è quello sulla situazione post-sillana: lui infatti vede un’ulteriore aggravio alla situazione gia
instaurata: un allontanamento tra ricchi e poveri, un’aristocrazia arroccata nelle loro posizioni politiche e politici che
si servono di manovre demagogiche per arrivare al potere. Sallustio è convinto che serva un leader, un singolo per
combattere le faziosità (Clodio e Milone che si vogliono fare giustizia da soli).

Altra sezione fondamentale è quella del ritratto di Catilina, tecnica in cui Sallustio è maestro (da prova delle sue
capacità): descritto come “eroe noir”, per Gaio è terribile e furente. Nato da una famiglia nobile, decaduta e
arricchita con le proscrizioni sillane, accumulerà ricchezze per mettere in atto manovre demagogiche, elargendo al
popolo. Era inizialmente pupillo di Silla (avrebbe infatti ucciso e fatto a pezzi il cognato Marco Mario Gratidano,
consegnando poi a Silla la testa mozzata del parente), ma poi inizia ad essere rifiutato dal senato per il suo
carattere corrotto. Aveva una grande forza ed energia, sia nell’animo che nel corpo (et-et); con un sed forte viene
poi inserita l'antitesi (ha un ingenio cattivo, depravato, usa due aggettivi perché vuole bastonarlo), il tutto racchiuso
in un chiasmo (magna vi-ingenio malo, due ablativi di qualità.). Usa poi una variatio, cambiando il soggetto
(Catilina è nell’huic) e servendosi di un arcaismo (fuere). Catilina per l’autore “sguazzava” nei mali dello stato
(morte, guerre, discordie, asindeto e del climax discendente): lì si è formato e lì stava bene. Sallustio utilizza inoltre
la frase “ab adulescentia” per intendere che il protagonista fu da sempre vittima dell’ambiente in cui è cresciuto (lo
giustifica). Lo scrittore riprende poi in chiasmo animi et corporis (specifica di che tipo sia la suddetta vis) e utilizza
una concordanza ad sensum (delle quali al posto di della quale). Specifica poi i due tipi di forza presenti in Catilina:
quella dell’animo è simboleggiata da un carattere audace, subdolo, incostante (simulatore e dissimulatore), uno
sprezzo costante del pericolo e molta arroganza. Dall’altro lato la forza del corpo è testimoniata dalla capacità di
sopportare la fame, il freddo e l’insonnia, più di chiunque possa immaginare (parallelismo + chiasmo).
Sallustio all'interno della descrizione paradossale di Catilina tende ad accostare termini opposti mediante un uso
insistito di strutture oppositive. Lo stile è estremamente rapido e incalzante, basato sull'uso della paratassi, di
ellissi verbali e di repentini cambiamenti di soggetto, in quello che può essere considerato un ottimo esempio
dell'inconcinnitas sallustiana. Non mancano inoltre arcaismi (“lubet”, “lubido”, “maxuma”, “capiundae”, “pessuma ac
divorsa”): Sallustio ne fa uso per dare superiorità ai suoi scritti, per adeguarsi al tema dell’archeologia, per
dimostrare che utilizza modelli precedenti e per inserirsi nella contesa con Cicerone asianesimo (lessico
importante, complesso, prezioso, ampolloso)-atticismo.

Traduzione del ritratto di Catilina


Catilina, nato da nobile famiglia, fu di grande forza sia dell'animo che del corpo, ma di indole malvagia e
depravata. A questo fin dalla giovinezza furono gradite le guerre civili, i massacri, le rapine, la discordia civile, e lì
esercitò la sua età matura. Il corpo era tollerante alla fame, al freddo, alla veglia (sequenza asindetica di genitivi,
sottinteso est) più di quanto possa essere credibile per chiunque. L'animo era temerario, subdolo, incostante
(un’altra costruzione per asindeto, che dà incisività e rapidità), simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa (tmesi
da quilibet), desideroso dell'altrui, prodigo del proprio, focoso nei desideri; aveva abbastanza eloquenza, ma poca
saggezza (satis eloquentiae, sapientiae parum: eloquentiae e sapientiae sono due genitivi partitivi, retto il primo da
satis, il secondo da parum; da notare la costruzione a chiasmo della frase, alla quale è sottinteso un habebat).
L'animo mutevole desiderava sempre cose smoderate e troppo alte. Dopo la dittatura di Silla lo aveva occupato il
massimo desiderio di impadronirsi dello stato (gerundivo); e non gli importava per niente con quali mezzi
conseguisse questa cosa (interrogativa indiretta), pur (dum: sta per dummodo e ha valore concessivo) di
procurarsi il regno. Il suo animo impetuoso era agitato sempre di più di giorno in giorno dalla mancanza di
patrimonio familiare e dalla consapevolezza dei delitti, entrambe le quali cose egli aveva accresciuto con quelle arti
che ho ricordato in precedenza. Inoltre lo incitavano i costumi corrotti della cittadinanza, che i mali peggiori e
diversi tra di loro - ovvero l'amore per il lusso e l'avidità - tormentavano. L'argomento stesso sembra esortarmi,
poiché la circostanza mi ha fatto ricordare dei costumi della città, a ritornare indietro e a descrivere con poche
parole le istituzioni degli antenati in pace e in guerra, in che modo abbiano governato lo stato e quanto grande
l'abbiano lasciata (due subordinate interrogative indirette dipendenti dall'infinito disserere; facta sit è congiuntivo
perfetto del verbo irregolare fio) e come essendo mutato poco per volta sia diventato da bellissimo e ottimo,
pessimo e scelleratissimo.

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