Tiberio (14 - 37) -> Caligola (37 - 41) -> Claudio (41 - 54) -> Nerone (54 – 68)
Dopo Augusto divenne imperatore Tiberio Claudio Nerone, figlio di Claudio Nerone (un membro dell’aristocrazia senatoria).
Per questo il senato accettò l’accesso di Tiberio che dava la possibilità di stabilire una successione dinastica: da res publica
Roma tornava ad essere una monarchia.
Tiberio non fece altro che consolidare la struttura fondata da Augusto: proseguì il risanamento economico, consolidò i
confini dell’impero (anziché di intraprendere nuove conquiste). Egli inaugurò la “legge di lesa maestà” che prevedeva la
massima pena per tradimento dello stato o offesa dei magistrati. Lucio Elio Seiano, prefetto dei pretoriani, tentò di
inserirsi nella lotta per la successione, ma fu scoperto e condannato a morte.
Morto nel 37 Tiberio salì al trono Caligola che tentò di trasformare il principato in una monarchia assoluta di tipo
orientale (il re ha poteri divini).
Ma fu ucciso dai pretoriani che proclamarono imperatore Claudio. Egli puntò ad un rafforzamento del principato,
riorganizzazione dell’apparato statale, risanamento economico, una legislazione ad hoc per i più deboli, grandiose opere
pubbliche. Conquistò nuovi territori e favorì la romanizzazione delle provincie. Le sue tristi vicende personali
offuscarono in qualche modo il suo operato. Fu convinto dalla quarta moglie ad adottare Nerone.
Avvelenato nel 54 Claudio cedette il trono a Nerone. Giovane, fu aiutato dalla madre Agrippina, e dai suoi maestri
Seneca e Afranio Burro. Appena maturò Nerone mostrò il suo carattere spietato, dando il via ad una serie di feroci delitti
e provvedimenti dispotici che gli negarono il favore del senato. Egli riprende l’obbiettivo di Caligola di fondare una
monarchia orientale. [finire pg 19]
E’ vivo in questo periodo il problema del rapporto tra scrittori e potere. Prima poeti e intellettuali per vivere erano costretti a
legarsi ad un protettore, ora a cercare l’approvazione del princeps. Sebbene apparentemente nell’età augustea il prestigio
conferito agli intellettuali e l’opera di mediazione di Mecenate avessero consentito una sintesi feconda tra ideologia ufficiale e
apporti individuali, in realtà già la seconda generazione di poeti augustei ripiegò su una poesia disimpegnata e leggera. La
dinastia giulio-claudia non si interessò a stabilire rapporti “programmatici” privilegiati con gli scrittori, escluso Nerone, non
portando avanti l’opera cominciata da Mecenate, e portando all’esaurimento anche il mecenatismo privato. Questo perché
cercare di gareggiare in liberalità con il princeps, poteva suscitare sospetti ed era quindi rischiosa. I nuovi ricchi non aspiravano
minimamente a fondare circoli intellettuali, ma si accontentavano di ingaggiare occasionalmente scrittori poveri per
circostanze private, pagando comunque cospicuamente. A praticare la letteratura rimasero dunque i membri dell’élite sociale.
Proprio perché provenienti dall’aristocrazia, molti intellettuali si ponevano contro il principato (che andava spogliando l’élite
dei suoi antichi poteri). Di questo clima nostalgico della repubblica, di grande instabilità e ribellione non è facile riconoscere le
varie opposizioni a causa della forte censura attiva a quel tempo. Oltre alla maggioranza degli oppositori, vi erano anche coloro
che si allinearono alla nuova situazione, ottenendo favoritismi dai principi. Taluni (es. Seneca e Lucano) prima erano a favore
del princeps e poi contro di esso, altri invece optarono per una poesia politicamente disimpegnata e altri optarono per una
poesia neutra. Tale mancanza di libertà e subordinazione al regime comportarono toni troppo elogiativi e conformisti, carichi
di formule rituali e prevedibili. Mentre chi era in opposizione al regime è possibile rintracciare i segni della grande arte (es.
Satyricon di Petronio).
Nerone fu l’unico dei Giulio-Claudi a promuovere l’arte e la cultura, era animato da un istinto di artista. Amava esibirsi di
persona come poeta-cantore. Attraverso i giochi e gli spettacoli egli entrava facilmente a contatto con la plebe. Con il regno di
Nerone si ebbe una ripresa della produzione letteraria (Lucano, Seneca, Petronio ecc). Tuttavia questi esordì si capovolsero
ben presto, tramutandosi in inquietudine e poi in aperta opposizione.
Il bisogno di filosofia e le risposte dello
stoicismo
La filosofia, via alla felicità individuale
Con la caduta di Augusto il principato non riuscì più a nascondere il proprio volto assolutistico, ostile alla cultura, specialmente
alla filosofia. Il ceto senatorio, al fine di conservare la propria identità, oscillò tra servilismo di fonte al nuovo potere assoluto
degli imperatori e opposizione all’assolutismo monarchico. Nascerà così una tradizione di “martiri” stoici della libertas. In
questo periodo di crisi (come afferma lo stesso Seneca) viene sempre più abbandonato il negotium (attività puramente a
servizio dello stato) a favore dell’otium (riposo dall’attività pubblica, il tempo libero destinato alla vita privata o agli studi). La
diffusione sempre maggiore della filosofia anche tra i ceti medio-bassi comportò che né l’aristocrazia né il popolo fosse
appagato né dal mos maiorum né dalla religiosità tradizionale: la filosofia divenne maestra di vita e letteratura. Hanno
successo i saperi che mirano a conoscere la realtà (come l’astrologia) e le religioni misteriche. Dato il carattere con cui si era
affermata Roma di guida alla felicità individuale tale prosperità di dottrine e ricerche soddisfano quei bisogni di autenticità,
interiorità e naturalezza.
Lo stoicismo
Lo stoicismo fu la scuola che ebbe maggior successo. Essa era apprezzata per la sua capacità di delineare un coerente
programma di vita fondato sui motivi della razionalità, della virtù e della libertà interiore. Lo stoicismo accontenta un po’ tutti:
Chi si oppone al principato: Esaltando il valore della libertas e l’autonomia del saggio.
Il regime imperiale: Giustificando la sua esistenza come espressione interra dell’ordine universale.
Seneca fu uno degli esponenti maggiori dello stoicismo, scrivendo di molti suoi aspetti (la costruzione di una morale personale,
la risposta alla sofferenza e alla morte, i rapporti tra l’individuo e il potere politico). La filosofia stoica del possesso interiore
(libertas) offriva una consolazione agli ultimi della società, che potevano sentirsi parte attiva del progetto divino e
provvidenziale dello stoicismo. Prima di conquistare la libertas è necessario riuscire a domare le passioni che offuscano la
mente. [fine pg 38]
L’età augustea era definita “aurea” mentre quella successiva “argentea” quasi a sminuire la seconda. Oggi invece si apprezzano
le diversità degli autori del tempo, che esprimono un differente clima spirituale nelle loro opere, caratterizzato da un disagio di
una realtà sociale e culturale che muta prima assente. Tale mutamento sociale e culturale ha portato anche ad mutamento del
gusto letterario, ora “anticlassico”:
Argomenti insoliti.
Magniloquenza, enfasi, drammaticità.
Uso sorprendente di immagini e paragoni.
Stile ricco di figure retoriche. [fine pg 41]