Sei sulla pagina 1di 5

Sallustio

La vita
Gaio Crispo Sallustio nasce ad Amiterno, in Sabina, il primo ottobre dell'86 a.C., da una
famiglia agiata, ma che non ha avuto mai magistrati nella sua famiglia, per cui questo gli
varrà il titolo di homo novus. Studia a Roma, dove inizia la carriera politica forse da
questore nel 55-54 e tribuno della plebe nel 52. Si lega, evidentemente per la sua estrazione
socio-economica alla factio dei populares e come tribuno della plebe conduce la campagna
di discredito contro Milone, l’uccisore di Clodio, fratello di Clodia (filo-cesariano) e contro
Cicerone, il difensore di Milone nella causa in cui lui sostiene di aver ucciso Clodio per
legittima difesa in un’imboscata. Nel 50 subisce la vendetta da parte dell’aristocrazia
senatoria, poiché il cursus honorum lo portò ad entrare in senato, ma il fatto che lui si sia
schierato contro Milone, che era filo-cesariano, contro Cicerone, che pur essendo homo
novus, si era schierato dalla parte degli optimates fa sì che Sallustio sia inviso dalla factio
degli optimates, e viene espulso dal senato per indegnità morale, cioè per il fatto che Milone
lo avesse sorpreso, addirittura prima del processo, a letto con la moglie e che lo avesse
flagellato come la legge prevedeva: oltre alle ragioni ideologiche, c’era avversione privata tra
i due. Nel 49, quando Cesare passa il Rubicone e c’è guerra civile, Sallustio ci schiera con
Cesare, che dopo la vittoria lo riammette in senato. Nel 46 viene nominato, dopo che Cesare
vince la battaglia di Tapso in Africa e segna la vittoria dei repubblicani (provocando il suicidio
di Catone l’Uticense), governatore della provincia Africa Nova, che Cesare crea dal regno di
Numidia, regno che Cesare aveva sottratto al re Giuga, che si era schierato con i pompeiani.
Sallustio però, come nella tradizione dei governatori romani, si da ad espropriazioni e
saccheggi in questa provincia: alla fine del mandato Sallustio viene accusato di
concussione (Il reato di un pubblico ufficiale che abusando delle sue funzioni costringa o
induca alla consegna o alla promessa indebita di una somma di denaro). Cesare lo salva, li evita
la condanna, ma gli impone un ritiro dalla politica attiva: costui sta agli ordini di Cesare e si
dedica all'attività storiografica rifugiandosi nella villa degli “Horti Sallustiani”. Muore nel 36-35
a.C.

Le opere

VI sono due monografie, cioè opere che parlano di due eventi per lui nodali nella storia romana,
cioè il Bellum Catilinae o De Coniuratione Catilinae, e il Bellum Iugurthinum, pubblicate tra il
43 e il 40: per il loro genere costituiscono una novità della letteratura latina.
Un’altra opera a cui si dedicò dopo il ritiro sono le Historiae, di taglio annalistico, pur non
raccontando la storia ab origine (come Livio con il suo Ab Urbe Condita), ma parte dal 78 circa,
la data della morte di Silla, ma anche la data in cui lo storico Sisenna interrompe la sua scrittura,
ponendosi quindi in continuità: in questo si ricalca il modulo tradizionale greco come per esempio
quello di Erodoto che racconta fino alla II guerra persiana e Tucidide che racconta i 50 anni che
vanno dalla fine della seconda guerra persiana alla guerra del Peloponneso, nella sezione che
viene chiamata πεντηκονταετία, e Senofonte con le Elleniche. Sallustio parla della dittatura
sillana e quest’opera che viene iniziata probabilmente nel 39, ma resta incompiuta per la sua
morte. Ci sono giunti, di quest’opera, solo dei frammenti e alcuni di essi sono molto estesi, come
la lettera di Mitridate al re dei parti.
A Sallustio sono attribuite due epistole, le Epistulae ad Caesarem senem de re publica, opere
quasi certamente spurie, elaborate in scuole di retorica, dove si insegnava a scrivere con la
tecnica dell imitatio. Queste lettere, a scopo suasorio (persuasorio) in cui vengono date
indicazioni a Cesare su come riorganizzare lo stato, sembrano non essere autentiche, perché in
genere il falsario tende ad infarcire le caratteristiche sallustiane del testo più di quanto lo farebbe
Sallustio stesso (discorso analogo per la VII lettera di Platone), tuttavia ne rispecchiano
l’ideologia.
Inoltre, la definizione di Caesar senex è in opposizione a quella di Caesar iuvenis, è una
caratterizzazione attributiva che si determinò a partire dall'età augustea, quando Augusto prende
il nome di Cesare, quindi si crea quasi ambiguità; tuttavia , Sallustio muore prima dell'avvento di
Augusto: questa è una prova del fatto che l'opera sia quasi sicuramente apocrifa.
A Sallustio è attribuito un poema di dottrina pitagorica ed empedoclea, Empedoclea,
sicuramente spuria, l’equivoco è che ci sia stato un omonimo e coevo a Sallustio.
L’Invettiva in Ciceronem invece, è sicuramente apocrifa.

Le due monografie sono un’indagine sulla crisi politica, sociale e valoriale in cui Roma, secondo
Sallustio, era da tempo precipitata.
Nel Bellum Catilinae abbiamo come nucleo narrativo il delinearsi di un pericolo eversivo, sullo
sfondo di una decadenza di costumi nella vita romana.
Nel Bellum Iugurthinum abbiamo la descrizione dell’incapacità di una classe dirigente corrotta,
di proteggere il prestigio dello stato da un piccolo despota Africano (Giugurta re di Numidia, che
dal 112 a.C. al 105 a.C. combatté contro i Romani) e viene messa a tema la prima vittoriosa
resistenza dei populares nei confronti dell’ormai decaduta egemonia aristocratica.
La guerra giugurtina fu una guerra che partì dalla strage di Cirta, quando Giugurta uccise anche i
commercianti italici che erano a Cirta; si dovè intervenire necessariamente contro Giugurta, che
aveva dalla sua parte molti aristocratici romani dalla sua parte, ma al quale fu dichiarata guerra
da un senato pur corrotto. La guerra fu affidata a generali aristocratici corrotti dallo stesso
Giugurta, fino all’arrivo dell’homo novus popolare di Mario, che con la riforma dell’esercito (che
ora viene detto capite censi, ossia censito per crani, nel senso che vengono arruolati anche i
nullatenenti)

[Nelle società antiche, lo stato di guerra è perenne. Aristotele, per definire il concetto dell’identità
tra cittadino e soldato, dice ‘I cittadini sono coloro che possono procurarsi le armi’; in questo
sfondo, sono esclusi quindi i nullatenenti, che sono sempre i più numerosi e ai quali non vengono
date le armi, ma la cui rivolta può mettere in pericolo la stabilità. Ad esempio, nella società
ateniese, i teti (fascia di nullatenenti) cominceranno ad assumere importanza, quindi a votare e
ad essere incisivi anche nella politica (tendenza democratica)solo nel progetto imperialistico che
Atene voleva compiere sul mare: servono rematori per le navi, quindi vengono arruolati.]

L'intenzione di Mario fu quindi quella di affidarsi ai nullatenenti, soldati che si creano un loro
condottiero: le basi per la guerra civile si hanno quando i capi di vari gruppi di soldati (che in
caso di vittoria concedevano saccheggi o addirittura appezzamenti appezzamenti terra, se
premevano in senato) si scontrano.
Le due monografie sono quindi incentrati su due momenti di crisi in cui si manifesta
l'inadeguatezza degli optimates di reggere le sorti dello stato.

Ad entrambe le monografie Sallustio antepone due proemi, in cui si giustifica dal fatto di aver
trattato l'attività storiografica, atteggiamento che si ritroverà in Tacito, Seneca: per un romano,
fare storia, dunque fare politica, è un fatto preminente rispetto allo scriverlo, perché il negotium
politico è l'evento prioritario per un virus bonus peritus dicendi, mentre l'otium letterario è
un'attività in subordine, anche se l'opera storiografica, in quanto riflessione politica sul passato, è
comunque la più contigua al negotium.
Come si giustifica? Sallustio sostiene che il negotium politico sia corrotto dall'ambizione e
dall'avidità (è chiaro che l'affermazione che lui fa finge di non ricordare il saccheggio che lui
stesso aveva fatto in Numidia), quindi non esiste più spazio per un'attività onesta utile allo stato e
la storiografia è un modo per fare politica senza farne parte. La storiografia mantiene con il
negotium politico uno stretto legame, essendo questa una relazione a posteriori sull'attività
politica del passato, per cui utile alla formazione del cittadino.
Del resto, la definizione che dà Cicerone della storiografia è 'opus oratorium maxime', vale a
dire (da orator, nomen agentis di orāre, verbo denominativo dalla radice di os, oris e che significa
colui che utilizza l'organo per parlare; il politico è quello che usa maggiormente questa facoltà in
possesso di tutti) 'attività massimamente politica'.

Il de Coniuratione Catilinae
Si tratta una monografia relativa alla congiura che Cicerone, in veste di console, sventò nel 63
a.C..
Catilina era un uomo eversivo, che aveva perso per la seconda volta in senato le elezioni per
fare il console, perciò decide di ordire una congiura. In quel caso, il senato decise di attaccarlo
con un homo novus: questo perché sapeva che Catilina avrebbe fatto pressione presso le classi
popolari, rischiava davvero di vincere dato l'enorme piano politico a vantaggio di queste classi
minori, per cui ritenne opportuno dargli un valido avversario per strappare i voti dei populares.
Naturalmente Cicerone, grazie all'aiuto dell'aristocrazia e grazie alla sua capacità di persuasione
(si era fatto notare anche in Sicilia a tal punto che gli abitanti di quella zona decidono di
chiamarlo nella causa contro Verre) e alla sua carriera, rischiò la vita andando a muso duro
contro Catilina, ma vinse, sventando la congiura e salvando lo stato.
Si tratta, insieme alle 4 Catilinarie di Cicerone, di un'opera fondamentale nella ricostruzione
storica della congiura. È strutturata in 4 orazioni, delle quali la prima e la quarta furono
pronunciate in senato, mentre la seconda e la terza furono pronunciate dinanzi al popolo.
Sono importanti in questa monografia due excursus, concettualmente uniti:
● la 'Archeologia': il termine si costruisce sull'analoga digressione, subito dopo il proemio,
(chiamata Archaiologìa) di Tucidide, modello per Sallustio, che fa sulla guerra del
Peloponneso. Letteralmente significa 'discorso sulle cose antiche', quindi le premesse. In
questo excursus vengono tracciate le vicende vicende ascesa e di decadenza di Roma,
ma a differenza di Tucidide, che aveva costruito criticamente le ragioni economiche di
potenza militare che avevano provocato la guerra tra Sparta e Atene, costui si pone in
un'ottica moralistica, sulle orme della storiografia catoniana. Il moralismo di Sallustio
individua la base di ogni agire individuale e collettivo nei costumi sani o corrotti, e non
nelle questioni di ordine economico o nelle ragioni di affermazione di potenza: gli eventi e
i fatti sono manifestazione di un evolversi di vizi o virtù singolari o collettive (le collettive
hanno più influenza perché fanno la storia). Alla decadenza della specchiata eticità e
moralità dei costumi romani, viene messa a confronto l'integrità dei primi secoli di storia
di Roma: questa visione pessimistica è topica nella storiografia romana (laus temporis
acti, lode del tempo passato, idealizzazione del passato come irripetibile perfezione, che
ancora oggi trova spazio) ed è archetipo per Tacito, Livio etc., questa idea di un graduale
discostamento dai costumi ideali del passato.
● Più breve e nel centro dell'opera è l'excursus etico-politico. In questi 4 capitoli viene
spiegato come nella grandiosa espansione di Roma prima della conquista di Cartagine
(146 a.C.) dominasse la virtus, che istigava alla concordia e distoglieva i cittadini
dall'avidità personale nell'andare in guerra per affermarsi (difficile negare l'influenza della
storiografia catoniana, che nelle Origines non fa i nomi). Naturalmente la prospettiva
pessimistica impedisce a Sallustio di vedere come il processo stesso di conquista
imperialista portasse con sé numerose contraddizioni morali, che determinarono la
rottura della concordia interna: le conquiste è vero che portarono vantaggi, ma portarono
anche elementi di squilibrio, come la proletarizzazione dei piccoli e medi imprenditori,
costretti ad andare in guerra e a vendere i loro territori che erano stati distrutti; queste
terre poi venivano vendute agli aristocratici che si arrichivano sempre più e costruivano i
latifondi, coltivati non da questi divenuti braccianti, ma dagli schiavi di guerra, che
offrivano lavoro a basso costo. Questi ex proprietari terrieri del ceto agricolo poi si
riversavano a Roma, dove cercavano di vivere dedicandosi ad attività illecite ed immorali.
Da Sallustio, eventi come questo o come l'arricchimento di una parte notevole
dell'aristocrazia detta progressista e la formazione di un ceto imprenditoriale rampante,
erano visti come la prova del sovvertimento del mostro Maiorum, dovuto alla fortuna, alla
sorte che si è accanita contro Roma: il processo di degradazione, che comincia quando
Roma perde quel nemico il cui terrore aveva tenuto coeso il corpo sociale, raggiunge il
suo culmine nell'età di Silla (I sec a.C., in cui lui vive) dove si forma addirittura una figura
eversiva come Catilina; di questo e di Sempronia, altra congiurata, Sallustio ci offre
quello che Antonio La Penna chiama un ritratto paradossale (un ritratto che sottolinea le
capacità positive messe in contrapposizione a quelle negative, non 'continuo ed
omogeneo in questo senso), che sarà fatto anche da Cornelio Nepote, da Tacito con
Petronio e da Livio con Annibale. La congiura è quindi ispirata da Catilina e da altri
aristocratici corrotti ex Sillani, Silla che ha fatto scuola di immoralità (ecco la visione
moralistica storiografica), che trascinano con sé il proletariato urbano promettendo
benessere a tutti, persino agli schiavi.

Uno degli scopi principali nel Bellum Catilinae è quello quello eliminare i sospetti di una
corresponsabilità di Cesare e della factio populares nella congiura (Sallustio era legato a
Cesare): l'opposizione al Senato dei due non aveva nulla a che fare con quella ordita da Catilina,
che traeva invece origine nella corruzione di aristocratici corrotti sillani. In effetti, il discorso che
Catilina tiene ai congiurati, dove spiega le ragioni ideologiche della congiura, consente che si
manifestino temi di rivendicazione comune tra la tradizionale politica antisenatoria dei populares
e la politica dei catilinari: Catilina propone le stesse ragioni ideali che sono proprie della
tradizione antisenatoria dei populares, il che aveva destato dei sospetti e ambiguità verso
Cesare. Si pensava infatti che Cesare fosse consapevole della congiura e che dopo l'eventuale
vittoria della congiura, lui avrebbe preso il potere sventandola, in modo tale da riservare il lavoro
più difficile, vale a dire quello di smantellamento del senato, alla congiura, che avrebbe
appoggiato solo in caso di vittoria.
Importanti sono i discorsi contrapposti di Cesare e Catone il giovane (Uticense): i due discorsi
vengono tenuti in senato quando si discute della pena per i congiurati che erano stati presi grazie
all'adelazione dei Galli Allobrogi (che arrivati a Roma per protestare erano stati avvicinati dai
Catilinari e fecero un doppio gioco andandoli a denunciare direttamente a Cicerone, che ha le
prove per arrestarli). Cesare nel suo discorso riportato da Sallustio vuole evitare la condanna a
morte perché è illegale, si mostra preoccupato per la legalità (tema a lui caro nel De bello Civili
dove dice di compiere azioni con margine di illegalità per reinstaurare la legalità sciolta dalla
factio pompeiana). Inoltre nel discorso Cesare si lascia a considerazioni Epicuree (l'epicureismo
era esploso in quegli anni e in quelle circostanze) in questo sfondo politico, il che ci dimostra
come fosse un po' d'accordo con i catilinari: dice che la condanna a morte è la fine della
sofferenza, perché, della morte, secondo dottrina, non bisogna aver timore. Propone l'esilio
perpetuo in qualche regione, per dare loro maggiore sofferenza.
Catone invece si oppone con un discorso austero e intransigente, come lo era stato nel suo
suicidio a Utica: Sallustio tiene a rappresentare i personaggio post eventum nella loro vivida
ideologia, ma soprattutto nella loro diversità ideologica che è positiva,meritevole di rispetto e i cui
fondamento sono complementari, per dare una maggiore impressione di veridicità.
In diversa luce è messo invece Cicerone, che pur essendo homo novus era diventato
instrumentum dell'aristocrazia senatoria, era stato scelto contro Catilina e la sua propaganda
demagogica antisemitista in funzione della sua origine popolare come quella di Catilina.
La proposta di Catone di condannarli a morte vincerà, ma l'errore di Cicerone fu proprio quello di
farli strangolare senza aver concesso la provocatio ad populum, perché quasi sicuramente il
popolo avrebbe risparmiato loro la pena di morte, dato il loro utopico programma politico;
successivamente verrà condannato all'esilio.

Potrebbero piacerti anche