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LISTA IMPERATORI DEL 1 E SECONDO SECOLO

Dinastia Giulio Claudia


TIBERIO 14-37 D.C
CALIGOLA 37-41
CLAUDIO 41-51
NERONE 54-68
DINASTIA FLAVIA
69 ANNO 4 IMPERATORI: GALBA, VESPASIANO, OTONE, VITELLIO
VESPASIANO 69-79
TITO 79-81
DOMIZIANO 81-96
IL PRINCIPATO PER ADOZIONE
NERVA 96-98
TRAIANO 98-117
ADRIANO 117-138
ANTONINO PIO 138-161
MARCO AURELIO 161-180
COMMODO 180-192

Un nuovo mondo globale: la romanizzazione del Mediterraneo


La cittadinanza romana
L’Impero romano era composto di milioni di individui di etnie e lingue diverse, poste sotto
la tutela delle armi di Roma, che garantivano la sicurezza ai confini e l’ordine interno.Nei
primi due secoli di vita dell’impero (dalla morte di Augusto a quella di Commodo)la società
di questa enorme compagine statale subì cambiamenti profondi e radicali: a poco a poco il
governocentrale di Roma livellò le antiche differenze tra i popoli delle province,
contribuendo acreare un grande mondo comune all’interno di un’unica struttura statale.La
romanizzazione delle province e delle regioni marginali dell’impero fu anzitutto unprocesso
politico, spesso innescato dalla concessione della cittadinanza romana. Poteva-no
diventare cittadini i soldati al momento del congedo, i liberti di un cittadino romano,oppure
intere città o regioni che lo avessero meritato. Essere cittadino romano procuravagrandi
vantaggi: basti pensare che san Paolo, una volta arrestato, sebbene fosse ebreo
dinascita, parlasse il greco e non avesse mai messo piede a Roma, ebbe diritto a un
regolareprocesso perché era cittadino romano, mentre il suo maestro Gesù Cristo, non
essendoromano, fu messo a morte dopo un giudizio sommario.Grazie alla concessione
della cittadinanza Roma riuscì ad assimilare molti popoli sottomessie soprattutto a legare
a sé le classi dominanti di questi popoli: ciò spiega anche perché neiprimi due secoli
dell’impero le rivolte furono assai rare. Alcuni degli imperatori del II se-colo d.C., del resto,
provenivano dalle file della nobiltà provinciale romanizzata, mentre ilSenato era ormai
formato in maggioranza da nobili provinciali, che stavano soppiantan-do i nobili di origine
italica: senatori e imperatore, dunque, spesso avendo origini comuni,avevano anche la
stessa mentalità e condividevano interessi comuni. E questa è una delleragioni per cui,
durante quest’epoca, il rapporto tra la massima istituzione dello Stato e lanobiltà senatoria
abbia conosciuto momenti di eccezionale sintonia.

L’urbanizzazione dell’impero
La romanizzazione si manifestò anche nell’uniformazione urbanistica del mondo control-
lato da Roma: i principi del I e soprattutto del II secolo d.C. promossero la fondazione
dinuove città e la ristrutturazione di molte vecchie città. Alcuni insediamenti nacquero an-
che per processi spontanei, come avvenne presso il limes germanico: molti
accampamentiromani lungo il Reno e il Danubio si stabilizzarono, dando poi origine a vere
e proprie città(tra cui, per esempio, le future Colonia e Belgrado); inoltre molti soldati,
quando venivanocongedati dopo lunghi anni di servizio alle frontiere, rimanevano in quelle
regioni, finendocosì per contribuire alla loro romanizzazione culturale.Nel complesso, il
fenomeno che più cambiò il volto dell’Impero romano dal principato diAugusto in poi fu
proprio quello dell’urbanizzazione. La maggiore percentuale degli abi-tanti dello Stato
romano ormai non viveva più nelle campagne, ma nelle città, molte dellequali avevano
assunto dimensioni notevoli: oltre a Roma, che crebbe sino a raggiungereun milione di
abitanti, Alessandria d’Egitto aveva più di 500.000 abitanti, Antiochia eCartagine 300.000
ed esistevano molti centri con almeno 200.000 abitanti. In ogni cittàesistevano terme,
teatri, sale da concerto, ginnasi e palestre, bagni pubblici, acquedotti, biblioteche, stadi,
scuole, mercati, oltre ai palazzi del potere politico e religioso. Le cit-tà erano controllate da
magistrati romani, ma godevano di una certa autonomia, essendoamministrate da consigli,
simili al Senato di Roma, formati dai cittadini più eminenti(detti “decurioni”), che spesso
investivano parte del loro patrimonio in opere pubbliche.Un’efficiente rete stradale, inoltre,
collegava le diverse regioni dell’impero e consentiva glispostamenti di mercanti e
viaggiatori in condizioni di discreta sicurezza.

La cultura “classica” del nuovo mondo greco-romano


In questo processo di romanizzazione rivestì un peso rilevante anche la diffusione
dellacultura latina, soprattutto nei territori mediterranei di nuova conquista che non
avevanosubito una precedente ellenizzazione. Il latino divenne la lingua comune di tutto
l’Occi-dente (Gallia, Spagna, Africa, alcuni Paesi balcanici), mentre a Oriente continuava a
essereusato il greco. L’impero era dunque bilingue e così la classe dirigente romana: i
giovaniaristocratici latini completavano i propri studi recandosi in Oriente in scuole greche,
mamolti intellettuali greci vivevano a Roma e scrivevano in greco di cose e questioni
romane;la classe colta, greca o romana che fosse, si sentiva partecipe dello stesso mondo
spiritualee degli stessi ideali di vita e così nacque il concetto di “cultura classica”, intesa
come unitàdi letteratura, filosofia e civiltà greco-latina. Di questo concetto si trova
adeguata espres-sione per esempio negli scritti del greco Plutarco di Cheronea (45-125
d.C. circa): nellasua opera principale, significativamente intitolata Vite parallele, egli
accosta la biografiadi un personaggio greco a quella di un personaggio romano simile (per
esempio, gli orato-ri Demostene e Cicerone, o i conquistatori Alessandro Magno e
Cesare), per dimostrarecome i grandi personaggi fossero in sostanza partecipi della
stessa educazione, anche al dilà delle contingenze storiche in cui si erano trovati a vivere
e operare.A dimostrazione della profonda penetrazione della cultura in ogni angolo
dell’impero stail fatto che numerosi autori di questo periodo provennero da aree
periferiche: il filosofoSeneca, per esempio, era spagnolo, come pure il poeta Lucano (39-
65 d.C.); lo scrittoreApuleio (125-170 d.C. circa), autore dell’avventuroso romanzo
Metamorfosi (o L’asinod’oro), proveniva da una cittadina dell’odierna Tunisia; il greco
Luciano (nato intorno al120/125 d.C.), scrittore ironico e dissacrante, era originario della
Mesopotamia; il grecoElio Aristide (115-180 d.C. circa) era nativo di una provincia dell’Asia
Minore.Questo mondo così aperto e interculturale, però, fu sostanzialmente incapace di
produrreidee nuove e si risolse piuttosto alla contemplazione del passato; nel II secolo
d.C., anzi,prevalse una vera e propria moda arcaizzante*. Anche la filosofia non propose
nuove pro-spettive ma si limitò a rielaborare le dottrine ellenistiche, in particolare lo
stoicismo, cheebbe in Seneca, nel liberto Epitteto e nell’imperatore Marco Aurelio gli
esponenti più il-lustri. Nel campo delle scienze, invece, il geografo e astronomo Claudio
Tolomeo elaboròsulla base di calcoli matematici il sistema geocentrico, destinato a
sopravvivere sino al XVIsecolo, mentre Galeno di Pergamo fu uno dei più grandi medici
dell’antichità e fu ritenutoun’autorità indiscussa sino all’epoca moderna.
L’altra faccia di un’età felice: la crisi italica
Nel I secolo d.C. e poi soprattutto nel corso del II secolo d.C. – considerato dagli
storiciantichi (e anche moderni) il beatissimum saeculum, cioè il «secolo felicissimo», l’età
d’orodell’impero – si manifestarono i primi segni di una crisi che sarebbe scoppiata nel
corsodel III secolo d.C. Uno di essi fu il declino dell’Italia, che perse la sua centralità
politica,economica e anche culturale: l’agricoltura decadde, la popolazione diminuì,
l’economia in generale subì un progressivo rallentamento. Gli obblighi militari che
gravavano in modoparticolare sulla popolazione italica toglievano forza-lavoro alle attività
produttive e favo-rivano il calo demografico. L’esercito romano, infatti, era ancora formato
in buona parteda Italici, che ogni anno erano inviati a migliaia ai confini per sostituire i
veterani caduti ocongedati. I soldati trascorrevano molti anni alle frontiere e spesso,
anziché fare ritorno alproprio villaggio in Italia, si stabilivano nei luoghi dove avevano
prestato servizio militare;così, mentre la popolazione italica diminuiva, aumentava quella
delle province.Già alcuni imperatori dell’epoca – per esempio Traiano – si accorsero di
questo pericoloe cercarono di porvi rimedio: fra le misure adottate, obbligarono i senatori
ad acquistareterreni in Italia, cercarono di sostenere l’agricoltura, vietando l’impianto di
vigneti al difuori dell’Italia e proibendo alla popolazione di emigrare. Si trattava di misure
che tam-ponavano un processo storico su larga scala e difficilmente arginabile. Altri segni
dellacrisi riguardavano l’artigianato cittadino che, sebbene fiorente, non era così
sviluppatoda raggiungere le dimensioni di una vera e propria industria: in Italia i principali
centridi produzione erano Arezzo, celebre per il vasellame, Sorrento per i vetri, Capua per
glioggetti in bronzo e l’isola d’Elba per l’estrazione e la lavorazione del ferro. Il
commercio,d’altro canto, era rappresentato soprattutto dall’importazione di beni di lusso
dall’Orientee quindi produceva un flusso di denaro in uscita dalle regioni dell’impero, con
una bilanciacommerciale* che dunque risultava in passivo.

Fissità e involuzione del sistema agricolo


L’agricoltura, inoltre, non produceva ricchezza sufficiente a sostenere le enormi spese
dellecittà, della burocrazia e dell’esercito, perché era praticata ancora con sistemi poco
evolutied era esposta alle conseguenze dei cattivi raccolti o delle calamità naturali. La
piccolaproprietà, malgrado i provvedimenti presi da molti imperatori per difenderla,
arretrava da-vanti all’avanzata del latifondo, affidato al lavoro poco motivato degli schiavi:
la resa dellatifondo, per giunta, era assai inferiore rispetto a quella che si sarebbe potuta
ottenere selo stesso terreno fosse stato diviso tra aziende familiari, più stimolate
dall’interesse perso-nale a incrementare la produzione e a reinvestire il surplus.Per
ovviare al declino della produzione, molti grandi proprietari terrieri trovarono più conve-
niente rinunciare alla gestione diretta delle aziende agricole e, poiché la pace aveva
ridottola disponibilità di prigionieri di guerra da far lavorare come schiavi, si affermò il
sistemadel colonato: le grandi tenute agricole furono divise in piccoli lotti affidati a
contadininullatenenti o schiavi in stato di semilibertà, detti “coloni”, che versavano al
proprietariola metà del raccolto. Il sistema resse sostanzialmente per tutto il II secolo d.C.,
grazie alcontrollo esercitato dallo Stato: gli imperatori emisero leggi a favore degli
agricoltori, persorvegliare la qualità delle coltivazioni, la sicurezza dei campi e soprattutto
l’equità deitributi, evitando che gli esattori delle imposte o i proprietari estorcessero ai
coltivatori piùdel dovuto. Si trattava, però, di un equilibrio molto delicato, che sarebbe stato
rotto nelcorso del III secolo d.C.: la differenza tra contadini liberi e schiavi sarebbe quasi
del tuttoscomparsa e tutti i coloni si sarebbero trovati esposti alla rapacità dello Stato e dei
potenti,interessati soltanto a spremere quante più tasse fosse possibile.

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