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Arte e archeologia del mondo romano

Parte I: La lunga storia di una committenza


1. La situazione della protostoria
Dalla fase preurbana più arcaica (villaggi su alture affacciate sulla valle del Foro) fino a metà VIII secolo
a.C. (unificazione villaggi), c’è la presenza di una società molto compatta; questa è rappresentata dalle sue
necropoli di tombe a fossa e a pozzo, da cui si ricava l’immagine di grandi comunità egualitarie, forse le
curiae, società di uomini con finalità militari e religiose controllate da capi scelti non per discendenza ma per
superiorità fisiche e morali (detta dai greci ARISTEIA). In questa società la sola produzione di oggetti di tipo
artigianale interna alle singole comunità è quella delle ceramiche, eseguite su base familiare o comunitaria in
impasti di diversi gradi di raffinatezza a seconda degli usi. C’è la presenza di artigiani con officine anche
ampie o di girovaghi testimoniati dai ripostigli di bronzi ritrovati. La produzione di strumenti e armi in
metallo è considerata un’attività vitale per la comunità, perciò lo stesso artigiano ha una posizione sociale
libera ed elevata.
Nel corso dell’VIII secolo a.C. avviene la decadenza della società delle curiae dovuta a:
-la nascita delle forme politiche, sociali e religiose (750 a.C.);
-la scomparsa dei grandi sepolcreti unitari (700 a.C.) per sostituirli con tipologie che rispecchiano la nuova
struttura socio-politica ed economica, il cui vertice è occupato dalla tomba a camera a carattere familiare e
gentilizio.
Lungo il corso dell’VIII secolo a.C. la formazione della gens determina sia l’importazione che la produzione
di oggetti di prestigio: infatti le varie gentes si contendono il primato che si nutre dell’esibizione di ricchezza
come espressione della potenza del gruppo e ciò trasforma l’artigianato e la circolazione degli oggetti di
lusso. Già nel IX secolo a.C. avvengono le prime importazioni dal Vicino Oriente e dal’Egeo, segnale della
ripresa dei traffici che nel tardo II millennio a.C. avevano fatto giungere sulle coste della penisola e della
Sicilia oggetti di produzione micenea, in prevalenza ceramiche, imitate dai locali.
A partire dall’inizio dell’VIII secolo a.C., con l’intensificarsi delle importazioni fenice e greche, il porto di
Roma e gli approdi delle metropoli etrusche del Sud (Caere, Tarquinia e Vulci) diventano le mete più ambite
di questi navigatori; in questo periodo i traffici si intensificano in funzione della rapidissima crescita delle
aristocrazie dell’Etruria e del Lazio e dei loro bisogni.
L’introduzione del vino di fabbricazione greca è un elemento di sviluppo economico, sociale e culturale per
la penisola e soprattutto per Roma; inizialmente i vini di fabbricazione fenicia e greca e i vini speziati si
affiancano a quello locale per poi andarlo a sostituirlo a fine VI secolo a.C. Questa nuova moda porta in
Italia il cerimoniale del simposio alla maniera greca, di cui Etruschi e Latini si impadroniscono, che
trasforma in profondità il costume locale; questo rituale è importante per mantenere i rapporti gentilizi e per
la nascita di legami tra non consanguinei, finalizzati a costituire gruppi dal forte impatto politico, religioso e
culturale. Con l’arrivo di queste novità nasce la prima committenza di Roma, del Lazio e dell’Etruria,
espressione dei gruppi aristocratici. Questa nuova classe dominante trova piena soddisfazione nella mistione
di tratti greci dell’età orientalizzante e di elementi orientali veri e propri; gli elementi greci e orientali
importati vengono però adattati alla cultura locale. Da ora si costituiscono le basi della mentalità gentilizia e
della sua dipendenza al mondo greco che andrà avanti oltre l’età imperiale.
Solo la nascita dell’impero, dell’economia e della cultura dell’aristocrazie dominanti e delle forma politiche
da queste elaborate nel corso di 800 anni, porterà cambiamenti nella mentalità romana e la nuova
committenza imperiale.
2. La mentalità gentilizia e i primi interlocutori greci
La base economica dell’aristocrazia romana non è costituita dallo scambio ma dalla terra e da tutte le attività
produttive primarie controllate da essa. La struttura sociale aveva un pilastro fondamentale nella formula
della clientela, che legavo al capo della gens i clientes, sia nella produzione che nella vita politica e militare,
un legame destinato però a trasformarsi dopo la crisi dei rapporti politici tra plebe e patriziato.
I punti fondamentali dello spirito gentilizio romano sono 3:
- il mos maiorum, cioè i modelli tradizionali di comportamento individuale e collettivo;
- la relgio, cioè i rituali della religione tradizionale da osservare scrupolosamente;
- la gloria, cioè il prestigio sociale che può derivare da atti di valore militare o da atti in grado di generare
orgoglio individuale che nel caso romano è sentito tutt’uno con l’orgoglio collettivo, gentilizio e civico.
Anche i prodotti dell’arte e dell’artigianato devono celebrare questi valori dell’ethos patrizio, che vengono
vissuti come strettamente mescolati tra loro nella rappresentazione dell’opera d’arte.
Il modesto livello artigianale dell’Italia nella prima età del Ferro viene radicalmente trasformato, nell’VIII
secolo a.C., dall’arrivo di artigiani greci; questi provengono dall’area delle colonie calcidesi, in primis da
Cuma: i primi a giungere, insieme agli orefici, sono gli artigiani della creta che introducono nella seconda
metà VIII secolo a.C. i servizi per il simposio, eseguiti in argilla figulina con la tecnica del tornio veloce. La
loro tecnica e i loro prodotti diventano così popolari da essere imitati nelle tradizionali forme dell’impasto e
del bucchero. Il vasaio era visto nei rituali religiosi romani come “presenza impura”, cioè nuova rispetto ai
parametri religiosi fondati sul mos maiorum, tanto che i sacerdoti che si recavano a compiere i sacrifici erano
preceduti da banditori con il compito di allontanare i vasai, dal momento che al sacrificante non era
consentito vederli. Prima dell’arrivo dei vasai greci la produzione avveniva all’interno del gruppo, con larga
partecipazione delle donne. Se nella fase più antica (VIII-VII secolo a.C.) i vasai erano di origine calcidese,
per l’epoca orientalizzante le cose cambiano: a metà VII secolo a.C. giunge in Etruria una squadra composta
da tre artisti specializzati nella costruzione e nella decorazione dipinta e plastica di grandi edifici dell’epoca,
templi e residenze principesche. La base dell’artigianato ora è greco-orientale e resta tale fino al conflitto
patrizio-plebeo. Nella fase più antica i rapporti tra società e mercanti e artigiani, sono mediati dai vertici dei
gruppi dominanti, primi destinatari dei prodotti, che si occupano della redistribuzione fra la popolazione e
soprattutto fra i loro pari attraverso la pratica del dono; a fine VII secolo a.C. però la complessità raggiunta
dalle relazioni socio-economiche e politiche urbane, non consente più ai capi di avere questo compito. Si
sceglie di creare, sui modelli orientali, luoghi sacri, situati a Roma lungo le rive del portus Tibernus, nei
quali è consentito esercitare lo scambio e dove i mercanti finiscono per unirsi a artigiani, servi e contadini;
questi gruppi nel VI secolo a.C. rimarranno senza possesso di terre, perciò nel V secolo a.C. questi saranno
destinati a diventare la classe antagonista dei patrizi, la plebe.
Gli artigiani più ricchi, gli orefici, gravitavano sull’area forense dove nel VI secolo a.C. si stabiliscono anche
gli argentarii, cioè i cambiavalute. Tutti i luoghi tra porto e foro erano sede di mercanti e artigiani del lusso
(mercanti e fabbricanti di stoffe, vesti e profumi). Visto che l’importazione di beni di lusso e spesso seguita
da imitazioni locali, i luoghi dello scambio e della produzione di oggetti e merci artigianali tendono in questa
fase a coincidere.
3. Dalla nascita della committenza pubblica alle scelte oligarchiche del V secolo a.C.
Per gran parte del VII secolo a.C. i principes aristocratici utilizzano le loro ricchezze per la celebrazione di
rituali interni al gruppo (banchetti, nozze, simposi, funerali) nei quali l’esibizione del lusso era ottenuta con
l’ostentazione di oggetti di lusso importati o imitati. La produzione di oggetti destinati a un livello pubblico
nasce poco dopo la metà del VII secolo a.C. con il maturare delle più complesse forme politiche e con la
nascita delle architetture durevoli caratterizzate da tetti coperti da tegole. Questa nuova tecnica architettonica
è destinata alle residenze gentilizie e ai primi edifici sacri: in questi ultimi dal VI secolo a.C. sono
documentati i primi ex voto e grandi statue fittili. I grandi fregi figurati delle abitazioni principesche e dei
templi celebrano i rituali gentilizi (simposio, gare atletiche, nozze, trionfo) allusivi sia al mondo dei vivi che
al mondo dei morti e collocati sia nella sfera privata che pubblica. Nella Roma dell’alto arcaismo il mito è
usato di rado; a esso si preferiscono rappresentare i rituali gentilizi.
Il contributo greco in termini di idee, tecniche artigianali e forme artistiche e architettoniche è determinante
per lo sviluppo culturale dell’arte in Etruria meridionale, nel Lazio e perciò a Roma; ma gli usi locali si
riaffacciano continuamente. Per esempio il podio è destinato a restare per tutta la storia dell’architettura
romana elemento originato da Roma, prodotto diretto della pratica divinatoria dell’auspicium, fondamentale
per l’acquisto del potere, dal quale discende il templum, spazio liberato dagli spiriti grazie all’intervento
dell’augure: il podio serve a destinare al dio una superficie che si vuole mantenere pura, sollevandola dal
resto. Interazione tra architettura greca e la tradizione e quella di associare le divinità in triadi e ciò da luogo
al tempio a tre celle, famoso quello del Campidoglio dedicato alla triade Giove, Giunone e Minerva.
Nella pianta dei templi etrusco-italici si afferma questa tipologia a tre celle che riprende la struttura
preceduta da un porticato e composta da tre ambienti, uno centrale più grande e due laterali più piccoli.
Nel VII secolo a.C. c’è la nascita di una committenza collettiva che coincide con la trasformazione della
monarchia in una struttura identica alle tirannidi delle città greche arcaiche; nella monarchia romana
vengono seguiti tutti gli itinerari politici-sociali di queste tirannidi, dalla cooptazione di nuovi ceti emergenti
nella classe dirigenti fino alle colossali opere edilizie: queste realizzazioni mirano a creare un consenso ai re
da parte degli strati di popolazione non legati alla gentes.
A fine VI secolo a.C. il conflitto per la conquista del potere tra gruppi gentilizi e le altre forze sociali
all’interno della città arcaica, raggiunge livelli violentissimi: ciò che ne deriva è la fine della monarchia e la
quasi contemporanea affermazione degli istituti repubblicani nelle altre città di Lazio e Etruria.
La classe dominante si mostra legata all’Etruria e concentra la sua attività edilizia nel foro e sul
Campidoglio, mentre la plebe opera nell’area dell’Aventino, destinato a divenire il colle plebeo per
eccellenza, servendosi di artisti greci. Presto difficoltà interne, cioè la crescita della plebe e difficoltà esterne,
cioè la calata dei Volsci, spingeranno la classe dominante a frenare le cooptazioni e a mettere in atto una
politica di austerità pubblica e privata, con il conseguente crollo di ogni forma di consumo. La prima ad
essere colpita è la classe artigianale: per tutto il resto del V e fino agli inizi del IV secolo, il patriziato blocca
ogni attività edilizia e risultano scomparse le necropoli, fonte principale per analizzare la circolazione dei
prodotti dell’artigianato e i suoi orientamenti formali e culturali. Il V secolo a.C. inizia con un’attività
edilizia frenetica ma si trasforma in un periodo di stasi produttiva, causa di grave recessione per i gruppi
artigianali, da cui sarà possibile uscire solo con la conquista di Veio e la conseguente soluzione del probelma
della plebe, la fame di terra.
4. Il nuovo blocco storico mediorepubblicano
Dalle rovine dell’incendio gallico e dalla consapevolezza nei gruppi egemoni della mancanza di orizzonti
della politica oligarchica del V secolo nasce una nuova classe, composta dai resti del vecchio patriziato e dai
vertici plebei più ricchi, che nel giro di due generazioni cancellerà gli aspetti più odiosi dell’antico ordine
alto repubblicano, l’apartheid nei confronti della plebe, la schiavitù per debiti, il dominio patrizio sulla terra
pubblica, promuovendo un’integrazione nello Stato dei vertici della plebe; questo blocco storico rimette in
moto l’economia e la produzione artigianale. La ripresa del IV secolo è contraddistinta dalla presenza di
correnti varie derivate in maniera diretta o indiretta dalla diaspora degli ateliers di Atene ai tempi della
guerra del Peloponneso. Cessa ben presto l’egemonia culturale e politica etrusca che aveva caratterizzato i
secoli dal VII al IV; dal IV al II secolo a.C. per Roma e la sua classe dominante, punto di riferimento per
ogni forma di cultura sono Taranto e Siracusa. Si forma una koiné culturale e artistica tra Etruria, Lazio e
Campania, dove convivono Etruschi, Latini, Sanniti e Greci e di cui Roma diventa, tra fine IV e inizio III
secolo a.C., la capitale: a metà III secolo a.C. si concluderà l’assimilazione formale a una polis greca.
Con Camillo ritorna l’uso del trionfo solenne su carro, cerimonia centrale ai fini dell’arte figurativa,
cancellata con l’inizio della repubblica; sempre con lui ritornano le dediche dei templi che vengono realizzati
in numero crescente con i ricchi bottini di guerra. L’ingresso dei vertici plebei nelle stanze del potere ha
portato con sé vecchie tradizioni e antichi modelli culturali e ciò ha rafforzato la rinascita di molti costumi
del passato e ha portato a un legame tra nuovo e tradizione. In questa miscela tra presente e passato si
costituisce l’originalità di Roma, che la differenzia dalle città greche o dell’Italia antica; tra IV e II secolo
a.C. questa cultura sarà esportata in tutta la penisola e fuori di essa con la conquista militare, con la
colonizzazione e con l’imposizione dei modelli romani; politica che verrà portata avanti in età imperiale
dalla classe dirigente più illuminata e consapevole e dagli imperatori più lungimiranti.
Lo status più elevato possibile, quello del trionfatore, non è più pronunciamento autonomo del princeps ma
per ottenere questa altissima distinzione, i membri della nobiltas sono vincolati a ottenere la sanzione del
Senato, garanzia della formale parità di tutti gli aristocratici davanti alla legge. Questa sanzione si ottiene
solo se il generale è in grado di mostrare al Senato l’eccezionalità della sua impresa; la documentazione sulla
campagna militare è presentata in forma orale e da fine IV secolo a.C. le relazioni vengono spesso supportate
da presentazioni figurative. Il più antico “dipinto del trionfo” è la Tabula Valeria, dedicata a Valerio Corvo
per ricordare la vittoria navale sui Cartaginesi del 241 a.C., ma la documentazione parla di dipinti eseguiti da
un membro stesso della nobiltas, Fabio Pittore, nel tempio di Salus, dedicato nel 302 a.C. a Fabio Rulliano,
per celebrare il trionfo sui Sanniti: una copia di queste pitture e stata riconosciuta negli affreschi che
decoravano una tomba dell’Esquilino, forse sepolcro dello stesso Rulliano. Lo stile degli affreschi della
tomba rimanda alla tecnica impressionistica della pittura compendiaria, usata in Grecia per i soggetti minori.
Dai pittori greci la pittura trionfale era considerata un genere poco rilevante, per il quale si faceva ricorso a
tecniche rapide e di tono minore.
All’inizio del periodo mediorepubblicano si colloca una serie di opere, cioè i monumenti onorari alla
maniera greca tardo classica e ellenistica, inaugurati a Roma nel 338 a.C. con le due statue equestri dedicate
a Furio Camillo e a C. Menio. Monumenti pensati nel quadro delle forme isonomiche della polis greca, cioè
quelle di statue non iconiche, prive di contrassegni o attributi che ne possano indicare uno status particolare.
Le statue greche partono da un concetto simile ma la stessa caratteristica del cavallo rende immediatamente
visibile il rango. A Roma lo status è segnalato allo spettatore tramite speciali attributi o vesti particolari.
Mentre nell’età monarchica il rango era identificabile dall’ostentazione della ricchezza, dalla sontuosità delle
abitazioni e dalle solennità dei funerali, ora sono le insegne, gli abiti e le prerogative assegnati ai magistrati a
indicare il livello sociale. Si afferma così una nuova rappresentazione, quella dell’ostentazione del rango
politico-sociale attraverso la precisa descrizione di attributi, insegne e simboli esibiti dal personaggio
raffigurato; per esaltare meriti e rango, accanto all’esibizione statica dei segni di potere, si presenta in
maniera dinamica l’attività del magistrato. Le vicende rappresentate non sono eccezionali prove di capacità
militari, ma normali attività inerenti alla carica; ciò che si vuole esibire è la felicitas, cioè la piena riuscita.
Le immagini delle attività magistrali sono accompagnate da immagini di cerimonie religiose, perché l’atto
magistrale si invera solo con un sacrum, per lo più un sacrificio. Ovviamente l’erezione di una statua a un
personaggio per la riuscita di un’impresa sollecitava il committente e lo scultore a rendere l’immagine
somigliante nel volto.
L’attività edilizia di Roma, soprattutto di destinazione sacra, tra metà del IV e primi decenni del II secolo
a.C., fornisce la misura dell’impegno profuso dalla nobiltas per la gara incessante tra gentes e relativi partiti
politici nel creare occasioni di propaganda molto efficace attraverso la grandiosità di alcuni edifici templari,
ma anche tramite opere pubbliche. Dalle dediche dei templi è possibile ricostruire gli antagonismi dei vari
gruppi politici.
Agli inizi del III secolo a.C. Roma è ormai un centro egemonico di portata mediterranea. Riprende
gradualmente l’attività artigianale di beni di lusso e di consumo, una produzione che tende a standardizzarsi
assumendo le forme di una prima manifattura dipendente da una diffusa manodopera servile. Roma diviene
uno dei maggiori centri per la produzione artigianale e artistica d’Italia ed è sviluppata anche la produzione
delegata, cioè attività manifatturiere esercitate da città alleate, sulla base di accordi di commercio.
5. La committenza della luxuria tardorepubblicana
Assoggettata la penisola italiana nella prima metà del III secolo a.C., schiacciata alla fine dello stesso secolo
la minaccia cartaginese, nei primi 50 anni del II secolo a.C. Roma affronta i regni ellenistici. Al termine di
questo scontro, tra fine III e primi decenni II secolo a.C.,l’antica potenza dei regni dei successori di
Alessandro è solo un’ombra destinata a cadere sotto il domino romano: distrutte Cartagine e Corinto nel 146
a.C., Roma diviene la padrona del Mediterraneo. Roma diventa una città piena di corruzione e ciò non
dipende dalla conquista mediterranea che l’ha corrotta con il lusso e il denaro, ma dall’impossibilità di
governare in maniera efficace un impero con una struttura politica nata per una citta-Stato.
All’inizio del periodo nella committenza restano uguali mentalità e atteggiamenti della fase precedente,
l’aspetto esteriore di Roma e lo stile di vita della nobiltas: i templi continuano a offrire l’aspetto dei
tradizionali edifici etrusco-italici e la tipologia edilizia resta quella dei due secoli precedenti; il primo teatro
in pietra si deve a Pompeo nel 55 a.C. Anche i caratteri della produzione artigianale restano immutati nelle
forme mediorepubblicane.
Presto il grande afflusso di ricchezze trasforma la lotta politica e le condizioni di vita dei cittadini; l’arrivo di
legioni di schiavi modifica le forme dell’economia, danda ai rapporti di produzione schiavistici una
dominanza mai avuta prima: il blocco storico formatosi con l’età mediorepubblicana è in pezzi.
I soldati-contadini subiscono un impoverimento e la nobiltas muta i rapporti al suo interno e trasforma le
relazioni nei confronti dei ceti subalterni delle campagne e della città. Il voto di questi ceti ai Comizi è
sempre più strumento di corruzione. Le condizioni di svolgimento della vita pubblica preludono ai tumulti
dei decenni finali della repubblica.
Si sviluppa un’agricoltura pregiata condotta con lo strumento della villa schiavistica nelle terre sequestrate
alle altre popolazioni. Questa entra a far parte degli interessi dell’aristocrazia, prima come semplice fattoria,
poi da fine II secolo a.C. diviene una lussuosa dimora di campagna con molteplici funzioni produttive. Il
sistema della villa si diffonde nella penisola e aiuta a creare nuovi ceti abbienti. Frenetica è l’attività edilizia
celebrativa dei titolari di trionfi e censure. Ci sono due innovazioni nel campo dei materiali, l’opus incertum
e la tecnica del marmo saxo quadrato per gli edifici più nobili.
I signori dei trionfi nel II secolo a.C. sono gli autori della trasformazione in senso ellenistico del volto della
città, grazie alle architetture di nuova tendenza e alle opere raccolte da tutto il mondo greco.
I modelli non sono più quelli del trionfo dell’aristocrazia repubblicana ma quelli dei dinasti ellenistici.
I trionfi, che da fine III secolo a.C. vengono celebrati su popolazioni greche e su sovrani ellenistici, portano a
Roma una serie di opere d’arte e oggetti di prestigio che vengono sfoggiati nelle sfilate trionfali e poi nelle
case patrizie.
Il lusso, la luxuria, è il fattore determinante per lo sviluppo dell’arte della Roma tardorepubblicana, ma anche
strumento di corruzione generale. Gradualmente l’imitazione di questo lusso invade le case della nobiltas
romana e diventa elemento costitutivo del potere imperiale. Già all’inizio del periodo tardorepubblicano le
abitazioni vengono decorate con pitture imitanti le incrostazioni marmoree (I stile pompeiano), ornamenti
fino ad allora riservate a edifici sacri; a fine II secolo le pareti sono decorate con prospettive architettoniche
barocche (II stile pompeiano), aperte su cortili interni con giardini ricchi di fontane; alla fine di questo
periodo si aggiunge lusso alle abitazioni con vasi in vetro preziosi colmi di frutta, cornici, armi, maschere e
bende appese alle pareti.
Tutti i nobiles e i sovrani sono legati alla necessità di essere grandi costruttori e anche protagonisti di
consumi opulenti privati. Il modello dinastico ellenistico finisce per assumere un prestigio agli occhi sia della
nobiltas urbana che delle classi emergenti italiche, trasformando profondamente la mentalità aristocratica.
Tra le prime conseguenze di questo cambiamento c’è la nascita dell’individualità che nel campo della storia
dell’arte si rispecchia nella nascita del sepolcreto individuale e nell’introduzione del ritratto di tradizione
ellenistica. Il ritratto fa il suo ingresso a Roma a metà del II secolo a.C.; la recezione “alta” del ritratto
dinastico è rara e limitata ai vertici della nobiltas. In genere prevalgono per numero le realizzazioni legate
alle classi intermedie romane e italiche tra fine II e tutti I secolo a.C.
La reazione senatoria di Silla rimise in funzione lo ius imaginum, cioè la riserva del diritto di esporre in
pubblico ritratti solo ai membri della nobiltas con magistrature curuli; il provvedimento segnala l’enorme
popolarità raggiunta già nel II secolo a.C. da ritratto pubblico anche a livelli inferiori all’aristocrazia
senatoria. A fine II secolo a.C. si diffonde il sepolcreto individuale che ha immediatamente un
imborghesimento del modello che da individuale diviene tomba di famiglia, con la presenza di un titolare
accompagnato da moglie, figli e liberti.
Tra II e I secolo a.C. Roma assume il volto di una capitale ellenistica e le città italiane più sviluppate,
soprattutto le regioni tirreniche centrali, cercano di imitarne i monumenti, per rivaleggiare con quelli della
capitale: si tratta degli edifici sacri riproposti con formule ellenistiche di avanguardia.
Si viene a formare una committenza locale, sul piano sociale diversa da quella della nobiltas e con finalità
politiche diverse, ma in competizione a tutti i livelli con questa e anch’essa legata agli stessi valori della
cultura tardorepubblicana. I livelli medi di questi Italici risultano però mediocri, con esiti che scimmiottano i
modi dell’aristocrazia di Roma.
6. “Committenza unica” imperiale e omologazione
Il blocco storico nel I secolo a.C. è largamente costituito nelle sue componenti sociali fondamentali. Al
termine dei feroci conflitti civili, questo blocco romano-italico si consegna nelle mani di Ottaviano. Al
termine delle guerre civili l’alleanza stretta tra i pochi rimasti della nobiltas e tra gli altrettanto pochi domi
nobiles, costituisce uno dei punti fermi per un nuovo sistema di committenza artistica, che rappresenterà
per 3 secoli l’arte di Roma imperiale. Questo è diverso dai blocchi precedenti non solo per la presenza di una
guida, il principes, ma anche per la varietà della composizione, della mentalità e delle esigenze dei suoi
membri; valori erano ancora quelli della nobiltas ma era diverso per l’ambiente in cui questi venivano
vissuti, per l’eredità della cultura di origine degli antiche ceti intermedi e subalterni che erano diventati
componenti del blocco. Questo blocco storico ha funzionato come mediatore di consenso nei confronti del
nuovo potere centrale fondato da Augusto e sopravvissuto fino alla prima tetrarchia; al perfetto
funzionamento di questo sistema si opponeva la stessa politica di Augusto, dal momento che questa minava
alle basi il tradizionale meccanismo di competizione politica fondato sulla pubblica magnificentia,
sull’evergetismo e sulla coscienza della nobiltas del proprio ruolo di ceto esclusivo e potente. In pochi anni
Augusto cancella ogni forma di autonomia dell’aristocrazia, togliendo la facoltà di celebrare il trionfo a
persone diverse dai membri della casa imperiale, cancellando i Comizi popolari per eleggere i magistrati e
trasformando l’aura intorno alla sua persona in una forma di culto. Augusto divento l’unico committente ai
cui modelli si conformano: Senato, aristocrazia senatoria e equestre, domi nobiles e ricchi esponenti del ceto
libertino
Poco più tardi, nell’età giulio-claudia, il reclutamento delle classi di governo centrale si allarga alle
aristocrazie municipali delle province occidentali di più antica romanizzazione finché, nella prima metà del
II secolo a.C., vi entrano a far parte gli esponenti delle aristocrazie delle province orientali. Il processo di
cooptazione messo in atto per formare la classe di governo dell’impero, rende omogenea la cultura delle
città e con essa la domanda di opere d’arte e di artigianato, dominato dalla committenza dell’imperatore.
L’imitazione di Roma, dei suoi monumenti e del suo stile decorativo e figurativo, e la ripresa di modelli
costituiti dai nuovi monumenti augustei e del primo impero, sono i punti forti del nuovo linguaggio e ragione
dell’omologazione culturale. Pero la mancanza e il costo di maestranze di alto livello, capaci di realizzare
grandi sculture e monumenti, pone un limite alla diffusione di opere pensate e realizzate nella capitale, la cui
diffusione era fondamentale per la formazione del consenso nell’impero. Anche se a Roma per la pittura
c’erano importante personalità come Fabio Pittore o Pacuvio, sappiamo della presenza di pittori greci o di
origine greca negli ateliers responsabili della pittura parietale del I e II stile della capitale e delle ville della
nobiltas; come d'altronde sono di origine greca, attica, alessandrina o orientale gli artisti e gli artigiani delle
officine per la produzione di oggetti di lusso. Per la scultura in marmo figurativa e decorativa le maestranze
impegnate erano il larga parte di estrazione greca. Per gli architetti, sotto Augusto era stato scritto il primo
manuale di architettura da uno specialista romano, Vitruvio.
Già con Augusto la “committenza unica” imperiale ha al suo servizio architetti di grande bravura, pittori di
formazione ellenistica e scultori appartenenti a scuole greche, d’Asia, d’Egitto e dei primi ateliers urbani di
varia formazione, che lavoravano per produrre copie della scultura di epoca classica; queste officine di
artigiani del marmo di Roma, resteranno attive fino al V secolo d.C. per i bisogni anche del ceto intermedio,
producendo soprattutto prodotti di destinazione funeraria (urnette cinerarie, altari funerari, sarcofagi); la
stessa situazione si registra per le officine di decorazione pittorica di case e sepolcri.
Tra I e III secolo d.C. nelle grandi capitali dell’impero nascono officine di scultori e pittori derivate da quelle
urbane. Una parte di questi artisti, composta da scultori in marmo e in bronzo e da pittori, era stabilita
all’interno dei palazzi per predisporre l’arredo della proprietà imperiale.
I grandi patrizi della fine della repubblica e della prima fase dell’impero, ordinavano copie di sculture greche
classiche per le loro case e ville e mantenevano in casa gli artisti per le loro commesse. La forte vicinanza
degli scultori che lavoravano per la committenza imperiale e quelli al servizio delle famiglie aristocratiche
portava a una gara non dichiarata tra queste, nel dare alle abitazioni e alle ville di loro proprietà un arredo
sontuoso e raffinato: all’epoca di Caligola e Nerone l’invidia suscitata negli imperatori dalla bellezza di
alcune abitazioni patrizie, ha provocato la caduta in disgrazia e la morte dei nobili proprietari.
C’era un rapporto esclusivo tra scultori e imperatore per la realizzazione di opere di propaganda come archi,
altari e monumenti celebrativi. La principale attività dell’imperatore è la commissione di grandi architetture e
opere pubbliche, principale strumento dell’omologazione dell’Italia e dell’impero: ogni città dell’Italia e
delle province occidentali guarda con ammirazione alle novità della capitale per replicarle. Venivano eretti
grandi edifici per celebrare la città e per ricordare i Cesari, come: mura civiche, teatri, anfiteatri,circhi, terme,
giardini, fontane, mostre d’acqua, acquedotti, refrigerio, mercati, monumenti grandissimi e templi.
La fase centrale del principato augusteo inaugura un periodo di ritorno all’austerità delle origini, che si porta
con sé un processo di rimozione delle forme più vistose del lusso dalle manifestazioni pubbliche, lasciando
ipocritamente spazi per espressioni private di varie forme di consumo opulento. Questa scelta segna la fine di
tutti i barocchismi in ogni forma di espressione artistica e la parallela affermazione del neoclassicismo, stile
cui tenderà tutta l’arte imperiale fino alla fase tardo antica.
Grazie alla potente costruzione politica augustea e alla scelta del neoclassicismo ufficiale, il blocco
continuerà ad operare con il progressivo allargarsi dell’alleanza, fino al disfacimento di questa a causa della
pressione dei barbari e dal peso dei costi degli eserciti sempre meno efficienti e motivo della crescente
pressione fiscale.
7. Agonia di un impero, agonia di una committenza, agonia di una forma
La caratterizzazione ideale della cultura romana imperiale si fondava sull’eternizzazione del ruolo degli
individui liberi come cittadini di una città e come parte attiva di un impero universale, alla cui testa era la
città-Stato: da qui l’esaltazione dell’urbanitas come modello unico di stile di vita.
L’esistenza si basava su relazioni personali e sociali che solo la città consente: le attività politiche al servizio
della città o del potere centrale, la società del convivio, l’esercizio e la cura del corpo, le delizie intellettuali
dell’otium, scandivano la vita dei cittadini. Alla vita dell’urbanitas si contrapponeva la rusticitas di coloro
che per nascita erano costretti a rinunciare a tutto e a svolgere lavoro manuale, libero, semilibero o schiavile:
l’opposizione città-campagna riproduceva le altre polarità, cioè liberti-schiavi e impero-barbari.
L’anarchia del III secolo d.C. porta i sudditi smarriti a vedere l’imperatore come un dio a cui affidarsi per la
salvezza comune. Lo spazio per l’irrazionale e per le religioni salvifiche, in primis quella cristiana, è molto.
Già nel III secolo d.C. i barbari strappano a Roma parte dell’impero, la Dacia; tra IV e V secolo d.C. si
espandono in tutto l’Occidente, ammessi nelle province come coltivatori con alcuni obblighi militari, che nel
V secolo d.C. diverranno veri e propri regni romano-barbarici.
A metà III secolo d.C. l’organizzazione imperiale è in crisi; nel corso dei due generazioni tra 280 e 330 d.C.,
a opera di Aureliano, dei Tetrarchi e di Costantino, prende forma la restaurazione dello Stato, delle difese
dell’impero: l’impero sopravvive nella sua parte più forte, quella orientale. Scomparsa ogni forma di
competizione politica e con essa l’evergetismo, l’impoverimento generale costringe le restanti classi
intermedie a evitare spese superflue, mentre la fine dell’affluenza di schiavi mette in crisi il rapporto di
produzione, sostituito dalla subordinazione dei ceti contadini poveri totalmente ai padroni.
La committenza diventa unica, quella imperiale. A Roma e a Costantinopoli (la nuova capitale d’Oriente),
la committenza pubblica è sostenuta quasi solo dagli imperatori con dediche abbastanza frequenti di grandi
monumenti, terme e opere celebrative. A Roma , da Aureliano in poi, è frequente lo spoglio di monumenti di
imperatori precedenti famosi e prestigiosi; da qui deriva il rimpiego dei materiali antichi di spoglio per
conferire prestigio al nuovo monumento. Nelle altre città dell’impero gli interventi sono rarissimi e in genere
si tratta d restauri.
C’è una riduzione a pochi centri capaci di produzione artigianale alta, con uno scadimento di qualità:
scompare la scultura mentre la forma d’arte più usata è la pittura sia in materiale deperibile che non
deperibile, il mosaico e l’opus sectile. L’unico gruppo rimasto in possesso di risorse per avanzare commesse
d’arte è quello dell’aristocrazia senatoria e degli ufficiali della burocrazia imperiale e nonostante le difficoltà
dell’impero questa classe prosegue uno stile di vita di enorme dispendio.
La sontuosità non è limitata all’arte mobiliare ma anche l’apparato decorativo delle residenze senatorie e
delle sempre più popolari ville do otium; la villa in quanto opera architettonica di taglio monumentale e
occasione per esibire una decorazione che rispecchi il rango del proprietario, acquista un’importanza
particolare. Si diffonde l’uso dei mosaici policromi per pavimenti raffiguranti la vita e gli svaghi
dell’aristocrazia, in primis la caccia. Dalla villa il signore ormai amministra la giustizia dei provinciali che
popolano le sue terre; l’essenza della vita non è più la città ma la campagna e con essa la villa, all’interno
della quale si tende a portare tutta la cultura politica, letteraria e musicale e tutti i piaceri dell’otium.
Ciò che ha retto è la parte esteriore del sistema di valori e non il messaggio, che si è andato a riempire di
contenuti simbolici e allegorici; si viene ad affermare una cultura in metafora, base della futura cultura
medievale; ciò è molto evidente a livello di espressione artistica.
Scomparso il committente unico, cioè la classe senatoria distrutta dall’ultima ondata di barbari nel 568 d.C.,
nel 476 d.C. si conclude l’ultimo frammento della committenza antica.
Parte II: I grandi momenti dell’arte romana
1. La formazione della civiltà romana nell’Italia protostorica
La storia dell’Italia antica conosce un decisivo e rapido mutamento alla fine del II millennio a.C. In questa
fase si creeranno le condizioni che porteranno alla nascita delle comunità che segneranno la storia della
penisola fino all’unificazione che segue la conquista di Roma. Attraverso l’osservazione delle aree dove si è
affermata presto la struttura urbana rispetto ad altre aree dove si è manifestato più tardi o mai, si può
ricostruire questa storia. Particolare importanza assumono le aree dell’Etruria, del Latium Vetus e della
Campania che sviluppano presto le forme urbane; queste aree nel corso del Bronzo Medio mostra i segni di
un’occupazione territoriale capillare, basata su siti difesi dove si pratica la lavorazione dei metalli e dove
circolano beni preziosi soprattutto di provenienza egea, processo che continua nel Bronzo Recente e Finale.
C’è un accumulo di ricchezza e una differenziazione sociale testimoniata da edifici che si distaccano dalle
semplici capanne, dalla realizzazioni di piccoli tumoli funerari che spiccano all’interno delle necropoli e dai
ritrovamenti di ripostigli di oggetti metallici che indicano l’importanza assunta dalle aree caratterizzate da
risorse minerarie e dalla produzione metallurgica cui fa seguito l’attivazione di scambi a più lunga distanza.
Si colgono i segni di un avviato processo di formazione di culture regionali e di differenziazione sociale
relativi alle comunità del Bronzo Finale dove agiscono gruppi emergenti rappresentati da famiglie estese, il
cui potere è quello della gestione della terra. Attorno al 1000 a.C. avviene l’abbandono di gran parte dei
villaggi dell’età del Bronzo e la formazione di abitati più estesi che coincidono con i principali insediamenti
di età storica. Questa fase è indicata con il termine “proto urbano”, che precede il successivo sviluppo in
senso urbano. La formazione di una comunità urbana avviene secondo un processo con una più o meno
ampia estensione cronologica e che può presentare diverse tappe e gradi di intensità. Questi insediamenti
mostrano una maggiore estensione delimitabile dalla collocazione delle necropoli in aree esterne a quella
dell’abitato; quest’ultimo è collocato strategicamente in relazione a aree agricole e vie di scambio.
Agli inizi dell’età del Ferro c’è l’emergere di importanti comunità a Gabii, Lavinium e Roma ma lo stesos
processo avviene anche a Crustumerium, Fidene, Ardea, Satricum, Tivoli e Tusculum.
Le divisioni regionali intraviste nella fase precedente giungono ora alla piena maturazione, fissandosi in
ampie e definite aree culturali:
la cultura di Golasecca e dei Liguri a nord-ovest e di Atestina a nord-est;
la cultura laziale e villanoviana nell’area tirrenica centro-meridionale;
la cultura sabina confinante con quella laziale e le culture umbra e falisco-capenate che assumono il
corso del Tevere come confine rispetto al mondo etrusco-laziale;
le culture medio-adriatiche lungo il versante adriatico e risalenti la fascia appenninica;
la cultura delle tombe a fossa in Italia meridionale;
le culture della Daunia, Peucezia e Messapia nell’area iapigia.
Assistiamo all’assestamento delle comunità della Sicilia antica che si strutturano attraverso l’interferenza tra
popolazioni autoctone e genti provenienti dalla penisola, alle quali si assegnano i nomi di Siculi nell’area
nord-orientale, Sicani nella parte centro-meridionale e Elmi nel settore nord-occidentale; in Sardegna
persiste la cultura nuragica con caratteristiche megalitiche.
Gli abitanti villanoviani e laziali della prima età del Ferro, comprendenti nuclei abitativi formati da capanne
con pianta rotondo o rettangolare, appaiono di dimensioni maggiori rispetto alla fase precedente ed occupano
arre strategiche funzionali al controllo di terreni fertili, di corsi d’acqua, di risorse minerarie e di luoghi di
scambio (zone costiere e portuali). L’acquisizione di terre fertili collegate con abitati stabili e molto popolati
prende la forma di un movimento di colonizzazione, che vediamo espandersi verso nord (area emiliana con
caposaldo Felsina-Bologna e area romagnola dove emerge Verucchio) e verso sud (in Campania a Capua e
tra Pontecagnano e Sala Consilina). La gestione della terra produce un altro cambiamento all’interno di
questa comunità; infatti la spinta all’occupazione di terre fertili va di pari passo con la nascita della proprietà
privata della terra, ore gestita da famiglie patriarcali o mononucleari. Questi processi si concludono con una
ristrutturazione dei rapporti tra abitati e territorio e con una revisione dei rapporti sociali all’interno delle
comunità. Nasce un’uguaglianza tra individui che ritroviamo nelle necropoli della prima età del Ferro,
soprattutto quelle villanoviane dove ricorre l’ossuario biconico per le ceneri del defunto. I segni
dell’ideologia funeraria rappresentano una ricostruzione simbolica del mondo dei vivi. Nello stesso tempo
c’erano spinte in direzione di una differenziazione sociale a opera di individui e gruppi, come succede per le
urnette a capanna, destinate a pochi individui di entrambi i sessi, delle necropoli laziali e villanoviane e per
l’elmo del guerriero la cui decorazione allude alla stessa capanna.
La situazione di equilibrio si mantiene fino a metà VIII secolo a.C. quando lo sviluppo di queste comunità,
riassumibile nell’accumulo di ricchezza da parte di alcuni gruppi sociali, si traduce nella creazione delle basi
materiali e ideologiche delle aristocrazie etrusche e latine. Il forte sviluppo delle aree etrusca, laziale e
campana, agli inizi dell’età del Ferro non può essere separato da una serie di processi avvenuti su scala
mediterranea; nel X secolo a.C. c’è una ripresa di contatti e scambi attivati da navigatori del levante; nel
corso del IX secolo a.C. anche il mondo greco si inserisce in questa rete di rapporti commerciali e culturali
che si estende da un capo all’altro del Mediterraneo. A metà dell’VIII secolo a.C. prende avvio il vero e
proprio movimento di colonizzazione, che porta genti greca a stabilirsi sulle coste dell’Italia meridionale e
della Sicilia. Le prime postazioni coloniali dei greci provenienti dall’isola di Eubea sorte nell’area campana
settentrionale, devono la loro collocazione geografica all’esigenza di scambi e rapporti con le aree indigene
caratterizzate da maggior sviluppo sociale ed economico. Quest’area si presenta come una punto di
passaggio verso comunità etrusche, laziali e campane. Le risorse minerarie dell’Etruria costituiscono solo la
traccia più evidente di interessi e rapporti tra mondo greco e mondo indigeno, al cui interno dobbiamo
inserire una massa più ampia di scambi di beni materiali. Insieme alle merci transitano da un mondo all’altro
uomini, artigiani, conoscenze di tecniche di lavorazione, concezioni sul mondo e sugli dei. La tecnica della
scrittura adottata a fine dell’VIII secolo a.C. dal mondo latino ed etrusco si basa sull’alfabeto calcidese della
colonia greca di Cuma; la mitologia e la religione dei Greci modificheranno profondamente le credenze di
tutti i popoli italici; il consumo cerimoniale del vino (simposio) diverrà strumento di potere delle aristocrazie
etrusco-laziali. Questi elementi si intrecciano con la concezione della polis greca, che eserciterà un ruolo
fondamentale da un lato verso la spinta al fenomeno urbano e dall’altro lato sul modo in cui la più antica
etnografia greca ha interpretato le caratteristiche sociali e politiche dei popoli indigeni con i quali veniva a
contatto.
Questa fase di formazione della civiltà etrusco-latina, nel momento di passaggio tra età del Bronzo e del
Ferro, coincide con la formazione delle radici delle importanti strutture religiose, dei rituali del potere e del
trionfo, del culto degli antenati, della definizione di figure mitologiche e divinità caratterizzate da un aspetto
terioforme, precedenti la grande ondata di ellenizzazione.
2. Roma e il Lazio tra reges e principes
Tra seconda metà VIII secolo a.C. e fine VI secolo a.C. c’è l’emergere definitivo delle aristocrazie e la
strutturazione consolidata della forma urbana; i cambiamenti che investono la modalità dello scambio e del
commercio ci offrono una conferma di ciò. Si possono individuare tre fasi corrispondenti diverse modalità di
gestione degli scambi:
• VII secolo a.C. il commercio-prexis vede come protagonisti i capi aristocratici: lo scambio si realizza tra
i grandi signori e predomina il sistema del dono e dello matrimonio;
• a cavallo tra VII e VI secolo a.C. si afferma un nuovo spazio dello scambio, l’emporion. Le attività
commerciali e artigianali si sviluppano sotto la protezione di una divinità e nell’ambito del suo santuario.
Viene interrotto il monopolio aristocratico ed emerge la figura dell’emporos, il navigatore-commerciante di
professione, non più solo di estrazione aristocratica;
• VI secolo a.C. la città ingloba l’area commerciale inserendo al proprio interno gli spazi dello scambio.
Attraverso i canali dello scambio e del commercio transita una grande quantità di materiali preziosi che
mostrano forti legami con il mondo orientale per quanto riguarda gli elementi stilistici e figurativi e le
tecniche di lavorazione artigianale. La dimensione del fenomeno è tale da dare il nome ad un intero periodo
storico, detto Orientalizzante (compreso tra il 720 e gli inizi del VI secolo a.C.). Questi materiali preziosi
rappresentano il prestigio e il potere dei capi aristocratici che adottano uno stile di vita che si ispira ai
modelli della regalità diffusi nel Vicino Oriente. Nel mondo tirrenico etrusco e laziale c’è il predominio delle
aristocrazie guidate da principes, che riempiono le loro tombe di sfarzosi corredi di oggetti preziosi (grandi
calderoni in bronzo con appliques plastiche, coppe e patere in oro, argento o bronzo, flabelli e fibule in oro,
oggetti esotici realizzati in avorio, ambra o pasta vitrea, uova di struzzo decorate, conchiglie, contenitori per
spezie e profumi, gioielli e tessuti, arredi).
Ai principes del mondo laziale ed etrusco dobbiamo la creazione del “paesaggio del potere”, caratterizzato
dalla diffusione di imponenti strutture funerarie e residenze che prendono l’aspetto di palazzi e regiae.
La cerimonia funebre si presenta come una delle principali manifestazioni del potere aristocratico: si tratta di
una sequenza, che va dall’esposizione del corpo del defunto fino alla sepoltura nella tomba, ritmati da gesti
rituali che si svolgevano in specifici spazi presso la tomba. Il defunto di alto rango era cremato e le ossa
collocate in un tessuto prezioso posto entro urne ed era accompagnato da un corredo comprendente armi,
vasi da banchetto e carro.
Altro segno della presenza aristocratica sul territorio è costituito dalle nuove residenze che assumono forme
monumentali a palazzo che richiedono una grande capacità tecnica. Queste strutture corrispondenti a vere e
proprie regiae sfoggiano: grandi statue di antenati accompagnate da animali mostruosi poste sul tetto; rilievi
fittili rappresentanti i momenti fondanti del potere aristocratico come il banchetto, il matrimonio, la partenza
del guerriero, il rapporto con gli dei e gli eroi del mito greco; apprestamento per le cerimonie religiose.
Importante è il culto degli antenati perché la misura del prestigio è data dall’antichità della propria stirpe, ma
anche la regalità che è rappresentata dallo stile di vita dei principes.
Il paesaggio del potere aristocratico scompare tra VI e V secolo a.C. in coincidenza con la definitiva
strutturazione della città; la polis arriva a regolare anche le basi del potere aristocratico. La nascita di Roma e
delle altre città viene visto come un processo di lungo periodo scandito da fasi caratterizzate dalla
formazione di istituzioni politico-religiose e dalla realizzazione di strutture urbanistiche.
Una delle fasi si colloca a metà dell’VIII secolo a.C., quando le aree delle necropoli appaiono dislocate in
settori marginali rispetto all’area urbana.
Altra fase importante va collocata nel corso del VII secolo a.C. quando avviene l’accrescimento delle
strutture politico-militari di Roma; appaiono formate le principali strutture urbane (Foro, regiae e Comizio).
Il VI secolo a.C. corrisponde all’epoca della monarchia etrusca, definita “la grande Roma dei Tarquini”; la
storia di Tarqunio Prisco mostra come la lotta e la concorrenza tra capi aristocratici si trasferisca nel quadro
delle strutture urbane. Il suo successore, Servio Tullio, è figlio di una schiava e ciò rappresenta l’emergere di
nuovi ceti urbani. La crescita delle strutture urbane costituisce la causa primaria della fine del paesaggio del
potere. L’età dei Tarquini mostra analogie con le fasi tiranniche delle polis greche in cui assistiamo ad un
ridimensionamento del potere aristocratico e all’emergere di nuovi ceti legati all’attività artigianale ed al
commercio.
Avviene una monumentalizzazione di Roma attraverso: la realizzazione di un circuito di mura, dei principali
santuari urbani e di una regia che rappresenta nei suoi rilievi fittili il potere regale attraverso le vicende di
Teseo e del Minotauro; la creazione di nuovi istituti politici attribuiti Servio Tullio come le tribù urbane e
rustiche o i comizi centuriati; la fissazione di feste e rituali; la localizzazione dentro lo spazio urbano, presso
il Foro, di aree specializzate nello scambio e nelle produzioni artigianali; la specializzazione di un’area
extraurbana, Campo Marzio, per le sepolture dei re, per le attività militari e per il trionfo dei giovani.
È stato individuato un nucleo di case appartenenti al ceto aristocratico disposto tra Palatino e Sacra Via e
l’importanza di queste abitazioni è confermata dalle grandi dimensioni della loro pianta (es: Domus 3); la
struttura interna della casa mostra una disposizione degli ambienti attorno a un vano centrale, funzionale
all’esercizio del potere del dominus rispetto ai propri clientes e alla celebrazione di banchetti per rinsaldare
legami politici e di amicizia tra capi aristocratici. La Roma del VI secolo a.C. corrisponde a una delle città
più grandi di tutta l’area mediterranea, infatti la superficie interna alle mura è circa di 822 ettari.
Il rilevante sviluppo urbanistico e monumentale della “grande Roma dei Tarquini” crea le condizioni per un
incremento delle attività artigianali; artigiani di diversa provenienza, in primo luogo dalle città etrusche di
Veio, Caere e Cuma, affluiscono a Roma. La data tradizionale del 509 a.C. segna il passaggio di Roma da
monarchia a repubblica e la ratifica del primo trattato romano-cartaginese, che definisce le rispettive zone di
influenza in un’ottica di politica internazionale. Nel corso del VI secolo a.C. assistiamo a un
ridimensionamento del lusso funerario; ciò si può indicare anche come passaggio dalla habrosyne, società
dove il lusso e la ricchezza appaiono funzionali alla legittimazione del potere, alla tryphè, società dove lo
sfoggio di ricchezze è visto negativamente e comparato allo stile di vita dei tiranni. Tra VI e V secolo a.C.
scompaiono anche le grandi residenze palaziali e la produzione delle lastre figurate a rilievo di quegli edifici.
Nuova produzione di queste lastre è destinata a edifici templari.
3. L’età alto e mediorepubblicana
Il passaggio da monarchia a repubblica deve essere inteso come un processo durato decenni, un periodo di
assestamento in cui vediamo strutturarsi nuove istituzioni che imprimono il proprio segno nel tessuto politico
e urbanistico. L’area del foro Boario appare marginale rispetto al centro politico e commerciale scelto dal
Senato di Roma, il Foro Romano. Qui viene eretto nel 497 a.C. un nuovo tempio dedicato a Saturno
collocato presso il mundus, la cavità in cui sarebbero state poste in comune le primizie da parte dei fondatori
della città. Il tempio di Saturno, la divinità ritenuta capostipite della stirpe latina, indica un nuovo inizio e
dentro l’edificio è collocato l’aerarium della città, cioè le ricchezze della città. Dalla parte opposta del Foro,
in direzione del Palatino, sorge il tempio dedicato ai Castori; le divinità, identificate con i Dioscuri del
mondo greco, si presentano come protettori della cavalleria e in veste di giovani cavalieri sarebbero apparsi
al fianco dei romani nella battaglia del lago Regillo combattuta contro i Latini nel 499 o nel 496 a.C.
Altra componete sociale importante è la plebe, corrispondente ai ceti che si occupano del commercio e della
lavorazione della terra; questo si organizza sull’Aventino che storicamente resterà legato alla plebe. In
quest’area sorgono due templi, quello di Mercurio (495 a.C. in relazione ai ceti commerciali) e quello
dedicato a Caere, Libero e Libera (493 a.C.); la sacerdotessa doveva provenire dalla Magna Grecia, cioè da
Napoli o da Velia.
Altro punto importante della città repubblicana è l’area del Campo Marzio, posto tra il Campidoglio e la
grande ansa del Tevere, destinato a luogo di riunione dell’esercito in armi e per questo posto sotto la
protezione di Marte; tutta questa area è resa pubblica e riconsacrata attorno all’altare di Marte. Presso l’Ara
Martis si svolge il lustrum dei censori, cioè l’inquadramento politico-militare dei cittadini in base al censo.
Nella zona detta palus Caprae vengono collocati i saepta, le strutture usate per le operazioni di voto dei
cittadini.
L’assestamento dello Stato repubblicano nei decenni successivi al 509 a.C. avviene in un complesso quadro
di avvenimenti interni e esterni.
La conquista persiana della Ionia nel passaggio tra VI e V secolo a.C. con ripercussioni nella grecità
occidentale. Tra 490 e 480 finisce la lunga frequentazione dell’emporion di Gravisca, il porto di Tarquinia,
da parte di navigatori e commercianti provenienti dalle città greche ora finite sotto l’impero persiano.
Nel 510 a.C. avviene la caduta dell’impero di Sibari, che aveva gestito la rete di rapporti tra mondo indigeno
e poleis coloniali e l’equilibrio tra le diverse spinte coloniali. Maturano in questo contesto i primi passi della
nuova politica ateniese volta all’attenzione verso l’Occidente e lo stesso trattato romano-cartaginese.
Le forti tensioni in area tirrenica si traducono nella sconfitta etrusca a Cuma nel 474 a.C. da parte della
potenza siracusana. Tra VI e V secolo a.C. avviene la fondazione di colonie da parte di Roma e degli alleati
Latini a Signia, Circei, Norba e Velitrae. Questa espansione verso la pianura pontina si inserisce in un
complesso quadro di mobilità sociale, di alleanze e tensioni che coinvolgono il mondo etrusco, i Sabini, gli
Ernici e i Volsci, fino ai movimenti di genti celtiche provenienti dal nord.
Questa prima fase della Roma alto repubblicana, seppur nel quadro di tensioni interne tra plebei e
aristocrazia senatoria, presenta forti elementi di mobilità, di integrazione anche di gruppi etnici diversi, di
espansione e di circolazione di beni.
La committenza pubblica sostituisce definitivamente le realizzazioni architettoniche e monumentali prima
gestite su un piano pubblico o a cavallo di pubblico e privato dai principes e reges. La ricchezza a Roma e
nell’area laziale non si incanala più negli apprestamenti privati e nelle tombe, ma viene indirizzata a tradurre
a livello pubblico, sul piano urbanistico e architettonico, le idee, i valori e le alleanze che compongono
l’orizzonte politico, sociale e culturale di una comunità o di gruppi significativi che in essa agiscono. Gli
edifici pubblici (santuari, templi) divengono il biglietto da visita in cui si fa sfoggio dei tipi architettonici,
delle tecniche costruttive, dei materiali (che sostituiscono il legno) e delle parti decorative. La forte spinta
della committenza produce una canonizzazione del tempio etrusco-italico e una standardizzazione di
elementi decorativi.
Gran parte della produzione bronzistica antica è perduta visto il valore del metallo che veniva rifuso; un
pezzo straorinario è la Lupa Capitolina, la cui cronologia del V secolo a.C. può darci un’idea di una
produzione di alto livello che doveva essere affiancata da altre produzioni più standardizzate, come quella
dei bronzetti votivi. Ciò dimostra una fiorente attività di officine che sono impegnate attorno ai grandi
cantieri di edifici pubblici e che si avvalgono di maestranze artigiane che operano su ampia scala nell’area
laziale, etrusca e falisca insieme a sollecitazioni provenienti dal mondo greco e magnogreco.
A livello stilistico si affacciano nuove tendenze, che pur conservando elementi del precedente ionismo, si
adeguano ai motivi dello stile severo.
La data del 486 a.C. corrisponde alla “serrata del patriziato”, una forte chiusura sociale promossa a Roma
dalla classe dirigente davanti agli sviluppi politici e sociali su scala interna e internazionale. Il mondo della
tryphè lascia il posto a società che riducono i consumi e la mobilità sociale; fenomeno che interessa gran
parte dell’Italia antica, anche se affiora con tempi e modi diversi. Basti pensare da un lato alla drastica
riduzione della dedica di templi a Roma e dall’altro al fiorire di un santuario come quello di Minerva a
Lavinio da cui proviene una straordinaria quantità di statue fittili o oggetti votivi.
La forte pressione delle comunità, che minacciano o conquistano importanti città etrusche o greche tra V e
IV secolo a.C., come Capua, Cuma e Poseidonia-Paestum, trova un corrispettivo nella conquista di Veio da
parte di Roma nel 396 a.C. Questi avvenimenti sono generati dalla richiesta dei ceti meno abbienti ad
accedere al possesso di terra e a un maggiore peso nella vita politica. Esempio di ciò a Roma è rappresentato
dalla promulgazione nel 367 a.C. delle leggi Licinie-Sestie che aprono l’accesso alle magistrature da parte
dei ceti non aristocratici.
Tra IV e III secolo a.C. assistiamo a una fase di rifondazione delle comunità latine, etrusche e italiche, in cui
la nascita di comunità politiche allargate si accompagna alla ripresa della fortuna degli antichi eroi fondatori,
alla definizione dell’identità etnica nel mondo italico, alla ripresa dei consumi e dell’attività edilizia, alla
nuova occupazione delle campagne e al processo di colonizzazione da parte di Roma. Questa fase di
espansione produce tra IV e III secolo a.C. un’ampia frammentazione delle strutture commerciali e
artigianali ma anche tendenze comuni segnate dal ruolo egemone di Roma. C’è lo sviluppo di un artigianato
di alta qualità organizzato in botteghe e in cui lavorano i maestri artigiani, liberi e schiavi, e l’alta
considerazione di questo ruolo è testimoniata dal diffondersi della firma dell’artigiano.
Il ruolo predominante che va assumendo Roma nel panorama italico ci viene testimoniato dalle importazioni
e dal ruolo produttivo svolto dalla città stessa.
Nel corso del IV secolo a.C. a Roma riprende un’intensa attività edilizia testimoniata da una serie continua di
dediche di templi; di particolare interesse è la dedica del tempio di Salus nel 303 a.C. i cui le fonti ricordano
la presenza di pitture ad opera di Fabio Pittore, esponente dell’aristocrazia impegnato in un’attività che solo
dopo sarà vista come propria degli schiavi. Questo tipo di pitture richiama lo sviluppo di una particolare
forma di rappresentazione , cioè raffigurazioni su legno, tessuto o piccoli plastici con cui i generali e i
magistrati informavano il Senato circa lo sviluppo delle operazioni militari. Queste raffigurazioni di battaglie
ed eventi reali sono all’origine del rilievo storico romano che troverà la massima espressione nei pannelli
degli archi di trionfo e nei fregi delle colonne coclidi imperiali.
In questo periodo si avvia anche una ristrutturazione dell’area forense, di pari passo con la sistemazione nella
zona centrale delle strutture politiche e di rappresentanza e di attività produttive come le botteghe dei
cambiavalute.
A partire dalla seconda metà del IV secolo a.C. aumentano le statue equestri o su colonna, dedicate dal
Senato a personaggi che abbiano acquisito meriti verso lo Stato (statua Gaio Menio 338 a.C. – state di
Pitagora e Alcibiade 300 a.C. poste presso il Comizio).
Agli inizi del III secolo a.C. è costruito sul Palatino il nuovo tempio della Vittoria, un culto che si presta a
celebrare l’espansione della città, uscita vittoriosa dalle guerre sannitiche, ora volta anche al sud, come
mostra l’apertura del primo tratto della via Appia. Su questa strada cominciano ad allinearsi i sepolcri di
importanti famiglie di Roma (es: Scipioni).
La spinta coloniale di Roma può essere seguita anche attraverso la diffusione di ex voto raffiguranti teste o
parti anatomiche che ora appaiono standardizzate, sintomo dell’unificazione culturale in atto sotto Roma.
Questo mondo medio repubblicano, che si era nutrito del modello della polis classica e delle forme artistiche
di età classica e del primo ellenismo, termina nella seconda metà del III secolo a.C.
La dimensione mediterranea dell’impero di Roma sancisce la fine di questo mondo, per lasciare il posto al
altri ideali politici, a una rivoluzione economica e sociale e ad altri modelli di rappresentazione.
Ora si pongono le basi per l’ingresso nel mondo romano dei modelli politici e culturali elaborati nei regni
ellenistici.
4. L’urbanistica e i nuovi modelli dell’architettura ellenistica
Tra III e II secolo a.C. Roma si trasforma sul piano urbanistico e monumentale in una delle grandi capitali
del mondo ellenistico, mentre su piano politico prosegue la costruzione di un impero su scala mediterranea
che culmina nella battaglia di Anzio del 31 a.C. e che rende Roma erede di tutti i regni ellenistici sorti a
seguito delle imprese di Alessandro Magno.
Un punto di svolta avviene tra III e II secolo a.C. con la fine della seconda guerra punica, quando avverranno
tutte le radicali trasformazioni della Roma ellenistica. Si avvia un rapporto più stretto con il mondo greco,
grazie all’ampiezza delle conquiste territoriali e all’accesso diretto ai territori dell’Oriente, che segna
l’afflusso di ricchezza (Asiatica luxuria) e la trasformazione culturale e monumentale di Roma e dei territori
italici che partecipano alle conquiste della capitale dell’impero. Il contatto diretto con il mondo ellenistico
contribuisce a rimodellare l’ambito assegnato agli dei, la funzione degli spazi domestici impegnati a tradurre
un nuovo stile di vita e le nuove forme dell’otium. Vengono ripresi i modelli urbanistici, monumentali,
figurativi e decorativi presenti nei centri del potere ellenistico; esempio eclatante è costituito dai santuari
laziali, che tra II e I secolo a.C. riprendono e sperimentano modelli del pieno ellenismo, a partire dalla
disposizione scenografica a terrazze.
L’impronta personale e dinastica che è alla base del potere ellenistico offre i migliori strumenti di
propaganda politica ai generali vittoriosi di Roma, che piegano a proprio vantaggio le istituzioni
repubblicane e sfidano il potere della nobiltas patrizio-plebea facente capo al Senato; l’immagine urbanistica
di Roma viene riplasmata secondo le nuove esigenze politiche, sociali e culturali.
Si sviluppa l’uso di materiali preziosi (marmo, bronzo) per realizzare edifici, statue e apparati decorativi (il
capitello corinzio diviene simbolo dell’architettura sfarzosa e attenta al gusto decorativo). In grande impiego
finanziario da parte dei generali vittoriosi di Roma, ricavato dai bottini di guerra, porta con sé la tendenza ad
indicare col proprio nome le opere realizzate imponendo un segno duraturo del potere personale negli spazi
pubblici della città (creazione di complessi monumentali chiusi e compatti che mettono in scena i messaggi
politici e culturali dei relativi committenti). Ruolo fondamentale hanno i portici e le basiliche: la poticus
prevede la copertura di uno spazio lungo e munito di una fronte a colonne. Questo tipo di edificio può
assumere varie funzioni e viene usato per delimitare ampie piazze al cui centro sono collocati templi o altri
edifici in posizione enfatica; la basilica è un altro edificio plurifunzionale in cui si potevano svolgere attività
giudiziaria, transizioni commerciali, incontri vari e può ospitare la sede di uffici amministrativi. L’edificio
comprende un’aula rettangolare divisa in navate, di cui quella centrale risulta più ampia.
Il concetto ellenistico di urbanitas, cioè la necessità di un aspetto gradevole dell’ambiente urbano, va di pari
passo con la specializzazione degli spazi e dei monumenti.
Nella fare tardo repubblicana assistiamo alla diffusione dell’opus caementicium, una tecnica edilizia a basso
costo e richiedente una manodopera non specializzata costituita in buona parte da schiavi.
Le aree importanti che ci aiutano a capire le trasformazioni urbanistiche e monumentali di Roma sono:
- zona portuale sul Tevere. Fin dall’età arcaica l’area del foro Boario aveva svolto una funzione emporica
in relazione al guado del Tevere presso l’isola Tiberina e alle merci risalenti da Ostia lungo il fiume. In
quest’area in età repubblicana si era strutturato il portus Tiberinus. Nei primi decenni del II secolo a.C.
assistiamo alla ristrutturazione di tutta l’area destinata allo sviluppo demografico e l’aumento degli scambi
commerciali induce nel 193 a.C. ad una complessa ristrutturazione del nuovo Emporium. Il porto con i suoi
horrea (magazzini per le merci) continua anche nella zona più a sud, al cui attività è testimoniata
dall’accumulo dei contenitori ceramici. Nel 194 a.C. viene fondata la colonia di Puteoli (Pozzuoli), destinata
a diventare il bacino di approdo per le grandi nave provenienti dall’Oriente; da qui, con navi più leggere, le
merci salivano fino al nuovo Emporium tiberino.
- Campo Marzio. Si specializza come zona di riunioni e attività di tipo politico e come area di manovra dei
condottieri romani in armi; nel primo caso, oltre a regolare il funzionamento dei saepta (recinti mobili
assimilati alla struttura del tempio in cui avvenivano le votazioni popolari), l’area è munita nel 221 a.C. del
circo di Flaminio che diventa luogo di riunione della plebe e di svolgimento dei ludi plebei.
Nel secondo caso l’area diviene luogo di sperimentazione dei progetti urbanistici legati ai viri triumphales;
qui prendeva avvio la processione del trionfo e troviamo realizzate soluzioni urbanistiche e architettoniche
che non potevano trovare spazio nella città. Nell’area sacra di largo Argentina dal III secolo a.C. vengono
fatti importanti interventi vittoriosi: nel 107 a.C. è creata la porticus Minucia che racchiude un unico
complesso di tre templi e nel 101 Q. Lutazio Catulo dedica il tempio rotondo della Fortuna huiusce diei. Le
due strutture insieme al tempio delle Ninfe e all’Ara Martis, formano il complesso sacrale e politico che
garantisce la distribuzione delle frumentationes.
Tra 146 e 143 a.C. viene realizzata la porticus Metelli, un’area sacrale quadrangolare bordata da portici; il
quadriportico ingloba al centro il tempio di Giunone Regina e il nuovo tempio di Giove Statore, nelle cui
strutture viene per la prima volta usato il marmo. Nella piazza viene innalzato li gruppo santuario opera di
Lisippo che celebrava la vittoria di Alessandro presso il fiume Granico.
- Foro Romano. La piazza forense svolgeva funzione di memoria storica e di rappresentanza dell’intera
comunità; qui ci sono le sedi istituzionali e amministrative, la tomba di Romolo-Quirino, le statue e le
iscrizioni che celebravano eventi memorabili, qui passava la via Sacra corrispondente al percorso trionfale
diretto verso il colle Capitolino. Per tutta l’età repubblicana il Foro continua ad ospitare i ludi gladiatori e le
rappresentazioni di caccia di animali feroci, svolti entro strutture provvisorie al pari degli spectacula, su cui
trovavano posto gli spettatori. Il Foro appariva circondato da tabernae, soprattutto argentariae, mentre
quelle per i generi alimentari sono dislocate in uno spazio marginale. Dietro le tabernae ci sono vari atria,
edifici che riprendevano la schema della casa privata, con atrio centrale su cui si aprivano i diversi ambienti
(sedi di corporazioni, uffici amministrativi, luoghi di incontro per affari e transizioni commerciali).
A partire dalla prima metà del II secolo a.C. nel Foro Romano compare il tipo edilizio della basilica.
I due lati lunghi del Foro saranno bordati dalla basilica Emilia e dalla basilica Sempronia. Entro il II secolo
a.C. sorge sul lato corto del Foro un’altra basilica, la Olimpia. Negli stessi anni dietro la basilica Emilia
sorge il mercato specializzato in generi alimentari, il Macellum.
Il complesso Curia-Comitium e l’area circostante avevano assolto varie funzioni: qui si riunivano i senatori
rappresentanti delle curiae, si svolgevano attività giudiziarie, alcune riunioni per votare, trovavano posto la
tribuna degli oratori e quella delle delegazioni straniere (la grecostasis). Questo complesso corrisponde in
origine a un tempio, cioè un’area sacra che garantisce le decisioni che in essa vengono prese.
Nel corso della prima guerra punica, nel 263 a.C., viene introdotto un orologio idraulico che segnava il
tempo: è l’inizio di un processo di trasformazione del complesso Curia-Comitium cui si accompagna
l’assunzione della forma circolare e la diversificazione delle funzioni giudiziarie in altre aree del Foro.
Questa disintegrazione del potere senatorio culmina nella ricostruzione della Curia a opera di Cesare, ora
struttura annessa alla nuova piazza che celebra il potere del dittatore.
A Roma il voto popolare è fortemente controllato dalle istituzioni senatorie. Al contrario, in Grecia il voto
viene espresso individualmente e nello spazio del teatro, libero ma non privo da rimandi religiosi. Da questa
identificazione tra teatro e assemblee popolari dipende il rifiuto del potere senatorio alla costruzione di teatri
in muratura. Solo con Pompeo viene realizzato un teatro stabile a Campo Marzio a ribadire il forte declino
del potere senatorio; tanto più declinano l’influenza e il controllo del potere senatorio tanto più aumentano
gli interventi urbanistici da parte dei novi homines che basano il loro potere sugli eserciti e sulla ricchezza
dei bottini di guerra. Nel corso del I secolo a.C. Silla aveva elaborato una serie di interventi, concepiti
nell’ottica di una restaurazione senatoria; ma ciò non è paragonabile a quello che progettò Pompeo nell’area
del Campo Marzio (opera Pompeiana). Si tratta della ripresa del modello famoso nell’architettura romana, la
porticus post scaenam, un portico posto dietro la scena di un teatro per offrire riparo agli spettatori. In realtà
già le dimensioni del quadriportico tradiscono altri intenti, testimoniati dall’aggiunta di un gigante teatro e di
una Curia rispettivamente sui due lati corti del quadriportico. L’edificio teatrale è giustificato da Pompeo
come struttura di sostegno per un tempietto dedicato a Venere posto sulla sommità della cavea.
Il modello teatro-tempio fa il suo ingresso a Roma segnalando la speciale relazione che intercorre tra una
divinità e un condottiero come Pompeo, elemento che sottolinea il potere personale.
La Curia permetteva ai senatori di avere contatto con quei generali che non potevano attraversare il confine
sacro del pomerium. La statua di Pompeo posta nell’edificio segnala i condizionamento cui è sottoposto il
senato stesso a vantaggio dei viri triumphales. Nei giardini lungo il quadriportico ci sono numerosi gruppi
statuari che alludevano alle qualità eroiche dello stesso Pompeo.
Si sviluppa al tendenza a progettare complessi unitari, chiusi e compatti che veicolano i messaggi
propagandistici. Il progetto di Pompeo si inserisce nel quadro della diffusione di quegli horti, cioè la villa
suburbana con parco annesso, iniziata alla fine del II secolo a.C. e che costituisce una delle massime
espressioni dell’Asiatica luxuria. I modelli di riferimento si possono cogliere nelle capitali ellenistiche, dove
erano diffusi i basileia, cioè una reggia caratterizzata da una successione di aree destinate a parco anche con
animali esotici e di padiglioni adibiti a funzioni varie: strutture che assedieranno lo spazio urbano di Roma.
Gli interventi di Cesare nel tessuto urbano di Roma sarebbero dovuti essere più ampi rispetto a quanto il
dittatore riuscì a realizzare. Le iniziative di Cesare erano in competizione con quelle di Pompeo, riuscendo a
duplicare il complesso pompeiano ma inserendolo nel pieno tessuto istituzionale del Foro Romano. Il nuovo
foro Iulium inaugurato nel 46 a.C. comprende una piazza, circondata da portici e tabernae, un intervento al
centro dello spazio della memoria culturale di Roma repubblicana. La piazza cesariana vuole porsi come il
nuovo centro politico attraendo anche la Curia, ora ricostruita con il nome di Iulia e inserita lungo uno dei
due lati della piazza. Sul fondo della piazza sorge il tempio di Venere Genitrice; la collocazione sul fondo
permette un più articolato percorso celebrativo dentro la piazza che culmina con la facciata del tempio, dove
nel 44 a.C. lo stesso Cesare riceve il Senato seduto nel pronao.
Nel frattempo gli Emili restaurano in accordo col dittatore l’antica basilica Emilia mentre appaltano sull’altro
lato del Foro la nuova basilica Giulia. Il Comitium viene drasticamente ridimensionato.
L’area del Foro Romano assume il significato di celebrazione della casta imperiale.
5. Arte e lotte politiche fra tarda repubblica e impero
Tra III e II secolo a.C. si creano le condizioni per un radicale e profondo stravolgimento delle strutture
sociali e politiche di Roma destinato a concludersi con la soluzione del principato augusteo. In queste
trasformazione ruolo importante è svolto da un processo di ellenizzazione che coinvolge la società romana e
le diverse aree e tradizioni culturali che compongono il mondo ellenistico formatosi sotto i successori di
Alessandro Magno. Nella lunga storia dei rapporti del mondo greco e italico è importante capire da un lato
quali elementi della cultura greca entrino in gioco e dall’altro quali settori del mondo romano e italico
risultino interessati ad attivare questo rapporto. Negli ultimi due secoli della repubblica cambiano totalmente
le condizione della produzione artigianale e artistica, il ruolo della manodopera e delle officine, la
circolazione e l’occasione di uso ed esposizione della stessa produzione artistica e artigianale.
Nel 212 a.C. M. Claudio Marcello conquista Siracusa e nel 209 la stessa cosa succede per Taranto a opera di
Fabio Massimo; in entrambi i casi fluisce a Roma un’ingente quantità di opere d’arte come bottino di guerra.
Nel 196 a.C., T. Quinzio Flaminio proclama la libertà delle città greche assumendo le vesti di un sovrano
ellenistico e una sua statua con iscrizione greca viene eretta a Roma, lungo la via trionfale, presso il Circo
Massimo. Nel 186 a.C. c’è l’avvento dell’Asiatica luxuria a seguito dei trionfi di Scipione Asiageno su
Antonio III a Magnesia nel 189 a.C. e di Cn. Manili Vulsone sui Galati d’Asia nel 186 a.C.
Non solo opere d’arte ma anche artisti greci arrivano a Roma a seguito di questi generali vittoriosi.
Negli stessi anni Scipione Africano introduce il modello della villa suburbana e si fa costruire un sepolcro
individuale. In questi eventi comportamenti cogliamo l’emergere di singole personalità, a scapito della
nobiltas senatoria e del ceto equestre, che agiscono secondo i dettami dei dinasti ellenistici; il ruolo sempre
più importante giocato dagli eserciti; la possibilità di accumulare in tempi rapidi molta ricchezza grazie a
bottini di guerra e alle nuove possibilità commerciali con l’Oriente, che modifica il ruolo pubblico e privato
dei novi homines; l’accumulo di ricchezza che rende possibile la nascita di grandi latifondi e concentrazioni
di imprese manifatturiere che necessitano di un mercato più ampio.
L’impatto con l’Asiatica lux uria può essere visto come il tentativo di introdurre il modello del potere
ellenistico nella società romana e italica; processo che forza le tradizionali strutture sociali e politiche del
mondo romano creando le condizioni per l’emergere di condottieri e uomini politici che ora sottolineano ad
ogni livello il proprio potere personale. Il termine luxuria indica il lusso, l’abbondanza di ricchezza che i
romani avevano sperimentato nelle corti ellenistiche e che era diventato simbolo della vita dei novi homines;
il lusso e la ricchezza diventano espressione di potere in quanto simbolo di uno stile di vita simile a quello
degli dei. Gli effetti della luxuria mutano in profondo la struttura economica dell’Italia romana le cui
conseguenze emergono anche in relazione alla produzione artigianale e artistica. Tra II secolo a.C. e II secolo
d.C. il mondo romano è caratterizzato dal modo di produzione schiavistico. L’accumulo veloce di ricchezze
e la grande disponibilità di schiavi arrivati in Italia a seguito delle conquiste orientali, modificano i rapporti
di produzione economica. L’epicentro di questo sistema è limitato a un’area ristretta, tra l’antica Etruria
settentrionale, il Lazio e la Campania. Il sistema delle ville costituisce un riassunto di queste nuove tendenze
che si affermano sul piano economico (pars rustica) ma con riflessi sul valore dell’otium (pars urbana).
Queste ville si specializzano in produzioni, in particolare vino e olio, destinate ai mercati di Oriente, Gallia,
Spagna e Africa; si tratta di produzioni artigianali standardizzate, rese possibili dalla facile disponibilità di
manodopera schiavile. Anche produzioni di più alto livello, come statue e ritratti, si muovono nell’ambito di
una produzione di serie.
La Roma tardorepubblicana conferma così di essere pienamente inserita nel mondo ellenistico che aveva già
avviato la separazione tra artigianato standardizzato e di massa da un lato, e la grande produzione di alto
livello riservata alle corti dinastiche dall’altro. Il lavoro manuale, identificato con la manodopera schiavile,
perde valore e risulta incompatibile con l’attività dell’uomo libero e dedito all’otium. I cambiamenti che
interessano la Roma tardorepubblicana, che si avvia a diventare una repubblica imperiale, creano le premesse
per una circolazioni di artisti, artigiani e relative opere e manufatti in un mondo unificato di dimensioni
vastissime; i bottini e i saccheggi di guerra costituiscono la base iniziale di questa circolazione.
C’è un’affermazione di Plinio il Vecchio relativa alla morte dell’arte durante l’Olimpiade 121 (296-293 a.C.)
e alla sua rinascita nell’Olimpiade 156 (156-153 a.C.): la morte dell’arte traduce un rifiuto di tutti gli aspetti
più innovatori e radicali dell’arte ellenistica cui fa seguito una rinascita in un quadro normalizzato, dove c’è
la ripresa su vasta scalea di modelli neoattici ispirati alla produzione greca tra età severe e primo ellenismo
ma non privi di elementi ripresi dal pieno ellenismo.
Alcuni esponenti della famiglia degli Scipioni svolgono un ruolo importante nell’introduzione a Roma di
comportamenti analoghi a quelli dei dinasti ellenistici e tipici dell’Asiatica luxuria. La grande quantità di
bottini di opere d’arte e i numerosi artisti greci al seguito dei trionfatori diffondono a Roma le più diverse
tendenze artistiche del mondo ellenistico, quella pertica, alessandrina e rodia.
La figura di Catone può essere presa ad esempio di una selezione di modelli culturali tale da escludere quelle
tendenze che avevano un linguaggio politico, culturale e artistico derivato dal mondo dei sovrani ellenistici.
Per Catone la creazione di una tradizione romana fondata sui valori dell’austerità e del rifiuto della ricchezza,
sul ruolo degli antenati e sull’opposizione a religioni contrastanti con i costumi romani, va di pari passo con
l’accettazione di un mondo greco che ha come riferimento l’Atene di Pericle e della grande oratoria attica.
A metà II secolo a.C. matura il processo di formazione di quella cultura neoattica che, senza rifiutare i
modelli ellenistici, crea una tradizione fondata su un’impronta classicista. Questo processo è parallelo a
quello che vediamo nella tradizione letteraria e retorica dove si confrontano un modello asiano (ispirato agli
effetti patetici e drammatizzanti del pieno ellenismo) e un modello neoattico (in cui Atene è centro
promotore di una visione della classicità esemplare modellata su letteratura, retorica, filosofia e teatro
compresi tra età periclea e primo ellenismo).
L’elaborazione di un classicismo, cioè l’idea dell’esistenza di una misura e un modello che permettano di
stabilire una scala di valori cultura lied estetici in base a un canone di riferimento, trova ora nel mondo
romano una definitiva elaborazione teorica. I maestri riconosciuti di questa tendenza classicista vanno
ricercati nell’officina attiva a Roma che fa capo a Polykles e Timarchides (fine III inizio I secolo a.C.).
L’etichetta classicista non deve però oscurare le diverse tendenze ispirate alle novità ellenistiche.
La varietà di esperienze è confermata dall’uso del bronzo, del marmo e della tecnica dell’acrolito.
Alla stessa officina è stato collegato anche il modello statuario adottato per il cosiddetto Pseudoatleta di
Atene e per il negotiator italico C. Ofellius Ferus. Ciò segnala l’introduzione a Roma di un linguaggio nuovo
e funzionale alle novità politiche che stavano maturando.
Al modello del togato (simbolo del civis romanus e della fedeltà alla repubblica senatoria) si affianca la
nuova immagine di un personaggio di nudità che si paragona al mondo degli eroi greci. I personaggi ora
rappresentati secondo un modello “achilleo” della nudità potevano da un lato suscitare disapprovazione per il
richiamo al costume dell’omosessualità greca, ma dall’altro rimandavano a un linguaggio temuto
dall’aristocrazia senatoria, quello dell’apoteosi, elaborato nel mondo ellenistico come importante elemento di
legittimazione del potere del sovrano.
Cartilio Poplicola è una statua eretta tra 40 e 30 a.C. presso l’area sacra del tempio di Ercole a Ostia ed è un
evidente rafforzamento di quello statuto eroico e sovrumano cui la statua alludeva.
Nella Roma tardorepubblicana si incrociano linguaggi stilistici molto differenti che possiamo trovare
accostati anche su uno stesso monumento, come nel caso dell’Ara di Domizio Enobarbo.
Anche nel quadro di uno stesso monumento, la rappresentazione solenne di divinità o di scene ufficiali viene
per lo più affidata a uno stile classico che limita il movimento. La rappresentazione di scene complesse di
battaglie, di movimento, di emozionalità, di barbari vinti, di paesaggi e animali, viene resa mediante schemi
elaborati dal mondo ellenistico. Questa prospettiva non è un processo lineare ma una tendenza che continua a
essere attiva anche nel quadro dell’arte imperiale. Perciò anche l’ultimo secolo della repubblica è
caratterizzato da varietà e intreccio di tendenze stilistiche.
La forte espansione delle officine va messa in relazione con due fattori:
- crescente richiesta di copie di statue, gruppi scultorei, ritratti, rilievi, arredi e altari desinati ai nuovi spazi
dell’otium; nascono grandi collezioni di opere d’arte sistemate negli spazi pubblici di templi e terme e nello
spazio privato della casa.
- gli artisti attivi a Roma continuano a trovare spazio nella committenza pubblica stimolata dai personaggi
emergenti.
La lunga tradizione della lavorazione della terracotta appare ben visibile per tutta l’età tardorepubblicana,
forse favorita dall’aurea di antichità che il materiale poteva resuscitare rispetto alla preziosità del marmo.
La pittura e il ritratto hanno rivestito un ruolo centrale nel dibattito sull’originalità o meno dell’arte romana.
Per quanto riguarda la pittura, la documentazione pompeiana, resa possibile dall’eruzione del Vesuvio nel
79 d.C., ha condizionato le prospettive di ricerca permettendo una classificazione in 4 stili proposta da
August Mau che continua ad essere adottata ancora oggi. Il I stile, detto strutturale in quanto riproduce la
struttura a blocchi di un muro o i rivestimenti delle pareti in preziose lastre marmoree, comincia ad essere
documentato in Grecia da fine V secolo a.C. e trova nella ricca documentazione delle case di Delo gli esempi
più vicini al I stile del mondo romano (II secolo a.C.) che corrisponde a una variante di uno stile molto
diffuso su scala mediterranea.
Da fine II secolo a.C. troviamo i primi esempi del II stile la cui diffusione deve essere compresa nel quadro
delle novità introdotte dall’Asiatica lux uria; infatti rimanda a un’idea di ricchezza e sovrabbondanza tramite
la rappresentazione di prospetti decorativi e architettonici, tendaggi, sontuosi edifici, giardini simili a
paradisi, vasi ricolmi di frutta, animali e scene sacrali ambientate in paesaggi idilliaci. Tutto questo trova
collocazione nelle grandi domus simbolo della cultura dell’otium.
Da metà I secolo a.C. la decorazione del II stile tende ad annullare la parete in modo illusionistico tramite
l’uso di ampie scenografie che guidano l’occhio in profondità; scenografie ispirate a quelle teatrali,
funzionali a richiamare le architetture regali e gli apparati trionfali derivanti dal mondo ellenistico.
Altro genere diffuso è quello dei topia, in cui compaiono ambienti geografici come coste, porti,
fiumi,promontori, montagne, campagne e boschi sacri. Il II stile termina a inizio età augustea (20 a.C.) e
nella fase finale mostra una tendenza a richiudere la parete, a modificare gli apparati architettonici con
elementi vegetali e all’inserimento di scene figurate a carattere mitologico.
Quando si parla di storia del ritratto romano ci si riferisce al problema della dipendenza dai modelli greci,
alla possibilità di rintracciare una tradizione ritrattistica in ambito italiano che possa risalire
all’individuazione di un’importante radice dell’uso del ritratto nel quadro del rituale funerario romano.
Per quanto riguarda il rapporto con il mondo greco la questione deve essere inquadrata nella prospettiva
generale che vede in azione fin dall’età arcaica una forte spinta ellenizzante cui fanno seguito in ambito
italico la ricezione e l’adattamento dei diversi modelli. Il periodo compreso tra V e IV secolo a.C. appare
decisivo nel mondo greco per elaborare la spinta verso la rappresentazione dell’individuo, destinata a
emergere in tutta la sua portata nel corso dell’età ellenistica. I riflessi di tutto ciò appaiono evidenti anche per
quanto riguarda l’elaborazione del ritratto nel mondo romano. Fin dall’età arcaica vediamo operante
nell’area etrusco-laziale il costume dello ius imaginum che costituisce parte integrante dello status
aristocratico e che si esplicita anche nelle immagini degli antenati realizzate in legno o in cera presenti nel
rituale funerario romano. Questa lunga tradizione non pone l’accento sulla rappresentazione individuale e
realistica, quanto su un complesso di valenze politiche, religiose, cerimoniali entro cui dobbiamo
necessariamente inquadrare il funzionamento della ritrattistica romana che, nel corso del tempo, ha raccolto e
utilizzato sollecitazioni di diversa provenienza. L’importanza delle statue onorarie che, tra fine V e nel corso
della seconda metà del IV secolo a.C., mettono in scena personaggi esemplari della storia e del mito ma
anche personaggi reali come modelli da seguire. Anche per quanto riguarda il ritratto, gli effetti dell’Asiatica
lux uria non tardano a tradursi in una forte spinta alla resa individuale, sia sul piano fisico che sul piano delle
qualità morali che si vogliono esibire. In questa prospettiva possiamo richiamare l’influenza esercitata dalle
tabulae triumphales destinate a narrare le imprese di generali vittoriosi. La resa fisiognomica individuale
accompagna tutto il processo di esaltazione e celebrazione delle imprese e delle virtutes dei grandi
personaggi emergenti della tarda repubblica. Ciò si traduce nell’emergere su larga scala del sepolcro
individuale, che introduce l’idea di eroicizzazione del defunto, insieme alla diffusione di rilievi funerari
raffiguranti intere famigli che si affacciano sulle strade per comunicare il prestigio dei singoli nuclei
familiari.
La rappresentazione delle qualità individuali utilizza un vario vocabolario stilistico e iconografico,
rivolgendosi a tendenze classiciste o ellenistiche o a volte mischiando i diversi linguaggi; si ricordano il
modello achilleo (eroicizzazione del personaggio) e l’imitatio Alessandri (esaltazione delle qualità del
sovrano ellenistico).
L’avvento dell’età augustea assume la forma di una rifondazione di Roma in cui Augusto diviene il garante
dei nuovi tempi d’oro.
Le statu di nudità eroica, usate per l’esaltazione di personaggi emergenti, diventano fuori moda perché
sentite pericolose rispetto all’ordine augusteo; il linguaggio classicista appare come il più adatto a esprimere
i nuovi valori di ordine e stabilità.
A livello iconografico, gli ultimi cicli scultorei e pittorici della face repubblicana tornano ai temi delle origini
e del legame mitico col mondo troiano.
6. L’età di Augusto
Il sogno diffuso nella società del tempo era quello della fine del duro periodo delle guerre civili e dell’inizio
di un’età pacifica e prospera. L’arte augustea fu l’espressione del vasto progetto di rifondazione politica,
ideologica e culturale dello stato romano, che conduce alla creazione dell’impero. Questa fase è segnata dal
forte controllo da parte del potere centrale che si traduce nella manipolazione dei temi e delle forme del
linguaggio artistico, che sfruttava la capacità evocativa e significativa delle diverse tradizioni formali
dell’arte greca; questo linguaggio ispirato allo stile dell’arte attica della prima età classica è detto classicista.
L’arte rafforza il suo ruolo di mezzo di comunicazione, capace di agire anche sul piano estetico e emotivo
delle persone. Svolgeva un ruolo determinante il richiamo alla tradizione, modificata o reinventata in
funzione della nuova situazione storica. Costante fu il riferimento al concetto di mos maiorum, come
strumento propagandistico che garantisce la bontà dei cambiamenti istituzionali.
Anche la società augustea era percossa da forme di opposizione, ma il controllo fu tale da parte del potere
centrale, che poche tracce sono giunte fino a noi. Per capire l’arte di questo periodo bisogna vedere come
siano cambiati i modi di rappresentazione del volto di Augusto, ossia come esso ha voluto farsi rappresentare
pubblicamente. I primi ritratti del 40 a.C. lo ritraggono come un tipo giovanile; la forte torsione del collo, il
capo rivolto verso l’alto, la plasticità delle ciocche di capelli e la passionalità, rimandano alla
rappresentazione dei principi orientali. Non appare nessuna differenza con i ritratti del suo avversario Marco
Antonio. Ma la vittoria di Anzio su Antonio offrì a Augusto non solo il potere, ma anche l’occasione per un
importante cambiamento nella definizione del suo progetto politico e della sua immagine.
Successivamente Augusto si fa ritrarre in forma più composta, con capigliatura più uniforme e con maggiore
sobrietà del modellato, per comunicare un’energia più consapevole e matura, governata dalla razionalità,
lontana dalla passionalità delle immagini dei sovrani orientali.
La rappresentazione di Augusto tende alla rimozione dell’energia del condottiero, avvicinandosi sempre di
più ai modelli dell’arte classica, delineando un’immagine più sobria, essenziale e razionale.
La scelta nel 27 a.C. del Doriforo, cioè il prototipo classico per eccellenza per la rappresentazione
dell’imperatore in veste militare, svolge una funzione propagandistica, non solo perché attraverso le forme
classiche comunica la forza consapevole dell’imperatore, ma trasforma l’operazione diplomatica della
riconsegna delle insegne sottratte dai Parti a Crasso in una vittoria militare.
Non c’è più traccia di passione nell’immagine in veste di Pontefice Massimo, che l’imperatore fa diffondere
nell’ultima parte del suo regno. Si pone l’accento sulla sensibilità religiosa, per esprimere l’idea di un uomo
la cui forte morale e la dedizione al bene pubblico ha allontanato dai piaceri della vita. Il ritratto è eseguito
sempre secondo l’equilibrio del linguaggio classicista, ponendo l’accento sull’ispirazione religiosa della sua
azione politica, funzionale al rafforzamento del controllo sociale dei costumi, basato sulla diffusione di
valori ispirati al mos maiorum. Si dava maggior forza alle idee ispirate alla sobrietà, a una rigorosa morale
sessuale e alla promozione della famiglia. Il richiamo alla tradizione ha un’importanza fondamentale; la
sobrietà del linguaggio espressivo è usata per i ritratti dei discendenti diretti di Augusto, mentre il primo
erede di Augusto, Agrippa, prolunga oltre gli anni di Anzio l’uso del suo ritratto in un linguaggio più vicino
alla sensibilità dell’ellenismo barocco, prossimo ai modelli dei sovrani orientali.
Il linguaggio classico diventa un modello ideale a cui rivolgersi per la promozione di un’arte che ha al suo
interno significati, problemi e fini diversi da quelli del mondo greco.
Uno degli aspetti più importanti dell’azione augustea è dato dai vari interventi in ambito architettonico e
monumentale, con la costruzione di numerosi edifici pubblici e con la restaurazione di altri già esistenti.
Assume un’importanza determinante sia la conclusione del Foro concepito da Cesare, sia la costruzione di un
nuovo Foro personale, collegato al precedente. Nel Foro di Augusto resta invariato il ruolo che al suo
interno svolgeva il tempi dedicato a Marte Ultore. La scelta di questa divinità comunicava l’idea della grande
forza militare di Roma, concepita non tanto come strumento di conquista, quanto di pacificazione. L’idea
della pace imposta con la sola minaccia delle armi, fu un tratto distintivo del regime augusteo.
Il complesso era arricchito da un imponente apparato decorativo, costituito da statue e rilievi, che svolgeva
un discorso ideologico e propagandistico. Il soggetto principale era Roma, la visione trionfale della sua
storia, evocata sia dalle immagini dei personaggi legati al mito delle origini, sia quelle degli uomini illustri,
che l’avevano resa grande. Nell’esaltare la storia di Roma si pone enfasi sul ruolo della gens Iulia, la
famiglia di Augusto, e quindi Augusto stesso. Viene intrecciata la vicenda mitica di Roma a quella della
gens Iulia, così che Augusto poteva essere visto come successore di Enea e di Romolo e quindi come il
nuovo fondatore della città. Nonostante l’articolazione spaziale del Foro, legata alla tradizione delle porticus
romane, sentisse gli influssi del barocco ellenistico, l’apparato decorativo richiamava i modelli classici
ateniesi. La scelta di un’estetica classica corrisponde alla volontà di comunicare un’idea solenne di ordine e
stabilità. Gli interventi architettonici augustei modificano in profondità l’agorà ateniese.
Il programma di rinnovamento corrisponde da un lato alla necessità di rendere manifesta la forza e la potenza
dello Stato rinnovato e dall’altro, di creare consenso intorno alla figura dell’imperatore che si preoccupava
anche dello svago dei cittadini, portando a termine la costruzione del teatro di Marcello.
L’introduzione nei centri provinciali di monumenti, pubblici e religiosi, legati alla capitale, funziona anche
come strumento di romanizzazione e di rafforzamento dell’istituto imperiale. Si considera monumento
emblematico dell’atre augustea l’Ara Pacis, che rappresenta bene l’ambiguità di fondo del programma
augusteo. Da un lato, nella sua forma di altare su basamento circondato da un recinto si richiama con
semplicità alla più antica tradizione di Roma, dall’altro, con il raffinato programma figurato posto a
decorazione sancisce il profondo cambiamento dello Stato. Mentre celebra la pace diffusa in tutto l’impero,
esaltando la tradizione mitica di Roma, porta l’attenzione sull’imperatore e sulla sua famiglia, introducendo
in maniera solenne l’idea della commistione tra privato del princeps ed istituzioni pubbliche e suggerendo il
diritto alla successione al trono per via ereditaria. I singoli temi sono ben distinti sia per collocazione sul
monumento sia per il diverso linguaggio formale adottato.
Il fregio figurato sull’esterno dei due lati lunghi mostra una processione in cui ai magistrati e ai gruppi
sacerdotali fanno seguito i membri della famiglia imperiale, comprese donne e bambini. L’aspetto del
pubblico viene in questa maniera intrecciato al privato del princeps. Nessun elemento di paesaggio né di
quinta architettonica è presente sullo sfondo, così da accrescere la solennità e il carattere atemporale della
situazione. Il solo elemento che ravviva la scena è dato dalla varietà dell’atteggiamento delle singole figure,
in modo da conferire l’impressione di un’azione in svolgimento. Al linguaggio classicista si unisce la
concretezza dell’intento ritrattistico della resa dei volti, esclusivamente quelli dei membri della famiglia di
Augusto, nonché un intento propagandistico più esplicito.
L’estrema attenzione per la disposizione dei singoli personaggi è aderente in maniera perfetta alla più antica
tradizione dello Stato romano, per quanto riguarda i sacerdoti e i magistrati, e alla linea nella successione dei
familiari. Evidente è l’adesione alle forme della tradizione (mos maiorum).
Il linguaggio usato sui 4 pannelli dei lati brevi, che celebrano Roma e il suo impero attraverso l’epos e
allegorie, è più libero. Due appaiono ben leggibili, raffiguranti uno Enea che sacrifica ai Penati e l’altro la
personificazione di Tellus. Anche se singole figure vengono trattate con formule classicistiche, l’uso del
paesaggio, il carattere composto delle scene, la ricchezza e la varietà delle rappresentazioni e l’animazione
che percorre le superfici sono legate alla vivacità della tradizione ellenistica. In questi due pannelli troviamo
forme di propaganda augustea. Mentre Tellus evoca la prosperità e la vivacità della vita, Roma con Enea si
rivolge alla vicenda mitica della fondazione della città e al suo intreccio con la gens Iulia. Il fregio dell’altare
rappresenta una scena di sacrificio, con la processione delle vittime.
In contesto storico in cui ogni elemento legato al potere era predisposto con cura, in quanto usato in chiave
propagandistica, anche il privato del sovrano finiva con l’acquisire una funzione fondamentale nel sistema di
comunicazione del nuovo corso politico e culturale. Perciò una scelta significativa dal punto di vista
ideologico e propagandistico è l’idea di concepire insieme sul Palatino la residenza di Augusto e il tempio di
Apollo. Ancora una volta il princeps gioca in maniera ambigua con la sfera religiosa. Le terrecotte che
decoravano l’edificio sacro con temi apollinei, mostrano un linguaggi classicista e arcaicizzante; coerente
anche la decorazione parietale della casa di Augusto, attenta alla differenza di ricchezza ed eleganza tra la
parte pubblica e quella privata. Per quanto nella decorazione dei vani riservati l’imperatore adotti ancora uno
schema ornamentale riferibile al II stile, esso appare ridotto verso una dimensione più semplice ed
essenziale. Nella famosa Gemma Augustea l’imperatore si fa ritrarre come Giove, accanto alla dea Roma, e
cerca di esplicitare il suo dominio sui barbari; il linguaggio si trasforma; alle forme solenni dell’arte ufficiale
si sostituisce una composizione più articolata, con l’uso dell’espressione di una maggiore vivacità e intensità.
Il cambiamento culturale legato alla fondazione dell’impero e al programma augusteo incide sul privato dei
cittadini, come mostra la diffusione del sistema decorativo detto III stile pompeiano. Il II stile contrasta
molto con la nuova epoca imperiale, perciò viene abbandonato. I meccanismi che portano alla nascita del III
stile sono vari; è un processo di trasformazione che collochiamo tra 30 e 20 a.C. Si pone fine alla
moltiplicazione illusionistica degli spazi, per riconsiderare la parete come supporto di un sistema decorativo
incentrato su una quadro principale posto in posizione centrale, affiancato da pannelli figurati di dimensioni
minori; il tutto è organizzato nell’abito di un’ordinata quinta arcitettonica. Esempio di questo sistema
decorativo è la decorazione del cubicolo B della villa della Farnesina a Roma (20 a.C.).
Troviamo temi di carattere mitologico usati spesso come esempi di comportamento, ma anche soggetti epici
e teatrali, il tutto usato anche in funzione dei meccanismi di auto rappresentazione dei singoli committenti.
La necessità di esibizione di ricchezza, cultura e aggiornamento rispetto ai modelli più innovatori, al fine
della propria ascesa sociale, non erano venute meno con l’instaurazione dell’impero, ma il modo in cui
questo si fa ora è diverso. Ha molto successo il tema del paesaggio idilliaco sacrale, che è visto come lo
specchi della nuova situazione di pace e prosperità. Questi paesaggi sono permeati da una soffusa atmosfera
dionisiaca; di un dionisiaco che ha però perso ogni intensità passionale.
Assistiamo a un vasto fenomeno di diffusione in ogni parte dell’impero di modi ripresi dall’arte ufficiale e
trasferiti in ambito privato. Altra forma di imitazione dell’arte ufficiale, sentita come forma di lealtà nei
confronti dell’imperatore, è rappresentata dall’ampia serie di basi e di altari dedicati da magistrati minori ,
che attingono alle scene ufficiali, in particolare quelle relative al momento del sacrificio, per rilievi posti su
piccoli monumenti, che ricordano il loro status magistratuale.
Le forme classiciste del rilievo “storico-narrativo” vengono rese in maniera più sommaria e unite a soluzioni
legate a forme espressive di tipo simbolico.
L’operazione colta del linguaggio classicistico, a contatto con necessità espressive legate a ceti non
acculturati, declina verso forma tendenti all’immediatezza dell’espressione simbolica.
Il gruppo sociale che più di ogni altro adotta questo linguaggio è il ceto libertino, che trova nel nuovo
organismo statale le condizioni migliori del loro arricchimento e la loro ascesa sociale; l’adozione di formule
di diretta derivazione dal potere centrale per la definizione della propria immagine sociale vincente, si allarga
su scala monumentale più ampia. Un esempio è a Pompei l’edificio di Eumachia, aperto sul Foro e quindi in
una grande posizione di prestigio; imita la porticus Liviae, fatta costruire da Augusto, e trae da edifici della
capitale alcune formule di decorazione arcitettonica.
Caso diverso è documentato da una coppia di coppe in argento, sempre di età augustea, ritrovate in
Danimarca nella ricca tomba di una capo tribù barbaro; è notevole il fatto che la scena di Priamo
inginocchiato davanti ad Achille mostri lo stesso schema usato dall’arte imperiale per la sottomissione dei
barbari all’imperatore.Temi e motivi dell’arte di corte e di quella ufficiale si diffondono anche in funzione
decorativa, a dimostrazione dell’efficacia della propaganda augustea.
Il grande cratere di Hildesheim costituisce l’esempio dell’uso dei racemi tipici dell’età augustea e che
caratterizzavano la decorazione esterna dell’Ara Pacis, come motivo ornamentale , secondo un gusto sobrio e
leggero. A un livello più basso e diffuso, assistiamo alla ricezione di questi motivi su elementi di produzione
seriale, come il vasellame in terra sigillata. L’efficacia di questa capillare azione di diffusione a livelli diversi
e con i più differenti mezzi del nuovo programma politico e culturale, che preferisce il linguaggio classicista,
spiega la quantità ridotta di prodotti dell’arte privata non direttamente ascrivibili alle mode correnti. Però è
possibile, anche durante l’impero di Augusto, accettare soggetti propri dell’arte ufficiale, ma esprimerli
secondo linguaggi distanti dal classicismo di corte.
7. l’arte e la costruzione dell’impero nel I secolo d.C.
Augusto e i suoi collaboratori compirono uno sforzo per la creazione e la diffusione di una nuova cultura che
con i suoi valori potesse costituire la base ideologica condivisa dalla maggior parte dei sudditi e che potesse
svolgere, con la sua efficacia propagandistica, una funzione di aggregazione del consenso intorno alla figura
del sovrano. Il linguaggio classicista era sentito come lo strumento più idoneo per comunicare quei valori di
moderazione, equilibrio, fedeltà alla tradizione e sobrietà, funzionali al nuovo regime. Il recupero degli
antichi modi di vita e degli usi del popolo romano, voleva comunicare come il nuovo stato si inscrivesse
pienamente nella tradizione di Roma e ne costituisse la piena realizzazione storica, portando come
conseguenza pace e prosperità. Il primo grande problema per i successori di Augusto, in particolare per
Tiberio, fu quello di mantenere solida la struttura statale legata alla persona di Augusto. La promozione del
culto di Augusto divinizzato offrì a Tiberio la possibilità di mostrarsi continuatore della politica del suo
predecessore. La diffusione del culto dell’imperatore divinizzato serviva a saldare i legami tra i ceti dirigenti
locali, tra i cui membri venivano scelti i sacerdoti del nuovo culto e l’imperatore. Iniziò un vasto programma
di monumentalizzazione delle città dell’impero (templi, basiliche, archi onorari, teatri, anfiteatri).
Le parti decorate di questi monumenti avevano fregi legati al rilievo storico, in cui si celebravano le gesta
dell’imperatore o precisi momenti della sua vita pubblica. Il potere di Roma e l’immagine dell’imperatore
erano diffuse anche sulle monete, che costituiscono uno strumento di propaganda importante.
Durante il I secolo d.C. ci fu una crescita economica, caratterizzata da una grande mobilità sociale. Diversi
personaggi di umili origini, ma di forza economica notevole, trovarono occasione di ascendere socialmente.
Si formò così un vasto ceto di nuovi committenti per l’artigianato artistico, legato all’arte plebea. Questa
produzione privata rispondeva alla necessità dei singoli individui di comunicare pubblicamente un’immagine
vincente. Anche ora è decisiva l’analisi dei modi della rappresentazione del sovrano. Se dopo l’adozione da
parte di Augusto, Tiberio era rappresentato su una tazza d’argento nell’atto del trionfo, dopo essere stato
nominato imperatore può essere rappresentato come Giove sulla Spada di Tiberio; la prima immagine
valorizza la virtù di Tiberio mentre nella seconda è rappresentato seduto sul trono con il busto in nudità
eroica che riceve un dono da un principe della famiglia imperiale e ai suoi lati si riconoscono Marte Ultore e
la Vittoria. L’arte suntuaria, cioè la produzione in materiale pregiato destinata alla circolazione tra ceti
abbienti, poteva sperimentare innovazioni rispetto all’arte ufficiale. Nel Cammeo di Francia è celebrato il
novo imperatore alla luce della sua discendenza da Augusto divinizzato.
Nel teatro di Caere è stata rinvenuta una statua colossale che lo raffigura nell’atteggiamento tipico di Giove
Capitolino; il paragone con il dio è rafforzato dalle grandi dimensioni del pezzo, superiori al vero.
Le forme sono legate al gusto classicista ma appaiono elementi legati al linguaggio barocco. Accanto a
questa evoluzione è presente la volontà da parte di sovrani di ricordare il loro stretto legame con Augusto, sia
per legittimare il proprio potere, sia per rafforzare la dinastia. Queste due finalità costituiscono le basi di una
vasta serie di opere ufficiali. L’Ara Pietatis Augustae dedicata nel 44 d.C. per il ritorno di Claudio dalla
Britannia, imita l’Ara Pacis. È chiara la volontà di ricollegarsi ad Augusto.
Anche un rilievo a Ravenna, sempre di età claudia, con la raffigurazione di una serie di membri della
famiglia imperiale, vuole propagandare insieme l’armonia all’interno della famiglia regnante e la
legittimazione della discendenza dinastica. È enorme lo sforzo propagandistico dei successori di Augusto,
per affermare il diritto ereditario del potere e per diffondere in ogni parte dell’impero il volto del sovrano.
Celebre esempio è l’Ara della gens Augusta, di età neroniana, rinvenuta a Cartagine.
Nella stessa ottica di celebrazione del potere imperiale e della successione dinastica sono da interpretare i
numerosi cicli statuari, raffiguranti i membri della famiglia giulio-claudia, che ritroviamo sparsi in ogni parte
dell’impero, all’interno degli edifici pubblici. Spesso erano finanziati da esponenti delle aristocrazie e dei
nuovi ceti dirigenti locali, che volevano guadagnare così la benevolenza dell’imperatore. L’intervento dei
privati nella costruzione di edifici pubblici e di monumenti, corrisponde alla necessità di esprimere
pubblicamente il proprio potere e il proprio status sociale.
La tradizione figurativa romana metteva a disposizione vari temi funzionali a questo scopo; uno dei più
diffusi era quello legato alla rappresentazione di processioni, sacrifici, udienze, spettacoli, tutti momenti
tipici dell’esercizio della magistratura. Costituisce un ottimo esempio la base di Vicomagistri rinvenuta a
Roma, che mostra una processione sacrificale.
L’imitazione dell’arte ufficiale riguarda anche i livelli più alti della committenza. Caso emblematico al di
fuori della capitale è costituito da un noto fregio d’armi di età claudia, in marmo greco, rinvenuto a Torino,
pertinente a un monumento funerario di un membro della classe senatoria. L’adozione di questo tema, in
voga nell’ultima età repubblicana, mostra il legame di questi nuovo ceti dirigenti locali con i vecchi modelli.
Sono già evidenti i questi monumenti i segni di un gusto barocco.
L’arte ufficiale di questo primo periodo imperiale continua a usare il linguaggio classicistico creato in età
augustea, ma tradotto in un formulario superficiale. Ciò dipende dallo sviluppo di un gusto, di una sensibilità
e di esigenze nuovi e diversificati, dovuti anche all’emergere di nuovi ceti dirigenti. Da un lato la
committenza di livello inferiore introduce elementi veristici per l’individuazione personale e una più
didascalica descrizione della scena; dall’altro lato l’eredità ellenistica di un gusto barocco ricomincia a farsi
strada a ogni livello di committenza. Con Nerone le tendenze non conformi al classicismo augusteo trovano
espressioni eclatanti anche se a causa della damnatio memoriae a cui fu sottoposta la sua immagine, non
conosciamo molto del ritratto di questo imperatore; possiamo dire che potenziò gli elementi legati alla
tradizione del ritratto dinastico ellenistico e giunse a pettinarsi con riccioli artificiali, per corrispondere di più
alla tradizione orientale. Coerente con questo modello culturale e ideologico è la costruzione nel cuore di
Roma della Domus Aurea, una reggia caratterizzata da una ricchezza e da una fasto straordinari, nel cui
vestibolo era posta una statua colossale dell’imperatore ritratto come Helios. Una serie di padiglioni erano
costruiti all’interno dell’enorme giardino. Questa immensa struttura, occupando un’area al centro di Roma
antica, inglobava nello spazio privato della dimora imperiale antiche aree sacre, manifestando una
concezione assolutistica del potere. La Domus Aurea per la sua grandiosità, la sua decorazione, la sua
ricchezza e la sua posizione costituiva la materializzazione più evidente del progetto politico di Nerone. Non
a casa venne smembrata dai suoi successori che volevano marcare una politica di discontinuità rispetto a
quella neroniana. Il progetto politico d Nerone contrasta molto con quello augusteo, in quanto ispirato al
modello dei dinasti orientali, il cui potere assoluto veniva ricollegato alla sfera divina, così che gli stessi
sovrani erano adorati come divinità. La decorazione parietale della Domus Aurea riveste un ruolo
fondamentale nella storia dell’arte antica, perche costituisce la documentazione del linguaggio decorativo
detto IV stile. Si interrompe la razionale organizzazione parietale del III stile che viene sostituita da quinte
architettoniche, scene figurate, riproduzioni di statue e rilievi, in un trionfo del gusto barocco. Si recupera
l’idea, caratteristica del II stile, dello sfondamento prospettico delle pareti. Nel IV secolo lo sfondamento
prospettico è finalizzato a dare vita a una serie di quinte fantastiche, che non hanno nulla a che fare con la
realtà. Il tutto è tenuto insieme da un’abbondanza di piccoli e vari elementi decorativi. La decorazione
pittorica di IV stile corrisponde alla necessità delle classi dirigenti di esprimere pubblicamente il proprio
status; trovano spesso posto scene di vita quotidiana, più o meno connessi con il committente o la
descrizione di avvenimenti della vita pubblica e religiosa. È una fenomeno molto importante perché porta a
maturazione e a diffusione un linguaggio non conforme alla tradizione classica ed ellenistica, legata a una
concezione naturalistica, preferendo espressioni più immediate, realizzate mediante espedienti di tipo
simbolico. Questo linguaggio è stato definito da Bianchi Bandinelli “plebeo” o “popolare” e connesso sia ai
ceti medi della capitale sia alle aristocrazie locali non acculturate, funzionale alla necessità di porre enfasi
immediata e assoluta sul committente; verrà sentito sempre più consono all’espressione della nuova idea di
potere definita sia partire dal II secolo d.C. Caso esemplare è costituito a Roma dal sepolcro di Eurisace, un
fornaio la cui impresa lavorava per lo Stato e che ebbe un ruolo pubblico come aiutante di un magistrato. Il
monumentale complesso funerario risponde bene all’esigenza di apparire di un individuo di umili origini, che
nell’ostentazione della ricchezza accumulata e della piccola carica ricoperta riconosceva il proprio successo.
Il committente fa però rappresentare le varie tappe del processo di panificazione, eseguito da schiavi sotto il
controllo del personaggio in toga, cioè lo stesso defunto. Il linguaggio formale sommario, l’intento
didascalico, l’enfasi dl protagonista, il tema, ne fanno una tipica opera di arte plebea.
Altro monumento esemplare è il sepolcro di Lusius Storax, a Chieti (prima metà del I secolo d.C.), dove
vediamo celebrato il successo di un magistrato locale, che unisce in una sola scena diversi momenti della
magistratura. Lusius Storax veniva rappresentato secondo il principio delle proporzioni gerarchiche più alto
degli altri personaggi, mentre la composizione è organizzata secondo una finta visione prospettica che
consente al protagonista di apparire in primo piano e al centro della scena. La rigida frontalità innaturale con
cui è rappresentato il protagonista, gli conferisce una maggiore autorità.
Le lastre polifoniche sono una categoria monumentale ricollegabile a questi tipi; sono poste nei monumenti
funerari o ricavate su stele. In questi pannelli erano posti i busti-ritratto dei defunti. È il modo di apparire di
un ceto di modesto benessere, che sente la necessità di lasciare un segno pubblico della propria presenza.
L’operazione politica di Nerone si concluse con il fallimento del tentativo di trasformare lo Stato in una
monarchia di stampo orientale. I successori si affrettarono a cancellare le tracce di questo progetto.
Il livello più alto di questa azione fu la costruzione dell’anfiteatro Flavio, il Colosseo; venne prosciugato il
grande lago dei giardini della residenza neroniana per innalzarvi l’ampio edificio destinato a cacce, scontri
gladiatori e battaglie navali. La dinastia flavia subentra a quella giulio-claudia, voleva rinnovare l’idea
augustea di un imperatore preoccupato del benessere del suo popolo e ciò provocò una grande consenso
attorno la figura del sovrano, dopo la terribile crisi lasciata da Nerone. Sempre per donare ai cittadini spazi
per il piacere pubblico viene costruito il grande complesso termale da parte di Tito. Il segno di maggiore
discontinuità rispetto al regno di Nerone è la creazione da parete di Vespasiano del Foro della Pace o
templum Pacis, un complesso sacro edificato su un asse perpendicolare al Foro di Augusto e subito accanto a
esso. La dedica della restaurata pax Augusta vuole esprimere la riaffermazione di una politica legata alla
tradizione augustea. I tratti imperiali della dinastia flavia si ispirano a un linguaggi classicistico; si adattano
di più ai tratti rudi sia di Vespasiano che di Tito, mentre modi più sfumati vengono usati per le donne della
famiglia imperiale. Si stacca da questa tradizione la testa della statua colossale da Efeso di Domiziano in cui
sono evidenti le deformazioni dovute alla dimensione e al gusto barocco di tradizione ellenistica.
L’architettura domizianea rappresentò una tappa di sviluppo importante nell’arte di costruire dei romani.
Ricordiamo la costruzione del Foro Transitorio; ancora più importante è la costruzione sul Palatino della
Domus Augustana. Domiziano così edificò una nuova dimora per il sovrano che unita a quelle di Augusto e
Tiberio finiva ed estendersi su tutti il Palatino. Il colle viene occupato completamente dal Palatium, la
residenza imperiale. Il complesso prevedeva un nucleo privato accanto a quello destinato alle attività di
rappresentanza, che per lusso, dimensione e articolazione spaziale rispondeva pienamente all’idea
assolutistica del potere di Domiziano. Meno evidenti appaiono le innovazioni nel linguaggi scultoreo.
L’opera più significativa del periodo domizianeo è costituita dai grandi frammenti noti come rilievi del
palazzo della Cancelleria; le processioni su fondo neutro sono segnate da un classicismo ormai spento che si
ispira all’Ara Pacis. La composizione e le proporzioni mettono in evidenza la figura di Domiziano, la cui
testa venne rilavorata per essere trasformata nel ritratto di Nerva. Domiziano è l’ultimo dei Flavi a lasciare
un segno per noi visibile nello sviluppo dell’arte e dell’architettura romane. Evidente è il carattere sempre
più freddo e distaccato del linguaggio classicistico, che non riesce a contenere più le spinte verso espressioni
più libere, eredi della tradizione ellenistica e di modi espressionisti usati nell’arte popolare.
8. L’età di Traiano e degli Antonini
Il II secolo dell’impero è il momento in cui il dominio romano raggiunge la sua estensione più ampia e
appare anche più solido. Le grandi aristocrazie delle provincie hanno raggiunto una piena integrazione con
quelle italiche. Durante il II secolo i contributi delle provincie pesano sempre di più sull’elaborazione nella
capitale di un nuovo linguaggio artistico e di una nuova tradizione architettonica. Non è un caso che il II
secolo si apra con un imperatore originario della Spagna.
Traiano è l’ultimo sovrano a intervenire su vasta scala con un progetto urbanistico e architettonico colossale
nel cuore di Roma, con la costruzione di un nuovo Foro e del grande complesso limitrofo dei Mercati.
È importante valutare i modi di rappresentazione dell’immagine del principe.
Nel caso di Traiano lui è pronto da un lato ad assumere le forme di un potere aperto, attento alla
collaborazione con il ceto senatorio ed equestre e dall’altro ad affermare un potere sempre più autoritario.
Possiamo vedere la prima caratterizzazione nel ritratto concepito forse per la celebrazione del decennale del
suo regno (108 d.C.), dove è ritratto a torso nudo, coperto sulla spalla sinistra dal paludamentum e
attraversato dal balteo della spada; immagine che perfettamente si addice alle statue achillee. Questo fatto
insieme al classicismo pacato, richiama la tradizione giulio-claudia e quindi una visione del potere
rassicurante in quanto lontana da tentazioni di tipo teocratico. L’espressione concentrata esprime la volontà
di un comandante deciso ma giusto.
Stesso discorso si può fare per il modo in cui è rappresentato l’imperatore sulla colonna Traiana, anche se
essa fa parte di una realtà più grande (il foro Ulpio), che corrisponde al contrario ad un’idea assolutistica del
potere. Il rilievo della colonna evoca le vicende delle guerre daciche; ci troviamo in un rilievo storico-
narrativo legato quindi con la cerimonia e i significati del trionfo. Non è un caso infatti che la Vittoria sia
l’unica figura di altezza pari a quella della fascia contenente il fregio, disposta a spirale sulla colonna e la
stessa Vittoria incide sullo scudo le gesta vittoriose dell’imperatore. Il fregio rappresenta momenti di vita
militare e l’attività civile delle legioni, come la costruzione di ponti e strade.
Parte consistente delle scene è riservata alle attività del sovrano. Il modo di trattazione delle singole figure è
classicistico ma vengono usati espedienti di tipo simbolico per mettere in risalto la figura dell’imperatore;
perciò se alla maniera classicista si tende a lasciare spazio vuoto intorno al sovrano per indicarne la presenza,
inserendo del simbolismo lo si rappresenta con proporzioni aumentate e in posizione frontale. In questa
maniere si crea un nuovo linguaggio formale, che fonde in maniera equilibrata e originale la tradizione
classicista, cioè l’arte colta e la tradizione simbolica, cioè l’arte plebea. Quest’ultima viene usata anche nelle
scene di massa per creare la prospettiva ribaltate, ossia l’eliminazione del vincolo delle proporzioni
naturalistiche (cinte murarie rappresentate in miniatura). Il linguaggio classicistico quindi assorbe in se
modelli iconografici di tradizione ellenistica, come le scene di battaglia.
L’attenzione a dare risalto all’imperatore è evidente ma mai ossessiva; questo è rappresentato come un
comandante vittorioso, eroico, giusto, deciso e mosso da pietà verso per i vinti. Importante è anche la
rappresentazione della funzione civilizzatrice dell’esercito, impegnato nella costruzione di opere pubbliche.
Dal progetto del Foro invece emerge un profilo di Traiano molto diverso. La colonna è posta
immediatamente al di là dell’accesso monumentale al Foro; chi entrava vedeva il lato della colonna con al
centro la grande immagine della Vittoria intenta a scrivere sullo scudo. Al di là della colonna si accedeva
all’immensa basilica Ulpia, attraverso la quale si transitava nell’enorme piazza, nel cui punto conclusivo
c’era una sala circondata da un portico, destinata all’esposizione di parte del bottino mostrato durante il
trionfo. La piazza avvolgeva la grande statua equestre bronzea di Traiano, posta su un alto podio.
il basamento della colonna connesso al tema del trionfo, era collegato alle statue di Daci prigionieri che
erano poste lungo i portici che circondavano la piazza e sulle due facciate monumentali del complesso.
La funzione essenziale della colonna è quella di essere il segnacolo funerario della tomba dell’imperatore,
contenuta dal grande podio alla base della colonna stessa. Egli inserendo la sua sepoltura all’interno del
pomerio sottrae una prerogativa esclusiva del Senato, a cui solo spettava la concessione di tale privilegio,
esaltando perciò al massimo la propria figura. La mancanza del tempio nel Foro rende lo spazio attorno alla
colonna l’unico sacralizzato dell’intero complesso.
Queste scelte di stampo assolutistico svelano l’aspetto di un’ideologia fortemente autoritaria in Traiano.
Valore esaltato nel Foro era quello della sapientia, ossia la cultura, visibile nella presenza delle biblioteche e
nella Vittoria scrivente, che aveva un ruolo fondamentale nella designazione dello status.
L’arte ufficiale è stata segnata dall’attività civile dell’imperatore, impegnato non solo a rendere più sicuri i
confini dell’impero, ma a prendere provvedimenti per evitare la crisi economica che dava i primi segnali.
Infatti nell’arco di Benevento, alle rappresentazioni militari si affianca il ricordo della deduzione di colonie e
l’istituzione degli alimenta. Fanno riferimento a questi provvedimenti economici anche i Plutei di Traiano,
cioè una coppia di lastre rinvenute nel Foro Romano; su una è raffigurata una adlocutio imperiale relativa
all’istituzione degli alimenta, mentre sull’altra è rappresentata la distruzione col fuoco dei registri contenenti
le indicazioni dei debiti dei cittadini verso lo stato.
Con Adriano assistiamo a decisi cambiamenti nella produzione artistica ufficiale. Il famoso ritratto
dell’imperatore assegnato al momento della sua ascesa al trono (117 d.C.) è significativo; esso riprende il
tema delle statue achillee. Adriano introduce il motivo della barba, che rinvia all’uso dei filosofi greci e
quindi a un costume orientale. Non si tratta solo dell’espressione del filellenismo adrianeo, ma del recupero
del concetto di sapientia. Il motivo della barba funziona da elemento di contrasto chiaroscurale con le
superfici lisce e luminose del volto. In una composizione classicista si introduce così un’idea di esuberanza
barocca.
Altra importante innovazione, sempre legata ai modelli orientali, è costituita dagli otto tondi rimpiegati
nell’arco di Costantino e assegnabili forse a un edificio connesso al culto di Antinoo (130-138 d.C.). Tutti i
tondi sono legati al tema della caccia, rappresentata sia nei suoi momenti topici del confronto con la preda,
sia nei suoi aspetti cerimoniali, con la scena della partenza o quelle di un sacrificio. Dal punto di vista
ideologico e propagandistico si tratta di un rinvio a Alessandro Magno e in generale a un modello di
sovranità imperiale di stampo orientale, in cui l’eroismo del principe la sua esaltazione vengono espressi
mediante un’attività privata. Coerente con la natura del tema risulta il linguaggio adottato che usa schemi
iconografici, sintetica ambientazione paesaggistica e varietà compositiva di derivazione ellenistica.
Secondo questa prospettiva vanno lette le numerose raffigurazioni di Antinoo che, morto prematuramente,
venne eroizzato, divenendo destinatario di un culto personale. Anche l’eroizzazione di un individuo inerente
in maniera esclusiva al privato del principe, e quindi l’esaltazione di questa sfera, rinviano a una concezione
della sovranità legata a modelli orientali. Sempre all’Oriente e alla Grecia bisogna guardare per comprendere
l’enorme complesso di villa Adriana a Tivoli; questa può essere letta come il compimento del processo di
rielaborazione romana del modello ideale costituito dalla reggia ellenistica, sviluppandosi come una fantasia
barocca, un gioco intellettuale, una successione di quadri teatrali, che sfrutta al massimo l’idea di complesso
sparso, costituito da singoli padiglioni in cui la volontà di sorprendere con soluzioni inaspettate e di rievocare
luoghi reali, ma mitizzati, costituisce il filo conduttore.
Gli elementi che caratterizzano l’architettura adrianea sono infatti: fantasia architettonica, raffinata ma
bizzarra, l’arditezza ingegneristica e la profonda rielaborazione di elemento orientali.
L’interesse di Adriano per l’Oriente spinge l’imperatore a lunghi soggiorni nelle provincie orientali
dell’impero; la sua presenza comportò anche numerosi interventi architettonici e urbanistici, tra cui l’arco
fatto costruire ad Atene.
Rispetto a Traiano con Adriano troviamo un uso meno accentuato nell’arte ufficiale di elementi legati al
linguaggio simbolico. È un periodo in cui il classicismo diviene il linguaggio esclusivo dell’arte di diretta
emanazione imperiale, anche se nel periodo successivo a quello di Ariano questa caratteristica viene meno.
Esemplare di ciò è la base della colonna Antonina, fatta erigere da Marco Aurelio e Lucio Vero; qui
troviamo caratteristiche compositive tipiche del filone simbolico. Oltre alle diverse scale proporzionali usate
per le singole figure, risulta evidente il carattere didascalico e l’immediatezza espressiva della coppia
imperiale, posta vicino al corpo del grande Genio alato. Carattere fortemente simbolico è evidente per i
rilievi poste sulle facciate laterali. La prospettiva a “volo di uccello” ci mostra il concetto spaziale di lontano
e vicino in termini solo bidimensionali, ossia alto e basso, insieme alla scelta del dividere nello spazio le due
decursiones dei soldati che sono distinte nel tempo. Accanto al soggetto allegorico, trattato secondo una
concezione classicista, si affiancano sui due lati due pannelli con una rappresentazione di tipo narrativo,
perciò connessa a modi espressivi di tipo simbolico.
Il ritratto di Adriano esercita un’influenza decisiva su quelli degli altri imperatori del II secolo. Infatti con
Marco Aurelio e Commodo, il tema del contrasto tra parti lisce e luminose del volto e quelle animate da
chiaroscuro della barba e dei capelli già presente in Adriano, viene ripreso e accentuato; la barba e i capelli
sempre più lunghi diventano una caratteristica dominante, che vuole trasmettere d’idea di forza e vigore del
sovrano. Commodo unisce questa energia del modellato al soggetto, facendosi ritrarre come Ercole.
Per gli imperatori della seconda metà del secolo le figure di Traiano e Adriano sono il modello migliore del
concetti di sovrano ideale. La loro imitazione, in determinati atteggiamenti, costituisce un importante
elemento di propaganda imperiale. In questo senso si può leggere la Colonna Aureliana, innalzata a Campo
Marzio, presso il tempio di Marco Aurelio e Faustina (193 d.C.), che richiama esplicitamente la Colonna
Traiana, anche nel soggetto costituito dalle campagne militari imperiali e nella divisione in due parti tramite
una grande figura di Vittoria.
Il linguaggio formale rispecchia i cambiamenti profondi, in cui tramite il vivo pittoricismo, ottenuto con un
rilievo molto mosso e un forte chiaroscuro, si cerca un effetto espressionistico a scapito del senso
naturalistico e della fedeltà all’organicità della forma. Questi ultimi due aspetti sono gli elementi
fondamentali per il successivo sviluppo dell’arte tardoantica.
Anche dal punto di vista della committenza il II secolo vede dei cambiamenti, tra cui la trasformazione delle
forme dell’abitare, che ebbe ripercussioni sulla decorazione pittorica. Assistiamo alla sparizione della domus
ad atrio che viene sostituita da complessi sviluppati in altezza composti da appartamenti, caratterizzati da
minor lusso esibito. Si allarga così il numero di coloro che possono permettersi un’abitazione di un certo
livello e di una decorazione pittorica, ma che non rivestono ruoli di particolare evidenza nella società; si
abbassa la conflittualità politica legata all’ostentazione della propria domus.
Durante il II secolo si delinea la tendenza alla perdita dell’organicità e dell’articolazione strutturale delle
architetture dipinte. La parete costituisce solo il supporto di una decorazione. I singoli elementi architettonici
sono sottoposti a un processo di semplificazione e di geometrizzazione tale da perdere la loro individualità.
Rimane viva la tendenza alla tripartizione, orizzontale e verticale, con l’enfasi maggior nella parte centrale.
Dalla seconda metà del secolo nelle scene figurate l’interesse passa a una lettura immediata e a un maggiore
coinvolgimento emotivo dello spettatore che spinge ad allontanarsi dai modi del naturalismo classicista,
sostituiti da un pittoricismo meno attento all’organicità della forma. Ne vediamo un chiaro esempio in un
quadretto delle terme dei una casa di via dello Statuto a Roma. Le singole figure sono rappresentate con
rapide pennellate, che no si fermano ad analizzare l’organicità di ogni elemento, ma suggeriscono con
immediatezza un’azione e un’atmosfera.
Testimonianze importanti derivano dalla sfera funeraria, grazie alle decorazioni dipinte di tombe ipogee. Un
esempio è la tomba ipogea di Caivano, vicino Napoli, di età traianea. Rappresenta bene il cambiamento in
senso espressionista dei modi pittorici, una pittura rupestre di via Portuense a Roma. Alla disposizione
paratattica e all’uso di diverse scale di proporzioni, espedienti dell’arte di tipo simbolico, si affianca la
tendenza a definire in maniera rapida e sintetica le figure, sentite soprattutto come macchie di colore,
nell’intento di suggerire con evidenza immediata le azioni e le atmosfere, allo scopo in questo caso di fornire
un’immagine efficace e suggestiva della realtà ultraterrena.
Un esempio diverso, che vuole aderire ancora a una tradizione colta, è la tomba dei Pancrazi, a Roma, di età
adrianea; per quanto semplificate, vediamo ancora in atto l’idea della trasformazione architettonica della
parete, nonché una concezione delle singole figure realizzate perlopiù con stucco policromo, che sente viva
la necessità dell’intento naturalistico.
Altro mutamento importante avviene in ambito funerario, con la diffusione della sepoltura a inumazione; con
questa si sviluppa un’intensa produzione di sarcofagi che possiedono caratteristiche peculiari. Attraverso
questa produzione, frutto di una committenza privata, è possibile seguire non solo l’evoluzione del
linguaggio della scultura, ma anche la varietà dei soggetti selezionati. A temi inerenti a aspetti escatologici si
affiancano soggetti che vogliono esaltare l’estrazione sociale del defunto. Il modello elevato e il livello
medio alto della committenza favoriscono la continuità della tradizione classicista, che predilige i modi
patetici nell’energia e vivacità della composizione e un forte pittoricismo, reso tramite un rilievo fortemente
chiaroscurato, come mostra il sarcofago Amendola (prima metà II secolo). Presenta la tendenza a una
semplificazione del modellato del sarcofago dionisiaco, proveniente da Roma e databile ella seconda metà
del secolo. Il primo, che rappresenta la battaglia contro i barbari, appare legato all’esaltazione del defunto; il
secondo invece sembra esprimere la speranza di una vita oltre la morte.
Non appena si abbandona il mondo del mito o quello legato a una tradizione dell’arte colorate (scene di
battaglie contro i barbari) i modi simbolici della tradizione plebea riemergono, come nel caso del rilievo con
scene del circo da Foligno. Figure tozze e rese sinteticamente tramite l’accostamento di masse
geometrizzanti, evocanti le varie parti del corpo umano, sono disposte su due file parallele; le proporzioni
non naturalistiche sono pensate in funzione di una lettura guidata del rilievo.
9. Città e cultura figurativa delle province dell’impero
Nel II scolo sale al trono la grande aristocrazia provinciale; è questo un segno del successo dell’ideologia di
base dell’impero romano, che ha saputo allargarsi, assumendo al proprio interno, le classi dirigenti di tutte le
regioni annesse. Questo fatto costituisce la manifestazione del risultato positivo della romanizzazione, cioè
della diffusione nei luoghi conquistati dei modi di vita, dei valori, dell’ideologia e dell’arte, alla base della
società romana. Il fenomeno della romanizzazione adottava come strumento l’urbanizzazione, quindi la
costruzione di città conformate alla mentalità romana, dal punto di vista topografico, urbanistico,
arcitettonico e del decoro artistico, in particolare nelle province occidentali e settentrionali. L’assunzione dei
nuovi modi di vita da parte degli esponenti dell’aristocrazia locale costituiva il presupposto per la loro ascesa
fino al Senato di Roma.
Diverso era il fenomeno per le province orientali; Roma, pur avendo assunto molto da la cultura greca e
orientale, volle lasciare segni evidenti del proprio dominio, tramite rifondazioni di città, costruzione di edifici
pubblici e di produzione artistica. Nel momento della conquista e nelle fasi subito successive, la forza
militare e la violenza costituivano l’aspetto principale; con la stabilizzazione forzata subentrava il progetto di
urbanizzazione. Il risultato fu la formazione dei una classe dirigente transnazionale, che pur conservando un
legame profondo con la cultura d’origine, si riconosceva in valori, modi di vita, credenze, gusti comuni, e
che finì con il costituire un vero e proprio linguaggio diffuso in ogni parte dell’impero e che costituì uno
strumento ottimo della romanizzazione, diffondendo immagini, storie, miti, valori, ideologie, credenze e
contribuendo così in maniera fondamentale alla costruzione del nuovo e diffuso immaginario collettivo.
La produzione artistica è uno degli indicatori più evidenti della formazione di quella cultura transnazionale,
tipica delle più alte classi dirigenti; l’arte è uno dei mezzi migliori nelle mani dell’aristocrazia imperiale per
esprimere rango, ricchezza e cultura.
Sbagliato pensare che questo fenomeno di diffusione di abitudini, valori e modi di vita procedesse in una
sola direzione, cioè dal centro del potere, Roma, verso le province; infatti entrambi le parti coinvolte
mutavano, in maniera e misura diversa, in conseguenza al contatto con un’altra cultura. L’affermazione a
partire dal II secolo di una cultura transnazionale comune è la dimostrazione di questo, dal momento che non
coincide né con la tradizione romana, né con quella delle altre province, ma nasce dall’incontro di diverse
identità.
C’è una profonda differenza tra la parte occidentale e quella orientale dell’impero. La parte orientale ha
dietro di sé una civiltà urbana secolare e una tradizione culturale estremamente raffinata, che ha svolto un
ruolo decisivo anche nella formazione della cultura romana. L’inclinazione classicista trova in queste regioni
una sensibilità più acuta e capace di aderire nella sostanza ai modelli classici ed ellenistici e non
semplicemente ridurli a una questione esteriore.
Diversamente la parte occidentale e settentrionale dell’impero coltiva una tradizione artistica locale legata a
linguaggi espressivi di tipo simbolico, che nel tempo sono venuti a contatto con l’arte greca, classica ed
ellenistica, ma assumendola al proprio interno in maniera di volta in volta sempre diversa.
Dell’arte provinciale della parte occidentale bisogna considerare gli interventi urbanistici e architettonici, che
sono stati i veicoli primari della presenza romana, in un territorio sostanzialmente privo di città;
l’edificazione di fori, terme e anfiteatri, costituisce la premessa alla romanizzazione. Nell’architettura
pubblica secondo la tradizione romana si accentuano gli aspetti di monumentalità e ricchezza decorativa,
nella consapevolezza che ciò avrebbe espresso l’dea della forza di Roma. Sulla scultura c’è legame con l’arte
plebea per quanto riguarda la preferenza delle forme simboliche e dei linguaggi usati. La ritrattistica locale,
pur recependo l’influenza del ritratto ellenistico, predilige l’aderenza fisionomica, la messa in evidenza del
rango del defunto, attraverso l’abbigliamento o particolari attributi, e del culto locale, attraverso acconciature
o elementi del vestiario. Maggiore adesione ai modelli classicisti appare nei soggetti mitologici, per quanto,
nelle regioni lontane da Roma e dalle principali arterie di comunicazione, anche soggetti e schemi derivanti
dalla tradizione classicista vengono trattati in maniera riduttiva.
Hanno successo in ambito funerario le scene inerenti all’attività del defunto, che vengono messe in evidenza
secondo un’ottica di rafforzamento simbolico del soggetto, con intento didascalico, in quanto sentite come
dichiarazioni di rango. Per la donna è la scena della toeletta, cioè l’evocazione della sua bellezza e quindi del
suo potere seduttivo, che la rende ottima sposa e madre, ad essere rappresentati.
Discorso a parte va fatto per le province dell’Africa; in questo vasto territorio assistiamo a una vasta attività
urbanistica, con la fondazione di numerosi municipi e colonie, o in particolare in Egitto a interventi
all’interno di città già esistenti. La committenza locale finanzia non solo programmi di monumentalizzazione
urbana, ma dà vita anche a un’edilizia urbana residenziale di grande rilievo, per dimensioni e per qualità
della decorazione. La produzione musiva africana dal II secolo d.C. assume una sua fisionomia ben definita,
in cui la tradizione ellenistica viene reinterpretata secondo canoni di un vivo pittoricismo e di una forte
tendenza all’espressionismo. La produzione africana, che abbraccia tutti i temi diffusi nell’impero, si
distingue per l’originalità di comporre le scene sui vasti tappeti musivi, prediligendo una narrazione
continua, disposta su fasce sovrapposte.
La tradizione delle province occidentali si caratterizza per una composizione centrifuga, nella quale la scena
principale è circondata da scene rivolte ognuna verso il proprio lato. Si distingue l’esperienza artistica
dell’Egitto, la cui forte tradizione, prima legata alla cultura egizia vera e propria e poi a quella ellenistica,
pesa sugli esiti di età romana, sia per il linguaggio formale adottato, sia per i soggetti prescelti. Anche nelle
province africane troviamo attestazioni di arte popolare legata a una committenza di livello sociale più basso,
che persegue i modi più immediati ed elementari per l’esaltazione del committente.
Per le province orientali il problema è di altra natura. In questi territori rimane forte la tradizione culturale e
la pratica effettiva di un linguaggio formale strutturato secondo l’esperienza ellenistica. Questa sensibilità
formale permane nella produzione di questi territori, anche nel momento in cui si vira verso una resa
barocca. Possono apparire ancora pienamente ellenistici i mosaici che decoravano le ricche abitazioni di
Antiochia, per la complessità della composizione, per l’ambientazione paesistica prospettica, per un
modellato fortemente plastico, il tutto realizzato con un gusto pittorico sostenuto.
Di grande interesse è la ricca produzione architettonica in cui compare l’influenza della tradizione romana
occidentale. Assistiamo alla fusione di diverse esperienze, che producono sintesi in cui modelli romani sono
rivisitati con sensibilità orientale o si reinterpretano modelli orientali alla luce delle istanze romane, come
mostra il monumento di Filopappo ad Atene.
Ci offre la testimonianza di un’evoluzione diretta dal tardo ellenismo la biblioteca di Celso Efeso, con la sua
facciata articolata in uno spartito architettonico che si ricollega a una fronte scena teatrale.
Il gigantismo monumentale caratterizza una parte dell’architettura pubblica delle province orientali, in cui
l’enfasi sulle dimensioni contribuisce a segnalare la ricchezza e l’importanza dell’intervento.
Assistiamo a un costante spostarsi tra la produzione ufficiale, da un lato, che guarda in maniera ferma alla
tradizione del classicismo, e quella privata, più sensibile e vicina, a un linguaggio legato all’uso del simbolo.
Questo contribuisce la formarsi di quel linguaggio transnazionale, che diviene l’espressione preferenziale
della grande aristocrazia, ma che si riversa anche sulle committenze minori e che si accompagna al grande
cambiamento della tarda antichità.
10. I cambiamenti del III secolo d.C.
I cambiamenti del gusto estetico e del linguaggio espressivo dell’arte, bisogna analizzarli alla luce delle
consonanze riscontrabili con l’evoluzione della società.
Il III secolo è per il mondo romano un periodo di profonda crisi, che si risolve in cambiamenti strutturali, non
solo nell’apparato istituzionale e nei rapporti tra le diverse classi sociali, ma anche nell’ambito culturale,
ideologico, religioso e artistico. Le mutazioni in ogni settore sono così evidenti, che si considera questo
periodo come una fase di passaggio, al cui termine inizierà l’età tardoantica.
Anche nel II secolo c’erano stati segnali di crisi, ma la forza dell’impero era tale da riuscire a controllare i
numerosi problemi, al punto che Traiano, Adriano e Marco Aurelio furono considerati già in epoca antica
sovrani esemplari. Nel III secolo invece furono minate le basi stesse dell’impero, che vide un lungo periodo
di instabilità politica e istituzionale, durante il quale si succedettero numerosi sovrani, ascesi al potere con la
forza. I grandi potentati economici e militari delle province misero in crisi l’unità dell’impero. Si giunse a
Diocleziano a fine secolo, che istituzionalizzò la divisione dell’impero in quattro parti.
La precarietà istituzionale ed economica, da cui derivò sempre più concentrazione di ricchezza nelle mani di
pochi, si accompagnò nei ceti più umili a una diffusa sensazione di insicurezza e di paura, che spiega il
diffondersi di varie religioni e credenze orientali, dirette a garantire la salvezza ultraterrena del singolo
individuo. I momenti di crisi si accompagnano a una diffusione degli aspetti irrazionali e emotivi della natura
umana. Per l’arte non si parla di cambiamento improvviso, ma di una vasta affermazione di esigenze e modi
espressivi già presenti nell’arte ufficiale. Il classicismo non è più in grado di dare forma a esigenze
espressive, che ora reclamano modi caratterizzati da un’efficacia più immediata e da una capacità
comunicativa più viva, che sappia evocare immediatamente passioni e emozioni intense.
Partendo dai ritratti imperiali, possiamo misurare le differenti scelte formali degli imperatori del III secolo
rispetto a quelli delle età precedenti, partendo dal volto di Decio (249-251 d.C.). In questa opera si punta su
effetti espressionistici, per esprimere un’intensità interiore quasi drammatica.
Assistiamo a un progressivo allontanamento dall’equilibrio che il linguaggio classicista assegnava al volto
del sovrano, sostituito da una volontà di espressione di un’energia immediata e istintiva, non sottoposta a
razionalità. Avviene un abbandono della concezione naturalistica nelle scene complesse, a favore
dell’introduzione di modi espressivi di tipo simbolico.
L’intensa drammaticità assegnata al viso dell’imperatore, che doveva suggestionare lo spettatore, sente la
sobrietà classicista come un vincolo che limita l’efficacia del messaggio, per cui si tendono a valorizzare i
modi espressionisti e simbolici.
A un’idea del potere vincolata a una concezione terrena e razionale, si sostituisce l’immagine di un sovrano
sempre più legato alla sfera del soprannaturale. Esempio è il rilievo con Settimo Severo e la moglie Giulia
Domna sulla porta degli Argentari, a Roma (204 d.C.), in cui le due figure appaiono in rigida e innaturale
frontalità, lontane da una realistica resa volumetrica.
Troviamo queste caratteristiche anche in un pannello con la processione trionfale nell’arco quadrifronte dello
stesso imperatore a Leptis Magna, dove c’è la rappresentazione frontale dell’imperatore e dei suoi figli,
rigida e innaturale, che serve alla creazione di un rapporto emotivo diretto e immediato tra il sovrano con i
suoi figli, distinti dagli altri personaggi, ed il pubblico. Questa esigenza è così forte da annullare ogni ricerca
di spazialità di tipo naturalistico. Ulteriore enfasi ricevono il sovrano e i suoi figli dalle dimensioni
aumentate rispetto agli altri protagonisti della raffigurazione, secondo il meccanismo delle proporzioni
gerarchiche. Il tutto appare eseguito in maniera disegnativa, con solchi netti e profondi, a svantaggio di una
più morbida e realistica resa volumetrica.
Troviamo ancora le stesse caratteristiche nel linguaggio usato nei pannelli dell’arco di Settimo Severo nel
Foro Romano (203 d.C.), a tre fornici, per celebrare le campagne partiche dell’imperatore. La decorazione
accessoria è svolta secondo i canoni del classicismo, mentre i quattro pannelli sui fornici minori fanno uso di
quei modi espressivi di tipo simbolico, in cui si punta sull’immediata chiarezza di gesti e situazioni.
Anche nelle opere di carattere non ufficiale ci si distanzia dal classicismo per avvicinarsi a una resa
espressionista immediata e potente. Troviamo alcuni grandi mosaici con scene di atleti. Il tema, usato nelle
età precedenti per celebrare in un’ottica classicista l’ideale della corrispondenza tra l’eccellenza fisica e
quella intellettuale, viene trasformato in un’espressione di forte fisicità, attraverso l’enfasi su masse
muscolari e la rappresentazione dei volti degli atleti, che rivelano psicologie brutali e violente.
La tradizione classica non cessa di esistere, ma perde il predominio della produzione artistica,
riproponendosi a ondate periodiche. Un esempio è il sarcofago Ludovisi, nel quale l’attenzione del tutto
classicista per l’analisi delle singole figure e la ricercatezza dell’articolazione, sorveglia la composizione per
dare il massimo rilievo alla figura del defunto in armi, posto nella parte centrale superiore della fronte, ma
nello stesso tempo la traduce in un insieme agitato, che nega una spazialità di tipo naturalistico, sfruttando
una prospettiva ribaltata che colloca le figure nello spazio mediante una scansione per fasce parallele dal
basso verso l’alto. Il forte chiaroscuro, il diffuso uso del trapano, il carattere frenetico delle superfici,
esprimono l’agitazione profonda, dando vita ad un’opera in cui la forma classicista assume elementi propri
dell’espressione simbolica.
Altro esempio dell’uso della tradizione classicista in funzione delle nuove istanze appare in un mosaico da
Cherchell, in Algeria (metà III secolo d.C.), che raffigura una serie di lavori agricoli. Il vivo naturalismo e la
sapienza che attinge alla tradizione dell’arte ellenistica usano un brillante pittoricismo, che punta
sull’evidenza dei gesti, comunicando con intensità immediata, la fatica e il vigore impegnato nel lavoro dei
campi. L’opera appartiene alla produzione di tappeti musivi pavimentali, con diffuse e complesse scene
figurate, che prende avvio nel corso del secolo stesso. Queste sono opere riferibili all’ambito privato,
destinate principalmente alla decorazione di domus e villae, attraverso le quali la classe dirigente costruiva la
propria immagine sociale.
Anche la pittura svolgeva una funzione simile, sia nelle abitazioni sia in ambito funerario.
Nel III secolo d.C. continua quel fenomeno di astrazione dell’articolazione architettonica dipinta sulla parete,
che si trasforma in un sistema di semplici linee, funzionali alla suddivisione dello spazio della decorazione,
come appare nella Villa Piccola sotto San Sebastiano a Roma. Si assiste alla nascita di grandi scene unitarie,
legate a temi destinati alla celebrazione del committente, sia attraverso l’espressione diretta di potere e di
ricchezza, sia mediante espliciti paragoni col mondo del mito.
Cominciamo a trovare, in maniera sempre più diffusa in ambito funerario e all’interno di spazi per il culto,
scene a carattere religioso inerenti religioni salvifiche di origine orientale, come accade per la decorazione
del mitreo Barberini a Roma.
Anche per la pittura riconosciamo le stesse evoluzioni già descritte. L’esigenze di un’espressione che in
primo luogo colpisca emotivamente lo spettatore e insieme la concezione del potere privato in termini
irrazionali, spinge all’abbandono della concezione naturalistica e delle forme di tradizione ellenistica, per
assumere un linguaggio che usa sempre di più soluzioni di tipo simbolico. Si viene abbandonando una resa di
tipo pittorico, per impiegare una definizione disegnativa e sempre più sommaria delle figure, ottenendo un
vivo effetto espressionista.
Il secolo si chiude con la rifondazione dello Stato mediante la tetrarchia per opera di Diocleziano. Anche il
ritratto di questo imperatore è concepito secondo una prospettiva espressionista, teso a impressionare una
psicologia tormentata e profonda.
La costituzione di un enorme palazzo a Spalato da parte di Diocleziano, una volta abbandonato il trono,
appare emblematica della nascita di grandi potentati individuali autonomi e della concezione assolutistica del
potere pubblico e privato. L’edificio si delinea come residenza fortificata di un sovrano assoluto.
Tutta l’architettura della fine del secolo, presenta un evidente gigantismo degli spazi e delle forme, al fine di
suggestionare con forza lo spettatore. In questo senso la basilica di Massenzio, a Roma, costituisce un
esempio chiaro.
Altre due opere del III secolo che incarnano bene la sensibilità di questa fase sono i rilievi sulle mensole
delle colonne porfiretiche provenienti da Costantinopoli con la raffigurazione dei tetrarchi e i rilievi
superstiti dall’arco quadrifronte di Galerio a Salonicco.
Nei primi è ben evidente la nuova esigenza ideologica e propagandistica di diffondere l’idea di un’innovata
stabilità e coesione dell’impero attraverso lo spirito unitario dei tetrarchi; è presente la necessità del simbolo
come strumento di natura emotiva. Nell’abbraccio solidale tra i sovrani si vuole esprimere il legame
indissolubile delle varie regioni dell’impero. Le singole figure sono sommariamente riassunte, mentre si
valorizza l’evidenza gestuale e la suggestione della resa dei volti degli imperatori, direttamente rivolti agli
spettatori.
Anche i rilievi dell’arco quadriforme di Salonicco partecipano alla nuova sensibilità ed esprimono la
rinnovata concezione del potere. I sovrani in rigida frontalità, raffigurati con dimensioni maggiorate,
esprimono un potere che attinge la sua natura dal mondo ultraterreno.
Il III secolo costituisce dal punto di vista artistico un lungo momento di passaggio, in cui viene messo in crisi
il linguaggio formale legato a una concezione classicista, sperimentando formule di tipo simbolico.
Insieme alla tradizionale visione del mondo inizia così a disgregarsi anche la sua rappresentazione
classicista, e con essa il suo principale strumento espressivo, il senso dell’organicità della forma.
11. L’arte del mondo tardoantico
L’età tardoantica unifica le diverse istanze che avevano percorso in precedenza il mondo romano. Questa
fase è stata vista come prossima al successivo universo bizantino e medievale. Questa valutazione ci indica
quanto rinnovata era la sfera sociale, politica, culturale e religiosa del IV e V secolo.
In questo momento avviene la diffusione della religione cristiana e il suo successo sul piano politico e
istituzionale. A livello istituzionale si sancisce all’inizio di questa fase la divisione dell’impero in due parti,
segno delle grandi differenze che ci sono tra parte occidentale e orientale e dell’esaurimento della forza
politica e organizzativa dell’impero. Significativa è la celta di Costantino di spostare la capitale in oriente,
con la fondazione di Costantinopoli, rendendo visibile il ruolo trainante dell’impero orientale rispetto alla
crisi che non abbandona la parte occidentale. Roma perde molto potere e resta solo il teatro in cui i sovrani
manifestavano il proprio valore. Le opere monumentali non corrispondono più alla forza reale della città, ma
si ricollegano spesso all’avanzata del cristianesimo. L’ingresso di popolazioni barbare nei territori
dell’impero aumenta la varietà delle forme sociali e culturali dei linguaggi espressivi, mentre la classe
dirigente era costretta a una continua opera di cooptazione al proprio interno di elementi stranieri. Questo
fenomeno, mentre sottoponeva i capi barbari ai meccanismi di romanizzazione, sottometteva anche la classe
dirigente a un processo di cambiamento della propria cultura.
Il perdurare della crisi (soprattutto nelle cassi medio\basse), lo sfaldamento istituzionale (presenza del potere
ufficiale sempre meno regolare) e la generale sensazione di insicurezza, crearono un clima diffuso in cui le
istanze irrazionali della natura umana videro un’enfasi rispetto a quelle razionali. Esempio è dato dal
successo delle religioni orientali a carattere iniziatico e salvifico, tra cui il cristianesimo. Al prevalere
dell’irrazionale è stato legato il diffondersi del linguaggio artistico tipico del tardoantico.
Anche l’idea di potere è influenzata dal prevalere dell’irrazionale e dall’insicurezza; le condizioni precarie
spingono gli uomini ad affidare completamente se stessi e la propria famiglia a singole persone di grande
potere e ricchezza, legandosi a esse quasi in forme servili. Molti finiscono col dipendere da un potere privato
in cui riconoscono la loro unica possibilità di sopravvivenza. Si creano potere individuali che collaborano
con lo stato, pur sostituendosi ad esso ed agendo come poteri autonomi.
Avviene un cambiamento dell’idea di potere, il quale viene concepito come sovrannaturale e di conseguenza
anche colui che lo detiene viene considerato tale. Questo è in aspetto decisivo anche per il cambiamento dei
linguaggi dell’arte. La concezione sovrannaturale del potere implica una gestione della figura dell’imperatore
connessa al suo carattere sacro; proprio come un Dio la sua funzione è semplicemente quella di apparire e
per fare ciò bisogna avere la capacità di esprimere simbolicamente concetti astratti e di suggerire atmosfere e
effetti emotivi.
Nel mondo tardoantico il linguaggio classico vede un’applicazione sempre più ridotta, mentre riscuote un
successo sempre maggiore un’espressione di tipo simbolico, il cui uso si allarga ai monumenti di tipo
ufficiale. Invece di descrivere la realtà così com’è, si vuole offrire un’interpretazione di essa che sveli le
forze nascoste, che la spiegano. La realtà appare come una dimensione cifrata, in cui le cose e le persone
sono segni e simboli delle forze soprannaturali, e nella quale ogni cosa esiste secondo una gerarchia precisa.
Si sfalda la visione razionale del mondo, sgretolandosi così anche il senso dell’organicità della forma e delle
possibilità mimetiche dell’arte.
In età tardoantica anche l’arte ufficiale si rivolge al filone simbolico dell’arte romana, detto “arte plebea”.
A volte ci sono tentativi di rivisitazione classicista, infatti classicismo e espressione simbolica spesso sono
intrecciati. Esempio della pluralità dei modelli e della forza dell’espressione simbolica è offerto da uno dei
primi monumenti ufficiali dell’arte tardoantica, l’arco di Costantino (Roma, 315d.C.). Eretto sulla via degli
antichi trionfi, con i suoi tre fornici si inserisce nella tradizione di grandi archi trionfali. La cosa più
interessante è la decorazione scultorea. Da una parte troviamo un vivo impulso classicista, concretizzato
nell’uso di rilievi provenienti da altri tre monumenti ufficiali assegnabili all’età di Traiano, Adriano e Marco
Aurelio. Sempre di ispirazione classicista appaiono molte parti della decorazione realizzate in età
costantiniana, come i rilievi con Vittorie e barbari o i tondi con Luna e Sol.
I pannelli del lungo fregio costantiniano sviluppano un discorso basato su un linguaggio simbolico; è un
rilievo di tipo storico-narrativo che svolge, tramite tappe, il racconto della guerra vittoriosa dell’imperatore
contro il rivale Massenzio. Momenti codificanti del racconto sono la partenza dell’esercito, l’assedio, la
battaglia e le scene finali ambientate nel Foro Romano con l’orazione e la liberalità. Il linguaggio ha
abbandonato ogni riferimento classicista e utilizza l’espressione simbolica. Ben evidente è l’intento
didascalico nelle scene di battaglia, dove è stata abbandonata ogni prospettiva naturalistica, sostituita da una
rappresentazione simbolica dello spazio, emotivamente più intensa come mostrano i corpi senza vita dei
soldati nelle acque del Tevere. Nelle due scene del Foro Romano, costruite intorno alla figura
dell’imperatore, la rappresentazione spaziale è subordinata all’espressione immediata e simbolica della
gerarchia dei protagonisti, legata alla vicinanza all’imperatore e alla collocazione in basso o in alto nella
composizione. Il sovrano è raffigurato come un dio, al centro della scena, in immobile frontalità, di
dimensioni superiori agli altri uomini e seduto su un alto trono.
Nei pannelli del fregio storico-narrativo è abbandonata la volontà di raffigurare in maniera organica i corpi;
ciò che importa è l’atteggiamento delle figure che è teatralizzato tramite un’espressione più incisiva.
Mentre l’arco nel suo insieme mostra la varietà del mondo tardoantico, il fregio costantiniano risulta esempio
del linguaggio simbolico sviluppato della tradizione della cosiddetta “arte plebea”. Nelle parti costruite in età
costantiniana si era optato per un linguaggio classicista nei soggetti allegorici e per uno di tipo simbolico nel
fregio storico-narrativo.
Il classicismo sarà sempre collegato a fasi di quiete politica dell’impero, in cui è possibile adottare da parte
del sovrano forme di imitazione del linguaggio ufficiale della prima o della media età imperiale, in funzione
propagandistica e di legittimazione. Nei momenti di crisi invece, quando si ha bisogno di una più efficace
trasmissione dei messaggi della propaganda imperiale, si farà ricorso al linguaggio di tipo simbolico.
Così in età costantiniana assistiamo al fiorire di una produzione classicista detta “rinascenza costantiniana”.
Rappresentativa del dualismo tardoantico appare la testa-ritratto colossale di Costantino (Basilica di
Masenzio, 330 d.C.); nonostante la generale impostazione classicista, l’accentuazione dimensionale degli
occhi, la fissità frontale, lo sguardo perduto lontano e verso l’alto che fissa un rapporto con il mondo celeste,
esprimono l’immagine di un sovrano divinizzato e inaccessibile agli uomini comuni, che manifesta la sua
presenza solo tramite l’apparizione. Anche le dimensioni colossali mirano alla suggestione del pubblico.
Queste sono le caratteristiche che attraverseranno tutta l’età tardoantica, come mostra una statua colossale in
bronzo proveniente da Costantinopoli e nota come il Colosso di Barletta. Non è possibile stabilire chi fosse
l’imperatore ritratto in questa statua, poiché il processo di trasformazione del volto del sovrano in icona
prevede un’astrazione dei tratti somatici a vantaggio della sacralità del volto, espressa tramite lo sguardo
fisso e dilatato, che rende molto simili tra loro i ritratti dei diversi imperatori.
L’esigenza di caratterizzare in senso sovrannaturale e sacro il volto imperiale è una caratteristica dell’arte
tardoantica. Questo vale anche per le immagini intere dell’imperatore e dei sui familiari e un esempio è un
monumento dell’età di Teodosio I, in particolare i rilievi della base dell’obelisco dell’ippodromo di
Costantinopoli (390 d.C.) ancora più significativo perche considerato un esempio della rinascita classicistica
teodosiana. La composizione è organizzata simmetricamente ai lati delle immagini degli imperatori, sempre
al centro e in rigida frontalità. Ancora una volta l’azione svolta dal sovrano è quella di apparire. Le figure dei
sovrani, di dimensioni maggiori, si trovano in alto nella composizione (definizione della gerarchia dei
personaggi). La resa delle figure è realizzata con un rilievo molto basso. L’elemento classicistico è
individuato nella resa del panneggio e negli atteggiamento composti.
Significativo nell’ambito dei modi di rappresentazione dell’imperatore è il piatto d’argento di età
teodosiana (Spagna), riconducibile ai doni di alto livello scambiati tra sovrano e personaggi di alto rango a
lui vicini. Il sovrano costituisce il centro della scena e l’asse di simmetria della composizione, che si
preoccupa della resa immediata delle gerarchie presenti nella realtà raffigurata. L’imperatore appare e
impone la sua presenza attraverso le dimensioni giganti, la sua immobilità e l’imperturbabilità divina. In
questa realtà sacra non c’è spazio per movimenti o sentimenti, che ci rimanderebbero alla sfera umana;
l’imperatore appartiene a una dimensione superiore.
Non è un caso se gli unici corpi e le sole nudità presenti nell’immagine si trovino nella parte inferiore del
piatto, dove è raffigurata la personificazione di Tellus, attorno alla quale volano tre putti, rappresentazione
allegorica delle tre regioni su cui si estende il potere imperiale. Nell’immagine inferiore i modelli di
riferimento e il linguaggio formale usato, differiscono molto da quelli dell’immagine superiore.
La scena di Tellus con i tre putti appare ispirata da un intento naturalistico nella composizione, mentre lo
schema iconografico delle figure deriva da prototipi classicisti. L’esecuzione delle figure rivela la sensibilità
tardoantica nel carattere superficiale dell’adesione ai modelli classicisti, così come mostra la realizzazione
tutta disegnativa, dove si punta solo sulla linea di contorno.
Anche dal piatto emerge l’uso di un linguaggio simbolico per le rappresentazioni ufficiali dell’imperatore e
per le scene legate all’espressione del potere, mentre di un linguaggio classicista per soggetti di tipo
allegorico.
Nella sfera strettamente privata della famiglia imperiale le immagini sono riservate a un pubblico ristretto,
perciò mutano le necessità propagandistiche e i quindi modi della rappresentazione; ecco perciò la
rappresentazione tutta classicista dei volti di alcune donne della famiglia di Costantino, intente alla toeletta,
nell’affresco di un soffitto del palazzo imperiale di Treviri.
Anche in ambito privato, domestico e funerario, si utilizza per l’espressione del proprio status e potere, un
linguaggio di tipo simbolico. Questo fenomeno è evidente nel dittico di Probiano (400 d.C.), in cui il
protagonista è rappresentato in trono secondo le caratteristiche formali adottate per l’imperatore. L’enfasi
dimensionale e la frontalità immobile provocano l’evidenza immediata della grandezza del dignitario,
attraverso la suggestione dello spettatore. L’organizzazione in due fasce sovrapposte fa sì che i due
personaggi che nella realtà gli starebbero davanti, sono posti nel registro inferiore; per rivolgersi verso il
protagonista della scena devono guardare in alto, provocando un ulteriore effetto di esaltazione del
protagonista stesso.
Il piatto argenteo del console Ardabur Aspar (prima metà V secolo d.C.) mostra caratteristiche simili a
quelle delle rappresentazioni imperiali. La rigida frontalità, le dimensioni maggiorate, la fissità del
protagonista principale della scena sono adottate per comunicare la superiorità del personaggio, secondo un
linguaggio di tipo simbolico, destinato a colpire emotivamente lo spettatore.
Emblematica la pittura della parete di fondo del sepolcro di Trebio Giusto. In questo caso oltre che sulla
posizione centrale, la frontalità e il rapporto diretto del protagonista con il pubblico, si punta sull’interazione
di Trebio Giusto, che al centro di ogni scena domina i tre registri in cui è divisa la parete.
Nel registro centrale gli oggetti utilizzati come attributi del personaggio, funzionali all’esaltazione del suo
status, sono disposti nell’aria e legati a una concezione simbolica. Era infatti considerata più importante
l’immediata evidenza del rango del personaggio espresso tramite gli attributi, che una rappresentazione
fedele alla realtà degli attributi stessi.
I soggetti mitologici o allegorici vengono svolti secondo modelli classici; non si può trovare un significato
unico a questi soggetti perche va compreso in relazione al contesto di utilizzo. Possono essere usati per
forme di auto rappresentazione e di espressione di status, come allegorie di concetti astratti, in senso
religioso o etico. Esempio di questa produzione è il grande vassoio in argento (Gran Bretagna, seconda metà
IV secolo d.C.), in cui le figure di divinità sono di derivazione classicista, eseguite però in maniera
disegnativa, quindi lontane dal classicismo di sostanza; mentre la composizione dell’intera scena figurata e la
resa spaziale sono legate alla sensibilità tardoantica.
Una più ferma adesione alla sostanza classicista appare nel fregio in marmo con le fatiche di Eracle
(Francia meridionale, IV secolo d.C.), in cui l’attenzione per l’analisi anatomica e la sensibilità per la resa
volumetrica delle figure, portano a una realizzazione segnata da vivo classicismo.
Discorso simile si fa per il dittico in avorio dei Simmaci e dei Nicomaci (fine IV secolo d.C.), in cui sono
raffigurate due sacerdotesse di divinità pagane, appartenenti a due grandi famigli senatorie antiche di Roma.
Il classicismo usato è pacato e consapevole, tipico delle famiglie senatorie pagane, che vogliono marcare la
propria identità sociale e culturale, in opposizione alla politica religiosa imperiale.
Importante per comprendere il carattere variegato dell’arte tardoantica è il ratto di Europa (Gran Bretagna,
IV secolo d.C.); per quanto si usino un tema e uno schema iconografico di tradizione ellenistica, la sensibilità
tardoantica è esaltata, così come la mancanza di resa spaziale naturalistica. Le figure definite solo dalla linea
di contorno, galleggiano in uno spazio inesistente. Il classicismo usato qui è di superficie, mentre è più
capace e consapevole quello espresso in una serie di mosaici della città di Antiochia sull’Oronte
(Asia Minore, IV-V secolo d.C.), di cui un esempio è una scena di caccia in cui l’adesione alla tradizione
classicista è evidenziata dalla semplificazione anatomica dei corpi, dall’uso di proporzioni gerarchiche e
dalla presenza di un’ambientazione naturalistica.
Altro esempio di rivisitazione della tradizione classica ed ellenistica per la rappresentazione di allegorie e
personificazioni è il piatto argenteo (Parabiago, fine IV secolo d.C.), con una grande scena cosmologica
dedicata alla celebrazione di due divinità di origine orientale, Cibele e Attis. La plastica sensibilità del
rilievo, la capacità di collocar ele figure in uno spazio reale, l’esecuzione di altissima qualità di complessi
schemi iconografici di tradizione ellenistica, concretizzano un classicismo capace di aderire agli antichi
modelli.
Nell’ottica dell’intreccio tra classicismo e tardoantico è da ricordare il sarcofago in porfido di Elena, madre
di Costantino. Le maestranze orientali impiegate danno vita a un rilievo altissimo, in cui è viva l’analisi
naturalistica dei corpi dei soldati romani e dei barbari morti o prigionieri. Le figure sono collocate in una
superficie priva di paesaggio, in una composizione ridotta a due semplici face sovrapposte. Il linguaggio
simbolico è usato con intento celebrativo e di esaltazione del committente; un linguaggio che si diffonde in
ogni parte dell’impero, a cui si affianca una tradizione minore classicista destinata a temi mitologici.
Lo sfarzo degli edifici privati degli aristocratici e la similitudine del linguaggio artistico usato da questi con
quello usato dall’imperatore, ha portato a scambiare enormi residenze private per edifici imperiali. È il caso
della grande villa di Piazza Armerina (Sicilia, inizi IV secolo d.C.) o della villa di Centcelles (Sapagna,
inizi IV secolo d.C.); anche i soggetti e il linguaggio formale delle decorazioni fanno pensare a una
celebrazione del sovrano, mentre in realtà si trattava dell’esaltazione del proprietario. Nella seconda villa,
una grande cupola è decorata con un mosaico diviso in tre fasce sovrapposte. Nella parte inferiore il
proprietario è impegnato nella caccia, in quello superiore è raffigurato mentre dà udienza e riceve omaggio
da sottoposti; il registro centrale è decorato con scene tratte da testi cristiani.
La villa a inizio età tardoantica assume un valore simbolico poiché viene vista come la sede dei forti poteri
personali e diventa un soggetto preferito nelle rappresentazioni artistiche. Un esempio è il mosaico africano
(Cartagine) in cui è scritto il nome di dominus Iulius. La scena è sviluppata per registri sovrapposti,
mantenendo al centro l’edificio della villa; nel registro inferiore il padrone e la padrona sono raffigurati
mentre ricevano omaggio; agli angoli del mosaico ci sono scene di lavoro nei campi, che evocano la
prosperità del latifondo e il succedersi delle stagioni.
La produzione musiva costituisce una delle espressioni artistiche più rilevanti del mondo tardoantico.
Nonostante le differenze dovute alle diverse tradizioni regionali, ci sono temi e motivi iconografici comuni
che mostrano l’esistenza di una cultura comune a tutta la classe dirigente.
Per mostrare le differenze regionali possiamo vedere come uno stesso tema sia trattato diversamente in un
mosaico africano e uno della Gran Bretagna. Si tratta della rappresentazione della toeletta di Venere, usata
come esaltazione della bellezza della padrona.
Nel mosaico di Low Ham (Gran Bretagna, metà IV secolo d.C.) il tema è trattato in maniera sintetica e
disegnativa, mentre nel mosaico da Djemila (Algeria, inizio V secolo d.C.) troviamo un’attenzione
maggiore per l’analisi della resa dei corpi, la collocazione naturalistica nello spazio e un linguaggio che
mostra viva sensibilità pittorica.
Buona disposizione delle figure in uno spazio naturale la troviamo in un mosaico spagnolo (fine IV secolo
d.C.) con la rappresentazione di Achille a Sciro.
Nel mosaico delle Stagioni (Grecia, V secolo d.C.) sono evidenti nel volto dell’Inverno l’enfasi
dimensionale sugli occhi e sullo sguardo, che devo colpire emotivamente lo spettatore, e la rigida frontalità.
Va varietà e ricchezza delle decorazioni delle ville e delle domus, risponde all’esigenza di ostentare il potere
del proprietario, al fine di creare consenso attorno alla propria figura e di accrescere il proprio potere. In
alcuni casi non è tanto il volere simbolico dei temi trattati, quanto l’utilizzo di marmi pregiati e la
raffinatezza della decorazione, che esprimono il potere del committente.
Nella decorazione parietale si potenzia il processo di semplificazione e di astrazione dei partiti decorativi;
vengono del tutto meno le raffigurazioni di elementi architettonici, che delimitavano la parete, in cui erano
collocate le scene figurate, sostituiti da semplici linee spesso colorate; si moltiplicano le scene figurate.
Ne è un esempio l’affresco della casa sul Celio (Roma) con la processione di servitori, inerente alla
celebrazione di un sontuoso banchetto; il corpo dei servitori è inesistente sotto l’ampia veste.
Stesso tema è utilizzato per la decorazione pittorica di una tomba a Silistra (Bulgaria, prima metà IV secolo
d.C.) che mostra una processione di inservienti con oggetti vari, diretta verso la coppia di defunti, il padrone
e la padrona, che sono raffigurati di proporzioni maggiori e ritratti in posizione frontale. L’enfasi
dimensionale sulle teste e la valorizzazione della linea di contorno, sono aspetti tipici della sensibilità
tardoantica.
Anche in pittura i temi mitologici tendono ad essere rappresentati con un linguaggio espressivo ispirato alla
tradizione classicista. Esempio è la scena con Diana, nell’ipogeo di via Livenza (Roma, metà IV secolo d.C.)
in cui l’adozione di un linguaggio caratterizzato da denso pittoricismo, che usa le sfumature cromatiche per
raggiungere una resa naturalistica del corpo e un senso di plasticità sono frutto di un intento classicista,
legato all’adozione di un modello derivante dalla tradizione ellenistica.
Nei sarcofagi i temi utilizzati sono mitologici o connessi alla rappresentazione diretta e all’esaltazione del
committente, ritratto nei suoi possedimenti terrieri o in veste di filosofo, musa (in caso sia donna) o al
banchetto. Nel sarcofago dionisiaco da palazzo Lazzeroni (metà IV secolo d.C.) è evidente un’adesione ai
motivi classicistici negli atteggiamenti e nell’analisi dei corpi dei putti con i simboli delle stagioni, ma
l’enfasi della grandezza della testa e il vivo chiaroscuro dovuto all’abbondante uso del trapano svelano
l’impronta tardoantica.
Anche la produzione religiosa, come ogni altra produzione artistica, ha schemi iconografici e soggetti già
esistenti, conferendo a essi nuovi significati legati ai valori del cristianesimo antico.
L’arte legata ai luoghi di culto cristiani, ricevette un impulso notevole quando Costantino riconobbe un ruolo
preferenziale questa religione, destinata con Teodosio a divenire religione di Stato. Ad una committenza
privata si affiancò quella ufficiale, che portò alla costruzione di luoghi legati a personaggi della tradizione
cristiana, ridefinendo la topografia del sacro delle grandi città dell’impero. Si giunge al nuovo modello
architettonico della basilica cristiana che con Costantino diede vita alla costruzione della basilica di S. Pietro
e di diverse basiliche cimiteriali, sorte sui luoghi del martirio dei santi, dalla planimetria connessa alla pianta
del circo. Chiese e basiliche furono decorate in modo da esaltare la figura della divinità, rappresentata
attraverso le stesse categorie connesse al concetto di potere supremo e assoluto, che erano state tipiche delle
figurazioni dell’imperatore. Accanto alla produzione monumentale e di grande sfarzo, ne esiste una connessa
agli oggetti di uso quotidiano, che recano decorazioni con simboli o soggetti cristiani, destinata a persone
comuni. L’uso ricorrente del simbolo, lo sfarzo, le figurazioni del sovrano e della divinità, caratterizzate da
trascendenza, accomunano l’arte ufficiale dell’impero e quella della Chiesa che tendono a fondersi in un solo
linguaggio. Gli stessi concetti sono adottati per le produzioni artistiche private.

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