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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Facoltà di Lettere e Filosofia

Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte

Kubrick e il Settecento Europeo:


l’evocazione pittorica di Barry Lyndon

Tesina in Storia dell’Arte Comparata dei Paesi Europei

Presentata da Docente
Michela Pibiri Stefania Biancani

Anno Accademico 2006-2007


Indice
1. Il Settecento come Leitmotiv……………………...p. 3
2. Il romanzo, la documentazione, l’ispirazione……..p. 6
3. Hogart.......................................................................p. 9
4. Greuze......................................................................p.10
5. Reynolds e Gainsborough........................................p. 11
6. Chardin.....................................................................p. 15
7. Lady Lyndon e il trascolorare di un secolo………..p. 16
8. David........................................................................p. 17
9. Goya.........................................................................p. 18
10. Fussli……………………………………………… p. 19
Bibliografia…………………………………………….p. 20

2
1. Il Settecento come Leitmotiv
Lo raccontano i biografi e lo sviscerano egregiamente i critici nelle pubblicazioni
monografiche fiorite rigogliose a ridosso di quel 7 marzo del 1999 in cui Stanley
Kubrick morì all’improvviso. E basta scorrere la sua filmografia, pure in chiave non
necessariamente analitica, per trovarne conferma: Kubrick aveva una predilezione per il
XVIII secolo. Un interesse particolare di cui nessuno, in realtà, ha saputo dare
spiegazioni supportate da conferme, sempre rade e laconiche, dello stesso regista; solo
ipotesi, alcune validissime e altre meno, sorte alla luce di quelle tracce, quei riferimenti
più o meno espliciti sparsi nell’arco di quarant’anni in opere che, con il Settecento, non
avrebbero in effetti nulla a che vedere.
Nel suo film sulla Grande Guerra, Orizzonti di Gloria (1958), la Corte Marziale
Francese che condanna a morte tre dei suoi soldati attraverso un folle processo
sommario che li designa come capri espiatori di una diserzione di massa, si riunisce in
un opulento castello settecentesco che richiama i grandi centri del potere dell’Ancien
Règime. Il personaggio di Quilty, in Lolita (1962), nel cercare di ripararsi
dall’aggressione di Humbert, si nasconde dietro “un ritratto in stile Gainsborough”1, e lì
muore, crivellato di colpi di pistola. Il viaggio attraverso la storia dell’umanità e oltre
l’infinito di 2001: Odissea nello spazio (1968) arriva al capolinea dentro una
silenziosissima stanza in stile Luigi XVI, dove vediamo il protagonista invecchiare e
spegnersi.2 Una coreografica scena di combattimento tra bande rivali in Arancia
Meccanica (1971) si svolge in un teatrino abbandonato di chiara ispirazione rococò, e lo
stesso Alex, il protagonista, indossa abiti che richiamano, nella foggia, un costume
settecentesco.3
Dopo Barry Lyndon (1975) Stanley Kubrick realizzerà altri tre film di cui solo l’ultimo,
Eyes Wide Shut (1999), tratto dalla novella Doppio Sogno di Arthur Schnitzler, reca
espliciti riferimenti al XVIII secolo attraverso l’utilizzo di costumi e maschere che
sembrano uscire senza filtri dai quadri di Pietro Longhi, inserendoli in una trama
concernente pratiche di libertinaggio ritualizzato, dagli accenni esoterici e vagamente
sadiani, e strettamente connessa, anche in questo caso, alla violenza e alla morte. Per
1
M. Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano 1999, p. 64.
2
“Arthur Clarke, lo sceneggiatore di 2001, ha fatto l’ipotesi che Dave Bowman, l’astronauta, viene messo
sotto osservazione da parte di creature extraterrestri che, per rassicurarlo, gli hanno approntato un
ambiente tratto dalla sua memoria”. M. Ciment, ibidem.
3
Ancora Michael Ciment rileva come Arancia Meccanica, e pertanto l’omonimo romanzo di Anthony
Burgess da cui Kubrick ha tratto il film, “Si riferisce esplicitamente alla novella filosofica di Voltaire
(Candide) nella sua struttura generale, e a Swift con il nadsat, il linguaggio dei droogs in cui “testa” si
dice gulliver”. M. Ciment, ibidem..

3
non dire della scultura neoclassica che ha come soggetto Amore e Psyche, collocata nel
salone della ricca casa patrizia in cui si svolge la festa che apre il film. Il Vietnam di
Full Metal Jacket (1987) non lascia spazio a riferimenti estemporanei in grado di
richiamare tali temi più della presentazione stessa della follia della guerra (la stessa cosa
dicasi per il più datato Dottor Stranamore, del 1963, irriverente satira sulla Guerra
Fredda e sulla minaccia nucleare) e se un riferimento al Settecento esiste in Shining
(1980), è forse da ricercarsi nel labirinto dell’Overlook Hotel che può richiamare il
culto e la filosofia del giardino che nel XVIII secolo trova terreno fertilissimo presso le
principali corti d’Europa.
Barry Lyndon, film in costume uscito nelle sale nel 1975, inizia la sua parabola
narrativa tra la gentry di un’Irlanda contadina coinvolta in quel duello coloniale franco-
britannico che prese il nome di Guerra dei Sette Anni (1756-63), e la conclude tra la
nobiltà inglese agli albori delle due grandi rivoluzioni europee, quella Francese e quella
Industriale: una storia finalmente tutta settecentesca che si affaccia sull’età
contemporanea, calando il sipario prima di fare un passo oltre quella soglia epocale, che
rimane innominata sulla data del 1789. Barry Lyndon rappresenta il compiutissimo
acme dell’alacre lavoro di studio e documentazione che Kubrick condusse sul
Settecento. Una creazione di stupefacente realismo filologico, oltre che di indiscusso
valore artistico, che però si vocifera come ancillare rispetto ad un progetto ben più
ambizioso mai realizzato, cui il regista avrebbe lavorato nell’arco di buona parte della
sua vita, ma rimasto in fase embrionale a causa della sua complessità di realizzazione: la
vita di Napoleone Bonaparte. Ma non è certamente solo la fascinazione nei confronti di
un personaggio storico tanto noto quanto problematico e controverso ad alimentare
l’interesse verso il secolo – e la cultura - che gli ha dato i natali. La teoria secondo cui
Barry Lyndon rappresenti un semplice prologo al Napoleon, un esercizio di stile, una
sessione di prove generali viene smentita sul campo, dallo spessore e dalla compiutezza
stessa dell’opera che si lega indissolubilmente a tematiche care e ricorrenti in tutto il
cinema kubrickiano. È un’occasione in più per discutere della natura umana e del suo
svolgersi in un progresso a tuttotondo che si intreccia ontologicamente alla violenza e
alla morte.
Un Leitmotiv, insomma, questa sovrapposizione di contorni tra il XVIII secolo e l’idea
di un’umanità votata all’autodistruzione, in netta contraddizione con il concetto stesso
di evoluzione della specie.

4
È plausibile che, nell’ottica kubrickiana, il Settecento rappresenti l’apoteosi di tale
contraddizione, se visto come epoca evoluta e raffinata, ma fondata a tutti i livelli
sull’esercizio di una violenza ritualizzata e sottoposta a rigidi dettami d’etichetta. È
proprio il Settecento, con l’Illuminismo, a introdurre quel concetto di “progresso” che,
allora come oggi, non ha fatto altro che creare grattacapi di natura etica, dividendo
sostenitori e detrattori, e dando adito ad interpretazioni e applicazioni tra le più
disparate e –non di rado – nefaste.
Alla luce di tali considerazioni, ma soprattutto dopo aver vissuto l’esperienza
totalizzante della visione di Barry Lyndon, riesce davvero impossibile credere che la
critica dell’epoca abbia accolto il film con un freddo cenno di assenso, conferendogli –
a denti stretti - quattro Oscar ma bollandolo come gelido e vuoto sfoggio di abilità
formale.4 Tra le molteplici chiavi di lettura che si possono applicare al film, basterebbe
di per sé un approccio empatico da parte di chi abbia una sufficiente cultura visiva per
comprendere, ad esempio, che il gioco costante di richiami alla storia dell’arte non è
uno sfoggio di erudizione –né da parte dell’autore, né da parte di chi vede e interpreta –
ma uno strumento indispensabile per entrare nel vivo dello spirito di un secolo e per
diventare parte integrante di esso, seguendo quel filo di Arianna che Kubrick ha voluto
tendere tra la conoscenza di un passato che a buon diritto può definirsi fondante rispetto
al nostro mondo d’oggi, e la comprensione della direzione in cui questo mondo si
proietta.5
È proprio un approccio empatico che dà origine a questo lavoro. Non una caccia al
quadro e all’artista, ma una serie di stimoli e di associazioni di idee che nascono dalla
visione del film. Mancheranno, in questa lettura attraverso la storia dell’arte, dei tasselli
forse importanti agli occhi di altri, omessi per mancanza di zelo o per inevitabili limiti
conoscitivi; e d’altro canto si potranno incontrare delle associazioni non confortate da
altre voci critiche; ma lo scopo non è risalire a tutte le fonti per creare una tassonomia
da manuale. Un po’ perché il lavoro di Stanley Kubrick sembra sempre mai pienamente
conoscibile, e un po’ perché infilzare una farfalla significa inevitabilmente farla morire.

4
Fu soprattutto la ricezione statunitense che determinò l’insuccesso del film al botteghino. L’Europa,
invece, si dimostrò più disposta ad andare oltre la patina di perfezione formale, anche se dovettero passare
diversi anni prima che il film fosse pienamente metabolizzato e annoverato come capolavoro.
5
“Non c’era da aspettarsi che Kubrick ci desse del XVIII secolo un’immagine convenzionale, mitica e
mistificatrice, fatta di leggerezza e di licenziosità, di frivolezza e di felicità vaporose. Barry Lyndon ridà a
quest’epoca la sua gravità, il suo peso storico: per molti versi il mondo moderno è nato dal secolo dei
lumi, e Kubrick, che da dieci anni si poneva degli interrogativi sul futuro, doveva essere indotto a risalire
alle origini. Per lui l’opera d’arte è un dialogo tra il passato e l’avvenire dal quale è escluso il presente,
cioè la vita. Il principio della creazione è la morte e l’arte ha in sé qualcosa di distruttore e d’inquietante.”
M. Ciment, cit., p.66

5
2. Il romanzo, la documentazione, l’ispirazione
I suoi ultimi film erano proiettati nel futuro.
Che cosa l’ha spinto a fare un film storico?

Onestamente, per nessuno dei miei film posso dire


che cosa mi abbia spinto a farlo. La miglior risposta è che
mi sono semplicemente innamorato di quelle storie.6

È semplice: Stanley Kubrick si è innamorato del romanzo dello scrittore vittoriano


William Makepeace Thackeray (Calcutta 1811 – Londra 1863) The Luck of Barry
Lyndon (1844) che anticipa di quattro anni il più noto Vanity Fair (1848) e che nel 1856
verrà rivisto e reintitolato The memoirs of Barry Lyndon. E ha deciso di portare al
cinema le vicissitudini moraleggianti del giovane irlandese Redmond Barry che tenta la
scalata sociale attraverso battaglie, intrighi e seduzioni nell’Europa del XVIII secolo.
Il romanzo di Thackeray è, nella forma e negli intenti, vicino alla tradizione
squisitamente inglese del romanzo edificante e didascalico sviluppatasi nel Settecento
con Defoe, Fielding, Swift e Richardson. Kubrick, nello scrivere la sceneggiatura,
traspone la narrazione dalla prima alla terza persona attraverso una voce fuori campo,
creando così una distanza critica rispetto agli eventi raccontati e smorzando l’effetto
pesantemente ironico e a tratti pedantesco dell’opera di Thackeray.
La storia si svolge nell’arco di circa un ventennio in diversi paesi d’Europa: Irlanda,
Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, con riferimenti alla lontana America dove
gli Inglesi cercano di contrastare le istanze indipendentiste con gran dispendio di
energie e denaro. Per trasporla filmicamente, diventa essenziale una documentazione a
tutto tondo, e su scala internazionale, su ogni aspetto della vita dell’epoca, dal
macroscopico fino al minimo dettaglio. I biografi non mancano di descrivere l’acribia
con cui Kubrick si dedicò al processo di meticolosa documentazione pescando
generosamente dai più svariati ambiti della cultura del XVIII secolo al fine di creare
un’opera filologicamente corretta e internamente coerente, che non solo fosse credibile
ma che potesse anche vantare il titolo di una sorta di documentario a posteriori. Non è
un caso che spesso e volentieri il film prenda in prestito le tecniche del documentario
d’arte così come sono andate codificandosi con la collaborazione tra Umberto Barbaro e
Roberto Longhi tra gli anni ’40 e ’50. Soltanto la colonna sonora del film non risponde
a questo rigore filologico, poiché l’utilizzo di musiche coeve non avrebbe permesso

6
Da un’intervista di Michael Ciment a Stanley Kubrick, in M. Ciment, cit., p. 169

6
altrettanta efficacia espressiva rispetto a quella ottenuta, per esempio, con le variazioni
sul tema della Sarabanda di Haendel7, di poco anteriore.
E’ chiaro come, alla luce di una tale esigenza di documentazione, la pittura, unica forma
di testimonianza visiva oltre agli oggetti materiali dell’epoca (architetture, mobili, abiti,
suppellettili, gioielli e quant’altro) costituisca la parte principale di un tale lavoro di
ricostruzione. E la pittura inglese del XVIII secolo in particolare, con la sua riforma dei
generi che affianca alla tradizionale pittura di storia, al ritratto, al paesaggio e alla natura
morta un’inedita tendenza di adesione alla contemporaneità, cresciuta parallelamente
all’importanza sociale della borghesia emergente, si presta particolarmente a farsi
testimone.
La pittura dell’Europa del Settecento però non si accontenta di questo ruolo ancillare.
Non si tratta solo di fonte documentaria: per Kubrick è ispirazione. Il tramite per
assorbire visivamente la complessità di un’intera epoca e tradurla, in un certo senso, su
di un supporto diverso dalla tela.
Le inquadrature, il lunghi piano-sequenza, il ritmo lento e non di rado immobile, la
composizione delle scene, le attitudini e le pose dei personaggi, la fotografia: tutto
coglie da e rimanda alla pittura. Il paesaggio inglese, mutuato dalla cultura francese
seicentesca di Lorrain e Poussin e da quella italiana, metabolizzata attraverso il Gran
Tour. Il ritratto che passa attraverso grandi interpreti come Joshua Reynolds, Thomas
Gainsborough, Allan Ramsay (Edimburgo 1713 – Dover 1784) e la cultura rococò
francese filtrata dal mondo del teatro e delle fetes galantes di Jean-Antoine Watteau
(Valenciennes 1684 – Parigi 1721) e Jean-Honoré Fragonard (Grasse 1732 – Parigi
1806). Le scene di genere di Jean-Baptiste-Simeon Chardin, le scene di conversazione e
i ritratti borghesi di William Hogart, la pittura di storia contemporanea che spesso
abbraccia anche il tema della guerra in una descrizione per quanto possibile onesta e
veritiera, con Benjamin West, nato in Pensylvania e trapiantato in Inghilterra
(Springfield 1738 – Londra 1820), e il suo coetaneo John Singleton Copley (Boston
1738 – Londra 1815). La pittura a lume di candela, che in Inghilterra si coniuga
concettualmente alle nuove scoperte scientifiche e si esprime con Joseph Wright of
Derby (Derby 1734 –1797). Le incisioni del mitteleuropeo Daniel Chodowiecki
(Danzica 1726 – Berlino 1801) che, per via delle evidentissime analogie formali con
molte scene del film, hanno dato adito all’ipotesi che Kubrick possa averle utilizzate

7
Cfr. S. Bassetti, La musica secondo Kubrick, Lindau, Torino 2002, pp. 115-131.

7
come una sorta di storyboard.8 Fino ad arrivare ai grandi interpreti del passaggio
epocale da un secolo all’altro, a cavallo delle rivoluzioni: Jacques-Louis David,
Francisco Goya y Lucientes e Heinrich Fussli. Tutto questo e altro ancora (molti sono
infatti i nomi meno noti cui Kubrick si avvicina) viene assorbito e metabolizzato con
lucido raziocinio, combinato secondo un principio di callida junctura che non dà luogo
tanto a citazioni letterali, benché a voler viaggiare col lanternino se ne troverebbero
sicuramente, quanto all’autentico spirito di un secolo. Non solo una pinacoteca da
undici milioni di dollari,9 dunque.

8
Cfr. L. Matiz, Libertini del Settecento. Stanley Kubrick e Daniel Nikolaus Chodowiecki, in „Art e
Dossier“ n° 225, Settembre 2006.
9
Tanto costò la produzione del film. Tale definizione si trova in S. Bernardi, Stanley Kubrick e il cinema
come arte del visibile, Il Castoro, Milano 2000.

8
3. Hogart
Nel quadro complessivo di Barry Lyndon, non c’è artista in grado di ispirare Kubrick
più di William Hogart (Londra 1697-1764). L’introduzione nella cultura pittorica
inglese e nella scala dei generi, all’inizio del secolo, della conversation piece e della
modern history painting, ha donato ai posteri una serie di immagini lucidissime e
puntuali della quotidianità della nobiltà e della borghesia dell’epoca: la dimensione
delle relazioni sociali, con i suoi riti e i suoi codici comportamentali è restituita dai due
generi con dovizia di particolari, lontana dalla retorica della ritrattistica pesantemente
celebrativa. Una fonte imprescindibile per la costruzione complessiva del film che,
abbiamo visto, si propone con una puntualità dal sapore documentaristico. Assorbire la
cultura inglese del Settecento attraverso la conversation piece e la modern history
painting significa per Kubrick tradurre il romanzo di Thackeray in scene che nella loro
composizione non possono che ricalcare la struttura delle opere appartenenti al genere:
si tratta di una costante di tutto il film, che si esplicita al tavolo da gioco come in
giardino, durante i pasti come durante i concerti da camera.
Hogart è noto soprattutto per le sue serie satiriche quali La carriera della cortigiana
(distrutta nel 1755 e nota attraverso incisioni), Il matrimonio alla moda (1743-44) e La
carriera del libertino (1733-35), impostate secondo uno svolgersi narrativo di tipo
teatrale o, potremmo dire oggi, come sequenze cinematografiche. Il suo legame con il
coevo romanzo edificante fa di Hogart il tramite visivo perfetto per la rappresentazione
del racconto di Thackeray, i cui intenti ed espedienti narrativi si allacciano
esplicitamente a questo filone. Se La carriera della cortigiana si indirizza come monito
ad un pubblico femminile, le altre due serie chiamano alla mente già solo con il loro
titolo le vicende dell’avventuriero Redmond Barry che non oppone scrupoli etici alla
sua scalata sociale. Un matrimonio d’interesse e una vita tesa all’edonismo più sfrenato,
alla dissoluzione e alle gioie materiali del lusso e della carne, nonché agli onori fugaci e
privi di sostanza che un nome blasonato può dare a chi abbia sempre sofferto di un
complesso d’inferiorità a causa della propria condizione. Una vita in cui non compare
ombra d’amore che non sia verso la madre e il figlio, sangue del proprio sangue:
Redmond Barry avrebbe tranquillamente potuto chiamarsi Tom Rakewell come il
libertino hogartiano, tanta è la sua smania di arraffare a piene mani denaro e prestigio
sociale. Benché Kubrick decida di donare al personaggio delle sfumature psicologiche
che Thackeray non concede, benché il suo arrivismo sia compensato dalla
rappresentazione impietosa di un mondo che, in fondo, non è migliore di lui e in cui le

9
doti personali dovrebbero avere un peso maggiore di quello che hanno – la nobiltà di
nascita non conosce meritocrazia -, rimane il fatto che Redmond Barry va, con Kubrick
come con Thackeray, anche se per vie diverse, incontro ad un destino di disfatta sociale,
economica e morale. Nulla di più hogartiano.

4. Greuze
La rappresentazione connotata in termini moralistici ed edificanti in Francia assume
caratteristiche fortemente influenzate dall’ideologia rivoluzionaria, e l’opera di artisti
come Jean-Baptiste Greuze (Tournus 1725 – Parigi 1805) viene portata alla ribalta da
intellettuali del calibro di Diderot che ne apprezzano il forte intento ammonitore ed
educativo. Una delle più famose opere di Greuze potrebbe aver indotto Kubrick a creare
un momento narrativo che il romanzo di Thackeray non contiene. E’ un’associazione
spontanea quella tra Il figlio cattivo punito (1765) e la scena in cui Barry aggredisce a
suon di percosse il figliastro ormai adulto, Lord Bullingdon, che durante un concerto da
camera denuncia pubblicamente i sentimenti d’odio e repulsione nei confronti del
patrigno. I contenuti della scena creata da Kubrick esistono nel romanzo, ma sono
dilatati in diversi momenti; Kubrick li condensa creando un acme di ostilità tra i due
uomini che si esplicita, appunto, in una violenta rissa a stento contenuta dagli astanti,
sgomenti ed indignati.
La concitazione dell’opera di Greuze, i gesti irosi a malapena trattenuti, le espressioni di
rabbia, la disperazione delle donne che allontanano padre e figlio non hanno bisogno di
molti commenti. Chi confronta il dipinto alla scena di Kubrick può notare l’analogia
della situazione e, allo stesso tempo, la forte dissonanza tra i due contesti: quello
borghese e umile del dipinto di Greuze contrasta con l’opulenza dell’ambientazione
kubrickiana. Ciò potrebbe suggerire quanto l’indole di Redmond Barry, malgrado la
neoacquisita ricchezza e la scalata sociale, rimanga essenzialmente quella di un
borghesotto di campagna, un parvenu senza la minima cognizione di come ci si
comporti in società.

10
5. Reynolds e Gainsborough
Le due anime della pittura inglese allo scoccare della metà del secolo, Joshua Reynolds
(Plympton 1723 – Londra 1792) e Thomas Gainsborough (Sudbury 1727 – Londra
1788), sono generalmente indicate come le principali fonti di documentazione ed
ispirazione per Barry Lyndon. Reynolds è, oltretutto, l’unico artista citato dal romanzo,
come contemporaneo dal quale Redmond Barry dichiara di essersi fatto ritrarre. Nel
film, questo dettaglio è omesso, mentre l’unico pittore che viene citato è Ludovico
Cardi detto il Cigoli (1559-1613) in un espediente creato ad hoc da Kubrick – nel
romanzo non è presente - per enumerare i diversi modi che Redmond Barry trova per
dilapidare il patrimonio della moglie: il protagonista decide di acquistare un’opera del
pittore fiorentino, mostrando tuttavia un approccio piuttosto grossolano, da perfetto
ignorante in materia, in un contesto visivo che potrebbe ricordare le gallerie descritte
nelle opere di Johann Zoffany (Francoforte 1733 – Londra 1810).
La sequenza dell’acquisto del Cigoli si pone, filmicamente, come equivalente narrativo
di un’eventuale scena che coinvolgesse Reynolds intento a ritrarre Redmond Barry.
Questo perché, evidentemente, la dichiarazione del romanzo non è che la millanteria di
un uomo che vuole ribadire il proprio prestigio fingendo di intendersi d’arte e di avere
avuto contatti con l’ambiente colto e raffinato della pittura più in voga. Rappresentarla
filmicamente avrebbe legittimato la menzogna di Redmond, proponendolo come
effettivo conoscitore dell’importanza e del ruolo che l’artista ricopriva nell’alta società
inglese, e rendendolo quindi capace di distinguere un’opera di alto livello da una meno
valida. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il ruolo di mecenate delle arti è ricoperto
da Lady Lyndon, figura che spesso si pone come diametralmente opposta rispetto al
protagonista.
Al di là di questo, Reynolds è, come ribadito dalla critica kubrickiana, riferimento
culturale imprescindibile nella costruzione del film. Non si può, in un certo senso,
concepire visivamente un Settecento anglosassone senza guardare a Reynolds. Si tratta
di un ruolo costitutivo, fondante diremmo, che però – ci pare – crea di rado dei
parallelismi letterali. E’ difficile attenersi ai ritratti classicheggianti di Reynolds nella
rappresentazione di una società che di ideali nobili ne ha ben pochi, e in cui la statura
morale dei personaggi – costantemente esaltata da Reynolds – non è particolarmente
elevata. Una felice eccezione a questa considerazione può essere la figura del Capitano
Fagan, pieno d’amore e di rispetto nei confronti del giovane Redmond che, dopo averlo
preso sotto la sua ala protettrice, muore in battaglia. Alcuni dei suoi tratti nobili ed

11
eroici10 li attingiamo da opere come il Ritratto di Lord Heatfield (1787, Londra,
National Gallery): Reynolds dona dignità e grandezza al governatore di Gibilterra
attraverso il valore della sua uniforme contemporanea e lo sguardo fiero, sereno ma
deciso, in una rappresentazione carica di umanità.
Gainsborough si rivela interprete più adatto ad una ritrattistica filmica maggiormente
dimessa. Non intendiamo spogliare l’artista del suo valore al cospetto di Reynolds,
bensì rimarcare come la sua ritrattistica, soprattutto quando posta in relazione con il
paesaggio, sia più vicina alla realtà della società contemporanea che ad un ideale di
umanità che nel caso della rappresentazione kubrickiana non troverebbe applicazione.
La capacità di penetrazione psicologica di Gainsborough ricorre spesso in Barry
Lyndon. Durante la scena di seduzione tra Redmond Barry e Lady Lyndon al tavolo da
gioco, che condensa un serrato corteggiamento che nel romanzo si snoda per diversi
anni, Kubrick propone un campionario di espressioni che potremmo classificare come
“fisiognomica del desiderio”. I sentimenti, in Gainsborough, benché lontani dai
turbamenti romantici, sono ben presenti e suggeriti laddove non descritti. I lenti primi
piani a lume di candela del volto di Lady Lyndon in preda ad un crescente turbamento si
possono associare alle parole di Charles le Brun:

Il viso subisce pochissimi cambiamenti in tutte le sue parti…l’occhio sarà un po’ più aperto del
solito…fisso verso l’oggetto che avrà cagionato l’ammirazione…la bocca sarà socchiusa ma
apparirà senza alterazione…le labbra appaiono umide e questa umidità può essere causata dal
vapore che sale dal cuore…questa passione produce soltanto una sospensione del movimento per
dare all’anima il tempo di decidere sul da farsi e per considerare con attenzione l’oggetto che le
si presenta.11

E portano alla memoria un intenso ritratto di Gainsborough, quello di Mrs. Christopher


Horton, futura duchessa di Cumberland di cui si dice:

Aveva molto più l’aria di una donna di piacere che non di una donna d’alto rango, quantunque
fosse ben fatta, aggraziata ed ineccepibile nei suoi atteggiamenti e nel comportamento. Ma c’era
qualcosa di così seducente nei suoi occhi languidi… e la sua civetteria era così attiva, così varia
e persino così consueta, che era difficile non percepirla e ancora più difficile resistervi.12
10
Si usa il termine “eroico” pur sapendo che difficilmente, per Kubrick, la guerra ha a che fare con una
simile caratteristica
11
Charles le Brun, Le figure delle passioni : conferenze sull’espressione e la fisionomia, Cortina, Milano
1992, citato in: L. Matiz, Lady Lyndon: la melanconia nel Settecento in Barry Lyndon, un film di Stanley
Kubrick, tesi di laurea inedita in D.A.M.S., Bologna 2003-2004. Depositata SIAE, per gentile
concessione dell’autrice, p. 38.
12
Cfr. John Hayes, Thomas Gainsborough, catalogo mostra Palazzo dei Diamanti, Ferrara 1998, p. 82.

12
Un ritratto femminile di tal fatta può essere stato indubbiamente d’aiuto alla costruzione
della figura di Lady Lyndon, che nel romanzo è descritta come non particolarmente
bella né affascinante e che invece, nel film, è l’incarnazione stessa della bellezza, della
grazia e di una seducente femminilità.
Il celebre doppio ritratto intitolato La passeggiata mattutina (1785) ricorda ben due
momenti del film. Il primo, per quanto riguarda la composizione formale; il secondo, se
ci si dedica ad un livello di lettura più profondo, basato sull’indagine psicologica.
La spiccata attitudine di Gainsborough verso il dato naturale – non si dimentichi che
egli nasce come paesaggista ed inizia a dedicarsi al ritratto per soddisfare una clientela
indirizzata verso questo genere dal gusto dell’epoca – ritorna in Kubrick ogni qual volta
i suoi personaggi vivono e agiscono all’interno di campi medi e lunghi, en plein air,
immersi in un paesaggio che non vuole essere semplicemente descrittivo; ciò avviene
specialmente nella prima parte del film, durante la giovinezza del protagonista tra le
campagne irlandesi.
La coppia dei coniugi Hallet che incede fianco a fianco lungo un sentiero al limitare tra
la campagna e un bosco lussureggiante ricorda, così, la passeggiata di Redmond in
compagnia della cugina Nora Brady, durante la quale i due si scambiano schermaglie
amorose e chiariscono la reciproca posizione. Ma se si osserva l’atteggiamento e
l’espressione dipinta sui volti di Gainsborough, e se si fa caso al fatto che

I due non si guardano, e l’unica comunicazione tra loro è il leggero tocco della mano della donna
sul braccio del marito. I loro sguardi sono assenti e velati di malinconia, quasi a prefigurare
l’inevitabile fine del loro giovane amore.13

Il parallelismo si crea, immediatamente, con il momento in cui, subito dopo le nozze,


Redmond Barry e Lady Lyndon viaggiano fianco a fianco sulla medesima carrozza,
senza guardarsi, ciascuno immerso nei propri pensieri mentre la voce narrante rimarca
la scarsa affezione del protagonista nei confronti della moglie, considerata un
ammennicolo ornamentale di grande prestigio alla stregua di abiti lussuosi e tappeti
pregiati. L’unico tentativo di comunicazione parte, anche in questo caso, dalla figura
femminile che chiede gentilmente a Redmond di non fumare; tentativo frustrato a causa
della totale mancanza di rispetto della controparte, che risponde alla moglie soffiandole
in faccia il fumo e riprendendo tranquillamente a pensare agli affari propri con la pipa

13
De Vecchi/ Cerchiari, Arte nel tempo, vol. 3 tomo I, Milano Bompiani 1997, p. 62.

13
tra le labbra. Così come il ritratto di Gainsborough intuisce il fallimento dell’amore tra
gli Hallet, la sequenza di Kubrick sintetizza e tutta la situazione familiare della neonata
coppia di sposi, segnata dal puro interesse, dalla disaffezione, dalla mancanza di rispetto
e dal tradimento da parte di Redmond, e dalla muta sudditanza psicologica da parte di
Lady Lyndon.

6. Chardin
La descrizione dell’infanzia e dell’adolescenza che ci offre Jean-Baptiste-Simeon
Chardin (Parigi 1699-1779) nelle sue opere a metà strada tra la scena di genere e il
ritratto, è nota e apprezzata unanimemente per la sua immediata freschezza. La simpatia
e la tenerezza verso quest’età della vita che il pittore dimostra attraverso il filtro della

14
sua sensibilità, ci trascina in un mondo intimo e silenzioso, fatto di quella pura e totale
concentrazione che i bambini dedicano ai loro giochi e alle loro attività creative.
Concentrazione congelata in una ripresa che ai nostri occhi ha il piglio di un’istantanea
fotografica, immortalata sulla tela ma pronta, nella realtà, a sciogliersi in un batter di
ciglia al primo rumore o soffio di vento.
Una serenità venata da un senso, fortissimo, di caducità. Il tema seicentesco della
vanitas ritorna sotto forma di bolle di sapone, trottole in corsa e castelli di carte. E la
ricorrente rappresentazione dell’esercizio della musica rimarca il concetto della durata
temporale, e dunque della finitezza di ogni attività umana.
Il personaggio di Bryan, l’unico figlio di Barry, spicca come incarnazione pressoché
letterale dell’infanzia concepita da Chardin. Non soltanto perché il bambino è descritto
dal filtro partigiano dell’amore totalizzante e incondizionato del padre, donando allo
spettatore il ritratto tenerissimo dell’innocenza e dell’amore nella sua forma più pura. E
nemmeno perché i colori che porta addosso, sempre smorzati in terrose tinte pastello,
richiamano le tele del maestro francese, così come gli ambienti e gli oggetti di cui si
circonda quando gioca e quando studia assieme al fratellastro Lord Bullingdon. La
chiave di volta dell’interpretazione di Bryan sta nel suo stesso destino. Lo vediamo
vivere e agire sapendo già in anticipo che Redmond Barry morirà solo e senza eredi,
perché ce lo dice la voce narrante in un momento di giochi spensierati tra padre e figlio.
Guardiamo quell’incantevole e spontanea creatura aspettando il compiersi della tragedia
e perciò stesso godendo della sua felicità finché è possibile. Sappiamo che morirà
presto, così come sappiamo che gli istanti congelati da Chardin si sono sciolti nel
tempo, nella fine dell’infanzia, nella morte, e rivolgiamo a Bryan lo stesso sguardo che
rivolgiamo ai ritratti del maestro, consapevoli che si tratta allo stesso tempo di monito e
punizione a quell’arroganza che è insita nella natura umana, e non solo in quella di
Redmond Barry. 14
7. Lady Lyndon e il trascolorare di un secolo.

Ora invece è giunto il momento di affrontare quelle sedi oscure


ove fermentano leggi fisiche e metafisiche sfuggenti all’ordine acquisito,
dove le figure guizzano, si inarcano, scorrono via,
14
Anche il personaggio di Lord Bullingdon bambino potrebbe a prima vista prestarsi ad una lettura
analoga. Il fanciullo è spesso impegnato in attività di studio o nell’esercizio musicale e il trattamento
della sua figura ricorda indubitabilmente i dipinti di Chardin. Lord Bullingdon, però, è un personaggio
estremamente complesso, la cui infanzia è attraversata da sentimenti che nulla hanno a che vedere con la
spensieratezza e l’innocenza, ma che sono tipici dell’età adulta. Inoltre, mentre l’infanzia di Bryan rimane
eterna, quella di Bullingdon approda velocemente alla maturità: tutta la sua infanzia rappresenta, in realtà,
l’attesa del momento in cui, ormai uomo, potrà spodestare il patrigno usurpatore e sedersi nuovamente al
fianco della propria madre.

15
dal primo piano allo sfondo, incuranti delle buone leggi prospettiche.15

Quello di Lady Lyndon è un personaggio opaco e silenzioso. Una sintesi di pura


bellezza e d’eleganza rococò, che anziché esplodere in spumeggianti volute di gaia
sensualità, rimane chiusa tra le cortine di un’attitudine melanconica e, come rileva la
voce narrante, incline ad un sentimentalismo morboso.
Il temperamento melanconico di Lady Lyndon è squisitamente settecentesco. Fintanto
che si esprime nella sua forma calma e perenne, corrisponde ad uno stato ampiamente
codificato dai trattati medici dell’epoca, e può essere interpretato come sintomo di
intelligenza inquieta che non trova modo di oltrepassare gli ambiti di applicazione
concessi, all’epoca, ad una donna del suo rango.16 La sua casa trabocca di libri, il suo
tempo è dedicato all’impegno intellettuale quanto e più che allo svago. La letteratura, la
musica, la scienza: in questo, ella incarna la ragione. La melanconia le dona una
maschera fissa, in grado si smorzare gli effetti visibili dei moti dell’anima, che
traspaiono filtrati da un misurato dominio di sé. Lady Lyndon è la perfetta antitesi di
Redmond, sanguigno e poco incline alle attività dell’intelletto. Ed è il perfetto soggetto
di un ritratto informale, in grado di generare indifferentemente il fulcro di una festa
galante, di una scena di conversazione o di un ritratto individuale di donna colta intenta
alle sue occupazioni.
Ma Lady Lyndon non si esaurisce così. Conosce dei momenti in cui il dominio di sé si
incrina, la ragione perde terreno, la melanconia entra in una fase acuta ed
incontrollabile. Il dualismo ragione-sentimento, snodo fondamentale della cultura
settecentesca e di tutto il cinema di Kubrick, si volge a favore del secondo e diventa
passione, in un senso non lontano da quello cristologico. E’ soprattutto in questa fase
acuta che il disegno della figura di Lady Lyndon trae linfa, a nostro parere, dall’opera di
quegli artisti che cavalcheranno la fine del secolo precorrendo afflati romantici nelle
loro opere. Gli stessi che, secondo Barilli, danno vita insieme a William Blake, agli
albori della contemporaneità: Francisco Goya, Jacques-Louis David e Heinrich Fussli.

8. David.
15
R. Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Il Mulino, Bologna 1982, p.
16
Vogliamo in questo accettare la tesi di Laura Matiz che analizza proprio secondo una chiave di riscatto
intellettuale la figura di Lady Lyndon in rapporto al concetto di melanconia nel XVIII secolo. Lo scopo
del lavoro della Matiz è fornire degli elementi per sollevare Kubrick dalla ricorrente accusa di misoginia.
Mettendo il luce tutta la complessità di un personaggio femminile che trent’anni di critica hanno
condannato ad un ingiustificato silenzio, la Matiz utilizza Lady Lyndon come emblema della visione
kubrickiana della donna, che sarebbe l’unica speranza di redenzione della condizione umana sulla terra.
Cfr. Laura Matiz, tesi cit.

16
La scena del bagno di Lady Lyndon chiama alla memoria un’opera diventata icona della
nostra cultura figurativa: la morte di Marat di Jacques-Louis David (Parigi 1748 –
Bruxelles 1825). E’ l’evocazione di una pratica diffusa durante il XVIII secolo, quella
del bagno freddo a fini terapeutici, per curare i mali dello spirito e del corpo: ore di
ammollo a temperature anche estreme, durante le quali il paziente poteva dedicarsi alle
proprie attività intellettuali. Lady Lyndon, mentre fa il bagno nella vasca collocata
all’interno della sua stanza, ascolta la lettura di una poesia in francese dalla sua dama di
compagnia. Ma è chiusa in una trance di mutismo, in una fissità che richiama la morte.
L’attività intellettuale si interrompe con l’irrompere del marito e l’uscita di scena delle
dame di compagnia, e sopraggiunge un momento in cui la fissità si scioglie in deliquio,
il bacio è istante di puro oblio di sé, di abbandono completo. Non c’è nulla di carnale in
questo gesto: ha piuttosto il sapore di una rinuncia, di un sacrificio, di un martirio. La
donna accetta il pentimento insincero di colui che la rende infelice col suo distacco e il
suo tradimento, e non fa che immolarsi, vittima di un sentimento che non conosce
ragioni e che non ha nulla della vitalità che l’amore dovrebbe portare con sé. Bisogna
certamente accantonare il senso strettamente civile e morale dell’opera di David per
avvicinare Marat che muore per mano di una donna a Lady Lyndon che riceve un bacio
da un uomo come fosse una pugnalata al petto. Ma lasciare emergere l’aspetto umano di
una forma privata di eroismo, di una sofferenza e di un martirio – fisico e morale – può
a nostro avviso legittimare un accostamento non solo formale.

9. Goya.
Come Francisco Goya y Lucientes (Fuendetodos, Saragozza 1746 – Bordeaux 1828),
Lady Lyndon vive una composta inquietudine che sfocerà, avanti nel tempo, nel sonno
della ragione. La crisi mistica del personaggio di Kubrick segna la fine della
razionalismo di matrice newtoniana di cui finora è portavoce e quindi, in maniera
allargata, la fine stessa di un’epoca. Non stupisce l’ipotesi che Kubrick abbia guardato a

17
Goya con un occhio che nulla aveva a che vedere con fini di mera documentazione: la
cultura spagnola del XVIII secolo non rientra, neppure marginalmente, nel film. Non i
costumi, non le ambientazioni; piuttosto, la natura stessa dell’artista, perennemente in
limine tra un mondo composto e luminoso ed un baratro di oscura follia.
Sono soprattutto le sue donne che ogni tanto, dalla parte composta e luminosa del
mondo, socchiudono una porta sul baratro. Nulla di eclatante: magari solo uno sguardo,
o l’inclinazione di un sopracciglio. Lady Lyndon che si abbandona su un divano
abbracciando il figlio maggiore e posando la mano sulla culla del più piccolo, ripresa
frontalmente da una lenta zoomata all’indietro suscita un’associazione spontanea con la
Duchessa di Osuna circondata dai suoi figli (I duchi di Osuna con i figli). La presenza
incombente della figura maschile, marito e padre, del dipinto di Goya, sulla scena è
assolta dalla voce narrante che parla di come Lady Lyndon sia, per scelta del marito,
confinata tra le mura domestiche, convenientemente indirizzata verso un destino di
educatrice dei figli e angelo del focolare. L’analogia della situazione è rafforzata
dall’espressione della due donne: apparentemente distesa, ma oscurata da una fissità di
sguardo che denuncia altri pensieri, lontani dai figli, lontani da sé e incontro a chissà
quali inquietudini.
Allo stesso modo, la Lady Lyndon in camicia da notte bianca, con i lunghi capelli scuri
sciolti sulle spalle, al capezzale del figlio morente, somiglia in maniera quasi letterale
all’enigmatica figura centrale de La famiglia dell’infante Don Luis di Borbone (1783).
La protagonista del dipinto di Goya, benché fulcro di rilevanza gerarchica nella
composizione complessiva, trasmette un fortissimo senso di vulnerabilità, quello di una
donna spogliata dei suoi abiti sociali e delle sue difese. La morte di Bryan è il momento
in cui Lady Lyndon si spoglia, abbassa la maschera e cede alla disperazione e alla follia.

10. Fussli.
Lady Lyndon che dopo la morte del figlio tenta il suicidio, è uno spirito inquieto preda
di incubi e demoni. Il baricentro si sposta completamente verso l’irrazionale,
l’immateriale, l’immaginario. E’ il regno di Heinrich Fussli (Zurigo 1741 – Londra
1825), fatto di oscure presenze materializzate dai più intimi recessi dell’io. Un ego
ancora inesplorato dalla psicanalisi ma già prepotentemente orientato verso

18
l’esplorazione dei propri lati oscuri. Il sonno è anticipatore di ciò che la sorella morte
porta con sé, l’animo inquieto reclama a gran voce la fine dei propri tormenti: Lady
Lyndon ingerisce una quantità di veleno sufficiente solo a farla soffrire atrocemente e a
precipitarla in uno stato che non è vita e non è morte. In quel regno oscuro, urla e si
contorce per il dolore; quando raggiunge il letto, il suo corpo si getta tra le lenzuola
sfatte e per un istante non stupirebbe vedere l’Incubo materializzarsi per comprimerle il
petto mentre braccia e gambe si abbandonano esauste.17

Potrà essere superfluo ricordarlo alla luce di queste considerazioni, ma non è certo un
caso che il film si concluda con la firma che Lady Lyndon appone sul vitalizio di
Redmond, che reca la data del dicembre 1789. Lady Lyndon è il veicolo del passaggio
da un secolo all’altro, è la crisi, la decadenza e la rivoluzione. E’ il ponte tra due
sensibilità.

Bibliografia
Kubrick, Stanley, Barry Lyndon, GB 1975, colore, 187’. Versione in DVD Warner
Home Video Italia, 2005.
Barilli, Renato, Scienza della Cultura e Fenomenologia degli Stili, Il Mulino, Bologna
1982.
Bassetti, Sergio, La musica secondo Kubrick, Lindau, Torino 2002.

17
E’ di Sandro Bernardi l’accostamento tra le pose contorte assunte da Lady Lyndon durante la sequenza
del suicidio e le varie versioni dell’Incubo di Fussli. In S. Bernardi, cit., p. 35.

19
Baxter, John, Kubrick nell’età dei lumi in Stanley Kubrick. La biografia, Lindau, Torino
1999, pp. 317-345.
Bernardi, Sandro, Stanley Kubrick e il cinema come arte del visibile, Il Castoro, Milano
2000.
Bignamini, Ilaria, Hogart e il suo tempo in La pittura in Europa. La pittura Inglese,
Electa, Milano, pp. 111-125.
Ciment, Michael, Kubrick, Rizzoli, Milano 1999.
De Vecchi/ Cerchiari, Arte nel tempo, vol. 2 tomo II e vol. 3 tomo I, Bompiani, Milano
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Ghezzi, Enrico, Stanley Kubrick, Editrice Il Castoro, Milano 1999.
Hayes, John, Thomas Gainsborough, catalogo mostra Palazzo dei Diamanti, Ferrara
1998.
Lo Brutto, Vincent, La forza delle candele in Stanley Kubrick. L’uomo dietro la
leggenda. Biografia, Editrice Il Castoro, Milano 1999, pp. 401- 433.
Thackeray, William Makepeace, Le Memorie di Barry Lyndon, versione open source
on-line del Progetto Gutenberg.
Luperini/ Cataldi/ Marchiani, Il romanzo inglese: Defoe, Swift, Richardson, Fielding:
da Robinson Crusoe a I Viaggi di Gulliver, da Pamela a Tom Jones, in La Scrittura e
l’Interpretazione, vol. III, Palumbo, Milano 1997, pp. 976-984.
Matiz, Laura, Lady Lyndon: la melanconia nel Settecento. Barry Lyndon, un film di
Stanley Kubrick. Tesi di laurea inedita in Filmologia, corso di laurea in D.A.M.S.,
Bologna a.a. 2003-2004, depositata SIAE. Per gentile concessione dell’autrice.
Matiz, Laura, Libertini del Settecento. Stanley Kubrick e Daniel Nikolaus Chodowiecki,
in „Art e Dossier“ n° 225, Settembre 2006.
Sloam, Kim, Royal Academy e il consolidamento di una scuola nazionale in La pittura
in Europa. La pittura Inglese, Electa, Milano, pp. 135-171.
Starobinski, Jean, Il ritorno dell’ombra (tratto da: 1789 I sogni e gli incubi della
ragione) in R. Maffeis (a cura di), Goya, I classici dell’arte Rizzoli/Skira, Milano 2003.

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