L’origine del concetto di "cortesia" era legata alla civiltà delle corti, che si svilupparono soprattutto in Francia durante l’età
feudale. Dopo il Mille, alcuni castelli diventarono le sedi dell’attività artistica e culturale; i nobili e, soprattutto, le nobildonne
davano ospitalità e denaro agli artisti (in particolare ai poeti, i quali definirono la “cortesia” l’ideale dell’amore cortese). Essi
componevano i versi per le signore delle corti, elaborando un diverso concetto di amore rispetto a quello classico: amavano e
si prestavano come i vassalli nei confronti dei propri signori; non si aspettavano ricompense ma si accontentavano di
soddisfazioni simboliche ( dono di un oggetto appartenuto alla donna amata, il suo saluto ecc.). Il loro desiderio veniva
appagato dalla stessa devozione alla donna e dalla poesia, che rivestiva un ruolo liberatorio.
● La prodigiosa vitalità culturale era da collegare ad un quadro socio-politico altrettanto movimentato l’esplosione demografica
portò ad un miglioramento delle condizioni di vita, in quanto, fino al Trecento, non si verificarono epidemie tanto gravi, ed
economiche medie, che portarono ad un successivo ampliamento delle reti commerciali; i mercanti italiani iniziarono a
viaggiare in tutta Europa, acquistando il primato commerciale e finanziario sulla concorrenza straniera. Nacquero le prime
banche; allo scopo di tutelare l’attività mercantile, nacquero le prime compagnie assicurative. L’industria manifatturiera era
fiorente: le merci italiane erano un grande successo durante le fiere periodiche che si tenevano a Champagne.
● L’espansione economica era dovuta alla dinamicità del rapporto città-campagna: oltre al sistema feudale, i comuni
conquistarono i contadi e ridussero il potere dell’aristocrazia feudale. La produzione agricola, quindi, non si basava più
sull’esazione, ma sulla compravendita e sul miglioramento delle tecniche agricole.
Contesti e contenuti
La società e la cultura
● L’Italia, dopo l’anno Mille, era divisa in 4 grandi aree di influenza:
1. al Centro-Nord, il Regno italico era sotto l’autorità dell’imperatore tedesco;
2. il Mezzogiorno d’Italia era sotto il controllo dell’Impero bizantino;
3. la Sicilia era in preda agli Arabi;
4. la Campania era sotto il dominio dei Longobardi, che, precedentemente, controllavano gran parte della penisola.
● Questa frammentazione non permetteva di parlare di una storia dell’Italia unitaria: il potere era nelle mani dei grandi
proprietari terrieri, i cui possedimenti erano organizzati come dei piccoli sistemi autosufficienti, collegati dal castello, la dimora
del signore feudale e della sua corte, che sfruttava i prodotti delle campagne in cambio di protezione in caso di attacchi
esterni.
● Dopo il Mille, nel “Carmen ad Robertum regem” (“Poesia a Re Roberto”), il vescovo Adalberone di Laon formulò una teoria che
rispecchiava la società del suo tempo, ovvero la teoria dei tre ordini, che seguiva uno schema provvidenziale immutabile.
Secondo questa teoria, la società era composta da 3 ceti o classi:
1. coloro che pregano: oratores;
2. coloro che combattono: bellatores;
3. coloro che lavorano: laboratores.
● Si trattava di una gerarchia fissata da Dio, perfettamente corrispondente alla struttura del corpo umano, in cui la testa era
rappresentata dagli ecclesiastici, il ventre dai soldati e i piedi dai contadini. Ognuno svolgeva il proprio ruolo per mantenere
lo status quo ed evitare il passaggio da un ordine all’altro; quindi, questa teoria era lo specchio dell’immobilismo sociale e
della gerarchia tipica della società medievale. Questa visione della società era tipica dei ceti dominanti e fornì l'ideologia
della Rivoluzione Francese (1789).
● All’interno della società medievale, gli intellettuali erano legati alle istituzioni scolastiche; il termine “intellettuale” non
esisteva nel Medioevo. Vi erano 3 tipi di intellettuali:
1. il magister: maestro;
2. il doctor;
3. il litteratus: colui che conosceva il latino, ovvero la lingua della comunicazione colta.
● Quindi, l’intellettuale era un insegnante.
● Dopo la caduta dell’Impero bizantino, l’istruzione venne gestita dalle istituzioni ecclesiastiche; quindi, l’intellettuale medievale
era un ecclesiastico. Nelle scuole cattedrali (scuole organizzate all’interno delle cattedrali) e dei monasteri, i maestri
formavano i loro confratelli più giovani; per questo motivo, fino al Duecento, la maggior parte dei laici era analfabeta, anche le
classi più agiate. La cultura, nella formazione di un gentiluomo, non rivestiva un ruolo primario: un re doveva apprendere i
precetti della vita pratica (come cacciare, fare la guerra, amministrare lo stato ecc.) e il saper scrivere e leggere erano
considerate delle competenze accessorie. Vi erano anche delle rare eccezioni: per esempio, Federico II° era alfabetizzato e
coltivava personalmente le arti e la filosofia. Generalmente le persone colte erano i chierici ( persone appartenenti al clero),
che potevano compiere un ciclo regolare di studi. Gli studi erano incentrati sulla Bibbia e sugli scritti dei Padri della Chiesa,
ma contemplavano anche lo studio delle arti liberali, divise in Arti del Trivio (grammatica, retorica, logica) e Arti del
Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia).
● Nonostante la distinzione tra discipline umanistiche e scientifiche, la scienza era subordinata alla fede e doveva essere
interpretata in chiave cattolica. Gli intellettuali cristiani e pagani condividevano un legame ambivalente: i cristiani
apprezzavano lo stile e il profondo pensiero pagano, ma non i suoi contenuti, spesso incompatibili con il cristianesimo. Quindi,
la cultura medievale oscillava tra la condanna e l’interpretazione cristianizzata delle opere pagane.
● A partire dalla fine del XI° secolo, nacquero le scuole cittadine (università), nelle quali gli intellettuali si laicizzarono. Le
universitates erano nate come associazioni private di studenti e maestri e che permettevano lo studio delle arti liberali, del
diritto, della medicina e della teologia. Nelle università, le componenti laiche ed ecclesiastiche erano a pari livello.
● Nonostante ciò, molti maestri, che insegnavano nelle università, erano laici e la teologia rimaneva centrale in ogni curriculum
scolastico. Le lezioni universitarie erano tenute in latino, in modo tale da annullare le barriere linguistiche e permettere ai
maestri di viaggiare in tutta Europa in cerca di sedi più prestigiose o per fondare nuove università. Le città universitarie
(Parigi, Salerno, Bologna, Padova, Salamanca) si arricchirono di quartieri abitati da comunità studentesche (nationes). Le
università portarono, quindi, all’internazionalizzazione culturale e alla coesione sociale.
● Oltre agli intellettuali laici e chierici, si profilò anche la figura dell’uomo di pensiero al servizio dello Stato. Nei comuni,
mancava un ceto nobiliare dominante e uomini, come Brunetto Latini, Cino da Pistoia e Dante, unirono così attività
intellettuale e impegno pubblico, diventando attivi nella politica comunale; diversamente, nel Trecento, intellettuali, come
Petrarca e Boccaccio, presero gli ordini religiosi, non tanto per scelta di fede quanto per garantirsi una rendita (i comuni erano
indeboliti, le città rette dalle signorie e l’attività letteraria molto limitata).
● Gli intellettuali scrivevano in latino: perciò, una saggistica in volgare era quasi del tutto inesistente. La letteratura era unita
alla vita universitaria e, al di là di essa, il pubblico mostrava interesse soltanto a tematiche di carattere quotidiano.
La filosofia e la teologia
● All’interno delle università, nacque un nuovo metodo scolastico, articolato in 2 fasi:
- la quaestio: interrogativo proposto dal maestro agli studenti ed analizzato al fine di trovare una soluzione;
- le disputationes: dispute per discutere la quaestio del maestro.
● Il pensiero filosofico, elaborato nelle università e che prende il nome di “Scolastica”, derivava dallo stretto rapporto tra
produzione scientifica e scuola. Se precedentemente gli uomini di pensiero si rivolgevano ai confratelli e ai fedeli incolti i
propri scritti, ora si rivolgevano ad allievi che necessitavano di un’istruzione. Si assistette quindi ad una sistematizzazione del
sapere: summae, commenti e saggi fornivano informazioni utili agli studenti nel campo della teologia, del diritto, della
medicina, della retorica e di tutte le discipline universitarie.
● I filosofi medievali dovettero affrontare 2 cruciali problematiche:
1. il rapporto con il pensiero pagano;
2. il rapporto ragione-fede.
● Durante il XI° e il XII° secolo, ebbe inizio le opere di traduzione dei testi aristotelici in latino e la loro interpretazione in chiave
cattolica: il philosophus influenzò profondamente il pensiero tardomedievale. Il suo pensiero arrivò fino in Occidente per via
indiretta grazie alle traduzioni dei filosofi arabi Avicenna e Averroè; questi diedero particolare rilievo al razionalismo
aristotelico, svalutando la metafisica, la quale si sarebbe potuta accordare con i valori cristiani: Averroè negò l’immortalità
dell’anima e affermò l’eternità del mondo (tesi inaccettabili per i cristiani). Nonostante ciò, si cercò spesso di inquadrarlo
nell’ambito della fede, arrivando altrettanto spesso a divieti e censure da parte delle autorità ecclesiastiche.
● Più vicina alla metafisica era, invece, la filosofia delle idee di Platone, alla quale si ispirò il maggiore padre della Chiesa
Agostino: egli gettò le basi della “Scolastica”. Durante il XIII° secolo, si intensificarono gli studi su Aristotele e Platone; la
Scuola di Chartres, in particolare, elaborò la nuova metafisica platonico-cristiana.
a) I romanzi storici rielaboravano gli antichi eventi ed eroi, rendendoli accessibili all’aristocrazia, spesso analfabeta in fatto di
latino; Un esempio potrebbe essere la leggenda di Alessandro Magno, raccontata da Albéric de Pisançon nel “Roman
dAlexandre”, oppure la leggenda della guerra di Troia, raccontata da Benoit de Sainte-Maure nel “Roman de Troie”.
b) I romanzi storici, nella seconda metà del XII° secolo, diventarono delle opere nate dall’immaginazione degli autori per
celebrare i prodi cavalieri; un esempio poteva essere la “materia bretone”, che narrava le avventure dei Celti e del re Artù
e dei suoi cavalieri della Tavola Rotonda, in lotta contro gli Anglo-Sassoni; notevole era anche la leggenda arturiana di
Wace, che celebrava i re anglo-normanni e il loro passato glorioso in modo tale da legittimare il potere presente. Alla
materia bretone apparteneva anche la storia di “Tristano e Isotta” e del loro rapporto adulterino.
● Il maestro del romanzo fondato sull’invenzione fu Chrétien de Troyes, il quale, con i romanzi “Erec et Enide”, "Cligès", “Yvain” e
“Lancelot”, plasmò l’immagine dell’eroe in grado di superare gli ostacoli dimostrando la sua lealtà e il suo valore. Il romanzo di
De Troyes era ritenuto l’antenato del moderno “Bildungsroman” (“romanzo di formazione”), che ricostruiva la personalità del
protagonista attraverso l’avventura. Gran parte dei romanzi francesi vennero imitati nella letteratura italiana e poi intersecate
con le leggende arturiane (soprattutto, Boiardo).
La lirica provenzale
● Anche la lirica in volgare nacque e si sviluppò in Francia, nelle regioni della Provenza e della Linguadoca in particolar modo
(sud), in dialetto occitano (o lingua d’oc); i lirici che componevano in quell’area e in lingua d’oc si chiamavano “trovatori”. Più
tardi, la lirica volgare si estese anche al nord della Francia, però in lingua d’oil ( o dialetto oitanico), per opera dei trovieri.
● I temi dominanti della lirica trobadorica erano:
a) la cronaca e la vita politica contemporanea: commentate dai poeti che risiedevano presso le corti dei principi;
b) la satira: i poeti intrattenevano il pubblico con scherzi e invettive contro altri poeti; tipica era la forma poetica della
tenzone (dialogo in versi nel quale due poeti argomentano il proprio punto di vista);
c) la morale e la religione: temi del genere poetico del sirventese;
d) l’amore: tema principale della poesia trobadorica (soprattutto canzoni); è un amore idealizzato e immateriale: l’amore
cortese.
● L’amore cortese non poteva essere corrisposto, perché la donna amata, lodata e corteggiata era già sposata oppure era la
donna di corte che accoglieva il poeta nella sua dimora; il poeta le offriva dedizione senza aspettarsi di essere ricambiato:
questo era il famoso “paradosso cortese”.
● Dal punto di vista della fruizione dei testi, la poesia trobadorica era pensata per essere recitata davanti ad una corte e per
essere accompagnata dalla musica.