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STORIA ROMANA

1. LE ORIGINI DELLA CITTÀ

I popoli d’Italia e la “fondazione” di Roma

Nella penisola italiana iniziarono a formarsi tra il XII/X secolo (età del bronzo/inizio età del ferro)
raggruppamenti etnici consistenti, che assumono carattere di stirpe. Una manifestazione significativa è in
Emilia, in un suo punto detto Villanova (rito incinerazione e rito dell’inumazione). Roma nasce quindi in uno
stadio avanzato del processo, nell’VIII secolo, grazie a:
- Pascolo transumante o stanziale
- Tecniche agrarie
- Sfruttamento risorse minerali
- Traffici egeo-micenei e fenici

1. Etruschi: centro in Toscana, tra pianura padana Lazio e Campania. L’origine degli Etruschi è vista
come uno sviluppo della città villanoviana grazie allo sfruttamento delle risorse minerarie
metallurgiche (ferro nell’isola d’Elba), la culture agrarie avanzate, attitudine al commercio, forte
differenziazione sociale (grandi tombe aristocratiche). Si parla di rivoluzione villanoviana, che nel IX
secolo porta all’affermarsi di modelli di città. Queste erano autonome e rette da un re detto
locumone e da magistrati. Per gli sviluppi romani è interessanti la disciplina etrusca, regole di un
formalismo rituale con il quale si interrogavano le divinità (fegati degli animali sacrificati, volo degli
uccelli). La Campania divenne il terreno di impatto fra i Greci e gli Etruschi. Gli Etruschi saranno poi
fermati dai Greci sulla costa corsa e poi a Cuma.

2. Greci: le colonie greche si svilupparono lungo la costa campana e lungo la costa ionica. È la cultura
che meglio esprime il modello di città per i romani (insieme a quella Etrusca). Le città greche con il
loro ordinamento istituzionale di magistratura annuale elettiva, Senato e assemblea, offrivano un
modello di assetto democratico, retto di fatto da aristocrazie.

3. Popoli Italici

 I Liguri: dall’area ligure all’attuale Piemonte e Lombardia (arco territoriale che si sarebbe ristretto
per l’arrivo poi dei popoli celtici)
 I Veneti: lato opposto ai Liguri
 Gli Umbri: nell’attuale Umbria
 Gli Iapigi: nell’attuale Puglia
È il terzo grande nucleo che caratterizzava l’Italia a inizio età del ferro, attorno ai Latini. Questi, al contrario
degli etruschi e latini non conobbero però l’evoluzione cittadina, ma rimasero in un sistema di arretratezza
economico e istituzionale. Tra tutte le civiltà ebbero la più dirompente forza espansiva.

4. Latini: a sud-ovest degli Etruschi, affacciati sul Tirreno

I Latini si formarono tra convergenze di elementi autoctoni, elementi italici di prima generazione e
immissioni villanoviane. Le varie componenti culturali sono segnalate dai sepolcreti nell’area albana e del
Palatino, mentre in alcune aree erano d’uso tombe a fossa. Sui monti Albani le comunità latine che si
venivano formando, i trenta popoli Albanses della tradizione di Plinio il Vecchio, si incontravano per
celebrare il culto di Giove, evidentemente anche in una certa coesione politica. Alla fine del VIII/VII secolo,
nell’area vi fu una generale spinta verso l’urbanizzazione che veniva dai modelli delle città etrusche e
magnogreche confinanti. Centro più rilevante divenne Alba Longa ed altre, comunità che si caratterizzavano
per una concentrazione iniziale di gruppi gentilizi attorno ad un re, per poi passare ad un regime
direttamente aristocratico. Fra queste città dunque si formò anche Roma.

Roma sorse su un sito particolarmente favorevole, in comunicazione con Appennino e Mar Tirreno sulla via
del sale, dove erano le saline. L’isola tiberina sul posto favoriva l’utilizzazione del fiume. Accanto, sulla piana
fra Palatino, Campidoglio, Aventino sorgeva infatti il Foro Boario, il mercato del bestiame. I primi
raggruppamenti di formarono sui colli circostanti la piana del fiume. I sepolcri si trovavano lungo i colli
(segno che non vi era ancora un centro urbano unificante). Le genti dei colli si andavano poi via via
aggregando, per spontaneo ampliamento dei villaggi, fino a formare una comunità cittadina alla quale si
aggiunsero i Sabini del Quirinale.

Il problema della nascita di Roma è legato all’idea di fondazione e quella di città. La tradizione letteraria
antica, per nulla uniforme, parla di una fondazione. Gli storici moderni sono divisi tra:
- Ipercritica (Pais)
- Critica moderata (De Sanctis)
- Fedeltà alla tradizione
La visione critica prevalente a metà secolo scorso negava lo stadio di un vero atto fondativo di Roma; si
pensa dunque ad un lento ma progressivo processo che avrebbe portato Roma alla forma di cittadina nella
seconda metà del VII secolo. In particolare suggeriva tale ricostruzione la pavimentazione del Foro. Una
svolta negli studi è avvenuta intorno agli anni ’80 del 900, per gli scavi sul Palatino condotti da Carandini. Le
tracce di testimonianze databili tra la seconda metà del VIII secolo, riabilitano il dato fondativo della
tradizione. Si tratta dei resti di un muro a valle del Palatino, che fu subito battezzato “il muro del Remolo”, e
residui di una pavimentazione a ciottoli del Foro che sarebbe quindi la prima. Per alcuni questi dati non
sarebbero sufficienti per giustificare le arditi conclusioni di Carandini. Secondo Ampolo ritorna all’idea di
processo storico e il dibattito resta ancora aperto. Probabilmente nella primitiva Roma quadrata del
Palatino abbiamo la prima forma di Roma, nucleo che ha in sé la possibilità di ampliarsi. Emblema sono le
mura “serviane”, il cui preciso circuito originari è incerto ma includeva verosimilmente in maniera unitaria
tutti i colli, eccetto l’Aventino.

La tradizione sui sette re

Sulle origini di Roma si intrecciano due tradizioni:


1. Indigena: nelle sue varie espressioni orali riguardava la saga dei gemelli Romolo e Remo.
2. Greca: l’esule Enea approda nel Lazio dove sposò Lavinia, figlia del re Latino, e fondò Lavinio.
Ellanico di Mitilene nel V secolo poneva Enea senz’altro come fondatore di Roma, mentre Ellanico di
Mileto e Antioco di Siracusa lo vedevano in Campania e nel Lazio.
La tradizione locale voleva Roma fondata più tardi, nel 1200 (solo Ennio e Nevio facevano stranamente
Romolo nipote di Enea). Si inserì allora, per colmare il vuoto, tutta una lista di re di Alba Longa (che si
trovano anche in Eratostene nel III secolo) a cominciare dal suo fondatore Ascanio/Iulio, figlio di Enea, fino a
Numitone e al fratello usurpatore Amulio, che abbandonò sul Tevere i gemelli, figli di Marte e Rea Silvia,
figlia di Numitone. Nella ricostruzione di Carandini l’indagine archeologica viene fatta risalire anche la
tradizione indigena fino alla stessa alta età regia, ma tale ricostruzione rimane soggetta alle obiezioni. Gli
ultimi studi linguistici riportano Romolo e Remo nomi etruschi, si può dunque ritenere che l’età del
predominio a Roma sia stata effettivamente una fase di elaborazione del mito.

Per quanto riguarda l’origine orientale romana, non del tutto comoda, è stata accettata dalla tradizione degli
Annali Massimi, rifatti nel IV secolo dopo l’incendio gallico del 390, è probabile che essa fosse ormai
consolidata. Per il resto, seguendo la ricostruzione di Varrone, l’annalistica aveva ricordato solo i sette re di
Roma e si calcolò che ognuno avrebbe potuto regnare per una generazione, cioè 35 anni. Pertanto dalla
data di inizio della Repubblica (posta nel 509 da Varrone) si risalì a una data per la fondazione di Roma al
754/753, secondo il calcolo varroniano. La fondazione di un primo nucleo preurbano di Roma sul Palatino in
pieno VIII secolo non è in discussione. Vi furono però verosimilmente molti altri re, di cui si è perduta
traccia. Dai nomi dei re si intuisce il legame tra le due etnie parentali: Latini (Palatino) e Sabini (Quirinale).

I sette re per tradizione sono:


1. Romolo
2. Numa Pompilio, re sabino
3. Tullio Ostilio, re latino > legato alla vittoria di Roma su Alba Longa
4. Anco Marcio, re sabino > legata l’estensione fino ad Ostia e la creazione del porto
5. Tarquinio Prisco, etrusco > legate le emigrazioni aristocratiche mediterranee
6. Servio Tullio
7. Tarquinio il Superbo, etrusco
L’episodio dei Vibenni, aristocratici etruschi che lottano con i solo sodales (fra cui il futuro re Servio Tullio)
contro altri aristocratici etruschi (i Tarquini) per il comando su Roma lasciano intendere che la successione
dei re a Roma non fu sempre pacifica. È pensabile che si siano conservati nella tradizione i nomi dei re
collegati a grossi eventi della loro epoca.

Gli spazi della città e il territorio

Le prime strutture urbane. L’area in cui sorse Roma si fa risalire alla cerimonia sacra comune agli abitanti dei
colli, il Septimontium, che segna il nucleo originario del Palatino e nella Velia. Ai piedi del Palatino il Foro
Boario sul cosiddetto portus Tiberinus, rappresentava il punto commerciale e culturale di incontro. Una
prima fortificazione in muratura riguardò il VIII secolo, proprio la rocca sul Palatino. Il pomerium
della cosiddetta Roma quadrata doveva essere più ampio scendendo a valle. Fra fine VIII secolo/VII secolo si
cominciò a formare il complesso che comprendeva, col Palatino, il Foro e il Campidoglio, con delle
pavimentazioni del Foro. Fra fine VII e VI secolo la realizzazione del Comitium, il luogo di riunione delle
assemblee dei cittadini e come tale emblema della vita politica e giudiziaria della città, quindi la Curia, sede
del Senato. Per quanto riguarda le strutture territoriali, alcuni degli insediamenti originari possono rinviare
ai pagi (circoscrizione territoriale rurale, cioè al di fuori dei confini della città) che sono stati messi in
relazioni con le gentes. Ma i pagi sono pochi rispetto alle gentes, dunque solo alcuni possono aver coinciso
con un territorio gentilizio. Conosciamo le prime aggregazioni tra Roma e Palatino, cioè Velia e Celio, in
relazione con il sistema gentilizio. Le curie novae hanno nomi gentilizi ma ne conosciamo comunque poche,
Infine si ha l’assetto delle tribù serviane: le quattro urbane Suburana, Palatina, Esquilina, Collina, che
corrispondono alla nuova ripartizione di Roma in quattro regioni. Le mura serviane delineano la città così
formata. Rispetto ai centri laziali rimasti esterni Roma assunse già con Tarquinio una posizione di
predominio, di cui non possiamo determinare le forme giuridiche. Interesse particolare per Roma fu lo
sbocco sul mare, con la fondazione di Ostia, mentre il controllo dei colli Albani diede modo di controllare la
costa laziale meridionale.

2. LA SOCIETÀ PATRIARCALE E ISTITUZIONALE

Il potere e l’ordinamento
Nella Roma delle origini la tradizione vedeva una suddivisione della popolazione in tre tribù:
- Ramnes
- Tities
- Luceres
Questi nomi sono stati messi in relazione con Romani, Sabini e abitanti del bosco o Etruschi. Sul piano
linguistico è ribadita la loro origine latina e non etrusca. La prima struttura nell’area è quella della famiglia,
un elemento caratteristico della società romana, con a capo il pater familia che esercita la patria potestas.
Sopra la famiglia, nell’ambito dei rapporti parentali, troviamo la gens, una sorta di famiglia molto allargata
che non ha una struttura potestativa (non v’è un pater gentis) anche se vi è un capo, il princeps come
autorità guida (es. i Claudi guidati da Atto Clauso). La gens rispetto alla generica tribù e alla famiglia è una
prima struttura comunitaria: ha propri sacra, mores e iura. La nascente comunità ha bisogno di una
struttura apposita:

- Curie, riunioni di uomini, assemblee. Una loro testimonianza è la divisione in veteres con nomi di
luogo e novae con nomi gentilizi. Le curie partecipavano singolarmente alle feste antichissime
come:
 Forcalia: legate al ferro
 Fordicia: la vacca gravida sacrificata per Tellure
Riunite, formavano l’assemblea del Quirites, che cura i rapporti sociali basati su quelli famigliari.
Queste strutture oscillano tra lo spontaneo e il civico avvertendo che tutte, tranne la famiglia, potrebbero
essere interpretate anche come costruite dall’organizzazione comunitaria. La tradizione attribuisce a
Romolo un ordinamento di tre tribù che corrispondono a trenta curie. Fino a Servio l’ordinamento era
costituito da rapporti di parentele di gruppi tribali che dalle capanne dei colli si allargavano e riunivano nel
piano. Con la monarchia etrusca avviene un salto di qualità per la formazione della città sia dal punto di
vista urbanistico che istituzionale. Viene definito l’imperium, il comando assoluto, sanzionato dalla lex
curiata. Sono etrusche, infatti, le simbologie del potere regale, i littori con fasce di verghe e le scuri (potere
di fustigazione e di morte), la veste di porpora ricamata d’oro, il trono eburneo, lo scettro con l’aquila. Si
creano ora i luoghi di espressione pubblica del potere:
- Il Comitium e la Curia
- Pomerium area della città delimitata dalle mura
Dal punto di vista civico e sociale la nuova struttura è data dal censo, il quale doveva aggiornarsi a intervalli
regola, ogni cinque anni forse, ed era sacralizzato con la cerimonia del lustrum, con processione e sacrificio
agli dei, che sacralizzavano anche l’ordine sociale costituito. Si formano così le quattro tribù urbane, che
forniranno la base nella prima età repubblicana per le assemblee tribute, su criterio cioè solo territoriale. Il
censo ha dunque lo scopo di inquadrare i cittadini nelle due classi sociali che probabilmente formeranno il
primo ordinamento centuriato:

a. Classis: vi fanno parte quelli che possono essere chiamati nell’esercito in quanto hanno la possibilità
di fornirsi di una armatura.
b. Infraclassem
Questi cambiamenti, la centralità del censo e le suddivisioni tribali territoriali, rompono la struttura di
potere formatesi sulle gentes. Non a caso il senato aumenta ora da 100 a 300 membri con l’immissione di
nuove genti, le “genti minori”. Ora, dunque, si può parlare di populus in senso unitario, al di là dei rapporti
di parentela e cominciò a formarsi il concetto. Motore dell’ordinamento preserviano e serviano è la figura
del re. Nel “sinecismo” delle tribù e delle famiglie dei colli, i detentori di potere locale, i patres familias,
eleggono un capo come guida, specie per occasioni di guerra. Alla morte del re vi è un interregnum, in cui
gli auspicia tornano ai patres, che nominano a turno un interrex fino alla creatio del nuovo re.

L’ imperium del re, in una società senza strutture politiche e amministrative concentra i poteri militari, civili
e l’autorità religiosa. La scelta del re era legittimata dall’assenso divino assicurato dall’inauguratio, la
risposta positiva alla domanda degli auguri, che carica la figura del re di un carisma magico-religioso. Il re,
come interlocutore privilegiato degli dei, possedendo gli auspicia, custodisce la pax deorum, cioè la
condizione per la prosperità e il successo militare della città. Nella sua attività il re è affiancato da un:

- Magister equitum
- Magister militum
- Quaestore parricidi (questioni giudiziarie)
Il reo “pubblico” è punito con la consecratio, che di nuovo chiama in causa l’autorità divina a cui gli è offerto
un rito che diventa purificazione collettiva. Coloro che dividevano il potere con il re erano proprio i collegi
sacerdotali, con i pontefici per la custodia e l’interpretazione dei mores e iura.

Le appartenenze e i rapporti sociali

I gruppi sociali individuabili in età regia (753 a.C. – 509 a.C., cacciata dei Tarquini) sono i gentiles (membri
della gens), i clienti e la plebe.

a. Gentiles: sono i componenti dei gruppi famiglia che la costituiscono. Dunque si appartiene
dapprima alla famiglia dove domina la potestas del pater familias. Ad essa appartiene la moglie del
capofamiglia (che perde ogni legame con la sua famiglia originaria). Si può entrare nella famiglia
mediante l’adozione, in particolare:
 Adrogatio: di un pater familias
 Adoptio: adozione di un filius familias
Oppure si entra all’interno della famiglia, in età più nota, attraverso la cooptatio, autorizzata da un voto dei
gentiles che si riunivano.

b. Clienti: sono gruppi subalterni delle gentes, del tutto interni al sistema gentilizio in quanto sono
legati al patrono gentilis da un rapporto di dipendenza che nelle leggi delle XII Tavole. Si tratterà di
una dipendenza economica: i clienti lavorano la terra comune dei gentiles e ricevano un piccolo
lotto di terreno, che potrebbero essere i due iugera della tradizione romulea.

c. Plebe: rappresenta la massa al di fuori del sistema gentilizio ma fa parte a pieno titolo del populus.
Può far parte della classis dell’ordinamento centuriato serviano (per questo la sua azione
rivendicatrice sarà vincente in età repubblicana).

Le modalità di formazione della clientela e della plebe sono simili:

- Assoggettamento
- Incorporazioni di vinti
- Immigrazioni spontanee
La capacità di accoglienza di Roma, da parte delle classi dirigenti, sarà alla base della costruzione
dell’impero. In una prima fase le immissioni entrano a far parte di un sistema gentilizio; in un secondo
momento, mentre il sistema gentilizio diventa satura e inizia a sfaldarsi, i nuovi arrivati restavano fuori
dall’ambito delle gentes: era la plebe “senza gente”. Del resto questi, in molti casi, erano economicamente
indipendenti e non bisognosi: si trattava di mercanti, artigiani, piccoli e medi proprietari. Un primo punto
per l’incremento plebeo si può vedere nella vittoria su Alba Longa, intorno alla metà del VII secolo e dunque
alla conquista dell’ager. Probabilmente si erano formate delle clientele attorno ai plebei più agiati.

I primi rapporti economici

La Roma primitiva era sorta in un ambiente silvo-pastorale, con una terra poco generosa in produttività.
L’economia si basava dunque soprattutto sulla pastorizia. Si ricordino le feste/riti dei Lupercalia, dei Parilia e
Pales nel Foru Boarium. Un'altra risorsa era sempre la caccia. La produzione agricola verteva, seppur
difficoltosa, su cereali come farro e orzo.
Un primo problema che sorge è il rapporto fra terre di proprietà individuale e terre di pertinenza collettiva.
Romolo avrebbe assegnato ai cittadini due iugera (= un heredium). Questo non sarebbe riuscito a soddisfare
i bisogno di una famiglia, bisogna dunque pensare dunque che il fabbisogno per una famiglia fosse integrato
dallo sfruttamento delle terre comuni della gens: boschi, pascoli, acquitrini. Con la tradizione bisogna
pensare a nuclei di proprietà privata già dai primi re, non potendo la riforma serviana (basata sul censo e
sulla proprietà privata) essere stata fondata su una struttura collettivistica. Con la riforma del censo e la
creazione di tribù territoriali Servio sfaldò la struttura gentilizia arcaica della società romana.

La posizione di Roma è favorevole ai commerci. Il primo centro di smercio preurbano rappresenta l’area del
Foro Boario, con segni di frequentazione fenicia, greca ed etrusca. Roma era in comunicazione con le vie poi
dette Tiberina, Campana e Salaria. I coloni greci della costa campana, Eubei di Cuma, mostrano il loro
influsso in iscrizione arcaiche latine del VII secolo con alfabeto eubico e per la diffusione della ceramica
greca.

La mentalità: religiosità e diritto

Nella Roma delle origini vi era uno stretto legame tra religiosità e diritto (alcuni vedono già una certa
autonomia del ius civile). Fra i Latini vi era una religiosità etnica, che rinviava ad un gruppo e poi civitas. Una
prima espressione è il culto di Iuppiter Latialis che sul monte albano Cavo riuniva i Latini nella Lega Albensis.
La civitas, accentrata sull’emergente Roma, si identificò nel culto di Giove e della triade capitolina: Giove,
Marte, Quirino (secondo Dumezil potere magico-giuridico, forza guerriera, fecondità produttiva). Il re a
Roma è infatti il capo politico e militare, supremo giudice, ma anche sacerdote. Il suo imperium gli dà la
possibilità di interrogare gli dei e prendere gli auspicia con l’ausilio del collegio degli auguri.

Dalla disciplina etrusca i romani prendono l’idea di spazio diviso in settori: quello terreno e celeste. Gli spazi
umani, ritagliati dal lituus, sono considerati coperti da segni degli dei da interpretare. Come lo spazio anche
il tempo è suddiviso e sacramentato, vi è il calendario di Romulo e uno riformato di Numa. Elaborato dal
pontefice vi sono i giorni fasti (da fas, il permesso della parola divina) in cui si è autorizzati a tenere
giurisdizione e nefasti di sospensione.

A Roma la vita degli dei sembra esaurirsi nella loro funzione civica, di legittimazione. È la terza caratteristica
di fondo della religiosità romana, dopo quella etnica e giuridico-contrattuale: quella di non essere
mitopoietica, di non costruire cioè mitologia divina, storie degli dei e della nature come invece in Grecia. Gli
exempla a Roma sono il modello di comportamento, nella religiosità civica vengono a sostituire il mito.

In questo quadro è evidente come i sacerdoti svolgessero a Roma una funzione di massimo rilievo:
selezionati per la cooptazione, conservano il calendario, i mores pubblici e privati.

L'EREDITÀ DEI PATRIZI

Dalla nascita della repubblica (509 a.C.) fino alla prima metà del III secolo, la civitas Romana va costruendosi
sia nella sua impalcatura politico-istituzionale che nella sua configurazione territoriale. La caduta della
monarchia etrusca porta con sé, a Roma, un ripristino del controllo della gentes sulle strutture esistenti e
l'esclusione di colore che si trovano all'esterno, i senza gente, cioè i plebei. Roma si troverà ad affrontare
una serie di contrasti con i popoli prossimi e spesso in espansione:

- Nord: etruschi
- Nord-est: sabini
- Est: equini
- Sud: Volsci
L'esercito romano era organizzato a partire dalla riforma serviana su base censitaria, pertanto contava
sull'apporto plebeo, o meglio, di quei plebei che rispondevano ai requisiti economici richiesti.

1. l'egemonia nel Lazio

La storia a Roma si sviluppa in una lunga serie di scontri che città intraprende sin dai suoi esordi con i popoli
e le comunità di fronte alle quali viene a trovarsi. Gli scontri con i Latini si configurano come lotte di contesa
per la preminenza politica mentre le guerre con le popolazioni del Lazio(Volsci, Equi, Sabini, Ernici) hanno
ancora la facies di scontri tra popolazioni che si contendono il controllo di un territorio di sussistenza. Sono
guerre che si articolano in episodi, limitati nella durata, di razzie, saccheggi e scontri di confine. È a fine del
V secolo che l’ultimo confronto con la città etrusca di Veio avrà una caratterizzazione differente, da
importante una qualche modifica sul sistema di milizia romana.

La fine della monarchia etrusca non sancì il tramonto della cultura etrusca a Roma e neppure della presenza
stessa degli Etruschi nella città o delle loro mire su di essa. C'è la notizia da parte di Tacito e Plinio il Vecchio
di un'occupazione di Roma ad opera di Porsenna, re di Chiusi. Potrebbe averne approfittato del vuoto di
potere a Roma lasciato dalla cacciata dei Tarquini. La tradizione vede il re fermato nel suo assedio a Roma
dal coraggioso Orazio Coclite e Munzio Scevola. Fu proprio mentre Roma era sotto il controllo di Porsenna
che le città latine, sollecitate dal rovesciamento della monarchia etrusca e preoccupate di questa nuova
ondata di espansione etrusca, si portarono contro gli stessi etruschi entrando in alleanza con Aristodemo di
Cuma. La coalizione riuscì a sconfiggere ad Aricia (506) Arrunte, figlio di Porsenna.

Nella riorganizzata Lega altina, dopo la vittoria su Arrunte, Roma non rientrava. Nella città si tramanda che
anzi si fossero rifugiati i reduci etruschi da Aricia. Il primo atto della Lega fu muovere un attacco contro
Roma. Lo scontro decisivo avvenne su lago Regillo (496), nei pressi di Frescati. Il risultato dovette trattarsi di
una parità sul campo militare, così che il foedus che ne derivò fu aequum. Lo stipulato tra la Lega e Roma fu
firmato dal console Spurio Casio e rappresenta una ricomposizione del fronte latino, spezzato dalla Roma
etrusca. Il fouedus cassiano stabilisce la pace duratura:
- reciproco sostegno in guerra e spartizione del bottino
- comando militare forse attribuito ad anni alterni all'uno o all'altro
- A Roma e alla Lega venivano garantiti diritti comuni (ius commercii, ius conubii e ius migrandi)
- NON impediva l’instaurarsi di rapporti bilaterali tra Roma e le singole città riunite nella Lega latina.

Un altro foedus è quello stipulato con gli Ernici (tra i Volsci e gli Equi) nel 486, completando il quadro delle
alleanze con Roma. Gli Ernici ricavano da questo accordo la protezione di Roma nei confronti dei loro
bellicosi vicini; Roma al contempo si introduce in un'area di controllo strategico. Gli scontri contro i Volsci e
gli Equi si svilupparono per tutto il V secolo e, per la prima metà del secolo è la Lega latina che combatte per
Roma su questo fronte.
- Volsci sottrassero a Roma la pianura Pontina e il Lazio costiero
- Equi conquistano le città latine di Tivoli e Preneste
A questi conflitti si aggiungono quelli coi Sabini da nord-est (scontri sfuggenti). Verso metà secolo la guerra
contro gli Equi e Volsci riprese. La tradizione registra, incerta, due vittorie sul Monte Algido:
- nel 458 contro gli Equi ad opera di Cincinnato
- nel 431 i Volsci furono sconfitti dagli Ernici (ma la pace giunge solo nel 396)
Mentre su questo fronte Roma riceva l'aiuto di Latini e Ernici, sul fronte settentrionale essa si confrontava
da sola con la città etrusca di Veio per gli interessi nel controllo delle saline alla foce del Tevere e del traffico
della Campania per il controllo su Fidenae. Seguono diversi conflitti tra Veio e Roma:
a. 483-474
b. 437-426: conquista di Fidenea
c. 406-396
La presa di Veio ad opera di M. Furio Camillo fu decisiva per Roma: la città fu distrutta; sul suo territorio
vennero istituite quattro nuove tribù romane. È la prima forma di annessione, l'ager venne distribuito nella
misura di 7 iugera (un progresso notevole rispetto ai 2 iugera).
Dopo la presa di Veio i romani subirono un altro episodio decisivo per la loro storia, nel 390 con l'invasione
dei Galli Senoni. Le popolazioni celtiche, che già da decenni erano scese in Italia e avevano occupato l'Italia
padana. I Senoni infine si stanziarono nella Romagna, probabilmente legandosi ai Greci di Siracusa. I
Senoni, dopo essersi diretti a Chiusi si mossero verso Roma sconfiggendo l'esercito romano sul fiume Allia.
Presero, quindi, saccheggiarono la città (non restano però segni di un incendio). Si rese necessario il
pagamento di un tribuno per allontanarli. Anche qui una figura salvifica: Manlio Capitolino così chiamato
perché liberò il Campidoglio. Roma dovette affrontare poi una serie di disordini interni ed esterni. Le
popolazioni confinanti di Volsci, Equi e alcune città etrusche colsero l'occasione per riprendere a minacciare
i confini. Ernici e alcune città latine cambiano fronte, infastidite dal ruolo di indipendenza che Roma stava
assumendo. Giovò per Roma l'aiuto di altre città latine (che forse suggeriscono una nuova organizzazione di
Roma. Risale in questi anni il munipium romano). In questi anni Roma:
- Sconfigge gli Ernici > ottengono nel 358 un rinnovo del foedus Cassianun, in direzione di una netta
prevalsa di Roma
- Equi definitivamente sconfitti
- 358 sconfigge i Volsci e poi ancora gli Ernici
In tutti i territori si stanziarono cittadini romani e nel 354, infine capitolarono le due città latine ostili: Tivoli e
Preneste. Nel 343-41 Roma giunse poi allo scontro con i Sanniti (parlerà in seguito).

2. La lenta costruzione di una civitas


Mentre Rome vive un'impegnativa stagione di politica esterna si sviluppa internamente una dinamica di
scontro tra patrizi e plebei. Ne sono promotori i plebei che garantiscono il funzionamento della città e del
suo esercito ma sono esclusi sul piano dei godimenti dei diritti. Il conflitto conduce alla definizione di un
nuovo organismo istituzionale. Alla divisione all'interno della civitas tra patrizi e plebei ne esiste un'altra
all'interno dello stesso gruppo plebeo: i plebei all'interno dell'ordinamento censitario a classi diverse
differivano e avevano dunque una diversa posizione nella vita pubblica e istituzionale. Le esigenze di questo
gruppo erano infatti plurime: alla necessità di migliorare le condizioni di sussistenza della fascia più povera
agli accessi degli honores dei plebei economicamente capaci.
La prima fase mostra un'organizzazione complessiva e identitaria della plebe. Nel 494 vi fu la secessione
della plebe sul monte Sacro. Di ritorno da una campagna militare i plebei si rifiutarono di tornare a Roma e
si ammutinarono. Qui si diedero anche una fisionomia istituzionale, sancita dalle leggi sacratae:
- Concilium plebis: organizzato su base territoriale (le tribù)
- Tribuni plebis: magistrati della plebe, con il compito originario di protezione dei plebei dal potere
dei magistrati. Prerogative dei tribuni
a. Ius intercessionis: concedeva al tribuno la facoltà di opporsi al magistrato a lui inferiore o
superiore nel cursus, ma anche al senato.
b. Ius auxilii: si faceva garante della plebe in qualche modo vessata
c. Ius sacrosanctitas: proteggeva l'incolumità fisica e morale, dandogli anche un potere di
coercitio: chi gli avesse dichiarato offesa, dichiarato sacer (maledetto) sarebbe stato offerto agli
dei.
d. possibilità di presentare proposte di leggi (rogationes) ai concilia plebis.
- Edilità plebea: gestione della cassa e dei documenti di archivio costuditi in un tempio sull'Aventino
consacrato da una nuova triade di divinità (Cerera, Libero e Libera) in antitesi a quella tradizionale
patrizia.
Il superamento della secessione, secondo la tradizione con l'apologo di Menenio Agrippa, rinvia a questi
anni l'origine dell'ideologia della concordia, elaborata nel IV secolo.
Nella civitas romana una seconda tappa è la necessità di un apparato normativo scritto. Le leggi, fino a quel
tempo gestite come consuetudine, dovevano essere scritte al fine di sottrarle all'interpretazione arbitraria.
Nel 451 fu costituita la magistratura straordinaria dei decemviri legibud scribundis un collegio di dieci
uomini tutti patrizi a cui fu affidato il compito della redazione normativa. In questo periodo vennero sospese
le magistrature ordinarie con una conseguente concentrazione del potere nelle mani dei decemviri. Alla fine
dell'anno furono redatte dieci tavole di leggi approvate dai comizi centuriati. È discussa la composizione del
collegio: probabilmente inizialmente erano solo patrizi e poi nel 450 metà patrizi e metà plebei.
Tra queste leggi una sanciva il divieto di matrimonio tra i patrizi e i plebei e aveva l'obiettivo mirato di
preservare intatto il controllo dei patrizi delle istituzioni. Con i matrimoni misti infatti si giungeva a
trasmettere con l'eredità familiare il diritto agli auspicia. Le XII tavole per quanto ci è giunto, dovevano
disciplinare i rapporti di natura privata, il diritto civile.
Redatto il codice, il leader della commissione Appio Claudio avrebbe tentato di procrastinare i poteri
decemvirali che si trasformavano in assoluti; vi sarebbe stata allora una rivolta popolare condotta da Marco
Orazio e Lucio Valerio, che nel 449 divennero consoli e a cui si attribuiscono leggi, di dubbia autenticità, di
riconoscimento plebeo.
Nel 445 il tribuno della plebe Gaio Canuleio farà votare un plebiscito sull'abrogazione del divieto di
matrimonio. È il primo plebiscito già riconosciuto di fatto come una legge. Questa misura apriva la strada ai
plebei per arrivare al consolato. Venne istituito il tribuni militum, con podestà consolare che troviamo
attestati nel 444. Da questi anni i plebei cominciano a poter essere selezionati nel Senato. Nel 409 c'è poi
l'apertura della questura ai plebei (questori divenuti quattro da due nel 421).

L'invasione gallica riaprì i giochi e i conflitti. I plebei sfruttano la loro presenza nell'esercito per far leva.
Questa volta la proposta di legge è presentata da Gaio Licinio Stolone e Lucio Sesto Laterano nel 376 e
approvata nel 367 sotto la dittatura di Furio Camillo, vincitore di Veio, e contenne:
- Legislazione sui debiti: stabiliva che i debitori avrebbero dovuto computare nella somma versata
anche quella dovuta come interesse; il rimanente sarebbe stato estinto in tre rate annuali.
 In seguito, altre leggi in materia di debiti: 342 un plebiscito Genucio vieta il prestito ad
interesse. 326, lex Poetelia Papiria ridimensionò l'istituto del nexum (creditore): al creditore
non era consentito di rivalersi sulla persona fisica del debitore, ma solo sui suoi beni.
- Legislazione de mondo agrorum: avrebbe stabilito che il possesso massimo dell'ager pubblico per
un cittadino romano fosse limitato entro un'estensione di 500 iugeri (125 ettari) ma questa cifra era
esagerata per questa età. Si tratta forse di un ricalco della molto successiva legge graccana.
- La legge che apriva l'accesso dei plebei al consolato: in questo momento si stabilisce la possibilità
dell'accesso al consolato da parte dei plebei. Soltanto nel 342 un plebiscito avrebbe posto il vincolo
che uno dei due consoli fosse plebeo.

Nel 367-66 viene portata a termine una riforma più generale che sancisce la nascita di altre magistrature
autonome: la pretura e l'edilità curiale. Nel 443 viene istituita la censura.
Nel 300 la lex Ogulnia che apre ai plebei la partecipazione ai collegi sacerdotali superiori di auguri e
pontefici. La lunga gestazione mostra il rilievo politico e ideologico che era attribuito a tali figure sacerdotali.
Nel 367 però i plebei erano stati ammessi al collegio sacerdotale decemviri sacris faciundis. Nel 287 la lex
Hortensia aveva stabilito che, come frutto di un'ennesima secessione , le deliberazioni votate dalla plebe (i
plebisciti) avessero senz'altro valore per l'intera comunità.

LA REPUBBLICA DELLA NOBILITAS


La nuova aristocrazia e i suoi valori
Nel 287, con l'equiparazione dei plebisciti alle leggi, si concluse il processo di costruzione di una civitas
patrizio-plebea. La costruzione di un nuovo ceto dirigente inizia già prima, nel 367 con la legge Licinia Sestia
che permetteva l'accesso dei plebei al consolato. l'opportunità era stata subito sfruttata dalle famiglie
plebee più forti. Dall'analisi dei Fasti emerge che i plebei raggiungono il consolato ogni anno con sei famiglie
diverse, vi è poi un periodo di chiusura in cui nessuna famiglia plebea raggiunge il consolato ed entrambi i
consoli sono patrizi. Il processo più democratico riprese con i due plebisciti del 342: il primo impose che uno
dei due consoli fosse plebeo; l'altro vietò che si ricoprisse la stessa magistratura entro dieci anni.
Per questo nuovo ceto troviamo espresso il termine nobilis:
- Nobiles erano le famiglie che raggiungevano il consolato
- Nobilis (nella letteratura conservata) era il discendente di chi avesse raggiunto per la prima volta il
consolato nella famiglia. Nella terminologia tardo repubblicana prende il nome di homo novus.
Chi avesse raggiunto le alte cariche della magistratura acquisiva lo ius imaginum, ossia il diritto di lasciare
l'immagine di sé defunto. Da qui l'onore per i discendenti.
Nobilis indica, da nosco, una persona nota in una società face to face. Il nuovo ceto dirigente, plebeo, non
poteva riporre la propria nobiltà nel sangue e dunque nella stirpe ma nella virtus, “il valore”, le qualità
personali. La virtus si esprimeva nell'honos, che indicava sia la magistratura che il rango. La gloria militare
era il volano più incidente: la conduzione della guerra, condotta per le giuste cause, diviene un esercizio di
virtus, di pace con il volere degli dei. Sulla virtus si costruì così tutto un sistema di valori che si venne
configurando con la fase di espansione in Italia.
Fra i grandi valori romani vi è la gravitas, la severità etica e humanitas e quello di magnitudo animi. Chi
acquisisce meriti, chi è degno, raggiunge una certa dignitas, che rappresenta il rango sociale legato
essenzialmente alla carriera politico-militare. Chi ha più dignitas possiede anche auctoritas concetto reso
anche dalla nostra attuale autorevolezza.
I rapporti sociali sono legati alla fides che contraddistingue i rapporti di amicizia e quelli di clientela. La fides
regola anche il rapporto con gli alleati e con le clientele esterne.

Il funzionamento istituzionale
Per res publica Cicerone, per bocca di Scipione Emiliano nel De re publica scrive la res publica è res populi.
Rilevante è pertanto la concezione di popolo, da intendersi come “insieme di persone associate sulla base di
un diritto condiviso e per l'utilità di tutti”. La civitas è dunque la constitutio populi. Il populus, la cui
sussistenza è sancita dal vinculum iuris, è la res publica. In questo sistema, in cui ogni dimensione (politico,
amministrativa, religiosa, sociale) è intrecciata, ha piena titolarità nella res pubblica. Le forme in cui la
civitas, intesa come constitutio populi agisce sono: la magistratura, le assemblee popolari (comitia e
concilia) e il Senato. Le tre realtà istituzionali non sono indipendenti l'una dall’altra ma esercitano tra di loro
un controllo (non ha nulla a che fare con la tripartizione del potere di Montesquieu).
L'elemento che resta costante nelle istituzioni è la centralità del popolo vero titolare della res publica. Anche
se agisce il principio censitario secondo cui la guida della comunità andrà gestita da coloro che sono in
possesso di maggiore capacità economica (considerando la non remunerazione a Roma delle cariche
pubbliche).

 La magistratura
L'eredità del potere del rex, l'imperium, sarà attribuito ai magistrati superiori ordinari, consoli e pretori. Esso
sarà sottoposto a limitazioni.
Il primo forte elemento rispetto all'assetto monarchico è che i magistrati repubblicani sono eletti dal
popolo. A tutelare la res publica e della libertas contro la minaccia del regnum, il potere del magistrato è
soggetto a forme di limitazioni quali:
- La collegialità: lo stesso potere era spartito tra più soggetti che lo esercitavano in modo
indipendente
- l'annualità: resta in carico un anno
- ius intercessionis: diritto di ogni magistrato di opporre il proprio veto alla proposta di un magistrato
di pari grado i di grado inferiore. Il tribuno della plebe era fuori dalla gerarchia e poteva, con il suo
diritto di veto, bloccare ogni altro magistrato.
Per il civis una solida garanzia era rappresentata dallo ius provocatio ad populum: qualora un cittadino
romano si sentisse colpito da un giudizio ingiusto emesso dal magistrato, poteva dunque rivendicare un
regolare processo presso l'assemblea del popolo.
Nel complesso i magistrati svolgono un ruolo ponte tra i concilia e il Senato in quanto detengono lo ius
agendi cum patribus, cum populo, cum plebe: la facoltà di convocare Senato, assemblee e sottoporre
ciascuno per ottenere l'approvazione.
I candidati alle cariche devono aver svolto il servizio militare per dieci anni tra i cavalieri, dunque
appartenere ad una superclasse di censo. Seguono poi un organizzazione in cursus, che diventerà il cursus
honorum
- questura: gestione dell'erario insieme agli edili
- edilità: gestione dell'erario, tesoro pubblico. Agli edili plebei e curiali spetta anche la cura urbis:
dall'approvvigionamento dell'edilizia urbana all'organizzazione dei giochi e spettacoli pubblici
- tribuno della plebe (solo pe i plebei): svolgeva un'intensa attività legislativa
- pretura: i pretori si occupano dell'amministrazione della giustizia e dello ius civile.
- Consolato: i consoli avevano il potere di coercitio (facoltà di emettere giudizi), avevano anche
potere su aspetti economico-finanziari della vita della repubblica
- Censura: attribuzione delle quote per gli appalti. I censori venivano eletti ogni cinque anni e in
carica per 18 mesi, svolgevano un compito di verifica e gestione delle operazioni di censimento e la
facoltà di estromissione dai gruppi di appartenenza di chi si ponesse al di fuori dei more (nota
censoria).
(l'edilità e il tribuno della plebe non erano necessari per il cursus).
L'imperium, ossia il potere di trattare gli auspicia e il potere miltiare in tutte le sue valenza era attribuito ai
collegi magistratuali superiori, consoli e pretori ed eventualmente dittatori. Essi svolgevano la loro caricca
anche fuori Roma e potevano trovarsi a svolgere un incarico anche fuori dal mandato. In questo caso, pur
deponendo formalmente honos, mantenevano il potere: questa misura si stabilizzzò nel corso del IV secolo
con il prorogatio imperii.
Al di fuori del corso ordinario delle magistrature era la dittatura, che veniva evocata in casi straordinari per
svolgere compiti definiti, su nomina del console spesso ad indirizzo del Senato. Rimaneva poi in carica per
un tempo massimo di sei mesi.

 Le assemblee popolari
Rappresentano concretamente lo spazio istituzionale della partecipazione dei cives alla vita della res
publica. La vita assembleare si svolge nei:
- Comitia centuriate e tributi
- Concili plebis
- Contiones: riunioni informali nel corso delle quali i magistrati parlano al popolo e viceversa
Le assemblee rivestono il complesso dei cittadini censiti e ripartiti secondo il criterio censitario (comizi
centuriati) e quello territoriale (comizi tributi e concilia plebis). A parte sono i comizi curiati, di tipo
gentilizio.
Un elemento che accomuna l'aspetto delle assemblee (centuriata, tributa e plebea) è l'organizzazione per
gruppi.
- Nel comizi centuriati > centurie
- Nei comizi tributi e nei concili plebis > le tribù
I voti vengono dunque conteggiati per unità non per singolo cittadino votante. I cittadini sono chiamati a
votare all'interno della propria unità di riferimento a concedere o negare il loro assenso alla proposta
avanzata con il sì e il no.
Il comizio curiato è formato da 30 littori rappresentanti ciascuno una delle 30 curie della tradizione
romulea. Le funzioni del comizio curiato sono limitate al diritto di famiglia. Sul versante pubblico continua a
produrre la lex curiata de imperio per i consoli e i pretori.

Il comizio centuriato è organizzato secondo il criterio censitario e convocato dai magistrati cum imperio
(pretori e consoli). Alle origini si pensava fosse configurato in due classi:
- Gli adsidui della classis (i convocabili)
- Infra classem
Nelle cinque classi note esso si costituì probabilmente verso la metà del IV secolo. La sua formazione
militare si riflette in una serie di rituali, simboli, procedure che si conservano. Vi è una divisione tra gli
equites e pedites. Vi sono 18 centurie di equites e 5 di pedites. Le prime rappresentano una sorte di
superclasse in cui confluivano i primores civitatis forniti di equus publicus. La parte restante dell'assemblea
proponeva la popolazione ripartita in centurie appartenenti alle cinque classi di censo. I cives censiti erano
iscritti in ogni classe in rapporto alle loro ricchezze. Alla prima classe corrispondono 80 centurie, alle
seconda, terze e quarta 20 centurie alla quinta 30. Naturalmente nella centuria della prima classe risultava
iscritto un numero significativamente minore rispetto a quello delle ultime.
Si occupano di eleggere i magistrati cum imperio e i censori. Si occupano dei reati possibili di pena capitale

Il comizio tributo convocato da consoli e pretori e edili curiali ha alla base le tribù territoriali che nel 241
circa raggiungono il numero di 35 (31 rustiche e 4 urbane).
Si occupano di eleggere i magistrati sine imperio. Si occupano dei reati punibili con una ammenda del
magistrato.

Il concilio plebis convocato dal tribuns plebis o dall'edile plebeo, verrà nel tempo a sovrapporsi ai comizi
tributi, a mano a mano che l'identità della plebe si configura con quella del populus tutto. Si ricordi che
informa formale i concilia plebis continuarono ad essere convocati dai magistrati plebei che non potevano
convocare il comizio tributo.
Si occupano di eleggere i tribuni e gli edili della plebe.

L'unità di sede nella quale al civis era consentito manifestare apertamente la propria posizione era la contio
un'assemblea aperta a tutti coloro che erano presenti nella città e veniva riunita dal magistrato che
convocava i comizi o il concilio almeno 24 giorni prima dell'assemblea destinata alla votazione della
proposta. Era anche un atto di estrema trasparenza giacchè era esposto ogni atto del magistrato.

 Il Senato
l'assemblea senatoriale era composta da ex magistrati che rivestivano la dignitas a vita. Erano selezionati dai
supremi magistrati fra quelli che avevano rivestito le magistrature curiali (edili, pretori, consoli) iniziando
dagli ex consoli. In seguito si stabilì che quinquennalmente i censori, incaricati della lectio senatus,
ricoprissero i posti resisi vacanti con i migliori ex omni ordine. Quindi progressivamente si passa dai
magistrati che avessero rivestito le magistrature di rango più elevato a quelle più basse.
La formazione stabile del Senato (non soggetta a limitazione di tempo) e l'esperienza politico-
amministrativa dei suoi componenti gli conferivano la lungimiranza e la capacità progettuale in politica che
non erano dei magistrati. L'assemblea era convocata, salvo casi eccezionali, da un magistrato (il dittatore, i
due magistrati cum imperio e il tribunus plebis). Al suo interno il principio di funzionamento era gerarchico
avevano maggior autorevolezza tra i senatori gli ex censori, ex consoli e via fino agli ex magistrati di rango
minore. In questo ordine potevano esprimere la propria sententia dopo il princeps senatus, il più
autorevole.
I magistrati che convocano l'assemblea sottoponevano all'attenzione dei senatori relationes su questioni
specifiche, chiedendone il parere. Dopo i pareri venivano votate le sententiae prendendo fisicamente posto
a fianco del senatore del quale condividevano la relazione.
Gli ambiti di intervento riguardavano la legislazione e la giustizia, la gestione della res publica in:
- Ambito religioso (salvaguardia della pax deourm, introduzione di nuovi culti)
- Economico finanziario (gestione del bilancio, stanziamento di somme per opere pubbliche)
- Politica estera (rapporti diplomatici con re, città straniere)
Per le decisioni importanti v'era bisogno di una legge, cioè di ricorrere al giudizio del popolo.

Un uomo politico controverso: Appio Claudio Cieco censore


Nel 312 vi è una nuova modalità di cooptazione dei membri nel corpo del Senato e la affida al censore.
Legge comiziale romana che attribuì ai censori la lectio senatus, il diritto di redigere la lista dei senatori
(prerogativa fino allora dei consoli), e stabilì che la scelta avvenisse egualmente tra patrizi e plebei. Nello
stesso anno il censore Appio Claudio Cieco promosse un'importante riforma strutturale riguardo alla
composizione del Senato: vi inserì i liberti. Stabilisce poi che anche gli humiles (probabilmente comprendeva
membri della plebe urbana, nuovi cittadini romani e liberti) si iscrivessero indistintamente nelle tribù
rustiche e urbane. Entrambe queste riforme allargano la base degli aventi diritto alla partecipazione
politica.
Nella lettura storiografica di questi eventi vi è un contrasto tra chi li interpreta in segno di una politica
riformista di apertura e chi invece come una linea politica di conservazione. La riforma recupera al ceto
dirigente di Roma un gruppo rimasto ai margini ma numericamente significativo, la plebe urbana e i liberti.
Si ritiene anche che questa scelta sia stata finalizzata a contrastare l'affermarsi della nuova aristocrazia.
La sua politica si pone in una linea iniziata già nel 358 con la legge Poetelia de ambitu che frenava l'ambitio
degli uomini nuovi. Molte delle sue riforme furono respinte, come quella riguardante la nuova
configurazione del senato o il comizio tributo.
Intensa fu la sua politica edilizia.
- Costruzione via Appia
- Aqua Claudia: un acquedotto che convogliava a Roma l'acqua dei colli Sabini per risolvere
l'approvvigionamento idrico

Esercito
A caratterizzare l'ordinamento militare romano e il suo successo è la leva civica. Roma non ricorre mai
all'ausilio di mercenari (come Cartagine e i regni ellenistici). l'onore militare è considerata una prerogativa
dei cittadini. La natura civica dell'esercito fa sì che essa rifletta la forma della società in tutte le sue fasi:
all'assetto gentilizio della società arcaica corrisponde un altresì assetto gentilizio della guerra e della milizia.
Con l'articolazione censitaria della società (da Servio Tullio) anche l'esercito cambia nella medesima
direzione.
dall'età dei Tarquini la legione romana acquisì, tramite etrusco, l'assetto falangitico greco con fanteria
pesante (per equipaggiamento), leggera (fionde e giavellotti) e cavalleria.
Con l'articolazione dell'assemblea centuriata in cinque classi di censo (metà del IV secolo) la fanteria
pesante era formata da iuniores delle prime tre classi di censo(60 centurie con 6000 uomini), la fanteria
leggera della IV e V classe; la cavalleria dalle 18 di equites.
Durante la II guerra sannitica fu introdotto l'ordinamento manipolare: ogni manipola era costituita da due
centurie (le 60 centurie della fanteria pesante erano distribuite in due manipoli). Le legioni si componeva di
4800 uomini. I romani acquistarono come equipaggiamento:
- Lo scudo rettangolare (scutum)
- Il giavellotto (pilum)
- Spada
Una nuova tappa fu rappresentata da Gaio Mario: è a lui che viene attribuita l'organizzazione dei 30
manipoli in 10 coorti e la modifica dell'equipaggiamento legionario. Dei 4 signa esistenti ne scelse solo uno,
l'aquila, comune a tutte le legioni (rafforza l'identità legionaria).
Le quattro legioni (in due gruppi consolari) che costituivano l'esercito romano repubblicano erano
affiancate, fino alla guerra sociale, dalle alae sociorum: i contingenti militari che le comunità alleate e le
colonie latine erano tenute a fornire a Roma, secondo la propria demografia.
Nella Roma della prima Repubblica i cittadini venivano arruolati per campagne brevi stagionali,
progressivamente le operazioni militari condussero a forme più prolungate. Il conflitto contro Veio rese
necessario istituire lo stipendium. Questo conduce verso l'esercito stanziale (dalla guerra annibalica e poi
oltre).

ESPANSIONE IN ITALIA
Fasi e modalità
Lo scontro di Roma con le città presenti sul territorio della penisola italica si sviluppa dal V secolo al primo
decennio del III secolo. Vediamo scontrarsi l'Italia meridionale con la Magna Grecia da un lato e dall'altro la
Gallia Cisalpina. È una fase guidata dal governo della nobilitas.
Gli anni che seguono l'invasione gallica avevano segnato una ripresa delle ostilità con i nemici consueti
prossimi a Roma. La forza economica acquisita con la presa di Veio e la capacità di reazione di Roma stessa
prevalsero sull'azione frammentaria delle città della Lega latina che si sarebbero sollevate contro Roma. Nel
354 Roma stipulò con i Sanniti un foedus difensivo che sanciva una forma di amicizia tra i due popoli come
una sorta di risposta al pericoloso accorso fra Galli e Greci (con Dionigi I di Siracusa).
I sanniti di stirpe osco-bellica erano giunti verso sud spinti anche dalla pressione degli Etruschi e Galli;
fortemente organizzati sul piano militare sarebbero entrati in scontro con le ambizione di Roma. Il conflitto
romano-sannita si sviluppò per circa un cinquantennio e secondo la tradizione si articolò in tre guerre (la
tradizione incerta e contradditoria lascia dubbi sulla prima e sulla cronologia della guerra latina – che è stata
supposto essere prima della guerra sannitica).

 La prima guerra sannitica e la Grande guerra latina


La guerra trovò il suo avvio tra Campani e Sanniti. Nella discesa degli Oschi Sabelli da nord a sud tra V e IV
secolo, un gruppo sabellico (i Campani) incuneandosi fra la decadenza degli Etruschi e la divisione dei Greci
si era stanziato in Campania. La favorevole posizione geografica, la natura delle terre e i contatti avevano
permesso ai Campani di raggiungere sviluppo e ricchezza.
Nel 343 i Sidicini, sottoposti a pressione dai Sanniti, si sarebbero rivolti alla città etrusca di Capua per farsi
proteggere. Capua, colpita a sua volta da un attacco sannita, inoltrò a Roma la richiesta d'aiuto. L'accordo
tra Roma e i Sanniti del 354 non permetteva a Roma di attaccare i sanniti (avrebbero violato la sacralità del
patto e ne sarebbe derivata una guerra illegittima e quindi sfavorevole). l'annalistica dà notizia della delitio
in fidem dei Campani a Roma: consegnatisi completamente ai Romani, i Campani avevano diritto a essere
tutelati in nome di uno ius che sorpassava quella sancito dal foedus. Seguirono due battaglia;
1. Monte Gauro
2. Saticula
E una pace finale nel 341 che sanciva gli accorsi pregressi tra Roma e Sannio: i Sidicini erano nuovamente
compresi nel territorio sannita.

Nel 340 è verosimile che il fronte latino-campano-italico si sia compattamente rivoltato contro Roma. La
guerra si risolse in due scontri decisivi per Roma:
1. Trifano (340): episodio della devotio il sacrificio di Decio Mure
2. Campi Fenectani (339)
La sconfitta Latina condusse lo scioglimento del foedus Cassianum e della Lega (338). Roma controllava
ormai il Lazio autonomamente.
 La seconda guerra sannitica
Era il momento di risolvere il problema della supremazia tra Roma e Sanniti e la natura area di scontro era la
Campania. Nella sua crescente politica di deduzione di colonie, Roma controllava, in effetti, superfici sempre
più ampie di territorio; decisive proprio per lo scontro coi Sanniti si sarebbero rivelate Cales e Fagellae.
Nella città di Napoli si erano definiti due schieramenti: uno aristocratico filoromano e uno popolare
filosannita. Entrò in atto una dinamica costante in tutta la storia delle relazioni politico-diplomatiche
romane: la ricerca di intese dei Romani con i ceti dirigenti delle comunità e l'intervento militare di Roma
come risposta alla richiesta d'aiuto. Nel 326 fu stipulato un foedus con la città: si trattava di un accordo
favorevole per Napoli in quanto impegnava la città campana soltanto a rendere disponibile per Roma la sua
flotta.
La seconda guerra sannitica si muove tra Campania, Lazio e Sannio. Durante le operazioni per portare la
guerra a Sannio (come volevano i Romani) Roma incorrerà in uno degli episodi più umilianti della sua storia
militare: la disfatta inflitta dal genera sannita Gavio Ponzio al passo delle Forche Caudine tra Calatia e
Caudium. Circondati nella gola, i Romani si arresero e accettarono le condizioni di pace, sfavorevoli per loro.
La tradizione, al fine di rendere meno biasimevole l'onta della sconfitta, riferisce che il Senato non accettò la
pace e che punì i consoli per averla sottoscritta, consegnandoli ai Sanniti.

Il conflitto si riaprì dopo una lunga tregua. In questi anni Roma si riorganizza dal punto di vista militare che
controllo regionale:
- Le legioni passano da due a quattro
- Trenta manipoli di due centurie ognuno
- Continuo opera di accerchiamento romano del Sannio, tramite una politica di alleanze con i popoli
limitrofi
Le ostilità si riaprono nel 316 e un anno dopo i romani furono di nuovo sconfitti presso Lautulae dai Sanniti.
Nel 314 si riaprì un corso favorevole per Roma con la vittoria di Terracina e il recupero di Capua e degli
Aurunci. Segue un'opera di controllo del territorio con nuove colonie e la costruzione del primo tratto fino a
Capua della via Appia. Roma con il leader militare Fabio Rulliano penetra infine nel Sannio, nel 305
conquistò Bovianum, capitale dei Pentri. Nel 304 si giunse ad una nuova pace che lasciava la situazione
irrisolta.

 La terza guerra sannitica


Roma continuò la sua opera di deduzione di colonie latine per il controllo dell'Italia centrale. Intanto gli Equi
venivano definitivamente sconfitti e il loro territorio inglobato a Roma con la creazione di due nuove tribù. Il
proposito romano di accerchiare Sannio era completato con il trattato con i Lucani (contro i quali si era
schierata Taranto) tra il 302 e 299. Quando nel 298 i sanniti attaccarono i Lucani Roma intervenne in loro
aiuto; riprendendo così il conflitto che in questa fase si rivela come una guerra complessiva delle
popolazioni della penisola contro Roma. Un compatto blocco Sanniti, Umbri, etruschi, Galli per iniziativa del
capo sannita Gellio Egnazio. L’abilità di Roma risiede nel bloccare le congiunzione delle forze avverse. Il
conflitto venne risolto in due battaglie:
1. A Sentinum (Marche) nel 295 con Fabio Rulliano e Decio Mure > definizione del foedera tra Roma e
le città etrusche e umbre
2. Aquilonia (Sannio), nel 293
Nel 290 i sanniti chiesero la pace. Roma fece seguire con la sconfitta dei sanniti una serie di vittorie:
- 290 presero la Sabina
- 283 conquistano i Galli Boi e nel territorio dei Senoni dedusse la colonia Sena Gallica
- 273 dedusse in Etruria la colonia latina di Cosa
- 268 fondano la colonia di Ariminum (Rimini)
Decaduti da tempo gli Etruschi con le grandi battaglie di Aricia e Cuma; debellati i Sanniti Roma poteva
affermare il suo controllo su tutta l'Italia centrale, quindi la sua penetrazione ormai irreversibile nell'ager
Gallicus. Restano precari i rapporti con il mondo greco.

 La guerra tarantina
Al termine della terza guerra sannitica Roma si inserisce tra le pressioni osco-sabelliche e delle città
magnogreche. Queste ultime si erano organizzate nella Lega italiota forse nel 393. Più tardi anche Taranto,
risolti i conflitti con Siracusa, sarà ricompresa nella Lega divenendo egemone nel secondo quarto del IV
secolo. Spesso a provvedere alla propria difesa provengono figure dal mondo greco e da Siracusa in seguito
come Agatocle di Siracusa, succedendo ai due Dionigi e a Timoleonte. Questi si fecero protettori delle città
magnogreche contro gli Oschi emarginando Cartagine. Alla sua scomparsa nel 289, avendo sul letto di morte
sciolto la monarchia siracusiana, si innestò un mutamento degli equilibri politici, entrava in crisi il controllo
di Siracusa sulle città greche di Sicilia e d'Italia. Ciò ebbe come conseguenza una intromissione di Cartagine
e Roma.
Le città magnogreche restano esposte alla forza aggressiva degli italici, in particolare di Bruzzi e Lucani
(anche loro mossi da movimenti interni differenti come Napoli). I Bruzzi conquistano subito Ipponio. I Lucani
aggrediscono Turi che chiese aiuto a Roma (e non a Taranto sia per il suo predominio malvisto sull'area, sia
per il governo democratico che aveva in quella fase).
- Livio: sappiamo che già nel 285 Roma fornisce un auxilium a Turi contro i Lucani, ma non decisivo
(Roma era impegna nell'Italia settentrionale)
Nel 282, in seguito ad una seconda richiesta, Roma intervenne fattivamente a Turi, liberandola e stabilendo
là un presidio. Si ha notizia anche di una guarnigione romana a Reggio, richiesta dai Reggini per il timore
suscitato dalla minaccia lucana e bruzzia. Sono documentati altri presidi romani nelle città greche di Locri,
Crotone, Ipponio. Sembra che Roma prendesse il ruolo di Siracusa nei rapporti con le città magnogreche.

È da osservare come la strategia dell'invio di qu


esti presidi nelle città non vincolate a Roma in precedenza, si presentasse non collegata a dinamiche militari
dirett1e. Roma non doveva necessariamente scendere in campo: non aveva da tutelare il proprio spazio
territoriale né politico. La sua discese in queste aree era la risposta a richieste ma diveniva immediatamente
un ingresso politico. Il praesidium inviato suggellava in concreto un'alleanza basata su un rapporto di fides.

Ponendosi in quest'area, Roma si inseriva nella sfera degli interessi di Taranto, unica città greca rimasta
indipendente. Taranto però già da metà IV secolo aveva richiesto aiuti dal mondo della madrepatria contro
le stirpe osche in espansione. Proprio per questa circostanza Roma e Taranto erano stati regolati da un
trattato intorno al 302. Secondo questo Capo Licinio era stato stabilito come linea di confine degli interessi
reciproci. Nel 282 dunque Roma, intervenendo a Turi, infranse il dettato di questo patto, perché inviò una
flotta di dieci navi nel golfo oltre Capo Licinio. La reazione tarantina fu immediata: la flotta romana fu
sbaragliata; Turi presidiata e iniziò così la guerra.

Taranto aveva chiesto e ottenuto l'intervento di Pirro, re dell'Epiro. Questo era sostenuto dai principi ellenici
interessati alle condizioni delle città magnogreche e ben lieti di allontanare Pirro, valente generale, dalle
mire sulla Macedonia. Da parte sua, Pirro aveva in mente un progetto ben ampio sull'Occidente: la
condizione di instabilità della Sicilia dovettero sembrargli una buona condizione per unificare in un suo
nuovo regno le città greche dell'Italia meridionale. Egli inoltre aveva sposato Lanassa, figlia di Agotocle di
Siracusa.
Riguardo agli aiuti italici, l'abile manovra di Roma in Lucania e nel Bruzzio avrebbe poi bloccato l'invio di
truppe da parte di queste popolazioni, con le quali avrebbe stipulato un foedera. Tuttavia Roma dovette
ricorrere all'arruolamento di cittadini nullatenenti.
- 280: Pirro, giunto in Italia, conseguì la prima vittoria ad Heraclea sulla costa lucana (anche per
l'impatto sull'esercito romano degli elefanti e della cavalleria tessala). In questo modo liberò la
Lucania dai Romani e consentì l'invio di truppe di rinforzo da parte di Lucani, Irpini a Pirro
Nelle città presidiate da Roma, Locri e Crotone, progressivamente i gruppi antiromani prendevano il
sopravvento e passavano a Pirro (segno che queste città non riconoscevano la grandezza di Roma).
- 279 vittoria di Pirro ad Ausculum (Puglia)
A questo punto Pirro decise di dirigersi verso la Sicilia. Roma decise allora di stringere tra il 279-78 un nuovo
trattato con Cartagine, che prevedeva l'aiuto militare reciproco. La situazione greca in Sicilia, caratterizzata
da un feroce individualismo delle città, fu per Pirro fatale tanto che fu abbandonato. Qui i Romani, avendo
ripreso il controllo sui gruppi ribelli (Crotone e Locri erano state riacquisite) sconfissero Pirro nel 275, sotto
la guida del generale Dentato e Lentulo. La battaglia decisiva avvenne a Maleventum (che assumerà la
denominazione di Beneventum nel 268). Tra il 273-70 Roma prese tutte le città greche fino a Reggio; strinse
infine un foedus con Taranto. Nel 266 furono condotte due campagne contro Messapi e Salentini. La
conquista dell'Italia meridionale era completata

 I Galli
Il controllo di Roma sulla penisola italica non risultava ancora compiuto settentrionalmente. Già nella terza
guerra sannitica, cui di seguito si erano strette alleanze tra Etruschi e Galli, Roma era intervenuta in
territorio gallico e aveva stabilito coloni. Sarà proprio la colonia di Rimini ad essere minacciata dai Galli Boi
nel 236 a.C.
Nel 232, in considerazione della minaccia gallica, il tribuno della plebe Gaio Flaminio proponeva una legge
sulla divisione dell'ager Gallicus e Picenus conquistata in precedenza ai Galli Senoni e Piceni. Il progetto era
di sbarrare l'avanzata gallica lungo l'Adriatico. Questo sollecita l'ostilità dei Galli Boi e Insubri che si alleano
con i transalpini Galli Gesati. I Galli Cenomani e i Veneti rimangono invece alleati con Roma.
Presso Telamone (litoranea etrusca) nel 225 i Galli Boi e Insubri riuscirono sconfitti con l'onta però di un
console romano catturato e decapitato. Nel 223 Gaio Flaminio decise di portare la guerra in Cisalpina,
contro gli Insubri. Nonostante il tribuno fosse richiamato a Roma dal Senato, in ragione di auspicia
sfavorevoli legati all'elezioni, Flaminio e il suo collega contribuirono l'avanzata della pianura padana,
conseguendo un relativo successo sul fiume Chiesa. Il Senato, per la sua disobbedienza non concesse il
trionfo che gli fu straordinariamente decretato dall'assemblea popolare.

I consoli dell'anno seguente, Claudio Marcello e Cornelio Scipione portarono a compimento la guerra:
- Marcello vinse i Galli a Casteggio (222) battendo su un duello corpo a corpo il gallo Viridomaro e
conquistando le spoliae opimae
- I due consoli nel 222 presero Mediolanum
- Furono dedotte le colonie di Placentia e Cremona
La via Flaminia, fatta costruire dal console Gaio Flamino, censore nel 220, collegò Roma a Rimini.
La guerra riprese nel II secolo, quando i Galli nel 200 e 199 attaccarono Placentia e Cremona. Solo nel 191 i
Boi furono sbaragliati e il loro territorio ammesso. Fu creata la colonia di Bonomia, poi le colonie di Parma e
Mutina.

Tra il 238 e il 230 Roma aveva già combattuto una prima campagna ligure ma senza risultati. Le tribù liguri
(Apuani, Ingauni, Statielli) erano poi state alleato a Cartagine durante la guerra annibalica. Dopo la presa
della Spagna la Liguria diveniva un'importante via di comunicazione e l'intervento romano continuò nel
197-87. Nel 186, dopo una grave disfatta, iniziò un'offensiva contro Ingauni e Apuani. Nel 181 furono
sconfitti gli Ingauni, nel 180 gli Apuani.
Infine gli Istri: la loro area era andata perduta durante la guerra annibalica; per riprendere il controllo
sull'area Roma aveva dedotto la colonia latina di Aquileia (181). Irritati da ciò gli Istri mossero guerra contro
Roma ma vennero sconfitti nel 178.

Municipalizzazione, colonizzazione e “confederazione”


l'organizzazione dell'Italia rappresenta per Roma un vero e proprio laboratori politico-amministrativo di
misure che troveremo anche in contesti extra-italici.
Il foedus Cassianum (493-338) è la prima significativa forma nota di trattato politico tra Roma e i popoli
italici. Con lo scioglimento del foedus Roma ripensò alle modalità con cui rapportarsi ai popoli italici. La Lega
era stata connotata al proprio interno da anomale istanze individualistiche. Roma era intervenuta con
durezza nei confronti delle città alleate autonomiste, giungendo a controllarle militarmente nel caso
avessero assunto posizioni antiromane.
La fase dal 338 imposta Roma in una direzioni unilaterale. Roma creerà di fatto una nuova Lega, ora italica,
della quale sarà il fulcro. Essa procederà a stabilire lo statuo di ciascuna comunità di cittadini; le forme con
le quali farà ricorso saranno:
- Municipi
- Colonie
- Città federate
Il quadro così organizzato vedrà la diffusa realizzazione del modello politico e istituzionale romano. Questo
processo è stato definito romanizzazione a partire dall'800. Concetto elaborato durante la fase storica dei
nazionalisti e dell'ideologia neocoloniale e vive oggi parere contrari tra
- Chi lo respinge, in nome della rivalutazione delle identità locali e del loro ruolo attivo
- Chi lo acquisisce, riempendolo di nuovi contenuti
Questo concetto restituisce un'idea unilaterale di Roma e una semplificazione della creazione dell'Impero
romano. Non tiene conto della complessità dei fenomeni e della pluralità dei soggetti. Tuttavia non è da
negare la forte impronta unitaria imposta dal dominio politico di Roma. Le dinamiche che entrano in gioco
sono diverse e contrapposte: assimilazione, omologazione, integrazione, esclusione, inclusione, imposizione
e condivisione. Tutte hanno il medesimo diritto di cittadinanza nel processo di formazione del nuovo
organismo raccolto sotto l'imperium. Certamente è indiscutibile, come ricorsa Desideri, la diffusione di un
“modo” romano attraverso tutto l'impero, come dimostrano le vestigia urbanistiche, linguistiche, giuridiche
sparse nel territorio che furono sotto l'imperium di Roma. Tenendo fermo questo presupposto si tracciano
alcune linee generali di interpretazione:

 Agers Romanus: Roma arcaica aveva fatto ricorso alla politica del sinecismo. Aveva attratto
progressivamente unità etniche più piccole al suo territorio e le aveva ricongiunte a sé in
una sola entità territoriale. Il processo di annessione aveva determinato il costruirsi di un
territorio sotto la sovranità di Roma, cui sarebbe divenuto ager Romanus. I residenti
divenivano tutti cittadini romani iscritti alle tribù rustiche che crescevano di numero.
 Municipium: Roma escogita un nuovo principio di incorporamento sul principio giuridico.
Attribuiva la civitas romana a cittadini di comunità preesistenti. In tal modo incorporava i
vinti nel sistema di diritto del vincitore ma considerava l'identità territoriale delle
preesistente comunità che veniva ora definita municipium, sotto il territorio dell'ager
romanus. La cittadinanza diveniva dunque il nuovo mezzo di sistemazione della conquista: i
nuovi cives potevano avere:
 Cives optimo iure (pieno diritto di cittadinanza)  riguarda le città del Latium vetus e si
avranno municipia optimo iure (primo Tusculum 381)
 Cives sine suffragio (dimidiata) non godendo di alcuni diritti politici, in particolare lo ius
suffragi  municipia sine suffragio situazione transitoria  comunità optimo iure
Roma non imponeva i propri modelli organizzativi. I municipi romani conservano ordinamenti autonomi,
dunque propri magistrati.

La seconda modalità di organizzazione strutturale della conquista è la colonizzazione. Essa comportava


processi di razionalizzazione e di catastazione del territorio in diversi lotti, creando un reticolo ortogonale
orientato lungo due assi principali, cardo e decumanus, che individuava lotti medianti i limites. La tradizione
fa risalire la prima colonia a Ostia a età monarchica ma i resti conservati sono di IV secolo.
 Colonie di diritto latino: erano dedotte da Roma tramite lo stanziamento in un territorio di
cives Romani (intorno ai 2000) che rinunciavano alla cittadinanza romana, acquisivano il
diritto altino (avevano cioè solo i tradizionali privilegi dei rapporti latini) e ricevevano un
lotto di terra nella colonia in formazione. Avevano ovviamente degli obblighi verso Roma
(nel 204 alcune colonie verranno punite per non aver fornito un surplus di uomini)
 Colonie romane: avamposti di cittadini romani 8300) con funzione tattico-strategica. Esse
insistevano, come i municipia e diversamente dalle colonie di diritto latino, si sviluppavano
in maniera discontinua nel territorio italico
In entrambi i casi di deduzione le colonie subivano sorti alterne come ridotte ad agglomerati rurali, altre
continuavano ad esistere con il vecchio statuto, altre scomparivano completamente. Certamente la
colonizzazione realizzava un'esperienza di assimilazione tra indigeni e cives romani o di diritto latino. La
fonte di incorporamento aveva alla base la trasmigrazione del ius di Roma tramite l'attribuzione della civitas:
nella colonizzazione erano i cives romani a spostarsi in persona (Roma riempiva fisicamente le spazio e
realizzava una forma di autoriproduzione e di espansione di sé).
Dal punto di vista amministrativo le colonie, latine o romane, diversamente dai municipia, avevano
magistrati definiti sullo schema romano e pertanto uguali in tutte le comunità: i duoviri delle coloniae
Latinae forniti di potere giurisdizionale (anche se questa attribuzione è discussa). La soluzione adottata per i
cittadini dell'ager Romanus comprende, oltre a municipi e colonie, gli agglomeramenti di fora e conciliabula,
un tertium genus di organizzazione del territorio romano. In tutte queste realtà Roma provvide ad inviare un
praefectus iure dicundo come delegato del pretore urbano.
La terza modalità con cui Roma regolava i propri rapporti di politica estera fu la confederazione. La formula
del foedus era nota già con il primo trattato con Cartagine nel 509 o come l'esperienza della Lega. Il foedus
della Lega italica non sarà aequm, cioè paritario. La civitates foederatae dovranno cedere a Roma la loro
autonomia e saranno tenute a fornirle contingenti di uomini per l'esercito, secondo quanto stabilito dalla
formula togatorum.
Accanto alla deduzione di colonie, all'organizzazione dei municipia e alla creazione dei foedera, la
dislocazione di praesidia nelle città d'Italia rappresenta un'ulteriore forma con cui Roma occupava lo spazio
politico-territoriale su cui progressivamente andava estendendosi il proprio imperium.

Modalità di Descrizione Divisione


organizzazione

Municipium Tramite l'incorporamento Roma I nuovi cives potevano avere la


attribuisce la civitas Romana a cittadini cittadinanza:
di comunità preesistenti. Incorporava 1. A pieno titolo > cives optimo
i vinti nel sistema del vincitore iure > municipia optimo iure
conservando l'identità territoriale
della preesistente comunità. Sono 2. Dimidiata > cives sine suffragio
autonomi al livello giuridico e > municipia sine suffragio (che
istituzionale (possono eleggere poi si trasformano in optimo
magistrati) ma non sono indipendenti iure)
perché il territorio è annesso all'ager
Romanus.
Colonie Il territorio colonizzato veniva 1. Colonie di diritto latino
catastato in lotti e inseriti cittadini Dedotte da Roma tramite lo
romani. Le comunità preesistenti stazionamento in un territorio di cives
subivano sorti alterne (alcune Romani (2000) che rinunciavano alla
sparivano, altre ridotte ad agglomerati cittadinanza romana e acquisivano il
rurali..) diritto latino ricevendo un lotto di terra
nella colonia in formazione.
Obbligo verso Roma di fornire uomini

2. Colonie romane
Formate da cittadini romani con
funzione tattico-strategica. Si
sviluppavano in maniera discontinua nel
territorio

Civitates foederatae Questa modalità era stipulata dal


(confederazione) foedus. Queste città dovranno cedere
a Roma la loro autonomia e saranno
tenute a fornire in base alla loro
consistenza demografica contingenti di
uomini

Dal punto di vista politico Roma gestisce in maniera unilaterale il rapporto con le comunità locali; nei fatti
impedirà che le colonie latine come le città foederatae abbiano un'autonoma politica estera; si proporrà
come potenza esclusiva. Un caso è lo stanziamento di presidi, che non è percepito come una pesante
interferenza: i gruppi filoromani si sentiranno garantiti, quelli avversi soppressi. Certamente saranno i ceti
elevati a beneficiare della presenza romana, a far propri i modelli proposti e divenire vettori di
atteggiamenti politici e culturali romani.
Le comunità conservano le loro forme di diritto, salvo per quei settori in cui i loro interessi si incrociano con
quelli romani. Le interferenze di Roma con la vita degli Stati alleati diventeranno sempre più frequenti per
conservare l'ordine.
- Es. il senato cunsulto de Bacchanalibus nel 186 tramite il quale Roma interviene con misure punitive
contro il culto bacchiano.
Esistevano dei veicoli di trasmissione dei modelli romani come l'esperienza dei foedera che rendeva
possibile il processo di riorganizzazione amministrativo. c'è poi lo stipendium pagato ai soldati (dai tempi
della guerra contro Veio) e le ricompense che ponevano le basi per l'affermarsi dell'economia monetaria. Il
computo dei soldati da fornire rendeva necessarie pratiche di censimento che diffondevano procedure
amministrative comuni. Le truppe, una volta arruolate, scambiavano i modelli culturali.
In alcuni casi erano le città a chiedere l'acquisizione di formule romane, come testimonia il fundus feri
(consentiva ad una comunità di adottare nei propri ordinamenti misure legislative romane secondo una
libera volontà). Vi è poi l'espansione del latino in pratiche ufficiali, come il commercio, richieste
volontariamente dagli stessi alleati (self-romanisation).

L'ESPANSIONE DEL MEDITTERANEO OCCIDENTALE


Lo scontro con Cartagine
Le guerre puniche coprono un arco temporale che si estende dal primo quarto del III secolo alla metà del II.
Un periodo durante il quale Roma diventerà una potenza internazionale.

 La prima guerra punica (264-241)


Con la conquista dell'Italia meridionale si apre per Roma un nuovo spazio: il Mediterraneo, nel quale si
incrociano interessi diversi: Etruschi, greci e cartaginesi. Un particolare peso politico era rivestito da
Cartagine. Essa era organizzata secondo un'avanzata costituzione mista:
- Due magistrati supremi elettivi annuali
- Consiglio del Cento
- Assemblea popolare
- Comando militare affidato ai strategoì appositi
La città, colonia fenicia, era stata fondata nel 814 presso l'odierna Tunisi. I rapporti tra Roma e Cartagine
erano regolati sin dal VI secolo da trattati rinnovati (con tradizione discussa tra 509, 348, 306); Cartagine era
intervenuta in un'azione sia diplomatica sia militare anche nello scontro tra Roma e Taranto.
Lo scontro romano-cartaginese per il controllo del Mediterraneo non poteva che iniziare dalla Sicilia, campo
di scontro tra Cartaginesi e coloni greci Siracusa (i Cartaginesi erano stati sconfitti ad Imera nel 480 da una
coalizione agrigentino-siracusana). Agatocle di Siracusa (dopo Dionigi e Timoleonte) aveva unito tutte le
città greche dell'isola contro gli Oschi e raggiunto un accordo con Cartagine. l'assetto dell'isola era stato
sconvolto dopo la sua morte nel 289.
In questo quadro si inseriscono i Mamertini, un gruppo di origine osco-campana e mercenari al servizio di
Agatocle, alla cui morte avevano cercato di ottenere il controllo della città di Siracusa. Dinanzi al fallimento
dell'operazione si erano portati a Messina dove si erano dati una organizzazione statuale autonoma. I
Mamertini facevano razzie nei territori vicini, con il tentativo di espandersi. Siracusa intervenne sotto
Gerone (il futuro Gerone II). I Mamertini chiedono aiuto a Cartagine, fortemente motivata a limitare il
potere siracusano in Sicilia. I Mamertini mal tolleravano i presidi cartaginesi nella loro città e si rivolsero a
Roma.
La richiesta genera e Roma un acceso dibattito:
- Linea politica di espansione, anche al di fuori della penisola
- Linea che voleva contenersi (paura di scontrarsi con Cartagine)
Il dibattito fu rimandato ai comizi. Qui, sotto la speranza di ricchi bottini, il popolo approvò l'aiuto ai
Mamertini, affidando l'operazione al console Appio Claudio Caudice. all'arrivo dei Romani i Cartaginesi e
Mamertini smobilitano i propri presidi, eliminando la condizione per un intervento armato di Roma. Appio
Claudio si portò avanti con l'assedio di Messina, aprendo la guerra nel 264.
La legittimità dell'intervento di Roma in Sicilia è motivo di discussione per gli antichi come per i moderni: lo
storico greco filino ricorda un trattato tra Roma e Cartagine, negato da Polibio, che avrebbe inserito la Sicilia
nell'area di influenza Cartaginese.
Nel primo anno di guerra ci fu un'alleanza tra Siracusa e Cartagine in contrapposizione a Roma, segno che le
due potenze avvertivano la gravità dell'ingresso romano. Nel 263 Gerone, dopo i primi successi di Roma nel
siracusano, passò dalla sua parte, rivelandosi un alleato fondamentale. Nel 261 dopo aver conquistato
Agrigento si rese necessaria per Roma una flotta militare. Lo sforzò risultò brillante per la vittoria a Milazzo
nel 260 (si fece per la prima volta uso dei ponti mobili).
La flotta fu aumentata a 230 navi ma si inaugura una stagione di vittorie e sconfitte. I romani, vincitore di
Capo Ecnomo nel 256 portarono la guerra in Africa. Qui il successo fu reso vano dalle inaccettabili condizioni
di pace imposte a Cartagine da Attilio Regolo. Seguì una pesante sconfitta per Roma nel 255 e Regolo fu
imprigionato. La situazione diviene sempre più ardua.
L'unica strategia possibile per Roma era l'attacco via mare, utilizzando la base siciliana a Trapani e Lilibeo.
Bisogna ricostruire la flotta militare navale e per questo fu essenziale il finanziamento dei privati tramite
prestito anticipato. La flotta riorganizzata fu affidata a Gaio Lutazio Catulo e inviata in Sicilia. Questa si
scontrò nel 241 con la Flotta cartaginese guidata da Annone e riportò la vittoria decisiva della guerra alle
isole Egadi. Catulo procede alla redazione delle clausole di pace: Cartagine abbandonava la Sicilia e le isole
tra la Sicilia e l'Italia; restituiva i prigionieri e pagava un'indennità di guerra. Da Roma il Senato inviò una
trattativa di 10 legati ad esaminare la situazione. La Sicilia passava sotto il controllo di Roma e diverrà la
prima conquista romana extra italica (con nuove soluzioni amministrative).

Lo scontro non era risolto e le due potenze si fronteggiarono in Sardegna e in Spagna.


In Sardegna, i mercenari cartaginesi, terminata la guerra, si riunirono a Sicca Veneria per reclamare il
pagamento degli arretrati ; ne conseguì un violente scontro con i Punici in territorio africano che culminò a
Utica e poi si spostò in Sardegna e Corsica. I mercenari chiamano in aiuto Roma una prima volta nel 239 e
non rispondono; la seconda volta, un anno dopo, intimò i cartaginesi di abbandonare le isole. Si giunse ad
un trattato in cui Cartagine cedette tutta l'area. Da questo momento Roma si misura con le potenze
indigene dell'isola, nel 227 i due territori furono organizzati in provincia.
Il secondo teatro in cui si intersecano gli interessi romano-punici fu la Spagna. Per Cartagine, la perdita della
Sicilia e poi della Sardegna e Corsica diede modo di respirare all'ala offensiva e militarista guidata dalla
famiglia Barca. L'orizzonte di espansione si spostò verso la Spagna, regione ricca di stagno rame e uomini
per la milizia. Nel 237 Amilcare Barca arriva in Spagna, nel 226 giunse in genero di Amilcare, Asdrubale, che
gli era subentrato alla definizione di un trattato che interveniva a spartire le aree di influenza territoriale
romana cartaginese. Sagunto, città spagnola alleata di Roma si trovava nell'area di influenza Cartaginese e
diventerà area di scontro. Nel mentre Roma era impegnata su due fronti:
- Gallico (268-218)
- Illirico (230-29 e 219)

 La seconda guerra punica (219-202)


Il secondo confronto esprime la volontà di entrambe le potenza di portarsi in una nuova guerra per il
controllo del Mediterraneo. Alla morte di Asdrubale nel 221, Annibale, figlio di Amilcare fu eletto capo delle
truppe in Spagna e nel suo progetto di espansione si imbatte nella città di Sagunto, alleata di Roma, che la
occuperà nel 219 costringendo Roma ad intervenire.
Questa seconda guerra si differenzia dalla prima in quanto si allarga lo spazio politico e territoriale
che va ben oltre Roma e Cartagine; lascia emergere limiti e contraddizioni presenti all'interno di
Roma; esaspera e risolve conflitti che dividevano all'interno il ceto politico romano.
Dopo la dichiarazione di guerra a Roma si stabiliscono le linee del conflitto:
- Console Sempronio Longo incaricato in Africa
- Console Cornelio Scipione in Spagna
Il generale cartaginese porterà la guerra in Italia, consapevole che l'unica via per sconfiggere Roma era
spezzare quei vincoli di alleanza, bloccare la rete di foedera che assicurava a Roma una continua riserva di
uomini e risorse.
Annibale riuscì a varcare velocemente i Pirenei e a dirigersi presso le Alpi nel 218. Il progetto romano di
bloccare i cartaginesi franò e dinanzi al pericolo venne richiamato il console Sempronio Longo da Malta. Gli
anni che trascorsero fino al 216 furono costellati di sconfitte per Roma:
- 218 fiume Ticino
- 218 fiume Trebbia
- 217 fiume Trasimeno
Ne uscirono sconfitti i consoli Scipione e Longo e anche Gaio Flamineo che muore in battaglia. La gravità del
pericolo condusse al ripristino di una magistratura, la dittatura. A capo fu nominato Fabio Massimo. Questo,
dinanzi al “fenomeno Annibale” pose in atto la tecnica del logoramento: Annibale non poteva essere
annientato in una battaglia campale ma andava estenuato tramite un'azione continua che lo esaurisse e lo
privasse delle sue risorse. A un primo consenso seguì un atteggiamento di contrarietà da parte del popolo.
Ben presto ci fu il magister equitum ad affiancare il dittatore, M. Minucio Rufo. Nel 216 furono eletti i
consoli Emilio Paolo e Terenzio Varrone ma proprio in quell'anno ci fu la sconfitta a Canne con la morte di
Emilio paolo. Il dopo Canne rappresenta il momento più drammatico del conflitto sia dal punto di vista
emotivo che politico-militare.
Nel 215 si profila un nuovo nemico per Roma: alleanza tra Annibale e il re Macedone Filippo V, certamente
per il fronte aperto nell'Illirico. Ne derivò il primo conflitto tra Roma e Macedonia che si concluse nel 205.
- Ab urbe condita di Livio vi è un quadro della popolazione sconvolta, vi sono aruspici improvvisati
che speculano sull'ingenuità della plebs urbana. La risposta del Senato fu severa, ricorrendo a
misure straordinarie in ambito religioso: sacrifici umani e nel 205 introdotto il culto di Cibele.
In questi anni resta salda solo la linea politica dei Scipioni in Spagna. Nel 217 Cornelio Scipione senior
ottenne di essere inviato in Spagna presso il fratello e riuscirono a bloccare l'invio di aiuti dalla Spagna ad
Annibale. Intanto l'esercito di Roma necessitava di nuovi soldati e si procedette a reclutamenti straordinari.
A partire dal 212 ricominciò la lenta ripresa romana con il recupero di Capua, Siracusa, Agrigento e Taranto.
Nel 211 i due Scipioni costretti a separarsi troveremo morte in battaglia.
Nel 210 venne nominato un altro comandante in Spagna e data la situazioni di crisi, la clientela che gli
Scipioni si erano creati condusse all'attribuzione per legge dell'imperium, in via straordinaria, al giovane
Cornelio Scipione che aveva rivestito la sola edilità. Egli fu in grado di costruire dietro di sé un forte
consenso e a rappresentare una cerniera tra Senato e popolo. Dopo i successi conseguiti a Nova Carthago,
Baecula, nel 206 Ilipa espulse definitivamente i Cartaginesi dalla Spagna. Nel 205 fu eletto console, mentre
in Italia c'era ancora Annibale.
I contrasti a Roma sono forti, le line di conduzione della guerra vedono:
- Q.Fabio Massimo che premeva per concentrare le forze in Calabria
- Scipione che spingeva per portare la guerra in Africa (per riprendere il disegno originario)
L'idea di Scipione della spedizione in Africa non incontrò un consenso generalizzato. Si stabilì che uno dei
due consoli dell'anno avesse il comando in Sicilia col compito eventuale di muoversi verso l'Africa, se fosse
necessario. Posta l'impossibilità console collega di uscire dall'Italia, poiché rivestiva la carica di Pontefice
Massimo, questa prerogativa passò a Scipione. Egli procedette con un esercito di 7000 uomini volontari,
sostenuto dagli alleati italici. La sua azione militare in Africa troverà poi un sostegno fondamentale nell'aiuto
di Massinissa, anch'egli ribelle contro i Cartaginesi, capo della tribù dei Massili. Sifale, re di Numidia, si
schierò con Cartagine.
Nel 203 anche Annibale tornò in Africa dopo che erano risultati fallimentari i tentativi di portargli aiuto da
parte di Asdrubale, sconfitto al Metauro e di Magone. Nel 203 Scipione vinse ai Campi Magni sbaragliando i
Cartaginesi e Siface, così che Massinissa si insediasse sul trono di Numidia. Nel 202 presso Zama vi fu lo
scontro campale dal quale Annibale e i Cartaginese uscirono pesantemente sconfitti.
La stipula della pace prevedeva pesanti sanzioni per Cartagine:
- Manteneva la sua autonomia tenendosi nel territorio dell'odierna Tunisia fino al golfo di Gabes
- Restituire a Massinissa le proprietà degli antenati
- Non poteva guerreggiare fuori dall'Africa
- Poteva entrare in guerra nel territorio africano solo con il consenso romano
- Consegnare tutta la flotta e gli elefanti
- Rendere i prigionieri
- Pagare 10 000 talenti in 50 rate annuali
In quegli anni andò così affermando anche il controllo della Spagna. Nel 197 il territorio sotto controllo
romano fu spartito in due provinciae di Spagna Citeriore (a sud dell'Ebro) e Spagna Ulteriore > si trattava di
un controllo relativo alle zone costiere. Non era ancora una popolazione conclusa: la popolazione spagnola
discontinua e organizzata senza un centro politico era difficile da controllare nelle aree interne.

 La terza guerra punica (149-146)


Il terzo conflitto tra Roma e Cartagine trova la sua origine in alcune clausole della pace del 202 a.C.: il
riconoscimento a Massinissa di possedimenti suoi o dei suoi antenati e la proibizione di una politica estera
di Cartagine autonoma da Roma. Cartagine nel frattempo era riuscita a risollevarsi , tanto che nel 191
decide di saldare il debito con Roma nel 191 a.C. La clausura del 202 aveva lasciato a Massinissa, il re
Numdia, la possibilità di abbandonarsi ad atti di prepotenza nei confronti dei Cartaginesi. Nel 152 Cartagine,
dopo aver chiesto ragione a Roma contro le scorrerie del numida senza ricevere alcun appoggio, inviò un
esercito contro Massinissa. Si ponevano le condizioni del terzo conflitto .
La discussione in Senato era molto accesa: prevalse una posizione anti cartaginese e favorevole alla
distruzione della città. Fu proprio la linea conservatrice, quella guidata da Catone e premere verso una
risoluzione drastica. Nel 149 Roma attaccò dunque Cartagine. I Cartaginesi cercano un accordo con Roma
ma le condizioni che la città gli aveva posto – spostarsi a dieci miglia dalla costa – era troppo pesante. Al
rifiuto Roma assediò Cartagine ma soltanto nel 146 per mano di P. Cornelio Scipione Emiliano, figlio di
Emilio Paolo, console nel 148, si giunse alla distruzione della città.

Il dibattito politico
La repubblica romana durante le prime due guerre puniche attraversa un processo di trasformazione, di
riorganizzazione dello spazio politico-istituzionale e amministrativo della Roma antica, proiettata verso una
dimensione mediterranea della propria potenza. Tra il 242-241 viene creata una nuova figura magistratuale:
- Praetor qui inter cives et peregrinos ius dicit: ai pretori urbani si aggiunsero i pretori peregrini
incaricati di dirimere le controversi che esplodevano tra cittadini e forestieri.
- Riforma più democratica dell'assemblea centuriata: le centurie della prima classe divennero 70, in
rapporto con le tribù che a quest'altezza erano circa 335.
All'interno di questo quadro si possono rintracciare linee politiche molto diverse tra loro, espressioni di
orientamenti familiari, interessi personali e della mobilità di un ceto politico, la nobilitas. Per quanto
riguarda la politico estera un'animosa discussione si crea riguardo l'aiuto da inoltrare ai Mamertini e alla
strategia da adottare contro Annibale:
- Fabio Massimo: leader dei conservatori, esponente della grande proprietà, legato all'economia
della terra
- Gaio Flaminio: leader dei riformatori democratici, legato alla piccola proprietà terriera e
all'espansione e colonizzazione del nord
- Scipioni: avversari dei Fabi e legati agli Emili, appaiono aperti all'espansione mediterranea e ai ceti
mercantili e finanziari
- Quinzio Flaminino: aperto all'espansione nel mediterraneo ma si differenzia dagli Scipioni per un
interventismo di Roma più mite.
Si cerca di trovare un equilibrio a Roma e spesso vi sono personaggi di orientamento differente tra loro
come nel 216, con Emilio Paolo il “fabiano” e Terenzio Varrone; oppure all'elezione di due consoli plebei nel
215 dove uno dei quali, Claudio Marcello, si dimise a vantaggio di Fabio Massimo. Nel 217, dinanzi al
tentativo del tribuno Metilio di abrogare l'imperium a Fabio Massimo fu fissato tramite plebiscito una pari
potestas al dictator e al suo magister equitum, Mario Rufo, di orientamento popolare.

In questo quadro si collocano anche indirizzi di politica più democratici, come l'attività di Flaminio, tribuno
della plebe nel 232, console nel 223 e nel 217 eletto contro l'ostilità dei patres e col favore del popolo
(secondo la tradizione di Livio). Nel 232 egli, in qualità di tribuno della plebe intervenne nella materia
agraria con la lex Flaminia de agro Piceno et Gallico viritum dividendo che era stata posta al centro degli
interessi dei tribuni: si trattava di divedere l'agro dei Piceni e dei Galli Senoni tra i cittadini romani,
individualmente, fuori da una deduzione di tipo coloniale. Il Senato si oppose con violenza a tale proposta
per ragioni economiche e politiche; la legge passò lo stesso con l'approvazione del popolo. Il programma si
sarebbe concluso nel 220 con la costruzione della via Flaminia che congiungeva Roma-Rimini.
Inoltre, durante la guerra contro gli Insubri, il Senato aveva negato il trionfo dello stesso Flaminio per la
disubbidienza mostrata: sarà il concilium plebis a concederglielo.
Flaminio sostenne poi da solo la proposta del tribuno Claudio, approvata nel 218, ossia vietare ai senatori di
possedere navi in grado di trasportare più di 300 anfore, impedendo così a loro di dedicarsi ad attività
commerciali. Evidentemente egli raccoglieva le preoccupazioni che si incontrano nella classe emergente che
il ceto senatorio non monopolizzasse le nuove attività promosse dalla conquista imperiale.

In questi anni vi è la Lex Maenia che stabiliva che l'auctorias patrum dovesse precedere le elezioni comiziali
(e non più seguirle) andando nel segno di un rafforzamento dei comizi. un'altra legge, non nota, limita
l'attività dei censori nell'escludere dal Senato gli “Indegni” andando in direzione di un rafforzamento del
Senato.

ESPANSIONE DELL'IMPERIUM FRA ORIENTE E OCCIDENTE


Alla morte di Alessandro Magno l'Impero da lui creato si scompose tra i suoi eredi; in particolare:
- Regno macedone degli Antigonidi
- Regno siriaco dei Seleucidi
- Regno egizio dei Tolomei
- Pergamo degli Attalidi
Il mondo greco manteneva le sue caratterizzazioni: da una parte le leghe (achea, beotica, etolica) dall'altra
le poleis, tra le quasi Atene e sparta. Particolare importanza aveva Rodi per le relazioni economico-
commerciali. Queste realtà si trovano spesso in posizioni di forte conflittualità, alleanze e tradimenti si
succedono continuamente.
La Siria e la Macedonia con i nuovi intraprendenti sovrani: Antioco III e Filippo V, una stagione di espansione
ledendo altri stati. Atene era invece legata all'Egitto, con il quale anche Roma aveva creato rapporti (durante
la guerra annibalica l'Egitto aveva rifornito i granai romani).

 Le guerre illiriche
Dopo la prima guerra con Cartagine (264-241) Roma viene minacciata dalla pirateria del mondo orientale.
Inoltre, già nel 237-36 Roma
era stata chiamata dagli
Acarnani a protezione contro
gli Etoli. Gli Illirici, sotto la
guida di Agrone, nel 240 si
erano costruiti un regno e la
loro principale risorsa era la
pirateria. Morto Agrone fu sua
moglie Teuta a continuare
l'espansione dello stato illirico,
giungendo fino
all'occupazione di Epidamno,
Corcira e Apollonia. Da qui la
forte protesta degli Achei ed
Etoli.
L'Adriatico non era un luogo
sicuro per le colonie di Roma
(Rimini nel 268 e Brindisi nel
144). Uno degli ambasciatori
romani inviati per chiedere
ragioni dell'accaduto fu ucciso
nel viaggio di ritorno. Nel 229 i
Romani sbarcano in Illiria e vincono ad Apollonia e Durazzo; progressivamente capitoleranno tutte le città
fino a Teuta nel 228. Fondano a Teuta un Principato romano per controllare a sud il regno e lo affidarono a
Demetrio di Faro (che durante le battaglio abbandonò la regina Teuta e si schierò dalla parte dei romani). La
rilevanza attribuita a Roma fu visibile dalla partecipazione romana ai giochi istmici di Corinto.
Successivamente Demetrio di Faro si ribellò ai romani e appoggiandosi ai Macedoni si dà ad atti di pirateria
spingendosi fino alla Messenia e ponendosi contro gli Etoli. Nel 219 Roma interviene e riappacifica la
situazione. Demetrio si rifugiò in Macedonia, da Filippo V. Intanto Sparta ed Etoli si portano in guerra
contro la Macedonia. Nel 217 a Naupatto fu siglata la pace che sanciva il controllo di Filippo V su quell'area.

 La prima guerra macedonica


Filippo V di Macedonia, dopo la sconfitta di Roma presso Canne (216), pensò di cogliere l'occasione per
inserirsi nel conflitto della II guerra punica alleandosi con Annibale nel 215 con il fine di recuperare il
controllo sulle coste illiriche. Scoperta fortuitamente l'alleanza tra Filippo V e Annibale avendo intercettato
una nave in cui viaggiavano gli ambasciatori di Filippo V, Roma organizzò subito la sua risposta. Nel 214 il
console Valerio Levio si portò sul fronte illirico, dove vinse ad Apollonia.
I romani cercano alleanza nel mondo greco e la trovano nella Lega etolica, cui Roma si era già avvicinata
durante la seconda guerra illirica. Nel 211 stipulano un tratto di alleanza, a cui si aggiunsero Sparta e
Pergamo, che prevede:
- Agli Etoli tutte le città che Roma avrebbe conquistato
- A Roma il diritto di metà del bottino
Dalla parte di Filippo V erano Beoti, Euberi, Acarnani e Epiroti; la lega achea si mantenne neutrale come
Atene e Rodi. Nel 205 Roma firmò la pace con i Macedoni a Fenice: Filippo perse le sue conquiste illiriche.
Questa guerra, insignificante per le conquiste, si rivelerà decisiva per Roma in quanto si erano creati i primi
rapporti di alleanza.

 La seconda guerra macedonica


Con la morte del re d'Egitto Tolomeo nel 204, si riaccesero le mire espansionistiche di Filippo V e Antioco III,
re di Siria. Queste due avrebbero concordato segretamente di spartirsi il territorio in due sfere di influenza
sui possedimenti dell'Egitto. Mentre Antioco III attaccava i possedimenti a sud della Siria, Filippo di mosse
verso il Bosforo e negli stretti, attaccando le città di Lisimachia, Cio, Calcedonia. Gli Etoli inviarono
immediatamente un'ambasceria a Roma (202) per aiuto ma non venne accordato. Nel mentre l'avanzata di
Filippo continua fino ai territori di Pergamo.
Rodi e Pergamo chiesero aiuto a Roma ma ancora non intervenne (i comizi votarono contro), fu però inviata
un'ambasceria in Grecia. Atene, venuto meno il sostegno egiziano, decise di dichiarare nel 200 guerra a
Filippo. La tradizione, per quanto riguarda l'ingresso romano nella guerra, è oscura: si sa che un'ambasciata
ateniese giunse a Roma e probabilmente avrebbe chiesto aiuto; Roma si sarebbe sentita garante di Atene
essendo questa tra i firmatari della pace di Fenice (ma è un'ipotesi).
Roma pone un ultimatum a Filippo ma rifiutò. Era la guerra. Nel 199 i romani sbarcano ad Apollonia con due
legioni di veterani dalla campagna di Africa e Spagna. La coalizione romana comprendeva Rodi, Pergamo,
Atene (la Lega etolica e achea nestano fuori).
Le forze militari romane erano nettamente superiori. Nel 198, con a capo il console Flaminino, di posizioni
fortemente filoelleniche, portò significative vittorie militari nella Tessaglia e nella Grecia centrale. Con la
promessa di ottenere Corinto persuase la Lega achea a schierarsi con Roma (ottima azione diplomatica).
Filippo, in difficoltà, chiese di trattare ma il Senato non approvò le richieste avanzate e riprese la guerra.

Riguardo questi trattati: Flaminio, in scadenza del suo mandato e dell'incerta prerogatio, aveva spinto per
chiudersi e assicurarsi il successo. Quando gli venne riconfermato il suo imperium, a Roma i suoi sostenitori
fecero naufragare i negoziati (segno che il successo personale animava il ceto dirigente di Roma).

Filippo fu isolato, tutti i greci passarono dalla parte di Roma. Le trattative di pace si svolsero a Tempe,
Flaminino voleva ridimensionare la politica di potenza delle città e a condurle sotto l'imperium di Roma
esercitato indirettamente, si stabilì che:
- le città greche d'Europa e d’Asia Minore sarebbero state libere
- Filippo avrebbe pagato un'indennità
- Filippo avrebbe lasciato la Caria e l'area degli stretti
Durante i giochi istmici di Corinto del 196 Flaminio proclamò l'indipendenza delle città greche d'Europa ed
Asia e nel 194 ottenne la smobilitazione dei praesidia romani dovunque essi fossero nell'area greca.

 La guerra siriaca
Alla morte di Tolomeo Antioco III si era mosso alla conquista dei possedimenti egizi in Asia. La sua azione
non ricadde negli interessi di Roma; si spostò poi sull'Ellesponto mirando alle città greche della costa
asiatica. Lampsaco e Smirne nel 197 chiese aiuto a Roma. Era proprio in corrispondenza del periodo
“Antioco” che Scipione Africano aveva sconsigliato la mobilitazione militare della Grecia.
Nel 193 si cercando dei rapporti diplomatici tra Siria e Roma: una missione siriaca chiedeva la spartizione
delle zone di influenza; Roma rispose con la richiesta (inaccettabile per i siriani) che Antioco rinunciasse alla
Tracia e alle città asiatiche dell'Egeo su cui si erano estese le sue mire. I pergameni spingevano Roma contro
Antioco r gli Etoli spingevano Antioco contro Roma. Nel 192 Antioco III giunge a Demetriade e cerca di
guadagnare alla sua causa i greci. La Lega achea, sollecitata da Flaminino, dichiarò guerra ad Antioco.
A Delio venne massacrata dall'esercito siriano una guarnigione di truppe romane, era l'inizio della guerra,
nel 191 i romani sbarcano ad Apollonia; loro alleato sarà Filippo V al quale si accordò il controllo della città
che avrebbe sottratto agli Etoli.
Antioco controllava gran parte della Grecia centrale e della Tessaglia. Sotto la guida di Glabrione Roma
ottenne alle Termopoli una grande vittoria, che fece ritirare Antioco dalla Grecia (191). La guerra si sposta in
Asia, nel 190 a Roma vennero eletti i consoli L. Scipione e Leli. Al primo fu affiancato il fratello P. Scipione
Africano, che non poteva essere rieletto in quanto console quattro anni prima. Annibale intanto dai 191 si
trova presso Antioco e partecipa attivamente alla guerra (riemergono le figure della II guerra Punica).
Dalla parte di Roma si schiera anche Pergamo e poi Rodi. Roma e i suoi alleati in breve tempo si assicurano il
controllo dei mari con due vittorie navali:
- Capo Corico nel 191
- Capo Mionneso nell’Egeo 190
Infine, nel 189 a Magnesia L. Scipione riuscì a sconfiggere Antioco. La pace fu firmata ad Apamea (188) e si
stabilì:
- Antioco si ritirava dall'Asia minore Occidentale
- Pagamento di una gravosa ammenda
- Flotta affondata
- Dovette consegnare dei nemici che si trovavano alla corte di Siria a Roma 8tra i quali anche
Annibale, che fuggì e si suicidò)

La battaglia di Magnesia aveva decretato il successo di L. Scipione ma inizia in questo periodo un contrasto
tra gli Scipioni e gli antiscipionici (Catone). La trattativa di pace fu affidata a Manlio Vulsone; si ricordi anche
alla vigilia della spedizione in Africa il Senato non agevolò il piano di Scipione; l'atteggiamento tenuto da
Scipione Africano nella spedizione asiatica contrastò la linea tradizionale romana, in quanto trattava i
sovrani ellenistici come pari, non invocando l'intervento del Senato. Scipione stesso disse ad Antioco di non
scendere in battaglia finchè egli, malato, non si fosse ripreso. Tutto questo non era visto con buon occhio
dall'aristocrazia tradizionalista. Il conflitto politico si tradusse in attacchi giudiziari contro entrambi i fratelli:
prima Lucio poi Publio. Il secondo venne sospettato di tramare con Antioco. Publio si ritirò nella sua villa
senza attendere il processo.

 La terza guerra macedonica


Dopo la guerra siriaca Roma continuò ad essere impegnata in operazioni sul fronte greco. Tra tutti la Lega
achea fu impegnata nei conflitti per il controllo sia della solita Sparta sia di Messene. La situazione si
acquietò quando a capo della Lega giunse il filoromano Callicrate. Intanto la Macedonia recuperava risorse.
La guerra siriaca non aveva esaurito le mire macedoni sulla Tracia e i movimenti di Filippo V destavano la
preoccupazione dei popoli prossimi, in particolare i tessali, e di pergamo, interessata alla Tracia.
Roma dovette intervenire, imponendo a Filippo di attenersi ai patti. Filippo, per mostrare la propria fedeltà,
inviò a Roma il proprio figlio Demetrio. Il ritorno di Demetrio da Roma fu occasione per Perseo, secondo
figlio di Filippo, per adombrare nel padre sospetti di tradimento da parte del fratello. Questi venne fatto
uccidere e alla morte di Filippo V nel 179 succede Perseo che prosegue il disegno di rinascita macedone.
La sua ascesa politica avvenne in due direzioni:
1. Si schiera nelle singole città dalla parte popolare in contrasto con l'aristocrazia filoromana
2. Stabilisce ottimi rapporti con i regni orientali: sposa la figlia di Antioco IV e diede in moglie sua
sorella al re di Bitinia
I romani ruppero il trattato del 178 e inviarono un'ambasciata in Grecia per rendere note le colpe del
Macedone; mantennero una tregua con Perseo, per riorganizzarsi. Nel 171 la guerra ebbe inizio: il pretesto
fu l'attacco subito dagli alleati. Le prime fasi furono costellati da successi di Perseo, sia militari che
diplomatici. Il 168 fu l'anno della svolta con la vittoria del console Emilio Paolo a Pidna.
Le risoluzioni di pace non furono semplici (de liberanda Macedonia di Catone). Si decise che la Macedonia
fosse divisa in 4 Repubbliche autonome alle quali fu proibito di fruire dell'oro e dell'argento delle miniere e
di costruire navi. I cittadini delle quattro repubbliche non potevano sposarsi tra loro ne possedere proprietà
nell'altro stato.
Vennero puniti anche gli alleati di Perseo:
- Illirica divisa in tre distretti
- Epiro abbandonata al saccheggio
- Epiroti venduti come schiavi
- Rodi indebolita (non si era nettamente schierata)
I proventi di guerra dovettero divenire ingenti; tanto che nel 167 fu abolito per i cives Romani il tributum
straordinario cui spesso si ricorreva come tributo di guerra.

 La quarta guerra macedonica


Nel 149 un tale Andrisco, spacciatosi per figlio di Perseo, suscitò una rivolta e si proclamò legittimo re. La
minaccia fu subito annientata perché il console Metello lo sconfisse nel 148 a Pidna. Nel 146 la Macedonia
verrà nel 146 organizzata in provincia Romana, inaugurando una nuova fase della politica di Roma in
Oriente.

 La guerra acaica
I rapporti tra la Lega achea e le città del Peloponneso sono stati da sempre dominati da forti contrasti. Nel
150, alla morta del filoromano Callicrate si creò una nuova occasione di conflitto. Nella Lega anche l'odio
trattenuto contro i romani divampò. La Lega intervenne contro Sparta che voleva staccarsene e nel 148
inviava una propria legazione a Roma. Un anno dopo Roma ordinò alla Lega di liberare le città di Sparta,
Argo e Corinto. Nel 146 la Lega achea dichiarò guerra a Sparta e a Eraclea; in quest'anno Metallo scese sul
Peloponneso e battè gli achei. Il console successivo, Mummio, ottenne la vittoria definitiva rendendosi
responsabile della distruzione di Corinto. Le clausole di pace stabiliscono l'imposizione di regimi oligarchici
nelle città greche e lo scioglimento di tutte le Leghe. La Grecia passava sotto il controllo della Macedonia

 Annessioni: Cartagine e Pergamo


Nel 146, oltre alla distruzioni di Corinto vi è quella di Cartagine; anche qui ci sarà la trasformazione della
regione in provincia romana. Nel 133 per la prima volta l'imperium di Roma si espande in Asia Minore
inserendo il regno di Pergamo in quanto fu lasciato da Attalo III, erede senza figli, in eredità ai romani.
L'annessione a Roma trova la resistenza di Aristonico, forse un fratello naturale di Attalo e la rivolta fu
sedata solo nel 129 e la provincia di Asia costituita nel 126.

 Le guerre servili
Le teorie egalitarie orientali, che culminavano nell'utopia della “città del Sole”, circolarono diffusamente tra
gli schiavi. A sollevarsi furono soprattutto gli schiavi condannati a esistenze disumane; in particolare quelli
impiegati nei latifondi o nelle miniere. La rivolta servile esplose in Sicilia in due fasi:
a. 136? – 132: si proclamò re uno schiavo siro Euno; riuscì a conquistare la città di Taormina,
Henna e Catana. Per Roma l'offensiva fu complessa e fu necessario inviare ben quattro
pretori. Il gruppo di ribelli comprendeva, tra gli schiavi, numerosi prigionieri di guerra.,
avvezzi nell'uso delle armi. La rivolta fu sedata nel 132.
b. 104 – 101: si trattò di una reazione a un provvedimento negato. A fronte di un decreto che
stabiliva la liberazione di schiavi nati liberi in città alleato, il governatore della Sicilia non
diede corse alle procedure previste. Lo schiavo Salvio, nel sud dell'Attica, nelle miniere di
Laurium, si proclamò re. Solo nel 101 Roma pose fine alla ribellione.

L'eredità della guerriglia iberica


La sistemazione che Roma aveva dato alla spagna dopo la guerra annibalica era inadeguata e riguardava
solo le aree costiere. Le tribù interne impegnarono a lungo Roma e contribuirono a mettere in crisi i
rapporti interni. Tra le popolazioni ribelli ebbero una certa importanza i Celtiberi e i Lusitani. La risposta
romana vide in campo Catone che celebra il trionfo nel 194 e Sempronio Gracco che nel 174 stringe un
accordo di pace con i Celtiberi. Fine della prima guerra celtiberica.
I conflitti ripresero negli anni ’50 con la seconda guerra celtiberica; in particolare:
- i Lusitani si sollevarono contro Roma dal 154-138
- successivamente i Celtiberi in due fasi, 153-151 e 143-133. La prima fu sedata da Claudio Marcello
cercando la pace dopo molte trattive diplomatiche.
Gli atteggiamenti dei romani appaiono differenti nei confronti dell'Oriente (nova sapientia). I comandi in
Spagna non davano lo stesso lustro dei comandanti in Oriente.
La terza guerra, detta anche guerra numantina, ebbe inizio dopo il 143 e vede di nuovo la figura di Scipione
Emiliano, eletto console a furor di popolo, fuori dalle norme di carriera e assediò la città di Numanzia e
dopo otto mesi di assedio la rase al suolo.
Nel 123 furono conquistate le Baleari e fondata l'isola di Maiorca e le colonie Romane di Pollenza e Parma.

Roma nel II secolo si muove anche in Gallia meridionale: nel 125 sarà inviato Flavio Flacco; nel 122 Sestio
Calvino battè Liguri e Salluvii e fondò Aquae Sextiae. Nel 118 la conquista della colonia latina di Narbo
Martius (Narbona), nucleo della provincia di Gallia Narbonese.

L'organizzazione provinciale
Con la vittoria della prima guerra punica Roma si confronta con uno spazio politico e territoriale diverso
dalle terra Italia (Livio i non Italici alienigeni). Si profila dunque la necessità di una nuova gestione.
Non è noto con certezza come sia stata amministrata la Sicilia, è possibile che:
- Privati cum imperio o promagistrati
- Quaestor a Lilibeo
- Divisione della Sicilia in distretti con obblighi fiscali verso Roma
Certo nel 227 vennero inviati due pretori. I problemi ai quali era necessario far fronte eano:
1. Militarizzazione dell'area conquistata
2. Amministrazione della giustizia per i cittadini romani presenti nell'isola
La competenza magistrale che raccoglieva queste due caratteristiche era quella del pretore. l'incarico
attribuito al magistrato era denominato provincia. Era dunque il termine generico per indicare la
competenza affidata: lo era l'incarico svolto dal pretore urbano a Roma. In un secondo tempo questo
sostantivo indica il territorio su chi si esprimeva la competenza del governatore. Mutamento del termine da
giuridico a territoriale.

Nel 198 fu organizzata la Sicilia, Sardinia, Cordica e Hispania: si ponevano gradualmente le basi per la
costruzione di un sistema. Non sarà applicata tour court: esercizio del proprio imperium non sarà subito
esteso in Oriente. La propaganda si era concentrata in scelte politico-amministrative: la proclamazione di
libertà di Flaminino nel 196; la smobilitazione dei presidi militari.
Roma aveva rinunciato ad estendere il proprio imperium? La provincia era una forma di espressione
dell'imperium ma non l'unica. Roma in Oriente esercitava l'imperium tramite trattati, protettorati, arbitrati,
decisioni sulla forma istituzionale dei popoli conquistati 8la divisione della Macedonia in quattro
repubbliche). Sono formule che esimevano Roma dal controllo diretto (militare e amministrativo). Nei casi in
cui si costituisce una provincia Roma talvolta accetta per un tempo determinato pratiche preesistenti,
affidando le funzioni specifiche alle città del posto, pur sotto la supervisione del governatore.
Nel 146 si preferì in maniera generalizzata organizzare la conquista in forma provinciae: in quest'anno
furono create le provinciae di Maceodonia, Achaia e Africa. In questi anni i romani avevano maturato la
consapevolezza di dover procedere alla sistemazione della conquista.
Vi è la lex Sempronia de provincis consularibus nel 123-22 in cui viene imposto al Senato di dichiarare due
province destinate ad ex consoli dell'anno successivo prima dell'elezione dei nuovi consoli.

Come si costituisce una provincia?


- Le provinciae vengono assegnate dal Senato che indica il nome del territorio e le attribuisce ai
promagistrati per sorteggio. Questi sono i pretori (che aumentano a 6), poi ex magistrati con
imperium prorogato.
- Registrazione del Senato della nuova provincia, corredata dalla formula provinciae (la descrizione
del territorio con le comunità che lo costituiscono e relativo statuto). In alcuni casi il governatore
interveniva a dare un'organizzazione globale al territorio su cui si estendeva la sua giurisdizione, la
cosiddetta lex provinciae (es per le Bitinia redatta subito da Pompeo nel 63).
All'interno delle provincia potevano sussistere realtà autonome, sempre per volontà di Roma stessa. In
questo caso si avevano:
a. civitates foederatae: legate a Roma da rapporti individuali legati da trattati
b. Civitates liberae et immunes: non vincolate a Roma da alcun trattato, libere dalla
giurisdizione del governatore ed esenti all'imposizione del tribuno
Il governatore svolgeva tre funzioni:
- politico-militare
- giurisdizionale: subito il governatore indicava i luoghi dove avrebbe operato e dove sarebbero
convenuti i cittadini interessati. Tali adunane avevano il nome di conventus (dalle assemblee ai
luoghi in cui esse si svolgono)
- fiscale
La figura del governatore risultava sottratta ad ogni tipo di controllo e limitazione. Gli unici strumenti per
bloccarlo passano attraverso l'accusa dei privati. Per questo sarà istituito con la lex Calpurnia nel 149 il
tribunale de repetundis (malversazione).
- Gli accusatori dovevano essere esponenti di spicco, in buoni rapporti con Roma
- l'accusatore, non essendo un civis romanus doveva ricorrere per l'azione giuridica (actio) alla fictio
(un dispositivo giuridico per cui si fingeva che egli avesse il requisito civilistico necessario per
l’azione, ossia la cittadinanza romana)
Obbligo del governatore era rendere conto al Senato delle proprie attività e dello stato del proprio
territorio, ma le info riguardavano prevalentemente l'ambito militare. Nel 81, il regolamento sillano fissò la
durata dell'incarico per il pretore a un anno, dopo aver svolto per un anno la carica del pretore a Roma. La
lex Pompeia de provinciis fisserà che i consoli e i pretori non potessero acquistare la promagistratura prima
di un quinquennio dalla carica e fissò la promagistratura nel cursus honorum.

Il problema politico
Il concetto cardine attorno a cui ruota il potere a Roma è l'imperium inteso come concettto giuridico. La
politica estera di Roma si configura come un allargamento del suo imperium.
- Polibio colloca Roma e il suo Impero nella prospettiva di una storia universale e ne rintraccia la
causa nella sua forma costituzionale mista
- Posidonio assumeva l'Imperio di Roma come dato del logos della storia. Si sofferma anche su ciò
che vedeva distorto, individuando la causa nell'avidità del ceto dirigente
Gli storici moderni hanno cercato di connotare “l'imperialismo” di Roma e vede due visioni contrapposte:
a. Imperialismo offensivo: politica espansionistica di Roma come volontà di allargare la propria
potenza
b. Imperialismo difensivo: risposte agli attacchi stranieri.
La storia dell'espansione di Roma è difficile da interpretare univocamente e riconducibile ad un solo
modello. Sicuramente Roma ha un atteggiamento di compromesso che prevedeva la divisione di interessi
(iterato rifiuto delle condizioni di Antioco III); tecniche di penetrazione tramite amicitia e praesidia;
l'afferatezza di alcune misure inflitte ai dissenzienti. Tutte tecniche tese all'esclusività del suo controllo.

L'estensione dell'imperium romanum andrà letta come risultato di un dibattito politico di lunga durata e di
esito non prevedibile all'interno del gruppo dirigente romano, ma che coinvolge anche i ceti popolari: la
guerra fu il risultato di una convergenza trasversale di interessi. Lo stesso Cicerone definisce a malincuore e
polemicamente, per il confronto con i tempi attuali, l'imperialismo di Roma a cominciare dall'età di Silla,
imperium, anziché, come in precedenza, patrocinium.

POLITICA E SOCIETÀ FRA III E II SECOLO


La prassi politica
La politica a Roma è legata alla struttura sociale. A riguardo va operata una distinzione tra:
- Nobilitas: che comprende le famiglie che hanno un console fra gli antenati
- Aristocrazia in generale: un'area di elitè più allargata, e che con la nobilitas possiamo circoscrivere a
tutto il Senato e nuovi magistrati.
Dal 249-50 a.C. il 62% dei consoli aveva un console in famiglia, il 38% era di famiglie nuove. In questa fase
siamo dunque in un regime politico fortemente controllato da grandi famiglie aristocratiche (Catone emerge
con l'aiuto di Valerio Flacco, Lelio con gli Scipioni) ma che, anche per competitività aristocratica, è una
creazione del popolo.

Secondo la teoria prosopografica (cioè studio dei personaggi) la vita politica romana è dominata
dall'antichissima struttura sociale dei rapporti di clientela, basati sulla fides: la lotta politica sarebbe stata
allora lotta fra frazioni alleate o ostili e delle loro clientele. Ultimamente l'incidenza politica dei rapporti di
clientela in politica è stata molto ridimensionata a favore appunto dell'interpretazione di un controllo
sociale dell'aristocrazia piuttosto di tipo ritualistico. Secondo Fergus Millar nelle decisioni una posizioni di
rilievo è la volontà popolare.
L'ideologia del potere si basava sull'auctoritas del Senatus e sulla libertas populi. Il voto del comizio
centuriato, ad esempio, fu decisivo per dare inizio alla svolta imperialistica della politica romana con la
seconda guerra Macedonica.
Nel comizio centuriato, con la prima classe divisa fra i diversi candidati, per raggiungere la maggioranza
dovevano votare anche i ceti inferiori.
- Gaio Flaminino: si era reso popolare da tribuno della plebe con la legge sulla distribuzione dell'agro
piceno (232) condotta contro l'opposizione del Senato guidato da Fabio Massimo, arrivò al
consolato nel 217 nonostante l'ostilità dei patres, per il favore della plebs (secondo Livio)
La lotta politica nell'ambito dell'aristocrazia introduce la tecnica dei processi e l'introduzione dei tribunali
speciali. Catone ad esempio si opporrà alla grande popolarità degli Scipioni. Nel 187 iniziano gli attacchi a
Lucio Scipione e poi indirettamente il fratello Publio Scipione. In seguito all'Africano per aver intrattenuto
rapporti personali con Antioco III.

La politica legislativa
Un forte scontro sociale per iniziativa legislativa, tra Senato e popolo, fu la proposta agraria di Flaminio.
Meno clamoroso è il dissenso fra aristocrazia e demos su una legge del tribuno Terenzio Culleone nel 189,
che pare allargasse la parità di cittadinanza, imponendo al censore di iscrivere in tutte le tribù i liberti.
In generale le iniziative politiche seguono due direzioni:
1. Il completamento dell'ordinamento istituzionale (specie alla luce delle nuove conquiste)
2. La protezione del potere no0bilirare attraverso la conservazione della parità interna
Riguardo al punto 1, si portò a compimento dopo la lex Hortensia (282), l'iter dell'emancipazione dei comizi
dall'auctoritas patrum di eredità patrizia. La lex Maenia sancì che l'auctoritas patrum dovesse aversi prima e
non dopo le operazioni elettorali. Intorno al 242, dopo la prima guerra punica, al pretore urbano fu
affiancato il pretore peregrino con compiti giurisdizionali per le questioni che sorgevano fra cittadini e
stranieri. Nel 227 ci fu la mutazione dell'organizzazione dell'impero con la formazione del sistema
provinciale (Sicilia, Sardegna, Spagna, Corsica) i pretori furono portati da quattro a sei.
Seguono le tre leggi Porciae di metà II secolo con il diritto di provocatio ai cittadini fuori Roma, limitando i
poteri di coercizione dei promagistrati.
Il senato aveva iniziato a istituire tribunali speciali composti dal magistrato e dal suo consilium per alcuni
reati. La prassi di istituire quaestiones (tribunali speciali) solo ex senatus consulto fu infine vietata da una
legge di Gaio Cracco che stabiliva che una questio poteva essere istituita solo da una lex. Proprio per questo,
la sentenza della questio non poteva poi subire provocatio: i giudici rappresentavano il popolo giudicante. Si
aprirà da qui la questione politica della formazione delle corti giudicanti, per la quale ora si attinse ai
senatori.

Il punto 2. Vengono varate molte leggi per proteggere i valori e lo stile di vita dell'aristocrazia:
- Legge Cinzia (204) aveva proibito le donazioni
- Lex Oppia (215) contrarie a momenti di emancipazione femminile, vietando il lusso femminile
(abrogata 20 anni dopo)
- Lex Orchia (181) che riguardava il tema del lusso nelle mense
- 218 plebiscito Claudio vieta ai senatori di possedere navi da carico oltre le 300 anfore

Altre disposizioni legislative, unendo i due indirizzi (sistemazioni istituzionali e protezione nobiliare) tesero a
impedire di formarsi potenti personalità attraverso il monopolio della magistratura. Il plebiscito del 342
vieta l'iterazione del consolato entro 10 anni. Con la lex Villia annalis, del 180, si regolamentò dunque la
carriera magistratuale:
questura > tribuno della plebe (per plebei) > edilità > pretura > consolato > censura

A metà secolo la svolta: le pressioni sociali e le nuove esigenze spingono verso iniziative democratiche,
segnando la frattura tra tribuni della plebe e consoli per l'arruolamento militare. Inoltre, premeva il
problema terra, non essendo rispettata una legge di limitazione dell'agro pubblico pur vigente. Lo affrontò
Gaio Lelio, amico di Scipione Emiliano, ma ritirò la proposta di legge agraria per l'opposizione senatoriale.

Lo sviluppo disuguale e le trasformazioni sociali


Già nel III secolo si erano cominciati a formare accumuli di ricchezza. Lo stato chiese ai cittadini facoltosi,
durante la seconda guerra punica, contributi straordinari. Si formarono dunque societats private che
appaltavano contratti pubblici sia in relazione alle forniture, all'esazione delle tasse, sfruttamento delle
miniere, esecuzioni di grandi opere pubbliche. Nel 215 vi fu un'ufficializzazione del rapporto nel momento
in cui lo stato garantì un “cartello” di tre societates di fornitori delle truppe in Spagna sulle perdite che si
potevano verificare per la guerra o eventi naturali. Ci si preoccupava forse di non creare monopoli di profitti
o fenomeni di sfruttamento; in ogni caso pare chiaro che si poteva contare su una certa abbondanza di
societates.
L'economia monetaria era incrementata con l'apparizione della moneta d'argento. Lo stipendium, pagato
ora in moneta d'argento, si diffondeva incrementando l’attività bancarie degli argentarii.
Nasceva in questo contesto un ceto di imprenditori affaristi e finanziari che si affiancavano ai commercianti
(mercatores), la cui attività era stata la prima a crescere con l'espansione transmarina. Era un ceto che
poteva nascere dal basso ma richiedeva un capitale di base. Questo gruppo si venne così costruendo come
ceto dei cavalieri, coloro che, in origine, avevano il censo dotarsi di un cavallo proprio. D'altra parte i
cavalieri si venivano sempre più separando dall'esercizio politico. Da età alta i senatori avevano cominciato
a uscire dalle centurie equestri. Il plebiscito Claudio del 218 cominciò a formalizzare la separazione fra
status senatorio ed equestre vietando ai senatori il commercio di lunga gittata. I cavalieri, da parte loro,
passavano dall'attività militare a quella commerciale e finanziaria. La divisione fu quindi trasferita sul piano
politico-istituzionale. Si veniva così delineando nei ceti elevati una separazione dei due ordines, senatorio
ed equestre, ben incidenti con il Principato.

Il fenomeno trascinante fu la grande ricchezze che si riversò su Roma sia nell'erario sia nelle casse private.
Gli introiti pubblici erano rappresentati in prima battuta daGLI pagamenti in danaro imposti ai nemici vinti;
si trattava ormai di grandi somme proporzionate alla ricchezza di quei grandi Stati mediterranei.
Somme incalcolabili provenivano dalla vendita dei prigionieri come schiavi. Vi era infine lo sfruttamento
delle miniere, i rediti privati, le malversazioni, le depredazioni, le vessazioni di pubblicani e di governatori.
Per i grandi introiti pubblici fu possibile eliminare nel 167 il tributum straordinario che Roma chiedeva ai
cittadini in occasione di strettezze di guerra.
Gli investimenti privati si concentravano specialmente nella terra. La crescita dei poderi e le disponibilità
finanziarie, insieme alle risorse del grano che arrivava ormai dalle province (specie Sicilia) favorivano in
molte aree una conversione della produzione agricola verso culture di ulivi e vigneti. Anche l'influsso di
schiavi nel II secolo metteva a disposizione una manodopera a basso costo che contribuiva a mettere in crisi
i piccoli contadini. Con la produzione inizia anche l'esportazione di vino e olio, attestata dalla circolazione di
anfore che si vanno evolvendo in anfore più adatte ai traffici transmarini e standardizzati.
Mentre si creavano grandi ricchezze si verificavano impoverimenti da parte di chi non poteva curare il
proprio campo per il continuo impegno bellico e subire la pressione del grande proprietario che tendeva a
fagocitarlo. Certo il numero l'ultima classe di censo venne ad abbassarsi sia per le perdite umane durante le
sconfitte di Annibale sia per le confische delle città italiche socie da parte di Roma.
Plutarco ci mostra un quadro troppo generalizzato e univoco, nell'ambito di una economia schiavile
nell'Italia pregracchiana. Si deve pensare ad una varietà di coesistenti forme produttive con uno sviluppo
piuttosto disomogeneo:
- Grande attività di colonizzazione (dalla Cisalpina alla Calabria)
- Non solo ville ma anche presenza di piccole fattorie di sussistenza (come mostra la ricerca
archeologica)
- l'idea di una campagna abbandonata è da superare

La cultura e il diritto
Fra III e II secolo si sviluppa a Roma una vera rivoluzione culturale con l'affermazione di una civiltà di
scrittura. La storia letteraria latina prende avvio dai rapporti con la cultura greca e coincide con il periodo di
espansione imperiale. La prima opera letteraria viene fatta risalire al 240, da Livio Andronico, schiavo
tarantino divenuto libero (presa di Taranto nel 272). Per i Ludi fioriscono opere drammatiche insieme alla
storiografia. Quest'ultima nasce da una tradizione arcaica con gli Annales pontificali ma è anche debitrice
della cultura greca dato che la prima annalistica fra III e II secolo si esprime in greco (Fabio Pittore, Cincio
Alimento). L'uso della lingua greca penetra in profondità dato che sia Flaminino che Emilio Paolo parlavano
anche il greco. Inoltre ben presto la cultura ellenistica si espande in tutti gli strati sociali per via di schiavi e
liberti greci, delle immigrazioni, artigiani e mercanti.
Il fascino della grecità era vincente fondamentale fu l'opera di importazione di Emilio Paolo che dopo la
vittoria di Pidna del 168 a.C. trasferì a Roma tutta la grande biblioteca Regia di Pella, portando con sé
maestri anche per i figli, oltre che ostaggi achei tra i quali Polibio. Polibio con la sua storiografia introduceva
una nuova coscienza della conquista della conquista di un Impero universale, cercando le spiegazioni del
successo di Roma secondo le categorie del pensiero politico greco: vedendolo cioè come frutto della sua
costituzione tripartita fra elementi monarchici (consoli), aristocratici (senato), democratici (comizi).

Anche nel campo del diritto si avvertì l'esigenza di formalizzare tramite la scrittura la lunga fase affida
all'oralità. Il sapere dei pontefici custodiva la memoria e l'interpretazione dei mores che videro i fondamenti
codificati nelle XII tavole ma che avevano bisogno di continue illustrazioni e integrazioni. l'attività dei
respondere si era andata così sempre più specializzandosi, passando nelle mani di giurisperiti laici, che
creavano con i loro responsa il diritto giurisprudenziale.
Il diritto civile si andò ad ampliare con l'istituzione dei praetor peregrinus (242-41). Il suo editto regolava
transazioni e figure imprenditoriali non normate dal ius civile, venne a crearsi una sorta di diritto
internazionale, il ius gentium, che riguardava specialmente i rapporti commerciali.

LA CRISI DELL'ORDINAMENTO
La scissione della civitas e la violenza
Polibio fu in grado, anche se non sappiamo se visse fino all'età gracchiana, di individuare i segnali della crisi
che stava investendo il sistema: la fine del timore dei pericoli esterni e la crescita di ricchezza portavano al
lusso, alla corruzione del ceto dirigente, alla reazione del popolo minuto. Gli autori erano consci di questa
svolta e ne indicano gli inizi:
- 146: fine del timore per Cartagine
- 133: eredità del regno di Pergamo
- Guerre mitridatiche
L'equilibrio costituzionale a Roma non era basato sulla solidarietà istituzionale , giacchè poggiava nei mores
che potevano anche essere interpretati diversamente. L'equilibrio si basava piuttosto sul consenso politico
che portava all'unità della civitas.
Con Tiberio Gracco vediamo il popolo diviso in due e con Gaio Gracco uno scompigliamento dell'assetto
della res publica. In effetti, l'atteggiamento del tribuno della plebe fu l'elemento dirimente dell'evoluzione
del sistema. L'aristocrazia senatoria e la nobilitas avevano demandato ai tribuni della plebe la gestione della
politica interna, anche per i continui impegni militari dei magistrati con imperium. Si erano però affilati gli
strumenti che potevano capovolgere il potere della nobilitas e del Senato. Resta un dilemma capire come da
una civitas unita nella concordia di fondo si sia potuti arrivare alla violenza come caratteristica principale
della lotta politica.
Occorre tenere presente una caratteristica singolare della Roma repubblicana: la carica eversiva della sua
ideologia fondante, nata dal capovolgimento violento della monarchia e della lotta asperrima contro
l'esclusivismo patrizio. D’altra parte a Roma non esisteva un corpo di polizia e nel momento dei tumulti
manca un servizio d'ordine statuale sicchè i cittadini stessi dirimevano la questione tra loro con la legge
arcaica della vendetta privata del più forte.

I tentativi riformistici
Il terreno demaniale di Roma era destinato o ai coloni, divenendo terreno privato o restava di proprietà
pubblica ed era dato in appalto (dal censore): il fitto era un vectigal per le colture e la scriptura per il
pascolo; si poteva avere anche una sorta di vendita (del questore) che non dava la proprietà del terreno ma
un possesso perpetuo ed ereditario. Dopo le grandi colonizzazioni di IV e III secolo il terreno demaniale era
continuato a crescere. L'opera di colonizzazione era avanzata massicciamente da inizi II secolo nelle colonie
latine e romane in Campania, Calabria, Gallia Cisalpina, Veneto, Piceno, Liguria. Non sempre però l'enorme
terreno confiscato era stato utilizzato, sicchè esso veniva occupato arbitrariamente o dai vecchi proprietari o
da tenutari più potenti che incameravano terreni. Quello dell'occupatio era un problema antico. Una prima
legge agraria, le leggi Licinie Sestie del 367 avrebbero limitato l'area a 500 iugera (data troppa alta per un
intervento così importante). Certamente essa non era però rispettata, specie dai padroni di greggi e
mandrie. Sappiamo di svariate multe pecuniarie che toccarono ai trasgressori da parte degli edili, con grandi
introiti per l'erario.

I Semproni Gracchi erano una famiglia pluriconsolare e pienamente inserita nella nobilitas. Il padre dei
tribuni, Tiberio, aveva sposato la figlia di Scipione Africano, Cornelia. I loro tre figli fecero tutti matrimoni
importanti:
- Tiberio sposa la figlia di Appio Claudio
- Gaio sposò la figlia di Licinio Crasso Mucione (fratello di Mucio Scevola, il maggior giurista di quegli
anni nel diritto)
- Sempronia sposò Scipione Emiliano
Ciascuna famiglia puntava ad un programma politico e la loro puntava a ricostruire un ceto di piccoli
contadini ponendo freno al fenomeno dell'inurbamento. La legge agraria di Tiberio Gracco, la lex Sempronia
agraria, prevedeva:
 Non si potevano possedere più di 500 iugera di terreno pubblico e, nel caso, pare, 250
iugera in più per ogni figlio (fino ad un massimo di due). Il terreno in eccesso rientrava nella
disponibilità dello Stato che provvedeva a ridistribuirlo in lotti di 30 iugera che non erano
dati in proprietà privata al fine di non renderli alienabili.
Resta dubbio e trova pareri diversi la domanda se gli italici partecipassero o no alla distribuzione. Una
commissione di tre membri eletti avrebbe curato le assegnazioni dopo aver diviso l'agro pubblico da quello
privato.
La reazione dell’aristocrazia fu di una durezza sorprendente, probabilmente per anche altri elementi:
1. Tiberio presentò la sua proposta di legge al popolo senza passare prima attraverso la discussione in
Senato (come era successo nella legge agraria di Flaminino)
2. Tiberio espose il suo piano di finanziare la riforma ricorrendo alle ricchezze dell'appena ricevuta
eredità del regno di Pergamo, entrando in una materia tipicamente del Senato.
3. Marco Ottavio, tribuno, pose veto alla votazione per due volte alla proposta di legge,
comportamento che non trova riscontri nella tradizione. Tiberio risposte al secondo veto ottenendo
dai concilia plebis la deposizione del tribuno con l'argomento che egli era venuto meno a quelle
motivazioni per cui era stato eletto per cui tutto il potere è continuamente nelle mani del popolo.
Quando Tiberio presentò la sua candidatura per un secondo tribunato si volle cogliere l'occasione per
attaccarlo. La richiesta di iterazione del tribuno era probabilmente illegale perché andava contro la legge del
342, che aveva posto un intervallo di dieci anni per l'iterazione della magistratura.
L'accusa di aspirare al regnum fu lo strumento della reazione. Scipione Nasica, pontefice Massimo, ne prese
il comando chiedendo in Senato al console Mucio Scevola di intervenire contro Tiberio ma il rigoroso
giurista, se prese le distanze da Tiberio, disse anche che non avrebbe agito di sopra alle leggi contro un
cittadino romano. Nasica delegittimò allora il console (come Tiberio aveva delegittimano il collega tribuno) e
chiamò i senatori e poi il popolo a seguirlo per salvare la res publica, muovendolo verso il Campidoglio dove
intanto Tiberio aveva riunito i suoi. Né seguì un violento scontro nel quale Tiberio con i suoi seguaci furono
uccisi a colpi di bastonate e pietre. I corpi vennero gettati nel Tevere.

Gli avvenimenti successivi vedono da una parte processare e condannare a morte i graccani (consoli del
132); dall'altra la commissione agraria che aveva cominciato a lavorare sotto Tiberio continuò la sua attività.
I lavori della commissione provocarono malumori tra gli Italici e vecchi proprietari rimasti in possesso del
terreno confiscato. I possessori ebbero il sostegno di Emiliano che aveva rotto con Tiberio a che morì nel
129. Si acuiva il rapporto con gli italici.
Il graccano Fulvio Flacco fu eletto console nel 125 e cercò di porre rimedio ai problemi degli italici con una
drastica proposta di legge progressista che prevedeva la cittadinanza agli italici. Ma la proposta fu respinta.
Nel 123 Gaio Gracco venne eletto tribuno della plebe, rieletto nel 122. La sua legislazione ebbe un maggior
disegno politico e istituzionale:
a. Per quanto riguarda la legge agraria
- Fu ribadita la legge agraria con nuove disposizioni non note
- Fu aggiunto un programma di deduzioni coloniali romane fra cui Taranto, Capua e Cartagine, che
prevedeva anche assegnazioni di 200 iugera, concepita dunque anche per ceti elevati.
b. L’ obbiettivo di frenare l'inurbamento fu di fatto abbandonato con la legge frumentaria,
contradditoria rispetto alla legge agraria, la lex frumentaria, che prevedeva assegnazioni di grano a
ogni cittadino a prezzo politico.
c. Si cerca poi l'appoggio dei cavalieri, con la legge de provincia Asia. Si pensa ad un solo contratto per
l'appalto delle tasse che evitava dispersioni locali, ma era abbordabile solo per i cavalieri. Inoltre,
una legge giudiziaria compose un album dei giudici per la quaestiones perpetuae, composta per un
terzo da senatori e due terzi da cavalieri. Si andava così a fomentare la divisione di ordines senatorio
e equestre
d. La legge de capite civis Romani era tesa a vietare la formazione di corti criminali per senatus con
sultum riportando la decisione su tale materia al popolo.

Lex agraria Programma del fratello con deduzione di colonie a Taranto, Capua e
Cartagine. Assegnazione di anche 200 iugera, concepita anche per ceti
elevati.
Lex frumentaria Assegnazioni di grano a OGNI cittadino a prezzo politico (abbandono a
frenare l’inurbamento – contradditoria rispetto alla legge agraria)
Lex de provincia Asia Un solo contratto per l’appalto delle tasse che evitava dispersioni locali
e rapacità dei governatori affidato ai cavalieri
Lex iudiciaria Affida ai soli cavalieri le accuse de repetundis
Lex de capite civis Vietare la formazione di corti criminali per senato consultu riportando
la decisione al popolo, cioè ad una legge (iussu populi)
Lex de provincia consularibus Le due province consolari dell’anno successive dovevano essere
dichiarate prima dell’elezione dei consoli

Gaio Gracco aveva agito più politicamente rispetto al fratello. L'aristocrazia senatoria cercò una risposta
politica attraverso il tribuno Marco Livio Druso che voleva dedurre dodici colonie in Italia, abolire la retta
che gli assegnatori dei lotti graccani pagavano. Druso istigava così la plebe urbana contro Gaio per il suo
progetto di allargare la cittadinanza romana ai Latini e concedere il ius Latii agli italici. Gaio perse popolarità
e non fu rieletto.
Il Senato decretò per la prima volta il senatus consultum ultimum che consentiva al console pieni poteri di
intervenire per la salus rei publicae. Senatori, cavalieri con i loro servitori si armarono, i graccani furono
trucidati, Gaio si suicidò. La legge agraria subì uno smantellamento mediante tre leggi:
1. Abolirono il divieto di alienazione dei lotti
2. Sospesero l'assegnazione delle terre
3. Resero i possessi proprietà privata, abolendo quindi i canoni
Si rimetteva così in moto il meccanismo di concentrazione die poderi di inurbamento.

L'iniziativa agraria graccana non si risolve del tutto in un successo. Pur se in parte poi vanificata essa ebbe
importanti esiti positivi per il popolamento e la produttività delle campagne in alcune zone, specie Italia
Meridionale. L'esito rivoluzionario non fu tanto nei contenuti ma nell'exemplum, nel metodo che incideva
sulle strutture profonde della politica romana, si metteva in discussione l'auctoritas del Senato; rivendicava
il potere decisionale ultimo del popolo e per questo ridava vigore allo strumento del tribuno della plebe e
dell'assemblea.

Guerre e disordine di fine secolo


La distribuzione agraria e la ridistribuzione delle terre fu avviata secondo altri criteri, da Gaio Mario che da
console nel 107 procedette ad un arruolamento straordinario senza tenere conto dei requisiti di censo,
contando dunque sui proletari volontari. Nel corso del I secolo questo tipo di arruolamento sarebbe
divenuto comune favorendo i legami clientelari fra legionari e loro generali. Le basi per una sua traduzione
in una sorta di riforma agraria furono poste da Appuleio Saturnino che nel 103, come tribuno della plebe,
promosse una legge per l'assegnazione di terre in Africa stessa ai veterani di Mario, anche se poi il progetto
rimane sulla carta. Da allora l'assegnazione di terre ai veterani sarà la nuova forma di deduzione coloniale
nel I secolo fino ad età augustea. Saturnino nei suoi due tribunati riprese il suo programma popularis, che
aveva il forte sostegno del popolarissimo uomo nuovo Mario. Un'importante iniziativa fu la promozione di
una lex de maiestate con la quale si istituiva un tribunale per i processi di alto tradimento, cioè di offesa alla
maiestas del popolo romano. Si rivendica così la centralità del populus e si tenevano sotto scacco i senatori
che, tenendo i comandi militari, più facilmente potevano incorrere in soprusi. Cresce la sua popolarità ma il
suo amico e partigiano Glaucia, che teneva la pretura si presentò, contro le disposizioni della legge Villia,
per il consolato. Mentre Mario abbandonava i due politici, il Senato emanò un nuovo senatus consultum
ultimum: Saturnino e Glaucia furono uccisi nei tumulti.

Dalle guerre di questi anni emerge la figura del leader militare, quella di Gaio Mario.
La Numidia era stata un buon esempio dell'efficacia del regime dei reges amici col re Massinissa,
fondamentale alleato di Roma nella guerra annibalica. Alla morte del figlio il regno fu diviso fra i figli
Giugurta, Aderbale, Iempsale: Giugurta uccise però Iempesale e Aderbale si rifugiò a Roma. Il Senato
moderò moderatamente perché il regno fosse diviso fra i due. Giugurta però rifiutò l'accordo, assediò
Aderbale e lo uccise dopo averlo accerchiato. Nella strage è coinvolto un gran numero di mercenari italici e
Roma nel 111 dichiara guerra. La mano libera lasciata dal Senato fino a che non fu costretto a scendere in
guerra lasciò campo a sospetti (di cui Sallustio se ne fece carica). La guerra andò avanti stancamente e, dopo
una prima sconfitta a Roma, Quinto Cecilio Metello, che ebbe il cognome Numidico, ebbe qualche successo
ma le forze popolari e quelle legate al commercio premevano ad eleggere al consolato Gaio Mario nel 107
(protetto dai Metello). A Mario fu subito affidata la guerra contro Giugurta. Mario allora procedette alla
Leva militare come aveva detto e, dopo due anni di guerra, con il sostegno di Silla e il tradimento dell'alleato
di Giugurta, Bocco di Mauretania, Giugurta fu fatto prigioniero e giustiziato a Roma.

Un'latra minaccia arriva a nord, con la pressione dei popoli germanici, i Cimbri e i Teutoni, in marcia verso
l'Europa orientale. Il comando fu affidato a Mario di ritorno dall'Africa nel 104. Nel 102 sconfisse i Teutoni e
nel 101, console per la quinta volta, i Cembri. Mario però non seppe sfruttare al meglio il suo momento
politico; da notare infine che i suoi successi furono anche aiutati dalla riforma dell'esercito (a cui assegna
un'unica insegna, quella dell'aquila, che divenne uno strumento di identità).

PARTE TERZA: ROMA COMMUNIS PATRIA DEGLI ITALICI E LE GUERRE CIVILI

FRA CRISI E RIVOLUIONI: LE FASI


La cittadinanza agli Italici. L'ambivalenza istituzionale
Nel processo di espansione dell'imperium Roma aveva conservato la configurazione di città-stato, senza
modificare la sua struttura istituzionale e militare. La cittadinanza romana, adoperata come strumento di
organizzazione della conquista (così trova spiegazione la rinuncia alla cittadinanza da parte dei cittadini
romani dedotti in colonie latine) e di accrescimento della res Romana assume nel tempo valore di
beneficium del popolo romano. Nel processo di espansione Roma aveva trovato un determinato sostegno
nelle città italiche e nelle colonie latine. Il meccanismo di foedera aveva condotto sotto l'impero cives
Romani popoli e comunità; erano però solo i cives romani a godere pienamente dei vantaggi della
conquista:
- Non pagavano alcuna forma di tributum diretto mentre i soci sostenevano le spese militari
- Avevano diritto al frumentationes
- Esenti in guerra da punizioni corporali
- Godevano di garanzie come la provocatio ad populum
Essi non partecipavano ai processi decisionali di Roma, non prendevano parte alla vita politica cittadina ne
potevano raggiungere posti di comando in guerra. Erano dunque andati maturando nel tempo
atteggiamenti di profonda insofferenza tra i non cittadini che si sentivano esclusi dai benefici di una
struttura. Il malumore nei confronti di Roma si esprime già alla fine della seconda guerra punica. Nel 194
ferentinum aveva chiesto che i Latini iscritti in una colonia romana ottenessero la cittadinanza romana. La
proposta fu respinta dal Senato. La scomparsa dell'istituto della civitas sine suffragio aveva segnato
ulteriormente la divisione tra cittadini e non cittadini. La situazione “italica” aveva raggiunto un maggiore
livello di esasperazione con la legge agraria di Tiberio Gracco che ledeva i possessores italici, spesso vecchi
proprietari che avevano appunto continuato a coltivare terrenti confiscati e non ancora utilizzati da Roma.

a. Nel 125 console Fulvio Flacco elaborò una concessione di cittadinanza ai Latini e agli Italici ma fu
osteggiato. Roma concedette però la cittadinanza ai cittadini latini che avessero rivestito
magistrature locali, garantendosi così fedeltà ai ceti dirigenti delle colonie latine e si assicurava il
controllo della città dall'interno.
 Si diffonde nel ceto dirigente romano più incline a posizioni di allargamento e estensione
della cittadinanza ai Latini e agli Italici.
b. Gaio Gracco proponeva, senza successo, la cittadinanza romana ai Latini e la latina agli italici. I ceti
elevati temevano le ripercussioni politico istituzionali, la plebe urbana si sentiva minacciata
dell'eventualità che alcuni diritti fossero estesi a nuovi cives.
c. Mucio Scevola e Licinio Crasso, consoli, fecero approvare un legge (lex Licinia Mucia) che espelleva
da Roma tutti gli italici che si fossero illegalmente inseriti nelle liste di censo.
d. Livio Druso (figlio di Druso che si era opposto a G. Gracco) nel 91 fu eletto tribuno della plebe.
Appoggiato da Licinio Crasso presentò un programma riformistico:
1. Legge frumentaria
2. Legge agraria che prevedeva la deduzione di colonie in Italia e Sicilia
3. Legge giudiziaria che prevedeva l'accesso ai nuovi giudici nei tribunali provenienti
dal Senato
4. Legge sulla cittadinanza (mai votata). Il giorno prima era morto Licinio Crasso che
stranamente aveva poi sostenuto l'allargamento della cittadinanza.
Druso verrà poi ucciso in casa in condizioni misteriose. I suoi seguaci perseguiti ed esiliati tramite la
lex Varia tribunali chiamati ad hoc per coloro che fossero sospettati di aver incitato gli italici alla
rivolta.

Il clima che si era venuto a creare non poteva che esplodere in una rivolta. Ampie porzioni di italici avevano
sostenuto con favore la causa di Druso stringendosi addirittura in un giuramento d fedeltà attorno a lui. Nel
90 in molte città italiche si ebbero manifestazioni di rivolta antiromane dai ceti elevati con ampia risposta
popolare. La guerra scoppiò ad Asculum, nel Piceno; divampò poi a Nord e a sud (intorno ai Sanniti).
Restano fuori dalla guerra le colonie latine ad eccezione di Etruschi, Umbri e la città di Venosa (Magna
Grecia). I rivoltosi si organizzarono in un organismo “federale”, si diedero una capitale Corfinium
(ribattezzata Italica), costruirono magistrature e assemblee su modello romano. Roma creò due eserciti:
1. Nord, con a capo Rutillio Lupo con Gaio Maio e Strabone
2. Sud, con Giulio Cesare e Cornelio Silla
A nord la situazione era grave per i romani, Mario riuscì a riportare qualche successo, ma su di lui gravò il
sospetto di un'intesa con gli insorti (infatti scomparve nelle operazioni successive). A sud la situazione non
era migliore. nell'estrema instabilità del conflitto a Roma fu approvata:
- La lex Iulia (90): concessione della cittadinanza a coloro che non si fossero ribellati e ai Latini
- Lex Plautia Papiria (89): riconosceva la cittadinanza a colore che si sarebbero presentati al censore
entro 60 giorni
- Lex Pompeia: concedeva il diritto latino alla Traspadava e la cittadinanza agli ex magistrati di quella
comunità
- Lex Calpurnia (89): attribuiva ai generali il diritto di concedere ai soldati la cittadinanza romana
come premio

Dal tribunato di Sulpicio Rufo alla dittatura di Silla


La lotta politica diventa guerra sociale. Sulpicio Rufo, tribuno della plebe nell'88 prese le parti di quei gruppi
di oligarchi illuminati, come Livio Druso. Per trovare sostegno lascia del tutto il gruppo originario vicino ai
Metelli e a Silla e rivolgersi piuttosto verso Mario e i cavalieri. Fece votare l'ascrizione ai nuovi cittadini, cui
aggiunse anche i liberti in tutte le tribù e la revoca della provincia della guerra mitridatica già affidata a Silla
console e la sua assegnazione a Mario. quest'ultima fu la miccia dell'inizio della guerra civile.
Silla, in partenza a Nola, prese un'iniziativa rivoluzionaria, creando il precedente che avrebbe modificato la
storia di Roma. Con il suo esercito formato da proletari marciò su Roma e la conquistò territorialmente. I
suoi ufficiali (uomini di politica) non lo seguirono, l'inizio di una certa presa di distanza dell'aristocrazia
tradizionale a quel gesto. Come console Silla fece:
- Abrogare le leggi sulpicie (mentre Sulpicio fu assassinato)
- Mario e i suoi seguaci furono chiamati nemici pubblici
- Fece abrogare una legge secondo cui si potevano proposte al popolo solo tramite i comizi centuriati
(che non potevano convocare i tribuni della plebe) e che tutte le proposte di legge dovessero
passare al Senato.
Nell'87 partì per l’Oriente. Fra i nuovi consoli Cornelio Cinna fece reintegrare dal Senato le leggi sulpicie
venendo allo scontro con il collega Gneo Ottavio, ottimate, che lo fece dichiarare nemico pubblico. Cinna fu
costretto a rifugiarsi in Campania mentre Mario tornava in Africa. Entrambi in armi, con eserciti arruolati,
puntarono su Roma (seconda marcia) che fu presa in maniera non incruenta. Cinna legalizzò quindi la
posizione di Mario con una legge che lo richiamava dall'esilio e il vecchio leader si abbandonò ad una
repressione dei Sillani.
Eletti entrambi consoli nell'86 fecero dichiarare Silla nemico pubblico. Mario morì poco dopo e Cinna diede
vita ad un breve periodo di dominio condotto con una politica democratica e di riappacificazione. Silla
intanto stava portando a termine con successo la campagna mitridatica e preparava il suo ritorno sicchè
Cinna pensò di preparare una flotta in Grecia per fermarlo ma nell'84 per oscuri motivi l'esercito ammutinò
e uccisero Cinna ad Ancona. Il Senato fu per la resistenza di Silla, il quale sbarcato a Brindisi nell’ 83 era
sostenuto da Crasso e Pompe con un esercito da lui arruolato.
Questa volta prese Roma marciando con uno scontro armato che coinvolse tutta l'Italia centrale. I consoli
dell'83 non furono in grado di fermare la marcia sillana e nell'82 entra finalmente a Roma (terza marcia). Le
altre forze mariane furono sconfitte.
Silla, che continuava ad agire con imperium prorogato, padrone di Roma, promosse subito una grande
epurazione di oppositori che si concentrò in una lista di proscrizione. Rinnovò il ceto dirigente ridistribuendo
una certa ricchezza. Nell'82 ‘interrex nominato per la morte dei due consoli in battaglia, Valerio Flacco
invece di aprire nuove elezioni consolari promosse una legge che assegnava a Silla una dittatura legibus
scribundis et rei publicae constituendae.
Silla si mosse lungo due direzioni:
1. Mirava a risolvere il dilemma costituzionale di Roma sul potere Senato/comizi dando piena
centralità al Senato. La valorizzazione del Senato era contestuale alla depressione delle assemblee
popolari, in particolare quella plebea. Metteva fuori gioco i tribuni della plebe, veniva depauperato
anche con limitazione (non chiare) al diritto di veto e soprattutto con il divieto del tribuno di
continuare una carriera politica.
- 300 cavalieri
- Potevano aspirare gli ex questori
- Potevano essere affiancate le giurie tribunali
- Il numero di questori passa a 20
2. Riforma in materia del diritto privato. Furono istituiti vari altri tribunali permanenti le cui leggi
istitutive precisavano, oltre che la pena, la tipologia di reato. In essa è compresa la salvaguardia e la
tutela di molti diritti di “garanzia”.
3. Resta notizia dell'estensione del pomerium da parte di Silla, ma senza precisazioni. Nello stesso
tempo si crea una anomala provincia di Gallia Cisalpina, che consentiva la presenza lì di legioni
vicine a Roma, per questo poi molto contesa.
4. Dislocò circa 120.000 coloni in undici nuove colone. Si redistribuiva così la proprietà nella compagna
e si contribuiva ad unificare la nuova Italia nella cultura e nella lingua.
Nel 79 Silla lasciò la dittatura e morì nel 78. Molte supposizioni sono state fatte su questa “monarchia
mancata” e sul suo abbandono. Egli forse era solo coerente: non voleva instaurare un potere personale ma
riformare lo stato in senso aristocratico. Fu poco amato dall'aristocrazia per i suoi metodi autoritari.

Dal dopo Silla al primo triumvirato


Il decennio postisillano fu solo in parte gestito dall'aristocrazia sillana cui Silla aveva affidato; vi fu una forte
reazione “democratica” finchè questa parte della costituzione sillana non cadde.
Nel 78, alla morte di Silla, furono eletti il popolare Lepido e il conservatore Catulo. Nel 77 Lepido, che aveva
avuto assegnato la Gallia Narbonese, si fermò in Etruria e fece causa comune con gli insorti (reazione degli
espropriati contro i coloni sillani). Lepido, con il solito esercito messo insieme sul momento, marciò su
Roma. Fu decretato il senatus consultum ultimum e ci si affidò ad un imperium straordinario, a Pompeo.
Questo sconfisse Lepido a Cosa; il resto dell'esercito lepidico andò in Spagna unendosi a Sertorio.
Quest'ultimo aveva il governatorato della spagna Citeriore al momento della vittoria di Silla a Roma. In
Spagna fondò una enclave romano separato con un proprio Senato, creando scuole per i bambini spagnolo,
abbracciando relazioni diplomatiche con Mitridate. Il Senato si affidò a Pomepo con un imperium
proconsulare che lo affianca a Metello (governatore della Spagna Ulteriore).

Segue l'episodio di Spartaco, un gladiatore che nel 73 si era mosso a capo di una ribellione di schiavi della
scuola di gladiatori di Capua. Si aggiunsero ribelli, schiavi rurali da tutta Italia costruendo un esercito
potente che Spartaco condusse per l'Italia ma senza un vero e proprio piano d'azione. In Calabria i rivoltosi
furono bloccati da Licinio Crasso, lo stesso Spartaco fu ucciso e i superstiti in fuga furono sbaragliati in
Etruria da Pompeo, di ritorno dalla Spagna (guadagnandosi merito anche di questa azione nel 71).
Ancora una volta l'aristocrazia senatoriale si affidò a generali indipendenti. Pompeo e Crasso nel 71 si
trovano con i loro eserciti alle porte di Roma e da questa posizione chiesero di ottenere il consolato per il
70. Non vi furono opposizioni, anche se Pompeo non aveva fatto una regolare carriera. Nel loro consolato
smantellarono i punti delle riforme politico istituzionale sillane, restaurando i pieni poteri dei concilia plebis.
I tribuni avevano cominciato così a battersi per riacquisire i loro pieni poteri, trovano adesione nel disagio
sociale a Roma.
In Oriente Roma era dovuta intervenire ancora con una nuova guerra contro Mitridate. Il Senato si affidò ai
due consoli del 74 ma dati gli esiti ci si affidò ancora a Pompeo. Si trattava di un imperium di carattere
veramente eccezionale perché consegnava ad un privato e consentiva a Pompeo di scegliersi i legati che
avrebbero potuto condurre azioni militari. Anche questa volta Pompeo ebbe successo e fu dirottato, con la
legge Manilo nel 66 (sostenuta da Cicerone), verso la guerra mitridatica. La vecchia aristocrazia cedeva il
passo alla nuova aristocrazia degli optimates, i boni di tutta Italia.
Cicerone sottovalutò il rischio di potere personale che si concentrava in Pompeo. Nel 63 Pompeo ottenne il
consolato battendo Catilina (che già aveva tentato l'elezione al consolato nel 66). Catilina si presentò alle
elezioni del 62 con un programma basato sulla cancellazione dei debiti e contando sull'appoggio di Crasso e
di Cesare (dopo gli venne meno). Di nuovo sconfitto, Catilina prese via ad una cospirazione concentrando
una consistente forza militare in Etruria (veterani sillani). Il piano fu scoperto e attaccato duramente da
Cicerone. Catilina fuggì mentre i capi della cospirazione furono condannati a morte da Cicerone. Un esercito
fu di seguito mandato contro Catilina che fu sconfitto e perse la vita a Pistoia. Catilina rappresenta la vecchia
nobiltà, rimasto isolato dai suoi potenti sostenitori (Crasso e Cesare). Ancora una volta, come Saturnino e
Glaucia, l'estremismo porta alla rottura di un fronte popularis.
Era il trionfo di Cicerone ma presto il suo successo si rivelò effimero (voleva rifare una situazione tutta nuova
con gli ottimali della tota Italia la res publica di Scipione Emiliano. I dinasti cercavano intanto un loro assetto
e legami con la vecchia nobiltà tradizionalista (i Metelli, Catuli, Catone Uticense) e con il Senato. Cesare era
l'ultimo dei dinasti che stava emergendo.
 Cesare: di nobiltà patrizia decaduta, legato ai popolari da connessioni familiari si avvicinò a
Pompeo. Edile nel 65 aiutato finanziariamente da Crasso fu eletto nel 63 come pontefice
massimo.
I tre leader, Crasso, Cesare e Pompeo, capivano di poter contare ognuno sulla propria forza personale che
poteva prevalere sul blocco del Senato conservatore e tenere a bada gli estremismi delle rivendicazioni
popolari. Strinsero tra loro una potentiae societates o primo triumvirato: un'amicitia privata e segreta atta a
raccordare la divisione delle cariche.

Dagli scontri urbani agli scontri campali


Nel suo consolato del 59 Cesare promosse subito una legge agraria che assegnava territori del demanio
italico ai veterani di Pompeo reduci dell'Oriente, seguita da una seconda legge agraria che aggiungeva i
cittadini poveri con almeno tre figli ai destinatari dei lotti. I lotti dovevano restare inalienabili per 20 anni.
Questa legge, al contrario di quella proposta di Rullo che voleva le distribuzioni agrarie solo ai veterani,
ebbe un grande impatto dopo il fallimento graccano. La legge fu votata questa volta dai tributi.
Su un importante piano democratico si torna con il provvedimento che imponeva la redazione pubblica dei
verbali delle sedute senatorie e delle assemblee popolari; una lex Iulia repetundis renderà più severa la
normativa contro la malversazione provinciale. A Cesare viene poi assegnata la Gallia Cisalpina, l'Illirica e la
Gallia Narbonese.
La coloritura popolare è confermata dal sostegno che essi diedero alla candidatura di Clodio per il tribunato
della plebe del 58. Clodio era però patrizio di nascita; aveva dunque dovuto lasciare la sua gens e farsi
adottare da un plebeo. Obbiettivo principale era infatti accrescere il potere dell'assemblea popolare. Per
farlo:
- Limitata la possibilità di ostruire le procedure legislative con gli auspicia e le formule di obnuntiatio
(la dichiarazione di auspicia sfavorevoli che bloccavano le procedure in corso)
- Si aumentavano i giorni previsti nel rigido calendario come “comiziali” allargandoli a tutti giorni
“fasti”
- Ristabiliti i collegia, soppressi da un senatus consultum del 64
La legislazione di Clodio andava incontro alle necessità del popolo minuto con una rinnovata legge
frumentaria che prevedeva la ridistribuzione di grano a titolo del tutto gratuito ai poveri della città. Ci
furono due leggi che andarono a colpire il leader ottimate, Cicerone:
1. Proponeva l'esilio per chi avesse ucciso senza regolare processo un cittadino
romano
2. Cicerone viene esiliato
Vi furono varie rogationes dei tribuni per il ritorno di Cicerone finchè il Seanto, nonostante i disordini di
Clodio, fece portare la proposta ai comizi centuriati del console Cornelio Lentulo. Cicerone sarà richiamato
dai comizi e per lui sarà motivo di orgoglio, si era mossa in suo favore tota Italia.
Nel 57 una carestia a Roma portò sommosse popolari e venne affidata a Pompeo una cura annonae, con
imperium, disponibilità di truppe e prerogativa di nomina di legati: un incarico ancora una volta
straordinario. Per Cesare Cicerone era motivo di preoccupazione, ormai in ascesa per i successi in Gallia.
Nel 56 il triumvirato di ritrovò a Lucca per confermare e aggiornare gli accordi privati. Si sarebbero dunque
sostenuti Pompeo e Crasso per il consolato del 55:
- Pompeo le due Spagne
- Crasso la Siria
- Cesare prorogato l'incarico in Gallia per altri 5 anni
La cura annonae permise a Pompeo di restare a Roma anche se governatore della Spagna. Nel 54 Pompeo,
morta la moglie Giulia (figlia di Cesare), segue il matrimonio con Cornelia (figlia degli Scipioni). Crasso
intanto si avventurò in una ambiziosa campagna che si concluse con la disfatta di Carre in Mesopotamia nel
53, dove lui stesso morì.
Nel 53 non si riuscirono ad eleggere i consoli, le candidature di Milone per il consolato e Clodio per la
pretura portarono agli scontri: Clodio restò ucciso nello scontro con gli uomini di Milone. In quest'anno
Pompeo viene nominato console senza collega, un'anomalia destabilizzante. Era l'inizio della fine per la
Repubblica. Pompeo con le leggi de vi e de ambitu cercò di far argine alla violenza colpendo anche Milone.

Nel 52 Pompeo fece diventare un senatus consultum che aveva posto un intervallo minimo quinquennale,
per la magistratura urbana e la promagistratura. Cesare avrebbe dovuto lasciare il comando nel 50 e
Pompeo, nonostante la sua legge, si era fatto prorogare il suo imperium per altri 5 anni, fino al 44 (manovra
anticesariana). Pompeo avrebbe mantenuto le sue legioni mentre Cesare no. Nel frattempo Cornelio
Scipione, suocero di Pompeo, fece votare un senatus consultum che imponeva a Cesare di lasciare la
provincia. Nel gennaio del 49 Cesare con i suoi legionari passò il Rubicone che rappresentava l'ingresso in
armi nell'area dell'Urbe. A Roma subentrò il panico. Pompeo si ritirò a Brindisi. Cesare batté i pompeiani in
Spagna nel 49 e poi inseguì Pompeo in Tessaglia. A Farsalo, nel 48, ci fu la battaglia definitiva e Pompeo
scappò in Egitto ma venne decapitato.
Cesare restò molto irritato dall'assassinio e sostenne Cleopatra contro Tolomeo XIII (scontri di successione),
che lo uccise nel 47. Cleopatra diede a Cesare un figlio, Tolomeo Cesare. Intanto Cesare accorre in Africa
dove i Pompeiani si erano riuniti con l'appoggio del re Numidia Giuba e divenne provincia romana (Africa
nova). Celebrati a Roma i trionfi di Gallia, Egitto, Farnace e Giuba dovette ritornare in Spagna, dove si erano
riorganizzate le forze pompeiane attorno ai figli di Pompeo. La vittoria definitiva avvenne a Munda, nel 45
dove solo il figlio Sesto riuscì a fuggire. Cesare era padrone di Roma e dell'Italia.

La dittatura di Cesare
Con la presa del potere da parte di Cesare la situazione si era ormai capovolta. I meccanismi
extraistituzionali avevano preso il sopravvento e gli Italici erano stati coinvolti nei disordini cittadini poi negli
arruolamenti straordinari dei “dinasti” in guerra fra loro. Cesare poteva poggiare sull'auctoritas Italiae. I
pieni poteri dal 49 furono concessi a Cesare. Ebbe una dittatura straordinaria nel 49 con il principale
compito di indire le elezioni consolari nelle quali fu eletto console per il 48. Fu console poi nel 46,45,44 e
poi dittatore perpetuo. Fra i suoi poteri vi erano prerogative extra istituzionali come:
- La possibilità di decidere della guerra e pace
- Di raccomandare candidati alle magistrature
Le sue iniziative di politica interna restano coerenti con il programma popularis con:
- Leggi che alleviano i debiti
- Piano di colonizzazione di veterani anche in provincia con diverse fondazioni coinvolgendo i cittadini
più bisognosi
- Politica di sviluppo edilizio urbano anche con opere pubbliche.
La riforma delle istituzioni prevedeva l'aumento del Senato a 900 membri, quindi con Italici ma anche
provinciali e centurioni. I pretori furono portati prima a 10 poi 14; i questori a 40.
Nel 49 la lex Rubria concede la cittadinanza romana a Transpadani e Cispadani che ancora non l'avessero.
Inoltre si poteva tenere localmente le operazioni di censo, senza recarsi a Roma. Venne riformato anche il
calendario che recuperava i ritardi del calendario astronomico regolando le annualità bisestili.
Nel 44 ex pompeiani come Giunio Bruto organizzarono l'assassinio del tiranno che avvenne nelle Idi di
marzo.

L'ascesa di Ottaviano
I cesaricidi si trovano ben presto isolati (la maggior parte del Senato era appunto cesarizzata). Il collega
console di Cesare, Antonio aspirava a raccogliere l'eredità di Cesare. Con una legge Antonia si mettevano in
atto le disposizioni di Cesare (le cui carte le aveva Antonio, che poteva manipolarle), con un'altra si aboliva
la dittatura; si riconoscevano i funerali e onori pubblici per Cesare e si votava (su idea di Cicerone)
un'amnistia per i cesaricidi.
Il testamento di Cesare che designava come erede Gaio Ottavio; Cicerone guardò al giovane Gaio Giulio
Cesare Ottaviano. Antonio allora pensò di rafforzare la sua posizione facendosi assegnare per legge invece
della Macedonia, a lui prima destinata, la Gallia Cisalpina, già assegnata dallo stesso Cesare e Decimo Bruto
e da lui già raggiunta. Antonio con un esercito personale mosse contro Decimo Bruto assediandolo a
Modena. Cicerone a questo punto si espone al massimo, contando sull'ideologia del giovane Ottaviano,
attaccando fortemente Antonio nelle Filippiche. Ottenne che il Senato dichiarasse hostis Antonio e gli
mandasse contro i due consoli. Antonio fu sconfitto a Modena e si diresse verso lepido che intanto gli
muoveva contro dalla Narbonese.
A questo punto Ottaviano iniziò a mostrare la sua personalità compiendo il primo atto rivoluzionario
successivo alla morte di Cesare con un nuovo passaggio del Rubicone in armi. Marciò su Roma e fu eletto
console; istituì un tribunale speciale per gli uccisori di Cesare. Nel frattempo, quando le legioni di Lepido e
Antonio si incontrarono, invece di scontrarsi si solidarizzarono riconoscendosi veterani di Cesare. Lepido
promosse un incontro con Antonio e Ottaviano, ormai uniti nella comune mira contro i cesaricidi. I tre
decisero di unirsi in un triumvirato, questa volta istituzionalizzato per legge e con un termine di cinque anni.
Consentiva a ciascuno di mantenere delle legioni:
- Antonio > governatore della Gallia Cisalpina e Comata
- Lepido > Narbonese e due Spagne
- Ottaviano > Africa, Sicilia, Sardegna e Corsica
- Cassio e Bruto > Oriente
I triumvirati potevano convocare Senato e popolo, designare magistrati e promuovere editti. Non fu
risparmiato Cicerone, la sua decapitazione di emblema alla sconfitta di un progetto e comunque
dell'autonomia senatoria.

 In Grecia:
Ottaviano e Antonio mossero verso la Grecia. Lo scontro con Bruto e Cassio avvenne in due battaglie a
Filippi, in Macedonia, nel 42. Ottaviano perse contro Bruto mentre Antonio batte Cassio che si suicidò e poi
batte Bruto, che ne seguì la sorte. Le province orientali riconquistate andarono ad Antonio, che si
assumevano il compito di continuare l'opera di Cesare con la missione contro i Parti. A Lepido toccò l'Africa,
a Ottaviano le Spagne. Ottaviano ebbe però la prerogativa di rimanere in Italia con l'incarico di assegnare
terre alle migliaia di veterani delle legioni dismesse.
 Sesto Pompeo:
Un altro nodo da affrontare era Sesto Pompeo, figlio di Pompeo che aveva trovato un accordo con i
triumvirati, i quali li lasciavano il comando di una flotta. Raccolse i reduci da Filippi, poi di Perugia oltre che i
fuggitivi riuscendo a mantenere il controllo di Sicilia, Corsica e Sardegna. Ottaviano e Antonio si incontrano a
Brindisi: l'Occidente era affidato a Ottaviano, l'Oriente ad Antonio. Il patto era consolidato col matrimonio di
Antonio con Ottavia (sorella di Ottaviano). In seguito entrambi i leader dovettero acquietare lo scontro con
Sesto Pompeo, accordandogli questi territori. L'accordo durò poco: Sesto riprende gli atti di pirateria verso
le coste d'Italia. Si venne dunque allo scontro decisivo. Ottaviano ebbe bisogno della flotta di Antonio.
Nell'occasione, a Taranto (37) fu rinnovato il triumvirato per altri cinque anni. L'azione contro Sesto fu
affidata al fedelissimo di Ottaviano, Marco Agrippa, che sconfisse. Sesto fuggì in Oriente dove fu ucciso da
un legato di Antonio.
Lepido, nel frattempo, voleva guadagnare la Sicilia lasciata da Sesto e per questo attacca Ottaviano e perse
l'Africa e la carica di triumvirato. Da qui solo uno doveva essere il vincitore e avere l'imperium su tutta la res
publica.

In Oriente anche Antonio fu affascinato da Cleopatra, da cui ebbe due gemelli. Nel 36 diede avvio alla sua
campagna contro i Parti, che cominciò con un insuccesso. Nel 34 mosse una seconda campagna partica che
si concluse con la presa del trono armeno, detronizzato il re Artavasde II, poi fatto uccidere in Egitto: un
grave errore politico che porterà all'ostilità dell'Armenia. La vittoria fu celebrata con assegnazioni territoriali
a Cleopatra e la sua famiglia. Non mancarono gli argomenti perché a Roma non si sconcertassero di
Antonio. Ottaviano mosse contro Antonio e Cleopatra, divenendo la personalità di tutti i valori occidentali
contro l'Oriente lussuoso. La guerra era dichiarata a Cleopatra come nemica esterna. Lo scontro decisivo
avvenne presso Azio; l'eroe della vittoria di Ottaviano fu Marco Agrippa. Antonio e Cleopatra si suicidarono.
La dinastia tolomeide finì e l'Egitto divenne provincia romana.

La nuove annessioni all'impero da Oriente a Occidente


Nel 112 Mitridate re del Ponto voleva espandersi ma questo progetto si scontra con Roma che controllava il
territorio presso un sistema di alleanze con la Bitinia (Bosforo) e la Cappadocia. Il re intervenne comunque
in quest'area, deponendo i re filoromani che li governavano. Nel 90 Roma invia un esercito che ristabilì sul
trono i vecchi sovrani. Il re di Bitinia fu indotto da Roma a provocare nel Ponto una reazione di Mitridate,
che entrò in guerra. La sua azione è carica di un'ideologia antiromana. Riuscì a conquistare immediatamente
la Bitinia e a guadagnarsi l'alleanza di gran parte dell'Oriente, massacrando i cittadini romani e italici. Solo
Rodi resterà fedele a Roma.
Si susseguono gli eventi tra Mario e Silla. Silla nel frattempo sbarca in Epiro nell'87 muovendosi verso
Mitridate. Mario e Cinna conquistano il potere e invano mandano un secondo esercito in Oriente che
riuscirono a scacciare Mitridate dal regno di Pergamo. Silla nell'85 stabilì la pace: il re sconfitto venia
obbligato a rientrare nel Ponto a consegnare la flotta egea e pagare un'indennità di guerra.

La guerra contro i pirati


Roma aveva sconfitto con le guerre illiriche del III secolo la pirateria adriatica, non aveva mai affrontato
quella mediterranea. I pirati creavano una forte instabilità e danneggiavano i ceti dediti al commercio e alle
finanze. Nel 74 Marco Antonio prova a sconfiggerli ma viene fatto prigioniero e morì. Nel 69 Roma dichiarò
lo stato di guerra e le operazioni furono affidate a Metello che riuscì a conquistare l'isola di Creta. Nel 67 la
missione viene attribuita a Pompeo. Egli suddivise il Mediterraneo in 13 settori, chiuse i pirati e li sconfisse.

La seconda guerra mitridatica


Il pretesto per il secondo conflitto fu alla morte del re di Bitinia nel 74, questa dovette passare a Roma ma fu
invasa da Mitridate. La risposta da Roma venne affidata ai consoli Aurelio Cotta e Lucullo. Mitridate fu
costretto a ritirarsi dalla Bitinia; Lucullo arrivò a conquistare il Ponto mettendo in fuga Mitridate che andò
dal re d'Armenia, suo genero. Lucullo allora procedette verso l'Armenia. Nel 71-70 egli constatò nelle
province d'Asia la grave situazione delle città greche, prostrate dal pagamento delle indennità imposte da
Silla. La sua generosità gli costò il comando. Al suo posto fu incaricato Pompeo: la lex Manlia del 66.
Pompeo sconfisse Mitridate che si rifugiò nel territorio dell'odierna Crimea e indusse il re d'Armenia ad
arrendersi. Parte del Ponto insieme alla Bitinia furono ridotte a province. Nel 63 Mitridate si suicidò.

La conquista della Gallia Transalpina


Al termine del 59 una legge affidava a Cesare per cinque anni il proconsolato sulla Gallia Cisalpina cui si
aggiunse l'Illiria e la Gallia Narbonese. In questi anni egli riuscì a potenziare il suo esercito tramite
reclutamenti. Le vicende in Gallia si possono dividere in due:
a. 58-57: Cesare si scontrò con gli Elvezi, che in continua belligeranza con i Germani, si imbatterono ad
Occidente con gli Edui, da tempo amici dei Romani. Cesare sconfisse gli Elvezi. Il Reno diveniva il
confine tra i Celti Germani e i Celti Galli. L'ultima spedizione fu condotta da Licinio Crasso.
b. 56-51: il secondo momento delle operazioni in Gallia è successivo agli accordi di Lucca del 56.
- La ripresa delle operazioni in Gallia fu concentrata intorno all'offensiva delle tribù galliche situate
lungo la costa atlantica.
- Il secondo teatro fu il Reno. La minaccia fu costituita ancora dalle popolazioni germaniche, gli
Usipeti e i Tencteri. Nel 55-54 si collocano due spedizioni di Cesare in Britannia: la seconda vide
Cesare spingersi fino al Tamigi e sottomettere tribù britannica le quali tuttavia non riconobbero
l'imperium di Roma
- Sul finire del 54 si apriva una fase della popolazioni in Gallia: le tribù galliche cominciarono
progressivamente a sollevarsi contro Roma in maniera unitaria. Fino al 50 Cesare riuscì a
sottomettere l'intera Gallia.
Con l'Oriente e la Gallia i due dinasti, Cesare e Pompeo, avevano accresciuto l'impero su nuovi decisivi
fronti.

FRA CRISI E RIVOLUZIONE: LE STRUTTURAZIONI


Politica e trasformazioni sociali
Ronald Syme definì il periodo che va dalla guerra sociale al regime di Augusto come della “rivoluzione
romana”, intendendo riferirsi al mutamento del ceto dirigente a Roma per l'immissione nel corpo sociale
delle aristocrazie italiche. Per il resto vedeva i meccanismi della politica sempre uguali, cioè come contesa
fra frazioni aristocratiche. Dopo i Gracchi l'aristocrazia nobiliare si concentra attorno ai Metelli, da cui
emersero i due uomini rivoluzionari: l'uomo nuovo Mario e il nobile patrizio Cornelio Silla. Dopo Silla,
decadendo i Metelli, l'oligarchia si stringe attorno a M. Porcio Catone e due uomini raggiungono il
consolato, Cicerone e Afranio. Dal 47 la situazione si blocca e gli uomini nuovi al consolato fino al 31
saranno 23. La situazione era ormai in mani ai “dinasti”, i leader che con il peso dei loro eserciti aprivano al
potere personale.
Se lenta fu l'immissione degli uomini nuovi nella nobilitas, più veloce fu quella nell'aristocrazia senatoria, in
quanto lo stesso Silla aveva raddoppiato il numero dei senatori a 600. La rivoluzione riguarda anche i
cavalieri che, nel linguaggio ciceroniano, erano optimates: sia i senatori che i cavalieri che chiunque altro,
anche libertino, purchè di buon senso e di patrimonio stabile. I protagonisti della rivoluzione furono anche
le masse di proletari, come Clodio e Milone. Questi si legarono non tanto a Roma quanto ai loro generali,
dai quali erano spesso anche arruolati.

Le trasformazioni sociali, il ricambio nel ceto dirigente, le lotte fra personalità e famiglie, l'emergere dei
dinasti si muovono sulla base di contenuti politici di fondo. Una linea politica ben visibile è
l'inclusione/esclusione che si muove attorno alla cittadinanza degli italici. Questo tema riguardava anche il
voto dei liberti, se dovevano votare nelle quattro tribù urbane o in tutte le tribù. Tutto questo aveva a che
fare con il valore che si voleva dare al funzionamento del voto popolare. Si erano contrapposti Silla/Clodio
sul ruolo delle assemblee popolari, in particolare quella plebea. Clodio incideva addirittura sugli auspicia e
sui calendari. La politica vinceva sulla ritualità antropologica.
Contenuti politici tradizionali erano le scelte sulle leggi agrarie e sulla colonizzazione. A questi temi si
aggiunge quello della frumentazione inaugurato da Gaio Gracco, riprese da Saturnino, abolite da Silla,
riprese da Lepido, accresciute da Clodio.
Uno dei segnali dell'insuccesso delle via istituzionali furono la diffusione della violenta e i fenomeni di
corruzione, che avvenivano attraverso distribuzione del denaro, posti a teatro, banchetti o compravendita
dei voti.

Le definizione dell'economia del mondo romani è soggetta a un dibattito storiografico tra:


- Economia “primitiva”, di autosufficienza (primitivisti): questi guardano alla tendenza
all'autoconsumo, alla prevalenza della produzione agricola, alla flessibilità della domanda e quindi
alla minutezza artigianale a manifatturiera.
- Elementi di dinamicità e “mercato” (modernisti): questi rimarcano una diffusa produzione di surplus
nella campagna e nell'artigianato e quindi di commercio; ricordano la forte emissione e circolazione
monetaria; l'attività di credito e le stesse innovazioni tecnologiche nell'agricoltura, es. la diffusione
del mulino ad acqua.
Con gli sviluppi dell’Impero nel II secolo in Italia certamente si viene formando un tipo di economia
schiavistica. La produzione di surplus e lo smercio, favorito dal successo infine nelle guerre piratiche, sono
testimoniate dalla diffusione della anfore vinarie e oleari. La villa descritta da Varrone a metà I secolo marca
a tal riguardo la differenza da quella di Catone di inizio II secolo: la tenuta è più ampia, la gestione agricola
più articolata, pascolo transumante e allevamento sostanziale.
Sorge un capitale finanziario per la competizione di appalti, finanziamento della politica. I tassi d'interesse
variano dal 5 al 12%. La presenza dei ceti impoveriti è testimoniata da liberti e schiavi in alcune rivolte
come quella di Spartaco e di Catilina. Nelle campagne vi fu comunque un'opera di colonizzazione di veterani
ad opera di Silla, Pomepo, Cesare e Ottaviano Augusto.
Un altro elemento di “crescita” è naturalmente l'incremento demografico, una svolta epocale. Si passa dai
394.000 nel 115 a 910.000 nel 70 (censiti maschi adulti) per una popolazione italica complessiva di circa 7
milioni più schiavi (forse 2 milioni).

La cultura politica
In questi anni a Roma si diffondono diverse dottrine di origine greca, tra queste:
- Stoicismo: insegnava come tutti gli uomini fossero uguali per natura, ne conseguono concezioni
ugualitarie come il riformismo graccano. Questa matura una linea politica più conservatrice e fu
abbracciata dall'aristocrazia romana. Nasce uno storicismo teorico di lotta che arriverà al suicidio
come rifiuto della tirannide con Catone Uticense e al tirannicidio Bruto
- Epicureismo: predica la separazione della politica
Nel mondo romano le ideologie politiche sono strettamente legate a quelle istituzionali, non essendoci una
concezione partitica della politica. Si trattava di definire quali forme di governo, quali meccanismi
istituzionali fossero i migliori. Per il resto valevano da una parte i mores, dall'altra le virtutes individuali. Al
momento della crisi era aperto il dilemma su cui avesse più ruolo nel potere fra Stato e comizi.
Polibio pone l'accento su un prevalere dell'autorità del Senato. Anche Cicerone vede nel Senato il “padrone
delle delibere pubbliche”, al quale gli viene rivendicata una provenienza democratica. Da notare che
Cicerone non poggia più sulla nobilitas gentilizia, sulle imagines degli antenati, ma sugli optimates che sono
tantissimi: tutti i buoni d'ogni parte d'Italia, anche di origine libertina, purchè possano contare su una certa
solidità economica.
Contrapposta a questa teoria vi è quella che insisteva sul potere del popolo con i comizi. La ritroviamo in
Tiberio Gracco, in Appiano. Questo dibattitto si rivesta nella prassi politica e nella legislazione. Un elemento
singolare, eversivo, risaliva alla stessa formazione della lotta patrizio/plebea: si era abbastanza pronti a
contestare il potere costituito se questo era visto attentare alla salus rei publicae.
 Es. Così Nasica contesta il legittimo console e chiama da privato il popolo a salvare la repubblica
contro Tiberio Gracco, che avrebbe aspirato al regnum (Cicerone lo ricorda come esempio positivo,
affiancato al regicida Bruto).
 Es. Cesare aveva giustificato il suo intervento militare del 49 con espressione simile a quella usata
da Cicerone per giustificare l'intervento di Nasica: populum in libertatem vindicare
Fra Senato e comici sarà dunque la terza componente costituzionale, quella magistratuale che avrà la
meglio.

L'Italia municipale
La guerra sociale condusse ad un mutamento significativo nella compagine politico-istituzionale ma richiese
anche una revisione amministrativa del territorio dell'Italia romana. Le colonie latine e le città foederatae
italiche erano ormai costituite da cives Romani, dunque esigevano una riqualificazione istituzionale. Roma
sceglierà a tal fine la formula dei municipia.
Una straordinario strumento che percorse la municipalizzazione e che divenne indispensabile in questa fase
fu l'istituto del fundus fieri, prima della guerra sociale era il dispositivo giuridico che consentiva ad una
comunità non romana di adottare nei propri ordinamenti misure legislative romane. Dopo la guerra sociale
le sue funzioni si ampliarono: Roma chiede alle comunità in procinto di ricevere la cittadinanza di farsi
fundus relativamente all'intero sistema giuridico-istituzionale romano; l'acquisizione in toto del sistema
romano divenne così imprescindibile condizione di accesso alla statuto municipale. Il principio base
rispondeva all'ideologia tipica romana che voleva l'adesione alla civitas scaturire da una scelta di libertà.
Roma in questa fase cercò di strutturare le comunità municipali in un assetto uniformale ma con la
tradizionale duttilità che lo faceva suscettibile a modifiche a seconda delle singole realtà locali. Non è
possibile ricostruire i vari passaggi di strutturazione dei municipia, è probabile che giocassero un ruolo
fondamentale i rapporti personali precedenti della comunità con Roma come il patronato. Si trattava di
ridefinire i confini e di procedere alla catastazione del territorio
Le colonie latine e le città foederatae acquisirono dunque statuto di municipia e vennero amministrate da
quattuorviri, in cui si distinguono:
- due quattruoviri iure dicundo (magistrati superiori): ogni cinque anni tenevano il censo
- due aedilicia potestate
I magistrati locali venivano rivestiti di potere giurisdizionale. Gli ex magistrati, secondo il modello di Roma,
formavano l'assemblea dei decurioni, il Senato locale al quale si affiancava l'assemblea di tutto il popolo.
Non mancano importanti e laboriosi programmi di ampliamento edilizio finanziati dalle élite locali o dal
patronato esterno.
L'ager Romanus, prima della guerra sociale, dal punto di vista giurisdizionale era strutturato in prefetture.
Nell'area ricompresa dalla prefettura non sempre era presente una comunità urbana (municipio o colonia);
la realtà insediativa rurale poteva presentarsi in fora, conciliabula, agri. Quando l'insediamento rurale
presentava un nucleo rispondete a specifici requisiti veniva organizzato in municipio; in altri rimase la
struttura della prefettura. Nelle aree rurali secondarie, dette vici, si potevano seguire diversi sviluppi:
a. alcuni furono organizzati in municipia
b. altri mantennero la loro struttura e fatti dipendere da un municipia
c. con la lex Mamilia Roscia (59) si organizzano nuove prefetture, con prefetti eletti localmente
All'interno di questo quadro si viene a definire una doppia sfera di appartenenza del cives Romanus,
teorizzata da Cicerone: ogni civis Romunus era civis della piccola patria, la sua città natale, e della grande
patria Roma.

Civis Romanus e la res publica


Il civis Romanus era ricompreso nel ius civile, il diritto che regolava la civitas. Egli pertanto godeva di diritti
sia nella sfera pubblica che privata e aveva dei doveri. Al cittadino romano spetta:
- il diritto politico che si esprime con lo ius suffragi (si ricordi che dopo la secessione della plebe, 494,
esso fu svincolato da una dimensione censitaria con la costituzione dei concilium plebis e tribunus
plebis). Un'altra forma del diritto politico era garantita dallo ius honorum, ossia il diritto di rivestire
le magistrature (sebbene garantito a tutti i cives risultava nei comizi centuriati differente)
- Il diritto giudiziario è garantito dallo ius provocationes e del “giusto processo”, cioè ad un
procedimento giudiziario regolamentato che riconosce all'imputato alcune garanzie.
- Diritto economico: è garantito il diritto di proprietà, del raccolto e degli schiavi. La tutela della sfera
economica del civis coincideva con la tutela stessa della res publica

LA ROMA DEI PRINCIPI


AUGUSTO
I poteri di Augusto
Fino al dicembre del 33 o inizi 32 Ottaviano tenne l'imperium triumvirale. Nel 31 comincia a ricoprire la
carica di console che rinnovò fino al 23. Lasciando il consolato ebbe l'imperium proconsulare. Dal 19 a.C.
Augusto ebbe l'imperium allargato a “potere consolare” (diversi autori moderni non accolgono questa
notizia ma un potere che coprisse tutte le prerogative nei meccanismi della politica interna era necessario
ad Augusto per un pieno controllo). Le prerogative consolari davano il potere di convocare i comizi popolari.
Probabilmente poi Augusto procedeva alla nominatio, alla accettazione delle candidature alle elezioni dei
consoli e pretori. Sappiamo che comandava le truppe urbane, ciò dovrebbe far presupporre una deroga
speciale dell'imperium proconsolare, quella di poter agire entro il pomerium.
Dal 19 Augusto aveva un imperium completo che andò anche oltre le tradizionali prerogative dell'imperium
consulare.
 La descrizione più puntuale se pure incompleta ci giunge dalla lex de imperio di Vespasiano. Si fa qui
riferimento ad una serie di attribuzioni del principe, fatte risalire ad Augusto quali quelle di
concludere trattati, raccomandare candidati da eleggere extra ordine, dettare nome ed essere
sciolto dall'osservanza di alcune leggi.
L'imperium dava quindi ad Augusto la possibilità di avere potere in ogni ramo civili e militare, mentre
l'auctoritas rendeva questo potere superiore a quello degli altri. Così Augusto imperava senza porre strappi
evidenti con la tradizione. L'auctoritas era un'acquisizione per meriti, etica, che aveva una forma
istituzionale da sempre socialmente riconosciuta.
Alla morte di Augusto il Senato e alcuni teorici del Principato dovevano investire di imperium il suo
successore (adoperiamo la categoria di maior potesta, che Augusto non aveva mai utilizzato). Non si poteva
investire Tiberio dell'auctoritas di Augusto, bisognava dunque trovare uno strumento istituzionale per
marcare la sua superiorità, in questa maniera il Principato usciva dall'emergenza e dall'eccezionalità
carismatica e si istituzionalizzava. Dal 2 infine il titolo di pater patriae sanzionava l'aspetto ideologico del
potere come “paternità”.

Gli organi repubblicani e le loro funzioni


Tacito osserva che con il regime di Augusto le definizioni delle istituzioni rimanevano le stesse ma si trattava
di nomi senza contenuto. In particolare il ruolo delle magistrature era devitalizzato non solo dai poteri di
Augusto ma anche da una serie di concorrenze di prefetture che coprivano i nova officia.
Quanto alle assemblee popoli, esse continuavano ad avere, tramite concilia plebis, una funzione legislativa
ma dopo Augusto le leggi comiziali diventano rarissime. Augusto stabilì di concedere una sorta di
autorizzazione imperiale ad alcuni giurisperiti: la facoltà di dare responsa ex auctoritate Augusti, ciò
significava, da una parte, dare all'attività di questi giurisperiti un avallo pubblico ufficiale, istituzionale
laddove prima agivano sulla loro auctoritas privata: era una sorta di “statalizzazione”.
La funzione giudicante i comizi l'avevano persa da tempo con l'istituzione della quaestiones perpetuae,
tribunali sentiti come delegati dal popolo. L'attività elettiva delle assemblee è quella cche si esaurisce per
prima. Il Senato è l'unico organismo della costituzione mista repubblicana che non perde potere, ma anzi ne
guadagna in campo legislativo, elettorale, giudiziario. In realtà l'ingerenza del principe rende il ruolo del
Senato del tutto subalterno in quanto il principe ha strumenti per intervenire direttamente come la relatio
in Senato per i senatus consulta; presenza ai proccessi; adlectio, nominatio, commendatio per
reclutamento. Ai luoghi tradizionali del potere si aggiunge la corte che ruota attorno al principe e alla
domus Augusta, la quale diventa un primo nucleo dell'apparato burocratico.

Ideologia
L'ideologia del Principato non poteva nascere a Roma per via istituzionale sicchè passò attraverso l'ideologia
del privato che interviene a salvezza della cosa pubblica. Era un'idea che lo stesso Cicerone aveva
abbracciato, in ordine alla salus rei publicae suprema lex. Augusto nelle Res gestae ventava di essere accorso
in aiuto della res publica del tutto di propria iniziativa e con un esercito arruolato a proprie spese. Collegato
a questo elemento è la struttura del nucelo famigliare, in particolare quella nobiliare, che emerge nella crisi
delle istituzioni pubbliche. Vi è un collegamento fra fase privata e valenza pubblica: la figura di Augusto
passa da espressione del privato benemerito a espressione esclusiva del pubblico.
In tutti i luoghi pubblici campeggiava sempre più la figura di Augusto e della sua famiglia (es. Ara Pacis
Augustae) fino alla monetazione o altri documenti ufficiali “salus rei publicae è salus Augusta; libertas è
Libertas Augusta; pax è pax Augusta”. La manifestazione più eclatante è l'estensione del crimen di lesa
maiestas ad offese recate al principe, in quanto il principe è espressione del popolo e ne rappresenta la
maiestas. L'idea di Roma in tale visione totalizzante si lega all'idea di imperium come dominio sul mondo
civilizzato e quindi di Augusto come conquistatore, sul modello del grande Alessandro.
I suoi consiglieri si rendono conto di come l'innovazione che il Principato portava con sé avesse bisogno di
un grande coinvolgimento ideologico, patriottico e religioso. Dal punto di vista letterario le linee e le
modalità encomiastiche maturano presso Mecenate e trovano voce in Virgilio nell'Eneide e in Orazio nelle
odi civili dei suoi Carmina. In campo storiografico Livio curava il tema del recupero dei costumi. Vi era anche
un'attenta censura.

La politica
La politica come lotta del potere si riduceva a casi di dissensi, più o meno acuti, isolati.
 Per l'opposizione repubblicana vi fu un solo caso serio, nel 23, piuttosto oscuro organizzato da forse
i consoli di quell'anno, membri di vecchie famiglie che si erano schierate con Pompeo. Entrambi
furono giustiziati.
 Il dissenso politica venne dagli ambienti di corte; si tratta di scandali etici e politici che sorsero
attorno alla figura di Giulia, figlia di Augusto, che dopo Agrippa, aveva spostato Tiberio fu accusata
di adulterio con il figlio di Antonio.

Le strutture sociali
Il popolo, stanco delle guerre sociali, guardava con speranza al princeps unico e alle sue evergesie. Molte
vecchie famiglie nobiliari si andavano esaurendo; il Senato era gremito di italici e clientele dei grandi
generali. Da osservare che i Giuli erano legati a molte famiglie importanti come le gentes delle mogli di
Ottaviano, Scribonia e poi Livia con i figli Claudi. Ogni ambiente, specie il Senato, Augusto poneva sotto il
controllo. Nello stesso tempo la linea politica puntava a recuperare la tradizione dei sani costumi
impostandola sulla difesa della famiglia. Tale politica puntava, tramite i vincoli di matrimonio, a preservare
la continuità degli ordines in un certo rango.
La procedura di destinatio segnava la fase di transizione della società centuriata alla società per ordines.
Decaduto l'ordinamento politico-sociale per classi di censo, saranno gli ordines i nuovi referenti
dell'organizzazione pubblica: non il cittadino in quanto tale ma una struttura già riservata ad una certa
funzionalità statuale. Sotto il Principato gli ordini maggiori venivano ristrutturati, entrambi posti sotto lo
stesso controllo del principe.
- Ordine senatorio: comprendeva non solo i senatori ma anche le mogli e i figli in linea maschile, per
tre generazioni. Augusto puntava sulla stabilità e quindi continuità dell'ordo, permettendo ai giovani
figli di senatori l'uso del laticlavio e con ciò l'avvio della carriera. L'assemblea viene riportata a 600
senatori. La carriera cominciava con vigintivirato > tribunato laticlativo > questura > Senato. Da
ricordare che ora era inframezzato da una serie di curatele che contraddistinguevano i nova officia
affidati al principe. Il censo minimo passa da 400.000 a un milione di sesterzi: Augusto dovette
sovvenzionare, a sue spese, famiglie senatorie che non raggiungevano questo limite.
- Ordine equestre: nel Principato assumeva una precisa fisionomia. Da ceto di affaristi, appaltatori,
commercianti, impegnato nel pubblico solo nei giudizi delle quaestiones, diveniva la riserva degli
amministratori al servizio del principe. Soppiantando i liberti nella gestione di importanti ruoli
amministrativa come le segreterie imperiali, l'ordo si venne strutturando in una carriera che passava
per il servizio militare. L'ordo restava quello repubblicano di 400.000 sesterzi. Simboli di status
restavano quelli repubblicani (l’angusticlavio, l'anello d'oro, posti riservati a teatro).

Nonostante l'intento politico di Augusto di rendere ereditario l'ordine senatorio si è osservato che dopo tre
generazioni la famiglia si esauriva per l'alto costo del rango. In età auguste e giulio-claudia si aggiungevano
la vera falcidia della famiglia nobiliare. La nobilitas si andava concettualmente restringendo; mentre di fatto
le famiglie più importanti leader repubblicani erano imparentate con la domus Augusta. Gli uomini nuovi
intanto venivano costruendo la gran parte del Senato, divenendo la nuova aristocrazia senatoria.
Viene a formarsi un terzo ordine nella società, non strutturato, che comprende i decurioni: la riserva di
reclutamento dell'ordine equestre, membri dei senati locali come ex magistrati dei municipia.
Un fenomeno di grande mobilità era poi la manomissione degli schiavi (che Augusto cercava di frenare).

Dall'età di Adriano si venne affermando una formale distinzione sociale, fra honestiores, i ceti superiori e
humiliores, la massa restante della popolazione. Ai primi non toccavano le pene più dure; al contrario
tortura, flagellazione, combattimenti forzati.
In campo elettorale non siamo più di fronte ad una struttura clientelare impostata per un sostegno che
venga col voto dal basso ma con la raccomandazione dall'alto: non è più il patrono che cerca sostegno dal
cliente per farsi votare, per avanzare in carriera, bensì troviamo un patrono che si rivolge ai propri pari, che
votano in Senato per permettere al cliente che si elevi lui socialmente e in carriera.

L'amministrazione di Roma e dell'Italia


Figlio della tradizione repubblicana, ma consapevole della crisi del sistema repubblicano, Augusto ne aveva
chiariti gli elementi di debolezza come di forza:
- Il sistema amministrativo repubblicano lasciava irrisolti problemi cocenti relativamente alla gestione
di un Impero tanto accresciuto
- La struttura della magistratura si rivelava inefficiente agli adempimenti che le aspettavano
Il primo campo in cui Augusto intervenne fu l'amministrazione di Roma. La città fu ripartita in vici e regiones
funzionali alla gestione della città. I vici urbani ebbero i propri magistri che, eletti da più vici riuniti insieme,
erano dediti alle pratiche della vita culturale del quartiere, ma anche compiti di polizia e pronto intervento
in casi di necessità pubblica.
Le prefetture si configurano come il recupero e la riproposizione di funzioni, compiti e procedere già
attestate in passato. Le funzioni di curatori e prefetti, introdotte da Augusto, percorrono tutto il Principato,
conoscendo un intensificarsi dei poteri loro proprio. Nominati dall'imperatore e senza il limite dell'annualità,
questi nuovi funzionali vengono ad acquisire funzioni amministrative, di polizia o giuridiche (come pretori).
Tra gli officia vi sono:
- Praefectus urbi: entrava in carica soltanto in assenza di consoli ma la carica andò stabilizzandosi dal
13 d.C. risultava responsabile del mantenimento dell'ordine pubblico, aveva anche competenze
giuridiche, soprattutto in fatto di crimie.
- Praefecti praetorio: in numero di due, furono posti inizialmente a capo delle coorti pretorie create
da Augusto.
- Praedectus vigilum: a capo delle sette coorti pretorie create di vigili, era incaricato del presidio
notturno per la difesa dai ladri.
Un secondo gruppo di cariche era volto ad assicurare ai cittadini buone condizioni di vita nella città:
- Praefecctus annonae: responsabile dell'approvvigionamento e quindi del trasporto di derrate
alimentari anche dalle province
- Praefecti aerarii Saturni: addetti all'erario (tenuti prima da questori)
Accanto a queste funzioni di servizio della res publica si collocano funzioni e compiti legati al principe.

L'Italia verrà ripartita in undici regiones essenzialmente funzionali ad operazioni di censimento. Augusto
sembra concepire l'Italia come un'estensione di Roma. L'organizzazione amministrativa dell'Italia romana
resta quella per città; non vi saranno figure magistratuali destinate all’amministrazione delle regioni
dell'Italia romana.
L'area rurale italica non era esente da rimodellamento: essa verrà organizzata in pagi. Si creano veri e propri
distretti attraverso cui la città amministrava la campagna.

L'amministrazione provinciale
Nel 27 a.C. Augusto fu individuato dal Senato come responsabile delle provinciae non pacificate. Si trattava
di aree militarizzate e con guerre in corso delle quali il Senato affidava la gestione dell'imperium consolare
tenuta da Augusto. Si avrà una bipartizione del quadro:
- Provinciae Caesaris: rette da un legatus Augusti pro praetore
- Provinciae populi Romani: rette da un governatore col titolo di proconsole nominato dal Senato
tramite sorteggio.
I proconsoli, nominati dal Senato e in carica un anno, svolgevano funzioni giurisdizionali in maniera
itinerante attraverso attraverso il territorio della propria competenza. Ad ogni proconsole era assegnato un
questore per le competenze finanziarie. Il principe tuttavia aveva facoltà che gli consentivano di intervenire
nelle province populi: non soltanto egli controllava il proprio patrimonio ma poteva intervenire, con la sua
auctoritas, in questioni di merito strettamente politico. Con il tempo il controllo del principe si espresse in
modo sempre più sistematico, giungendo nel III secolo a redigere egli stesso la lista di senatori che potevano
essere sorteggiati come proconsoli.
Le province imperiali erano rette da un delegato del principe, un legatus Augusti pro praetore, cooptato dal
princeps e in carica per il tempo che egli avrebbe stabilito. Il rango del legatus, console o pretore, variava
come primo caso a seconda dell'importanza della provincia – in particolare in riferimento alle forze militari
che vi erano disposte.
Un caso singolare è la provincia d'Egitto, chiave per l'economia dell'Impero. Essa era considerata esclusiva
del principe e veniva amministrata da un prefetto di rango equestre, cui era attribuito un imperium anche
militare. In Egitto il praefectus era responsabile dei beni imperiali e di un'ampia serie di funzioni che si
estendevano anche alla riscossione delle multe e dei dazi. l'anomalia della ricchezza dell'Egitto era data da:
- Ricchezza del territorio in termini di produzione granaria
- Tradizione amministrative e istituzionale antecedente alla conquista di Roma aveva suggerito
soluzioni diverse da altre realtà
- Per la giurisdizione criminale provinciale il cittadino poteva ricorrere all'imperatore.
Il principe interveniva a ridurre l'autorevolezza, il potere del governatore sulla comunità provinciale
impedendogli di tessere legami di natura privata e clientelare.
All'interno della struttura provinciale il tessuto era costituito dalle comunità locali di statuto diverso tra loro,
e quindi in un diverso rapporto di autonomia rispetto al governatore della provincia. Le comunità locali
erano contribuenti di Roma; diversamente dalle città italiche che godevano del privilegio del ius Italicum. Il
governatore provinciale, impegnato prevalentemente ad assicurare l'ordine e ad esercitare la giurisdizione,
aveva anche facoltà di intervenire nelle decisioni politiche, nelle pratiche istituzionali e civiche delle
comunità locali, persino quando fossero città libere. Tuttavia la presenza in una provincia di molteplici
comunità non favoriva certamente l'esercizio di tali facoltà.

La riforma dell'esercito
Augusto attua importanti riforme anche al livello militare: egli era il legittimo imperator unico dell'esercito
di Roma; egli solo poteva trarre gli auspicia e proprio in virtù dell'imperium egli poteva procedere alla
riorganizzazione dell'esercito. Mirò a rendere l'esercito stanziale e permanente; parimenti fu resa stabile
anche la flotta e due suoi presidi furono collocati in Italia (Misenum e Ravenna). Augusto, dopo Azio, si trova
una macchina militare costituita da 60 legioni (esito anche di reclutamenti di eserciti personali).
Ai veterani affida una sistemazione con deduzione in colonie mediante elargizione di ricompense al
congedo. Le legioni vennero ridotte 28 e sotto augusto la legione era composta da circo 5.500 uomini,
organizzati in 10 coorti di fanteria divisa in 6 centurie e 3 turme di cavalieri.
Questa nuova struttura comporta un nuovo soggetto giuridico e sociale: il militare di professione. Era quindi
necessario che il soldato fosse ricompensato per aver speso la sua vita nell'esercito. Nel 6 d.C. Augusto
istituì l'aerarium militare, una cassa destinata a pagare i premi, ossia un congedo regolare. La cassa era
alimentata da introiti di alcune nuove tasse:
- Vicesima heretitatium, sull'eredità
- Centesima rerum venalium sulle vendita d'asta
Con Augusto il compenso poteva dunque essere in un lotto di terra o in una somma di denaro. Augusto fa
poi una distinzione tra corpi militari di cittadini e non:
- Ai cittadini > legioni
- Ai non cittadini > truppe ausiliare
Istituì poi le coorti pretorie, dispiegate in tutta l'Italia. In seguito, per paura di schiavi in armi nella città,
Augusto decise di arruolare anche i liberti. Vi erano poi dei corpi speciali:
- Equites singulares
- Speculatores: uomini agli ordini del prefetto del pretorio
I soldati della Roma repubblicana erano cittadini spinti a combattere per il legame che si veniva a creare con
la res publica; qui invece i cittadini combattono con un unico legame, quello col priceps. È bene ricordare
che l'esercito stanziale sarà anche una delle principali fonti di romanizzazione dell'Impero e dell'Europa.

Le nuove conquiste
Augusto opera attraverso due linee politiche, che rispecchiano l'andamento politico-amministrativo:
1. Stabilizzazione dell'emergenza
2. Delega: egli affidò le campagne militari a uomini a lui vicini: Agrippa, Tiberio, Druso
In Oriente Augusto scelse la via diplomatica tramite alleanze, trattati e protettorati. Il confronto con l'impero
parto si sarebbe risolto con un accordo riuscendo nel 20 a far riconsegnare dal re dei parti a Tiberio le
insegne romane presso Crasso e ad Antonio. l'evento sarà propagandato come un successo militare. Si
ricordi la conquista dell'Egitto avvenuta nel 25.

In Occidente la politica estera è molto più militarizzata e aperta su più fronti:


 Situazione iberica: le campagne militare si concludono nel 19 in cui furono annesse Astruria e
Cantabria
 Aree alpine: interesse per la difesa dell'Italia. Nel 14 venne completata la conquista della corona
alpina.
 Area danubiana: acquisizione del territorio di Pannonia, Mesia e Illirico (quest'ultima divisa per
insurrezioni in Pannonia e Dalmazia)
 Gallia e Germania: lungo la riva destra si va a definire un distretto militare. Si prospetta una
avanzata ma le rivolte in Dalmazia e Pannonia non aiutarono e Augusto abbandonò l'impresa.

IL PRINCIPATO NOBILIARE
Tiberio (14-37)
Alla morte di Augusto Tiberio era titolare di imperium, procunsulare e tribunicia potestas eppure egli non
era già imperatore. In Senato vi fu un lungo dibattito su una mozione che pare desse pieni poteri e che
Tiberio dimostra di non voler accettare. Da un passo del senatus consultum pare che egli avesse un imperius
maius, mentre precedentemente egli aveva, come Augusto, un imperium aequum. Vi sono due linee
storiografiche che tratteggiano Tiberio:
1. Tacito, Svetonio, Dione: tiranno sanguinario e corrotto
2. Patercolo: magnanino salvatore della patria
Un momento rilevante del regno fu quello della reazione alla sua successione negli anni 14-16-d.C., che
vede tre movimenti di opposizione:
1. Schiavo di Agrippa Postumo
2. Legioni di Pannonia e Germania, che si ribellarono acclamando Germanico, personaggio di grande
popolarità che restò leale a Tiberio e contribuì a sedare la rivolta.
3. Scribonio Libone accusato di cospirazione
Si viene a formare un contrasto tra Germanico e Gneo Pisone:
- Germanico: inviato in Oriente con un imperium maius rispetto ai governatori provinciali per
risolvere questioni aperte con i Parti.
- Pisone: nominato da Tiberio prolegato di Siria
Fra i due nacque subito un dissidio per questioni personali e per il loro modo di concepire il rapporto tra
Roma e il mondo Orientale. Germanico morì e venne accusato Pisone di avvelenamento; Pisone si suicidò
prima della sentenza. Morto Germanico viene presentato il figlio Nerone e Druso III.
Emerse la figura di Seiano, prefetto della guardia pretoria e vicino a Tiberio e aveva concentrato a Roma
quel corpo che Augusto aveva stanziato in tutta Italia, rendendolo un mezzo di pressione politica. Seiano
aveva mire espansionistiche e punta a sposare Livilla (sorella di Germanico). Rese evidenti le sue mire
Tiberio gli negò il matrimonio (nel frattempo Tiberio si trasferisce a Capri governando da lì per
corrispondenza). Seiano venne condannato a morte.

Tiberio procedette con:


- La fine della funzione elettorale delle assemblee: la procedura di destinatio fu trasferita al Senato,
che diveniva così arbitro delle carriere magistratuali.
- Affronta la grave crisi del credito concedendo una grossa somma a banche da destinare ai prestiti
dei debitori, senza interessi
- In politica estera:
a. Rafforza il fronte dell'Elba contro Arminio
b. In Oriente rende provincia la Cappadocia
Tiberio muore nel 37 lasciando coeredi il figlio di Druso II, Tiberio Gemelle e il figlio maschio superstite di
Germanico, Caligola.

Caligola (37 -41)


Il testamento privato di Tiberio aveva assunto valenza pubblica sicchè Calogola e Gemello erano considerati
eredi del Principato seppur non avessero nessuna carriera politica alle spalle. La plebe urbana, legata a
Caligola per il ricordo di Germanico, premette perché il Senato affidasse tutti i potere a Caligola (gemello si
suicida). Su Caligola la storiografia insiste sulla sua vene dispotica, orientalizzante, le sue crudeltà e le sue
follie. Occorre partire dal fatto che la sua deviazione psichica, causata da una malattia o no nel 38, traduce
in forme patologiche le tendenze politiche. Guarda con simpatia all'Oriente, ai culti egizi e in genere accettò
varie forme di divinizzazione. Il politica estera dunque non sorprende la sua amicizia con i re d'Oriente.
Caligola tenne viva la propria popolarità con una concezione magnificente della monarchia dandogli costosi
spettacolo, iniziative edilizie rinforzando il legame tra principe e plebe urbana.
Una prima congiura, nel 38, Caligola riesce a scongiurarla ma muore in una del 42.

Claudio (41-54)
Fratello di Germanico, Claudio alla morte di Caligola era cinquantenne; si trovò come unico erede della
domus in seguito alla morte precoce di ben nove principi. La congiura che aveva eliminato Caligola aveva
unito componenti politiche diverse con tendenze diversificate. In Senato emersero tendenze più
tradizionalistiche che ponevano in campo la possibilità di una restaurazione della libertas repubblicana (ma
erano posizioni minoritarie). I pretoriani acclamarono Claudio, individuato come parte della casa regnante;
la plebe urbana era legata alla figura del principe evergete e non si fidava di una soluzione senatoria. Si
venne quindi ad una conciliazione, riconoscendo al Senato imperatore Claudio, che, da parte sua,
prometteva piena sintonia con l'organo. Si consolida un nuovo rapporto senato/Principe. Il Senato continua
ad essere attivo con una serie di senatus consulta normativi, nei quali appare una buona collaborazione con
gli indirizzi del principi.
Claudio fu il primo grande riformatore capendo che l'amministrazione dell'impero aveva bisogno di uffici
specialistici centrali. I tre uffici furono:
a. A rationibus: per gli affari finanziari
b. Ab epistulis: per la corrispondenza di carattere istituzionale
c. A studiis: per la cultura
Lo potremmo definire un processo di statalizzazione. A poco a poco gli uffici sarebbero poi passati a
personale apposito. Il suo regno si caratterizzò anche per il fervore delle opere pubbliche, con il
prosciugamento del Fucino per lo sfruttamento di terre, il rinforzo dello scalo di Ostia con la costruzioni di
un porto.
Si mosse su una linea politica di integrazione, concedendo la cittadinanza sia a singoli che a gruppi. Nel 49
un'espulsione di Ebrei da Roma ma ne sostenne la protezione e il rispetto in Egitto e Giudea.
Claudio in politica estera continua il progetto di espansione dell'impero, con riduzione a provincia romana
della Britannia e la Mesia. La provincializzazione era accompagnata da una larga opera di colonizzazione.

Messalina, moglie di Claudio, è dipinta come donna passionale e dissoluta nelle trame di corte. Fu
protagonista di una oscura vicenda che la vede stringersi in matrimonio con Gaio Silio e, in seguito alla
reazione di Claudio, si suicida. L’episodio è da considerarsi all'interno di una cospirazione aristocratica contro
Claudio. L'imperatore, rimasto vedovo, sposò quindi Agrippina, figlia di Germanico e perciò sua nipote.
Agrippina aveva avuto un figlio, Nerone da un precedente matrimonio e si curò subito di farlo adottare da
Claudio, il quale aveva già due figli dal precedente matrimonio (Ottavia e Britannico). In seguito Messalina
fece sposare Nerone con Ottavia. Forse vittimo di una trama di corte, nel 54 Claudio morì.

Nerone (54-68)
La guardia pretoria fece succedere Nerone a 16 anni, affiancandogli Seneca, dopo essere rientrato
dall'esilio. Nel discorso di investitura, scrittogli da Seneca, Nerone annunciava principi di moderazione e di
separazione fra res publica e domus. Il principe ora era visto come il buon sovrano ellenistico, la cui
moderazione era frutto della clementia, quasi una considerazione “graziosa” di chi è superiore. La situazione
però precipitò entro i cinque anni. Il regno di Nerone si caratterizzò per l'epurazione dei possibili
pretendenti al trono e quindi di grandi famiglie nobiliari (es. la famiglia nobiliare dei Giuni Silani). In seguito
Nerone ripudiò Ottavia.
Nel 65 venne organizzata la congiura di Pisone, una cospirazione vera e vasta che univa varie componenti.
Nella congiura erano impliciti Gaio Pisone (personaggio eloquente, amante degli spettacoli e molto
popolare) ma anche esponenti dell'area più severa antineroniana.
In Gallia e Spagna iniziarono a sorgere i primi malumori, anche a Roma la situazione stava iniziando a
precipitare e Peronee, dichiarato nemico pubblico dal Senato, si suicidò trentenne. Nel 64 vi fu un incendio
che interessò un'area molto vasta. Le voci, racconta la tradizione, attribuiscono la responsabilità a Nerone, il
quale a sua volta accusa di ciò i cristiani. Dal disastro Nerone progettò una grandiosa residenza romana, la
Domus aurea. Si occupa anche:
- Riforma monetaria: riduzione del peso dell'aureo che del denario e di conseguenza del metallo fino;
ciò comportava un apprezzamento del denario rispetto all'aureo, avvantaggiando i piccoli
possedienti.
- In politica estera: si riaprì sotto Nerone lo scontro con la Partia per la reggenza in Armenia: Roma
subisce una dura sconfitta e dovrà accettare come re d'Armenia il candidato Parto.

LA DINASTIA ITALICA
La crisi del 69
Dopo Nerone Tacito osserva che si svela un arcanum imperii: il principe poteva essere scelto fuori da Roma,
cioè dai militari. Già con Nerone il movimento di Vindice spinse Galba, governatore della Spagna
Terraconese, ad assumere l'imperium, sostenuto da diversi ufficiali e legati. A Roma però i pretoriani in
tumulto di rivolsero ad Otone, cresciuto nella corte con Nerone, si unì ai pretoriani in rivolta ed uccise Galba
e Pisone nel Foro. Lo acclamarono imperatore. Contemporaneamente le legioni della Germania inferiore,
Germania superiore, Spagna e Gallia, acclamarono come imperatore il loro delegato Vitellio. Vitellio era
incapace di controllare le sue legioni che si diedero a saccheggi in Italia, incontrò anch'egli resistenze. Le
legioni danubiane e di Siria fecero acclamare l'imperatore Flavio Vespasiano, allora in Giudea. I flaviani
mossero guerra ai vitelliani sconfiggendoli e uccidendo Vitellio (mentre Vespasiano non era ancora giunto
dalla Giudea). Il 69 ci lascia in eredità:
- l'acclamazione delle legioni diviene diviene un atto essenziale e di fatto preliminare dell'investitura
- con Pisone si crea l'exemplum dell'adozione al di fuori della domus
- chi controllava le forze militari aveva in mano la successione (ove non ci fosse una popolare
designazione)
- le famiglie nobiliari si erano corrose ed eliminate (con Vespasiano gli uomini nuovi giungono al
vertice di un lungo percorso)

Vespasiano (69-79)
Vespasiano aveva combattuto in Britannia nel 43, console nel 51, proconsole d'Africa. La sua ascesa fu
accompagnata da una predizione magica. nell'iconografia ufficiale si impose l'immagine di Giove che
consegna il globo a Vespasiano, rendendo l'idea del principe scelto dagli dei (teoria di carattere ellenistico).
Venivano stabilizzate le prerogative istituzionali dell'imperium del principe, con la lex de imperio Vespasiani.
Si attribuiva con essa il diritto da parte del principe di concludere trattati, convocare il Senato, avanzare o
respingere proposte, mettere in atto provvedimenti utili alla res publica. È probabile che l'elenco minuzioso
risalga proprio all'ambiente e ai giuristi flavi.
Il suo regno mira al recupero dei costumi e delle risorse per le casse statali corrose dalla dispersione del
neronismo. Aumenta le tasse ai provinciali, bottino giudaico, recupero del terreno pubblico e abusivamente
occupato. Utilizza questi introiti anche per una mirata ed attenta opera di edilizia pubblica come la
costruzione del Colosseo.
Ripresa la politica di integrazione attraverso l'allargamento della cittadinanza: concesse lo ius Latii a tutta la
Spagna. Operò una un'attività politica di consolidamento dei confini e procedette a nuove annessioni: fu
messa fine al regno di Commagene (annesso alla Siria); in Occidente prepara le missioni di Agricola in
Britannia e le fortificazioni di Domiziano tra Reno e Danubio. Nella politica successoria Vespasiano affermò
di nuovo il principio ereditario. Nel 79 Vespasiano morì.

Tito (79-81)
Vespasiano aveva preparato al meglio la successione. Tito, eletto console sette volte col padre, aveva
ottenuto l'imperium, la tribunicia potestas e il nomen di Caesar. Svolge una intraprendente opera
umanitaria di fronte ai tragici eventi del 79: l'eruzione del Vesuvio e la diffusione di una pestilenza. I buoni
rapporti con il Senato furono segnati dal suo astenersi da condanne e confische. Morì nell'81.

Domiziano (81-96)
Con lui riprende la tradizione ostile che aveva caratterizzato la dinastia giulio-claudia.
In ambito amministrativo imposta il passaggio ai cavalieri di funzioni prima destinate ai liberti: così per le
segretarie a rationibus e ab epistulis, aiutando la concezione di una amministrazione meno privatistica e più
burocratica. Si distinse per una politica moralista: si colpivano gli adulteri, le prostituzioni, i cattivi costumi
sessuali, censura.
Notevole un'iniziativa in campo economico che contiene le coltivazioni di viti in Italia, facendo smantellare
metà dei vigneti nelle province. Provvedimento protezionistico per la produzione italica, si voleva evitare
una sovrapproduzione inflazionistica e favorire la cultura dei cereali.
In campo militare crea una struttura difensiva fra Reno e Danubio: struttura consistente in una rete di forti
costuditi da truppe ausiliari e terrapieni collegati da strade, davanti ai castra. Implicava una rinnovazione del
limes: da stradella di separazione tra due territori a frontiera fortificata. nell'85 Domiziano dovette condurre
un'azione militare contro il re di Dacia, Decebalo, che aveva creato un forte stato accentrato, dove faceva
incursione nei territori romani (la Mesia). Seguono le campagne in Britannia di Agricola (83-84).

In definitiva la dinastia Flavia, nonostante le contraddizioni, i punti oscuri conserva parecchi meriti:
- ricambio sociale ai vertici dell'impero
- integrazione provinciale > ricambio del Senato
- abbandono di una concezione privatista dell'amministrazione, verso un'idea più burocratica
- favorì la cultura, le arti e l'attività edilizia
- stabilizza situazioni incerte in Oriente e la difesa in Occidente

LA DINASTIA PROVINCIALE
Nerva (96-98)
Alla morte di Domiziano Svetonio racconta che il popolo restò indifferente; i senatori ne furono entusiasti e
di diedero a distruggere le sue statue. Non si aprì un nuovo scontro. Prontamente il Senato acclamò Nerva,
individuato dalla corte e anche da gruppi senatori antidomizianei a succedere al principe “tiranno”. Nerva,
provenienti da una famiglia umbra e nobis.
Egli attuò una politica di conciliazione: la revoca degli esili, la restituzione dei beni confiscati, la sospensione
della persecuzione contro gli Ebrei. Propone al centro della sua propaganda ideologica il motivo
dell'accordo, eppure Nerva inaugurerà una nuova fase del Principato. Verso il Senato ebbe un
atteggiamento di riguardo formale, ma si mosse con autonomia di giudizio in momenti essenziali del suo
Principato.
Pone attenzione alla politica finanziaria. Costituì un'apposita commissione di cinque membri per disciplinare
la spesa pubblica: si distinse dai Flavi per un atteggiamento fiscale meno opprimente. Diminuì l'imposta
sull'eredità per i nuovi cittadini, introdusse il praetor fiscalis per dirimere le contese tra fisco e privati. Sulla
linea della politica sociale egli introdusse:
- lex agraria: assegnazioni di terre in Africa e Italia
- istitutiones alimentariae: tramite l'elargizione di prestiti a proprietari terreni, creava una cassa
pubblica per i bambini indigenti (arginare la crisi demografica)
Sulla linea di moralizzazione dei costumi vi è il divieto dell'evirazione e quello delle nozze tra zio e nipote.
Il suo principato conobbe scarsa opposizione tranne per due episodi:
1. congiura Pisone Furgi, senza conseguenze
2. Caperio Eliano (97): prefetto del pretorio, portò avanti la richiesta che fossero giustiziati gli assassini
di Domiziano. Nerva acconsentì
Adotto pubblicamente con una cerimonia sacra sul Campidoglio Marco Traiano, governatore della
Germania superiore, uomo popolare negli eserciti. L'adozione poneva le basi per una nuova fase del
Principato: da princeps adempiva al dovere più alto verso la res publica, quello di garantirle un optimus
princeps. Nerva, ultimo principe italico muore nel 98 senza disordini.

Traiano (98-117)
Traiano fu scelto con un criterio meritocratico, in base alle sue virtutes. Nativo di Italica, municipio romano
della Betica, console sotto Domiziano. Egli stesso era l'esito della dinamica di integrazioni. Dopo gli italici
Flavi giunge il princeps provinciale, il segno dei tempi nuovi dell'impero.
Il Principato di Traiano, come quello di Nerva, si mosse nell'assoluto riguardo formale dell'assemblea
senatoria: il principe seguirà le attività curiali e ne rispetterà le procedure formali. Recupera alcuni
atteggiamenti augustei come:
- l'epiteto princpes
- prestò giuramento all'inizio e alla fine del consolato
- scelse di celebrare la tribunicia potestas il 10 dicembre, giorno in cui entravano in carica i tribuni
della plebe
Egli sviluppa l'idea del principe pater: acquisì su di sé ogni responsabilità e intervenne in ogni settore della
vita pubblica e privata dell'Impero. Nel suo iter il principe non fu solo: operarono attorno a lui importanti
personaggi dell'ordine senatorio. Tiene sotto controllo il rapporto tra centro e periferia: nelle città
cominceranno ad essere inviati dal potere centrale i curatores civitatis, supervisori delle finanze cittadine,
non necessariamente in presenza di situazioni di crisi. Il princep si manifesterà pater soprattutto in alcuni
provvedimenti di politica sociale:
- assicurò il rifornimento annoniano
- sorveglia il meccanismo delle frumentationes
- diffuse le Insitutiones alimentariae (come dimostra il rinvenimento di tabulae alimentarie, i registri
delle operazioni)
- promosse la fondazione di colonie con deduzione nelle aree danubiane
- Pone attenzione alla tutela con diritti privati al cittadino
Il tratto distintivo del regno di Traiano si coglie nella sua politica estera. È verosimile che egli contemplò
nella conquista la possibilità di risoluzione dei problemi economico-finanziari dell'Impero.
 Dacia (101-106): riprese le ostilità già avviate da Domiziano contro Decebalo: le operazioni
si conclusero con la conquista della Dacia e la sua sistemazione in provincia
 l'Arabia viene conquistata divenne provincia
 conquista l'Armenia e la Mesopotamia, conquistando il golfo persico
Nel 117 muore adottando Publio Adriano. Con lui il Principato assume una forza accentratrice ed
espansionistica.

Adriano (117 – 138)


La notizia della morte di Traiano raggiunse Adriano in Siria. Adriano rifiutò gli epiteti di Optimus,
Germanicus, pater patris ma lui rifiutò. Si definisce il suo presupposto etico-politico, la disciplina.
Apparteneva ad una antica famiglia provinciale senatoria, rimasto orfano di padre gli avvennero affidati due
tutori tra cui il futuro imperatore Traiano. Alla sua morte era già stato designato console per il 118.
 Riformare il sistema giudiziario: l’editto del pretore. Era un colpo alla libertà d’iniziativa dei
magistrati a vantaggio dell’azione sotto diretto controllo del principe.
 Divide l’Italia in quattro distretti giudiziari e di affidarne la competenza in materia civile a
consulares
 agiva da “principe intellettuale”. Famoso per i suoi viaggi attraverso tutto l’impero che gli
consentirono di avere esperienza diretta delle province; rendere manifesta ovunque la sua
presenza. Interviene per la costruzione di “scuole pubbliche” e biblioteche.
 Mise da parte la politica espansiva, perseguendo un programma di consolidamento
dell’impero. Lo dimostra il vallum di Britannia e il fossatum Africae.
 Organizzazione dell’esercito: introdusse nei campi militari il valore della disciplina,
allenamento continuo delle truppe, arruolamento ai confini.
Negli ultimi anni provvide a scegliere il successore: prima Lucio Elio Vero, che morto nel 138, adottò poi
Antonino, al quale impose l’adozione di Commodo e Marco Aurelio Vero. Provvede ad una doppia
generazione di successione, garantendo la governabilità dell’Impero per altri 50anni.

Antonino Pio (138-161)


L’epiteto pius gli deriva dall’etica del suo comportamento. Nel suo regno esprime un nuovo stile di principe:
una serenità quieta, senza guerre e senza viaggi, che rispecchi la calma dell’Impero in questa fase “aurea”.
Gestì la politica economica con accuratezza e parsimonia lasciando ricche le casse dello stato. Nella politica
edilizia si limitò al restauro e alla manutenzione. Il suo Principato non ebbe opposizioni ne si hanno notizie
di congiure. L’unico evento bellico si verifica nel 142 in Britannia che comportò lo spostamento del vallum a
120 km più a nord, con rafforzamento del limes di Germania e di Dacia.

Marco Aurelio (161-180) e Lucio Vero (161-169)


Marco Aurelio, secondo una procedura mai applicata fino ad ora, associò a sé pari poteri con il fratello
adottivo Lucio Vero. La diarchia, inaugurata da Marco Aurelio sarebbe poi stata recuperata ampliamente dal
III secolo. Marco Aurelio diviene “il principe filosofo”. Gli anni del Principato furono travolti da continue
minacce militari e turbati da gravissimi disastri interni: terremoti, carestie e soprattutto la diffusione della
pestilenza. In materia di giurisdizione Marco Aurelio recuperò la ripartizione dell’Italia in distretti
giurisdizionali che vennero affidati a 4 iuridici, responsabili. Marco Aurelio creò la figura del praetor
tutelaris, all’interno di un provvedimento che stabiliva che i curatori gestissero la proprietà per i minori di 25
anni; stabiliva inoltre un registro delle nascite, nel tentativo di controllare lo status degli abitanti
dell’Imperium.
In politica estera li vediamo alle prese nelle zone confinanti dell’impero:
- In Oriente: re di Patria invade Armenia e Siria. Lucio Vero intervenne concludendo nel 166
l’invasione. Probabilmente le legioni di ritorno portarono con sé la pestilenza che dilagò nelle
province d’Italia
- Tra il 166-67 le popolazioni scandinave invasero i territori imperiali per poi ritirarsi
- Nel 170 i Barbari oltrepassano il basso Danubio. Roma passa ad una politica di attacco, sfruttando la
divisione dei vari popoli
Morto Marco Aurelio, il figlio Commodo subentrandogli blocca le attività militari del padre e stabilisce
trattative con le varie popolazioni. Gruppi di Barbari venivano ammessi nell’Impero, sia per coltivare aree
incolte sia a scopo militare difensivo.

Commodo (180-192)
Commodo non incarna il modello di principe al servizio dei cives, piuttosto si avvicina al modello del
principe dominus, sulla linea di concezione dei principi autocrati, fino alla tirannia. Si aggiunge la condotta
eccentrica, una propaganda sulla pace sancita sul fronte germanico. Le crescenti esigenze di Commodo, lo
sperpero nelle feste e nei giochi rendevano necessari continui guadagni: si susseguono processi di alto
tradimento con confisca dei beni; vendita delle cariche. Si diffondono a Roma nuova culti. Il Principe,
incapace di gestire il potere cominciò ad esigere il riconoscimento della sua divinità e identificazione con
Ercole. Fu la somma di questi atteggiamenti, congiunti agli intrighi di corte che portò la fine di Commodo.
Cadde vittima di una congiura nel 192.

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