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La monarchia

Le testimonianze delle fonti letterarie rappresentano un blocco di informazioni con cui ci si deve
confrontare per ricostruire la storia di Roma arcaica. Le prime fonti che abbiamo riguardo questi anni
risalgono al III sec a.C. un'epoca molto posteriore rispetto agli eventi narrati. La scrittura comparì per
la prima volta a Roma alla fine del VII secolo a.C., ma le poche iscrizioni di questo periodo giunteci
non ci danno grandi informazioni. Ciò che sappiamo riguardo il periodo regio e la prima parte dell'età
repubblicana risale alla trascrizione della tradizione orale.
Due furono i grandi storici che scrissero di Roma arcaica: Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso. Lo scopo
di Dionigi è dimostrare che i romani fossero una popolazione di origine ellenica, dimostrando che il
popolo romano si fosse fermato dalla fusione di ondate migratorie provenienti dalla Grecia (Enea-
Cartagine).
Le fonti che ricostruiscono questo periodo sono:
1. Le opere degli storici annalisti, che organizzavano il materiale in ordine
cronologico. Questi scritti sono andati perduti.
2. La tradizione famigliare. La struttura della società era dominata dalle famiglie
dell'aristocrazia di governo, ciascuna di esse cercava di accreditare la propria
superiorità celebrando le glorie dei propri antenati. Una delle forme per
esternare la propria storia familiare era attraverso la pronuncia degli elogi dei
defunti in occasione delle cerimonie funebri. I primi storici attinsero
probabilmente alle tradizioni preservate all'interno delle varie famiglie.
3. La tradizione orale, trasmessa soprattutto con canti celebrativi e
rappresentazioni durante le feste.
4. I documenti d'archivio. I primi storici di Roma menzionarono per ogni anno i
nomi dei magistrati e degli eventi degni di nota, raccogliendoli negli Annali.
Questi documenti sommari non risalgono sino all'età regia.
5. Plutarco e Valerio Massimo sono biografi (-> l'interesse delle biografie è
meramente moralistico, non hanno direttamente intenti storici).
6. Le fonti antiquarie sono fonti di natura prettamente letteraria
(paraetimologiche), scritte da grammatici, che hanno lo scopo di spiegare
termini o concetti incomprensibili poiché antichi in un latino attuale. Sono
spezzoni informativi (fossili istituzionali-ricordano ciò che c'era prima) danno
una visione su cose arcaiche non inquadrabili nella tradizione storiografica e per
questo sono importanti.

Le informazioni che abbiamo riguardo la fase arcaica ci fanno sapere, che: re di Roma furono 7; Roma
venne creata da Romolo nel 21 aprile 753 a.C.; la nascita della città avviene a seguito di un fratricidio;
iniziò a popolarsi grazie all'Auxilium romulei (->atto fondativo della cittadinanza romana-contrario
rispetto al mito dell'autoctonia di Atene) e al termine la monarchia fu etrusca=>tutte queste
informazioni hanno significato eziologico(recenziorità), ossia di spiegare cose successive.
La fase arcaica può anche essere definita come protostorica, derivante dalle tradizioni, priva di basi
storiche certe. Questa tradizione (favola identitaria) è stata inventata, non esiste la tradizione vera,
autentica, essa, infatti, implica di essere affabulata, costruita, serve per appropriare e trasmettere un
messaggio identitario, che diffonda determinate convinzioni e valori ad un popolo, che lo differenzi
rispetto agli altri; è avvalorata da coloro che ricercando in essa una comunità la rendono reale.
A Roma la scrittura giunse solo durante l'ellenismo nel IV sec. a.C. e fino ad allora la trasmissione della
tradizione avvenne solo per via orale, queste informazioni furono trasmesse dai raccontatori di storie,
che operavano all'interno dei clan familiari durante i grandi funerali pubblici, in cui inscenavano la
vita del morto e la storia che lo precedette, veniva amplificata nel corso dalla rappresentazione
l'importanza dei personaggi appartenenti alla stessa classe sociale della famiglia del defunto.
La tradizione attribuisce a Romolo e all'età romulea una serie di concetti: i caratteri originali/
strutture romulee specifici di Roma:
1.Rex(re): è onnipotente- non trasmette ereditariamente il potere e alla sua morte se ne sceglie un
altro
2.Senatus(senato): spetta a loro l'elezione del re, che viene scelto all'interno del seno è anche
l'assemblea dei saggi, con potere consultivo e giudiziario sui reati minori.
3.Popolus(popolo): era l'insieme di coloro che avevano la cittadinanza (i patres familias la
possedevano piena; gli altri maschi limitata; le donne solo nominale).
4. Il prefetto urbano (praefectus urbis): era nominato a vita per governare durante le assenze del
sovrano.
Le forme di organizzazione:
interrex: sostituisce re, mentre se ne elegge un altro.
3 tribù gentilizie (Tities, Luceres, Ramnes-divise a loro volta in juniores e seniores), ciascuna suddivisa
in 10 curie o fratrie sulle quali comandava un capo, il decurione. La terra venne divisa in 30 lotti e
divisa equamente tra le curie. Le suddivisioni create da Romolo furono poi la base da cui si eressero
le organizzazioni militari, tra cui l'assemblea dei comizi curiati.
Collegio degli arvalli (12 sacerdoti)
Con Numa Pompilio:
collegia: divisione popolo per associazione di mestieri
collegi religiosi: flamini-culto; pontefici-vigilavano le varie pratiche religiose; auguri-lettori auspici;
vestali-donne caste che preservavano il fuoco della dea Vesta
Della realtà storica monarchica a Roma rimasero due figure principali: il sacerdote chiamato rex
sacrorum, i cui ruoli religiosi erano i medesimi di quelli del re.; l'interrex, il magistrato che subentrava
in caso di mancanza di entrambi i consoli.
Il periodo monarchico (21 aprile 754-509 a.C.) vide Roma sotto il controllo di 7 re: Romolo (creazione
delle prime istituzioni politiche); Numa Pompilio(primi istituti religiosi); Tullo Ostilio(conquista Alba
Longa); Anco Marcio(fondazione della colonia di Ostia); Tarquinio Prisco(importanti opere pubbliche-
adattamento alle insegne del potere regio etrusche); Servio Tullio(costruzione delle prime mura della
città, primo re non eletto fece una serie di riforme di natura militare, che saranno alla base della
repubblica); Tarquinio il Superbo(tiranno; stupro Lucrezia).

Alla base dell'organizzazione sociale dei Latini si trovava la famiglia alla cui testa c'era il pater,
la figura depositaria della potestas, che esercitava il suo potere su tutti i componenti della famiglia,
compresi schiavi e clienti. La famiglia romana non è infatti da considerarsi una famiglia di tipo
nucleare, il vincolo di fondo non era di sangue, ma era determinato dalla potestas esercitata dal pater
sulle persone che ne rispettavano l'autorità. I figli non erano solo quelli generati, ma anche quelli
adottati, che decidevano di legarsi a un pater per necessità. Questa era un'unità economica, religiosa
e politica, come se fosse una sorta di formazione prestatale. Basta guardare il diritto romano per
osservare la necessità di adattare gli elementi primitivi della faglia a un contesto statale evoluto. Ogni
famiglia aveva dei riti che si trasmettevano di padre in figlio, in questi riti i manes, ossia le anime
antenati divenivano oggetti di culto. I figli rimanevano sotto al potere del padre finché quest'ultimo
non moriva. Il figlio non aveva autonomia economica e doveva dipendere dal padre, se non fosse
riuscito a sostentarsi non avrebbe avuto altra scelta che divenire vittima degli usurai.
Tutte le famiglie con un antenato comune formavano la gens, un gruppo organizzato politicamente
e religiosamente.
Il potere dell'uomo sulla moglie aveva il nome di manus e non conosceva limitazioni.
L'agricoltura di Roma arcaica era limitata dalle condizioni poco favorevoli del terreno, il
soddisfacimento delle necessità alimentari rappresenta un serio problema. La sopravvivenza veniva
assicurata grazie al farrago un prodotto, che associava varie specie di cereali e di leguminose, nelle
epoche successive sarà funzionale all'alimentazione animale. Il cereale maggiormente coltivato era il
farro. Agricoltura e allevamento erano attività complementari, il bestiame favoriva la coltivazione con
la produzione di concime e con l'aiuto prestato all'uomo nel lavoro.
Non sempre Roma trasse vantaggio dalle sue conquiste a favore dei consumi alimentari.
La prima forma di proprietà privata era limitata solo alla casa e all'herdium, ossia l'orto
circostante, il resto rientrava nella proprietà collettiva. La proprietà era trasmissibile per via ereditaria
(sors). Dopo un iniziale assestamento interno iniziarono le assegnazioni del terreno conquistato. I
dislivelli resteranno fino al VI sec molto modesti.
L'origine alla base della divisione sociale alla base di Roma arcaica tra patrizi e plebei è molto
incerta. Molte sono le ipotesi:
1. I patrizi sono i discendenti dei primi senatori.
2. I plebei sono i clienti dei patroni patrizi.
3. I patrizi sono i latini abitanti il Palatino e i plebei sono i sabini insediati sul
Quirinale entrati successivamente nella comunità
4. I patrizi sono i grandi proprietari terrieri, mentre i plebei sono gli artigiani e gli
altri ceti emergenti economicamente.
È importante tener conto che la società romana arcaica subì varie trasformazioni sociali, che
portarono all'accrescimento della popolazione grazie al costante afflusso di persone estranee.
L'evoluzione sociale ha dunque una natura estremamente complessa.
Le origini della plebe, possono ricondursi a tre possibili filoni principali: quello economico, etnico e
culturale.
La prima volta che si sente parlare della plebe all'interno dell'organizzazione della città, è a seguito
delle lotte contro i patrizi in età repubblicana, dove essi emergono come gruppo rivoluzionario.
L’ordinamento serviano consisteva in una ristrutturazione dell’esercito secondo un nuovo ordine,
non solo militare ma anche fiscale e politico. Il popolo veniva diviso in cinque classi in base al
patrimonio. Ogni classe doveva fornire a proprie spese un numero di centurie di fanti armati, inclusi
i plebei nullatenenti con una classe soltanto.
Introduzione del sistema censitario di 5 classi per censo per instaurare a Roma la tattica oplitica (da
esercito informe-non poteva competere coi nuovi eserciti-ad uniformità di armamento-esercito
oplitico-soldati ricchi pesantemente equipaggiato di bronzo).
Durante la seconda guerra sannitica i romani rivoluzionano nuovamente l'esercito- l'armatura oplitica
era inusabile nei luoghi impervi (utile solo se i soldati agivano in modo compatto). La nuova armatura
più leggera presuppone, che i soldati agiscano indipendentemente ed individualmente (esercito
manipolare-> durerà o fino alla guerra contro Pirro o la punica, dove verrà sostituito dall'esercito
legionario.
Le tre tribù originarie furono sostituite con 4 tribù urbane (Collina, Esquilina, Palatina, Suburbana), in
cui i cittadini venivano iscritti in base all'effettivo domicilio, dalle quali dipendevano la riscossione
delle tasse e la leva militare.
Organizzazione di 2 nuove assemblee per la vita pubblica (ordinamento serviano): i comizi centuriati
e tributi. Le persone all'interno delle classi di censo fanno parte della centuria-ripartizione della
legione costituita da 50 mila uomini e 58 sottoufficiali noti come centurioni
La prima classe di censo era costituita di 80 centurie+18 centurie equestri (i più ricchi)
La seconda, terza e quarta classe aveva 20 centurie a testa
La quinta classe era costituita da 30 centurie, molto più popolose di quelle della prima classe
Sistema aristocratico, non democratico: la prima classe votava per prima e una volta raggiunta la
maggioranza si interrompevano le votazioni, le classi inferiori non avevano mai la possibilità di votare.
La repubblica
La tradizione ritiene che il passaggio tra età regia e repubblicana avvenne dopo la cacciata di
Tarquinio il Superbo dovuta ad uno stupro. La storia di violenza subita da Lucrezia contiene elementi
di drammatizzazione che ricordano la caduta di diverse tirannidi greche e ne minano fortemente la
credibilità. È più verosimile pensare, che a seguito della caduta della monarchia si sia susseguito un
periodo confuso prima che si stabilisse un regime repubblicano nelle forme a noi conosciute.
È curiosa anche la datazione, il 510 a.C. è l'anno in cui il tiranno Ippia fu cacciato da Atene. Degli
studiosi hanno provato a ri-datare la nascita della Repubblica: alcuni tra cui Livio la pongono nel
508a.C., si è risaliti a questa datazione contando i chiodi. Il tempio di Giove Capitolino, si sostiene,
che sia stato inaugurato il primo anno della repubblica, e che ogni anno il massimo magistrato
infiggesse nella parete in chiodo.
Le fonti
La ricerca storiografica affida le conoscenze di questo periodo anche all'analisi dei Fasti, le liste dei
magistrati eponimi della Repubblica. I Fasti Capitolini sono quelli maggiormente conosciuti, furono
scritti da Varrone durante gli ultimi anni della repubblica, essi ci forniscono un'ossatura cronologica
per quanto riguarda i primi anni della repubblica.
I fossili istituzionali ci danno informazioni importanti riguardo una possibile forma di passaggio.
Catone, parla del pretor maximum, un'immagine non presente nella tradizione, che però ci permette
di dedurre un passaggio graduale e verosimile dal re alla repubblica. All'inizio era presente un singolo
pretore, il pretor maximum, con 2 consiglieri, successivamente crebbe progressivamente il numero
di pretores, mentre il numero dei consoli restò sempre e solo 2, divennero così la magistratura
superiore.
Struttura politica
A Roma potevano votare solo i maschi adulti con cittadinanza. Per essere un cittadino romano
bisognava essere nati da un matrimonio regolare o da madre romana (per nascita), oppure essere
stranieri o latini con domicilio stabile a Roma (per naturalizzazione), oppure essere un liberto (per
manomissione).
Vigeva una sorta di democrazia referendaria, nella quale il cittadino si esprimeva una volta l'anno
riguardo i magistrati, e più volte riguardo le cause capitali e le leggi. Il sistema di voto era molto
semplice, ogni unità di voto esprimeva la propria preferenza in maniera palese, una volta raggiunta
la maggioranza interna. La vittoria era determinata dal maggiorato secco. Il procedimento di voto
poteva essere interrotto da segni celesti, più volte usati come strumento ostruzionistico. La maestà
del popolo si esprimeva nei comizi centuriati.
I poteri propri del re passarono immediatamente in blocco ai consules, o meglio i praetores, eletti dai
comizi centuriati, solo alcune delle competenze religiose non furono trasferite ai consoli, ma a un
sacerdote, il rex sacrorum. I consoli erano comunque in grado di leggere gli auspici, avevano solo due
limiti in più del re: l'annualità -durata della loro carica- e la collegialità -ciascuno dei magistrati poteva
opporsi all'azione del collega. Ogni cittadino poteva inoltre appellarsi al giudizio dell'assemblea
popolare contro le condanne capitali inflitte dal console (provocatio ad populum).
I comitia curiata - erano un'assemblea delle tribù gentilizie organizzate per curie. In età repubblicana
subirono un forte declino ed assunsero il ruolo di votare sugli atti relativi allo stato di famiglia, in età
tardo repubblicana le 30 curie erano espresse solo simbolicamente da 30 littori.
I comizi centuriati - avevano forte connotazione oligarchica, votavano le leggi, le dichiarazioni di
guerra, le cause capitali, sceglievano lo status delle terre conquistate ed eleggevano i magistrati
maggiori. La loro creazione è attribuita a Servio Tullio, il loro ruolo subì un crescendo d'importanza
ed assunse il culmine della sua centralità a partire dalla metà del IV sec., scrivono al riguardo Dionigi
di Alicarnasso, Livio e Cicerone. Subirono dei mutamenti nel corso del III sec., che favorirono le
centurie inferiori. Funzionavano secondo voto progressivo, a scendere tra le classi, sino al
raggiungimento della maggioranza assoluta. Dal 215 una delle centurie dei iuniores della prima classe
esprimeva pubblicamente il suo voto, per indicare il volere dell'oligarchia.
I comizi tributi - furono le assemblee, comprendenti sia patrizi che plebei, distribuiti territorialmente
in trentacinque tribù, nelle quali tutti i cittadini romani venivano collocati per scopi finanziari e per
l’elezione dei magistrati sine imperium. I comizi tributi erano i più democratici, infatti all'interno di
esse il popolo votava per tribù. Si formò una sorta di disuguaglianza, in quanto nonostante il forte
aumento della popolazione le tribù urbane rimasero 4, mentre quelle rustiche divennero 31, la
popolazione della campagna si trovò ad avere un peso maggiore.
I concilium plebis - funzionavano come i comizi tributi, con la differenza che i patrizi non erano
ammessi. Votavano i plebisciti, che dal 287 costituivano la maggior parte della legislazione romana.
La lex publica - è una qualsiasi norma positiva che regola l'operato umano in modo obbligatorio, ed è
emessa dallo stato. La lex rogata sino al 287 era prodotta dal magistrato proponente, il rogator, e dal
popolo, che ratificava con il voto. La lex data era imposta direttamente dal potere magistratuale.
Veniva resa pubblica con l'affissione (promulgatio-in età repubblicana avveniva al Campidoglio) ed
era inalterabile. Tra l'affissione e la votazione passavano dalle due alle tre settimane, in modo tale da
permettere assemblee informative e lo spargimento della notizia. Era suddivisa in tre paragrafi:
l'intestazione(praescriptio), il testo(rogatio) e un complesso di disposizione volte ad assicurarne
l'efficacia(sanctio). Potevano anche sussistere clausole di carattere opposto, per non intaccare leggi
anteriori. Il senato poteva cessare le leggi difettose (riunite materie diverse; violente) in ogni
momento.
Il processo comiziale - in una data tra il 509 e il 300 venne garantita all'imputato reo di causa capitale
la provocatio di fronte ai comizi centuriati. Il significato di processo comiziale non lo conosciamo, ma
sono state formate tre possibili ipotesi: che fosse un giudizio intentato dei magistrati di fronte al
popolo, raccolto nei comizi centuriati; che il popolo esprimesse da subito un parere vincolante; che il
giudizio popolare subentrasse dopo la condanna da parte di un magistrato. Non sappiamo inoltre se
si usasse solo per i delitti politici, o anche per quelli comuni.
Le magistrature - i magistrati eletti dal popolo erano i governanti del popolo. L'ascesa politica del
singolo seguiva un percorso definito, il cursus honorum, stabilito da norme che prevedevano età
minime per le cariche e intervalli biennali tra edilità, pretura e consolato. Le principali magistrature
erano divise tra: curuli (dotate della sella curule-censura, dittatura, pretura, consolato ed edilità
curale) e non curuli; con imperium (dittatura, consolato e pretura) e senza (questura, edili o tribuni);
ordinarie e permanenti, ordinarie (uguali, annuali, collegiali) e straordinarie (es. censura-sono privi di
una delle tre clausole degli ordinari), (dittatore).
Gli ordinari erano divisi in 4 ranghi per le 5 magistrature.
L'imperium è un potere e una qualità che il magistrato ha o acquisisce,
che gli conferisce potere militare e religioso, assumono la capacità
giuridica (possono condannare a morte), militare (possono diventare
generali), religiosa (possono entrare in contatto diretto con gli dèi;
trarre auspici) e civile. Chi non lo possedeva poteva occuparsi solo dei
compiti civili.
Appartenevano alla nobilitas i membri dell'aristocrazia senatoria che avevano avuto tra i loro antenati
un console o almeno un censore. Questa posizione rendeva più facile accedere alle magistrature.
Consolato - coppia dei magistrati maggiori. Nacque nel 509 ed era eletto ogni anno solare dai comizi
centuriati. Inizialmente i candidati erano esclusivamente patrizi, nel 367 fu ammesso un plebeo e nel
172 si ebbe una coppia interamente plebea. Il loro potere si compendiava nei termini di potestas
(capacità di esprimere con la propria volontà quella dello stato) e di imperium. Avevano potere
militare, di giurisdizione (poi passato ai pretori e agli edili), di censimento (poi passato ai censori). I
due consoli si suddividevano il potere a mesi alterni e militarmente a mesi alterni, quando Roma
doveva combattere su più fronti si dividevano le sfere d'influenza.
Pretura - il pretore era interprete della legge e depositario del diritto civile. La magistratura del
pretore nacque nel 367, precedentemente questo termine era usato per indicare il console. Si
occupava di questioni giudiziarie. Inizialmente veniva nominata dai consoli, successivamente venne
eletta nei comizi centuriati. Il numero di pretori crebbe con l'estendersi dell'influenza romana, c'era
la necessità di un maggior numero di persone che si occupasse delle esigenze amministrative e
belliche e dei rapporti commerciali. Grazie alla loro presenza nei processi civili si passò dall'uso delle
formule arcaiche all'uso di formule appositamente istituite, ciò portò ad una sorta di laicizzazione del
diritto civile. Con questa figura emerse inoltre un nuovo tipo di diritto, il ius honorarium. Il loro modo
di procedere era reso pubblico negli editti, che restavano in vigore per l'intero anno della
magistratura. La loro competenza era compresa solo a Roma e in Italia, fino a quando non iniziarono
a processare i governatori provinciali accusati per concussione.
Proconsolato e propretura - nella media e tarda repubblica si andò affermando le pratica della
proroga del comando (prorogato imperii). La proroga era sancita da un plebiscito a seguito di un
senato consulto.
Edilità - terza magistratura per importanza non aveva imperium, ed era composta da due
magistrature distinte. Il loro compito era sorvegliare i templi della plebe, amministrarne le finanze e
aiutare con le funzioni giudiziarie. I magistrati erano eletti dal concilium plebis. Con l'età medio
repubblicana le due magistrature furono in parte assimilate assunsero il compito comune di
sorvegliare la città, i mercati, i commerci e gli approvvigionamenti granari.
Tribunato della plebe - era eletto dal concilium plebis, originariamente era formato da 2 tribuni, che
con l'accrescersi dei possedimenti romani divennero 10. La loro nascita avvenne nel corso della prima
secessione. La carica è caratterizzata da inviolabilità personale (sacrosanctitas), possibilità di
soccorrere un cittadino contro l'azione di un altro magistrato (ius auxilii), il diritto di veto verso le
proposte di legge. Avevano il diritto di multare e nel I sec. a.C. furono cooptati nel consesso. Il tribuno
della plebe fungeva da commissario e protettore del popolo dal governo.
Questura e magistrature minori - era la prima importante tappa del cursus honorum. Passarono
dall'essere 2 ad arrivare a 8 assumendo funzioni sempre più varie. I 2 questori urbani restavano in
città a custodire il tesoro pubblico e l'erario, quello di Ostia controllava l'afflusso di grano a Roma, gli
altri sorvegliavano gli acquedotti o affiancavano i comandanti. Nelle province aiutavano i governatori
nel campo del fisco e della giurisdizione. Erano organizzati in 5 collegi: IIIviri capitale (polizia,
sorveglianza notturna, controllo esecuzioni capitali); IIIviri monetales (controllo coniazione monete);
IVviri praefecti (esercizio della giurisdizione su alcune città campane); Xviri litibus iudicandis
(controllavano i giudizi riguardanti libertà e cittadinanza); Ivviri viis in urbe purgandis (pulizia strade).
Censura - la censura nacque nel 443, la sua funzione era di tenere il censo di Roma. Venivano eletti
tra gli ex consoli dai comizi centuriati. Questa era la magistratura più prestigiosa, nonostante non
avesse imperium. Veniva formata ogni 5 anni e durava 18 mesi. Il compito dei censori era di registrare
le dichiarazioni dei redditi di tutti i cittadini maschi adulti. Il lustrum era la cerimonia di purificazione
compiuta al termine del loro operato. I censori giudicavano anche i senatori, che talvolta venivano
estromessi perché giudicati indegni. Un altro compito era di soprintendere i contratti statali e
occuparsi degli edifici pubblici e delle strade.
Dittatura - questa figura era già presente in età monarchica col nome di magister populi. Dopo un
primo momento di apertura nei confronti dei plebei si restrinse agli ex consoli. Veniva nominato in
situazioni di pericolo, guerra grave e discordie civili. Assumeva per 6 mesi il potere dei due consoli
(tutti i poteri civili e militari-era affiancato da un magister equitum per amministrare la giustizia) si
raccoglieva nelle mani di un dittatore.
Sacerdoti - già presenti dalla monarchia furono riuniti in 4 collegi (pontefici, auguri, Xviri, VIIviri) in
età repubblicana.
Il senato - era l'unico consesso all'interno dell'Urbe a raccogliere i personaggi politicamente
autorevoli. In età monarchica nacque come un'assemblea di patrizi consiglieri del re, andò via via
acquisendo importanza. In esso erano raccolti tutti coloro, che erano prima stati eletti in una
magistratura. Era organizzato secondo una struttura gerarchica basata sull'anzianità di carica. A
differenza dell'assemblea popolare il senato aveva maggiori possibilità di riunione (si incontravano in
luoghi consacrati). Ogni seduta era presieduta da colui che la convocava. Il parere del senato si
chiamava col termine senatoconsulto. I ruoli del senato erano: esprimere pareri sulle decisioni delle
assemblee; confermare la validità delle votazioni assembleari; decidere su misure straordinarie;
assegnare le province ai futuri governatori; esprimersi su questioni amministrative; avevano ruolo
religioso; giudicavano i reati contro l'ordine pubblico. Influiva sulla vita politica della repubblica grazie
alla auctoritas patrum, ossia il diritto di sanzione e grazie alla carica vitalizia, che permetteva loro di
dispiegare la politica con continuità d'azione.
La divisione territoriale
Roma non è mai stata gelosa della sua unicità: le sue origini sono determinate da un processo di
aggregazione di persone a cui era stata concessa la cittadinanza romana-> municipalizzazione. Le
zone che entravano in un rapporto di soggezione (es. richiesta d'aiuto nelle guerre) rispetto a Roma
erano obbligate ad adottare un sistema politico aderente a quello Romano (assemblee, comizi,
magistrature…), nel momento in cui lo facevano Roma diventava garante della solidità politica ed
economica di esse, queste piccole riproduzioni avevano il nome di municipia.
All'interno dei municipia i rapporti sociali gerarchici non si modificavano nonostante i cambiamenti
politici, le classi dirigenti erano cooptate, ossia, coloro che governavano prima non venivano
esautorati, ma continuavano nel loro lavoro. Questo approccio è estremamente efficace.
Questo sistema fallisce laddove mancano le classi dirigenti-> popolazioni fluide, che non possono
essere cooptate, in cui i romani costruiscono dunque le colonie.
Di colonie romane, ce ne erano di due tipi: di diritto romano (meno numerose) e di diritto latino
(meno importanti). Nelle colonie romane gli abitanti avevano la cittadinanza romana, e quindi il
riconoscimento di tutti i diritti, e un'amministrazione cittadina direttamente sotto il controllo di
Roma-> le aristocrazie locali avevano dunque diritti politici attivi (potevano votare), ma non passivi
(non potevano essere eletti). Nelle colonie di diritto latino venivano istituite le cariche di tipo romano
con magistrati locali, con l'obbligo di fornire, in caso di guerra, l'esercito in aiuto di Roma. In entrambi
i casi erano prive di autonomia giurisdizionale e dovevano rispondere a una lex data. Le società
precedenti erano violentemente militarizzate e distrutte, costruite ex novo secondo le regole
romane-> forzatura sul patrimonio etnico.
L'organizzazione dell'Italia viene distinta tra il periodo precedente alla venuta di Annibale e quello
successivo. Roma preferì inizialmente a non annettere i territori di conquista ma di stipulare con
questi contratti. Le lotte dei secoli V e IV resero necessario un adeguamento istituzionale, la penisola
fu così divisa in tre zone distinte:
Ager Romanus - territorio romano a tutti gli effetti era organizzato in municipia, ossia nell'annessione
di più centri urbani. I territori di questo tipo potevano garantire ai loro abitanti o meno di recarsi a
Roma per esercitare il diritto di voto. Nei territori urbanizzati non abitati da romani vi erano centri di
aggregazione assegnati a ad un centro maggiore vicino, o ad un prefetto.
Ager Latinus - la latinità era uno status previlegiato, coloro che rivestivano una magistratura in una
colonia o città latina ottennero anche la cittadinanza romana. Le colonie latine erano formate da
romani che rinunciavano alla propria cittadinanza e, da latini, essi erano i garanti della cittadinanza
latina. Venivano costruite nelle zone confinanti ai nemici a scopo difensivo e di sistemare la plebe
urbana, che in queste colonie poteva disporre di terreni più ampi.
Ager Italicus - erano i territori di alleati legati da trattati particolari con Roma, che legavano questi
luoghi affinché dovessero aiuti militari all'Urbe. Ogni città alleata seguiva una sua particolare regola.
Le province - sono il territorio extra italico da esso organizzato (definizione in uso a seguito della
seconda guerra punica, prima questo termine indicava la sfera di competenza di un magistrato). La
provincia era una zona di conquista sottoposta al tributo e organizzata dal magistrato conquistatore
secondo una lex data. Venivano garantite condizioni molto varie, baste sull'atteggiamento con cui le
comunità straniere si erano poste nei confronti di Roma, c'erano: le liberae et foederatae
(conservavano le loro magistrature); liberae et immunes (erano libere dalle tasse); stipendiariae
(sottoposte a tassazione). Nelle province venivano invitati magistrati con imperium cosicché
conducessero l'esercito. Inizialmente questo ruolo fu preso dai pretori, il cui numero aumentò
conseguentemente, e poi dai proconsoli e propretori. Il potere del governatore era assoluto. Parte
del suolo pubblico e la raccolta delle imposte erano appaltati alle società di pubblicani, il cui sviluppo
fu determinato dalla scarsa efficienza dell'apparato burocratico romano. Queste compagnie erano
formate da cavalieri, che avevano solo interesse di guadagno, ciò portò al formarsi di situazioni di
pesante abuso, a tal punto che vennero istituiti tribunali permanenti appositi per giudicare le
ingiustizie. Roma tutt'oggi rappresenta l'archetipo dell'impero universale. Dopo che le province
venivano dedotte, il magistrato fissava in un prospetto ufficiale gli statuti e gli obblighi delle singole
comunità che si trovavano all'interno della circoscrizione provinciale, nonché la descrizione giuridica
e fiscale di ognuna di esse, questa scrittura è conosciuta come lex provinciae.
Un cittadino di pieno diritto non paga per possedere e sopravvivere, ma le province in quanto sono
state conquistate e sono estranee, possiedono e vivono perché Roma glielo concede, non perché ne
abbiano il diritto. Devono quindi pagare una tassa sulla persona e sulla terra.
Le secessioni plebee
Il periodo dalla nascita della repubblica al 287 a.C., fu caratterizzato da contrasti civili, che opposero
patriziato e plebe.
La caduta dei Tarquini ebbe pesanti ripercussioni sulla situazione economica di Roma, lo stato quasi
permanente di guerra tra Roma e i suoi vicini provocò continue razzie, devastazioni dei campi,
epidemie e carestie. I piccoli agricoltori, non essendo in grado di affrontare le difficoltà temporanee,
si trovarono in difficoltà e furono costretti a indebitarsi; nel caso in cui non fossero in grado di ripagare
il loro creditore erano costretti a porsi al suo servizio, potevano venire venduti o messi a morte.
La plebe richiedeva norme sui debiti più miti e una più equa distribuzione dell'ager publicus. Gli strati
più ricchi della plebe rivendicavano una parificazione dei diritti politici e un codice scritto di leggi, che
ponesse i cittadini al riparo delle arbitrarie applicazioni dei depositari del sapere giuridico (pontefici).
La plebe si rese conto della sua importanza, essi difendevano lo stato con le armi.
Il conflitto tra le due parti si aprì ufficialmente nel 494 a.C., quando la plebe fece uno sciopero
generale, lasciando il patriziato privo di forza lavoro e indifeso da possibili aggressioni esterne. Questo
avvenimento prese il nome di secessione ed avvenne sull'Aventino. A seguito di questo avvenimento
venne concessa alla plebe un'assemblea generale, i concilia plebis tributa, che potevano emanare
provvedimenti, i plebiscita, il cui valore era vincolante solo per la plebe. I tribuni della plebe erano i
rappresentanti esecutori della volontà dell'assemblea.
Spurio Cassio propose la ridistribuzione delle terre, ma fallì, questo ci dimostra come la povertà della
plebe fosse strumentalizzata dalla parte più abbiente per richiedere una riforma dall'interno
dell'ordinamento vigente.
Nel 451 a.C. venne nominata una commissione, il decemvirato, il cui compito era quello di stendere
in forma scritta un codice giuridico. Nella frazione di tempo in cui dovevano svolgere questa mansione
avevano totale controllo dello stato. Nel corso del primo anno vennero redatte ed esposte nel Foro
dieci tavole di leggi, l'anno seguente venne chiamata una seconda commissione che redisse due
tavole di leggi ingiuste. La commissione era spinta da Appio Claudio, che cercò di prorogarla per
continuare ad esercitare poteri assoluti, ma fu ostacolato dalla plebe.
Appio Claudio violentò una giovane libera di nome Virginia, questa violenza provocò una seconda
secessione, a seguito della quale i decemviri furono costretti a deporre i loro poteri e i plebiscita
divennero vincolanti per l'intera cittadinanza, inoltre le norme più ingiuste delle XII tavole furono
abrogate. Prima di allora il magistrato era la legge, era lui che nominava le leggi senza affidarsi ad un
manoscritto-> per oggettivare i l diritto al di fuori del magistrato si richiedono leggi scritte, ufficiali.
Conosciamo il contenuto di queste 12 tavole, nonostante siano state perdute nell'incendio
gallico(390a.C.), perché venivano insegnate a scuola. Esse parlano per lo più di diritto privato, le
poche leggi sulla politica presenti sono a sfavore della plebe-> sono norme consuetudinarie
tramandate per un lungo periodo di tempo in maniera orale, che vengono consolidate per iscritto,
non erano dunque considerate ingiuste, ma parte della quotidianità.
Gaio Canuleio indisse un plebiscito, che legittimò i matrimoni misti tra plebei e patrizi. Questo portò
gravi conseguenze per i patrizi, infatti si aprì la possibilità di avere plebei nelle cui vene scorresse
sangue patrizio, risultava dunque impossibile avere il monopolio sul consolato giustificandolo dicendo
di essere gli unici in grado, per questioni sanguinee, di leggere gli auspici.
Nel 387 a.C. per rispondere alla fame di terra della plebe venne diviso il terreno conquistato tra i
cittadini romani, con la creazione di quattro tribù territoriali (ordinamento serviano).
Licinio e Sestio, due esponenti di ricche e influenti famiglie plebee, fecero ambiziose proposte volte
a risolvere il problema dei debiti, la distribuzione delle terre e l'accesso dei plebei al consolato. I
tribuni della plebe si opposero ai loro stessi sostenitori e nel 367 a.C. Marco Furio Camillo venne
chiamato alla dittatura per sciogliere la ormai insostenibile situazione. Col suo governo le proposte
di Licinio e Sestio divennero legge (nome di Liciniae Sextiae). I debitori pagavano interessi inferiori e
potevano estinguere il debito in tre rate annuali. Venne stabilita un'estensione massima di terreno
pubblico che poteva essere occupato da un privato. Fu abolito il tribunato militare, e si scelse che
uno dei due consoli dovesse per forza essere plebeo. Infine, furono create due nuove cariche: il
pretore (amministratore della giustizia) e gli edili curuli (patrizi col compito di organizzare i ludi
maximi).
Con questi provvedimenti anche la plebe ha accesso alla nobilitas, che diventa così patrizio-plebea.
Si venne formando progressivamente una nuova aristocrazia, non più formata dai patrizi, ma dalle
famiglie più ricche ed influenti, conosciute col nome di nobilis facenti parte dell'élite della nobilitas.
L'accesso alle magistrature rimase dunque riservato alle poche famiglie facenti parti della nobiltà
patrizio-plebea. Coloro che raggiunsero i vertici pur non avendo antenati nobili presero il nome di
homines novi, per diventarlo non bastava il denaro, ma era necessario ereditare la rete di clientele
paterne o di godere del patronato di un nobile influente.
Si raggiunse un nuovo equilibrio interno e nei decenni successivi i plebei raggiunsero tutte le cariche
maggiori.
Appio Claudio Cieco non fu solo il grande ideatore del primo acquedotto e della via Appia (Roma-
Capua), ma anche un censore dal 312-311 a.C., mentre rivestiva questa carica tentò di accelerare il
processo di riforma. Per farlo incluse nella lista dei senatori persone abbienti, ma che non avevano
mai rivestito una magistratura e organizzò le tribù urbane in modo tale che la plebe costituisse la
maggioranza dei votanti (libera il senato dalle persone non corrette o con mancanze economiche,
dunque viene cacciato "per stupro" da Roma e considerato negativamente).
Entrambe le riforme caddero. Vennero però emanate nuove riforme che furono in grado di cambiare
radicalmente la società Romana, il censo dei cittadini venne infatti calcolato anche in base al capitale
mobile, e fu redatto da Cneo Flavio il Ius civile Flavanium, un formulario che raccoglieva le formule
giuridiche necessarie da impiegare nei processi, e un calendario coi giorni fasti e nefasti, questa
pubblicazione rese possibile il monopolio pontificale sull'esercizio della giustizia.
287 a.C. venne rogata la legge Ortensia, che stabilì che i plebisciti votati dall'assemblea della plebe
avessero valenza per tutta la cittadinanza di Roma.
Molti sono i miglioramenti nella vita dei ceti minori: si creano magistrature plebee (magistra plebis),
tribuni della plebe e le terre pubbliche dell'Aventino vengono ridistribuite (lex Icilia). La conflittualità
si estinse quando la plebe ottenne i diritti che voleva, la conseguenza diretta è che i patrizi e il popolo
avevano gli stessi ruoli operativi-> non spariscono i concetti di plebe e nobiltà, ma perdono valore.
Termina così la Tarda Antichità.
Le prime conquiste
Alla caduta della monarchia etrusca, Roma aveva il controllo sulle regioni comprese tra il Tevere e la
regione Pontina. Ciò avvenne grazie non solo alle conquiste, ma anche ad astute manovre di politica
matrimoniale.
Durante il primo anno della repubblica fu firmato il primo trattato romano-cartaginese, secondo il
quale i Cartaginesi si impegnavano a non attaccare le città del Lazio soggette a Roma, qualora
l'esercito punico avesse conquistato una città latina non soggetta all'alleato avrebbe dovuto
consegnargliela. Polibio1 testimonia l’esistenza di entrambi i trattati. Nel libro terzo delle Storie2 cerca
di tradurre nella maniera più verosimile possibile i trattati di Cartagine, a livello linguistico si rivela
complesso, la lingua dei romani antica è quasi illeggibile per i contemporanei.
Polibio sarà la fonte a cui attinsero gli storici, di conseguenza la tradizione, ci rimane sconosciuta.

1 Polibio è un colto greco, figlio del capo della lega Achea. Giunge a Roma come uno dei mille ostaggi achei (tornerà in Grecia 20 anni
prima di morire), rapiti perché destavano sospetto durante la guerra in quanto neutrali. Nella magna città entra a far parte della famiglia
di Scipione e diventa il precettore dei figli, trascorre dunque l'intera vita nelle famiglie dei capi di stato. Durante il suo soggiorno romano
approfondì lo studio di Roma e inizia scriverne. I suoi trattati, però analizzano quasi esclusivamente la storia contemporanea. Scrive a
partire dalla seconda guerra punica. In una prefazione (primi due libri) racconta della prima guerra punica e dei rapporti precedenti tra
Roma e Cartagine. Gli storici successivi lo prenderanno in grandissima considerazione, ad esempio Dionigi di Alicarnasso scrisse solo
fino alla prima guerra punica, perché "poi c'è Polibio". Anche Livio nella sua opera fino al 147a.C. trascriverà ciò che Polibio scrisse,
arricchendolo con aspetti culturali romani.
2 L'opera di Polibio Storie ci è giunta integra nei primi 5 libri, il resto lo conosciamo in maniera frammentaria, ma ricca. I frammenti ci

sono giunti grazie a Costantino VII, che durante il medioevo fece riscrivere e analizzare le varie opere storiografiche presenti all'epoca
nell'intento di creare volumi in cui i vari momenti storici erano divisi per argomento, in modo che potessero essere usati in maniera
pratica (es. stratagemmi; discorsi con le ambasciate). I compositori di questi libri ricopiarono molto di ciò che Polibio scrisse,
permettendoci di leggerlo ancora oggi. In totale i libri prodotti da Polibio sono 142.
Buona parte delle città latine approfittarono delle difficoltà di Roma per affrancarsi dalla sua
egemonia. Queste si strinsero in una lega, che condivideva 3 diritti:
∙ Ius connubii: possibilità di contrarre matrimonio legittimo con cittadini di altre
comunità latine.
∙ Ius commercii: diritto di siglare contratti dal valore legale fra cittadini di comunità
diverse.
∙ Ius migrationis: un latino poteva assumere pieni diritti civici in una comunità diversa
da quella nativa ponendovi residenza.
La lega latina diede buone dimostrazioni sul campo di battaglia, decise dunque di tentare l'attacco di
Roma. La guerra fu suscitata dal genero di Tarquinio il Superbo, che sperava di riportarlo al trono. Nel
496 a.C. i romani sconfissero le forze congiunte della lega. Tre anni dopo venne concluso un trattato
bilaterale che regolava i rapporti tra Roma e i Latini, conosciuto come foedus Cassianum, esso
prevedeva il mantenimento della pace, la promessa di prestarsi aiuto e il riconoscimento dei diritti
che valevano già prima all'interno della lega latina.
Per custodire le proprie vittorie militari Roma trovò pratica la fondazione di colonie sul nuovo
territorio, all'interno delle quali si trovavano cittadini provenienti sia da Roma che dalle altre
comunità latine.

Nel 486 Roma strinse un'alleanza con gli Ernici, che si rivelò particolarmente utile, infatti questa
popolazione proveniva da un territorio incuneato tra le ostili popolazioni di Equi e Volsci.
Sabini, Equi e Volsci rappresentavano una minaccia per Roma, queste popolazioni originarie
dell'Appennino e generalmente definite come osco-sabelliche, si spostarono gradualmente verso
terre più fertili per assicurarsi la sopravvivenza. La migrazione avveniva a seguito del rituale della
primavera sacra (ver sacrum), ossia i bambini nati durante gli anni di carestia avrebbero dovuto
migrare in un'altra regione seguendo le indicazioni di un animale. Questa situazione portò ad una
serie interminabile di conflitti tra Roma e le popolazioni montanare, che non giunsero mai ad una
svolta definitiva. I Volsci durante la loro discesa dagli Appennini andarono ad occupare tutta la
pianura Pontina e alcune città latine. Gli Equi conquistarono dalla sponda del Fucino, dove si
trovavano inizialmente i monti Prenestini e due città latine (Tivoli e Preneste). Alcuni Sabini nei primi
tempi di Roma si integrarono nell'Urbe pacificamente (es. gens dei Claudi).
Il primo avversario che Roma affrontò fu la potente città etrusca di Veio situata a settentrione, il
contrasto durò per tutto il V secolo, e si suddivise in tre guerre. Nella prima i Veienti riuscirono ad
occupare un posto nella riva sinistra del Tevere, Fidene. Nella seconda i romani riuscirono a vendicare
la sconfitta: uccisero il tiranno di Veio, e Fidene venne conquistata. Nella terza guerra Veio venne
assediata per 10 anni dai romani, alla fine del lungo assedio fu presa e distrutta.
Le città etrusche non prestarono alcun soccorso a Veio.
Un altro pericolo incombente contro cui Roma si scontrò fu la calata dei Galli sulla città, che avvenne
nel 390 a.C.. Roma arruolò frettolosamente un esercito, che all'arrivo dei Galli si dissolse rifugiandosi
tra le rovine di Veio. Roma ormai alla mercé di tutti venne presa e saccheggiata, dopodiché i Galli
scomparvero assieme all'opulento bottino senza fare più ritorno.
Roma si riprese con rapidità dal disastro gallico, e nel 390 iniziò la costruzione delle mura serviane, la
funzione della cinta muraria era di scoraggiare ogni velleità d'assedio. L'estensione della cinta
dimostra come Roma fosse già la città più grande dell'Italia centrale.
Successivamente Roma assume un atteggiamento offensivo, il cui esecutore è Camillo, che con
brutalità annienta Equi e Volsci. Nel 381 a.C. viene annessa al territorio romano la città latina di
Tuscolo, essa conservò le sue strutture di governo e l'autonomia interna, ma i suoi abitanti avevano
medesimi diritti e doveri dei cittadini romani, questo fu il primo esempio di municipium all'interno
della storia dell'Urbe.

I motori che hanno guidato l'espansione di Roma sono stati ricondotti a diverse tipologie
interpretative di "imperialismo":
 Imperialismo difensivo: questa teoria sostiene l'espansione di Roma sia avvenuta
senza nessun piano preordinato, ma in risposta a casuali emergenze difensive. Le fonti romane ci
presentano ogni conflitto come bellum iustum, ossia moralmente giustificabile. La guerra veniva
intimata solo in risposta alla mancata soddisfazione di una formale richiesta di riparazione ai torti
subiti. Questa teoria è ulteriormente sostenuta dal fatto che Roma si mostrò sempre riluttante
all'annessione dei territori conquistati. La città sembrava piuttosto orientata a costruire un sistema
su cui fondare un'egemonia abbastanza salda senza gravarsi del peso di una gestione diretta o di una
dilatazione territoriale più vasta di quella che l'apparato amministrativo avrebbe potuto sopportare.
 Roma aggressore: questa teoria sostiene che l'espansione di Roma sia basata su
una meditata volontà espansionistica, determinata dall'accentuato militarismo della società romana
e dal perseguimento di grandi benefici economici ottenuti dalle vittorie, che contribuivano ad attrarre
i cittadini e gli alleati a sottoporsi al servizio militare. Alla regia delle varie operazioni si sarebbero
trovati o i singoli magistrati o il senato, probabilmente l'espansione fu favorita da personalismo nella
prima fase e da un carattere senatorio nella seconda.
 Anarchia interstatale multipolare: questa teoria premette che tutti gli antichi
siano stati naturalmente bellicosi. Il militarismo e l'estendersi dello stato romano vengono dunque
analizzati in un ampio panorama caratterizzato da un'endemica anarchia interstatale multipolare
mediterranea, entro cui gli stati lottavano per il potere basandosi su un sistema di rapporti
internazionali estremamente rudimentali. Roma all'interno di questo quadro fu in grado, grazie alle
sue capacità, di costruire un sistema di relazioni a formula multipla vincente, capace di gestire
un'ampia rete di alleati e di coinvolgere numerosi stranieri nella sua politica, grazie ai quali le risorse
da mettere in campo erano maggiorate: basti pensare agli eserciti romani, che erano costituiti per
almeno 2/3 da forze alleate. Si andarono creando una serie di rapporti bilaterali di cui Roma faceva
perno.
Polibio chiamerà il fenomeno romano desiderio del tutto (επιθυμια το ολον), questo concetto è
estremamente moderno, noi lo riassumiamo nella parola imperialismo, ossia la incoercibilità che un
impero abbia dei limiti, esso nasce e ambisce ad ottenere l'espansione più ampia possibile.

L'impero su invito è un concetto secondo cui stati in pericolo richiedono a terzi di esercitare
un'egemonia su di loro (es. Capua-Roma).
Nel 354 a.C. Roma firmò un trattato coi Sanniti, che prevedeva il confine tra le zone di egemonia,
fissato al fiume Liri. I Sanniti in quegli anni occupavano una zona assai più vasta di quella controllata
in quegli anni da Roma.
Il Sannio era organizzato in pagi/cantoni, entro i quali si trovavano uno o più villaggi/vici governati da
un magistrato elettivo. Più pagi andavano a formare una tribù. Le quattro tribù venivano a costituire
la lega sannitica.

La tensione tra i romani ed i sanniti sfociò in guerra aperta nel 343 a.C. (prima guerra sannitica), con
l'attacco di Teano (città occupata da un'altra popolazione osco-sabellica, i sidicini) da parte dei sanniti.
I sidicini chiesero aiuto a Capua, che a sua volta chiese aiuto a Roma, la quale rispose solo dopo che i
capuani disperati si consegnarono totalmente. Roma calpestò così i patti precedentemente stabiliti
uscendo vittoriosa, tolse l'assedio sannitico dalla città capuana e ottenne una regione molto fertile.
Nel 341 si firmarono delle richieste di pace, che misero fine al primo conflitto in maniera definitiva,
esse prevedevano il rinnovamento dell'alleanza del 354 e il riconoscimento a Roma della Campania.
Questo accordo portò ad un sorprendente ribaltamento delle alleanze, costringendo Roma a
fronteggiare i suoi vecchi alleati latini, campani e sidicini. I latini non soddisfatti dei frutti che l'alleanza
con Roma stava portando volevano staccarsene. A seguito di queste tensioni si avviò la grande guerra
latina (341-338), che vide i romani vittoriosi. A seguito di questo avvenimento la lega latina venne
disciolta, alcune delle città che ne facevano parte vennero direttamente incorporate nello stato
romano, mentre altre conservarono la propria indipendenza e i tre consueti diritti preesistenti con
Roma.
Il valore dello status latino, dunque, si modificò, designando una condizione giuridica in rapporto con
i cittadini romani, che li obbligava a fornire truppe a Roma e gli permetteva di votare nelle assemblee
popolari romane.
Le città che si ribellarono alla sottomissione romana divennero sue alleate/socie, che sottostavano a
trattati, avevano completa autonomia interna, ma dovevano a fornire truppe all'Urbe senza però
disporre dei diritti di connubium, commercium e migratio.
Nelle città dei volsci e dei campani Roma attuò la civitas sine suffragio, i titolari di questa cittadinanza
avevano gli stessi obblighi dei cittadini romani, ma non potevano votare all'interno delle assemblee
popolari.

La fondazione di colonie a Cales, territorio che i sanniti definivano di propria appartenenza provocò
nuovamente la rottura dei rapporti tra le due potenze. La seconda guerra sannitica (326-304) sfociò
definitivamente a Napoli, ultima città greca della Campania ad essere rimasta indipendente. Proprio
qui i Sanniti avevano installato una guarnigione nel tentativo di conquistare la città, ma questa
manovra si rivelò fallimentare, Roma li sconfisse velocemente. Successivamente nelle Forche Caudine
fu Roma ad essere circondata e sconfitta, a seguito di questo evento si interruppero le operazioni
militari. I romani approfittarono di questo intervallo per rinforzare le proprie posizioni in Campania.
Le ostilità si riaccesero nel 316 a.C., quando i romani attaccarono una località compresa tra la
Campania e il Sannio. Le prime operazioni furono favorevoli ai sanniti, ma Roma fu in grado di
recuperare con strategie a lungo termine. Roma sviluppò il suo esercito in vista di uno scontro finale
coi Sanniti. Ci si rende conto che lo schieramento a falange sarebbe stato incapace di muoversi su un
terreno accidentato, si decise allora di dividere la legione in 30 manipoli da 120 uomini, ciascuna
legione veniva schierata su tre linee composte da 10 manipoli, che consentivano una maggiore
flessibilità nelle regioni montuose. Anche l'equipaggiamento legionario venne modificato, si adottò
lo scudo rettangolare e il giavellotto.
Roma riuscì ad affrontare una minaccia su due fronti grazie a questi cambiamenti, a sud i Sanniti ed
a nord una coalizione di stati etruschi.
Roma tornò in possesso di Cales, inglobò nello stato romano con civitas sine suffragio gli Ernici, gli
Equi furono sterminati ed infine le popolazioni minori osco-sabelliche furono rapidamente costrette
a concludere trattati di alleanza con Roma.

La terza ed ultima guerra sannitica si aprì nel 298 a.C. quando i Sanniti attaccarono i Lucani. I romani
subito corsero in soccorso degli aggrediti. Il comandante supremo dei Sanniti mise in piedi un potente
coalizione antiromana preparandosi allo scontro decisivo, che avvenne nel 295 a.C. a Sentino.
L'egemonia ottenuta da Roma dopo la grande guerra latina le assicurò una potenza militare
preponderante. Roma vinse e distrusse il Sannio, finché i Sanniti non furono costretti a chiedere la
pace nel 290 a.C..

I Galli, alleati con alcune città etrusche, tentarono di avanzare nuovamente nell'Italia centrale, ma
vennero bloccati nel 283 a.C. La controffensiva romana colpì poi l'Etruria meridionale e settentrionale
oltre che la vicina Umbria, espandendosi ulteriormente.
Già nel 290 a.C. vennero sconfitti i Sabini e i Pretuzzi, a seguito di questa vittoria i romani confiscarono
parte del territorio creando la colonia latina di Hadria, ai cui abitanti fu concessa la cittadinanza senza
diritto di voto. Venne inoltre annesso il territorio una volta appartenente alla tribù dei Senoni e fu
fondata la colonia latina di Rimini(268). I Piceni, una popolazione delle Marche, trovandosi circondati
tentarono la guerra contro Roma, ma furono costretti alla resa e il loro territorio si trasformò nella
colonia latina di Fermo.

Il mezzogiorno italiano godeva di una situazione più fluida. Nel 282 a.C. Turi minacciata dai Lucani
chiese aiuto a Roma, i romani insediarono allora una guarnigione nella città e inviarono una flotta
davanti alle acque di Taranto, i tarantini attaccarono le navi romane e marciarono su Turi. La guerra
fu così inevitabile. Taranto decise di chiamare in soccorso Pirro, condottiero greco dalle eccezionali
qualità. Egli arrivò glorioso nel 280, con un esercito grandioso di tipo ellenico, con tanto di elefanti
(boves lucani), giustificando il suo aiuto come una ripresa dei progetti di conquista dell'Occidente che
animava lo spirito del suo lontano parente Alessandro Magno. Roma dinanzi a questa minaccia si
trova costretta ad arruolare i capite censi, ossia i nullatenenti. I romani subirono una sanguinosa
sconfitta ad Eraclea, questa sconfitta mise in pericolo le posizioni romane nel meridione. Pirro tentò
di suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma e di collegarsi con gli Etruschi, ma fallì. Il generale
decise quindi di intavolare le trattative di pace con richieste durissime, che però Roma, grazie
soprattutto all'intervento di Appio Claudio Cieco, non accettò.
Pirro si mosse verso l'Apuleia settentrionale dove si scontrò con l'esercito romano vincendo. La guerra
però non si era ancora conclusa: Roma sembrava resistere all'infinito.
Pirro accolse le domande d'aiuto provenienti da Siracusa, che non era in grado di sostenere la lotta
coi Cartaginesi per il dominio della Sicilia. La Sicilia è divisa in 2 eparchie, ossia aree di comando e
influenza, una greca, che occupava 2/3 dell′ isola, e una cartaginese. Lo stesso anno Roma e Cartagine
avevano stretto un'alleanza difensiva. Nel frattempo, in Sicilia Pirro vinse costringendo i Cartaginesi
a chiudersi nel Lilibeo, zona che veniva rifornita via mare. La situazione resta bloccata, Pirro dunque
decide di sbloccarla invadendo l'Africa. Mentre il greco era assente i romani riconquistarono molte
posizioni, costringendolo a ritornare. Lo scontro decisivo avvenne nel 275 a.C. a Benevento, quando
le truppe di Pirro furono messe in fuga. Prima di tornare in Grecia lasciò una guarnigione a Taranto,
che però entrò poi a far parte dei socii di Roma.
La conquista del mediterraneo
Nel 264 a.C. Roma aveva il controllo su tutta l'Italia peninsulare, i suoi interessi iniziarono a spostarsi
su altre terre, ambite anche da Cartagine.
Lo scontro fra le due potenze avvenne in seguito alla cosiddetta questione dei Mamertini. I Mamertini
erano soldati di origine italica, che dopo aver concluso una delle loro missioni militari decisero di
impadronirsi con forza di Messina e di dedicarsi al saccheggio delle vicine città. I Siracusani difronte
a queste scene si mossero infliggendo ai mamertini una severa sconfitta. Cartagine offrì una flotta in
aiuto ai mamertini, che accolsero con gioia l'aiuto, permettendo ai cartaginesi di porre una
guarnigione a Messina. I soldati italici, stanchi del controllo cartaginese, fecero appello a Roma. I
romani sono in seria difficoltà riguardo il da farsi, infatti l'intervento in Sicilia sarebbe stata una palese
violazione degli accordi che avevano stabilito con Cartagine, ma al contempo non fare nulla
significava lasciare ai cartaginesi il controllo della zona strategica dello Stretto. Dopo varie valutazioni
decisero di aiutare i mamertini (scelta incitata soprattutto dal popolo): iniziò così la prima guerra
punica (264-241 a.C.). I romani riuscirono a scacciare cartaginesi e siracusani da Messina, quest’ultimi
decisero di schierarsi dalla parte di Roma, aiutandoli coi rifornimenti necessari e permettendo così
all’Urbe di porre un lunghissimo assedio sulla base cartaginese di Agrigento, che si concluse con la
presa della città.
Nonostante queste vittorie Roma era consapevole della superiorità navale di Cartagine, e decise
quindi di creare una grande flotta di quinqueremi sfruttando l'aiuto dei socii navales. Questi
miglioramenti non bastarono per evitare la sconfitta, che fu inflitta nel 260 a.C. nelle acque del
Milazzo.
Roma decise di attaccare Cartagine direttamente nei suoi possedimenti africani, di cui iniziò
l'invasione nel 256 a.C., il console a capo di questa operazione, Marco Attilio Regolo, non fu in grado
di sfruttare i primi successi e l'anno seguente venne brutalmente sconfitto. In quell'anno avvenne un
altro fatto tragico, la flotta romana incappò in una tempesta e perse buona parte delle sue navi, ormai
privi di flotte i romani non avevano i mezzi per bloccare le posizioni cartaginesi sulle coste della Sicilia
occidentale. I cittadini più facoltosi dell'Urbe allora si unirono creando un prestito di guerra
sufficiente per la costruzione di una nuova flotta. Grazie a ciò Roma si riprese, sconfiggendo la vecchia
alleata nelle isole Egadi (241 a.C.).
A seguito di questa sconfitta Cartagine domandò la pace; le clausole imposte prevedevano il
pagamento di un indennizzo di guerra e lo sgombero della Sicilia e delle isole Lipari ed Egadi.
Roma si trova per la prima volta in possesso di un territorio esterno alla penisola italiana: la Sicilia,
questo nuovo possedimento venne integrato con un nuovo sistema, venne imposto il pagamento di
un tributo annuale, corrispondente ad 1/10 della produzione. L'amministrazione della giustizia e il
mantenimento dell'ordine vennero affidati a un magistrato romano mandato annualmente nell'isola.
Nacque così la provincia, ossia il territorio soggetto all'autorità di un magistrato romano. Per
compensare alle necessità di magistrati vennero inoltre eletti due nuovi pretori, che andarono ad
affiancarsi ai precedenti.

Cartagine a seguito della sconfitta romana si trovò in serie difficoltà, non essendo in grado di pagare
i mercenari, essi si ribellarono coinvolgendo anche altre popolazioni africane. La rivolta fu soffocata
con non poche difficoltà. I Cartaginesi si mossero poi verso la Sardegna, dove le guarnigioni dei
mecenati si erano ribellate chiedendo soccorso ai romani, i quali interpretarono questo avvenimento
come un tentativo di aprire le ostilità da parte di Cartagine, e si dissero pronti a dichiarare guerra. I
cartaginesi ormai esausti evitarono il conflitto pagando un indennizzo supplementare e cedendo la
Sardegna e la Corsica, che insieme andarono a formare la seconda provincia romana.

Dopo la morte di Pirro, l'Epiro venne conquistato dal regno d'Illiria.


I pirati illiri arrecarono considerevoli danni alle città greche. Il senato, allora, inviò numerose
lamentele alla regina degli Illiri, Teuta, la quale rifiutò di far cessare le azioni ostili dei suoi sudditi, e
decise di dichiarare guerra ai romani, che vinsero (229 a.C.).
Le condizioni di pace furono molto dure: agli illiri fu proibito di navigare con più di due navi, e le città
greche della costa adriatica divennero così sotto una sorta di controllo romano. Demetrio, un
collaboratore di Teuta, che era passato dalla parte romana venne compensato con l'isola dalmata di
Faro.
Roma si trovò nuovamente costretta ad attaccare gli Illiri, in quanto Demetrio presumibilmente si
alleò col re della Macedonia Filippo V. Scoppiò così la seconda guerra illirica, che terminò col successo
di Roma, che pose sotto il suo protettorato Faro.

I Galli fecero incursione nell'Italia settentrionale, arrestandosi davanti alla colonia di Rimini nel 236
a.C.. Quattro anni dopo Caio Flaminio decise di distribuire ai cittadini l'ager Gallicus, ossia il corridoio
adriatico attraverso il quale i galli potevano penetrare nell'Italia centrale, per permettere che restasse
sorvegliato. Questa legge destò allarme, e andarono creandosi 2 fazioni: una a favore dei galli (Boi,
Gesati e Insubri) e l'altra a favore dei romani (Veneti).
I Galli riuscirono a penetrare in Etruria, ma nel 225 a.C. vennero annientati a Telamone. Per
allontanare definitivamente le minacce galliche Roma si rese conto che fosse necessaria la conquista
della valle padana. Fondò così le due grandi colonie latine di Piacenza e Cremona, questo era un
territorio vasto, fertile e di grande importanza strategica.
Sempre in questi anni vennero costruite delle reti stradali in grado di collegare le varie parti dell'ager
Gallicus.

La famiglia Barca (Cartaginese-Amilcare, Asdrubale, Annibale) si occupò della conquista di Spagna.


L'avanzata preoccupò la città di Marsiglia, fedele alleata di Roma, sfociando poi nella seconda guerra
punica. La seconda guerra punica si può considerare la prima e vera guerra mondiale, in quanto verrà
combattuta in Spagna, Sicilia, Italia, Balcani, Gallia e Africa.
Per bloccare eventuali minacce venne firmato nel 226 a.C. un trattato con Asdrubale secondo il quale
gli eserciti cartaginesi non potevano oltrepassare a nord il fiume Ebro.
I Saguntini alle prime minacce di un attacco cartaginese chiesero l'aiuto di Roma, che però si mostrò
pronta a prestarlo solo quando Annibale aveva ormai espugnato la città.
I cartaginesi provavano ancora molto rancore nei confronti dell'Urbe e Annibale preparò un piano
volto a colpire la potenza alla sua base, ossia cercò di staccare Roma dai suoi alleati italici. Trovandosi
più debole dal punto di vista navale, Cartagine decise di attaccare l'Italia via terra. Annibale non
ottenne l'appoggio delle popolazioni sottomesse a Roma come sperava, ma partì comunque. La sua
spedizione iniziò nel 218 a.C. dalla base di Nova Carthago con un imponente esercito. Varcò i Pirenei
e attraversò le alpi dove ottenne l'appoggio di Boi e Insubri. Il primo scontro avvenne sul fiume
Trebbia. Annibale sconfisse l'esercito di Scipione, e vinse ancora sugli Appennini sorprendendo le
truppe di Caio Flaminio.
A seguito di questi avvenimenti a Roma venne nominato un dittatore, Quinto Flavio Massimo, che
prese il soprannome di Cunctator, il temporeggiatore. Egli, infatti, decise di evitare le battaglie e di
limitarsi a controllare le mosse di Annibale per impedire che gli giungessero aiuti, fino a quando non
si sarebbe arreso per scarsità di mezzi e uomini.
I cartaginesi si mossero attraverso le regioni del Piceno, del Sannio e dell'Apuleia indisturbati, non
appena scaddero i sei mesi della dittatura, Roma passò nuovamente alla offensiva. Annibale riuscì ad
annientare gli eserciti attraverso una manovra di accerchiamento nella piana di Canne.
Nel 215 a.C. i romani vennero a conoscenza di un patto di alleanza tra Annibale e Flippo V di
Macedonia, le cui ambizioni nell'Adriatico meridionale si scontravano con la presenza del
protettorato romano sulle città greche della costa.
Roma tornò ad agire con la strategia attendista, che le consentì di riguadagnare gradualmente le
posizioni perdute nel Mezzogiorno.
Nel 212 a.C. i romani riuscirono a conquistare e saccheggiare Siracusa.
Roma riuscì ad impedire l'invasione macedone e la loro alleanza con Annibale con una flotta di 50
quinqueremi nell'Adriatico. Scoppiò la prima guerra macedonica, durante la quale gli eserciti romani
paralizzarono l'azione del re macedone creando una coalizione di stati greci a lui ostili. Nel 205 a.C.
venne firmata la pace di Fenice, che lasciava il quadro territoriale immutato.

Pulibio Cornelio Scipione raggiunse con fratello Cneo la penisola iberica, impedendo che Annibale
ricevesse aiuti dalla Spagna. Nel 211 a.C. i due fratelli vennero sconfitti e uccisi dalle truppe
cartaginesi. I romani decisero dunque di ritirarsi per difendere la Spagna settentrionale: comandante
di questa missione sarà il figlio omonimo di Pulibio Cornelio Scipione, noto col cognomen di Africano.
Il giovane si impadronì in solo due anni di Nova Carthago e di Baecula, sconfiggendo Asdrubale.
Asdrubale tentò di ripetere l'epica marcia di Annibale per portare aiuti in Italia al fratello, ma la
spedizione fallì.
Annibale ormai impotente si ritira in Basilicata. Nel frattempo, Scipione sconfiggeva gli eserciti
cartaginesi in Spagna (206 a.C.). L'anno seguente alla vittoria iberica Scipione venne eletto console e
iniziò i preparativi per l'invasione dell'Africa, dove strinse subito un'alleanza col re numida Massinissa.
Annibale tornò a Cartagine. Nel 202 a.C. nei pressi di Zama terminarono i conflitti romano-cartaginesi,
che videro Roma trionfante. Il trattato di pace che venne firmato nel 201 a.C. prevedeva la consegna
di tutta la flotta cartaginese tranne 10 navi e il pagamento di una indennità, inoltre Cartagine doveva
rinunciare a tutti i suoi possedimenti al di fuori dell'Africa e riconoscere i confini del regno Numidia,
l'ultima clausola prevedeva che i Cartaginesi non potessero dichiarare guerra senza il permesso di
Roma.

La seconda guerra macedonica scoppiò nel 201 a.C. per svariate cause, la principale fu l'attivismo di
Filippo V, che lo portarono a scontrarsi col regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. Filippo fu battuto
da pergameni e rodii in una lotta navale, ma poco dopo riuscì a infliggere a sua volta una severa
sconfitta. I coalizzati compresero che da soli non sarebbero riusciti ad allontanare la minaccia
macedone e si rivolsero a Roma, favorevole al soccorso. Prima di entrare in maniera definitiva in
guerra Roma decise di mandare un ultimatum a Filippo, che lo intimava a rifondere i danni di guerra
inflitti agli alleati e ad astenersi dall'attaccare gli stati greci. Il re ignorò l'ultimatum attendendo la
guerra, che iniziò nel 200 a.C.. I primi due anni non si svolsero azioni decisive, fino a quando il
comandante romano Tito Quinzio Flaminino ebbe un successo su piano diplomatico, egli avviò le
trattative di pace, in cui chiese la liberazione della Tessaglia (regione sotto il dominio della monarchia
macedone dai tempi di Filippo II). Questa richiesta venne respinta, ma destò negli stati della Grecia
un sentimento di rivalsa, che guardava ai romani come ad una sorta di liberatori. Spinti da questo
sentimento supportarono militarmente Roma.
Filippo, osservando la situazione, provò ad intavolare delle trattative di pace per preservare i suoi
territori greci, ma queste vennero rifiutate. L’esercito macedone venne annientato e si trovò
costretto ad accettare nuove condizioni di pace, che prevedevano il ritiro delle guarnigioni macedoni
presenti in Grecia, il pagamento di un’indennità e la consegna di tutta la flotta, tranne 5 navi. Flaminio
garantì autonomia e libertà agli stati una volta soggetti a Filippo V.

Nei medesimi anni erano iniziate le trattative diplomatiche con Antioco III, il re seleucide di Siria, che
stava progressivamente estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale
dell'Asia Minore. Roma chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell'Asia
Minore e l'immediata evacuazione dall'Europa.
L'esercito romano si era ormai trattenuto troppo a lungo in Grecia, provocando la propaganda ostile
della Lega etolica, che era rimasta scontenta dei risultati ottenuti nella seconda guerra macedone: la
Grecia non era stata liberata, ma aveva semplicemente cambiato il suo padrone dalla Macedonia a
Roma. La lega etolica invitò Antioco III a liberarli dai falsi liberatori. Il re siriano tentò di accontentare
le richieste greche, ma la forte inferiorità numerica delle sue truppe non gli permise la vittoria e anzi
convinse i romani ad attaccarlo nel suo stesso regno.
Nel 190a.C. Lucio Cornelio Scipione si preparò ad invadere l'Asia Minore via terrestre con l'aiuto di
Filippo V. Nel frattempo la flotta romana assistita da Pergamo e Rodi sconfisse ripetutamente i siriaci
nell'Egeo.
La battaglia decisiva avvenne a Magnesia al Sipilo, dove l'esercito romano venne completamente
disfatto.
Si siglò la pace ad Apamea nel 188a.C., che costrinse Antioco a pagare forti indennità di guerra,
sgomberare alcuni territori e affondare la maggior parte della sua flotta. I territori ottenuti non
vennero inglobati nello stato romano come provincia, ma vennero spartiti tra i due alleati (nel
concreto quella zona era eterodiretta da gruppi di potere romani attraverso la penetrazione
economica), Rodi e Pergamo, inoltre, le città greche che anche in quest'occasione avevano aiutato
Roma ottennero la libertà.

Tutti questi ampliamenti costrinsero Roma a cambiare nel suo assetto politico e sociale. Alcuni
episodi furono spia di questo evento.
Prima tra queste vicende è il processo degli Scipioni, che fa salire a galla tutti i contrasti all'interno
della classe dirigente romana, in cui regnava una forte spinta all'individualismo. Nel 187a.C. alcuni
tribuni della plebe accusarono Lucio Cornelio Scipione di essersi impadronito di parte delle indennità
di guerra, fu solo grazie al voto di un tribuno della plebe che Lucio non fu costretto a pagare una
multa salatissima. L'attacco venne rinnovato contro Scipione Africano, di cui si disse avesse condotto
trattative di carattere personale contro il re di Siria. Di fronte a queste accuse Scipione si ritirò.
Altro segno dei continui scontri è rappresentato dalla promulgazione delle leggi Villa nel 180 a.C., che
introdusse l'obbligo di età minima per accedere alle magistrature e l'intervallo di un biennio tra una
carica e l'altra. Questo fu un disperato tentativo nella regolazione della competizione politica.
Il terzo segnale di tensione religiosa, culturale e sociale fu la diffusione in tutta Italia del culto di Bacco,
la maggioranza dei devoti provenivano dalle classi sociali inferiori. Il senato giunse a conclusione che
i baccanali dovessero venire stroncati in ogni modo, anche a costo di andare contro le leggi, essi
creando un’organizzazione interna avrebbero potuto configurarsi come uno stato opposto a quello
romano. La devozione venne sottoposta ad una rigida regolamentazione, e molti sacerdoti furono
imprigionati o messi a morte.

Filippo V espresse ambizioni espansive sulla costa trace, ma queste furono da subito frustrate da
Roma.
Nel frattempo, in Grecia andarono creandosi infinite controversie che ponevano le città greche le une
contro le altre. Di fronte a queste tensioni Roma decise di privilegiare i gruppi aristocratici pronti ad
accogliere ogni desiderio romano anche a costo di andare contro il volere delle fazioni democratiche.
Nel 179 a.C. morì Filippo V e il figlio Perseo prese il suo posto. Il giovane re dimostrava una minaccia
per Roma, egli infatti era pronto ad ascoltare e sostenere gli elementi democratici e nazionalisti
interni alle città greche. Per neutralizzare possibili rischi Roma presentò nel 172 a.C. un lunghissimo
elenco d'accuse contro Perseo.
Le due potenze iniziarono a prepararsi per la terza guerra macedonica che l'anno successivo scoppiò.
Nei primi anni furono i romani a distinguersi, fino al 168 a.C. quando l'esercito macedone fu distrutto.
Il re fu reso prigioniero, e la monarchia macedone cadde. La regione venne divisa in quattro
repubbliche, che non potevano intrattenere alcun rapporto tra loro e che dovevano versare un
contributo a Roma. Gli Stati che avevano aiutato la Macedonia furono sottoposti a forti ripercussioni.
Gli stati greci dovettero consegnare persone di lealtà sospetta (Polibio).
Rodi per aver tentato di mediare tra Roma e Perseo fu privata delle regioni ottenute a seguito della
guerra siriaca e venne colpita economicamente attraverso la creazione nell'isola di Delo del porto
franco (le merci entravano senza dazi), molti commercianti deviarono le loro rotte senza passare da
Rodi.

In Macedonia Andrisco riuscì a prevalere dopo la morte di Perseo e a riunire le forze macedoni sotto
la bandiera della monarchia, egli fu eliminato nel 148 a.C.

La lega achea aveva rapporti molto tesi con Roma, di questo problema se ne occupò il senato, che
staccò dalla lega Sparta e altre importanti città. Questo provvedimento tolse alla lega ogni possibile
rilevanza politica. G Achei si armarono pronti alla guerra. Lo scontro fu brevissimo, al suo termine
Corinto, principale città della Lega, venne saccheggiata e distrutta.
Roma comprese che bisognava controllare il territorio greco in maniera diretta e ridusse la
Macedonia ad una provincia romana, il cui governatore poteva intervenire anche per regolari
questioni inerenti alla Grecia, in cui vennero sciolte/ridotte all'impotenza tutte le leghe e furono
imposti regimi aristocratici di provata fedeltà.

Dopo la seconda guerra punica Cartagine si era ripresa. Il re Numida, approfittando del fatto che i
suoi confini non fossero stati fissati con precisione nel corso della prima metà del II secolo, avanzò
pretese sempre maggiori per estendersi all'interno dei possedimenti cartaginesi. Nel 151 a.C. i
cartaginesi, stanchi della situazione, inviarono un esercito contro Massinissa. Questa mossa ebbe
terribili conseguenze, infatti violava le clausole della pace con Roma (201).
I romani presi da un irrazionale timore, nei confronti di una città che non poteva più costituire una
minaccia, la distrussero ottenendo un immenso bottino ed un territorio fertilissimo e rendendola la
nuova provincia d'Africa (149a.C.-terza guerra punica).

In questo scenario di distruzione Polibio narra di come Roma fu in grado di conquistare l'egemonia
sul mondo mediterraneo.

A seguito della seconda guerra punica i romani si erano saldamente stabiliti in due zone della Spagna:
Cadice e la vallata del Guadalquivir, che nel 197 divennero province. Le comunità spagnole dovevano
pagare un tributo, lo stipendium, e fornire le truppe ausiliarie.
La penetrazione nella penisola fu lenta e difficile, caratterizzata da sfuggenti guerriglie su un territorio
vastissimo e accidentato, con numerose sconfitte e senza vittorie decisive. Questa situazione fu causa
di malcontento e sfociò in numerosi, clamorosi episodi di resistenza alla leva. Nel 149 a.C. per
districarsi da queste difficili situazioni venne creato un tribunale speciale e permanente, incaricato di
giudicare i reati di concussione e i casi di abuso di potere da parte dei governatori provinciali.
Furono due i grandi governatori delle province spagnole: Catone (sottomissione effimera delle tribù
della valle dell'Ebro) e Tiberio Sempronio Gracco (attraverso trattati di pace sottomise alcune tribù
celtibere).
Caio Ostio Mancino fece guerra ai Lusitani, e dopo averla conclusa tentò di attaccare la città di
Numanzia, che perse rovinosamente, i numantini gli fecero firmare un umiliante trattato di pace, che
il senato disconobbe mandando Scipione Emiliano a conquistare e distruggere la città nel 133 a.C..
La politica
Del sesto libro delle storie ce ne sono giunti circa 2/3, questo libro è molto moderno a livello
contenutistico, è un libro politico in cui Polibio interrompe la narrazione storica per parlare delle
realtà politiche distrutte dalle sconfitte contro Roma. Roma è vincente perché il suo stato ha
un'organizzazione che glielo permette. Polibio scrisse di Roma come un popolo di pastori, che senza
conoscenze, ma col semplice uso dell'ingegno riuscì ad espandersi, in realtà era un popolo
estremamente evoluto la cui espansione è determinata anche da profondi studi marittimi e militari.
Polibio è letto dai greci, permette quindi a chi è conquistato di comprendere come funzioni lo stato
di Roma. Il suo essere greco lo porta a raccontare pratiche e tradizioni, che un romano non citerebbe
mai in quanto scontate=> lui racconta di Roma ai greci. Questo libro è la spiegazione strutturale di
tipo politico di un fatto storico di rilevanza mondiale. Polibio è l'interprete di una straordinaria
tradizione politica greca, al fianco della quale è cresciuto: la teoria platonica dello stato, che si fonda
su bene e giustizia.
Platone afferma che lo stato è un organismo, con una sua vita ed evoluzione (nascita, crescita,
vecchiaia e morte), ha la possibilità di rinascere secondo uno schema evolutivo di degenerazione. Egli
individua 3 tipi di forme di governo, che sono come tre fasi della vita:

ogni forma di governo che in


monarchia (di uno solo) sé non è né positiva né tirannia
aristocrazia (dei migliori) negativa degenera in una oligarchia(di pochi)
democrazia (del popolo) forma negativa oclocrazia(anarchia-massa informe)

È una sorta di circolo vizioso, il re diventa tiranno e i migliori prendono il suo posto, che poi diventano
pochi, il popolo fa una rivolta popolare che conduce alla democrazia, la quale diventa anarchia, un
uomo forte prende il potere e ripristina l'ordine…-> teoria ellenistica.
Roma è strutturalmente superiore rispetto agli altri popoli, perché in essa coesistono tutte le forme
di governo contemporaneamente e non in successione. Le varie strutture si controllano
reciprocamente, permettendo il mantenimento delle tre forme e impedendone la degenerazione
(bilanciamento dei poteri-> deduzione di una Roma eterna) => Roma vincerà sempre perché compete
con altre realtà che si trovano in un ciclo di imperfezione.
L’economia
L'economia subirà profondi mutamenti a seguito dell'espansione: la campagna è devastata, molti dei
proprietari terrieri romani erano soldati; le terre conquistate oltre ad essere state private dei loro
beni(saccheggi) dovevano pagare altissime indennità di guerra; gli abitanti delle province erano in
parte resi schiavi.
Roma era a capo di enormi ricchezze monetarie, di estesi campi e di centinaia di schiavi, ciò porta ad
un cambiamento epocale dell'economia romana: si passa da una fase dominata dall'economia
domestica, ad una caratterizzata dalla villa schiavile (descritta minuziosamente nei trattati
d'agricoltura). Sono tre i fattori che costituiscono la cosiddetta eredità di Annibale: terre nuove,
ricchezze ulteriori e schiavi.
La schiavitù era sempre esistita all'interno della famiglia, il pater famiglia poteva vendere i figli e
possedere schiavi, che vivevano all'interno della domus, in prossimità del padrone. Si crea un
rapporto diretto di condivisione, al punto che spesso il pater famiglia permetteva agli schiavi di essere
liberti-> statuto intermedio, per cui loro non hanno piena cittadinanza, ma i figli sì. Gli schiavi colti
greci assunsero svariati ruoli, a seguito della diffusione dell’ellenismo, dalla gestione amministrativa
di case, proprietà e patrimoni, alla cura dell'aspetto o del servizio domestico del loro padrone.
Gli ultraricchi dell'età precedente hanno ora la possibilità di poter accumulare le nuove terre sparse
per tutto il mondo conquistate da Roma.
I padroni continuano a vivere a Roma, ma i loro possedimenti sono sparsi in giro per il
mediterraneo, controllati da schiavi, che a loro volta controllano altri schiavi e così via. Si crea un
sistema schiavile a piramide: gli schiavi possono essere anche molto influenti e ricchi (vilicus->
schiavo a capo di tutta la villa-anche Polibio lo era).
Cambia la qualità del lavoro schiavile, arriva lo schiavo-merce-> totalmente spersonalizzato. Oltre ai
metodi di controllo cambia anche la produzione che non è più variegata e destinata alla domus, ma
al mercato (sistemi di monocoltura-> colture speculative).
L'economia domestica (forma prevalente) continua comunque a vivere all'interno di Roma->
continuano a sussistere le microeconomie.
Nonostante si avessero possedimenti esterni a Roma, i prodotti di quest'ultimi non potevano essere
commercializzati all'interno della città per ragioni logistiche: si hanno contatti sporadici con le
campagne a più di 20km di distanza. L'élite che aveva la villa schiavile, era molto ridotta, la
maggioranza delle proprietà era di vecchio tipo (es. noi viviamo in un'economia industriale ma non
possediamo industrie). Le economie non si eliminano, ma si trasformano. Tutte queste attività furono
favorite dallo sviluppo di strade e porti. I senatori, non potendosi per legge prestare direttamente al
commercio, facevano uso dei prestanome, favorendo così i cavalieri, esclusi dalle cariche pubbliche.
Successivamente alla villa schiavile si svilupperà anche il colonato, in cui il colone (schiavo) si trova in
una situazione intermedia, è per metà schiavo e per metà libero-> possiede i diritti, ma è legato alla
terra da cui non può andarsene. Si arriverà infine alla comparsa della servitù della gleba.
Roma ha un’economia molto monetizzata, ma la moneta non era abbastanza diffusa da permettere
a tutti di accedervi, di conseguenza continuava ad esistere anche una forma di economia in natura
(baratto). La coniazione della moneta avveniva solo a Roma ed era difficile distribuirne una quantità
vasta nelle varie terre dell'impero.
La creazione di questa nuova realtà economica genera la crisi della piccola proprietà urbana di Roma,
in quanto va a stabilirsi una concorrenza sul costo della manodopera, che prima non era presente. Le
piccole proprietà non riescono a competere, perché gli schiavi dei ricchi possidenti ricevevano
stipendi sufficienti alla sola sussistenza ed erano sfruttati fino alla morte. I piccoli proprietari terrieri
finirono col vendere la propria terra, che viene acquistata dai grandi proprietari nelle cui mani c’è una
forte concentrazione fondiaria. Questa categoria si impoverisce con l'ingrandimento dell'impero
(cattiva distribuzione del denaro, divario sempre maggiore).
I piccoli proprietari affluivano spesso a Roma in cerca di un’occupazione alternativa, andando a creare
una massa urbana sempre più consistente, che andò a formare una grande metropoli=>
proletarizzazione.
Le guerre civili per rivendicare le ricchezze scoppieranno tardi rispetto al periodo in cui sono nati
questi problemi, perché guerre e conquiste hanno fatto da ammortizzamento sociale, le grandi
ricchezze venivano divise, seppur malamente, tra tutti.
Nascono 2 grandi gruppi di potere basati su diversi interessi economici:
 I grandi aristocratici, che si avvantaggiavano a seguito delle conquiste
 I pubblicani, che fondano le proprie ricchezze sulla gestione di beni mobili (riscossione delle
tasse nelle province)
I populares e gli optimates facevano parte della nobilitas. Gli optimates erano a favore della tradizione
degli avi e sostenevano l'autorità e le prerogative del senato. I populares erano i difensori dei diritti
del popolo e propugnavano la necessità di ampie riforme in campo politico e sociale.
Polibio ci descrive il funzionamento degli investimenti all'interno di Roma: in molti investono e
speculano sulla riscossione delle tasse, traendone grande giovamento=> azionariato diffuso. Le
società di pubblicani che si aggiudicavano l'appalto, che era pubblico, avevano il controllo sulle
imposte di una determinata provincia-es. l'appaltatore va in Sicilia e riscuote le tasse tentando di
ricavare più di quello che si è investito.
I pubblicani contribuivano con i loro capitali e poi ridistribuivano i guadagni tra i vari investitori, come
fossero quote azionarie. Questo sistema è estremamente grezzo, lo stato per la riscossione delle
tasse si avvaleva di un sistema che potremmo definire di rapina.
Siccome i senatori non potevano essere pubblicani, in quanto garanti della giustizia, questi erano
quasi sempre cavalieri, coloro che popolano le 18 centurie serviane che affiancano i ricchi.
I Gracchi
Il moltiplicarsi delle grandi tenute a personale schiavile, spesso trattato e sfruttato in modo disumano,
mise i presupposti per l'esplosione della rivolta servile, non a caso il teatro dei moti schiavili maggiori
fu la Sicilia, dove avevano sede i maggiori latifondi e pascoli.
Le conquiste portarono all'accrescimento dell'ager publicus, il terreno di proprietà collettiva dello
stato romano. Parte di questo era concesso all'uso dei privati a titolo di occupatio (lo stato può
revocarne il possesso a sua discrezione). L'utilizzo era garantito a seguito del pagamento di un canone
irrisorio. La crisi della piccola proprietà fondiaria favorì la concentrazione dell'agro pubblico nelle
mani dei proprietari più ricchi e potenti.
C’era la necessità di norme che mirassero a restringere l'agro pubblico che poteva essere
legittimatamene occupato da ciascuno. Ovviamente queste riforme si dovevano sempre scontrare
con l'opposizione dei senatori, che ne beneficiavano personalmente dell'assenza.
Tiberio Gracco, membro della nobilitas, riprese nell'anno del suo tribunato della plebe (133 a.C.) il
tentativo di operare una riforma agraria tramite norme che limitassero la quantità di agro pubblico
posseduto.
Il progetto proponeva l'occupazione di agro pubblico a un limite di 500 iugeri, con l'aggiunta di 250
iugeri per ogni figlio, fino a un limite di 1000 iugeri per famiglia. Un collegio di triumviri venne eletto
per ripartire i lotti. I terreni in eccesso venivano distribuiti in lotti di 30 iugeri tra i cittadini meno
abbienti. Lo scopo principale della legge era di ricostruire un ceto di piccoli proprietari, che garantisse
una base stabile al reclutamento dell'esercito (preoccupazione iper-aristocratica).
Il progetto era legittimo perché dettava norme concernenti la proprietà demaniale dello Stato e non
le terre dei privati. Il giorno in cui il progetto doveva essere votato, Marco Ottavio, un tribuno della
plebe, pose il suo veto impedendone l'approvazione. Tiberio Gracco lo fece destituire, perché egli era
stato eletto per difendere gli interessi popolari, e con l'interporre il veto era venuto meno al mandato.
Una volta eliminato questo ostacolo la legge Sempronia agraria fu approvata. L'opposizione non si
placò con Tiberio, che intimorito dalla possibilità di perdere l'inviolabilità personale (sacrosanctitas)
presentò nuovamente la candidatura al tribunato della plebe anche l'anno successivo. Tiberio per
coprire gli immensi costi della riforma usò i beni del defunto Attalo III (lasciò in eredità il regno di
Pergamo). Gli oppositori sospettarono che il legame col monarca scomparso rappresentasse una
possibile aspirazione monarchica, alimentata dalla ricandidatura, e insinuando la loro teoria fecero
sì che nel corso dei comizi elettorali Tiberio venisse assalito e ucciso con i suoi seguaci.
L'attività della commissione triumvirale proseguì nonostante tutto. Ciò è anche attestato dai cippi
gracchiani (pietre catastali) che scandivano i confini e le nuove attribuzioni di campi.
Questa situazione iniziò a pesare agli alleati italici, dove le aristocrazie e i ricchi proprietari terrieri si
videro costretti a cedere i loro terreni in eccesso a beneficio dei nullatenenti romani. Interprete delle
loro lamentele fu Scipione Emiliano, alla cui morte proseguì Fulvio Flacco, che propose varie riforme
a favore degli alleati, queste riscontrarono forte opposizione e non vennero mai applicate. Gli alleati,
anche i più fedeli, irritati si ribellarono. Le rivolte ebbero una spietata repressione.
Nel 123 a.C. fu eletto tribuno della plebe Caio Gracco, il fratello minore di Tiberio. Egli ottenne due
mandati consecutivi durante i quali riprese ed ampliò l'opera riformatrice del fratello. Perfezionò la
legge agraria aumentando i poteri della commissione triumvirale, proponendo l'istituzione di nuove
colonie romane (maggior estensione dell'ager publicus) ed abolendo la tassa affittuaria per i piccoli
proprietari con l'impossibilità per chi riceve la terra di rivenderla, le terre sono inalienabili. Fece una
legge frumentaria mirante a calmiere del mercato, con la quale assicurò ad ogni cittadino residente
a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato e che addossava allo stato le spese per le vesti
militari (molto demagogica). Un'altra legge fu la giudiziaria, volta a limitare il potere del senato negli
albi dei giudici inserendovi un cospicuo numero di cavalieri e riservando a questi il controllo dei
tribunali permanenti per concussione (senatori-governatori non sarebbero più stati giudicati da
giudici-senatori). Per risolvere il problema degli alleati venne data cittadinanza romana ai Latini e
cittadinanza di diritto latino agli Italici.
Durante l'assenza di Caio, partito per l'Africa, l'oligarchia senatoria si servì del tribuno Marco Livio
Druso per ristabilire i propri privilegi. Quando Caio tornò si rese conto dei mutamenti avvenuti. Nel
121 a.C. non venne rieletto, ma tentò comunque di opporsi ad un provvedimento che impediva di
rendere Cartagine una colonia. A questa azione il senato rispose facendo ricorso al senatus consultum
ultimum, con cui veniva sospesa ogni garanzia istituzionale ed era affidato ai consoli il compito di
tutelare la sicurezza dello stato con tutti i mezzi a loro parere necessari. Venne ordinato il massacro
dei sostenitori di Gracco, l'ex tribuno si fece uccidere dal suo schiavo.
Le riforme dei Gracchi rispondevano a problemi reali, per questo non vennero abolite, ma ne furono
ridotti gli effetti, per esempio i lotti attribuiti vennero dichiarati alienabili, affluendo così nuovamente
nelle mani dei ricchi e si pose fine alle operazioni di recupero e riassegnazione delle terre (abolizione
della commissione agraria). La causa dello squilibrio economico era la concorrenza sul costo del
lavoro, queste riforme fungevano meramente da palliativo, perché affrontavano altri problemi, senza
conoscere la radice effettiva del problema cui tutto derivava.
Abbiamo due fonti generali sui Gracchi: Plutarco (Vite parallele-negatività demagoghi) e Appiano, e
una specifica: Cicerone, in maniera diretta ciò che avviene a lui stesso, le sue orazioni sono sempre
determinate da situazioni politiche specifiche e iper-puntuali.
Scontri esterni
Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane costruendo la piccola ma ricca provincia
d'Africa e instaurando dei buoni rapporti col vicinato, in particolare con Massina, il re di Numida. Una
volta morto il re venne sostituito dal figlio Micipsa, che continuò ad applicare una politica filoromana.
Commercianti e uomini d'affari romani allettati dalla produttività e potenzialità della regione ci
andarono. Morto anche Micipsa restarono tre possibili eredi di cui uno venne ucciso, i restanti:
Giugurta e Aderbale, ottennero il controllo l'uno su metà della Numidia e sulla restante l'altro. Nel
112 a.C. Giugurta deciso a impadronirsi del regno di Aderbale e ne attacca la capitale, dopo la presa
della città fece trucidare il rivale insieme a svariati commercianti romani e italici. L'anno seguente
Roma scese pronta alla guerra giugurtina, questa durò svariati anni e sembrava non concludersi mai,
fino a che nel 107 a.C. venne affidata a Caio Mario. Mario era un homo novus, incarnava il nuovo
ambiente politico dei ricchi possedenti equestri. Egli era riuscito ad entrare nell'élite politica romana
attraverso degli escamotage ed imparentandosi con una famiglia patrizia, i Cecilii Metelli.
Le campagne militari avevano rivelato difficoltà nel reclutamento legionario, che era limitato ai soli
cittadini delle cinque classi censitarie. Per ovviare il problema si era via via diminuito il censo minimo
per l'attribuzione dei cittadini della quinta classe. Mario necessitava comunque di ulteriori soldati,
per questo aprì l'arruolamento volontario ai capite censi, i nullatenenti (concessione di uno stipendio
all'esercito)-> questa divenne una pratica abituale. Nonostante l’esercito eccellente, la fine della
guerra fu determinata da trattative diplomatiche e dalla trappola che il suocero di Giugurta gli trasse,
consegnandolo ai romani. La Numidia a questo punto venne consegnata al nipote di Massina con cui
furono stipulati dei trattati di amicizia e alleanza.

Nel frattempo, le popolazioni germaniche dei Cimbri e dei Teutoni migravano verso sud. Scesi fino
all'Austria vennero affrontati sulle Alpi dal console Cneo Papirio Carbone, che sconfissero. Nel 110
a.C. giunsero in Gallia, i continui tentativi di attacco da parte dei romani furono catastrofici. Questa
situazione fece aumentare a Roma il dibattito riguardo l'incapacità dei generali d'origine nobile. La
guerra venne affidata a Mario nel 104 a.C., egli riceve inoltre per 5 anni un Imperia extra ordinari,
cosicché potesse rispondere prontamente in caso di attacchi interni. In previsione di questa guerra
Mario riorganizzò l'esercito, articolando le legioni non solo in manipoli, ma anche in coorti di circa
seicento uomini ciascuna, queste erano definite anche come unità tattiche, ognuna delle quali
operava con una certa autonomia. Egli riorganizzò anche l'addestramento, l'equipaggiamento e
l'armamento dell'esercito. Nel 102 a.C. vennero affrontati e sterminati i Teutoni, l'anno seguente si
compì lo stesso nei confronti dei Cimbri. La riforma dell'esercito mariano lo sviluppò in senso
professionale. I soldati, raccolti in legioni destinate ad essere durature e senza distinzioni di classi
d'armamento, finirono per legarsi molto ai comandanti.
Impegnato sul fronte militare, Mario fu costretto ad appoggiarsi a Lucio Apuleio Saturnino per la
gestione dell'Urbe. Egli entrò in conflitto con il senato che lo sostituì con un proprio membro. Mario
a seguito di ciò lo aiutò a diventare tribuno della plebe nel 103 a.C., in cambio Saturnino fece
approvare la distribuzione delle terre in Africa tra i veterani che vi avevano combattuto e pubblicò la
lex maiestate, che puniva il reato di lesione dell'autorità(maiestas) del popolo romano. Per
completare le sue leggi Saturnino si fece rieleggere. Contemporaneamente un altro sostenitore di
Mario, Glauca, si candidava al consolato. Durante le votazioni ci furono svariati tumulti durante i quali
il rivale di Glauca venne ammazzato. Il senato ne approfittò per proclamare il senatus consultum
ultimum, Mario in quanto console si vide costretto ad applicarlo verso i suoi alleati politici, a seguito
di ciò si allontanò da Roma.
Mario e Silla, nonostante siano conosciuti come acerrimi nemici, sposarono entrambi due sorelle
Giulie (futura famiglia di Cesare), e collaborano fino all'inizio della guerra sociale.
La pirateria, diffusa nell'Asia Minore meridionale minacciava pesantemente l'asse marittimo che
dall'Egeo conduceva a Cipro e alla Siria-Fenicia. Roma avvertì le azioni piratesche come
particolarmente virulente quando le vide come un possibile pericolo per i negotiatores romani. Nel
102 a.C. si decise di intervenire mandando Marco Antonio a distruggere le basi anatoliche dei pirati
e di impadronirsene. Questa azione fu accompagnata dalla costituzione di una provincia costiera in
Cilicia, con la funzione di proteggere il commercio marittimo d'Asia. Venne inoltre promulgata nel
100 a.C. la lex piratica, che aveva funzioni anti-piratiche, ma che non fu in grado di risolvere il
problema, infatti molti uomini continuarono ad essere da essi sequestrati. Roma pose rimedio al
problema richiedendo alle varie province dettagliate inchieste in merito alle crudeli azioni piratiche.
I detentori di schiavi si opposero fortemente e riuscirono a rendere questa legge nulla. Il ritorno al
silenzio riguardo queste ingiustizie scaturì rivolte servili, represse con non poche difficoltà da Manio
Aquilio.
Nel 96 a.C. Roma ottenne per testamento la Cirenaica e ne dedusse una provincia.
Scontri interni
Alle varie tensioni politiche e sociali si rispose con un provvedimento del 98 a.C., che tentò di porre
ordine mettendo un intervallo obbligatorio di tre nundinae (giorni di mercato) tra l'affissione di una
proposta di legge e la sua votazione. Venne inoltre vietata la formulazione della lex satura, ossia che
trattava più argomenti non connessi tra loro.
Il conflitto tra senatori e cavalieri per impadronirsi del controllo dei tribunali permanenti per i processi
di concussione proseguiva. Un esempio che ben espone le disfunzioni del sistema vede Rufo, il legato
asiatico, condannato dalla giuria equestre nel 92 a.C. per aver tentato di arginare lo strapotere dei
pubblicani.
Nel 91 a.C. venne eletto tribuno della plebe Marco Livio Druso, egli promulgò provvedimenti di
evidente contenuto popolare: la distribuzione delle terre, la deduzione di nuove colonie, migliorie
sulla legge frumentaria e la concessione della cittadinanza romana agli alleati italici (metodo per
scollare le aristocrazie delle province con la cooptazione). Per tenere i senatori dalla sua parte restituì
loro i tribunali per concussione. Druso venne misteriosamente assassinato la notte della votazione
delle leggi che estendevano la cittadinanza agli italici e tutte le sue leggi furono dichiarate nulle.
La differenza tra lo stato giuridico di Roma e quello degli alleati latini e italici non era mai stata messa
in discussione agli inizi, perché derivava anche da differenze etniche e culturali, ma con l'estensione
romana le popolazioni della penisola erano andate unificandosi sotto modi di vivere ellenisti. Gli italici
erano consci della loro presenza determinante nell'esercito, che non gli giovava però in alcun modo
a livello politico, economico e militare.
L'assassinio di Druso fu la goccia che fece traboccare il vaso per gli italici, che decisero di difendere le
proprie rivendicazioni con una rivolta armata nei confronti di Roma. Le ostilità partirono da Ascoli nel
90 a.C. dove tutti i romani presenti vennero massacrati. L'insurrezione si estese poi su tutto il versante
adriatico fino ad includere tutti al di fuori di Umbri, Etruschi, le città latine e della Magna Grecia. La
guerra sociale fu lunga e sanguinosa, combattuta da soldati armati ed addestrati alla stessa maniera.
Gli insorti costruirono delle istituzioni federali comuni che avevano capitale nel Sannio e una propria
monetizzazione. Gli scopi di questo conflitto non erano univoci: alcune popolazioni volevano
conseguire la cittadinanza romana, altre provavano semplice spirito di rivalsa verso Roma. Vennero
mandati due consoli per calmare la situazione: uno a nord (accompagnato anche dal padre di Pompeo
Magno) e uno a sud (accompagnato da Silla). Le operazioni militari avevano andamento incerto,
Roma si vide costretta a trovare una soluzione politica attraverso dei provvedimenti di natura
inclusiva: il primo provvedimento dava cittadinanza a tutti coloro che si sarebbero schierati dalla
parte di Roma, vennero poi le lex Iulia de civitate, che concedevano la cittadinanza romana agli alleati
rimasti fedeli e alle comunità disposte a deporre velocemente le armi, con la successiva lex Plautia
Papiria si estese la cittadinanza a tutti gli italici che si fossero registrati presso il pretore di Roma entro
60 giorni, infine venne concessa la cittadinanza di diritto latino agli abitanti a nord della Transpadana.
I nuovi cittadini furono iscritti in 8 delle 35 tribù, per esercitare il loro diritto dovevano recarsi a Roma
e partecipare alle assemblee.
Nell'88 a.C., circoscritta ormai la rivolta, venne assediata Nola, l'ultima roccaforte e fu concessa la
cittadinanza a tutti gli italici fino alla Transpadana. Si avvia così un processo di unificazione politica
dell'Italia e una nuova fase nella storia delle istituzioni politiche dell'Urbe.
Anche se Roma vinse la guerra subì una totale conquista politica.
A seguito di questo periodo il popolo non sarà più spinto da grandi ideologie, ma grandi personalità.
I primi grandi scontri
In Oriente la situazione si fa sempre più allarmante a partire dalle coste meridionali del Mar Nero. I
Parti si erano via via insediati nell'altopiano iranico fino ad occupare la Mesopotamia e la Babilonia.

Nella penisola anatolica c'era un forte e costante frazionamento tra Roma e la provincia d'Asia, questa
situazione costruì un terreno favorevole per la coesistenza di molti stati dinastici. Mitridate VI
Eupatore divenuto re del Ponto stabilì accordi con le zone limitrofe estendendo il suo regno a sud, a
est e a nord. Questa situazione stava scomoda ai romani che mandarono Silla a ripristinare sul trono
della Cappadocia un sovrano loro più gradito. Mitridate non si arrese e proseguì la sua politica
facendo invadere la Cappadocia dal suo genero Tigrane e spodestando la Bitinia. Nel 90 a.C. Roma
invase nuovamente l'oriente con l'intento di mettere nuovamente i rispettivi sovrani sul trono di
Cappadocia e Bitinia. Mitridate inizia la guerra contro i romani. Fondò la sua azione su un'opera di
propaganda al mondo greco, presso il quale si presentò come filelleno e vendicatore dei soprusi. Con
questa campagna riuscì ben presto ad avere potere su tutta l'Asia. Tutto il mondo greco si elevò
contro Roma ad eccezione di Rodi che le rimase fedele. Mitridate organizzò i vespri efesini, un giorno
in cui in Asia minore 80000 pubblicani vennero sterminati. Roma agì mandando Silla.

Pulibio Suplicio Rufo, un tribuno della plebe, trasformò larghe masse di alleati in cittadini romani.
Questa riforma da lui fatta rischiava di modificare i preesistenti equilibri politici. Iscrivere nelle tribù i
nuovi cittadini avrebbe permesso loro di rappresentare in ciascuna di esse la maggioranza, per evitare
ciò vennero immessi in un numero limitato di tribù, cosicché i romani potessero mantenere la
maggioranza.

La guerra sociale portò ad un impoverimento complessivo. Rufo propose una serie di provvedimenti
volti a migliorare la situazione, oltre a proporre l'inserimento dei neocittadini in tutte e 35 le tribù,
imporre un limite massimo di indebitamento per ciascun senatore, oltre il quale questo sarebbe stato
espulso, e trasferire di comando della guerra di Mitridate da Silla a Mario. Appresa questa notizia Silla
marciò su Roma alla testa dei suoi soldati (la riforma mariana dell'esercito legava la truppa più al suo
comandante che allo stato). Silla impadronitosi di Roma dichiarò i suoi nemici pubblici e approvò
alcune norme che anticipavano la sua opera riformatrice degli anni 81-79 a.C.: ogni proposta di legge
era posta al voto popolare e i comizi centuriati vennero dichiarati l'unica assemblea legislativa
legittima. Silla partì poi alla volta dell'Oriente, nel 87 a.C. prese e saccheggiò Atene e direttosi verso
la Grecia centrale pose fine al predominio delle armate di Mitridate in Grecia.

Nell'87 il console Lucio Cornelio Cinna riprese la proposta di iscrivere i neocittadini in tutte le tribù.
Venne cacciato da Roma e si rifugiò in Campania da Mario, con il quale fece una nuova marcia su
Roma prendendo la città e dichiarando Silla nemico pubblico. Nel 86 a.C. Mario e Cinna vennero eletti
consoli insieme. Venne mandato contro Mitridate un esercito mariano, quello sillano non
rappresentava più i romani. Cinna restò in carica per tre anni riuscendo ad estendere l'ammissione a
tutte le tribù anche ai neocittadini, risolvendo i problemi dei debiti e modificando il rapporto tra la
moneta di bronzo e quella d'argento. Venne ucciso nell'84 a.C.

In Grecia le due armate romane (sillana e mariana) agirono parallelamente ricacciando Mitridate in
Asia. Nel 85 a.C. si firmarono le trattative di pace, secondo cui Mitridate poteva conservare il suo
regno, ma era costretto a pagare ingenti indennità di guerra e a consegnare la propria flotta. Silla
sbarcò in Italia carico di bottino nell'83 a.C..

Silla lasciò in Asia Lucio Licinio Murena affinché controllasse Mitridate, questi continuò a effettuare
incursioni nel territorio del re pontico, accusandolo di voler riprendere le armi. Mitridate scocciato
dalla situazione reagì dilagando in Cappadocia. Silla fermò sia il suo "aiutante", che il sovrano pontico.
Questo avvenimento è anche conosciuto come seconda guerra mitridatica (83-81 a.C.).
La dittatura sillana

A Brindisi Cneo Pompeo con tre legioni assoldate raggiunsero Silla e gli permisero di giungere Roma,
qui ci vollero due anni affinché Silla riprendesse il suo potere, fu aiutato anche da Marco Licinio
Crasso, che distrusse le ultime resistenze. Ora non restava che eliminare gli oppositori mariani
rifugiati in Africa e in Sicilia, di questa operazione si occupò Cneo Pompeo. Silla introdusse inoltre
degli elenchi di proscrizione, nei quali erano citati tutti i suoi pubblici nemici, che potevano essere
uccisi liberamente, erano inoltre esclusi da ogni carica e subivano la confisca dei beni. Questa
selezione andò a modificare in profondità l'aristocrazia romana, alcune importanti famiglie
scomparvero e vennero sostituite da altre che in condizioni normali mai avrebbero potuto ambire a
determinate posizioni.

Morti entrambi i consoli (82) e in necessità di un rinnovamento istituzionale, il senato nominò dunque
un interrex ed elesse a princeps senatus Flacco, il quale, invece di nominare nuovi consoli, presentò
con la lex Valeria la nomina di Silla come dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae,
questa forma di dittatura non era a tempo determinato ed era compatibile col consolato.
Silla apportò delle riforme che riprendevano quelle precedenti, il senato venne portato a seicento
membri e al suo interno vennero ammessi partigiani, cavalieri e gli esponenti dei ceti superiori dei
municipi italici. Furono aumentati anche il numero dei questori, dei pretori e dei tribunali permanenti.
Quest'ultimi vennero nuovamente riservati in esclusiva al senato, a ciascuno spettava uno solo dei
principali reati da giudicare. Questo progetto politico, ricordato con l'appellativo improprio di
costituzione, aveva il principale obbiettivo di rafforzare l'autorità senatoria.

Per limitare le ostentazioni di ricchezza da parte dell'aristocrazia vennero limitate le spese per
banchetti e funerali. Vennero regolamentati gli ordini di successione alle magistrature e le età minime
per accedervi. Nell'anno successivo alle magistrature, pretori e consoli, accedevano alle
promagistrature e si recavano ad amministrare le province. I poteri dei tribuni della plebe furono
ridimensionati: venne limitato il loro diritto di veto, annullato quello di poter proporre leggi e
impossibilitato l'accesso a qualunque altra carica a chi avesse ricoperto il tribunato. Furono annullate
le distribuzioni frumentarie a favore di un calmiere. Il proerium fu esteso fino a comprendere tutte le
zone d'Italia. Compiuta la riorganizzazione dello stato nel 79 a.C. Silla abdicò alla dittatura.
I grandiosi funerali organizzati alla morte di Silla danno vita all’apoteosi imperiale. Questi posero
determinate specifiche, che si manterranno anche in età imperiale, dove la cerimonia funebre
assunse un ruolo fondamentale. Negli erari erano presenti i busti degli imperatori antenati del morto,
perché potessero intervenire attraverso gli dèi.
Per la prima volta dopo lungo tempo venne fatta una cerimonia non determinata da rituali già
esistenti e solidificati, com’era tipico del paganesimo (religione popolare ritualistica di cui i più colti
diffidavano), ma da un sentimento comune sincero.

Marco Emilio Lepido

L'anno seguente il console Marco Emilio Lepido tentò di ridimensionare l'ordinamento sillano:
vennero restituite le terre confiscate e ripristinate le distribuzioni del frumento. Queste proposte
subirono larghissime opposizioni, ma gli etruschi desiderosi che queste proposte divenissero realtà
scatenarono addirittura una rivolta. Lepido nel 77 a.C. mentre si recava nella provincia dove sarebbe
stato proconsole si fermò in Etruria e insieme ai ribelli decise di marciare su Roma reclamando un
secondo consolato. Il senato indisse prontamente il senatus consultum ultimum e, in via eccezionale,
dato che non si erano ancora tenute le elezioni consolari venne dato a Pompeo l'imperium (il giovane
non aveva ancora rivestito alcuna carica). La rivolta venne rapidamente stroncata.
L’ascesa di Pompeo

Pompeo è una figura di rottura, nasce da una buona famiglia e desidera una veloce ascesa politica,
ma è bloccato dalle leggi annali, reinserite da Silla, il grande guerriero era in debito con Pompeo, e
per questo gli concede delle scorciatoie.
Quinto Sertorio aveva creato in Spagna Citeriore, nel 82 a.C. una sorta di stato mariano in esilio, in
cui si coagulavano gli esuli della sua fazione. Il proto-stato aveva a Osca la capitale, con tanto di senato
di 300 membri e di una scuola a stampo educativo romano. Il senato decise di ricorrere nuovamente
a Pompeo per risolvere il problema affidandogli la Spagna Citeriore con imperium straordinario.
Arrivato in Spagna la battaglia fu difficile. Un fidato militare mariano, sperando di ottenere qualche
ricompensa uccise a tradimento Sertorio, il traditore venne sconfitto e giustiziato da Pompeo, che
così nel 71 a.C. vinse.
Nel 73 a.C. scoppiò la terza grande rivolta di schiavi a Capua in una scuola per gladiatori, questi
ribellatesi si erano asserragliati sul Vesuvio dove furono raggiunti da numerosi altri gladiatori, da
schiavi ribollenti di rivalsa e da uomini liberi ridotti in miseria. Spartaco era il gladiatore a capo della
battaglia. Mancando di un piano preciso e unitario, vagarono per l'Italia saccheggiando e compiendo
razzie. Il senato affidò il compito di sedare la rivolta a Marco Licinio Crasso (era uno dei romani più
abbienti, “va a riprendere ciò che Spartaco gli sta distruggendo”), che riuscì nel suo obbiettivo. I
prigionieri furono crocifissi da Crasso lungo la via Appia. I pochi fuggitivi che si diressero a nord
vennero intercettati e massacrati da Pompeo.

Pompeo si fece molto merito di questa sua azione, per ottenere, anche se in maniera illegittima (non
rispettava né età né cursus), la candidatura al consolato del 70 a.C.. Anche Crasso si propose ed
entrambi furono eletti consoli. Pompeo venne inoltre detto trionfante sull’universo.

Portato a compimento lo smantellamento dell'ordinamento sillano, fecero approvare una legge


frumentaria e restaurarono i poteri dei tribuni della plebe e dei censori, che finalmente, dopo 15 anni
furono rieletti. Venne inoltre modificata per mano di un pretore la composizione delle giurie
permanenti, che vennero divise tra senatori, cavalieri e tribuni aerarii(simili ai cavalieri per censo ed
interessi).

Tra l'80 e il 70 a.C. in Oriente si trovano due gravi minacce: i pirati e Mitridate. La pirateria aveva
ripreso forza, i romani avevano permesso che continuasse in Oriente, perché alimentava i traffici di
mano d'opera schiavile verso la penisola. Eppure, questi con i loro rapidi vascelli attaccavano le navi
da trasporto, rendendo l'arrivo dei rifornimenti sempre più irregolare, fino a che diventò intollerabile.
Si provarono a fermare le loro azioni rafforzando la presenza romana in Cilicia, successivamente
venne mandato Marco Antonio a Creta, che subì una grave sconfitta. La Cirenaica venne fatta
provincia e servì come base per combattere la pirateria cretese. Le operazioni contro Creta furono
poi affidate a Metello, che fu in grado renderla una provincia romana.
Nel 74 a.C. scoppiò una nuova guerra conto Mitridate, in quanto la Bitinia era passata in eredità ai
romani, che ne dedussero una provincia. Mitridate decise pertanto di invaderla, furono mandati due
consoli, tra cui Lucullo, che gestirono le operazioni con successo fino al 67 a.C. costringendo Mitridate
a rifugiarsi in Armenia presso il suo genero Tigrane. L'invincibile marcia romana fu fermata dagli stessi
soldati, che stanchi si rifiutarono di proseguire.

I finanzieri romani, delusi dalle riforme per alleviare la situazione economica, che erano a loro
fortemente sfavorevoli fecero pressioni perché Lucullo fosse destituito. I comandi gli furono
progressivamente revocati. Mitridate approfittando di queste difficoltà decise di riprendere le
ostilità.

Nel 67 a.C. furono applicate delle misure drastiche contro i pirati, venne attribuito a Pompeo un
infinitum imperium su tutto il Mediterraneo (lex Gabinia). Pompeo cacciò rapidamente i pirati del
Mediterraneo occidentale. Mentre egli era impegnato nella guerra piratica gli venne affidato anche
il comando della guerra contro Mitridate (lex Manilia-orazione di Cicerone a favore). Sconfitto e
scacciato Mitridate nel 63 a.C., venne confermato a Tigrane il trono dell'Armenia, mentre la Siria
divenne provincia romana.
Tigrane s'impadronì di Gerusalemme e vi costruì uno stato aggregato alla provincia di Siria.
Nel 62 a.C. Pompeo rientrò a Roma carico di gloria e di bottino e gli venne immediatamente decretato
il trionfo.

Durante l'assenza di Pompeo a Roma si era verificata una grave crisi. Lucio Sergio Catilina si era molto
arricchito, ma aveva dilapidato somme enormi per mantenere un alto tenore di vita che gli
permettesse di raggiungere le sue ambizioni politiche. Nel 65 a.C. fece una campagna per ottenere il
consolato, ma venne rispinto per indegnità (aveva speso troppo). Si ripresentò alle elezioni consolari
per 63 a.C. sostenuto economicamente da Marco Licinio Crasso, quest'ultimo aveva a sé collegato
l'allora giovane Caio Giulio Cesare, un sostenitore dei popularis. A queste elezioni vinse Marco Tullio
Cicerone, un homo novus sostenitore di Pompeo, che nella sua campagna elettorale aveva più volte
attaccato Catilina.

Catalina non demorse e mise a punto un nuovo programma elettorale basato sulla cancellazione dei
debiti, rivolto agli aristocratici rovinati dalle dissipazioni, seppure questo suo piano avrebbe potuto
essere vincente, egli venne abbandonato da Crasso e Cesare, che vanificarono così ogni suo tentativo.
Stanco delle continue sconfitte mise mano ad un'ampia cospirazione volta a sopprimere i consoli,
terrorizzare la città e impadronirsi del potere. Cicerone scoprì il piano e indisse il senatus consultum
ultimum, costringendo Catalina ad allontanarsi da Roma e portando cinque dei capi della cospirazione
alla morte (molto discussa la pena che questi avrebbero dovuto subire).
La congiura di Catalina e l'approvazione di una legge sulla corruzione elettorale, che prevedeva come
pena l'esilio, è la prova viva dell'instabilità presente in quegli anni.

L’Egitto

Il regno tolemaico d'Egitto era costituito da tre nuclei principali: Egitto, Cirenaica e Cipro. I successori
al trono si rivolsero ripetutamente ai romani per risolvere le loro contese, e Roma ne approfittò per
redigere dei testamenti che legassero il ricco regno a loro. Nel 96 a.C. Roma ottenne così la Cirenaica.
Tolomeo X Alessandro I in circostanze difficili legò per testamento l'Egitto ai romani. Nel 58 a.C. Roma
rivendicò ed annesse Cipro.

Il primo triumvirato
Nel 62 a.C. Pompeo sbarca a Brindisi, smobilita subito il suo esercito convinto di ottenere dal senato
la ratifica degli assetti territoriali da lui decisi e le usuali concessioni di terre ai suoi veterani. In senato
però venne umiliato, i suoi avversari (tra cui Cicerone) continuavano a rimandare il giorno in cui gli
avrebbero dato i riconoscimenti, o addirittura vi si opposero. Deluso e amareggiato Pompeo si
riavvicinò a Crasso e all'emergente Cesare, e con questi strinse un accordo privato e segreto, che
assicurava sostegno reciproco, noto come il primo triumvirato (60 a.C.), che prevedeva, qualora
Cesare avesse ottenuto la carica di console nel 59 a.C., che avrebbe proposto una legge agraria volta
ad assicurare una sistemazione ai veterani di Pompeo e vantaggi per i cavalieri legati a Crasso. Per
saldare il patto ulteriormente Pompeo sposò Giulia, la giovane figlia di Cesare.

Nel 59 a.C. Cesare venne eletto console e fece due leggi agrarie, che distribuivano terre ai veterani di
Pompeo e ai cittadini nullatenenti padri di grandi famiglie, ratificava tutte le decisioni assunte da
Pompeo in Oriente e riduceva il canone d'appalto delle imposte per la provincia d'Asia. Venne
oltretutto approvata la lex Iulia de repetundis, che migliorava i precedenti provvedimenti per i
processi di concussione e prevedeva la pubblicazione dei verbali delle sedute senatorie e delle
assemblee popolari.

Concluso il suo incarico Cesare, Crasso e Pompeo vollero lasciare il senato in una situazione scomoda
per vendicarsi. Fare ciò fu più semplice del previsto, bastò appoggiare la candidatura al tribunato
della plebe di Publio Clodio Pulcro, un ex patrizio, che dopo uno scandalo (gli impediva di accedere al
senato) si fece adottare da una famigli plebea per ambire alle posizioni loro riservate. Una volta eletto
tribuno Clodio fece approvare una nutrita serie di leggi, tra cui troviamo: la distribuzione del grano
completamente gratuita (-> conseguente aumento dei beneficiari, per migrazioni e liberazione di
schiavi); solo auguri e tribuni potevano interrompere le assemblee pubbliche adducendo
l'osservazione di auspici sfavorevoli, non più i magistrati; furono ristabiliti dei collegia con fine
religioso e di muto soccorso, precedentemente eliminati perché strumento di mobilitazione delle
masse urbane, Clodio fece di questi gruppi delle bande armate organizzate al suo servizio.

Cicerone, bersaglio evidente di queste riforme si allontanò da Roma.

La conquista cesariana della Gallia

Quando Cesare arrivò nelle sue province era in atto a nord della Narbonese la migrazione degli Elvezi,
che minacciava gli Edui e la provincia romana. Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, cominciando così
la lunga conquista cesariana della Gallia.

Gli Svevi, una tribù germanica, erano passati sulla sinistra del fiume chiamati in aiuto dai Sequani,
rivali degli Edui. Su richiesta degli Edui Roma era intervenuta inducendo Ariovisto, il capo germanico,
a ritirare le sue genti al di là del Reno, in cambio sarebbe potuto diventare re amico e alleato del
popolo romano. Eppure, gli Svevi proseguirono le loro migrazioni verso l'Alsazia, Cesare li affrontò e
sconfisse a Mulhouse.

La presenza romana nella Gallia centrale suscitò a nord le reazioni delle tribù dei Belgi, Cesare si
impadronì velocemente delle loro piazzeforti.

Contemporaneamente, nel 57 a.C., Pulibio Licinio Crasso, legato di Cesare, si spingeva verso la
Normandia sottomettendo tribù della Britannia e della Normandia. I successi ottenuti da Cesare
furono in gran parte dovuti anche dalla disunione delle tribù galliche oltre che alla sua unione con le
truppe. Alla fine del 57 a.C. Cesare comunicò che la Gallia si poteva ritenere pacificata, per portare
buone notizie. In realtà la parte centro-occidentale non era mai stata attraversata dalle armi romane.
La notizia fu accolta con grandiose cerimonie di ringraziamento.
Il secondo triumvirato

Terminato il tribunato, Clodio non smise di usare le sue bande come strumento di pressione. Difronte
a questa situazione i suoi avversari imposero il ritorno di Cicerone.

Nel 57 a.C. Pompeo si trovava in una situazione di grave stallo politico: non osava impegnarsi
apertamente, perché ciò significava esporsi a diminuire la propria popolarità, ma al contempo non
facendo nulla rischiava di usurare il suo prestigio. Non appena gli venne proposto l'incarico di cura
annonae, lo accettò, questo ruolo straordinario consisteva nel provvedere all'approvvigionamento
della città, cosa che era divenuta crescentemente difficile giacché la popolazione romana era in
vertiginosa crescita e con la distribuzione del grano gratuito le esigenze erano ulteriormente
aumentate.

Cesare, Pompeo e Crasso si accordarono a Lucca su un nuovo progetto, che prevedeva il


prolungamento del comando di Cesare in Gallia per altri cinque anni e l'elezione al consolato di Crasso
e Pompeo nel 55 a.C., dopo del quale si sarebbero recati a controllare le province rispettivamente di
Siria e delle due Spagne: tutto si svolse come avevano progettato.
Il plebiscito Tizio del 43 sancì la nascita del secondo triumvirato.

In Gallia Cesare trovò la Britannia in aperta rivolta. Fece allora costruire una piccola armata di battelli
leggeri per sconfiggerli via mare, una volta fatto ciò la battaglia si spostò sulla terra ferma, egli iniziò
a addentrarsi in Britannia. L'anno successivo raggiunse il Tamigi sottomettendo parecchie tribù della
costa. A questo punto rivolse la propria attenzione sul fronte del Reno. Qui Cesare annientò due tribù
germaniche.

Nel 52 a.C. vennero sterminati parecchi romani e italici residenti a Orleans, la sollevazione si estese
rapidamente in tutta la Francia sud-ovest. Cesare pose in assedio il centro fortificato di Gergovia, ma
fu rapidamente respinto. Si riprese velocemente riuscendo a frantumare l'uno dopo l'altro tutti i
centri di resistenza nel corso del 51 a.C.. Cesare provvide a dare un primo ordinamento alla nuova
provincia che si formò, la Gallia Comata.

Nel 54 a.C. Crasso aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica del regno dei Parti. Alla morte del
re Fraate III era sorta una lotta tra i due figli, ambiziosi del trono: Orode e Mitridate. Divenuto re
Orode II, Crasso appoggia il fratello rivale e si spinse in Mesopotamia. L'anno successivo all'arrivo
nella pianura dei Parti, i romani vennero travolti e massacrati dalla cavalleria partica. Anche Crasso fu
preso e ucciso.

Trascorso l'anno del consolato comune Pompeo era rimasto nei pressi di Roma e aveva amministrato
le sue province tramite i luogotenenti. I legami tra Cesare e Pompeo cominciarono a venir meno dopo
la morte di Crasso e di Giulia. Pompeo inoltre iniziò ad accostarsi sempre di più alla fazione
anticesariana degli optimates.

A Roma dilagavano violenza e caos politico, tanto che nel 53 a.C. non vennero eletti i due consoli.
L'anarchia giunse al suo colmo l'anno seguente, quando le bande di Clodio e Milone si scontrarono e
la curia senatoria andò in fiamme. Si decise di nominare console Pompeo senza alcun collega. Per
cercare di equilibrare la situazione egli fece votare leggi repressive in materia di violenza e di broglio
elettorale (de vi e de ambitu).

Cesare era stato assente da Roma dal 58 a.C. al 49 a.C. per svolgere il suo ruolo da proconsole. Nel
50 a.C. presentò la sua candidatura al consolato nonostante fosse assente da Roma per terminare il
suo ruolo nella Gallia.

Pompeo si era fatto prorogare per cinque anni (fino al 47 a.C.) il proconsolato in Spagna, ma col diritto
di restare a Roma. A seguito di questa decisione gli venne affiancato un collega e ripresero
regolarmente le nomine di coppie consolari.
Cesare si trovava in una situazione precaria, la sua candidatura aveva generato tra i suoi oppositori
non poche discussioni di carattere giuridico ed interpretativo. Il tribuno della plebe Caio Scribonio
Curione propose di abolire tutti i comandi straordinari di Cesare e di Pompeo, per porre fine alle
discussioni, questa sua proposta venne largamente apprezzata.
L’ascesa di Cesare

Cesare si vide costretto a porre fine però unilateralmente alle sue cariche. Il senato appreso ciò votò
il senatus consultum ultimum, affidando a Pompeo il compito di difendere lo stato e nominò i
successori pronti a sostituire Cesare nelle province di sua appartenenza. Cesare furioso varcò in armi
il territorio civico di Roma, dando inizio alla guerra civile. Pompeo difronte a questo rischio fuggì a
Brindisi, pronto ad imbarcarsi per la Grecia e bloccare tutti i rifornimenti per poi tentare la rivalsa.
Cesare percorse velocemente la penisola, ma non riuscì a fermare Pompeo e il suo piano in tempo,
ritornò dunque a Roma dove si occupò di gestire la minaccia occidentale, rivolgendosi contro le forze
pompeiane di Spagna e sconfiggendole a Ilerda.
Nell'orazione Pro Marcello, pronunciata in senato per ringraziare Cesare, fautore del richiamo in
patria di alcuni suoi avversari politici, Cicerone attribuisce a Cesare la virtù della clementia: poiché,
se è vero che la gloria di Cesare riposa, come quella di altri condottieri, sul talento militare, egli è
l'unico che, fra tutti i vincitori, si è distinto per la sua bontà d'animo, tanto nobile che non basta
semplicemente paragonarlo ai grandi uomini, ma va giudicato simile a un dio poiché egli si è
comportato con saggezza nel vincere il risentimento, trattenere l’ira, moderarsi nella vittoria, non
soltanto risollevare un valente avversario eccezionale per virtù e ingegno ma anche accrescere la sua
antica nobiltà, la cosiddetta clementia cesaris.
Cesare in realtà riconosce di lavorare con un senato di cui non si può pienamente fidare, quindi attua
una politica cesaristica, demagogica e assistenzialistica, che si affida al popolo.
Nel 49 a.C. il pretore conferì a Cesare la carica di dittatore al solo scopo di convocare i comizi
elettorali, ai quali venne votato come console per il 48 a.C.. Pompeo, nel frattempo, si trovava in
Tessaglia, dove aveva posto il suo quartier generale, molte delle sue navi controllavano l'Adriatico
per evitare lo sbarco di Cesare. Quest'ultimo però compì la traversata in pieno inverno senza
incontrare resistenze, una volta giunto fu duramente respinto, ma riuscì comunque ad avanzare verso
la Tessaglia, dove avvenne lo scontro decisivo da cui uscì vittorioso. Pompeo decise allora di fuggire
verso l'Egitto, dove era in corso una contesa dinastica tra i fratelli Tolomeo XIII e la sorella maggiore
Cleopatra VII. I consiglieri videro nell'arrivo di Pompeo un ulteriore possibile elemento
compromettente e decisero dunque di assassinarlo. Anche Cesare arrivò in Egitto, dove apprese della
morte del rivale, e dove si occupò di dirimere le lotte tra i fratelli. Cleopatra fu confermata regina
d'Egitto e diede alla luce il figlio di Cesare, che chiamò Tolomeo Cesare. Durante questo periodo
venne nominato imperatore per un anno a Roma.

Nel 47 a.C. Cesare ripartì per l'Africa e conseguì una vittoria in Tunisia, che divenne provincia romana
col nome Africa nova. Nello stesso anno ottenne il terzo consolato e gli venne conferita la dittatura
per dieci anni. A questo punto si vide costretto a partire nuovamente, giacché in Spagna ci furono
alcune sollevazioni da parte dei suoi avversari. Cesare sistemata la situazione poté finalmente tornare
a Roma e occuparsi della riorganizzazione politica. Nel 44 a.C. assunse il titolo di dittatore a vita
(dictator perpetuus). Oltre a ciò ottenne anche una serie di magistrature straordinarie, tra cui:
l'incarico di vigilare i costumi e di controllare le liste di senatori, cavalieri e cittadini (praefectus
moribus); la facoltà di sedere tra i tribuni della plebe; la podestà tribunizia (inviolabilità personale e
diritto di veto); il potere di fare trattati di pace o dichiarazioni di guerra senza consultare né il senato
né il popolo=> gli vennero inoltre offerti gli onori del primo posto in senato, come imperator a vita,
ossia detentore di imperium e il titolo di padre della patria (parens patriae).

Già dal 49 a.C. iniziò un insieme vastissimo di riforme, con le quali concesse il richiamo in patria e il
perdono a tutti gli esuli, facilitazioni ai debitori e il diritto di cittadinanza romana a tutti gli abitanti
della Transpadana, ai corpi militari, ai singoli individui e alle comunità benemerite di Spagna, Gallia
ed Africa. Il senato fu portato a 900 membri grazie all'immissione di politici provenienti da tutte le
regioni dell’Impero Romano. Venne aumentato anche il numero dei questori, degli edili e dei pretori.
Le giurie tribunali furono nuovamente ripartite tra senatori e cavalieri.

Molte furono le riforme fatte riguardo le province, innanzitutto ne venne cambiato il sistema
tributario, successivamente la durata dei governatori fu limitata a un anno per i propretori e a due
per i proconsoli. Vennero limitati gli sperperi e le ostentazioni di ricchezza. Ai residenti italiani venne
vietato di rimanere assenti dal paese per più di tre anni consecutivi. Le associazioni popolari vennero
sciolte e i collegia ripresero le loro funzioni originarie. Le distribuzioni di grano rimasero gratuite, ma
erano disponibili a meno beneficiari. Altro importantissimo aspetto fu la ristrutturazione urbanistica
ed edilizia di Roma e l'obbligo di avere impiegati nel lavoro almeno un terzo di uomini liberi, per
combattere la disoccupazione. Nel 44 a.C. Cesare aveva preparato una grande campagna militare
contro i Parti per ristabilire l'egemonia romana in Asia e per vendicare la morte di Crasso. Sapendo
che la guerra lo avrebbe impegnato a lungo distribuisce tra i vari poteri un programma
dettagliatissimo di quello che si sarebbe fatto nei 5 anni seguenti. Cesare per muoversi con maggiore
velocità e in modo più efficace colloca l'esercito in Grecia. Inizialmente la partenza per cominciare la
guerra coi Parti era segnata ad aprile, ma decise di partire prima. I cesaricidi si trovarono a dover
agire immediatamente. L'omicidio avviene, ma i congiurati stessi non sanno come muoversi di
conseguenza. Il 15 marzo del 44 a.C. alle idi di marzo, Cesare morì trafitto dai pugnali.
I poteri di Cesare:

 49-ricevette la dittatura per tenere le elezioni

 48-depose la dittatura e fu console annuale con collega, a fine anno fu nominato nuovamente
dittatore e nominò Antonio magister equitum

 47-non ci furono consoli, vennero eletti l'ultimo semestre e rimasero anche per l'anno
seguente, lui e Lepidio furono eletti

 46-ottenne la dittatura decennale e nominò Lepidio magister equitum. Non ripristinò la


cesura e ne assunse le funzioni. Partito per la Spagna lasciò a Roma un governo di reggenza(8
delegati + il magister equitum)

 45- fu dittatore per tutto l'anno e console senza collega, rinunciò al consolato e vennero eletti
tre consoli suffecti
 44- restò dittatore e fu eletto console insieme ad Antonio. Venne nominato dittatore a vita,
con titolo di pater patriae e di imperator
Le fonti

Cicerone3 è la fonte per noi più importante di questa fase politica di Roma. Egli vive attivamente ciò
di cui scrive, intervenne su molte vicende con orazioni di altissima qualità, ad esempio sui grandi
scandali politici che ebbero forte impatto. Un'importantissima raccolta è il suo epistolario, da lui ben
conservato, perché predestinato alla pubblicazione. La qualità della nostra indagine storiografia
cresce grazie a queste lettere: sono documenti datati con precisione, rivolti a singoli personaggi. La
comunicazione epistolare ci dà un'informazione in grado d farci entrare all'interno della politica, nella
pluralità degli ambienti e dei legami, facendoci arrivare ad uno studio di tipo prosopografico (studio
degli individui). Nelle età successive abbiamo altri epistolari, ma di entità inferiore e accompagnati
da una base documentaria. Nell'età tardo antica gli epistolari diventano numerosissimi soprattutto
tra i vescovi cristiani.

Le fonti di Cesare sono più povere di quelle di Cicerone, perché non oggettive, essendo scritte dal
protagonista stesso acquisiscono un intento autocelebrativo, di mistificazione e di autoassoluzione.
Dopo Cesare
I cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare anche i più stretti collaboratori: Marco Emilio Lepido
e Marco Antonio, che cominciarono, al loro contrario ad organizzarsi. L'accoglienza che gli assassini
ebbero a Roma fu talmente fredda che decisero di ritirarsi sul Campidoglio. Antonio riuscì a imporre
una politica di compromesso, da una parte dava amnistia ai congiurati, dall'altra convalidava gli atti
del defunto dittatore e consentiva i funerali di stato. Le esequie furono una manifestazione talmente
acclamata, che i cesaricidi preferirono abbandonare Roma. La dittatura venne abolita dalle cariche
statali. Antonio fece passare nel corso dell'anno una serie di progetti di legge, che gli suscitarono una
grande popolarità (assunse il ruolo di erede spirituale). La lettura pubblica del testamento cesareo
colpì inaspettatamente gli ascoltatori, esso infatti indicava erede di tre quarti dei suoi beni Gaio
Ottaviano, il pronipote di Cesare, il restante venne lascito a due altri suoi parenti.

Ottavio, prima di ricevere la notizia che lo spinse a tornare a Roma, si trovava in Grecia, gestendo i
soldati pronti per la campagna contro i Parti in attesa del prozio. Arrivato nell'Urbe e riscossa l'eredità
fece capisaldi del suo impegno politico la tutela e la celebrazione della memoria del padre adottivo e
la vendetta della sua morte.

Antonio al termine del suo consolato si era fatto assegnare, al posto della prevista Macedonia, le due
province della Gallia Cisalpina e Comata, cosicché potesse stare più vicino all'Italia, ma il governatore
originariamente designato, Decimo Bruto, rifiutò di cederla. Ebbe così inizio la guerra di Modena (43
a.C.) alla fine della quale Antonio fu battuto e costretto a ritirarsi verso la Narbonese. In occasione di
questa battaglia morirono entrambi i consoli, questi furono mandati da Cicerone (Filippiche) per

3 Cicerone nasce come populares da una famiglia equestre. Era un ammiratore di Mario e ispirato da lui comincia la sua attività nel
foro di Roma, dove si scaglia contro gli optimates ed in particolare contro Quinto Ortensio Ortalo. Il punto massimo della sua carriera
politica è il consolato. La sua scarsa visibilità terminò nel 84 a seguito della congiura di Catialina che lo rese famoso. Gli optimates
volevano fosse eletto Catialina, ma Cicerone riuscì a evitarlo e a far mettere a morte i pensatori della congiura senza richiedere né la
provocatio ad popolum, né l'approvazione del senato. Da qui sgorgheranno tutti i suoi problemi futuri. Venne espulso dai consolari
nel 64 e passò tra gli optimates, diventando il difensore della legalità istituzionale. Morì con l'omicidio di Gaeta del 43.
contrastare l’assedio antoniano della città. Anche Ottaviano partecipò dalla parte di Bruto affinché
Cicerone gli legittimasse il controllo sulle legioni che aveva acquistato.
Ottavio richiese il consolato e non ottenendolo decise di marciare su Roma, a seguito di questo venne
eletto console insieme al cugino Quinto Pedio. I due istituirono un tribunale con il solo scopo di
perseguire gli assassini di Cesare. Decimo Bruto rimasto solo venne ucciso. Fu inoltre annullato il
provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico. Nel 43 a.C. Ottaviano,
Antonio e Lepidio si incontrarono a Bologna, dove istituirono il secondo triumvirato rei publicae
constituendae, poi sancito dalla legge Titia, il cui scopo era riorganizzare lo stato e aveva durata di
cinque anni. Con l'ottenimento di questa magistratura essi avevano il diritto di: convocare il senato
ed il popolo, promulgare editti e designare i candidati alle magistrature. Si decise inoltre che Antonio
avrebbe governato la Gallia Cisalpina e Comata, Ottaviano l'Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica
e Lepidio la Gallia Narbonese e le due Spagne.

Sicilia e Sardegna richiedevano grande impegno, in quanto erano minacciate dal figlio di Pompeo,
Sesto Pompeo, che messo al comando delle forze navali, le aveva rese proprie, dominando il mare.

Si decise di resuscitare le liste di proscrizione. Tra le vittime più note troviamo


Cicerone=>l'opposizione senatoria venne decimata, a favore della formazione di una nuova
aristocrazia, composta dai membri delle classi dirigenti italiche. Ci fu un mutamento radicale nella
composizione e mentalità delle élite di governo.

In Oriente i cesaricidi Bruto e Cassio si erano costruiti una solida base. Antonio e Ottaviano presero
le armi e sbarcarono in Grecia. Lo scontro decisivo ebbe luogo in Macedonia, a Filippi nel 42 a.C., a
seguito di questa battaglia sia Cassio, che Bruto si tolsero la vita.

Antonio oltre al comando sulle Gallie aveva cumulato anche quello sull'Oriente, dove intendeva
continuare e terminare l'opera di Cesare. A Lepido venne assegnata l'Africa. A Ottaviano le due
Spagne, il compito di sistemare in Italia i veterani e di vedersela con Sesto Pompeo, questa somma di
impegni era estremamente gravosa, ma gli permetteva di restare in Italia, vicino alla città fulcro del
potere governativo, Roma. La prima cosa che fece fu espropriare agro pubblico, per poterlo
assegnare ai veterani. Le categorie maggiormente colpite da questa sua azione furono i piccoli e medi
proprietari terrieri, che si unirono in rivolta chiudendosi a Perugia (guerra di Perugia-40/41 a.C.),
Ottaviano riuscì ad espugnare la città. Nel frattempo, Sesto Pompeo causava non pochi problemi,
impedendo i rifornimenti marittimi in Italia, dove fame e carestia proliferarono. Ottaviano aveva
provveduto ad appropriarsi delle Gallie e ad avvicinarsi a Sesto Pompeo, sposandone la figlia del
suocero, Scribonia. Antonio, scoperto ciò decise di tornare in Italia e di incontrarsi a Brindisi con il
vecchio alleato. Qui sottoscrissero un'intesa, che assegnava ad Antonio l'Oriente, a Ottaviano
l'Occidente e a Lepidio l'Africa. Per siglare l'accordo Antonio sposò Ottavia, la sorella di Ottaviano.

Sesto Pompeo rimase amareggiato, perché non era stato preso in considerazione a Brindisi, e aveva
dunque deciso di riprendere a bloccare le forniture. Antonio fu costretto a tornare ancora e a siglare
con Ottaviano l'accordo di Miseno (39 a.C.), nel quale Sesto Pompeo vedeva riconosciuti i governi di
Sicilia, Corsica e Sardegna. L'equilibrio che si creò durò molto poco, perché già l'anno successivo Sesto
Pompeo aveva ripreso a fere scorribande in mare. In tutta risposta Ottaviano ripudiò Scribonia e riuscì
a far perdere a Sesto la Corsica e la Sardegna, nella lotta per il possesso della Sicilia il triumvirato
chiese l'appoggio di Antonio col quale concluse l'accordo di Taranto (37 a.C.), che rinnovò per altri
cinque anni il triumvirato. Sesto Pompeo fu definitivamente sconfitto nel 37 a.C. dal console Marco
Vipsanio Agrippa, che lo batté via mare. Sesto fuggì in Oriente dove venne ucciso l'anno seguente.
Lepido rivendicò a sé il possesso dell'isola, ma abbandonato dalle truppe, Ottaviano lo fece dichiarare
decaduto dai poteri di triumviro e si impossessò dell'Africa. Lepido umiliato si ritirò in una villa in
disparte dalla vita politica.

A Roma Ottaviano fu ricoperto di onori tra cui l'inviolabilità personale, che aggiunta all'imperium
costituì la base per fondare il principato, la gloria militare che al tempo non aveva ancora ottenuto
se la procacciò con le campagne contro gli Illiri.

Antonio condotti a termine i progetti di Cesare contro i Parti, si procurò l'alleanza dei principi e dei re
orientali. Di particolare rilevanza è la relazione che instaurò con Cleopatra VII, essa indusse il triumviro
a trascorrete l'inverno come suo ospite in Egitto, a seguito di questo incontro i due ebbero una coppia
di gemelli.
Nel 40 a.C. i Parti invasero la Siria, Antonio si trovava in Italia e dunque non poté reagire, per fortuna
il governatore della Siria riuscì ad allontanarli dai territori romani. Il triumviro ritornato in Oriente
senza la moglie cercò di dare ai territori un nuovo assetto. Ottaviano, nel frattempo, organizzava le
basi per una campagna diffamatoria contro di lui. Nel 36 a.C. Antonio diede inizio alla sua grande
spedizione partica, riuscì a conquistare l'Armenia, ma coi Parti la battaglia rimase aperta.

Antonio e Ottaviano ruppero ufficialmente la loro alleanza nel 35 a.C., poiché il secondo non aveva
rispettato gli accordi di Taranto, inviandogli solo 2000 uomini, 70 delle 120 navi prestategli e la
sorella. Antonio fece mandare la sorella indietro e organizzò festeggiamenti per la conquista
dell'Armenia, lasciò inoltre alcuni territori ai figli che ebbe con Cleopatra. Nel 32 a.C., i consoli,
entrambi antoniani, chiesero la ratifica delle modifiche fatte in Oriente. Ottaviano ne impedì
l'approvazione, facendo fuggire i consoli e trecento senatori presso Antonio. Quest'ultimo rispose
mandando ad Ottavia un atto di ripudio.
Ottaviano si presentò come difensore dei diritti dell'Italia fece privare il vecchio triumviro dei suoi
poteri, dopodiché intraprese una guerra contro l'Oriente, che formalizzò contro la singola Cleopatra.
Vinse nel 31 a.C. la battaglia navale di Azio, e l'1 agosto del 30 a.C. prese Alessandria (suicidio di
Cleopatra ed Antonio). L'Egitto fu dichiarato provincia romana e Tolomeo Cesare venne eliminato.
Struttura politica
Assemblee popolari - L'introduzione del voto scritto e segreto portò a risultati contrari e favorì
ulteriormente lo sviluppo della corruzione. È importante ricordare la modifica normativa, che limito
e disciplinò la presentazione delle leggi. L'attività legislativa assembleare incrementò arrogandosi
anche ambiti di competenza senatori. Clodio aumentò il numero di giorni in cui era possibile riunire
assemblee e limitò il diritto di obnuntiatio.
Magistrature - Il primo importante cambiamento fu determinato dalla regolamentazione del cursus
e dall'introduzione di età minime.
Il consolato perse l'imperium militiae. La pretura divenne urbana e il suo numero salì prima a 8 poi a
16. Furono aggiunti due edili plebei, i ceriali, incaricati della sovrintendenza delle distribuzioni
granarie. Il tribunato espanse le sue prerogative e divenne man mano più attivo. I questori
aumentarono a 20, e poi ancora a 40. La dittatura, ormai in disuso fu riesumata, ma con obbiettivi,
metodi e modi extra costituzionali, che ne portarono la definitiva abrogazione dopo la morte di
Cesare. La cesura fu messa in seria crisi a seguito del vertiginoso aumento di cittadini e della "pausa"
indetta da Silla.
Nacque una nuova magistratura: il triumvirato rei publicae constituendae, questa carica straordinaria
ed extra costituzionale, dava podestà consolare e imperium sulle province per 5 anni. Il ruolo delle
promagistrature aumentò in maniera decisiva. Le necessità militari finirono per prendere il
sopravvento sulla prassi costituzionale, si affermarono così una serie di continui comandi straordinari.
Per regolamentare la situazione sempre più allo sbaraglio vennero proposti 5 anni tra magistratura e
promagistratura.
Senato - L'assemblea raggiunse il numero di 1000 a seguito dell'aggiunta dei questori e di 300
cavalieri. Un nuovo potere cadde nelle mani dell'assemblea, la possibilità di istituire il
senatusconsultum ultimum, un provvedimento di estrema emergenza durante il quale vi era una
sospensione totale delle garanzie costituzionali del cittadino. I senatori furono esclusi dalle 18
centurie di cavalieri.
Quaestiones - Le quaestiones consistevano in dispute condotte intorno a casi giuridici controversi. Si
svilupparono le quaestiones perpetuae, che diedero connotazione penalistica al de repetundis (accusa
di concussione). Nacque il primo tribunale permanente di Roma. La condanna seguiva pene prefissate
per legge. Compito della giuria era solo comprendere la colpevolezza o meno dell'imputato. La
composizione della giuria fu al centro di mutamenti e scontri.
Il nuovo sistema, essendo molto efficiente, venne esteso ad altre fattispecie criminali, come la
corruzione o la falsificazione di monete e documenti.
L'Italia e le province - Dopo la seconda guerra sociale il territorio italico fu riorganizzato col tentativo
di impostare un ordinamento unitario. I municipi si mantennero medesimi, mentre le comunità latine
ed alleate furono gradualmente trasformate in municipi.
Le province aumentarono di numero e il ruolo dei pubblicani fu sempre più ampio.
Il principato
Augusto
L'inizio del principato è segnato nel 27 a.C., quando Ottaviano riceve il titolo di Augusto, questo
avvenimento segna un punto di non ritorno, una cesura, che porta alla formazione di un nuovo
regime politico, quello dell’Impero Romano. Già nel 31 a.C. Ottaviano si trovò ad essere padrone
assoluto dello stato romano. Siccome non esisteva ancora una veste legale da assegnargli, furono
trovate delle soluzioni restauratrici nella forma e innovative nella sostanza. Questo processo non fu
che un adattamento naturale e graduale.

Il ritorno in Italia di Ottaviano nel 29 a.C. fu segnato da numerose celebrazioni (vittoria di Azio, d'Egitto
e campagne dalmatiche). Dal 31 al 23 a.C. Augusto fu ininterrottamente eletto console e condivise
sempre la sua carica con membri fidati. Nel 27 a.C. Ottaviano rinunciò a tutti i suoi poteri straordinari,
ottenendo: un imperium di dieci anni sulle province non pacificate, l'epiteto di Augusto, il cui scopo
era proiettarlo in una dimensione sacrale, la corona civica ed uno scudo d'oro sul quale erano
elencate tutte le sue virtù.
Augusto scrisse un'autobiografia e un testamento politico, il res gestae, nel quale descrive il suo ruolo
con queste parole: fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore a quello
degli altri che mi furono colleghi=> primo uomo dello stato.

L'architettura istituzionale da lui adottata era fortemente ispirata alla tradizione senatoria
repubblicana.

Augusto sempre alternerà dei periodi circa triennali di permanenza nelle province a periodi circa
biennali di permanenza a Roma. Nel 23 a.C. Augusto si trovava in Spagna, e ammalatosi seriamente
temé di essere in fin di vita, venne a quel punto a galla il problema della successione, in quanto
mancava una prassi per la sua sostituzione. In assenza di figli maschi fece sposare sua figlia Giulia al
suo fedele Agrippa, cosicché potesse divenire un possibile successore.

Vennero definiti nella sostanza i poteri imperiali. Augusto depose il consolato e ottenne un imperium
proconsulare, che gli consentiva di essere un promagistrato su tutte le province, questo potere è
definito imperium maius. Divenne inoltre protettore della plebe romana e ricevette il vitalizio. La
rinuncia della carica consolare lasciava piena disponibilità della carica all'aristocrazia senatoria.
Inoltre, a partire dal 5 a.C. i posti del consolato da ricoprire vennero aumentati, con l'inserimento di
consoli suffetti. Vennero ristabilite le elezioni e si controllarono attraverso la nominatio
(l'accettazione delle candidature) e la commendatio (raccomandazione da parte dell'imperatore).
All'assemblea popolare fu conferito un ruolo del tutto marginale.

Nel 22 a.C. Augusto rifiutò la dittatura offertagli dal popolo e assunse: la cura annonae, la carica di
pontefice massimo, il titolo di pater patriae e i poteri di censore. Il suo caro aiutante Agrippa ricevette
un imperium proconsulare di 10 anni e la tribunicia potestas, si recò in Oriente.

A fianco dell'ordinamento repubblicano si stabilisce il potere personale dell'Impero=> duplice sfera


di competenza: quella tradizionale repubblicana e quella specifica del princeps.

Il senato subì una profonda trasformazione con il notevole aumento dei suoi membri, che vennero
poi selezionati tornando al numero originale, a seguito della revisione delle liste senatorie (lectio
senatus). Augusto favorì la dignità ed il prestigio dell'assemblea favorendone l'accesso delle élite
provinciali più fortemente romanizzate e rendendo la dignità senatoria una prerogativa ereditaria.

Augusto compì grandi attività edilizie soprattutto nel foro romano, completando i programmi edilizi
di Cesare, tanto che questo venne definito Forum Augusti. Altra importante opera architettonica fu
il suo mausoleo (schema di tipo antico-italico) nel pieno del campo Marzia, che attraverso immagini
e inscrizioni celebrava le sue opere. Gli imperatori diventavano divi dopo la loro morte, Augusto era
ossessionato da quest’idea, per questo comincia da giovane a lavorare sulla sua tomba. Su due
colonne in bronzo all'entrata del monumento funebre erano incise le Res Gestae.

Furono inoltre costruiti e restaurati anche molti edifici pubblici, acquedotti, terme e mercati->
migliorie nell'approvvigionamento alimentare ed idrico. Fu oltretutto istituito un praefectus
vehiculorum, affidato all'organizzazione delle strade e delle comunicazioni.
Nel 22 a.C. una carestia colpì Roma e Augusto decise dunque di assumere la cura annonae. Nell'8 d.C.
in seguito ad un'altra grave crisi Augusto istituì la cura annonae come servizio stabile con a capo un
prefetto di ordine equestre, il praefectus annonae. Con la morte di Agrippa, che si occupava dei più
importanti servizi dell'urbe in quanto edile, Augustò creò un corpo di vigli del fuoco.
Il princeps divise l'Italia in 11 regioni, che servivano per il censimento delle persone e delle proprietà.
L'amministrazione delle province subì un cambiamento di natura politica. Le province che ricadevano
sotto la responsabilità diretta di Augusto erano quelle in cui si trovavano due o più legioni, tali
province venivano governate da appositi legati, i cosiddetti legati Augusti pro praetore, il cui ruolo
era di durata variabile su discrezione dell'imperatore. Nelle altre province di competenza del popolo
romano i governatori erano sempre i senatori scelti a sorte tra i magistrati che avevano ricoperto la
pretura ed il consolato.
Un'eccezione era costituita dall'Egitto, che era stato assegnato da un prefetto di rango equestre. Altre
piccole province che esigevano competenze militari specifiche furono rette da cavalieri (es. Giudea).
Fu creato un sistema per l'esenzione delle tasse più razionale, che mitigò lo sfruttamento vitale delle
requisizioni per le guerre civili ed esterne. I nuovi criteri presupponevano la misura dei terreni su cui
era imposta la tassa fondiaria, il tribunum soli, e il censimento della popolazione. I pubblicani
repubblicani furono aboliti sotto Augusto ed il loro ruolo viene affidato ai cavalieri, essi gestiranno le
entrate fiscali delle province come burocrati incaricati dallo stato. Ricevono uno stipendio altissimo
da parte dell'Impero, non devono più rubare per guadagnare, ma occuparsi in maniera corretta della
gestione finanziaria. Sotto ciascun burocrate si trova un officium, ai cui livelli più bassi troviamo i
soldati=> burocrazia equestre. Questo passaggio fu graduale, inizialmente accanto ai pubblicani
furono messi servi pubblici e i liberti, che a mano a mano prendono il ruolo principale venendo poi
sostituiti dai cavalieri, che hanno il nome di procuratores-procuratori imperiali.

Gli uomini impiegati nell'esercito erano di gran lunga superiori alle necessità ed ai mezzi dell'impero.
L'aerium Saturni era la cassa in cui confluivano le imposte regolari delle province, con le quali si
pagavano i soldati, ma i costi di liquidazione dei veterani era talmente alto, che in un primo tempo si
decise di dare terre, solo successivamente si diede anche denaro. Per permettere questo passaggio
venne creata una nuova cassa apposita, l'erario militare, che permise al soldato di ottenere il premio
di congedo e l'honesia missio (certificato di servizio). Il servizio militare nelle legioni fu riservato a
volontari, questi dovevano lavorarvi per oltre vent'anni divenendo veri e propri professionisti. Rimase
una forza permanente di 25 legioni.
Fu istituita una guardia pretoriana permanente, un corpo di élite militare composto da 9 coorti
reclutate tra i cittadini residenti in Italia. Questi avevano una posizione privilegiata (soldo più elevato
e migliori condizioni di servizio) essendo stanziati presso Roma.
Nelle truppe ausiliare furono inseriti corpi di cavalleria e fanteria. Al congedo, chi aveva lavorato come
militare o marinaio presso Roma otteneva la cittadinanza romana.
Augusto per un periodo iniziò una stagione di pace, preferendo affidarsi alla diplomazia per le
questioni orientali. In Egitto grazie ad accordi i confini si estesero fino allo Yemen. I confini con il
territorio partico vennero stabilizzati, creando stretti trattati di amicizia con i sovrani delle regioni
vicine e andando a creare dei "regni clienti" di Roma. In Armenia, fulcro di sfida ed interesse per parti
e romani, venne posto come re Tigrane II, anch'egli cliente di Roma.
Il teatro degli scontri militari fu l'Occidente: la penisola iberica fu pacificata; la Valle d'Aosta divenne
provincia romana; il confine danubiano fu stabilizzato con l'occupazione di Pannonia e
Mesia/Bulgaria, mentre il renano non fu mai stabilmente sottomesso.
I particolari poteri, che avevano creato l'auctoritas di Augusto non costituivano una vera e propria
carica dopo la cui morte qualcuno potesse succedere. Il principe per far sì che la sua posizione non
andasse perduta e rimanesse nella sua famiglia, senza imporre una svolta apertamente monarchica,
integrò nel suo albero genealogico l'ascendenza divina (Venere ed Enea-> sottolineavano il carattere
romano tradizionale della gens). Il ruolo di primo piano assunto dalla domus principis gli consentiva
di trasferire al proprio erede clientele e prestigio (base del potere). L'erede scelto avrebbe quindi non
solo ricevuto il patrimonio privato, ma un accesso privilegiato alla carriera politico militare, era
designato alla successione delle funzioni pubbliche del princeps. Augusto doveva dunque avviare
qualcuno al suo ruolo, dopo tante peripezie la scelta cadde su Tiberio, figlio, insieme al fratello Druso,
della sua terza moglie, dal matrimonio che questa ebbe con Tiberio Claudio Nerone. Il giovane sposò
la figlia vedova Giulia, che si vide costretto a lasciare, in quanto colpita da uno scandalo. Augusto fece
adottare a Tiberio il figlio di suo fratello, Germanico, e adotta a sua volta il futuro successore.
Tiberio ottenuto l'imperium proconsolare riuscì a sconfiggere i germanici e ottenere pari imperium a
quello di Augusto.
La politica culturale di Augusto trovava espressione nelle arti figurative e nella trasformazione
architettonica di Roma. La celebrazione della pace, della figura provvidenziale di Antonio e del suo
programma di restaurazione morale si manifestò in cerimonie pubbliche, nella monetizzazione e nella
letteratura, a partire dalla sua stessa autobiografia già precedentemente nominata, fino alle opere di
Tito Livio, di Virgilio (nell'Eneide celebra Enea come antenato dell'imperatore e ne profetizza il
dominio universale), di Ovidio, di Properzio e di Orazio=> dagli ideali della politica augustea fiorisce
una raffinata letteratura basata sui modelli della tradizione greca e declinata ai valori tradizionali
italici e romani.
Si istituisce un vero e proprio culto sulla sua persona con la celebrazione di giochi e con l'inserimento
del suo nome nelle preghiere. Nelle province orientali si stabilisce il culto dell'imperatore, in
Occidente se ne celebrava il Genio, ma mai direttamente per la sua persona. L’unico imperatore
ufficialmente celebrato come dio era Cesare.
I poteri di Gaio Giulio Cesare Ottaviano

 43-accolto come quaestoris e poi come consularis, ottenne il comando della guerra contro
Antonio. Dopo lo scontro fu salutato imperator dai soldati. Dopo la battaglia di Modena
morirono entrambi i consoli, venne eletto come console con collega; col sancimento del
triumvirato ottenne dei poteri straordinari

 38-prese il praenomen di imperator

 37-il triumvirato restò in essere

 36-dopo la vittoria su Sesto Pompeo gli venne offerta l'inviolabilità tribunizia perpetua ed il
diritto di sedere fra i tribuni

 32-la alleanza dell'Italia e delle province gli offrì dei poteri straordinari

 30-consolato; dopo la vittoria di Alessandria gli fu concesso il diritto di nominare i patrizi e di


concedere la grazia
 29-consolato; col trionfo sull'Illirico, Azio ed Egitto, operò una lectio senatoria e divenne
princeps del senato

 28-consolato con Agrippa; operò un censimento

 27-consolato; il 15 gennaio un senatoconsulto segnò la nascita di un governo imperiale,


conferendogli il titolo di Augusto e imperium decennale sulle province non pacificate

 31; 33; 26-24-consolato

 23-rifiutò la dittatura rinunciò al consolato e gli venne offerta la tribunicia potestas, il diritto
di convocare il senato con prima relazione e l'imperium proconsolare maius di intervenire su
tutte le province (importante novità-> assume il ruolo di comandante supremo dell'intero
esercito romano)

 22-accettò la cura annonae

 19-si prese cura delle leggi e dei costumi e accettò una censoria potestas per 5 anni

 18-13-con un ulteriore censimento e una lectio del senato, questo venne ridotto a 600
membri.

 12-divenne pontefice massimo per elezione comiziale

 11-ulteriore lectio senatoria

 8-rinnovo dell'imperium e ulteriore censimento; concesse a Tiberio imperium proconsulare


per 5 anni

 5; 2-consolato per introdurre possibili successori

 3; 13-rinnovo dell'imperium

 4-revisione della lista senatoria e adozione di Tiberio

 14-censimento

In sintesi, imperium vitalizio e tribunicia potestas (autorità di cui godevano i tribuni della plebe) erano
i maggiori pilastri della legittimazione dello straordinario potere del princeps.

Uno dei pericoli più grandi in cui si poteva imbattere all'interno dell’Impero Romano era di divenire
uno schiavo, erano frequenti i rapimenti di cittadini liberi cui veniva tagliata la lingua. Impossibilitati
ad esprimersi, erano venduti in luoghi stranieri.
Le fonti

Cassio Dione interruppe la sua narrazione storica proprio nel 27 dove scrisse un lunghissimo dialogo
fittizio (lo scrive 200 anni dopo), in questa narrazione Mecenate Agrippa e Augusto si riuniscono
attorno ad un ipotetico tavolo e discutono riguardo cosa fare, la tesi portata è di creare un regime
monarchico, l'antitesi sostiene la restaurazione della repubblica, la soluzione finale è la creazione di
un principato. Lo scopo di questa costruzione letteraria ha funzione di spiegare al lettore com'è
avvenuto il cambiamento.
Anche Augusto scrisse quattro libri, ma non ci sono giunti. Oltre a queste opere raccolse tutte le sue
gesta in un riassunto il Res geste di Divi Augusti. Questo testo venne inciso con la traduzione in greco
in tutti templi consacrati da Roma nelle capitali delle varie province. Quest’opera ci dà la versione
dell'imperatore stesso riguardo ciò che ha fatto e ci trasmette l'ideologia augustea attraverso le sue
parole ed espressioni. L'imperatore afferma che si è impadronito di tutto, egli dice di aver restituito
il potere al senato agendo in maniera coerente. Augusto cerca di far apparire reale l'autocefalia del
senato, per questo si dice come non altro che un principes, un primo tra pari, un collega degli altri
magistrati/di ogni magistratura. Solo l'auctoritas lo distingue dal consesso.

L'epigrafia in questo periodo rappresenta una delle maggiori fonti, il 90% di queste deriva dall'ambito
militare, che aveva un peso sociale ed economico all'interno dell’Impero Romano enorme.
La costituzione augustea

Augusto rinnova lo stato romano, ma è una forzatura parlare di costituzione augustea, perché, in
quanto costituzione, dovrebbe essere stata formata da un corpo costituente in un quadro e momento
specifico. Possiamo usare questo termine per intenderlo come la modifica dello stato dopo Augusto.
È importante ricordare, che ciascun cambiamento deriva da uno sviluppo progressivo.

Nell'ambito civile vige un regime formalmente repubblicano, il senato rimane. Augusto gli restituisce
le antiche e sane attribuzioni, che aveva prima delle guerre civili-> non lo innova, ma gli restituisce il
buon ordine antico. Il senato arriverà a raggiungere il numero di 1000. Augusto è censore, è lui ad
approvare la formazione del senato (consoli, pretori e questori), nonostante non possieda potestas
sulle funzioni civili si occupa personalmente di tutti i giochi di forza. Questa sua forza non è autorizzata
da norme, ma gli è attribuita grazie all’auctoritas.

L'auctoritas è un concetto nuovo sul piano politico. Questo termine non rappresenta solo l'autorità
civile, ma anche quella religiosa, insomma è il potere assoluto. Non è vigente per legge, è una sorta
un'autorità paterna, che pota il figlio ad obbedire (sudditanza psicologica). È grazie all'auctoritas, che
Augusto ha controllo su tutto-> realtà extra costituzionale di disuguaglianza.

L'esercito è formato da legioni del popolo romano e dalle truppe ausiliarie. Le legioni sono collocate
lungo i confini dell’Impero Romano (Reno, Danubio ed Eufrate), nelle regioni non ancora
provincializzate (Spagna) e nelle province non pacate.

Augusto distingue le province pacate da quelle non pacate, le seconde richiedevano per ragioni di
varia natura la presenza di legioni. Le province pacate sono prive di legioni ed eserciti, di conseguenza
formalmente sono svincolate dal controllo di Augusto, capo dell'esercito. Queste sono dette anche
dette senatorie, perché stanno al di sotto del potere del senato, i governatori sono autocefali.

Le province non pacate sono anche dette imperiali, perché essendo presenti all'interno di esse legioni
erano sotto il diretto controllo dell'imperatore. Augusto le gestiva in maniera virtuale delegandole a
magistrati superiori (consoli e pretori).

Le province pacate erano di scarsissimo livello ed erano controllate dai proconsoli (proconsules),
mentre le province imperiali, che generalmente sono in luoghi d'importanza maggiore, sono
controllate dai legati augusti propretore, ossia consoli e pretori delegati di Augusto facenti funzioni
pretorie. Le magistrature superiori sono a capo della direzione di ciascuna provincia. Essendo il
proconsole delegato da Augusto ha un imperium minore rispetto all’imperatore, nonostante
teoricamente siano pari.

I proconsoli sono tutti ex pretori tranne in due province piccole e ricchissime: Africa ed Asia, questi
territori venivano affidati a vecchi magistrati fidati, che vivevano in queste gabbie dorate senza la
possibilità di recare alcun danno.

I legati augusti propraetori assumono valore crescente maggiore è il numero delle legioni nella loro
provincia. Le due province maggiormente militarizzate erano Siria e Pannonia, entrambe venivano
affidate ad ex consoli. I governatori delle due grandiose province gestivano enormi eserciti ed erano
potenzialmente in grado di rovesciare il potere, per questo queste erano spesso luogo di numerosi
scontri.

La regione egiziana era la più ricca di tutto il mondo antico, la popolosità e la ricchezza di questo
territorio gli permetteva di resistere in maniera costante alle calamità naturali, e alle conseguenti
carestie. Roma estesasi fino a raggiungere un milione di abitanti, doveva sfamarli tutti. Augusto
ottenuto l'Egitto decise di approfittane per portarlo all’apice del sistema annonario dell'Urbe. Per
permettere che l'approvvigionamento avvenisse regolarmente si decise di alienare l'Egitto dal
sistema delle province e di considerarlo come un possesso privato dell'imperatore, dal punto di vista
pratico era come una provincia, ma tecnicamente era una prefettura governata da praefectus.
L'imperatore non voleva ci fossero senatori in Egitto, essi infatti non potevano accedervi per nessuna
ragione se non con un permesso speciale datogli dall'imperatore. Il prefetto che governava il ricco
territorio era un cavaliere. I cavalieri non possedevano imperium, eppure li compito da svolgere nella
prefettura lo richiedeva (in Egitto risiedevano tanti cittadini romani, su cui il prefetto deve
amministrare la giustizia). Non avendo senatori nella provincia sorgeva un altro problema: l'Egitto è
una provincia di confine circondata da molte turbolenze, dunque al suo interno vi erano due legioni
(dovrebbero essere comandate da possessori di imperium) e consistenti quantità di Auxilia. Per
rispettare le regole, senza incorrere in possibili rischi, l'imperatore dà ai cavalieri che lo necessitano
un imperium a scadenza: non appena termineranno il loro ruolo lo perderanno. I cavalieri che
governano giustizia e esercito al posto dei senatori sono noti come praefectus legionis.

Le province meno importanti venivano parzialmente aggregate alle province maggiori vicine. Questi
territori sono definiti come province procuratorie, ossia provincette in cui venivano mandati cavalieri
facenti funzione di governatori, che si appoggiavano alle province vicine per svolgere i ruoli che
necessitavano imperium. La più importante tra queste province è la Giudea. I procuratori che la
governavano si occupavano delle questioni giudaiche, il più importante tra questi è Ponzio Pilato. Lo
scoppio della grande rivolta giudaica avvenne a causa la cattiva amministrazione dei romani e
dell'imposizione, da parte di Nerone, di venerare il culto dell'imperatore. Questa rivolta fu sedata da
tutte le province d'Oriente unite sotto il controllo del comandante Vespasiano, il governatore di Siria.
Quando Vespasiano venne proclamato imperatore lasciò la Siria al figlio Tito, che conquistò
Gerusalemme e ne distrusse il tempo. La giudea divenne una provincia imperiale di campo pretorio,
una legione siriana viene situata al suo interno andando a costituire la Palestina.
Traiano, che decise di costruire un tempio a Giove Capitolino sulle rovine del tempio ebraico. Gli ebrei
dinanzi a questo progetto fecero scoppiare la seconda grande rivolta giudaica, che durò circa 10 anni.
Le fonti di questo avvenimento sono svariate, tra queste troviamo il talmud palestinese (libri giuridici)
e i papiri di Babada. Alla fine di questa rivolta sulla Giudea viene posta una seconda legione, diventa
provincia imperiale di rango consolare. Con queste restrizioni vediamo la morte della Giudea,
riprenderà vita solo in epoche successive.
La riforma dell’esercito

Augusto riforma l'esercito in maniera sostanziale, innanzitutto ridimensionandolo giacché era


esageratamente grande, poi dividendolo in due parti: le legioni e gli Auxilia. Nelle legioni troviamo
solo cittadini romani, mentre gli Auxilia sono formati dai provinciali. Grazie a questo nuovo sistema si
riesce ad avviare una forte romanizzazione delle province. I provinciali erano costretti a svolge un
servizio militare più lungo e meno pagato rispetto a quello dei legionari, ma alla fine del servizio
militare (28 anni) venivano premiati con grandi somme di denaro o di terre e con la cittadinanza
romana-> ciò permette l'avanzamento sociale della famiglia, che passava da una prima generazione
di ausiliari ad una seconda di legionari (ordine alla base delle future classi politiche).

Le legioni sono il corpo più importante dell'esercito, i romani dovevano prestare un servizio militare
di 25 anni. I campi legionari diventavano spesso una sorta di vere e proprie città, essendo in essi
presenti grandi gruppi di persone benestanti disposti ad investire nella costruzione di edifici. Gli
Auxilia non avevano questa possibilità aggregativa in quanto erano divisi in gruppi di dimensioni
inferiori (lavoravano anche nelle province pacate).

Al comando della legione c'è il legatus Augusti legionis (pretori), scendendo troviamo un tribunus
laticlavius (ordine senatorio), quattro tribunus angsticlavius (ordine equestre) e il praefectus
castrorum (terzo ufficiale nella gerarchia legionaria). Il primipilarius era il sergente maggiore, ossia, il
sottoufficiale anziano più importante di tutta la legione (rappresentanza delle grandi aristocrazie
cittadine). Tra i legionari troviamo: i centurioni (sottoufficiali), i duplicati, i sesquplicati e infine i
legionari-> il soldato svolge la sua carriera all'interno di quest’ultime categorie, non può accedere
(tranne in casi eccezionali) ai ruoli consolari, che si ottengono per nascita.

Le riforme augustee, da Ottaviano schematizzate, assunsero nelle epoche successive un valore


definitivo.

Le informazioni sugli Auxilia sono molto scarne essendo esse poco importanti, si pensa fossero circa
125.000 uomini divisi in 250 Auxilia. Augusto forma nuove unità di cavalleria, le corti, e di fanteria, le
alae. Con Adriano nasceranno le unità miste di fanteria e cavalleria, le cohortes equitatae.

Le due unità di cui ci sono giunte più informazioni sono due unità eccezionali, una situata a Dura
Europos, che venne conquistata dai persiani e distrutta nel 256 a.C. di cui si sono conservate alcune
pergamene, e l'altra nei pressi di Londra dove si sono trovate centinaia di tavolette in ceramica.

Sia le legioni che gli Auxilia hanno le estremità, ossia dei gruppi migliori e dei gruppi peggiori. Nelle
legioni i migliori erano i pretoriani, coloro che avevano cittadinanza romana e stavano in Italia,
praticavano il servizio militare per soli 15 anni e venivano pagati maggiormente, alla fine del loro
servizio ottenevano congedo, ossia dei diplomi militari metallici che sancivano il diritto di connubio:
chiunque avessero sposato avrebbe ottenuto la cittadinanza romana. La parte più sfavorita degli
Auxilia è costituita dalle flotte, abbiamo 2 flotte pretorie, una a Miseno e una a Ravenna unità militari
enormi collocate in Italia e governate da un cavaliere, il praefectus classis. Sotto di lui stavano i
navarchi seguiti dai centurioni e dai trierarchi

Abbiamo due ordini principali: l'ordine senatorio e l'ordine equestre. Durante la repubblica chi
possedeva un determinato censo e possedeva alcune caratteristiche di dignità apparteneva al ceto
equestre, quindi i figli dei senatori, fino a che non accedevano alla questura erano semplici cavalieri=>
i senatori si distinguevano dagli equites per aver intrapreso una carriera politica.
Augusto voleva distinguere le due classi, innalzò quindi il censo minimo per entrare in senato creando
due ceti ben distinti. Si stabilisce un vero e proprio ordo senatorius, al quale appartenevano solo le
famiglie senatorie.
La carriera senatoria cessò di comportare comandi militari tra il 253 e il 260.
La procedura dell'adlectio Augusto concedeva il diritto di entrare in senato anche chi non
apparteneva ad una famiglia senatoria.
I ranghi del senato non furono rinnovati da Augusto, continuano ad esserci due tipi di magistrature:
quelle maggiori e quelle inferiori, ossia quelle con imperium e quelle senza imperium. Per raggiungere
la questura (primo gradino negli ordini senatori) bisognava passare attraverso un apprendistato
politico-militare, praticato generalmente dai giovanissimi figli dei senatori.
Il cursus honorum equestre venne completamente rinnovato ed inventato da Augusto.
L’economia imperiale

Augusto crea nuovi circuiti economici stabili. Roma conia monete su tre metalli (bronzo, argento,
oro), le monete al tempo non avevano valore nominale, ma valore intrinseco, effettivo. Una moneta
coniata con un ridotto contenuto del metallo prezioso è adulterata, la si può riconoscere attraverso
la saggiatura della durezza. Il sistema plurimetallico implica un'problema di cambi, il sistema
trimetallico perfetto prevederebbe il corretto rapporto di cambio tra argento, oro e bronzo. Con i
pesi augustei, i rapporti di cambio vennero sistemati attraverso coniazioni regolari e misurate, il
sistema instauratosi permetteva la circolazione monetaria più o meno tranquilla. Il sistema augusteo
è leggermente sbilanciato a favore dell'oro, coloro che detengono oro diventano più ricchi di prima
cambiandolo. Le ragioni per cui Augusto abbia creato un sistema leggermente in favore della moneta
aurea non ci è ancora chiaro: potrebbe averlo fatto per sovvenzionare i suoi pari, o forse,
semplicemente, per un errore di calcolo. Questo periodo è anche conosciuto con la definizione di
luxus senatorio, i senatori avevano immense quantità di ricchezze grazie alla deflazione dell'aureus.

La moneta di bronzo era la più diffusa, per questo veniva coniata da varie zecche locali, mentre oro
e argento potevano essere prodotti solo a Roma.

Le nostre conoscenze riguardo l'economia romana di età imperiale derivano dallo studio delle
monete, in particolare di quelle di bronzo, queste essendo coniate localmente ci permettono di
compiere analisi microeconomiche. Per compiere un'indagine macroeconomica si analizza l'argento,
rappresentante della salute generale dell'economia romana. L'argento prende il nome di denarius
medio circolante, esso era usato per pagare l'esercito e la burocrazia imperiale (l'apparato statale).
La moneta d'oro è usata come mezzo di tesorizzazione, non rappresenta la parte dinamica e concreta,
era usata per pagare un gruppo apicale a capo dell'intero stato.

Il sistema trimetallico permise un'enorme estensione dell'economia monetaria, che continuò a


crescere fino alla grande crisi economica del terzo secolo. Lo sviluppo monetario raggiunto nel primo
e nel secondo secolo si ebbe nuovamente solo in età tardomedievale.

La riforma monetaria di Nerone favoriva i bisognosi a discapito dei grandi senatori. Egli desidera
ovviare al sistema difettoso attraverso una riforma ponderale (del peso). Abbassa tutti i pesi, ma non
in maniera proporzionale, svaluta l'oro a vantaggio dell'argento. La riforma di Nerone venne a lungo
criticata, ma rimase per tutta l'età del principato perché efficace.

La fase che seguì la riforma monetaria è nota come fase del super denarius. Lo squilibrio a favore
della moneta d'argento causa un ancora minore tesorizzazione dell'oro. Per riportare l'equilibrio
trimetallico è necessario rivalutare la moneta d'oro. Traiano conquista la Dacia anche a questo
proposito, egli vuole appropriarsi di enormi giacimenti d'oro per immettere un'immensa quantità di
monete d'oro nel sistema e stabilizzare la circolazione trimetallica senza il bisogno di modificare i
rapporti di cambio.

Dopo l'intervento di Traiano abbiamo un periodo di straordinaria stabilità monetaria, che permette
anche lo sviluppo di grandi scambi internazionali. Questa fase è conosciuta anche come l'età d'oro. Il
sistema trimetallico si rompe in maniera improvvisa, Marco Aurelio e Commodo fanno dei tagli,
cominciando coscientemente ad emettere moneta cattiva. Alcune testimonianze ci informano
dell'esistenza di un calmiere dei prezzi emesso da Commodo. La presenza di questo documento
testimonia la crescente inflazione di quel periodo.

Il contorniato era la moneta con valore di biglietto d'accesso che serviva per partecipare ai ludes, i
grandi giochi, in età imperiale.

Settimio Severo cambia il filo del denarius riducendolo del 50%. Caracalla fu artefice
dell'Antoninianus, una moneta che vale 2 denari, ma ha metà dell'argento di un denarius.

L'epidemia di peste di Marco Aurelio causò il crollo delle strutture economiche. L'epidemia che si
diffuse in tutto l’Impero Romano, portando alla morte di enormi quantità di gente, tra cui lo stesso
imperatore. Il calo della popolazione portò ad un conseguente calo dei contributi fiscali e alla
mancanza di operatori in determinati settori. Difronte alla diminuzione delle entrate bisognava
diminuire le uscite, costituite in particolare dall’esercito. I costi del personale militare, che era
estremamente necessario, vennero coperti dalle riserve.

A seguito di questo disastro non si ebbe più fiducia nella moneta e prese nuovamente piede
l'economia naturale. L’inflazione, inoltre, col conseguente l'aumento dei prezzi comportò la necessità
di aumentare gli stipendi. La carenza d'argento viene ovviata con la moneta di buglione rivestita poi
d'argento. Lo svilimento del potere d'acquisto nonostante i continui incrementi degli stipendi portò
all'avvento dell'anarchia militare. Nel tentativo di sottrarre all'inflazione almeno una parte dei
proventi militari nacque l’annona militare. Sotto Costantino il medio circolante diventa l'oro,
l'economia che va strutturandosi è di tipo verticistico. Il solido aureus anche se coniato in grande
misura non raggiunse mai il numero dei denari, in quanto era di valore molto superiore e circolava
all'interno di una società fortemente impoverita, lo si usava solo in determinate transazioni (beni
all'ingrosso). L'economia dell'oro riguardava quasi esclusivamente gli honestiores. La classe degli
humiliores non ne fa uso.
I Giulio Claudi

Alla morte di Augusto nel 14 d.C. Tiberio entrò in senato e acconsentì a prendere tutti i poteri e le
prerogative del padre. Da Tiberio fino al 68 il potere rimase all'interna della famiglia Giulio-Claudia,
discendenti dal ramo dei Iulii (Augusto) e dei Claudii (Tiberio Claudio Nerone).

La successione precostruita da Augusto non poté avverarsi, in


quanto Germanico morì e la successione andò a favore di Gaio,
detto Caligola, il figlio di Germanico e Agrippina. Caligola non aveva
condiviso l'imperium proconsolare, la sua designazione si basava
solo sulla linea famigliare. Gaio discendeva per linea femminile da
Augusto, per linea maschile dai Claudi e per casualità anche da
Marco Antonio. Alla morte di Caligola salì al potere Claudio,
estraneo alla famiglia Giulia. L'ultimo esponente della dinastia fu
Nerone, che entrò nella domus principis da una famiglia nobiliare
diversa, quella dei Domizi, il padre per adozione faceva parte della
famiglia Claudia e Giulia.
Tiberio (14-37)
Principe di scarsa popolarità, il suo governo fu una positiva prosecuzione di quello augusteo. Alla base
delle sue volontà si trova la decisione di rispettare le forme di governo repubblicano. Tiberio fu un
governatore accorto dello stato, capace anche di fronteggiare in modo adeguato le delicate congiure
economiche. Il sistema elettorale venne modificato, con il passaggio delle votazioni dai comizi al
senato. All'inizio del suo regno stabilizzò la frontiera renana, ma non proseguì con gli ampliamenti
territoriali. La morte di Germanico avvenne in circostanze misteriose nel 19, probabilmente fu un
delitto politico. Tiberio per impedire che proseguisse il suo disegno di conquiste in Germania lo
mandò in Siria, dove si trovò a condividere il comando con Pistone, tra i due insorsero gravi contrasti,
che si conclusero con l’omicidio del primo. Germanico era molto amato, riuniva in sé tutte le proprietà
fisiche e morali del perfetto imperatore.

Si ebbe una svolta nel regno di Tiberio nel 23, quando il prefetto pretorio Seiano, proveniente da una
potente famiglia di cavalieri, ottenne la sua fiducia. Questo legame si accrebbe fortemente e tre anni
dopo, quando il princeps decise di abbandonare Roma e di rifugiarsi a Capri, dove restò fino alla fine
del suo regno, il cavaliere riuscì a monopolizzare nelle sue mani i contatti con Tiberio e a dominare di
fatto la vita politica a Roma. La madre di Germanico riuscì a destare l'animo dell'imperatore rispetto
ciò che stava succedendo. Seiano fu arrestato, processato e giustiziato. A seguito di tutto ciò, non
solo ci fu una grave crisi economica, ma si aprì un periodo di terrore caratterizzato da suicidi, processi
e condanne. Nel 37, alla sua morte, Tiberio nominò eredi il figlio di Druso minore e il figlio di
Germanico Gaio. Il senato riconobbe solo il secondo, in quanto l'unico maggiorenne. Il secondo fu
presto eliminato.
Caligola (37-41)

Questo breve impero venne ricordato per le sue stravaganze e per una storiografia ostile. Gaio venne
accolto con grande entusiasmo, inaugurando una politica di donativi, grandi spettacoli e ambiziosi
piani edilizi che portarono all'esaurimento delle riserve finanziarie. Il senato era particolarmente
freddo nei confronti dell'imperatore e imputavano a Caligola oltre a malattie mentali, inclinazioni
verso il dispotismo orientale. Il principe faceva propri elementi della concezione orientale
monarchica.

Nel 40 fece uccidere il re di Mauretania, l'ultimo discendente di Antonio, facendo scoppiare una
guerra che si concluse solo sotto Claudio, con l'annessione al regno a Roma.

La politica estera ebbe come primo obbiettivo il ripristino degli stati cuscinetto in Oriente. Un conflitto
ingente si aprì con gli ebrei: l'imperatore volle una propria statua nel tempio di Gerusalemme,
suscitando protese nella popolazione. Questa richiesta aveva infatti risvegliato i violenti conflitti tra
ebrei e greci.

Il 41 Caligola cadde vittima di una congiura. La sua morte evitò che scoppiasse il conflitto con la
Giudea e pose fine ai dissidi nelle città orientali.
Claudio (41-54)

Le fonti ce lo presentano come uno sciocco inetto, ma la presentazione del suo regno sembra
affermare l'opposto.
La prima riforma da lui compiuta fu molto significativa. L'amministrazione centrale venne divisa in
quattro grandi uffici: un segretariato generale e altri tre per le finanze (a patrimonio), per le suppliche
(a epistulis) e per l'istituzione dei processi davanti all'imperatore (a libellis), a capo di ciascun
dipartimento si trovava un liberto.

Si occupò di cercare nuove soluzioni ai problemi di approvvigionamento idrico e granario, che


periodicamente affliggevano Roma. Costruì il porto di Ostia, un nuovo acquedotto, compì alcune
bonifiche e riammodernò le distribuzioni granarie, togliendo la responsabilità al senato ed affidandola
al prefetto dell'annona.

Fu concesso ai notabili della Gallia Comata il diritto di accesso al senato e venne dunque avviata una
politica d'integrazione e fondazione delle province. Venne concessa la cittadinanza ad alcune
popolazioni alpine. Conosciamo queste informazioni attraverso la Tabula Celsiana, un'inscrizione, e
ai numerosi diplomi militari, che certificano la prassi d'inserimento nella cittadinanza romana dei
soldati che avevano prestato servizio militare nelle coorti ausiliarie.

Claudio si trovò anche ad affrontare alcune questioni lasciate in sospeso da Caligola. I privilegi delle
comunità ebraiche furono ristabiliti, tutelando allo stesso tempo le istituzioni delle polis greche. Per
prevenire disordini gli ebrei nel 49 furono cacciati da Roma.

Nel 43 fu conquistata la Britannia meridionale. Claudio morì 11 anni dopo avvelenato dalla seconda
moglie, che tentava in tutti i modi di assicurare la successione al figlio.
La schiavitù

Alla base della concezione antica di società vi era l'assunto che vi dovesse essere un'articolazione e
una differenza formalmente riconosciuta dallo status giuridico delle persone.

La schiavitù era un fenomeno caratteristico della società e dell'economia. In Italia il 40% della
popolazione era composta da schiavi, la maggior parte di questi erano impiegati nell'agricoltura, ma
vi erano anche schiavi domestici, impiegati nelle attività artigianali e ancora schiavi di origine greca
molto istruiti, che lavoravano nell'ambito dei servizi terziari. Particolarmente importanti erano gli
schiavi imperiali, che si occupavano della gestione finanziaria e amministrativa del patrimonio
imperiale. Questi potevano raggiungere livelli di ricchezza e potere personale anche superiori a quelli
di molti senatori, con l'unica differenza di uno status giuridico molto basso.

Lo schiavo che riusciva a guadagnare libertà con il patrimonio personale che il padrone gli lasciava
acquisire o grazie a disposizioni testamentarie, rimaneva comunque legato al proprio ex padrone in
un rapporto di clientele e aveva delle limitazioni nella vita pubblica, nonostante ciò, i liberti
rappresentavano il ceto più attivo in vari settori dell'economia.

Un altro gruppo molto importante erano i provinciali liberi, che comprendevano gli abitanti delle polis
greche, dei villaggi dei Britanni e i nomadi del deserto.

Il princeps poteva promuovere i ceti dirigenti cittadini o intere città concedendo la cittadinanza
romana ai singoli individui per meriti particolari. Quello dei cittadini romani era uno status
privilegiato, che offriva particolari garanzie personali e l'immunità dalle tasse. Per i provinciali il passo
successivo di promozione sociale era l'accesso ai due ceti dirigenti: l'ordo senatorio e il ceto equestre.

Generalmente era necessario l'intervento diretto dell'imperatore per integrarsi nelle ambite carriere,
avevano una posizione di rilievo tutti coloro che facenti parte dell'esercito erano riusciti ad ottenere
la raccomandazione di ufficiali superiori. L'esercito accanto al denaro fu dunque uno dei fattori di
promozione sociale più importanti nel corso dell'età imperiale.

Nerone (54-68)

Il principato di Nerone fu impostato sul consolidamento dei poteri del princeps e


l'istituzionalizzazione della sua figura. Seneca, precettore dell'imperatore, evidenziò il mutamento
della concezione del potere del princeps nel De Clementia, un manifesto teorico di un programma di
governo, dove si affermava che ormai la res publica fosse nelle mani di una sola personalità. Nerone
progressivamente si inclinerà verso un'idea teocratica e assoluta del potere imperiale. L'interesse
artistico e culturale lo portò ad essere un grande ammiratore della Grecia, dell'Oriente e dell'Egitto.
Per questa e molte altre ragioni si scontrò col senato, che lo considerava un imperatore vicino alla
plebe che apprezzava l'istrionismo e la demagogia.

Ad oscurare la sua immagine ulteriormente ci furono l'omicidio del fratellastro e della madre, questa
si opponeva al suo divorzio con Ottavia per Poppea. Nerone sempre cercò di annientare l'opposizione
ed eliminare gli ultimi nobili che potevano minacciare potenzialmente la sua posizione. Del
dispotismo fu culmine l'incendio di Roma del 64, di cui furono accusati i cristiani. I costi per la
ricostruzione della città furono talmente alti da esacerbare tensioni e provocare forte perdita di
consenso. Nerone cercò di ovviare alla crisi finanziaria con un'importante riforma monetale, che
riduceva il peso e del fino della moneta d'argento, la principale.

In Britannia e in Giudea scoppiò una grave ribellione delle popolazioni locali, causata dal duro
comportamento dei procuratori imperiali impegnati nelle esenzioni fiscali, infatti, Nerone per
rimpinguare le tasche dello Stato avrebbe usato processi e confische, rendendo a sé più ostile anche
la nobiltà senatoria.

In politica estera godé di successi sul fronte orientale contro i Parti (l'Armenia sotto l'influenza
romana). Nerone partì per la Grecia per compiere una tournée artistica ed agonistica partecipando
ai vari festival, proprio durante i giochi di Corinto proclamò la libertà delle città Greche.

In Giudea era scoppiata una gravissima ribellione. Nerone aveva mandato Vespasiano4 in Giudea
perché riportasse sotto controllo la situazione, ci riuscì, ma nel frattempo scoppiarono una catena di
sollevazioni in tutto l'impero. Nerone venne dichiarato nemico pubblico e si suicidò. La sua fine segna
anche quella della dinastia Giulio-Claudia, rimasta senza una soluzione preordinata di successione.
Le fonti

Tutte le fonti storiografiche che abbiamo di questo periodo sono di tipo senatorio, provenendo dallo
stesso gruppo sociale esprimevano pensieri e pareri vicini. Tre sono in particolare gli autori principali:

4facevaparte della famiglia dei Flavi, una grande famiglia senatoria di italici (Umbria). Nominandolo Nerone esce dalla logica
fortemente aristocratica, allargando, seppur non in maniera stravolgente, la sempre più ristretta e anacronistica dinastia senatoria.
Cassio Dione (scrittore della storia romana che narra dalla fondazione di Roma fino al 229), Tacito
(contemporaneo di Svetonio-storico annalistico) e Svetonio (età Traianea-capo degli officia centrali,
gestisce tutta la corrispondenza dell'imperatore).

In oriente dopo la caduta delle monarchie si vanno a creare delle ierocrazie, ossia delle comunità
governate da un ristretto gruppo di sacerdoti a capo del governo-> si mantiene sempre l'idea che chi
governa è altro rispetto a chi è governato.

In occidente, secondo gli storiografi, l'imperatore non è altro che un primo tra pari, non è idolatrato.
Grazie anche alle scoperte archeologiche sappiamo però che non è esattamente così, infatti questa
visione è propria solo all'altissima classe senatoria, i comuni cittadini italici vedevano nell'imperatore
una sorta di divinità a cui costruire statuette e altre quisquilie religiose. Questo ci dimostra come la
storiografia sia portavoce solo di una strettissima minoranza.

L'oriente viene visto in maniera estremamente negativa. Cassio Dione è elleno, eppure quando ci
narra di eventi passati deve fare riferimento a storici fortemente antiellenici=> conosciamo la storia
tramite gli occhi degli storici.

Su Tiberio troviamo una voce fuori dal coro, quella di Velleio Patercolo, che ci offre un'immagine
dell’imperatore diversa da quella di Svetonio e Tacito, adorandolo. Ciò che giunge a noi è una visone
schizofrenica del personaggio.

Sono varie le ragioni per cui i senatori si ponevano in un atteggiamento così ostico nei confronti del
principes (il male ineluttabile):

 Sperano si ritorni al pieno potere del senato

 Sperano che l'imperatore senza figli possa adottare come successore un uomo con imperium
(un senatore)

 Sperano che l'imperatore concordi la successione con il senato, così scegliendo l'optimos.

In età giulio-claudia la dinastia prosegue all'interno della famiglia Giulio Cesaris e il senato si sente
fortemente escluso. Per questo gli storiografi criticano fortemente questa famiglia, osannando gli
imperatori morti e coloro che morirono prima di assumere ruolo di imperiale. L'atteggiamento nei
confronti degli imperatori successivi alla gens Claudia cambia, alcuni di essi verranno finalmente
considerati buoni. Vespasiano scrive una lex de imperium, un provvedimento legislativo che ribadisce
le capacità giuridiche dell'imperatore e legittima gli imperatori, il senato resta escluso.

Tito sarà particolarmente apprezzato per il suo enorme rispetto nei confronti del senato (rifiuta la
sua amante ebraica che vorrebbe sposare per ottenere il favore senatorio). Con l'età Antonina
iniziano ad accedere al senato anche gli orientali. Dal 96 in poi il senato può finalmente eleggere
l’imperatore. Gli imperatori Antonini saranno idolatrati, perché non avendo prole propria (tranne
Marco Aurelio) lasciano a senato ed esercito piena libertà di scelta.
La religione

La religione romana è ritualistica. Il ruolo centrale è detenuto dagli addetti al sacro, costoro agiscono
anche nell'ambito della società romana, che è permeata di religione in tutti i suoi aspetti. Paul Weine
dice che la religione romana sia teocratica, nel senso che i membri più eminenti dell'aristocrazia e
della classe dirigente sono facenti parte dei collegi sacerdotali. Questa interpretazione è
provocatoria, perché i romani non concepivano la divisione tra le due sfere.

Con Augusto inizia un percorso d’invenzione di una tradizione religiosa incentrata sul culto imperiale.
L'imperatore, se da vivo è un primo inter pares, da defunto assume una nuova funzione. Il ruolo
dell'imperatore si inserisce subito nella cornice del "paganesimo"/culto tradizionale romano, perché
questo manca di leggi, si basa su un insieme di pratiche, le une slegate alle altre, che creano tanti
sistemi aperti e non esclusivi.

Anche i culti orientali non sono esclusivi, ma oltre al rituale si evolvono con forme di iniziazione e con
una serie di procedure che permettono di salire di livello. Questi singoli culti a carattere iniziatico
hanno finalità soteriologica, ossia salvano l'anima.

Con l'arrivo del cristianesimo, il quadro diventa più vasto. Questa religione è una specializzazione
dell'ebraismo, un'airesis (divisione/parte) giudaica, che viene formandosi come religione strutturata
nel corso del I e II sec. Il piccolo gruppo di predicatori e seguaci dell'insegnamento di Gesù si dedicò
presto alla sua predicazione nelle comunità ebraiche della Palestina e nelle grandi città dell'impero.
Nel I secolo la figura che si impone è quella di Saulo, Paolo di Tarso, un fariseo impegnato nella
persecuzione della primitiva ecclesia, che si convertì repentinamente alla fede cristiana. Egli è la
figura simbolo della necessità di diffondere il vangelo tra i non ebrei. L'idea di una missione universale
della chiesa, rivolta all'umanità intera implicava una rottura con il conservatorismo giudaico. Sia
Pietro che Paolo furono uccisi da Nerone, diviene evidente il contrasto tra l'autorità imperiale e la
nuova religione cristiana, che era pericolosa, in quanto non poteva integrarsi con la religione
internazionale e col culto imperiale. L'autorità romana aveva affrontato la questione giudaica, senza
distinguerla tra i vari movimenti, ma considerandola un problema di nazionalità. In numerose
occasioni gli ebrei vennero visti come elemento di estraneità.

Traiano, nelle lettere che scambia con Plinio il giovane, afferma che: i cristiani non sono perseguiti,
non è un crimine esserlo, si possono perseguire solo se non rispettano il codice romano. Nonostante
ciò, ogni governatore poteva comportarsi come gli pareva più adeguato verso i cristiani, abbiamo
atteggiamenti differenziati. La politica religiosa è sempre molto generalizzata.

Con la crisi del terzo secolo il cristianesimo diventa crimine: dal 260 fino al 300 si concentra la grande
persecuzione cristiana.
La romanizzazione

Le persone di alto livello provenienti dalle province orientali (clienti imperatore) entrano nei processi
decisionali. Il senato e la società imperiale cambiano facendo nascere il grande movimento
intellettuale della seconda sofistica, questo canta in greco il successo totale del processo di
romanizzazione iniziato da Augusto. Roma ha agito come una grande nevicata sulle terre conquistate
smussando, ammorbidendo ed elevando le depressioni. Il motore principale della romanizzazione è
determinato dalla nuova struttura dell'esercito augusteo. Tra le aristocrazie si crea un rapporto di
mutua fiducia e si vanno eliminando le competizioni interne. In questo mondo apparentemente
"paradisiaco" possiamo osservare che la romanizzazione non sia che uno strato superficiale dietro al
quale troviamo la pluralità delle realtà diverse. Gli strumenti d'indagine per attingere a questa varietà
sono l’epigrafia e l'archeologia. Alla fine di questo periodo d’oro vediamo l’emersione delle culture
locali/nazionali=> la neve si scioglie e ciò che sottostava risale (III-IV secolo). Queste culture si fondano
sulle differenziazioni linguistiche queste già prima preesistevano, ma non erano scritte, e dunque non
le conoscevamo. Le aristocrazie si disgregano, abbandonano le lingue veicolari e iniziano a parlare e
scrivere nelle proprie lingue locali-> processo di democratizzazione ella cultura. La necessità di
scrivere lingue che fino ad allora esistevano solo come parlate nasce dalla cristianità, che si sviluppa
come una religione di tipo assoluto con un sistema di valori unico. Per trasmettere la parola sacra
bisogna tradurre tutti i testi sacri e le omelie nelle lingue nazionali.

I culti orientali, tra cui anche il cristianesimo, hanno specifiche caratteristiche sono soteriologici e
iniziatici. Questi culti nel II secolo aumentano e nel III secolo diventano dei fenomeni di massa con
sempre maggiore fama. Questo avviene perché nel III secolo si diffonde una tragica epidemia, che ha
un forte impatto psicologico. Il popolo cerca una religione che garantisca una salvezza dopo la vita
(problema centrale morte). In età severiana nascono 2 grandi religioni: il Manicheismo di Mani e il
neoplatonismo di Plotino. Il neoplatonismo pone la filosofia come carattere iniziatico e religioso,
Plotino insegna in greco la summa delle opere filosofiche come fondamento della nuova religione.
Mani e Plotino sono contemporanei=> momento di straordinaria trasformazione. Il manicheismo
morirà con l’avvento dell’islam, mentre il neoplatonismo anche se muore come religione resta come
forte corrente di pensiero. Il pensiero platonico è di tipo enoteista (uno che governa i molti), il cosmo
esiste secondo una materialità ordinata, quello che a livello cosmico è il sole sulla terra è
l'imperatore=> dava risposte ad una dinamica centrale durante la crisi di un intero sistema.

Con la trasformazione dell'impero da pagano a cristiano l'imperatore non è disposto a rinunciare alla
sua trascendenza, per questo si dichiarano come nominati da Dio.
L’anno dei quattro imperatori

Nell'anno tra il 68 ed il 69 si svelò un arcanum imperii (Tacito), cioè che la proclamazione di un


imperatore poteva avvenire anche fuori di Roma ed essere appannaggio dell'esercito. L'esercito e le
province assunsero un ruolo sempre più importante. La situazione era estremamente complicata, il
senato brancolava nel buio, solo due erano certe: che la dinastia dei Giulio-Claudi non sarebbe
proseguita e che chi sarebbe arrivato non avrebbe avuto il favore di Augusto.

La crisi del 69, che vide quattro imperatori, non è altro che la dimostrazione di quanto le legioni
fossero in grado di imporre il loro volere.
"…sotto Tiberio e Gaio noi fummo quasi il possesso ereditario di una sola famiglia. Il fatto che si comincia a essere eletti
può sostituire la libertà; finita ora la casa dei Giulio Claudii l'adozione sceglierà i migliori." Tacito, Storie

I quattro eletti furono:

Servio Sulpicio Galba-anziano senatore e governatore della Spagna venne proclamato dai suoi soldati
imperatore, ma egli rifiutò ritenendo che i militari non avessero alcun diritto a conferirgli tale titolo.
Richiese al senato di essere riconosciuto e accettò il suo nuovo ruolo, ma non seppe guadagnarsi la
popolarità e gli appoggi necessari per mantenere il potere.
Marco Salvio Otone-amico d'infanzia di Nerone e primo marito di Poppea. Dopo che i pubblicani
ebbero linciato Galba nel Foro venne riconosciuto dal senato come nuovo imperatore.
Contemporaneamente sulle rive del Reno le legioni proclamarono imperatore il proprio comandante
Aulo Vitellio.

Aulo Vitellio-senatore del rango consolare ottenne il sostegno degli eserciti delle Germanie. I suoi
legati riuscirono a sconfiggere le truppe di Otone e ad entrare in Italia. Vitellio riconosciuto
imperatore si trovò in grandi difficoltà a controllare la disciplina dei propri, che si diedero a saccheggi
e devastazioni. Le legioni Orientali e danubiane si ribellarono a Vitellio, proclamando imperatore
Vespasiano.

Tito Flavio Vespasiano-italico e figlio di un pubblicano dell'ordine equestre. La lotta tra i suoi
sostenitori e quelli di Vitellio provocò l'incendio del Campidoglio e l'uccisone dell'avversario.
I Flavi

Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi. Egli ha due figli che lo seguiranno al trono. L'idea della
trasmissione dinastica del potere sarà celebrata attraverso l'esaltazione della aeternitas imperii,
ovvero la stabilizzazione della successione imperiale. Tutti e tre si contraddistinsero per il rigido
impegno nell'amministrazioni imperiale.
Vespasiano (69-79)

Questo principato rappresenta il definitivo consolidamento dell'impero come istituzione. Egli fece
pubblicare un decreto senatorio, che definiva l'autorità del princeps e ne elencava tutti i poteri sotto
forma di semplice ricapitolazione e formalizzazione di tutte le prerogative dell'imperatore-> lex de
imperio Vespasiani. Con questo testo sappiamo che il princeps deteneva il diritto e il potere di agire
e di compiere tutto ciò che egli ritenga utile allo Stato conformemente alla maestà delle cose divine
e umane, pubbliche e private.

Fronteggiò il deficit nel bilancio, estese alcuni uffici della burocrazia ai cavalieri per affrontare la crisi
di reclutamento. Venne concesso il diritto latino alle città peregrine della Spagna e immessi in senato
numerosi esponenti delle élite delle province orientali.

Il denaro per la ricostruzione della città venne dal bottino della guerra Giudaica. Nel 70 Tito si
impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il famoso tempio. Furono annientati tutti gli ultimi focolai
di resistenza, ristabilendo definitivamente l'ordine nelle zone di confine. In Oriente abbandonò
definitivamente la politica dei regni clienti, aggregandone i territori alle province esistenti o creando
nuove province.

Tito (79-81)

Il breve regno fu funestato da gravi calamità naturali, tra cui l'eruzione del Vesuvio, l'incendio di Roma
ed una pestilenza.

Domiziano (81-96)

Il suo governo seguì uno stile di tipo autocratico, la sua azione politica fu efficace e benefica per
l'impero. Egli si occupò dell'amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e
di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre. Non attuò ulteriori conquiste, preferendo
operazioni di consolidamento della frontiera: i limes furono messi sotto il presidio di soldati ausiliari,
ed erano collegati tra loro da una rete di strade e forti. Si inaugurò così un sistema di difesa dei confini
adottato ed impiegato in tutto l'impero.

La Dacia fece varie incursioni nel territorio romano, non riuscendo a sedare la rivolta in maniera
definitiva Domiziano concluse un foedus con re dacio, in cui egli accettava la dipendenza dall'impero
in cambio di una somma di denaro. Nella Germania superiore ci fu una rivolta domata dal legato di
Germania inferiore, che vide la proclamazione di Saturnino come imperatore. Domiziano continuò a
sentirsi minacciato e inaugurò un periodo di persecuzione ed eliminazione delle persone sospette di
tramare contro lui. Il suo stile autocratico e la pretensione a farsi chiamare signore e dio gli costarono
molto caro, nel 96 cadde vittima di una congiura ed il senato fece abbattere ogni sua statua e
cancellare ogni inscrizione che riportava il suo nome, distruggendone il ricordo.
Il II secolo

Il II secolo è tradizionalmente considerato come l'età più prospera dell’Impero Romano. Ciò fu
possibile grazie alla rinnovata stabilità conseguita col regime successorio instauratosi con Nerva, che
dona il trono al migliore, piuttosto che al consanguineo. Il panegirico di Plinio il Giovane5 (100) è
segno eloquente del consenso verso il nuovo regime.
Nerva (96-98)

Il breve regno vide la restaurazione delle prerogative del senato e un riassetto degli equilibri
istituzionali interni. Le fonti per questo periodo sono limitate, basiamo principalmente la nostra
narrazione su quella dello storico greco di età severiana Cassio Dione e sulla fonte archeologica delle
monete, sulle quali troviamo messaggi propagandistici.

In primo luogo, Nerva si preoccupò di scongiurare il pericolo dell'anarchia, ottenendo giuramenti di


fedeltà dalle truppe provinciali. Abolì le misure più impopolari di Domiziano e avvallò in senato la
damnatio memoriae. Garantito l'ordine interno, Nerva iniziò un'opera costruttiva di politica
finanziaria e sociale: fu votata una legge agraria per assegnare lotti di terreno ai cittadini nullatenenti
e venne varato il programma delle istituzioni alimentari, che consisteva in prestiti concessi dallo stato
agli agricoltori, che ne beneficiavano accettando di ipotecare i propri terreni; l'interesse dell'ipoteca
serviva per sostentare i bambini bisognosi e dunque contrastare il calo demografico. Nerva sollevò le
comunità italiane economicamente, trasferendo alla cassa imperiale il costo del cursus publicus, ossia
il mantenimento delle strade. Il sistema idrico di Roma fu riorganizzato ottimamente.

Nel 97 si manifestarono i sintomi di crisi già presenti con Domiziano, accentuati dagli sgravi fiscali e
dalla politica sociale. I pretoriani chiesero la punizione degli assassini di Domiziano, a cui Nerva
acconsentì, così facendo punì però coloro che lo avevano portato al potere. L'unico sistema per
impedire una nuova disgregazione e lo scoppio di una nuova guerra civile era di designare un

5Governatore della Bitinia. Plinio attraverso le sue lodi per Traiano delineava il comportamento ideale del buon princeps, questi
avrebbe dovuto: dimostrare qualità personali civili e militari; stabilire un clima di concordia con aristocrazia e ceto equestre.
successore, che fosse in grado di affermarsi contro i pretoriani. Nerva allora adottò Traiano, uomo di
grande esperienza politica e militare, che lo succedette alla sua morte.
Traiano (98-117)

Traiano si recò a Roma solo l'anno successivo alla sua proclamazione, preferendo completare prima
il lavoro di consolidamento del confine renano. Agli occhi dell'opinione pubblica era la descrizione
dell'optimus princeps. Lo conosciamo attraverso la narrazione di Cassio Dione e le notizie trasmesse
dal Panegirico e dall'epistolario di Plinio il Giovane, che conversava con Traiano stresso.

Traiano è considerato una sorta di generale della Repubblica, in quanto diede forte spazio
all'espansione territoriale. Si occupò delle campagne daciche, riducendo la Dacia in una provincia,
questa regione era di centrale importanza, essa non era solo ricca d'oro, ma si trovava sul confine
orientale contro i Parti, dove passava la via di commercio per l'India. Questa conquista rappresentava
la volontà di Traiano di dare una soluzione militare ai problemi finanziari, il bottino e l'oro delle
miniere daciche servì per finanziare le spese pubbliche.

Sulla frontiera orientale venne annesso il territorio dei Nabatei, dove sorgevano le grandi città
carovaniere di Petra e Bostra, da cui venne istituita la provincia di Arbia. Nel 114 venne svolta una
campagna contro ai Parti, durante la quale fu annessa la Mesopotamia, l'Armenia, l'Assira e la stessa
capitale partica. Nessuna di queste conquiste ebbe però fortuna. Vi fu una rivolta in Mesopotamia,
che si estese velocemente anche nelle zone limitrofe, convincendo Traiano ad abbandonare le
conquiste.

L'imperatore morì in Cilicia, sul letto di morte adottò (o successivamente adottò la moglie) il
governatore della Siria, Adriano, acclamato dalle sue truppe.
Adriano (117-138)

Conosciamo Adriano grazie all'epitome di Cassio Dione e alla biografia contenuta nell'Historia
Augusta.

Discendente da una famiglia italica trasferitasi in Spagna, Adriano ebbe una fiorente carriera
senatoria a Roma, grazie anche al sostegno di Traiano. Adriano, subito dopo la sua proclamazione da
parte delle truppe e il riconoscimento del senato, abbandonò la politica espansionistica e il controllo
diretto delle nuove province orientali, affidandole a sovrani clienti. Sotto di lui si inaugurò una forte
politica di consolidamento interno. Adriano si preoccupò di alleviare il gran malessere economico,
cancellando i debiti arretrati contratti a Roma e facendo distribuzioni al popolo in Italia, proseguendo
il programma alimentare traianeo e reintegrando il patrimonio di chi aveva perduto il censo minimo.
"avendo di mira più la pace che la guerra tenne in esercizio i soldati come se la guerra fosse imminente" (Historia Augusta)

L'esercito fu rinvigorito nella disciplina. Il reclutamento provinciale venne favorito, in modo da far
fronte alla riduzione del numero di reclute italiche. Vennero create delle nuove unità chiamate
numeri.

Adriano fu uomo di grande cultura, con particolare predilezione alla ellenica. Fu appassionato
costruttore di palazzi e di nuove città, fece costruire per sé un mausoleo concorrente a quello di
Augusto. Venne restituito lo splendore alle polis greche dando impulsi non solo per la trasformazione
urbanistica, ma anche per la rivitalizzazione delle istituzioni. Le élite orientali furono promosse
all'interno del senato di Roma.

Adriano passò gran parte del suo regno a viaggiare attraverso le province, acquisendo una
conoscenza dettagliata, non solo delle diverse situazioni locali, ma anche dei meccanismi del
funzionamento finanziario ed amministrativo dell'impero.

Nel 132 scoppiò in Palestina una gravissima rivolta guidata da Simone Bar Kochba, che come un nuovo
Messia si pose al capo di una resistenza fatta soprattutto di azioni di guerriglia. La rivolta era stata
provocata dall'intenzione di assimilare gli ebrei alle altre popolazioni dell'impero attraverso la
fondazione della colonia di Aelia Capitolina su Gerusalemme. Qui Adriano avrebbe voluto essere
oggetto di culto di un tempio dedicato a Giove, sul sito del distrutto Tempio giudaico. La ribellione
ebraica subì una violentissima e spietata repressione.

Adriano si occupò di dare forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali.
Riorganizzò il gruppo dei propri consiglieri, introducendovi giuristi e prefetti del pretorio e
assimilandolo a un organo di governo. Per una più efficiente amministrazione della giustizia l'Italia
venne divisa in quattro distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare. In questo modo
intaccò però lo stato privilegiato dell'Italia (questo provvedimento venne abolito dal suo successore).

La carriera del ceto equestre fu riorganizzata attraverso tappe di promozione prefissate, venne
introdotta una distinzione tra la carriera civile e militare. Il campo d'azione dei cavalieri venne esteso
con l'impiego di procuratori equestri.

Per la successione Adriano adottò Lucio Elio Cesare, morto costui prematuramente la sua nuova
scelta fu il senatore della Gallia Narbonese, Arrio Antonino, il quale adottò a sua volta Lucio Vero, il
figlio di Lucio Elio Cesare e il nipote della propria moglie, Marco Aurelio.
Antonino Pio (138-161)

Al contrario del predecessore passò la maggior parte della sua vita in Italia. Il periodo in cui governò
fu privo di grandi avvenimenti. Il principe aveva buoni rapporti col senato e si dimostrò un
coscienzioso e parsimonioso amministratore.

Nell'età di Antonino Pio l'impero raggiunse il proprio apogeo nello sviluppo e nel consenso delle élite
delle province e delle città. I due elementi che caratterizzavano la natura dell’Impero Romano erano:
il processo d'integrazione dei ceti dirigenti provinciali attraverso il conferimento della cittadinanza
romana e la valorizzazione della vita cittadina. La città rappresentava il segno distintivo della civiltà
rispetto alla rozzezza e alle barbarie. Nell’Impero Romano vi erano una grande varietà di cittadine e
statuti. Civitates in Occidente e polis in Oriente erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali:

 Le città peregrine ossia quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione
all'interno dell'impero. Si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma:

 Le città stipendiarie-sottomesse a Roma pagano un tributo

 Le città libere-godono di diritti speciali concessi unilateralmente da Roma

 Le città libere federate-città libere che hanno concluso un trattato con Roma su un piede di uguaglianza
 I municipi, le città cui Roma ha concesso di elevare il proprio status precedente di città
peregrina, e ai cui abitanti è accordato il diritto latino o romano.

 Le colonie, le città in origine di nuova fondazione, con apporto di coloni che godono della
cittadinanza romana sulle terre sottratte ai vinti. La colonia adotta il pieno diritto romano ed
è organizzata a immagine di Roma. A partire da Claudio le città potevano ricevere lo status di
colonia onoraria, come riconoscimento del grado di romanizzazione raggiunto dalla comunità.

La gerarchia creatasi favoriva lo spirito di emulazione. L'evoluzione comportava l'integrazione dei


provinciali nell'impero. La cultura urbana promosse la collaborazione delle élite e assicurò stabilità su
tutto l'impero.

Le città rappresentavano il punto di riferimento delle attività culturali ed economiche, bisogna


comunque ricordare che le condizioni della vita urbana variavano da città a città. Mentre in Oriente
l’esperienza cittadina si basava su una già lunga tradizione, in Occidente ed in Africa spesso non vi
era alcuna cultura di tipo urbano la penetrazione romana risultò ulteriormente difficoltosa. La
complessità delle situazioni giuridiche delle città è solo un piccolo riflesso della molteplicità di culture,
tradizioni, lingue, religioni e identità che convivevano nell'impero.
Marco Aurelio (161-180)

Marco Aurelio appena salito al trono divise il potere con il fratello Lucio Vero. Questo fu il primo caso
di doppio principato.

Si riaprì la questione orientale con i Parti: la guerra condotta da Vero si concluse vittoriosamente nel
166, ma l'esercito quando tornò dall'oriente portò con sé tornando la peste. Inoltre, la frontiera
settentrionale, lasciata sguarnita, creò le condizioni ideali affinché i barbari del nord invadessero la
Pannonia, la Rezia, il Norico e assediarono Aquileia. I due imperatori si videro costretti a concentrare
tutte le loro forze nella difesa della frontiera danubiana e crearono appositamente la difesa avanzata
dell'Italia e delle Alpi. Lucio Vero morì, il suo compagno riuscì a ristabilizzare la situazione e a
respingere i barbari a nord del Danubio nel 175.

Marco Aurelio fu autore di un'opera di riflessione morale dal titolo A sé stesso, per questa ragione gli
è attribuita l'immagine di imperatore-filosofo. A succederlo sarà, per la prima volta dopo lungo
tempo, il figlio.

È importante ricordare anche la sua cruenta persecuzione contro i cristiani.


Commodo (180-192)

Già imperatore a 19 anni, Commodo, concluse definitivamente la pace con le popolazioni che
premevano sul Danubio. Egli fu conosciuto per le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza e le
sue innovazioni in campo religioso. Aveva pessimi rapporti col senato.

Dal 182 al 185 il governo fu di fatto in mano al prefetto del pretorio Perenne, ucciso, il potere passò
al liberto Cleandro, che mise in vendita i titoli delle magistrature e rovesciò le decisioni dei tribunali
in cambio di denaro. Per rimpinguare le tasche del senato confiscò i beni di senatori e cavalieri, e
sospese i sussidi delle istituzioni alimentari. Una grave carestia nel 190 lo fece cadere dal potere. Lo
succedettero per due anni, fino alla morte dell'imperatore, il cortigiano Eclecto e il prefetto del
pretorio Leto, che completarono il dissesto delle finanze e ordirono la congiura che pose fine al
principato.

Sotto il principato di Commodo vi furono importanti fenomeni d'integrazione della cultura provinciale
e l'accoglimento di molte divinità straniere, invocate a proteggere il principato e ad assicurare il
benessere dell'impero. Commodo si presentò inoltre come divinità in terra.
La crisi del III secolo
All'interno dell'impero si manifestavano diversi fattori di crisi ampliati dall'esautorazione del senato
da parte dei militari e dalla svalutazione della moneta, che causò l'impoverimento dei ceti medi.
L'inflazione e la crescita della pressione fiscale erano determinate anche dalla necessità di finanziare
un esercito sempre più esigente.

È al nuovo ruolo dell'esercito che si deve la trasformazione dell'ideologia del potere imperiale verso
forme sempre più assolutistiche. L'imperatore riconosce al senato la sola funzione di organismo
burocratico soggetto alla propria autorità assoluta. Gli imperatori militari di origine illirica risultarono
totalmente estranei alla tradizione del regime senatorio.

Seguì un periodo di regni effimeri, il potere era ottenuto da chi aveva il controllo delle forze militari
più ingenti:

Pertinace-tentò una restaurazione in senso filosenatorio.

Didio Giuliano-appoggiò le richieste dei pretoriani e mise la milizia di Roma al diretto servizio
dell'imperatore.
I severi

Settimio Severo (197-211)-generale africano mosse i suoi soldati alla volta di Roma e impossessatosi
del potere diede vita a una dinastia. Con lui inizia la monarchia militare, per cui la forza
dell'imperatore si basa sulla forza degli eserciti. Per prima cosa Severo pose attenzione alla frontiera
orientale nuovamente minacciata dai Parti. Riscosse successo impadronendosi della capitale nemica
e radendola al suolo. I suoi obbiettivi con questa campagna erano soprattutto di tipo propagandistico.
Successivamente Severo si trattene lungo tempo a Roma, fino a quando partì per la Britannia a
difenderne i confini, durante queste operazioni morì. La filosofia del governo di Settimio si può
riassumere nelle sue ultime parole:
"Andate d'accordo, arricchite i soldati e non preoccupatevi degli altri"

Sotto di lui era cresciuto il soldo, la paga dei sodati, ai quali vennero concessi privilegi e furono
allentati i divieti.

Caracalla e Gaeta (211-217)-già proclamati come Augusto e Cesare dall'esercito mentre il padre era
ancora in vita, furono la seconda diarchia romana, questa ebbe breve vita, infatti Caracalla uccise il
fratello. Nel 212 dispose la più importante riforma sociale dell'epoca imperiale: la Costitutio
Antoniniana (o editto di Caracalla) con cui concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti
dell'impero ad eccezione dei dediticii (i barbari non ancora assimilati). Con questo provvedimento
aumentò il numero dei contribuenti, il cui apporto era sempre più necessario, per coprire le spese
delle concessioni date ai pretoriani e ai legionari. Caracalla morì a seguito di una congiura mentre
organizzava una campagna contro i Parti.

La constitutio antoniniana (212) concede la cittadinanza romana a tutti i cittadini liberi


dell'impero. Questa modifica comporta la riscrittura di tutto il diritto romano, che si basava sulla
divisione tra cittadini e non cittadini. Il diritto romano per oltre tre quarti rinasce in età severiana. La
nuova società sarà ancora più gerarchizzata, caratterizzata da nuove barriere costituite da
honestiores e humiliores (questa divisone si basa sulla ricchezza).

Le testimonianze letterarie che abbiamo su questa legge sono scarne, alcune fonti dell’epoca non ne
citano l'esistenza o la raffigurano come un semplice provvedimento di tipo fiscale. È grazie all'eserto
di Ulpiano, un testo di materia giurisprudenziale, e ad un papiro egiziano contenente la costituzione
imperiale che sappiamo che Caracalla ha donato la cittadinanza romana ai cittadini liberi.

Macrino (217-218)- essendo il primo prefetto pretorio a venire proclamato rappresentava un segno
di svolta politica nella formazione dei ceti dirigenti. L'opposizione del senato e la scontentezza dello
stesso esercito che lo aveva proclamato fecero sì che il suo regno durasse un solo anno.

Durante la dinastia dei Severi emersero anche alcune figure femminili di rilievo tra cui la moglie di
Settimo Severo, Giulia Domna, e la sorella, Giulia Mesa. Quest'ultima riuscì a far sì che l'esercito
proclamasse dopo Macrino suo nipote Bassiano, meglio noto come Elagabalo.

Elagabalo (218-222)-con questo imperatore Roma visse uno dei momenti più oscuri della sua storia.
Elagabalo è ricordato per le sue innumerevoli stranezze, lo sperpero di ingenti ricchezze e per il
tentativo di imporre come religione di stato il Dio sole, venerato in Siria. Dati i suoi comportamenti
irresponsabili Giulia Mesa impose al nipote di associare al potere il cugino Bassiano. Prima che la
diarchia ebbe vita Elagabalo venne ucciso e suo cugino prese totale possesso del trono col nome di
Alessandro Severo.

Alessandro Severo (222-235)-siccome molto giovane, nei primi anni il governo fu nelle mani del
grande giurista Ulpiano. I rapporti tra imperatore e senato tornarono a essere improntati su uno
spirito collaborativo. Nel 224 in Persia si succedette la dinastia dei Sasanidi, che con forte spirito
nazionalistico, scatenarono un'offensiva contro la Mesopotamia romana. L'intervento di Severo in
Oriente bloccò i nemici. Subito dopo dovette recarsi in Gallia, minacciata da incursioni barbariche.
Nel 235 venne assassinato insieme alla madre.

Finisce così la dinastia dei Severi che aveva provocato un indebolimento della classe dirigente
tradizionale e aveva accentuato la forza dell'esercito.
Questo è un periodo definibile anche come età della destrutturazione, durante al quale si vanno a
distruggere tutte le riforme e le strutture precedenti.
Gli ordinamenti militari avevano perduto il loro senso dopo la legge di Caracalla. C'è una sorta di gap
che dura dal 212 al 285(Diocleziano), durante il quale non sappiamo come avvenga il reclutamento
dell'esercito. L'assenza di una norma condivisa è dovuta alla situazione generale di questo periodo,
che vede una profonda disarticolazione.
Durante il III secolo l'esercito vede due eventi che lo danneggiano dal punto di vista documentario:
innanzitutto la crisi economica, a causa della quale non si investe nella produzione di documenti; in
secondo luogo, la morte dei documenti più informativi delle epoche precedenti (es. i diplomi militari
non servono più-> l'ultimo diploma militare risale al 245 a.C.).
Fonti
Durante l'età severiana le fonti sono di buona qualità, abbiamo due principali storiografi: Cassio Dione
ed Erodiano6. Con gli anni '20 queste due fonti muoiono, le fonti storiografiche successive saranno
degli anni '60 e vedranno protagonisti gli epitomatori latini: Aurelio Vittore, Eutropio e un autore di
cui si è perso il nome. La storia nuova di Zosimo e Armano Marcellino trattano del III secolo per
essendo molto successive.
La fonte principale è dell'epitomatore anonimo, che redasse la historia augusta, una grandiosa opera,
giunta a noi integra, di biografie imperiali. La prima è quella di Adriano, l'ultima è di Costanzo, Cloro
e Galerio, i tre immediati successori di Diocleziano. Le biografie trattate sono 30 (manca quella di
Traiano, che venne fittiziamente persa) e sono scritte da sei autori, che non sembrano essere
realmente esistiti, i loro nomi sono solo citati e nascondono degli anagrammi, inoltre facendo
un'analisi del testo, si può osservare che tutti scrivono tutti allo stesso modo. Questa fonte non è
attendibile, perché si pone in maniera criptata difronte agli occhi del lettore.

Dallo studio delle fonti onomastiche si sviluppa la tesi mommseniana, secondo cui i dati delle storie
augusti sono reali, ma i nomi e gli anacronismi sono determinati da un redattore, che riorganizzando
successivamente tutta l'opera ne uniformò la scrittura. Probabilmente però fu scritta da un solo
autore agli anni '20 del V secolo, un imbroglione, la cui finalità è avere influsso politico sulla sua epoca,
parlando dei suoi imperatori attraverso i volti di quelli passati. Per rendere quest'opera utile alla
comprensione della storia bisogna capire come lavora il falsario.

L'unica categoria documentaria sicura rimastaci sono le fonti numismatiche, molto vaste a seguito
delle maree di monete che venivano in continuazione coniate, questa fonte di analisi è molto
importante, perché ci permette di comprendere le ragioni della crisi economica.

La patristica è la letteratura scritta dai padri della chiesa, molti di questi autori scrivono di questi anni,
e anche se non lo fanno con fini storiografici ci narrano comunque di aspetti culturali che ci servono
per capire il mondo e l'ambiente del III secolo. Eusebio di Cesarea, un vescovo cresciuto sotto
Costantino, scrive due opere chiave: La historia ecclesiastica (storia della comunità cristiana dalla
morte di Cristo fino a Costantino. Questa narrazione, per quanto settoriale trasmette il quadro in fase
di espansione nell'impero) e La vita di Costantino (enorme biografia in 4 libri, che citando documenti
originali narra della vita dell'imperatore in maniera completa).

L’anarchia militare (235-284)

Cinquantennio di lotte civili e militari, che portarono l'Impero sull'orlo del dissolvimento.

6 provinciale legato alla biblioteca di Alessandria, che narra la storia da Commodo in poi.
L'esercito proclamò imperatore l'ufficiale Massimino, egli ottenne successi nelle sue campagne
contro i barbari. La sua durezza e la forte pressione fiscale, permise al senato di dichiararlo nemico
pubblico (hostis publicus), egli fu il primo imperatore a non recarsi a Roma. Venne succeduto dal
proconsole d'Africa Giordano, che trovò presto morte. Il senato allora affidò il governo a venti
consolari, tra i quali vennero prescelti come Augusti Pupieno e Balbino, che morirono a Roma per
mano dei pretoriani. Gli assassini proclamarono il nipote di Giordano, Giordano III, che morì l'anno
seguente. Fu allora il turno di Filippo l'Arabo, un prefetto pretorio. Per prima cosa stipulò una pace
con i Persiani e malgrado il suo successo venne cruentemente ucciso. Venne acclamato dall'esercito
il prefetto urbano Messio Decio. Il suo breve impero fu caratterizzato dal dovere primario di
rafforzare le frontiere e la coesione interna, e il secondario di tornare all'osservanza dei culti
tradizionali. I cristiani furono fortemente discriminati e venne imposta una disposizione che obbligava
gli abitanti dell'impero a dimostrare la propria fedeltà ai culti con una dichiarazione, chi non aderiva
veniva condannato a morte. Morì nel 251 combattendo contro i Goti. Dopo una serie di brevissimi e
effimeri imperatori militari, salì al trono Valeriano, un anziano senatore, che subito associò a sé un
successore, il figlio Gallieno, a cui subito affidò il compito di controllare le province occidentali mentre
lui si batteva contro i Persiani. Durante la sua campagna Valeriano venne reso prigioniero dai nemici
e ucciso (260). I parti con la cavalleria pesante corazzata riuscirono a catturare 3 imperatori romani.

Gallieno rimasto solo si occupò di Alemanni e Goti allontanandoli, questa operazione gli costò la
perdita della Dacia. All'interno dell'impero si formarono due regni sparisti: quello delle Gallie (Spagna
e Britannia) e quello di Palmira (Siria, Palmira e Mesopotamia). Per porre rimedio alle continue
ribellioni dei comandanti militari di estrazione senatoria pose le legioni sotto il comando dei cavalieri
(concetto superato dalla prassi). Per la difesa delle frontiere costruì dei contingenti all'interno del
territorio imperiale con la funzione di unità mobili di difesa. La cavalleria passa dall’essere una truppa
ausiliaria di importanza inferiore allo svilupparsi in grandi unità di cavalleria, diventa la parte migliore
del nuovo esercito antico (controllate dal magister equitum) => si sta configurando un nuovo esercito.
In un'iscrizione funebre persiana fatta incidere da Shapour I nel 262 sulla sua tomba, le Res Gestae
Divi Saporis, il re narra in tre lingue (greco; medio-persiano; parto) delle opere da lui compiute. Il
sovrano scrive di aver sconfitto di un esercito di romani di goti e di germani-> battaglia di Mesiche
(Giordano III). L'esercito romano viene raccontato come di un esercito misto di romani e barbari.

Con l'uccisione di Gallieno andò al potere il suo comandante della cavalleria: Claudio II, il primo di
una serie di imperatori illirici. Ebbe successi contro gli Alamanni (avevano raggiunto la pianura
padana) e i Goti (erano riusciti a occupare Atene). Morto di peste, la sua opera venne completata di
Aureliano, che riuscì ad avere definitivamente la meglio delle popolazioni barbariche. Egli fece
costruire un'enorme cinta muraria, spessa 4 metri a Roma. Questa operazione edile è segno scottante
della difficile situazione in cui l'impero riversava. Aureliano riunificò sotto di sé anche i due regni
spartisti e restituì prestigio alla figura del sovrano, dando impulsi affinché venisse divinizzato. Ideò
anche una riforma monetaria, per la quale si introduceva una nuova moneta, l'antoniano, che
avrebbe sostituito la precedente ormai svilita. In campo religioso introdusse il culto ufficiale di Sol
invictus (avvicinamento dell'autocrazia militare ad una forma di teocrazia). Ucciso da una congiura di
corte nel 275 terminò il suo regno a cui seguirono quello del senatore Tacito e quello del soldato
Probo, quest'ultimo ottenne grandi successi sulla frontiera renana e danubiana. Il suo successore, il
prefetto del pretorio Caro, condusse a felice compimento l'operazione Persica iniziata dal suo
predecessore. Ucciso toccò la stessa sorte ai suoi figli.

Diocleziano (284-305)-nel 284 il potere cadde nelle mani di Diocleziano. Con il suo regno si chiude
definitivamente la crisi del III secolo e si apre un periodo ricco di riforme e novità. Questa fase è
conosciuta con il nome di Dominatio, differisce sul piano dell'organizzazione centrale, rispetto al
precedente Principato. Con forte volontà restauratrice Diocleziano restaurò lo stato a tutti i livelli,
riuscendo a garantire una migliore difesa alle regioni più minacciate. Egli stesso stabilì la propria sede
in Oriente a Nicomedia.

Il sistema concepito da Diocleziano vedeva al vertice dell'impero quattro monarchi, i tetrarchi, due
dei quali, gli Augusti, erano di rango superiore ai secondi, i Cesari. Il fine di questa spartizione era di
fronteggiare meglio le varie crisi regionali e di garantire una successione ordinata. Il principio su cui
la tetrarchia si basava era di cooptazione (assunzione di un membro in un corpo od organo collegiale,
mediante designazione da parte dei membri già in carica). La riforma prese piede gradualmente.
Diocleziano nominò Cesare Massimiliano, affinché gestisse la difficile situazione della Gallia. L'anno
successivo lo elevò ad Augusto e dopo 8 anni scelse due Cesari. Nessuno dei due imperatori risiedeva
a Roma, Massimiliano preferì Milano.

Il riordino dell'amministrazione fece crescere la burocrazia statale, aumentando gli uomini a diretto
servizio del sovrano. L'esercito fu ulteriormente potenziato e le truppe migliori furono messe a
disposizione dei tetrarchi. Diocleziano decise di aumentare il numero delle province, riducendone
l'estensione del territorio, per evitare che i governatori di queste diventassero troppo influenti.

La riforma monetaria consistette nella conazione di monete d'oro e d'argento di ottima qualità, ma
queste scomparvero velocemente dalla circolazione: la gente preferì tesorizzarle, giacché i denari
circolanti all'epoca non avevano corrispondenza intrinseca rispetto al loro valore nominale. Per
bloccare la continua ascesa dei prezzi Diocleziano impose nel 301 un calmiere dei prezzi (edictum de
pretiis).

Lo spirito conservatore dell'imperatore risaltò soprattutto in due sue scelte legislative: la tutela del
matrimonio (ritorno ai tradizionali valori romani morali) e la messa a bando della setta dei Manichei
(religione persiana). Egli promosse inoltre una violenta prosecuzione contro i cristiani, che durò dal
303 al 311.

Nella politica estera represse le rivolte d'Egitto e di Britannia e portò a termine una vittoriosa
campagna contro i Persiani. Nel 305, come previsto dal sistema tetrarchico Diocleziano e
Massimiliano abdicarono e al loro posto subentrarono i Cesari. Questo sistema entrò però subito in
crisi, con la morte di un Augusto (Costanzo) l'esercito ne proclamò imperatore il figlio Costantino.

I restitutores illirici

Tutti gli imperatori di breve durata che vennero proclamati durante l'anarchia militare furono
etichettati come restitutores illirici. Erano governatori molto conservatori, legati al denario e al
paganesimo, che vedono il male nell'innovazione, ricercano l'antico, ciò che una volta era buono;
credono che il crollo economico sia stato determinato da fattori religiosi (non si sono più predicati gli
dei). Sono imperatori soldati, con un livello culturale molto basso, che cercano di sistemare un edificio
che sta crollando scagliandosi contro i cristiani-> crimine ideologico. Centrale è l'operetta polemica
di Lattanzio: demortibus persecutorem cristianus (come sono morti i persecutori dei cristiani), che
narra della morte di tutti questi persecutori. I restitutores illirici erano così definiti, perché
provenivano quasi tutti dall'illirio, o per nascita o perché avevano combattuto in queste zone per
lungo periodo. L'Illirio era uno dei luoghi dove veniva effettuata la maggioranza degli arruolamenti,
nelle zone più avanzate come l'Italia non ci si arruolava volentieri in un periodo così rischioso. La
maggior parte dei soldati destinati a diventare imperatori frequentavano l'accademia di Sirmium,
dove ricevevano una formazione strettamente militare.

La barbarizzazione dell’esercito romano

Roma si rivolge fuori, arruolando le gentes externe. Non si può ancora parlare di barbarizzazione
dell'esercito, in quanto il reclutamento avveniva ad personam, ossia le persone esterne venivano
arruolate ed integrate all'interno di unità militari romane, e qui servivano per 25 anni. Questo
processo di arruolamento esterno era noto ai romani come exterminatio, perché il soldato al termine
del suo percorso si sente romano e perde la sua identità primitiva. Questo processo di reclutamento
avviene dal III secolo fino al 378, quando oltre alla sconfitta e alla morte sul campo di battaglia
dell'imperatore Valente viene distrutto tutto l'esercito in presentia. Teodosio incaricato a difendere
l'impero d'Oriente, sarà costretto a rispondere ai goti con una lunghissima trattativa, andare in
battaglia senza il supporto dell'esercito in presentia era impensabile. È in questo periodo, con la
sottomissione e l'arruolamento di interi popoli che avviane la barbarizzazione dell'esercito romano,
segno di un esercito decomposto dalla grande crisi economica.

Un altro grande fenomeno connesso a tutto ciò è la caduta del tabù dell'imperium: questo potere
perde valore, tanto che pure i pretori inizieranno a diventare imperatori. Durante l'anarchia militare,
con la proclamazione degli imperatori sui campi di battaglia saranno i comandanti ad assumere ruoli
una volta per loro inimmaginabili, entrando a far parte di una nuova aristocrazia militare.

L’annona

La storia economica romana è caratterizzata dal fabbisogno alimentare della megalopoli romana, che
contava un milione di abitanti. Nessuna circolazione di prodotti nel Mediterraneo antico è più
rilevante, qualitativamente e quantitativamente, di quella determinata dal servizio annonario per la
capitale, che coinvolgeva le varie province. La gestione del complesso di servizi finalizzati al
vettovagliamento di Roma era affidata alla prefettura dell'annona, ruolo gestito da un personaggio di
rango equestre. Annona significa rifornimento e conservazione di viveri essenziali necessari per la
sussistenza della città, soprattutto di grano, ma anche di olio, vino, pane e carne di maiale. La
domanda di vino era talmente alta, che non bastavano i vigneti dell'area tirrenica per controllarla, ma
erano necessari anche quelli della Gallia. Il fabbisogno di grano ammontava a 200kg annui pro capite,
ci si affidava a più aree di provenienza, anche consapevoli dell'instabilità dell'andamento dei raccolti.
La domanda molto forte sollecitava la produzione provinciale, l'alto costo del trasporto per terra
faceva sì che le rotte marittime fossero favorite. La presenza delle province sul mercato italico portò
ad un possibile declino dell'agricoltura in Italia, dovuto alla trascuratezza dei proprietari. L'incremento
dell'area di mercato sfavorisce le coltivazioni per l’autoconsumo e tende all'intensificazione delle
colture e alla loro specializzazione, fattori riconducibili alla parallela organizzazione delle ville. In Italia
si trova in particolar modo la villa schiavile, diversamente dalle province, dove vi era meno incidenza
del lavoro servile.

I circuiti regolari di scambi, soprattutto nel bacino del Mediterraneo, sono il risultato di una raggiuta
unità politica, che favorisce l'integrazione economica in ragione di un sistema fiscale basato sulla
moneta. Il grado di sviluppo conosciuto dall’economia romana durante l’età imperiale può essere
definito come una peculiare economia preindustriale.

Vi sono scritti di agronomia, nei quali è documentato il sistema di rotazione delle colture.

La sua prima riforma fondamentale di Diocleziano riguarda la riorganizzazione della annona militare.
Viene modificato profondamente il rifornimento e la rivalutazione dell'esercito.

Il problema centrale è che l'esercito viene pagato con queste monete di cattiva qualità dal valore
infimo, si decise quindi di stipendiare i soldati con beni in natura. Questa riforma era già stata
introdotta da Settimio il severo, ma veniva applicata in forma sporadica, ora invece viene sviluppata
sotto forma di un sistema organizzato, fisso e stabile. L’annona urbana e l'annona militaris sono molto
diverse tra loro: la prima non aveva influenze sull'ordinamento imperiale, mentre la seconda era
molto più complessa e comprendeva un ampio paniere di beni, tra cui strumenti di lavoro (armi) e
alimenti. I beni distribuiti ai soldati erano anche commercializzabili=> aumento in tutti i livelli
dell'economia naturale.

Sinesio narra in un'epistola del suo viaggio da Alessandria e Cirene, dove in mezzo ad una tempesta
si incrocia con le grandi nave alessandrine che portavano vasi di approvvigionamenti a Roma, sono
imbarcazioni enormi e stabili. Era facile portare materiale a Roma, perché era situata sul mare e già
da molti anni avvenivano questi trasporti.

Le annone militari invece dovevano arrivare ai confini. Si necessita di una grande riorganizzazione
fiscale, compito arduo dopo 50 anni di anarchia militare. Diocleziano immagina un sistema che venga
percepito dai propri sudditi come equo e giusto, grazie ad una formula fiscale straordinariamente
semplice, che toccava la popolazione rurale (produttrice di beni di prima necessità). La tassa imposta
veniva pagata in relazione al totale dei lavoratori e all'estensione del campo=> capitatio/iugatio:
rapporto di calcolo dell'annona militare. Il calcolo del tributo poteva avvenire solo a seguito di un
accurato censimento e catasto. Questa tassa ha un ruolo talmente importante che si userà come
sistema di datazione.

Siccome la voce principale di spesa dello stato è l'esercito, bisognava riorganizzare tutti gli organi
intorno a questa nuova distribuzione. Diocleziano organizza un sistema tetrarchico formato da due
augusti e due cesari. Questo sistema dura poco, però resterà con Costantino, che ne apporterà alcune
modifiche-> rinnovazioni dioclezianee giustinianee.
Ogni imperatore ha sotto di sé le province e un esercito che deve essere pagato. Per calcolare a
quanto ammonti questa spesa si fa una legge di bilanci preventiva, che valuta quale quantitativo di
beni servano per gli stipendi. Questa legge si chiama indizione annonaria, e con un ciclo indizionale,
viene calcolato quanto si dovesse riscattare in 10 o 5 anni.

I contadini pagavano le tasse alle città. Ogni città aveva una curia, ossia un corpo municipale locale,
che aveva il compito di gestire i propri territori e la capitatio iugatio, queste sono le unità
amministrative di base con cui l'imperatore dialoga (ultimo gradino dell’aristocrazia statale). Nei
luoghi dove le città erano molto sparse, venivano create delle curie in mancanza di città, ossia erano
riunite un insieme di persone ricche, che costituivano una curia rurale.

Gli honestiores sono tutti coloro che stanno tra l'imperatore e le curie comprese, al di sotto ci sono
gli humiliores-> bipartizione con cesura nelle curie.

Diocleziano aumenta il numero delle province perché erano troppo grandi per la modernizzazione
governativa. L'Italia perde il suo statuto speciale (-> provincializzazione dell'Italia), perché non
rappresenta più il centro dell'impero. Solo il prelium mantiene uno statuto specializzato.

Viene creata una nuova struttura intermedia tra le province e le nuove super amministrazioni
imperiali: le diocesi, 12 amministrazioni civili enormi, ognuna comprendente province sui confini e
centrali. I responsabili di queste si chiamavano vicari.

=> centro, diocesi (vicari-praesides), province (sui limes-ufficiali, duces; nell'entroterra-funzionari,


praesides), curie (responsabili del fisco per il conferimento dell'annona).

Ogni 5 anni si rifà l'indizione, che può restare invariata o meno. Costantino modifica il sistema ripartito
in quattro, istituendo quattro prefetti del pretorio tardo antichi, che permettono alle riforme di
Diocleziano di funzionare anche sotto un solo imperatore.

Con la morte del concetto di imperium, i governatori delle province vengono selezionati in quanto
laureati in legge, nasce una burocrazia legata agli officia.

=>imperatore centrale, 4 prefetti del pretorio (officia palatina-calcolo dell'indizione annonaria-delle


Gallie; di Italia ed Africa; dell'Illirico; dell'Oriente), 12 diocesi (vicari del prefetto del pretorio), province
(praesides), curie.

Le province non sono tutte uguali, ma sono ripartite tra: province ai confini (altamente militarizzate,
il cui governatore è un militare, un dux), e province interne rette dai praesides, senza truppe
limitanee. Questa ripartizione risponde ad un'esigenza di sicurezza dell'impero. L'esercito di confine
era dislocato in maniera capillare, mentre le grandi unità militari lavorano sotto la presenza
dell'imperatore=> si riescono ad evitare le usurpazioni.

Per imporre quest'ordine amministrativo efficacemente furono create delle squadre, che girarono
l'impero per misurarlo e censirlo approfonditamente sulle estensioni dei terreni, delle coltivazioni e
sul numero dei contadini e degli animali da lavoro che coltivano le terre.
Le curie

A livello centrale si fa l'indizione e i curiali anticipano al governo quanto devono, successivamente


vanno a riscuotere la somma dai singoli contribuenti. Questa è la ragione per cui la curia è composta
da persone ricche: perché sono responsabili fiscalmente di tutto il loro territorio. La differenza
rispetto ai pubblicani è che i curali restano sempre sullo stesso territorio, e sopraffacendo il contadino
rischiano che egli si impoverisca a tal punto da non potergli più restituire il denaro, causando la loro
declassazione sociale. I curiali sono ricchi generalmente perché possiedono grandi proprietà terriere.
Il territorio gestito da un curiale comprende una parte gestita da lui stesso e il restante gestito da
liberi contadini. Il contadino piccolo ma indipendente è formalmente autonomo, ma deve comunque
pagare al curiale la quota fiscale, come i suoi affittuari. La posizione del contadino dipendente (senza
mezzi di produzione) e quella del contadino indipendente si avvicinano, entrambi devono degli oneri
fiscali allo stesso curiale. Nascono così i coloni tardo antichi, legati a un rapporto di dipendenza nei
confronti della propria origio (origine-zona di possedimento). La differenza tra i due si instaura nella
quantità di contribuzione che devono versare: il contadino libero rilascerà la sola annona, mentre
l'affittuario sia l'annona che l'affitto. Il curiale è padrone dei coloni che dipendono da lui, e patrono
degli altri autonomi proprietari=> patronato tardo-antico.

La fine della curia tardo antica, rimasta intatta fino al VI-VII secolo, è causato dall'eccessiva rigidità
del sistema, che non includeva le difformità dei vari territori. I territori Orientali avevano scarso
terreno produttivo molto frequentato, le aliquote di tassazione in queste regioni erano molto alte,
ma i contadini essendo tanti pagavano poco. In Occidente la situazione era opposta: c'era tanto
terreno ma poca popolazione che si trovava a subire un forte peso fiscale. Da questa situazione
consegue l'impoverimento dell'Occidente e l'arricchimento dell'Oriente.

Due furono i principali motivi di stress, che portarono alla fine di questo sistema:

1. Gli equilibri potevano venire turbati da epidemie e carestie, non considerate dall'indizione->
i curiali si impoveriscono.

2. La crescita della proprietà ecclesiastica e il conseguente impoverimento dell'imponibile


fiscale. La chiesa ottiene velocemente molti terreni per via testamentaria (donarlo dava
vantaggi), il curiale si trovava a pagare anche per tutto il terreno acquisito dalla chiesa nel
corso degli anni dell'indizione.
Il sistema politico

Il princeps-I pilastri della legittimazione erano imperium e tribunicia potestas. Augusto sosteneva
nella sua bibliografia di aver restaurato la repubblica. Ci sono varie letture attorno a questa nuova
immagine, e al rapporto iniziale di questa con le altre magistrature. Alcuni sostengono si sia formata
una diarchia tra il senato e la nuova figura del principe, inglobata nel sistema delle magistrature, altri
che sia stata fatta una restaurazione della repubblica in senso aristocratico. La critica è divisa anche
riguardo la definizione dei poteri di Augusto, non si sa dire con precisione la natura dell'imperium in
rapporto con le altre magistrature, se fosse aequus o maius, consolare o proconsolare. La linea di
successione era formata da senatori promossi nel consesso sino a Massimino. Dopo il reclutamento
avvenne tra l'ufficialità equestre di origine provinciale. Dal punto di vista religioso il princeps deteneva
il pontificato massimo (monopolio sulla religione di stato e controllo degli auspici) e veniva divinizzato
dal senato su modello di Cesare. Col principato di Nerone qualcosa era cambiato profondamente
nella sensibilità politica, come possiamo intuire dalle parole del suo istruttore Seneca, il quale
sostiene che è stata la natura stessa a inventare il re (parallelismo ape), esso si astiene dal lavoro in
qualità di sorvegliante del lavoro altrui, una volta perduta la sua guida, tutto l'insieme è designato alla
disgregazione. Il re si differenzia, perché disarmato della sua ira.

Le assemblee popolari-In età triumvirale continuarono a votare sulle leggi e sui candidati alle
magistrature. Dopo la lex agraria di Nerone, non vi furono più leges votate dal popolo. In ambito
elettorale si era imposto il sistema delle raccomandazioni da parte del princeps. La nomina delle
magistrature passò nelle mani del senato. Tuttavia, l'assemblea si incontrava ancora per acclamare i
magistrati con imperium, come ci ricorda Cassio Dione. I candidati al consolato e alla pretura erano
indicati dalle centurie miste (senatori ed equestri) alle altre. Con Tiberio la procedura di selezione
delle candidature passò al senato. Il popolo era ancora chiamato a votare, per ogni nuovo princeps,
le necessarie ratifiche popolari dell'imperium e della tribunicia potestas.

La classe dirigente-La classe dirigente venne divisa in due ordini: quello senatorio e quello equestre.
Quello senatorio richiedeva un censo minimo. L'entrata poteva avvenire per concessione
dell'imperatore o per diritto ereditario. L'ordo nella sua totalità era più ampio rispetto al senato, in
quanto comprendeva le mogli e i discendenti in linea maschile. I senatori continuarono a rivestire le
antiche magistrature e promagistrature, divenendo anche incaricati particolari del principe, o
curatori di specifiche funzioni. Quello equestre richiedeva censo minimo e la nascita libera da due
generazioni, non comprendeva le donne e non era ereditario, l'annessione era esclusivamente
subordinata al princeps. Gli equestri rivestivano numerose funzioni in dipendenza dal principe, sotto
i nomi di prefetti e di procuratori. Nella cancelleria imperiale i cavalieri andarono a sostituire i liberti.
L'età di accesso al cursus senatorio diminuì, questo percorso era aperto ai senatori ed ai loro figli, ai
giovani cavalieri che presentavano la loro candidatura alle cariche inferiori e a coloro che erano stati
cooptati dal principe a vari livelli.

Il tribunato della plebe decadde, assorbito dalla podestà tribunizia.

L'influenza politica del senato si affievolì, nonostante dal punto di vista formale le sue prerogative si
accrebbero. Le funzioni che mantenne furono elettive e legislative. I senatori erano incaricati di
preparare una lista di candidati alle varie magistrature. L'assemblea divenne una delle corti di giustizia
incaricate di svolgere la nuova procedura della cognitio extra ordinem, ossia dei crimini in cui erano
implicati senatori. Con Commodo scomparve ogni traccia di attività giurisdizionale. I senatori
mantennero il controllo delle province senatorie, avevano il diritto di conferire la nomina al nuovo
principe. L'attività senatoria fu ampiamente regolata, questi potevano incontrarsi 2 volte al mese (idi
e calende). Il senato era generalmente convocato da un magistrato superiore o dallo stesso princeps.
Dopo le varie lectio la composizione si modificò drasticamente. Il numero dei senatori rimase 600. A
mano a mano che gli anni passarono il consesso si aprì agli aristocratici provenienti da zone esotiche
e distanti.

La legge e la giustizia-I poteri legislativi si accentrarono fortemente nella figura del princeps: "ciò che
il principe ha deciso ha valore di legge". Egli operava attraverso: editti (istruzioni ai cittadini
dell'impero); mandati (istruzioni a magistrati e funzionari); decreti (sentenze pronunziate dal
tribunale imperiale); rescritti (risposte alle questioni di diritto sollevate da privati). La lex Iulia
iudiciorum publicorum riordinò il sistema delle quaestiones perpetuae(gli organi giurisdizionali
giudicanti in materia penale). Una serie di disposizioni allargò il sistema in ambito penale, con una
regolamentazione dettagliata. Le quaestiosnes erano: fe adulteriis coercendis; de ambitu; de annona;
de maieste; de peculatu; de sicariis; de vi. Furono previste 4 decuriae di giudici, una di senatori, due
di cavalieri, una richiedente un limite censitario inferiore alle precedenti, per un totale di 4000
persone. Un nuovo processo criminale era la cognitio extra ordinem, si sviluppò attraverso due nuove
corti giudicanti: la corte del principe e dei consiglieri (reato non previsto o spettante ad altre giurie,
per cui ci si appellava al principe); la corte del senato, presesiduta dai consoli (crimen maiestatis o
crimen repetundarum. La decisione aveva la forma di senatusconsultum). L'ineguaglianza giuridica
tra cittadini fu sancita dalla direzione tra honestiores e humiliores. I primi avevano pene meno
tortuose, mentre i secondi erano sottoposti a supplizi e ai lavori forzati.

Le finanze-Restò l'antico erario, ma le difficoltà finanziarie si fecero sempre maggiori. Nel 6 Augusto
creò un erario militare, per pagare il congedo ai veterani di guerra in denaro, anziché in territori. Il
fisco incamerava le entrate delle province imperiali. Il fiscus cesaris era incaricato alla gestione del
patrimonio personale del principe. In età severiana il fisco assorbì definitivamente l'erario e il senato
venne escluso da questo compito.

Roma-La città proseguì il suo ruolo di centro e modello in questa fase. Fu divisa in 14 regiones, divise
a loro volta in vici, presiedute da edili, tribuni e pretori. Un ruolo centrale è rappresentato dalla figura
del prefetto urbano, aveva immensi poteri sull'ordine pubblico, giunse a gestire la cognitio extra
ordinem a Roma. Una nuova figura fu quella del prefetto dell'annona, che si occupava di provvedere
all'approvvigionamento cittadino e di alcune funzioni giurisdizionali straordinarie. Il prefetto dei vigli
era incaricato di fronteggiare gli incendi e svolgere il ruolo di polizia notturna. I prefetti del pretorio
si occuparono della giurisdizione d'appello nei confronti delle sentenze emanate dai governatori
provinciali. Alla dipendenza dei prefetti erano le coorti pretorie, la guardia armata dell'imperatore.

L'Italia-La penisola fu divisa in 11 regioni, a loro volta divisi in pagi. La nuova figura dei correctores era
incaricata del controllo delle finanze.

Le provinciae-Le province furono divise in due grandi unità: del popolo e del principe. Le prime erano
pacifiche e facili da governare, erano gestite da proconsoli estratti annualmente a sorte, affiancati da
un questore e da un legato, mentre le seconde richiedevano la necessità di presidii armati, erano
governate da legati Augusti propraetore e potevano essere di tipo consulares, praetoriae o
procuratoriae. L'Egitto rappresentava un'eccezione, ed era gestito da un preafectus. Il numero delle
province senatorie non mutò, mentre quello delle province imperiali si moltiplicò, non solo per la
continua espansione, ma anche per evitare la concentrazione di grandi eserciti nelle mani dei
governatori.

L'esercito-Si creò l'esercito stanziale, a presidio dei confini imperiali. Le legioni si ridussero a 25,
queste erano composte su base volontaria da 10 coorti di fanti e da una cavalleria di 120 uomini, la
durata del servizio era di almeno 20 anni. Gli ausiliari ottennero spazi nella fanteria leggera, nella
cavalleria e nelle truppe specializzate; il loro numero andò ad eguagliare quello dei legionari. A partire
da Claudio, i non romani ottenevano privilegi vari, tra cui la cittadinanza (testimoniato da i diplomi
militari). Furono istituite delle flotte stabili con equipaggi di liberti e non romani. Solo senatori,
magistrati o ex magistrati potevano condurre gli eserciti cittadini, ad eccezione delle legioni egiziane,
comandate da prefetti equestri. Gli ammiragli e i comandanti delle milizie ausiliarie appartenevano
all'ordine equestre.

La crisi del terzo secolo-Con questa espressione si definisce il periodo successivo al massimo
splendore, che termina con Antonino Pio. Una delle cause della decadenza fu individuata
nell'cristianesimo, una religione pacifica e alienatrice dell'originario senso civico. Altra causa
scaturante fu la peste antoniniana, che comportò la diminuzione delle entrate, concomitante
all'aumento della spesa statale. La moneta subì forti deprezzamenti. I risultati più evidenti della crisi
furono la formazione di elementi feudali, la sostituzione della manodopera servile con quella dei
coloni, la statalizzazione dell'economia e il retrocedere dell'elemento urbano di fronte al cittadino-
soldato.
Tardo antichità
Quella da Costantino a Giustiniano è una lunga età di transizione conosciuta anche come Tarda
Antichità. Questo periodo è negativizzato da due concetti: la dominatio e lo stato coercitivo, ossia la
superiorità dell'imperatore e la netta divisione tra i privilegiati ed i deboli. Il IV secolo si afferma il
cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero Romano. Una delle più grandi differenze rispetto al
passato è il distacco tra aristocrazia senatoria e imperatore, determinato dal fatto che Roma non
rappresenti più la sede ufficiale di quest'ultimo.

L'ordine dei cavalieri scomparve e venne assorbito in quello senatorio. I rapporti di forza cambiano,
il senato non ha più potere decisionale, anche se le tappe del cursus honorum continuano ad esistere.
Il nuovo ruolo dell'aristocrazia romana è organizzare giochi costosi e occuparsi degli
approvvigionamenti alimentari.

La società che si viene formando non è immobile, perché le possibilità di ascesa sociale sono fornite
proprio dalle necessità dello stato, nell'amministrazione e nell'esercito. La legislazione vincola alla
loro condizione o al loro lavoro ampie categorie di persone. Un'evento di centrale importanza è
l'affermarsi del patrocinium, ossia del patronato rurale dei grandi proprietari sui lavoratori alle loro
dipendenze.
Costantino (306-337) e la sua dinastia

Dopo Costanzo vennero proclamati Costantino e Massenzio, figli dei precedenti Augusti. L'iniziale
politica costantiniana era prudente, si ebbe una svolta nel 310, quando si decise di abbandonare ogni
legame con la tetrarchia. Costantino e Massenzio lottarono alle porte di Roma nel 312 per la
detenzione del potere. Il primo vinse e dichiarò che la vittoria era stata da lui ottenuta nel segno di
Cristo. L'imperatore dichiarò ufficialmente di aver abbandonato il paganesimo a favore del
cristianesimo. Possiamo supporre che Costantino si sentisse di portare con sé una missione, per la
quale voleva protezione ultraterrena. Questa conversione significò l'inserimento delle strutture della
chiesa in quelle dello stato.
Nel 313 Licinio e Costantino si accordarono a Milano sulle questioni fondamentali della politica
religiosa. Questo accordo, noto come editto di Milano lasciva libertà al popolo di praticare la religione
che maggiormente favorivano. I contrasti tra Licinio e Costantino furono da subito evidenti.
Costantino nel 324 riuscì a prevaricarlo definitivamente e diventare unico imperatore con la vittoria
di Adrianopoli. A seguito di questa vittoria ci fu la fondazione di Costantinopoli, la "nuova Roma", che
nel 330 divenne capitale, monda da qualsiasi contaminazione di paganesimo. Qui si stabilì anche un
senato, che non raggiunse, però, mai il prestigio di quello romano. Costantino ritenne inoltre che
Bisanzio si trovasse in una posizione, strategicamente migliore rispetto all'Italia.

Nel 314 ci fu il sinodo di Arles, col quale si volle sanare il contrasto tra rigoristi e moderati a proposito
dell'atteggiamento da tenere nei confronti di coloro che avevano abiurato durante le persecuzioni di
Diocleziano. Il concilio di Nicea del 325 vide uno scontro di natura puramente teologica, riguardo se
Cristo fosse o meno di natura divina. Il clero cristiano ottenne con Costantino dei privilegi, di cui due
particolarmente significativi:

 Esenzione fiscale dei beni ecclesiastici, in cambio dello svolgimento dell'opera assistenziale
statale

 Creazione di un tribunale ecclesiastico, al quale tutti coloro che si riconoscono nella cristianità
possono rivolgersi, quanto da esso verrà disposto ha valore anche per il tribunale civile

Con la nascita dell'economia ecclesiastica, si forma una sorta di stato parallelo in grado di fornire
giustizia e finanza. Il rapporto tra chiesa e stato si sposta a vantaggio dell'una o dell'altra in base
all'imperatore. Il cristianesimo si impone nelle zone più ardue in forma economica: l'economia
cristiana va ad affiancare quella statale.

La figura di Costantino rispetto alla chiesa è ben descritta da Eusebio di Cesarea, vescovo che pubblicò
Vita di Costantino. In questa narrazione si nota come l'imperatore fosse visto una sorta di vescovo
dei laici, un isoapostolo. Costantino si occupò anche dell'ottimizzazione dell'esercito, creandone uno
mobile, i comitatus o esercito in presentia, i cui soldati (comitatenses) ricevevano una paga più alta
rispetto agli altri. I soldati sul limes (limitanei) erano mal pagati.Una volta riassettati i ruoli militari
sorse alla luce un altro problema, la mancanza di soldati. I contadini erano vincolati dal loro lavoro,
non restava dunque altra scelta che reclutare i barbari.

La minaccia barbarica era infatti risultata talmente grave, che per risolverla oltre a combattere si
decise di assorbire le varie popolazioni nei quadri dell'organismo imperiale. Questo processo è
conosciuto come barbarizzazione della società. La morte di Costantino avvenne nel 337, egli
organizzò preventivamente nei minimi dettagli la sua sepoltura, ma non affrontò il problema della
successione. Si diffuse dunque un clima d'incertezza, in quanto non si sapeva quale forma di
sistemazione concreta l'esercito dovesse assumere.

I soldati proclamarono i figli del defunto: Costantino II, Costante e Costanzo. I quali governarono
rispettivamente: Gallie, Britannia e Spagna; Italia e Africa; Oriente. Il governo congiunto creatosi fu
breve. Costantino II e Costante morirono. Costanzo, rimasto solo, chiese al cugino Giuliano di
occuparsi dell'Occidente. Questi nominato Cesare ottenne un successo contro gli Alamanni e venne
elevato a Augusto (360). L'anno seguente Costanzo morì repentinamente. Giuliano aveva grandi
programmi, che trovavano capisaldi in una efficiente amministrazione e rivitalizzazione delle città,
ma non li potò a termine perché doveva terminare la guerra contro i Persiani e perché si erano
instaurate molte tensioni contro la sua prospettiva di restaurare il paganesimo. Il suo stile austero
non accolse mai le esigenze degli abitanti.

Alla morte di Giuliano il territorio persiano richiese la nomina di un successore per una rapida
soluzione del conflitto. Salì per brevissimo tempo Gioviano, che stipulò una pace a conclusione del
conflitto. Fu acclamato Valentiniano, un ufficiale, che da subito associò il fratello Valente cui affidò il
governo d'Oriente. La loro politica era di tolleranza religiosa e di sostegno delle classi più umili. Per
quanto riguarda la politica estera ci fu un efficace contenimento dei barbari e la repressione della
rivolta dei Firmo, una tribù africana. Morto Valentiniano venne proclamato il figlio Graziano. Valente
nel frattempo si trovava in una difficile situazione: dovette affrontare l'incursione degli Unni, ma fallì
miseramente, ottenendo definitiva sconfitta ad Adrianopoli nel 378, morendo. Questo momento
segna una cesura. Il declino dell'esercito era il riscontro della sua progressiva barbarizzazione.
Graziano rimasto solo chiamò l'imperatore spagnolo Teodosio a condividere con lui il trono, affinché
si occupasse dell'Oriente. Teodosio per prima cosa concluse un accordo (foedus) col capo dei
minacciosi Goti, questi avrebbe ricevuto terre all'interno dell'impero in cui si sarebbe gestito
autonomamente (foederati).

In occidente l'ufficiale spagnolo Magno Massimo invase la Gallia, dove regnò per qualche anno. Si
addentrò poi in Italia, dove Teodosio lo sconfisse.

Teodosio con l'editto del 380 elevava la religione cristiana a religione ufficiale dell'impero. Indisse
inoltre un concilio ecumenico a Costantinopoli, col quale promulgò una legislazione sempre più
severa nei confronti del paganesimo (legislazione antipagana). Il paganesimo è ancora difeso
dall'aristocrazia senatoria.

Tra il II e il III secolo i sistemi di gestione delle aziende agrarie subirono una profonda trasformazione.
La villa schiavistica aveva esaurito il suo ciclo come centro produttivo autonomo. La produzione
tendeva a essere decentrata su varie unità minori, sulle quali predomina la conduzione indiretta,
tramite grandi e piccoli affittuari. Questo avvenne anche perché con la rottura dei limes, a causa delle
incursioni barbariche, i commerci si circoscrissero in aree più ristrette. La rottura delle relazioni
commerciali all'interno del mediterraneo causò un netto calo demografico. Un altro importante
fattore per la crisi fu l'istituzione di più capitali, ciascuna delle quali richiedeva particolari fabbisogni.
La crisi causò un accresciuto fiscalismo.
L’imbarbarimento delle pene

La Tardo antichità è un vero e proprio periodo storico, che segna la linea di demarcazione tra Antichità
e Medioevo. Il suo inizio può essere posto con la tetrarchia o con l'età severiana, mentre la sua fine
si pone, per l'Occidente con l'invasione longobarda (568), e per l'Oriente con la fine del regno di
Giustiniano (565). Questa è un'età di forti contraddizioni, malgrado la cristianizzazione della società
e della legislazione. A Costantino si deve la costituzione del 316, che tra le varie cose estendeva la
tortura ai curiali in caso di falsificazione dei documenti. La pena detentiva cominciò ad essere a essere
comminata per reati per i quali prima si sarebbe stati multati o esiliati. La condanna a morte vide
l'attuazione di una più crudele esecuzione=> imbarbarimento delle pene. Questo processo fu
determinato anche dalle difficoltà incontrate dall'amministrazione centrale nell'applicare le leggi e
dal venir meno delle rigide procedure che frapponevano il sistema giudiziario. Un esempio della
crescente crudeltà nell'applicazione delle pene trova testimonianza in un abbecedario per scuole,
che cita:
"L'interrogante lo colpisce col martello, gli lacera il petto. Viene appeso (…) è battuto con le verghe, è frustato, passa
attraverso una serie di torture e continua a negare la sua colpevolezza. Deve essere punito. Viene emanata la sentenza
nei suoi confronti e viene portato via per essere decapitato."

La somministrazione delle pene differisce pro qualitatae personae: honestiores e clero cristiano, che
possono pagare per il loro crimine rispondono ad esso con una sanzione economica, mentre gli
humiliores si redimerano solo attraverso pene corporali.
Il ruolo imperiale

Il sovrano, dopo la crisi del III secolo, cerca una forma di legittimità alternativa al senato cui ci si
potesse appellare per tenere a freno gli eserciti. Il popolo poteva fornire sostegno diretto, ma era
necessario trovare uno strumento che fissasse in termini chiari e stabili a chi deteneva il potere. Il
cerimoniale acquisì il ruolo delicato di riassumere in un codice di comportamento quello che il popolo
si attendeva dal senato. Il sovrano rappresentava la legge vivente, quale incarnazione della perfetta
giustizia, ma al contempo il suo potere poteva essere irresponsabile, perché non doveva rendere
conto a nessuno=> non si sottrae alla legge, la incarna. La legge era l'intermediario tra il re ed il
popolo, che attraverso l'imitazione di questo seguiva la via del dovere. Il sovrano aveva indubbia
esigenza di una dimensione sacrale, poiché il suo potere interferisce direttamente con quello
religioso. Religione e regalità sono gemelle, poiché la religione è il fondamento della regalità e la
regalità è la custode della religione.

L'imperatore tardo antico è tale per grazia divina. Diocleziano utilizza questo fondamento teologico
per ridare vigore al vacillante impero. Costantino accentuerà l'immagine del sovrano religiosamente
superiore, anche in virtù della duttilità della religione cristiana. La bellezza del monarca, immune alle
umane manchevolezze, era un criterio della vivace fisiognomia (disciplina pseudoscientifica che
attraverso la fisiognomia pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo
aspetto fisico) a cui Costantino dava molta importanza, controllando l'immagine che circolava di lui.

Eusebio contribuì al culto di Costantino come santo con la Vita di Costantino. La santificazione era un
modo per mettere tra parentesi ogni questione politica e per creare un modello politico definitivo di
sovrano sottratto alla contingenza storica. Giuliano aveva rappresentato Costantino come un
dissoluto, che cercava nel cristianesimo la religione che gli garantisse il perdono dei peccati.
Nell'opera Sulle cose della guerra, di un autore anonimo, è presa aspramente di mira la politica
monetaria di Costantino, che avrebbe comportato un ulteriore impoverimento dei ceti più deboli.

Giuliano tentò di promuovere il ritorno al paganesimo. Oltre a ricorrere a misure di discriminazione


nei confronti del cristianesimo, si impegnò in un complesso disegno di riforma della religione pagana
tradizionale. Giuliano riconosce la forza del proselitismo cristiano in virtù della sua organizzazione
assistenziale e cerca di ripristinare il primato del paganesimo in questo campo, come possiamo
leggere nella sua lettera al sacerdote della Galizia Arsacio.

Il dibattito più alto tra cristiani e pagani si situa nel 384, e vide opposti il vescovo di Milano Ambrogio
e il prefetto di Roma Simmaco. La questione è il ripristino dell'altare della Vittoria in senato, che era
stato levato da Costanzo II e posto da Augusto. Quell'altare aveva valore simbolico e coinvolgeva
direttamente la funzione stessa dell'aristocrazia senatoria romana, ancora pagana, nei complessi
equilibri dell'impero. Ambrogio ne rifiuta il ripristino.
I Goti

I Goti erano la forza predominante nella regione del Ponto (Asia minore) ed erano divisi in due
raggruppamenti: i Visigoti (occidente) e gli Ostrogoti (oriente). Le relazioni tra i Goti ed i romani erano
intermediate dal trattato di pace del 332 di Costantino, che faceva dei Goti uno stato cliente dei
Romani. Questo foedus poneva le condizioni per l'impiego di barbari goti come soldati al servizio di
Roma. Questo accordo rappresentava un'importante novità per lo stato di Roma, perché non era
frutto di un successo militare. Il trattato del 382 consentì definitivamente l'insediamento dei Goti
nella Tracia. Questa situazione ebbe importanti risvolti sociali. L'integrazione di individui, popolazioni
e tribù è stata una prassi usuale, in particolare i Germani hanno una presenza sempre maggiore
nell'esercito, il loro influsso ha dunque valore anche nella politica interna, potendo guadagnare
posizioni sempre più alte nelle gerarchie militari. L'impiego di barbari come coloni sulle terre
dell'impero era un'usanza già precedente, ma con Costantino si stabilisce il primo vero e proprio
nucleo di barbari entro i confini dell'impero. Solo eccezionalmente veniva concessa ai barbari
cittadinanza romana, infatti si voleva mantenere reciproca estraneità tra barbari e romani. Venne
creata anche un’apposita legislazione per ostacolare l'integrazione dei nuovi arrivati, che vietava i
matrimoni misti. La Chiesa rispose alla questione barbarica sconsigliando i matrimoni misti per evitare
la disparità di culto nella coppia. Le delibere conciliari non si interessano ai barbari in quanto tali, ma
in quanto eretici. Possiamo notare dalle leggi di Onorio (successore di Teodosio), le quali
comminavano gravi pene a chiunque assumesse modi di vestire o acconciarsi tipici dei barbari, che il
problema barbarico assunse un'accresciuta rilevanza proprio come problema d'integrazione ai vari
livelli sociali. I Goti continuarono a mantenere la loro struttura tribale.
La divisione dell’impero e la caduta dell’Occidente

La morte di Teodosio nel 395 segnò un momento decisivo di svolta, per la prima volta l'impero fu
diviso territorialmente, l'Oriente andò nelle mani di Arcadio, mentre l'Occidente nelle mani di Onorio.
Non solo c'erano due imperatori, ma due coorti, due amministrazioni e due eserciti autonomi. La
parte Orientale doveva affrontare i Persiani, mentre l'Occidente era costantemente minacciato dalle
frequenti incursioni barbariche. Teodosio per assicurarsi che tutto andasse secondo i suoi piani affidò
al generale di origine vandalica Stilicone la tutela dei due figli. Questo represse una rivolata in Africa,
dimostrando grandi capacità militari.

All'inizio del V secolo una serie d'invasioni barbariche scosse l'impero alle sue fondamenta. L'Italia fu
invasa dai Goti nel 402 e nel 406. Stilicone fu in grado di fermare la loro avanzata, ma non tardarono
a presentarsi invasioni anche sulla frontiera renana, che dilagarono fino alla Gallia meridionale. La
Britannia si staccò definitivamente. Stilicone cercò in tutti i modi un compromesso, ma accusato di
intesa coi barbari fu messo a morte. Perso il generale più capace l'Italia fu abbandonata nelle mani
del re visigoto, che nel 410 entrò a Roma e la saccheggiò, la città per la prima volta dopo lunghissimi
secoli cadeva nelle mani nemiche. I Goti si ritirarono nella Gallia meridionale, dove istituirono un vero
e proprio stato.

Nell'autunno del 425 alla testa dell'impero d'Occidente fu posto Valentiniano III. La dinastia
teodosiana ristabilì così la propria sovranità su entrambe le parti dell'impero (Costanzo era stato
imperatore d’Occidente per alcuni mesi nel 421).

I Vandali posero fine all'Africa romana, occupandone un lungo tratto di costa attraverso lo stretto di
Gibilterra, anche Cartagine cadde e la corte ravennate (nuova capitale), riconobbe il suo nuovo regno.
Privo di coesione interna il regno vandalico durò poco più di un secolo: fu conquistato da Giustiniano
e inglobato nell'impero d'Oriente nel 534.

La situazione dell'impero era estremamente precaria, Valentiniano III fu assassinato e nel 455 Roma
fu saccheggiata per la seconda volta. Mancavano le forze per tentare un'azione che avesse qualche
probabilità di successo. Maggiorano, imperatore d'Occidente a metà del 400, fu l'ultimo a tentare
una riscossa militare, a lui seguirono una serie di imperatori effimeri e privi di potere.

La fine dell’Impero Romano d'Occidente avvenne nel 476, quando l'imperatore Romolo fu scacciato
da un capo barbarico, Odoacre, che non rivendicò il titolo di imperatore, preferendo restare re del
popolo. Due sono le spiegazioni date alla caduta dell'impero, una monocausale e una pluricausale. La
prima punta ad evidenziare una sola ragione fondamentale per la crisi, mentre la seconda ricerca
fattori, che in parallelo abbiano contribuito al crollo.

L'Africa romana godette ancora di un ventennio florido dopo la caduta di Roma.

Agostino scrisse un trattato, Sulla città di Dio, secondo cui è lo stesso Impero Romano che costituisce
il problema, perché la formazione di un domino universale corrisponde ad un disegno di Dio.
I regni romano barbarici

L'imperatore d'Oriente Zenone cercò di porre riparo alla situazione attraverso l'intervento delle
popolazioni barbariche amiche. Il re dei Goti, Teodorico, scese in Italia nel 488 con la missione di
eliminare Odoacre. Nel 493 compì il suo compito. Inizia così il regno ostrogoto dell'Italia. Gli ostrogoti
rappresentavano una minoranza ristretta, inquadrata secondo gli ordinamenti germanici, con un
enorme peso politico e sociale. Teodorico cercò di mettere in atto una forma di collaborazione tra
Goti e Romani, attraverso una serie di leggi che regolavano i rapporti su una base di sostanziale
eguaglianza. Il re goto aveva grande ammirazione per l'eredità romana, tanto che fece costruire il suo
mausoleo a Ravenna (sant'Apollinare Nuovo). Questo regno fu positivo per la penisola e si ebbe anche
una prima ripresa economica. Purtroppo, la collaborazione tra Goti e Romani a lungo andare si rivelò
impraticabile anche a causa delle ostilità religiose (Goti ariani). Nel 526 Teodorico morì lasciando il
trono alla figlia Amalasunta. Dato che la politica di conciliazione tra le due popolazioni risultò
impraticabile, la corte di Costantinopoli cercava un pretesto per intervenire in Italia, l'occasione si
presentò con l'uccisione della regina gota.
L'età di Teodorico e la sua positività fu vanificata dalla guerra greco-gotica, che non permise la
solidificazione della situazione economica. Questa situazione ci è presentata da Procopio, storico
bizantino del VI secolo.

Nella storia delle invasioni barbariche in Occidente si possono distinguere due fasi fondamentali:

1. I popoli penetravano all'interno dell'Impero dopo lunghe peregrinazioni e poco numerosi si


stanziavano in zone limitate delle province, organizzati secondo le proprie tradizioni
diversamente dal resto della popolazione romana del territorio.

2. Le popolazioni già stanziatesi ai confini dell'impero entrarono all'interno imponendo la


propria organizzazione alla popolazione romana.

La vita dei regni barbarici sorti con la disgregazione dell’Impero Romano d'Occidente conobbero
vicende assai diverse. Alcune popolazioni avevano ambizioni espansionistiche, mentre altre dovevano
difendersi per la propria sopravvivenza. Con l'accordo del 406 si dava per la prima volta la possibilità
d'insediarsi all'interno dei confini imperiali.

Il regno visigoto di Tolosa riuscì a conquistare quasi tutta la Spagna e la Provenza. Questo è il regno
barbarico che conservò più a lungo le strutture politiche ed amministrative dell’Impero Romano. Il
più importante regno barbarico è quello franco, favorito anche dalla conversione al cristianesimo di
rito cattolico, che gli diede accesso all'integrazione con gli esponenti dell'aristocrazia gallo-romana.
Nell'Europa del nord le azioni di pirateria condotte dai germanici portarono all'occupazione di
territori sempre più vasti, nel corso di questo lungo processo di occupazioni si arrivò alla nascita della
Britannia anglosassone.

Le peculiarità del regime misto instaurato in questi regni romano-barbarici si coglie nell'evoluzione
delle raccolte giuridiche. Sia il regno visigoto che quello burgundo si preoccuparono di disciplinare
giuridicamente le loro condizioni con delle codificazioni specifiche, aggiungendo anche delle norme
valide solo per la componente romana.
La religione

La realtà religiosa era molto varia: i Romani dei ceti più alti avevano aderito al cristianesimo, mentre
la maggioranza dei barbari era cristiana di credo ariano, in Britannia erano pagani.

A livello amministrativo ogni regione conobbe realtà differenti. In taluni casi avvenne una piena
fusione, in altri si realizzò un dualismo amministrativo, con romani e barbari sottoposti a gerarchie
differenti. Dei barbari all'interno dell'impero registriamo significative manifestazioni d'interesse per
una collaborazione. Si auspicava ad una fusione tra la cultura romana e la potenza militare gota, si
evolse l'idea di un regno gotico d'Italia, che mantenesse il carattere politico romano applicato alla
nuova comunità.

Nel 470 la Gallia fu interamente occupata: i Franchi occupavano il nord, i Visigoti il sud-ovest e altre
popolazioni avevano insediamenti minori un po' ovunque. L'aristocrazia gallo-romana vedeva come
principale carattere la contiguità tra carriera politica ed ecclesiastica.
Una delle conseguenze delle invasioni germaniche nel V secolo fu l'affermarsi del monachesimo in
varie forme. I monasteri ebbero centrale importanza come centri di cultura. Il sistema scolastico era
entrato in crisi e la cultura classica era conservata solo dall'aristocrazia laica. L'istruzione cristiana
avvertiva l'inconciliabilità dei valori morali del cristianesimo con quelli degli scrittori pagani. La cultura
che sopravvisse era esclusivamente legata alla lingua latina. Nel VI secolo venne definitivamente a
meno qualsiasi forma d'istruzione pubblica, i monasteri assunsero l'onere di mantenere l'istruzione
e la vita culturale. A tal proposito è importante ricordare la monastica benedettina.
L’alimentazione

Nella penisola ci furono svariati cambiamenti, a partire dalle città fino all'alimentazione. Vennero
crescentemente abbandonate le colture mediterranee a favore del ritorno dell'economia di
montagna (silvo-pastorale).
Bisanzio

In Oriente alla morte di Arcadio nel 408 gli successe al trono Teodosio II, un bambino in vece del quale
governò Antemio, il prefetto pretorio. L'Oriente dovette fronteggiare il pericolo barbarico
rappresentato dalla popolazione Unna, per fortuna l'impero riuscì ad uscire da questa difficile
situazione senza rilevanti perdite territoriali, anche i Persiani furono tenuti a bada.

Teodosio II è conosciuto per la sua attività di riordino della giurisprudenza. Nel 438 promulgò il codice
teodosiano. La vita di Bisanzio fu travagliata soprattutto dalle controversie di natura religiosa relative
alla natura di Cristo e da problemi di natura finanziaria, in questo periodo si succedettero: Marciano,
Leone e Zenone. La situazione critica fu affrontata con successo da Anastasio (491-518), che realizzò
un'importante riforma delle strutture fiscali. Gli succedette Giustino e dopo ancora, il figlio,
Giustiniano.
Giustiniano (527-567)

Questo regno è ricordato per l'importanza delle sue riforme e per il suo importante progetto di
riunificazione dell'impero. Esso rappresenta l'estrema conclusione del regno antico.

Nel 528 egli costituì una commissione che aveva il compito di predisporre una nuova raccolta di
costituzioni imperiali, il Codex Iustinianus. Una seconda commissione fu incaricata di un'ampia scelta
di scritti dei più illustri giureconsulti, il Digesto. Fu inoltre pubblicato un manuale con i fondamentali
principi giuridici a uso degli studenti. Tutte queste parti formano il Corpus Iuris Civilis.

Nel 532 scoppiò il tumulto di Nika, che venne represso con estrema durezza, questo evento sottolinea
quanto gravi fossero le difficoltà interne all'inizio del regno. Le controversie dottrinali proseguirono
e si cercò di mediare tra ortodossi e monofisiti, Giustiniano non riuscì a portare un'effettiva
conclusione al problema. Gli insegnamenti pagani vennero proibiti e la scuola d'Atene fu chiusa.

Nel 533 il generale Belisario si occupò della riconquista dell'Occidente. Già da subito mise Africa,
Sardegna e Corsica sotto il controllo Bizantino. La guerra per il domino dell'Italia durò dal 535 al 553,
e alla sua conclusione la penisola venne dichiarata una prefettura dell'impero d'Oriente.
Nel 554 Giustiniano emanò la Prammatica sanzione, che stabiliva le modalità attraverso le quali
andava ristabilita la vita politica ed economica italiana dopo i lunghi anni di guerra. La composizione
etnica italiana cambiò drasticamente in questi anni di battaglia: i latini si ridussero a meno della metà,
mentre gli orientali si triplicarono.

Costantinopoli era diventato un vivace centro della vita imperiale, con giochi, cerimonie e corse dei
carri. Il re e la sua corte vivevano all'interno di una cinta muraria isolata dalla città. Nel passaggio dal
mondo romano al mondo bizantino si realizzò in primo luogo l'affermazione di un saldo e autonomo
apparato burocratico. Il governo dell'imperatore non era più retto da magistrati, ma da burocrati,
cioè da funzionari con carriere e funzioni specifiche al servizio diretto dell'imperatore. L'impero
bizantino era uno stato fortemente centralizzato. I funzionari, preparati su conoscenze generali,
formavano un corpo unico ed erano legati all'imperatore con un giuramento solenne.

Il potere imperiale, in quanto di origine divina riuniva e legittimava gli altri. L'imperatore era
circondato da un complesso di simboli, che lo differenziavano dai suoi sudditi. In particolare, il rosso
fiammeggiante della porpora nelle sue vesti, identificava lui e la sua famiglia, che per questa ragione
era definita di porfirogeniti. L'inaccessibilità della persona dell'imperatore era fondamentale
nell'ideologia bizantina del potere. I rapporti sociali erano regolati secondo un taxis, ossia secondo
un ordine cosmico voluto da Dio, per il quale si esige, che ciascuno rimanga alla condizione che gli è
stata assegnata.

La mimesis è uno degli ideali che i bizantini devono perseguire, e consiste nell'imitazione di un
modello. L'imperatore aveva come modello Gesù Cristo. Le icone sacre nascono proprio con questo
obbiettivo.

La Chiesa aveva delle specifiche gerarchie: nelle città operavano i vescovi, nei capoluoghi delle
province i metropoliti, nelle città importanti gli arcivescovi e nelle tre città maggiori dell'impero
(Costantinopoli, Antiochia e Alessandria) i patriarchi. La diffusione della religione nella società
avvenne grazie al monachesimo bizantino, lo possiamo intravedere dalle opere agiografiche, che
documentano il numeroso ed importante esempio dei santi-monaci che lavoravano come mediatori
all'interno dei villaggi. Le istituzioni assistenziali principali erano delegate in mano della Chiesa. Le
forme di filantropia furono le tipiche manifestazioni della virtù imperiale. Vennero costruiti
orfanotrofi e luoghi di ricovero. I poveri ricevettero notevole spazio all'interno della legislazione
giustinianea, vennero visti e analizzati come una categoria sociale affermata nell'ordine economico.
Per arginare gli scandali morali e i disordini urbani i poveri vennero posti a lavorare la terra o, se
originari della capitale, impiegati in attività di interesse pubblico.
Il sistema politico

Il dominus-L'impero assolutistico fondato da Diocleziano cancellò quanto restava della res publica.
Senato e magistrature furono completamente esautorate, l'Italia perse ogni privilegio fiscale ed
amministrativo. Il garante dell'unità territoriale era l'imperatore, che come essere sacer emanava su
tutto e tutti la sua autorità. Con l'avvento del cristianesimo l'imperatore iniziò ad essere considerato
rappresentante terreno di Dio, tanto che gli venne attribuito dall'episcopato greco il titolo di
tredicesimo apostolo. Con la salita al potere dei figli di Teodosio si creò una diarchia che caratterizzò
le fasi successive dell'impero. Nel medioevo venne usata impropriamente la falsa "donazione di
Costantino", che attribuiva all'imperatore la decisione di offrire al vescovo di Roma il potere
temporale sull'Italia e sulle altre Chiese. Teodosio rinunciò al ruolo di pontefice massimo e venne
spesso sottoposto ai voleri del vescovo di Milano Ambrogio.

Gli istituti del potere centrale-La burocrazia assunse un ruolo sempre più ampio. L'imperatore era
responsabile di tutte le nomine necessarie per accedervi, col tempo le raccomandazioni iniziarono ad
essere acquistate. Il centro del nuovo sistema era il comitatus, un apparato militare e burocratico che
lo accompagnava negli spostamenti. Una delle figure principali era il consistorium, il nuovo nome del
consilium principis, che svolgeva funzioni consultive e di assistenza, amministrava la giustizia, le
entrate e le varie aree di competenza in cui l'impero era suddiviso. I membri di diritto, all'interno del
precedente organo, erano i 4 ministri palatini (magister oficiorum-capo della cancelleria, era preposto
a tutti gli uffici, noti come scrinia; quaestor sacri palatii-il principale consigliere giuridico
dell'imperatore, da lui dipendevano gli audiutores; comes sacrarum largitionum-suddiviso in scrania,
vigilava il tesoro centrale e i donativi a popolo ed esercito; comes rerum privatum-era incaricato di
amministrare il patrimonio della corona e il patrimonio personale dell'imperatore; praepositus sacri
cubiculi-il gran ciambellano di corte, soprintendeva al palazzo reale, alla servitù e alla camera
dell'imperatore), i prefetti del pretorio, i senatori e i comites consistiorii.

Roma, Costantinopoli, le altre sedi imperiali, il senato e le magistrature-Costantino consacrò


ufficialmente Costantinopoli, come la nuova Roma, fondata secondo l'antico rito pagano e con molte
conformità geo strutturali (7 colli; foro; campidoglio), qui vi aveva sede la corte e i due eserciti campali
d'Oriente. Il suo intento era presumibilmente quello di creare una capitale fresca delle novità
dell'impero e slegata dalle passate. Anche l'Occidente vide una nuova capitale nel 402, Ravenna.
Roma mantenne la sua densità di popolazione, nonostante la perdita d'importanza grazie al sistema
delle distribuzioni alimentari e alla Chiesa romana, divenne sede della cathedra petri (papato). L'Urbe
era governata autonomamente da un preafectus urbi. Costantino riuscì a ridonare all'assemblea
senatoria parte dell'autorità persa, con suo figlio Costanzo II prese vita anche il senato di
Costantinopoli. Con la crescita del loro numero, i senatori furono divisi in inlustres, spectabiles e
clarissimi, solo i primi conservarono il diritto di voto. Successivamente con la sparizione dell'ordine
equestre, il senato assunse il carico dell'istituzione dei giochi e della copertura dei loro costi.

Il controllo del territorio-Con Diocleziano e Costantino le province passarono dall'essere 48 al


diventare 120. Una volta perduta la distinzione tra senatorie ed imperiali, erano rimasti proconsules
solo i governatori di Acaia, Africa e Asia, le altre province erano sottoposte a rectores (poteri civili,
fiscali e giudiziari). Le province erano a loro volta raccolte in diocesi e sottoposte a vicarius.
L'autonomia dei municipia era ormai minima, questi continuavano ad esistere con rango onorifico,
così come le colonie, gli obblighi economici dei curiali, che divennero ereditari e sempre più pesanti.
Le 4 prefetture erano: Costantinopoli, Tessalonica, Milano, Treviri.

La fiscalità e l'economia-L'annona militare introdotta da Settimio Severo e conformata poi da


Diocleziano era gestita attraverso i prefetti del pretorio, i quali ogni 5/15 anni registravano
contribuenti e proprietà di tutto l'impero, su un'unità che variava in base al valore del fondo e alla
forza lavoro, la iugatio capitatio. Questo era il tributo principale, ma ve ne erano anche altre: l'imposta
per chi non era proprietario di terre, quella sui mestieri e quella per i senatori. L'economia era
organizzata in tre casse indipendenti: quella del prefetto del pretorio (annona), quella delle sacrae
largitiones (imposte pagate in denario), quella della res privata (gestita del comes rei privatae). I
rifornimenti di grano di Roma e Costantinopoli erano gestiti dai praefectus annonae in Africa ed in
Alessandria. Con Diocleziano si ebbe un editto sul valore della moneta e sui prezzi. Costantino
introdusse, a discapito delle fasce medie, il solidus aureo, ottenendo il raggiungimento della stabilità.
Il sistema di produzione agricolo era mutato: si era sviluppato il colonato, per cui dei liberi affittuari
coltivatori si legavano ai padroni dei fondi pagando canoni in cambio di parte del raccolto.

La legge e la giustizia-La volontà dell'imperatore si esprimeva nelle costituzioni generali, esse avevano
valore in tutto l'impero. Teodosio II dispose però che dovessero essere ufficialmente comunicate tra
Occidente ed Oriente con la pragmatica sanctio. Le costituzioni vennero custodite e unificate nel
Codice teodosiano (438), già in precedenza si erano svolte simili operazioni privatamente, col codice
gregoriano e il codice ermogeniano. La cognitio extra ordinem vide il suo trionfo dal punto di vista
processuale. Il crimen repetundarum fu esteso per combattere la corruzione dei funzionari.
Costantino introdusse anche tribunali episcopali di appello contro il verdetto di un giudice ordinario.
Nei tribunali militari esercitavano la giurisdizione i duces e i magistri militum.

L'esercito-A causa dello sforzo sui confini il numero delle forze stanziali si accrebbe, in ogni provincia
di frontiera vennero poste 2 legioni e 2 vexillationes di cavalleria, queste unità erano gestite dai duces.
Anche l'esercito mobile aumentò i suoi numeri, costoro stavano agli ordini di magistri pedum e
magistri equitum. Le scholae palatinae, comandate da magister officiorum fornivano la guardia a
cavallo. Da Costantino si ebbe la tendenza ad arruolare nell'esercito soldati di origine barbarica.

La politica religiosa-La politica religiosa passò attraverso vari cambiamenti, dalla persecuzione
dioclezianea, all'editto di tolleranza, alla reazione di Giuliano e al riconoscimento del cristianesimo
come religione di stato da parte di Teodosio (380-Editto di Tessalonica). Costantino garantì al clero
l'immunità dagli oneri municipali, in cambio di sussidi di generi alimentari, egli incoraggiava all'unità
e alla concordia della Chiesa. Durante i concili di Arles e di Nicea vennero condannati donatismo e
arianesimo. Per via di questa sua opera religiosa egli si attribuì il titolo di isoapostolo. Con Teodosio
vennero condannate tutte le eresie che si contrapponevano al credo niceno (concilio di
Costantinopoli) e furono pubblicati vari decreti antipagani. Nel 393 i Giochi olimpici, intesi come
festività pagana vennero soppressi.
Fonti

La tardo antichità è un periodo che porta alla fine di un mondo unitario col passaggio graduale ad una
realtà molteplice. Le fonti cambiano drasticamente, sono molto vaste come mai prima:

 Fonti storiche tradizionali

 Fonti di storia ecclesiastica

 Cronografia-esposizione dei fatti secondo un ordine cronologico

 Cronachistica tardo antica


 Fonti giuridiche

 Novelle-nuove costituzioni imperiali

 La notizia dignitatum-elenca le amministrazioni dell'impero

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