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Diritto Romano
1 Ius

Diritto
Cosa significa diritto?
Vi sono diverse correnti di pensiero, due per la precisione. Una normativa, una
istituzionale.
Per la prima il diritto consiste nell’insieme delle norme scritte, mentre nella seconda la
chiave di lettura istituzionale vede il diritto come l’organizzazione di una società in
tutte le sue sfaccettature, il modo di essere una collettività. Questo secondo modo di
intendere il diritto è detto dinamico.
Non tutte le norme, poi, sono diritto. La norma, per essere Giuridica deve essere
generale e astratta, indirizzata genericamente ad ogni componente di una società.
Deve essere inoltre anche Coattiva o suscettibile, cioè che possa essere imposta con
la forza.

Diritto oggettivo e soggetivo


Il diritto oggettivo ,norma agendi , corrisponde all’insieme di leggi che regolano una
comunità ed emanate da uno stato. Law legge
Il diritto soggettivo, invece , facultas agendi è la capacità di un singolo di agire in base
alla norma agendi e di soddisfare le sue pretese verso la comunità. Right diritto
Quando utilizziamo diritto accostato a romano,costituzionale, e via dicendo lo
intendiamo in senso oggettivo.
Il diritto soggettivo attualmente si suddivide in altre due categorie.
Quella potestativa, ove un singolo fa valere un potere su altri soggetti.
E quella facoltativa, che corrisponde alle possibilità riconosciute ad un titolare di un
diritto soggettivo.
Quando si ha un diritto soggettivo, si ha anche un dovere giuridico corrispondente.
Si dice obbligo il dovere di fare o non fare rispetto al diritto soggettivo altrui.
Si dice soggezione la situazione che costringe a sottostare ad una potestà altrui.
Si dice onere il peso addossato dal diritto oggettivo per il compimento di risultati utili.(
La compilazione di alcuni documenti per evitare che una casa abusiva venga
demolita.)

IUS
Ius significa Diritto in latino.Noi lo chiamiamo diritto e non giure per via della
cristianizzazione che ha voluto il diritto appunto come “Giusta direzione”.

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Ius a Roma poteva avere un valore oggettivo o soggettivo a seconda del contesto in
cui era utilizzato. (ius gentium, usufrutto poi però attualmente messo in dubbio ,visto
che ius forse indicava la situazione giuridica complessiva)
Poteva avere anche significato potestativo. (Sui iuris,alieni iuris.)
Indicava un luogo, “in iure” , davanti al magistrato.
Il significato più testimoniato è di diritto soggettivo e corrispondente obbligo.

IUS QUIRITIUM
E’la più antica qualificazione del ius. Diritto dei quiriti.
I quiriti erano una delle più antiche qualificazioni collettive della civiltà romana.
Qualificazione normalmente oggettiva.
Di formazione consuetudinaria.
Vi erano riconosciute posizione di potere su uomini animali o cose. “Questa cosa è
mia ex iure quiritum” poi dominium ex iure quiritium e poi propietà. Anche la patria
potestas, la manus e la mancipatio si basavano su di essa.

IUS CIVILE
Si qualifica ius civile perché riguarda i cittadini romani e loro soltanto.(cives)
Comprende al suo interno lo ius quiritium, ma è più ampio. Essa tutela ad esempio
situazioni come la Sponsio e quindi le obbligazione tra creditore e debitore. Il debitore
era vincolato alla ius civile attraverso l’oportere, ossia la necessità di quest’ultimo di
mantenere l’atteggiamento dovuto. Situazioni come servitù prediali e usufrutto erano
come le obbligazione previste e tutelate dallo ius civile,ma non da quiritium. Dal terzo
secolo avanti cristo, per ovvie necessità, anche ai peregrini venne concesso di dar
luogo ad obblighi qualificabili in termini di oportere.
Quindi, dal punto di vista della fruibilità, l’ius civile si estendeva solo ai cives,mentre
dal punto di vista degli effetti,cioè mediante tutela di azioni civili, le situazioni di ius
civile venivano qualificate in uno dei seguenti modi
-Ex iure quiritium: “Questa cosa è mia per il diritto dei quiriti”
-Iura : “A me spetta il diritto di usufrutto sul fondo Corneliano” (Usufrutto)
-Oportere “ Dico che tu mi devi cento”
Visto il duplice modo di essere inteso,lo ius civile va messo in relazione con:
a) Ius gentium: I negozi fruibili anche dai peregrini, diritto esteso anche ai non
cives
b) Ius honorarium: Nasce grazie all’intervento del pretore e di altri pochi
magistrati.Esso non tutelava ne riconosceva alcune delle azioni civili
precedenti,bensì da azioni pretorie. Il diritto onorario si contrapponeva a quello
civile,che comprendeva anche lo ius gentium. Sono diverse anche le fonti di
produzione del diritto,infatti quelle onorarie si basavano sullo ius
edicendi(editto),mentre la ius civile si basava sui mores e sulle leges.

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Il ius civile e il riconoscimento dei iudicia bona fidei.Il ius


gentium
I contratti sorti in età preclassica,costituiti da obbligazioni, furono subito fruibili dai
peregrini. Essi rientravano nello ius civile anche se l’oportere era accompagnato dalle
parole “Ex fide bona”. In presenza di tali parole,il giudice doveva valutare secondo
buona fede i doveri del debitore convenuto. Il giudice per cui non aveva metri di
giudizio rigidi o determinati,bensi doveva basarsi sulle regole della lieta convivenza e
della lealtà tra mercanti. Buona fede si intendeva in senso oggettivo, perché doveva
essere oggettivo il metro del giudice. Metro in costante evoluzione e adeguamento in
maniera autonoma,senza bisogno dell’intervento di leggi. Si potrebbe pensare che il
giudice in questi contesti aveva poteri illimitati, ma in realta egli seguiva i
ragionamenti dei giuristi e della giurisprudenza,che applicavano il diritto alle nuove
realtà. E’ stato il pretore a dare riconoscimento a questa particolare situazione
giudiziaria,tipico contratto tra cittadini romani e peregrini, nell’ambito del processo
formulare. Era quindi considerato un oportere ex fide bona, e il giudice doveva
trattare il caso di conseguenza. In età classica poi, verrà considerato a tutti gli effeti
come uno strumento dello ius civile, infatti Gaio non riconoscerà più questo tipo di
contratto come azione pretorea, a differenza di Cicerone.
Una volta riconosciuti, questi contratti entrarono subito a far parte della Ius gentium. I
giuristi dissero che questi contratti erano comuni anche in altri popoli, e questo
giustificò la presenza di altri contratti tipici della ius civile arcaica all’interno della ius
gentium,come traditio mutuo e stipulatio. Crebbe da allora la fruibilità della ius
gentium ma l’efficacia rimase comparati a quelli dello ius civile, visto che quest’ultimo
tutelava gli stessi diritti e doveri.

Il ius honorarium
Si contrappone alla ius civile in senso lato. Ius in senso oggetivo. E’ generato
dall’attività creativa del pretore, o più in generale un magistrato eletto a carica
annuale. Quando scadeva il mandato del magistrato, il suo imperium veniva prorogato
e diveniva un governatore provinciale.Il pretore urbano nasce nel 3 secolo avanti
cristo con la leges liciniae sextiae. Aveva il compito specifico di “Dicere ius”. Vennero
istituiti anche gli edili curili,che si occupavano principalmente del lato commerciale. Il
praetor pelegrinus nasce dopo,nel 242 a.c. e si occupava di tutti i commerci che non
compredevano unicamente romani.Viene istituito per via dei sempre più imponenti
commerci.
I governatori provinciali nacquero solo dopo la prima guerra punica,per via del
maggior numero di territori da controllare.
Lo ius honorarium è indissolubilmente legato al processo formulare. La maggior parte
era emanato dall’editto del pretore urbano. Quelli degli altri pretori erano ricalcati
sopra quello urbano.
L’editto emanato durava quanto la stessa carica, e di solito non riguardava i cittadini.
Presentava un programma con tutti i provvedimenti. Poteva in alcuni casi utilizzare i
decreta e superare i limiti della sua produzione edittale. Nonostante durasse quanto la
carica,l’editto veniva solitamente rinnovato e rinforzato dai pretori successivi. Da qui
edictum tralaticum. Intorno al 130 d.c. Adriano ordinò il testo definitivo dell’editto, il
cosiddetto editto perpetuo. Vennè così meno la creatività del pretore. All’interno
dell’editto perpetuo vi erano dei mezzi di tutela giudiziaria di ius civile,dato che il

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pretore era la voce della civiltà. Risulta quindi ovvio che non tutto ciò che era
nell’editto era ius honorarium. Ricordiamo infatti le 3 funzioni principali del pretore
Romano : AGEVOLARE L’APPLICAZIONE DELLO IUS CIVILE,COLMARNE LE LACUNE,
CORREGGERLO.
Tutto stava nel mantenere l’equità. Lo ius civile non era di persè iniquo, ma lo era la
sua applicazione. Non potendo bloccare lo ius civile, il pretore forniva strumenti per
paralizzarlo. Ad esempio l’exceptio, o ancora meglio tutelando la stipulatio. Non
negava formalmente le strutture,ma ne impediva l’attuazione, come per esempio in
caso di inganno. Lo ius honorarium era quindi come uno strumento si esterno ma
correttivo dello ius civile e quindi non del tutto estraneo.
Avanzando nel tempo, e con la scomparsa del processo formulare, queste due realtà
giuridiche si fusero tra loro, seppur nessun manoscritto lo abbia mai confermato
formalmente.

Ius publicum e ius privatum


Nel diritto oggettivo bisogna fare due principali distinzioni:
ius pubblicum: regola l’organizzazione e il funzionamento della colletività, e quindi
anche della comunità tutta rispetto al singolo. Il diritto del “Popolo”.
Ius privatum: Regola i rapporti tra i singoli.
Esse sono generate rispettivamente dalle due diverse fonti leges publicae(fatte dal
popolo),e dalla lex privata.

Ius commune e ius singulare


Ius commune: istitui di applicazione generale Es. testamenti ordinari
Ius singulare:Istituti di applicazione: istitui di applicazione fuori dalla logica generale.
Es testamenti dei militari
I giuristi erano soliti non fare oggetto di estensione analogica lo ius singolare.

Ius civile, ius gentium e ius naturale


Proprio in merito all’esistenza dello ius gentium giustificata dal fatto che molte norme
sono comuni tra i vari popoli, esso si fonda su una naturalis ratio. Ragione naturale. Lo
ius civile era invece così carattarestico che rimase usufruibile solo dai cittadini romani.
Lo ius naturale era spesso confuso con lo ius gentium, ma quest’ultimo esisteva già ai
tempi dei greci. Esso è definito “ciò che è sempre buono ed equo”. Esso è comune a
tutti gli esseri umani. Ciò segna una tripartita tra i vari ius. Quello civile si stagli sopra
tutti, mentre quello della ius gentium, comune tra tutti i popoli prevedeva ad esempio
la schiavitù, ove invece lo ius naturale affermava che ogni uomo nasce libero.

2 Fonti del diritto romano


Fonti di produzione e di cognizione
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Fonti di produzione: Ciò da cui scaturisce il diritto oggettivo


Fonti di cognizione: Ciò che fa conoscere il diritto oggettivo

Fonti di produzione del diritto romano


A Roma le fonti furono : I mores maiorum e la consuetudine,le leges(datae e rogate) e
i plebisciti, gli editti dei magistrati,i senatoconsulti,le constitutiones imperiali,la
giurisprudenza.

Mores maiorum e consuetudine


“Antichissima consuetudine,diritto formato e osservato per lunghissimi anni.”
E’ il risultato del tacito accordo tra concittadini. Cittadini che per molto tempo hanno
rispettato e seguito come se rispettassero una norma giuridica.
I mores maiorum erano i costumi giuridici dei maiores, i romani più antichi di tutti. Lo
ius quiritium era costituito dai mores. Anche la parte più antica dello ius civile ne era
costituita. Tutti questi principi vennero sempre rispettati, anche quando la ratio
originale venne perduta.

La consuetudo nascono invece nelle realtà provinciali ,alle quali successivamente


venne estesa la cittadinanza romana. Successivamente verranno accomunati ai
mores, in quanto non molto diversi. L’efficacia di questi ultime due fonti era presente
solo nei contesti in cui non intervenissero altre fonti come leges, senatoconsulti e
costituzioni imperiali. Giustiniano definì la consuetudine come volontà tacita,mentre
la legge come volontà espressa. Verrà sempre però subordinata alla legge come
efficacia.
Allo stesso tempo esiste la desuetudine, che “abroga” un modo di fare ormai
dimenticato e superato.

La leges e i plebisciti
Le lex in età arcaica erano designate da pronuncie orali e solenni. Si suddividevano in
Legis privatae: manifestazioni di volontà di privati nell’ambito di particolari negozi.
Legis publicae: Fonti di ius civile, collegate quindi,direttamente o non al popolo. Si
suddividono ulteriormente in
Leges datae: Leggi chieste dalla popolazione e delegate con una lex rogata ad un
magistrato affinchè le legiferasse. Una volta lette in pubblico dal magistrato,iniziavano
subito ad avere efficacia.La famosa legge delle 12 tavole fu una lex data al seguito dei
conflitti tra patrizi e plebei, scritte su bronzo,andarono perdute durante un rogo di
Roma. Non erano altro che Mores impressi su bronzo, ma che furono attentamente
tramandati,e considerati base del diritto.
Leges Rogatae: Leggi che per essere approvate richiedevano il consenso delle
assemblee popolari e del senato con la sua autorictas. Queste leggi erano lette
pubblicamente dal magistrato o dal pretore, che interrogava le assemblee. Esse
concernevano patrizi e plebei.

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I plebisciti ,invece,votati solo dalla plebe avevano effetto inizialmente solo su di


essi,ma una Lex Hortensia,quando i patrizi erano una minoranza, ecquiparò i plebisciti
alle leges,rendendole efficiaci su tutti i cives.
(Esistevano anche legis regiae,materia religioso sacrale,approvate dai comizi ma
generalmente confermative dei mores e emanate direttamente dai rex)
Le leges datae furono più rare e si estinsero prima,mentre quelle rogatae andara no
avanti fino al 90 d.c.. ebbero tutte carattere integrativo dei mores, e mai andarono a
cambiare interi settori.

Gli editti dei magistrati


Degli editti dei magistrati si è detto sopra.

I senatoconsulti
Erano vere e propie direttive date ai magistrati dal senato,attraverso il consilium. Dal
primo secolo dopo cristo cominciarono ad intervenire nelle questioni di diritto privato,
creando così nuova ius civile. Infatti essa verrà chiamata ius novum,contrapposta alla
più antica ius vetus. Il senato prese posto quindi durante il principato sostituendo le
assemblee popolari.
Il senato tuttavia non decideva mai autonomamente,bensì non faceva altro che
eseguire e rendere ius ciò che il principe chiedeva tramite oratio,senza mai negare
neppure una volta.

Le constitutiones principum e la cognitio extra ordinem


Le constitutiones principum erano emanate direttamente dall’imperatore, e avevano
lo stesso valore delle leges,come ribadito spesso dai giuristi del tempo, proprio grazie
all’autorità carismatica del princeps.
Potevano essere generali o particolari.
Edicta: Atti a carattere generale,indirizzati a tutti gli abitanti dell’impero. Diversi
dall’editto del pretore per via della durata lunga e non solo annuale.
Mandata:Ordini dati dall’imperatore ai suoi alti funzionari. Erano a carattere generale
quindi solo indirettamente.
Decreta: Atti a carattere particolare extra ordinem, emanati riguardo a liti in corso in
grado di appello o eventualmente di primo grado. L’imperatore decideva come doveva
essere decisa la contestazione.
Rescripta: Atto che l’imperatore faceva immolare nella calce all’istanza dopo il
decreta.
Epistula: Si parla di epistula quando a chiedere consiglio all’imperatore era il
magistrato o il funzionario.
Questi ultimi due erano vincolanti per i giuristi nel caso ciò che giungeva
all’imperatore fosse vero. Normalmente infatti l’imperatore basava i suoi giudizi su
strutture giuridiche consolidate,ma quando non lo faceva, quelle da lui utilizzate
divengono nuovo standard, e quindi obbligavano i giuristi a trattare casi analoghi con
la stessa soluzione. Ciò che pronunciava l’imperatore era ius civile,più precisamente
ius extraordinarium a se stante. Questo termine ci rimanda al nuovo tipo di processo

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del tempo , cognitio extra ordinem(nuova fonte), ove ogni funzionario era sotto il
diretto controllo imperiale. Occorre quindi considerare lo ius extraordinarium una
nuova forma di diritto oggettivo a se stante.
Con il decadimento della giurisprudenza alla fine dell’età classica,rimasero solo gli
edicta come fonte di produzione del diritto, mentre i rescripta, precedentemente una
delle fonti più prolifiche di diritto,persero importanza.

La giurisprudenza
E’ il risultato dell’interpretazione del diritto oggettivo secondo il quale si desumono i
risultati delle sentenze. A differenza da noi , a Roma la Giurisprudenza era una fonte
del diritto.
I primi giuristi a Roma furono i pontefici, custodi del diritto e della conoscenza. I
cittadini si rivolgevano a loro per conoscere lo ius da applicare. Essi avevano anche la
capacità creativa dell’interpretatio, che gli permetteva di guardare da diversi punti di
vista e quindi modificare e adattare i pochi strumenti a disposizione della ius civile ai
tempi. Alla fine dell’età arcaica, i formulari dei pontefici vennero resi pubblici, e la loro
figura perse senso rispetto ad una giurisprudenza più laica. Da quel momento in poi
anche i giuristi potevano emettere responsi qualificati, e successivamente investiti
dall’autoritas, che li poneva allo stesso livello del principe riguardo alla questione. La
loro autoritas finiva per influenzare anche i casi successivi e analoghi.
I giuristi ebbero successivamente anche un attività consultiva,consilium, alla quale
spesso si appellavano magistrati e imperatori.
Essi erano soliti avere produzione letteraria: Le institutiones,veri e propi manuali, o i
commentari ad quintum mucium ad sabinum,ad edictum e di casistica. I quintum
mucium e i sabinum erano incentrati sullo ius civile. Negli ad edictum il giurista
illustrava la materia dell’editto pretorio sistematicamente. Nelle opere di casistica
invece si elencavano e discutevano alcuni casi particolari. Ad esse faceva capo il
Digesto,solitamente molto ampio. Quinto mucio scevola scriverà poi il libri iuris
civil,prima opera scientifica a riguardo dello ius civile. Gaio scrisse un importante
manuale di istituzioni e Pomponio invece un importante manuale sulla storia del diritto
romano.

La giurisprudenza fonte di produzione del diritto

Dopo l’avvento del contratto ex fide bona e dello ius honorarium non si sentiva più il
bisogno di un interpretazione creativa come quella dei pontefici. La giurisprudenza
laica, per cui , non necessitava di trattare la ius come divina,bensì la trattava con
razionalità e considerandone le potenzialità. L’interpretazione da restrittiva a
espansiva, e spesso si applicava l’interpretazione analogica. Essi a modo loro
svolgevano quindi anche un interpretazione creativa, apllicando lo ius civile ove prima
non si poteva spingere,valutando i contratti razionalmente. Questi loro ampliamenti
erano fonte di diritto vero e proprio,classificato come iura dei popoli romani.
Nell’età post classica, il processo era addirittura definito tribunale dei morti, ove infatti
i giudici dovevano attenersi al giudizio dei giuristi più famosi, e se morti alle loro

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opere principali. In caso di disaccordo tra due antichi giuristi vinceva la maggioranza,
in caso di parità papiniano, colui che scrisse l’editto perpetuo.

Le fonti di cognizione. Il corpus iuris civilis


La fonte di cognizione principale del diritto romano è il corpus iuris civilis,emanato da
giustiniano nel 534 d.c.
Si divide in 4 parti:
Le institutiones,parte più corta costituita da 4 libri ,a scopo didattico per i nuovi
giuristi,ricalca quelle scritte da Gaio.
I digesta, raccolte di scritti ,antologia giuridica che raccoglie brani di giuristi classici .
Fu dato a essi forza di legge.Propio per questo spesso i brani classici erano modificati
sia per esigenze letterarie sia per l’adeguamento all’attuale sistema vigente.
Codex, raccolta di tutte le costituzioni imperiali, spesso anche queste modificate ma
perlopiù genuine. Le prime costituzioni di diritto privato risalgono ad adriano.
Le novellae invece furono le costituzioni emanate da giustiniano dopo il codex
repetitae praelectiones, che comprendeva anche le sue costituzioni emanate durante
la compilazione del digesto.

Le fonti di cognizione al di fuori del Corpus iuris civilis


Le istituzioni di Gaio, sovrascritte dalla lettere di San girolamo.
Tituli ex corpore ulpiani: Manuale di istituzione di ulpiano
I vari fragmenta vaticana
La lex romana wisigotorum,legge ad uso dei cittadini romani nell’impero
visigotico,conteneva in essa due libri delle istituzioni di gaio.
Il codex theodionisus, raccolta di costituzioni imperiali da costantino a teodosio.
Tutte queste cognitive sono da ritenere estremamente affidabili,in quanto esterne
all’interpolazione giustinianea ed assenti nel corpus iuris civilis.

3 Il processo
Processo privato e diritto sostanziale
Il processo di cui ci occupiamo è quello privato. Intendiamo quindi le attività volte alla
manifestazione di un diritto soggettivo da parte di un singolo,soggetto privato, alla
quale manifestazione giuridica soggettiva attiva interviene un organo pubblico,in
specifico quello giudiziario.
Le norme processuali al giorno d’oggi sono considerate secondarie rispetto al diritto
sostanziale.

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Il diritto sostanziale è l’insieme delle norme primarie che regolano i rapporti tra
cittadini. In esso hanno fondamento i diritti soggettivi. Quindi, se il diritto sostanziale
fissa le condizioni da rispettare affinchè un diritto soggettivo sia applicabile, una volta
verificatesi al titolare verrà assicurata la tutela giudiziaria. Poter fare vale le propie
ragioni e quindi diritti soggettivi è detto AZIONE.
Diritto soggettivo prius
Azione posterius
A roma vi erano diverse Actiones, ognuna capace di tutelare una particolare posizione
giuridica attiva. Ciò consegue che solo certe situazioni erano tutelabili,in quanto
doveva esistere lo strumento processuale adatto. Con l’avvento dello ius honorarium
grazie al pretore e al suo editto l’elenco delle azioni o strumenti giuridici capaci di
tutelare un diritto soggettivo aumentò considerevolmente. Le varie situazioni però
dipendevano sempre dallo strumento capace di tutelarle. (Mutuo conditio, si
recuperava solo quanto mutuato)

Le legis actiones. Principi e caratteri comuni


Nel processo per legis actiones e formulare il verdetto spettava ad un giudice privato.
(ordo iudiciorum privatorum).
Il processo per legis actiones era il più antico e l’unico fruibile dai romani in età
arcaica. Ne siamo venuti a conoscenza coi manoscritti di Gaio. Si trattavano in realtà
di cinque diversi riti processuali,con in comune però alcune caratteristiche.
Innanzitutto il nome,legis actio, che collega ciascuna di esse alla pronunzia di parole
predeterminate (certa verba).
Secondo Gaio le le legis actio derivano da alcune leges publicae,ma ciò non è corretto,
perché in nessuna di esse è contenuto alcuno dei certa verba che appartengono alla
legis actio per sacramento in rem, che doveva quindi appartenere ai mores.
Le legis actio erano ovviamente accessibili ai soli cittadini romani. Non sorprende
quindi l’esagerato formalismo,fatto di certa verba e gesti prestabiliti. Erano tutte
caratterizzate dall’oralità.
Tranne per la pinioris capionem,era richiesta la presenza di ambedue i partecipanti e
di un magistrato dotato di iuris dictio. Era dall’attore, la responsabilità della presenza
del convenuto in iure. Tramite la ius vocatio però, l’attore pronunziava parole solenni,
che se non rispettate autorizzavano all’uso della violenza. La iuris dictio del
magistrato si manifestava con un almeno uno di questi tre verbi”Do dico addico”( tria
verbi praetoris)
Il pretore(magistrato fino al 367 a.c.) auturizzava la prosecuzione del giudizio,
mostrava di tener legittimo il rito e determinava il tipo di ius da applicare al caso. “Ius
dicebat”
Le legis actiones avevano poi in comune la caratteristica strutturale,in tutte il
procedimento è diviso in due fasi. In iure e apud iudicem.
La fase in iure si svolgeva dinnanzi al magistrato, e fissava i termini giuridici,o se
necessaria l’esigenza di un rinvio. In quel caso il convenuto doveva attraverso appositi
garanti-vades- garantire la sua presenza il giorno stabilito. Il pretore nominava un
giudice. Erano ovviamente necessari entrambi i litiganti durante questa fase. Essi

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dovevano anche invocare dei testimoni che attestassero il rito, si parla quindi di LITIS
CONTESTATIO.
La fase apud iudicem si svolgeva dinanzi al giudice,di norma un privato cittadino. Era
chiamato arbiter se necessitava di avere competenze specifiche , iudex in caso
contrario.Nelle cause liberales o nellle controversie ereditarie erano chiamati come
giudici organi collegiali pubblici. Il giudice in generale si occupava di raccogliere le
prove ed emanare la sentenza finale.
Il formalismo di cui parlavo prima riguarda in realtà solo la fase in iure. Prima di un
precetto delle 12 tavole non era neanche necessaria la presenza di ambedue le parti
in questa fase. Bisogna infine osservare che le pretese azionabili con le legis actiones
erano le stesse dello ius civile. Non tutelavano quindi i rapporti di buona fede né
quella dei rapporti di diritto pretorio.

Le legis actio dichiarative e quelle esecutive


Le legis actiones si dividevano in dichiarative ed esecutive.
Quelle dichiarative, come la sacramento,la iudicis arbitrive e per condictionem erano
atte allo studio e alla verifica della sussistenza di un particolare diritto.
Una volta accertato, si applicavano quelle esecutive, che realizzavano le situazioni
giuridiche certe. Esecutive erano la manus iniectionem e pinioris capionem.

La legis actio sacramenti


La legis actio sacramenti è insieme alla legis per manus iniectionem al più antica.
Essa godeva anche del maggiore campo di utilizzo,tanto che gaio la definì actio
generalis.
Legis actio sacramenti in rem : Impiegata alla tutela e al riconoscimento di posizioni
giuridiche soggettive assolute, e quindi con essa il propietario perseguiva la cosa che
affermava appartenergli, o un erede l’eredità. Nella fase in iure dovevano essere
presenti entrambi i contendenti, così come la cosa controversa, e se immobile, un
simbolo di essa. La prima parte rivendicava come suo il bene toccandolo con una
verghetta e dichiarando di possedere la cosa controversa “ex iure quiritium”. L’altra
parte faceva ovviamente lo stesso. Dopo aver deposto, essi prononciavano il
sacramentum, atto religioso poi divenuto scommessa da pagare all’erario. 50 assi se
la lite valeva meno di 1000 assi,500 se ne valeva di più. Il pretore poi vindicias
dicebat, emanava quindi un provvedimento che affidava la cosa controversa alla parte
con garanti ritenuti più idonei,o anchedetti praedes et vindiciarum. Essi garantivano
che, se il loro garantito avesse perso in giudizio, di restituire all’atra parte il bene con i
frutti che esso aveva prodotto durante il processo. Dopo, nella fase apud iudicem il
giudice raccoglieva le prove e dichiarava quale fosse il sacramento iustum e quale
quello iniustum. Se i praedes avversarsi non restituivano il bene, il vincitore era
solitamente autorizzato a riprenderselo con la forza.
Legis actio sacramenti in personam: sappiamo meno di essa, ma solitamente con essa
si perseguivano crediti,quando riconosciuti dallo ius civile. Nella fase in iure si
manifestava un oportere, e il convenuto poteva accettare o negare. Se ammetteva di
averlo, si aveva la in iure confessio, e l’attore poteva subito agire per manus
iniectionem. Se negava, le parti si sfidavano in sacramentum. Se il convenuto
soccombeva, si procedeva per manus iniectionem.

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La legis actio per manus iniectionem


Molto antica,utilizzata per la realizzazione di posizione giuridiche soggettive per le
quali una specifica legge vi avesse fatto rinvio. Esecutiva, ed era innanzitutto
espressiva delle 12 tavole(e quindi dei mores).
Si parla di manus iniectio IUDICATI, quella aperta al creditore nel momento in cui la
sentenza riconosceva lo iudicato come debitore di denaro, e egli non aveva ripagato il
debito entro 30 giorni.
La confessione in iure era trattata come la colpa emessa in sentenza.
( Iudicato=confessio)
Questa legis actio interviene quindi a tutela del creditore e solo in situazioni già
accertate.
Si parla di manus iniectio PRO IUDICATI quando il debitore non ha restituito la somma
di denaro necessaria a saldare il suo originario debito al suo sponsor. Non si ha
bisogno di accertamento.
Si parla di manus iniectio PURA quando per esempio un legatario testamentario abbia
preso più di mille assi dall’eredità di un determinato soggetto. L’erede aveva accesso
a alla manus iniectio pura. Ci si poteva depellere manum con un vindex. Ne erano
colpiti legati e usurai.
Il procedimento era eseguito dinanzi il magistrato giurisdicente,ove il creditore si
rivolgeva attraverso certa verba al suo avversario. Enunciava la fonte(causa) , la
somma dovuta, e dichiarava di manus inicere afferrando il debitore. Quest’ultimo
poteva evocare un vindex, che poteva negare il debito e contestare quindi l’attuazione
della manus iniectio. Si ricertificava attraverso legis actio dichiarativa, ma se il vindex
perdeva doveva pagare il doppio del debito. Se non si presentava un vindex il pretore
dichiarava l’addictio, che portava in catene per 60 giorni il debitore.Veniva portato in
tre mercati, dove chiunque avrebbe potuto riscattare il debito. Se nessuno
interveniva, poteva essere venduto come schiavo fuori roma, o ucciso.” Partes
secanto”(mai suceso)
Nella manus iniectio pura si poteva negare senza l’intervento di un vindex, ma con le
stesse conseguenze in caso di perdita.(Liticrescenza)

La legis piniores capionem


Anch’essa esecutiva e molto antica, precedente alle 12 tavole. Particolare perché non
richiedeva la presenza di magistrato o avversario,e poteva svolgersi anche nei giorni
nefasti. Molti proprio per questo misero in dubbio la sua natura di legis actio.
Il creditore doveva pronunziare certa verba,prendeva in possesso alcune cose
appartenenti al debitore e le teneva come pegno.(pignus) Il debitore poteva poi
riscattarle. Le applicazioni erano definite dai mores o dalle leges, e riguardavano
crediti publlici o sacrali. Non richedeva la presenza in tribunale come nemmeno la
presenza di un avversario.

La legis actio per iudicis arbitrive postulationem


Meno antica,anche se già nota alle 12 tavole era dichiarativa. Era esperibile quando
una legge avesse fatto espresso rinvio alla pretesa. Essa esperiva

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-Sponsio(Stipulatio)
-Divisione di eredità comuni
-Divisione di singoli beni comuni
Quando si agiva per stipulatio il rito era simile a quello sacramenti in personam.
L’attore doveva esplicare la causa della sua azione e doveva utilizzare certa verba
davanti al pretore, che nominava un iudex(nelle stipulatio) o un arbiter(Nelle
divisioni). L’organo giudicando si esprimeva direttamente sulla lite e non sul
sacramentum. Il convenuto quando gli veniva inizialmente manifestato l’oportere
poteva negare,senza rischi di infamia o pecuniari.

La legis actio per conditionem


La più recente delle legis actiones. Si utilizzava per crediti dati una somma precisa di
denaro inizialmente,(certa pecunia) ma fu poi estesa da una lex ai crediti di cose
determinate diverse dal denaro. Con esse ebbero riconoscimento a Roma i crediti di
mutuo ecc..
In iure l’attore precisava un proprio credito senza specificarne la causa,vincolando il
convenuto a ius civile. Il convenuto poteva negare o confessare, e se negava si
chiamava il giudice. Anche qui il giudice si pronuncia sul merito della lite. Se il
creditore vinceva,poteva procedere per manus iniectionem.

Agere in rem per sponsionem


Schema giuridico applicato solitamente alle rivendicazione o alle azioni ereditarie,
situazioni tutelate dalla legis sacramento in rem. Viene inventato perché la
sacramento era gravosa e poco snella. In iure aveva luogo una prima sponsio
praeiudicialis, nel quale il convenuto prometteva una esigua e simbolica somma di
denaro se l’attore fosse risultato vincitore. Con una seconda sponsio,la pro praede litis
et vindiciarum, il convenuto prometteva all’attore che,se fosse riconosciuto il debito
della prima sponsio, esso doveva restituire la cosa controversa con i suoi frutti. Si
procedeva poi per la legis actio pro iudicis arbitrive, nella quale il giudice si
pronunciava direttamente sulla prima sponsio, e quindi indirettamente anche sulla
seconda. La presenza in iure di entrambe le parti è sempre richiesta, tuttavia non si
esigeva la presenza della cosa, che restava solitamente presso chi già la possedeva.
L’attore agiva senza rischio se si ricorreva alla iudicis arbitrive, mentre se si decideva
di accertare attraverso sacramentum la somma da pagare era comunque quella
minima di 50 assi. Provare l’appartenenza sta solo all’attore,e il convenuto doveva
solo contestare. In caso di fallimento, il caso era di semplice rigetto:la propietà non
sarebbe cambiata.

Abolizione del processo per legis actiones,processo


formulare
Il pretore,con il suo ius honorarium, ebbe ruolo principale nella creazione del processo
formulare. Esso nasce dalle ormai obsolete legis actiones, capaci solo di tutelare
situazioni di arcaico ius civile e cittadini romani. Le relazione commerciali con gli
stranieri però si intensificarono,e quindi il pretore cominciò a rendere disponibile il

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processo formulare per i litigi tra romani e non romani o tra non romani in suolo
romano. Un solo pretore presto non bastò più, e quindi venne istituito un praetor
pelegrinus, che aveva il compito di regolare i processi dei peregrini per formulas. Le
legis actiones vennero rapidamente abbandonate e messe da parte pure dai cittadini
romani per via del loro soffocante formalismo, fino a che vennero completamente
abolite nel 17 a.c. da Augusto.( tranne per le liti tra centumviri). La conseguenza fu
che al processo formulare vennero attribuiti effeti anche per lo ius civile, non solo più
honorarium, fino a divenire il processo privato ordinario per tutta l’età classica.Il
rapporto diritto soggettivo processo è evidentemente posto come processo a funzione
di precedente logico. Esso aveva un carattere unitario,un solo procedimento dove
potevano essere utilizzate diverse actiones. Ognuna di esse aveva una determinata
formula, e il loro numero era molto alto. Era diviso nella parte in iure e apud iudicem,
ma in entrambe le sezioni gli attori e i convenuti potevano esprimersi liberamente, e
inoltre le formule erano redatte per iscritto.
La in ius vocatio è ancora presente nel processo formulare, e consisteva nel chiamare
il convenuto in giudizio. Rimase pur sempre un atto privato, ma senza solennità
orale(certa verba) , l’attore doveva comunicare al convenuto quale azione avrebbe
portato in processo. Non si aveva più il diritto di portare il convenuto con la forza, ma
era bensì il pretore a garantire la presenza in processo:la sua “missio in bona” gli
permettava attraverso il suo editto l’immissione in tutti i beni del convenuto che si
rifiutava di presenziare in diritto.
Il vadimonium tuttavia è ciò che sostituirà velocemente la in ius vocatio,ove era lo
stesso convenuto tramite stipulatio a promettere all’avversario la presenza in
processo al giorno x. Questo lo sottraeva all’obbligo di seguire subito l’attore in iure.

La fase in iure del processo formulare. La litis contestatio


In iure venivano fissati i termini giuridici della lite.Erano necessari sia attore che
convenuto.Il magistrato che presedieva aveva iuris dictio,ossia la capacità di
determinare il principio di diritto nel caso concreto,nel processo formulare chiamata
datio actionis. Con essa il magistrato approvava il testo della formula, ove era
sintetizzato il caso, e dava il via libera alla sentenza. Il pretore giurisdicente principale
è quello urbano.
In iure le parti manifestavano le loro ragioni. L’attore indicava la formula dell’azione
che intendeva utilizzare, basandosi su quelle presenti nell’albo pretorio. L’attore
doveva chiedere attraverso la postulatio actionis al pretore se fosse la struttura più
adeguata. Se il convenuto non la riteneva corretta, nasceva un dibattito al quale
partecipava anche il pretore. Se l’azione era palesemente infondata, il pretore
denegava l’azione. La denegazione non era una sentenza e nemmeno presentava gli
effetti della litis contestatio.(denegatio actionis) Se la concedeva, datio actionis. Il
testo della formula era concordato,e in essa era indicato il nome del giudice. In
sostanza in questo breve documento scritto erano presenti gli elementi fondamentali
per la risoluzione della controversia.
La litis contestatio : Una volta d’accordo sulla formula, il pretoredatio actionis
iudicium dabat, ossia dava la formula richiesta, l’attore la leggeva iudicium dictabat, e
il convenuto la accettava iudicim accipiebat.
Non erano necessari testimoni, in quanto la formula veniva scritta, a differenza delle
legis actio. La litis contestatio era l’atto istitutivo del giudizio, e con essa i termini
della lite erano fissati e immutabili.

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Essa aveva effetti: Esclusori/preclusivi che impedivano il ripetersi di un processo tra le


stesse persone per lo stesso oggetto e tema.
Estintivi innovativi perché la litis estingueva la precedente obbligazione ma ne
costituiva una basata sulle responsabilità che assumo davanti al giudice.
Conservativi perché nel momento in cui viene effetuata la litis e il convenuto muore, si
ha la possibilità di agire contro gli eredi. Senza la litis non è possibile.
Defensio e indefensio Senza litis contestatio non è possibile avere la sentenza. Senza
la defensio del convenuto il processo non aveva luogo. Tuttavia il convenuto non era
libero di non difendersi, in quanto il pretore se si agiva in rem, trasferiva il possesso
della cosa all’attore, ed in personam attuava la procedura esecutiva per cui il
convenuto era chiamato pur senza una sentenza.

La fase apud iudicem del processo formulare


La litis contestatio chiudeva la fase in iure. Il pretore non possedeva la iudicatio, non
poteva quindi emettere una sentenza. La iudicatio era compito del giudice, privato
cittadino. Era indicato nella formula Titius iudex esto. Il giudice poteva essere uno o
più. Vi erano infatti alcuni organi collegiali, che si occupavano di giudizi di libertà e dei
delitti più gravi. Per la scelta dei giudici erano istituite diverse liste compilate secondo
criteri politici e continuamente aggiornate. In giudizio davanti al giudice era quindi
interesse per le parti confutare le prove avversarie.Il giudice era limitato dalla
formula. Egli doveva verificare se le condizioni della condemnatio si fossero verificate.
Se si condannava, se no assolveva. Tutto ciò riguardava solamente il convenuto,
senza rischi quindi per l’attore. Il giudice inoltre poteva dare giudiziariamente solo
quanto era indicato nella formula non di più.
La facoltà di difendere i propi diritti soggettivi dipendono dalle azioni disponibili. La
sentenza concludeva la fase apud iudicem ed era definitiva, in quanto il giudice era un
semplice cittadino privato, senza far parte di un ordine gerarchico. E senza un
elemento superiore a quello che ha emesso la sentenza non èè permesso avere un
appello.

Le parti ordinarie della formula


La formula partiva sempre con la iudicis nominatio, ove veniva indicato il nome del
giudice indicato per il processo.
La formula è definita da queste partes:
Intentio : Non poteva mancare,ed esprimeva la volontà dell’attore. Ad esempio” Se
risulta che la cosa di cui si tratta appartiene a aulo agerio.” O Se risulta che numerio
negidio è obbligato a dare cento ad aulo agerio”. L’intentio caratterizzava la formula,
e ci aiutava a distinguere tra azioni in rem o in personam o tra azioni civili o pretoree.
Se mancava la demonstratio consentiva di capire il tipo dell’azione. Poteva essere
certa o incerta. Se vi era demonstratio,l’intentio era sicuramente incerta. Essendo
incerta, il giudice aveva più libertà nel valutare i doveri del convenuto. Nelle azioni
con intentio certa,ossia con pretesa attrice determinata, l’attore poteva incorrere in
pluris petitio,chiedendo più di quello che gli era dovuto. Se così era, il giudice doveva
denegare il debito all’attore, che per via della litis contestatio non avrrebbe nemmeno
più potuto ripetere il processo. Al contrario, nel caso di un minoris petitio l’attore
avrebbe prima potuto chiedere la somma minore e poi, dopo il cambio del pretore per

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non incorrere nell’exceptio litis dividuae chiedere il restante in un secondo proccesso.


Nell’intentio incerta l’attore stabiliva in giudizio quanto gli spettava,quindi non poteva
incorrere in pluris petitio.

Demonstratio: Indicava la causa o la fonte della pretesa indicata dall’attore. Non tutte
le formule la possedevano. Figurava per esempio nelle compravendite e nei iudici
bona fidei. Iniziava con quod. Poiche aulo agerio ha comprato il fondo da..
Condemnatio: Nella condemnatio si invitava il giudice a condannare il convenuto se
sussitevano le condizioni indicate nella formula. Essa non era la sentenza di condanna
vera e propia, anch’essa chiamata condemnatio,bensì ciò che ne permetteva
l’esecuzione. Doveva sempre essere espressa in denaro anche se l’attore aveva fatto
richiesta diversa. Questo già avveniva nella legis manus iniectionem. Se l’intentio era
certa, il giudice condannava per quanto indicato nell’intentio in termini di denaro. Se
la quantità non era indicata, il giudiceva doveva attraverso una aestimatio definire il
valore dell’oggetto in contestazione. Si valutava in base a quello che vale,che varrà e
ha valso. “sia giudice tizio. Se risulta che la cosa controversa sia di aulo agerio ex iure
quiritium,e la stessa cosa non verrà restituita ad aulo agerio arbitrio iudici,tu giudice
condannerai numerio negidio tanto quanto sarà il valore di quella cosa.” Nei furti si
condannava ad esempio al doppio del valore della cosa nel momento in cui è stata
rubata. Avolte era acocmpagnata da una taxatio, che stabiliva il limite di denaro
ottenibile, oppure da una beneficium competentiae secondo la quale non si puoteva
chiedere al convenuto più di quanto possedeva.
La aiudicatio: Stava solo nelle formule divisiorie e nell’azione di regolamento nei
confini. Il giudice aggiudicava ai partecipanti parti definite di quanto era oggetto della
divisione. Aveva efficacia costitutiva.

Praescriptio exceptio Clausola arbitraria


Praescriptio: Il nome deriva dal fatto che venga indicata prima della iudicis nominatio.
Essa si apllicava a formula con demonstratio e quindi con intentio incerta. Essa
limitava gli effetti estintivi della litis contestatio e li rimetteva a solo una parte del
debito da riscattare, per evitare che il creditore non potesse più ripetere la sentenza
per quanto gli rimaneva da ricevere. Si pensi ad esempio ad un mutuo a tasso
mensile, ove l’attore rischiava di estinguere il diritto di procedere in processo per
eventuali nuove rate non pagate. La praescriptio quindi è uno strumento a tutela
dell’attore.
Exceptio: Era un rimedio a favore del convenuto, e veniva inserita dopo l’intentio e
prima della condemnatio. Il giudice doveva verificare che le informazioni contenute
nell’exceptio non fossero vere, prima di condannare il convenuto. Solitamente
tutelavano situazioni di dolo inflitte da parte dell’attore (exceptio doli). Il giudice
doveva quindi prima verificare l’esistenza dell’intenzio e poi la non sussistenza ddella
exceptio per poter condannare. Era il pretore a garantire la sua esistenza, per evitare
situazioni di iniquità. Il convenuto che negava l’intentio non faceva exceptio, ma si
limitava poi in processo a dover provare false le intenzioni dell’attore. Era necessaria
solo quando vi erano particolari situazioni da tenere note durante il processo.
L’effetto ipso iure era una effetto automatico e di ius civile che di per se eliminava il
valore dell’intentio, e il giudice quindi doveva tenerne conto pure se non indicato nella
formula. ( Ad esempio un azione contro un debito già pagato).

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L’effeto ope exceptionis si aveva quando si era invece costretti ad effettuare una
exceptiones per portare in processo determinati fatti rilevanti. Ad esempio quando
qualcuno aveva promesso di non voler riscuotere un debito.
L’exceptio era giovabile solo dal convenuto. Poteva accadere che l’attore vanificasse
gli effetti dell’exceptio e quindi il giudice non dovesse più tenerne conto durante il
processo. Allora dopo l’exceptio si aggiungeva una replicatio che ne vanificasse gli
effetti.
Clausola arbitraria: anch’essa costitutiva della formula, generava actiones arbitrarie.

Azioni civili e azioni pretoree. Iudiciae bona fidei


Le azioni civili si basavano sullo ius civile, quelle onorarie sullo ius honorarium. La
distinzione si stabiliva nell’intentio, e sappiamo che quelle definibili civili sono 1) di
appartenenza ex iure quiritum,2) spettanza di uno ius(servitù prediali usufrutto e
affini) 3) di obbligazioni a carico del convenuto espresse con oportere. Tutte le azioni
restanti erano pretoree. Le azioni civili utilizzabili erano semplicemente contemplate
nell’editto , mentre quelle pretoree erano anticipate da una serie di requisiti per la loro
attuazione.
Iudicia bona fidei e iudicia stricta: I iudicia bona fidei erano caratterizzati dall’oportere
ex fide bona. Erano subito stati concessi ai non cittadini in quanto pur essendo ius
civile era anche ius gentium. Si trattavo di azioni in personam,con un intentio incerta,
ove alla parola oportere era aggiunto ex fide bona. Era quindi il giudice a dover
determinare gli obblighi a carico del convenuto. Buona fede significa correttezza nella
vita di relazione,ed era quindi oggettiva dando al giudice una grande ampiezza di
giudizio. Le azioni in personam invece determinata da un oportere in senso stretto
erano appunto i iudicia stricta, ad esempio la condictio e la actio ex stipulatu. Azioni di
buona fede erano compravendita locazione società e mandati.
Azioni pretoree utiles,con trasposizione di soggetti in factum : Le azioni pretoree
nascono per colmare le lacune del ius civile. Le azione utili e la trasposizione di
soggetti erano parte dello ius civile,mentre quelle in factum no. Nelle azioni in factum
erano descritte situazioni concrete senza riferimento alla ius e si chiedeva al giudice
di sentenziare in base alla certificazione di alcuni avvenimenti.
Le azioni utili erano diverse,ma la più nota è la fictio: Essa portava il giudice a
ragionare tenendo conto di elementi non esistenti nella realtà del processo ma
facendo “Come se” ci fossero,per fare in modo di tutelare secondo ius civile situazioni
non normalmente tutelabili.
Le azioni con trasposizione di soggetti erano attuate quando un soggetto che
prendeva parte al processo non era legittimato a presenziare attivamente o
passivamente. Per ovviare a questo problema si indicava nell’intentio il nome del
soggetto legittimato e nella condemnatio il nome del soggetto effettivamente in
giudizio.

Azioni in rem e azioni in personam


La classificazione risale ai tempi delle legis actio,ma si contestualizza meglio
nell’ambito formulare. Si distinguono anche come diritti reali e diritti di credito.
L’azione reale è nei confronti di tutti,dato che l’attore ha il potere assoluto verso la
cosa. Infatti, nell’intentio appare solo il nome dell’attore. Il possesso non è quindi

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determinato a priori ma durante l’azione, più precisamente durante la litis contestatio.


L’azione reale segue la cosa, e perciò è attivabile solo con chi in quel momento
possiede l’oggetto controverso. Se la cosa periva prima della lite,non era più
perseguibile. Se una cosa era stata danneggiata prima della litis contestatio, il
propietario poteva reclamarla solo in quello specifico stato.
L’azione in personam invece era verso un soggetto determinato, legato con l’attore da
un legame di obbligazione. Entrambi i nomi erano infatti subito indicati nell’intentio.
Quando erano azioni di ius civile, per le azioni reali si indicava l’appartenenza ex iure
quirituim sulla cosa controversa,mentre per le azioni in personam veniva indicato il
verbo oportere(ex fide bona in alcuni casi).
Un propietario non possessore poteva ottenere il recupero di una res anche con un
actio in personam.
Defensio e indefensio: Abbiamo già visto come l’indefensio per quanto riguarda le
azioni in personam avessero conseguenze gravissime, come la reclusione del
convenutro da parte dell’attore o la missio in bona. Il convenuto di azioni reali era
libero di difendere o non difendere in rem: se avesse deciso di non farlo l’attore
poteva esercitare il diritto che reclamava, e quindi ottenere la traslazione di possesso.
L’attore riceveva quindi quello che voleva ottenere senza dover provare nulla.
Tuttavia,non essendoci litis contestatio, il processo era ripetibile, e il convenuto
poteva diventare attore e reclamare il possesso della cosa che aveva dovuto cedere
non difendendosi precedentemente.
Effetti preclusivi della litis contestatio: In realtà era possibile ripetere tutti i processi
che non fossero basati su azioni in personam. Doveva essere cura tempestiva del
convenuto presentare una exceptio rei iudicatae vel in iudicium deductae per far si
che il giudice tenesse conto delle precedente litis contestatio. Il processo precedente
doveva essere iudicium legittimum.

Azioni arbitrarie. Temperamenti della condanna


pecuniaria
Sono dette arbitrarie le azioni accompagnate da clausole arbitrarie o restitutorie. Esse
avevano luogo dopo la litis contestatio. Esse invitavano il convenuto a restituire
l’oggetto controverso per evitare la condanna pecuniaria. Ciò andava incontro sia al
convenuto sia all’attore, che potevano risolvere la lite senza l’esborso di denaro
alcuno. Se il convenuto non restituiva, l’attore poteva scegliere l’importo da farsi
restituire, solitamente molto superiore al valore effettivo della cosa,spingendo il
convenuto a restituirla. La clausola restitutoria avrebbe avuto senso solo per pretese
non riguardanti il denaro ovviamente, e solo per situazioni reali, ove era presente
l’esigenza di riottenere la res piuttosto che aestimatio. Senza la clausola, il giudice
doveva condannare comunque il convenuto che avesse adempiuto il suo obbligo
verso l’attore, proprio perché bisognava basarsi su quello che si è chiesto al momento
della litis contestatio. Questo non succedeva nei iudicius bona fidei quasi
immediatamente, ma dovettero essere i giuristi sabiniani molto più tardi a garantire
l’assoluzione anche nei casi di iudici stricta.

Azione penali e azioni reipersecutorie

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Le azioni penali erano in ogni caso azioni in personam. Il privato , vittima di un


illecito,perseguiva una pena dall’autore a valore punitivo. Poteva essere corporale o
pecuniaria, ma dal formulare in poi solo pecuniaria.
Con le azioni reipersecutorie si perseguiva la res, ossia si chiedeva un risarcimento
per un danno su un bene patrimoniale. Tutte le azioni reali era repersecutorie.
Raramente si stabilivano pene fisse. Penali erano anche le azioni con condanna al
multiplo, ove il valore dell’unità (simplum) era assicurata alla vittima. Tutte le azione
ripersecutorie erano al simplum. Le azioni penali erano intrasmissibili, in quanto era
solo l’autore dell’illecito a dover pagare,non i suoi eredi; al contrario funzionava per
quelle persecutorie. Quelle penali si cumulavano con i suoi responsabili, se più di uno.
Ognuno doveva pagare penalmente per quello che aveva commesso. Nel caso del
risarcimento invece la pena non era cumulabile,in quanto la vittima doveva solo
essere risarcita per il danno, per cui i colpevoli potevano dividersi la somma da
pagare. Le azioni penali potevano essere civili o pretorie. Quelle pretorie dovevano
essere esercitate non oltre l’anno. Quelle penali potevano essere esperite in via
nossale. Ciò significa che se l’imputato non ha potestà su se stesso il potestas poteva
decidere se pagare lui stesso la pena o dare nossa al colpevole soggetto alla sua
potestà. La noxae dedictio avveniva mediante mancipatio(una per gli schiavi tre per i
figli). Se un servo che rubava aveva cambiato potestas,l’azione nossale andava fatta
per il suo acquirente. Se era libero, la pena gli veniva imputata direttamente.
La depenalizzazione del diritto privato : Col passare del tempo il diritto romano
andava depenalizzandosi, rispetto all’età arcaica,col corso del tempo si ebbero
notevoli mutamenti : 1 Circa l’intrasmissibilità passiva si faceva strada una soluzione
non penale nei limiti dell’arricchimento,ove rispondevano solo del vantaggio
dell’illecito commesso dante causa 2Molte penali divennero reipersecutorie e molte
altre divennero miste 3L’applicazione delle azioni nossali divenne applicabile solo agli
schiavi,mentre i figli erano considerati diretti responsabili. Nei misti, veniva
considerato il simplum come risarcimento per la vittima, mentre le parti multiple
come punizione. Col passare del tempo il diritto privato venne epurato dal
penale,scomparendo nell’epoca medievale, ove in privato si poteva ottenere solo
risarcimento.

Procedure esecutive
Actio iudicati: L’attore vittorioso poteva accedere alla actio iudicati 30 giorni dopo La
nascita dell’obligatio iudicati emanata dal giudice apud iudicem. Era un’azione
dichiarativa,in personam. In essa, davanti al pretore il convenuto poteva ammettere di
essere tenuto. In quel caso il pretore avviava il processo esecutivo. Poteva anche fare
opposizione però, in 3 modi
1 Che la sentenza nei suoi confronti non fosse valida per i disparati motivi, senza mai
mettere in discussione il verdetto stesso.
2 Di avere già adempiuto ai suoi doveri
3 Che i 30 giorni non fossero ancora trascorsi.
Dopo una attenta analisi dichiarativa ,si arrivava ad una conclusione. Se il convenuto
avesse contestato infondatamente la pena decisa dalla obligatio iudicati sarebbe
stata doppia.

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L’esecuzione personale: Simile alle manus iniectionem ma semplificata e temperata,


quando avveniva il pretore definiva addictus il debitore, e il creditore poteva portarlo
nelle sue carceri personali fino a che non l’avessero riscattato o fino a che non si fosse
pagato da se il debito con il suo lavoro.
L’esecuzione patrimoniale:IL pretore immetteve missio in bona il creditore nel
patrimonio del debitore. Contemporaneamente scriveva la proscriptio , e informava
tutti gli altri creditori della situazione. Se il creditore che ha promulgato l’esecuzione
dopo un mese non era comunque soddisfatto, il debitore diveniva infame. Un curarum
bonurum gestiva in via provvisoria i beni, e nel frattempo i beni venivano messi
all’asta in una bonorum venditio. Il bonurum emptor, creditore che aveva pagato la
percentuale più alta doveva subito pagare il creditore che aveva promosso l’actio
iudicati, e così anche quanto preteso dagli altri creditori.Egli poteva ottenere il
possesso dei beni del debitore e divenire suo succcessore universale però solo
attraverso azioni pretoree ,non iure civile. Ciò poteva avvenire in due modi, attraverso
una fictio,ove si invitava il giudice a considerare il creditore come erede(actio
serviana) o con un trasposizione di soggetti, inserendo il debitore iniziale nell’intentio
e il creditore nella condemnatio.(Actio rutiliana).
Procedure esecutive in assenza di giudicato: Si potevano avviare le procedure esecuti
pure senza un processo: se il convenuto rifiutava di difendersi,se non seguiva in iure
l’attore e nei casi dei debitori senza eredi.
Cessio bonorum e distractio bonorum: Essendo le procedure esecutive molto severe ,
si sentiva il bisogno di renderle meno incisive per alcuni individui. Se , il debitore fosse
colpevole di non avere saldato un debito, ma non fosse colpevole moralmente, esso
poteva chiede la cessio bonorum, che metteva a disposizione tutto il patrimonio ai
creditori, ma senza la proscriptio ne l’infamia.
La distractio bonorum si riservava ai taluni incapaci(pupilli senza tutore , furiosi ecc..).
Il pretore nominava un curator bonorum il quale provvedeva a vendere signoli ceppi di
eredità atti a sanare il debito. Esso venne poi applicato anche alle persone di rango
senatorio.

Rimedi pretori
Gli interdicta. Nascono nel processo delle legis actiones. Era qualcosa che il pretore
negava di fare o allo stesso tempo poteva essere un ordine a fare. Pur manifestandosi
in settore di interesse pubblico, rimasse prettamente emesso su domanda di un
privato verso un altro privato. L’interdictum aveva dei presupposti che ne
giustificavano la messa in azione. Se il convenuto avesse riconosciuto quei
presupposti,avrebbe dovuto obbedire. L’intimato poteva però opporsi a questi
presupposti, dando inizio ad una procedura di accertamento assai complessa. Furono
largamente utilizzati in materia possessoria,ed erano anch’essi tipici.
I due attori facevano due sponsio, dove ognuno prometteva di pagare una penale nel
caso che fosse falso o vero il presupposto dell’interdicta.
La in integrum restitutio: Comportava il ripristino di una situazione giuridica
precedente,atta dal pretore, per via di motivi di equità. Era lui stesso che accertava
che fosse possibile. Il pretore tuttavia non poteva rendere nulli gli effetti dello ius
civile, ma poteva neutralizzare quegli effetti senza poi veramente annullarli. Il giudice
era spinto dal pretore a comportarsi come se l’azione di ius civile non ci fosse stata
ma fosse stata sostituita da un'altra (fictio). (Esempio mancipatio-revendicatio

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possesso,usucapione) qualche volta il pretore emenava invece un decretum,iudicium


rescidens, che ripristinava la precedente situazione giuridica.
Le cautiones o stipulationes pretoreae: Le cautiones erano stipulatio atte a tutelare
congruamente un determinato obbligo. Verificate le condizioni del caso, il pretore
chiedeva al convenuto di compiere una sponsio con l’attore riguardo la materia non
correttamente tutelata secondo il pretore, effettuando così un contratto di ius civile. Il
pretore spesso faceva coazione tramite la denegatio actio o tramite la missio in bona
sul patrimonio del convenuto che si rifiutasse di effettuare la stipulatio.
Le missiones in possessionem: emesse dal pretore con decretum,su postulatio e con
cognitio del pretore le missio permettevano l’istante ad immettersi nel patrimonio del
convenuto in questione. Spesso era usata per motivi cautelari di custodia o spesso
come abbiamo visto per coazione,diretta o indiretta da parte del pretore.

La scomparsa del processo formulare


Il processo formulare comincia a mutare nelle province,mentre sopravvive più a lungo
a Roma, formalmente fino al 342 ,abolito dai figli di Costantino. Le formule erano
dichiarate obsolete e troppo formali(Si parlò infatti di caccia alla sillaba) . Le prime
differenze che emergevano erano l’abbandono della in ius vocatio e del vadimonium,
sostituite dall’intervento pubblico, la nomina del giudice divenne prerogativa del
magistrato e le formule da scritte passarono a istruzioni passate dal magistrato al
giudice.

Cognitiones extra ordinem:


Il primo caso di cognitio extra ordinem era effettuato nel caso dei fedecommessi
ereditari. Da quel momento fecero seguito diversi processi per cognitio extra
ordinem,ad esempio quelli sulla libeertà. Nelle province gli organi competenti erano i
governatori, mentre a roma i magistrati repubblicani e i magistrati del principe. Tutto
parti ai tempi di Augusto. Quando il princeps emanava rescritti su processi privato,era
extra ordinem. Il processo non era diviso nelle due fasi apud iudicem e in iure,ma
tutto si svolgeva davanti ad un organo pubblico. Poteva essere emessa la sentenza
anche tramite delegato.Non vi era pertanto alcuna litis contestatio, ma i suoi effetti si
spalmavano durante il processo. Quello conservativo all’inizio,quello preclusivo alla
sentenza. Le obiezioni del convenuto erano chiamate praescriptio,ma più che
praescriptio si trattava di exceptio formulari. Il giudizio poteva non essere espresso in
denaro dal giudice ma dall’attore,e il giudice poteva pignorare i possedimenti del
convenuto e venderli all’attore al fine di soddisfare le ragioni avversarie. Svuotamento
di contenuti. Nasce l’appello e il magistrato funzionario. Deriva autoritaria del
processo attraverso rescritti e appelli.

Processo postclassico e giustinianeo


Il processo si unifica,vengono completamente meno le formule. Al vertice stava
l’imperatore. Il procedimento si irrigidisce,il legislatore non da spazio ai giudici per
l’esercizio di poteri discrezionali. Il punto da decidere non è più cristallizzato da una
formula. Nascono le spese giudiziarie per le parti. Vennero proibite le carceri private
ma l’esecuzione personale non scomparve del tutto. Il processo dell’esecuzione
patrimoniale non era più della bonorum venditio ma della bonurum distractio( I beni
per i figli o i senatori).

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L’exceptio poteva anche ridurre la condanna. Gli effetti ipso iure vennero intesi come
verificabili d’ufficio. Le azioni in buona fede aumentarono molto di numero. La
differenza tra ogni azione processuale svaniva, e processo e diritto accquisivano la
loro autonomia.

4 Fatti e negozi giuridici


Fatti atti e negozi giuridici
Il fatto giuridico comprende qualsiasi evento,volontario o non,che incide sulla realtà
giuridica. Ossia,ogni elemento produttivo di fatti giuridici.
Essi si dividono in volontari e involontari. Involontari sono i fatti indipendenti
dall’uomo,naturali (calamità naturali decorso del tempo). I fatti volontari invece
dipendono da azioni umane volontarie. I fatti volontari vengono più semplicemente
definiti come atti giuridici. Si distinguono a loro volta in fatti leciti ed illeciti, gli uni
consentiti dall’ordinamento(negozi giuridici) gli altri invece vietati. Per negozi giuridici
intendiamo la manifestazione di volontà da parte di 2 privati atta al conseguimento di
acquisto perdita o modifica di situazioni giuridiche soggettive. Lo schema del negozio
giuridico è tuttavia fonte di ampie contestazioni, essendo in realtà sopito nel diritto
romano.

Un fatto giuridico involontario,il decorso del tempo


computo
Il trascorrere del tempo poteva dar luogo all’acquisto di capacità,(come quella di agire
per i maschi quattordicenni o l’acquisto di una res habilis per usucapione), ma poteva
avere anche effetti estintivi,ocme nel caso della servitù prediale. I romani facevano
uso di computo civile,ove ogni giorno veniva computato per intero. Si calcolava
sempre il giorno iniziale, mentre quello finale doveva a volte solo iniziare e a volte
invece scorrere interamente. Solitamente erano inclusi tutti i giorni, a volte solo quelli
non nefasti,ove il diritto non operava.

Atti illeciti .rinvio


Obligationes. Sanzione a carico dell’autore. L’atto è voluto, la sanzione giuridica
evidentemente no.

Negozi giuridici: tipicità ed elementi


Tipicità: Solo alcune situazioni denominate negozi giuridici è data a Roma tutela
giuridica,tuttavia ognuno ha caratteristiche propie.
Elementi: Si è soliti distinguere nei negozi giuridici:
Elementi essenziali: sono gli elementi strutturali di ogni determinato negozio
giuridico,senza di essi perde validità. In tutti in negozi è necessaria la manifestazione
di volontà, sincera o non. Nei negozi formali è necessaria una forma determinata, in
quelli causali che vi sia indicata la causa. Ad esempio,nella compravendita il prezzo.
Elementi naturali: elementi che scattano automaticamente dopo il negozio: potevano
essere esclusi con un patto contrario antecedente delle parti

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Elementi accidentali: Eventuali elementi che i due attori decidono di inserire nel
negozio secondo accordo.

Invalidità
Il negozio nullo è si inefficace perché non produce effetti,ma non ha in se nessun
valore. Un negozio inefficace invece,può essere valido. Si pensi ad un testamento
prima della morte del suo scrittore.
Si dice nullo il negozio che via di un suo intrinseco difetto nasce morto. Si dice
annullabile il negozio che non nasce morto ma ammalato, e alcuni soggetti posso
porvi fine. Un negozio annullato diventa immediatamente inefficace anche
retroattivamente. Solitamente era il pretore con lo ius honorarium a porvi fine,ma nel
diritto giustinianeo già non si distingueva più dallo ius civile. Un negozio nullo era
trattato ipso iure come se non esistesse. Annche negozi di ius civile,potevano essere
annullati dal pretore per ragioni di ecquità,grazie ai suoi rimedi pretori. In realtà non lo
si annullava ne lo si rendeva inefficace,semplicemente se ne impediva la
realizzazione. Questo Quando il pretore utilizzava la denegatio actionis o l’exceptio
essi invece venivano ignorati quando utilizzava la bonorum possessio o la in integrum
restitutio. A stabilire l’annullabilità vi erano le famose 3 leges
1 Le leges perfectae, che stabilivano un divieto per i negozi che se realizzato ne
annullava gli effetti
2 le leges minus quam perfectae che non annullavano gli effetti ma sanzionavano i
trasgressori
3 le leges imperfectae che sancivano un divieto ma non sanzionavano ne annullavano
gli effetti del negozio.

Negozi giuridici soggetti e classificazioni


I soggetti: I soggetti che andavano a comporre un negozio giuridico, dovevano essere
legittimati a compierlo,diversamente era invalido in iure civile. In iure pretorio,invece
era necessario avere 25 anni. Per legittimazione negoziale si intende l’idoneità a
mettere in atto un negozio e quindi poter essere abilitato a ricevere gli effetti che
concretamente è destinato a produrre. E’ legittimato il propietario che si vuole
alienare dalla cosa. Così come in diversi casi magistrati o curati.
Classificazioni: I negozi come abbiamo detto erano tipici.
Diciamo formali i negozi per i quali erano necessarie determinate formalità per essere
funzionali,diciamo causali i negozi i quali la causa determinava la struttura,astratti i
negozi che non avevano alcuna causa nella loro struttura, non essendo necessaria.
Diciamo unilaterali i negozi nei quali a manifestare la volontà era solo una parte,
bilaterali quando erano due,plurilaterali quando vi erano tre o più parti. Ogni parte è
rappresentata da un diverso interesse. Poteva capitare che più soggetti avessero gli
stessi interessi.
Si distingue poi tra negozi giuridici a titolo oneroso e a titolo gratuito. Nei primi
entrambe le parti del negozio avevano un vantaggio nella sua esecuzione, nei secondi
solo una parte traeva vantaggio , ad esempio in una donazione.

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Un ulteriore distinzione la si fa tra i negozi inter vivos, che sono destinati a produrre
effetti in vita del soggetto,(Mancipatio etc) o i negozi mortis causa,attivi solo dopo la
morte dell’autore(testamenti).
I negozi con effetto reale erano solitamente accompagnati da in iure cessio mancipato
e traditio, mentre quelli con obbligazioni erano definiti come contratti. Nei negozi con
effetti reali si possono individuare i negozi dispositivi, ove taluno aliena elimina o
comprime un proprio diritto. Tutti i negozi reali quindi sono dispositivi se visti dalla
prospettiva del soggeto che traferisce propietà etc.

Le forme di manifestazione della volontà. I negozi formali


Ogni negozio giuridico comporta manifestazione di volontà, che deve in qualche modo
palesarsi al mondo esterno. A volte il negozio, se formale, richiede anche particolari
forme determinate. Ciò era ravveduto principalmente in età arcaica,ove tutto si
basava su rituali e certa verba. La forma e lo schema degli atti erano rigidamente
predeterminati. In essi si esprimeva la stilizzazione dei contenuti dei negozi che con
esse si manifestavano.

La mancipatio
Trova fondamento nei mores maiorum,e viene riconfermata nelle 12 tavole. Era un
negozio ex iure quiritum,quindi di ius civile e quindi limitato ai cittadini romani. Era
uno dei gesti aes et libram (aes rame libram bilancia) ed era caratterizzata da certa
verba. Le parti erano il mancipio dans,colui che cedeva il possesso,il mancipio
accipiens,colui che lo riceveva, il libripens e cinque testimoni che dovevano essere
cittadini romani puberi. Era impiegato per il trasferimento della propietà in senso lato.
Si usava acnhe per “adottare figli”, emanciparli, o ottenure la manus sulla donna. Era
il mancipio accipiens a parlare,mentre il mancipio dans rimaneva in silenzio. Egli
riferiva che quella cosa era sua ex iure quiritium,in forza del metallo e della bilancia. Il
metallo era grezzo in antichità e diventava aes signatum(certificato) poco dopo.
La mancipatio solitamente trasferiva possesso e propietà dei beni mobili, e
inizialmente anche per gli immobili, dato che dovevano essere in presenza del
rituale( ad esempio effettuandola sopra un fondo),ma dopo , quando non era più
necessario avere il bene immobile durante la mancipatio starà al mancipio dans
consegnarne personalmente il possesso. Probabilmente la vendita era la funzione
originaria, ma viene successivamente sostituita per la compravendita,ove però, in
caso della vendita di res mancipi,comunque si effettuava la mancipatio. Trasferiva la
propietà,ed aveva pertanto effetti reali. Essa presenta inoltre diverse similarità con la
legis actio sacramento in rem, ove tuttavia qui è solo il mancipio accipiens a
parlare,cosciente che la propietà sarebbe stata realmente sua solo a rito compiuto. Il
formulario della mancipatio poteva essere integrato da legis mancipii,legis privatae
volti a limitare l’influenza della mancipatio.Sopravvisse per tutta l’età classica,ma
quando scomparì tra differenza tra res mancipi e nec mancipi non si senti più ragione
per il suo utilizzo.

La in iure cessio
La in iure cessio era un altro negozio formale precedente alle 12 tavole,ex iure
quiritium e quindi fruibili solo dai cives romani. Essa poteva essere utilizzata per il
trasferimento della propieta su res mancipi e nec mancipi, o per l’acquisto della
potestà nell’adoptio. Si compiva in iure,quindi davanti al pretore. Il

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cessionario,pronunciava la formula “Dichiaro che questo uomo sia mio ex iure


quiritium” il pretore interrogava il cedente,che però rimaneva in silenzio, e allora il
pretore dichiarava l’addictio dello schiavo nei confronti del cessionario. Era
fondamentalmente un finto processo fatto per perseguire effetti da negozi che lo ius
civile antico non prevedeva. C’è da dire che per il trasferimento della propietà erano
in realtà più comodela traditio e la mancipatio. Era quindi un negozio giuridico
bilaterale con effetti reali. Ne furono esclusi dall’utilizzo servi e filis familias. Pur se
fittizia si trattava comunque di una legis actio. Era anche un negozio astratto,ove non
emergeva causa. Il traferimento della propietà funzionava come nella mancipatio.

Cenni sulla stipulatio


Negozio formale,bilaterale,precisamente un contratto, per cui con effetti obbligatori.
Le parti erano lo stipulante e il promittente. Lo stipulante chiedeva una prestazione di
qualsiasi tipo, e il promittente rispondeva con lo stesso verbo vincolandosi a iure
civile. Il suo prototipo era la sponsio, che funzionava però solo per cives
romani(Spondes? Spondeo.) La forma era agile ,per cui era molto utilizzato. Era un
negozio astratto,per cui utilizzabile per le più svariate cause.

Altre forme negoziali


Molti dei negozi trattati erano fatti solo per via orali, ma potevano esisterne anche di
scritti, ove la manifestazione della volonà era impressa attraverso la
scrittura(testamento). Negozio non formale poi era la traditio, iuris gentium,per cui
fruibile anche dai cittadini. Serviva per passare il possesso, e all’ccorrenza anche la
propietà. Tuttavia il negozio con tradizio si concludeva solo alla consegna.

Negozi giuridici non formali


Negozi giuridici non formali e quindi usufruibili da tutti erano compravendita locazione
società e mandato. Iuris gentium quindi. Vennero poi inseriti nello ius civile e
sanzionati da iudicia bona fidei. Anche i patti erano contratti bilaterali non formali,
tutelati però solo pretoreamente attraverso l’exceptio. Tutti e due questi contratti
consensuali sono costitutivi di obbligazioni. Era comune a tutti i negozi che la volontà
fosse manifestata , in qualunque modo.

La prova del negozio giuridico.Forme scritte ad


probationem. Cenni sul testamentum per aes et libram e
sulle situazioni complesse.
Un problema noto ai romani era come provare che il negozio fosse stato compiuto,
dato che perlopiù si compivano per via orale,sebbene con testimoni, che spesso però
non erano affidabili mnemonicamente per le questioni più complicate. Mettere per
iscritto determinati contratti o negozi era utile più che altro a livello probatorio,ed
erano chiamati instrumenta . Vi si fece largo ricorso nella mancipatio, nonostante la
presenza obbligatoria di testimoni. Si sentiva quindi l’esigenza di conservare prova del
negozio compiuto oltre alla corporalita dei testimoni. Questo succedeva nei
testamenti per aes et libram,ove si applicava la mancipatio, eil testamentario
effettuava una solenne pronuncia orale che veniva poi trascritta e sigillata dai
testimoni, rimanendo poi segreto fino alla morte del testatore. Si utilizzo questo
processo anche nella stipulatio,specie nelle promesse che comportavano diverse

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obbligazioni da portare a termine. La forma scritta però non era ne ad substantiam,


perché non aveva nessun valore a differenza della solennità orale e non era realmente
neanche ad probationem in quanto essa rimandava solamente alle parole pronunciate
durante il negozio. Col passare del tempo, da costantino in poi si sentì sempre più
esigente la forma scritta e la sicurezza che poteva trasmettere, tanto che le stipulatio
divennero principalmente scritte, senza neanche accertarsi della pronuncia dei verbi.

Forme negoziale età post classica e Giustinianea


L’abitudine di utilizzare documenti scritti andava intensificandosi sempre di più con
Giustiniano, che li rese obbligatori per donazioni e vendite immobiliari.
Fondamentalmente le linee guida di Giustiniano erano quelle del riconoscimento del
valore del documento scritto mantenendo però i contratti orali efficaci per i negozi più
semplici e mondani( es usufrutto), che risultavano essere risolti ancora
semplicemente nella stessa maniera. L’importanza del documento scritto si faceva
sentire anche perché i giureconsulti cominciavano a essere rari e sempre meno
qualificati.

L’interpretazione della volontà negoziale


L’interpretazione della volontà negoziale è atta a comprendere gli effetti che il
negozio è destinato a produrre. Una prima interpretazione era che in età arcaica,si
cercasse di dare più valore ai verba che alla voluntas vera e propia, mentre già in età
classica per alcuni ci si era spostati per lo più alla ricerca delle vera voluntas delle
parti. Una nuova interpretazione, pur tenendo conto che non è pensabile mettere in
dubbio la volontà successivamente al vincolo creato da atti così solenni,che anche in
età arcaica vi fosse in realtà una primitiva ricerca della volontà. Pur essendo i negozi
arcaici composti da solenni formule esse avevano in loro spazi bianchi,che potevano
creare indiscrezioni e ambiguità. Le volontà che necessitavano la maggiore limpidezza
erano sicuramente quelle testamentarie,proprio per la loro natura di negozi unilaterali
a titolo gratuito. Nei negozi inter vivos, si cercava invece “cio che le parti
effettivamente conclusero”. Sempre per quanto riguarda i testamenti,si cercava di
capire il modo usuale di esprimersi del testante e degli usi locali. Si cercava
solitamente di evitare la nullità nell’atto,portando il massimo rispetto al deceduto. Tra
la liberazione di uno schiavo e la prigionia, si preferiva la prima(influsso stoico
cristiano). Nelle stipulatio si tutelava il promittente, e nelle vendite il compratore. Si
cercava sempre di aiutare la parte più debole.

Divergenza tra manifestazione e volontà negoziali


Poteva accadere che taluno manifestasse una volontà che non aveva.Bisogna
distinguere in questo caso tra negozi solenni e non. Quello non solenni, necessari di
volontà, in questo caso venivano annullati e smettevano di produrre effetto. Quelli di
ius civile invece,una volta compiuti nelle loro formalità non davano spazio ad una
interpretazione diversa da quella che nel rito in se avveniva,per cui acquisiva valore.
Per quanto riguarda la stipulatio tuttavia questo limite fu superato grazie a pedio,
giurista del secondo secolo, che stabilì una dottrina secondo la quale nella stipulatio
doveva esistere l’accordo delle parti,(conventio) pena nullità. Certamente questo
accadeva poi in età post classica, ove la ricerca della voluntas era centrale.
Dichiarazione ioci causa: Nessun problema si pose mai per le dichiarazioni ioci causa,
ossia date per scherzo o in contesti teatrali o di ammaestramento(demostrandi
causa).

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Riserva mentale: caso nel quale un individuo accettava un contratto manifestando


comunque una volonta fittizia e mantenendo quella reale nascosta al mondo. Il
contratto non poteva essere che considerato valido, anche perché l’altra parte non
poteva aspettarsi una riserva.
Simulazione: Preso un negozio almeno bilaterale. Le parti di questo negozio sanno
entrambe che che non è quello che vogliono, e si ha quindi un negozio
simulato,occulto. Si distingue poi tra simulazione assoluta e simulazione relativa.
Assoluta ove le parti sostengono di volere un negozio ma non ne vogliono
nessuno,mentre nella relativa le parti vogliono dar luogo ad un diverso negozio da
quello dichiarato. L’accordo desiderato in questo caso deriva da quello simulato. Se ad
essere simulato era un accordo nel quale la volontà non potesse mancare, ovviamente
la conseguenza sarebbe stata la sua nullità,viceversa i negozi di ius civile sarebbero
stati ancora validi. L’accordo simulatorio era quindi in sostanza un patto,e quindi
l’altra parte che avesse preteso l’adempimento del processo simulato poteva essere
bloccato da l’exceptio pacti conventi, che avrebbe invalidato via iure pretorio
l’accordo. Nei negozi derivanti da simulazione relative, era comunque necessario che
il negozio realmente desiderato fosse possibile per essere realizzato: Un coniuge non
poteva comunque donare nulla alla moglie.

L’errore negoziale
La divergenza tra volontà può essere inconsapevole, e può accadere di dare un
significato diverso alla propia volontà rispetto a quello che realmente ha. Nei negozi
bilaterali si interpreta in maniera errata la volontà dell’altro,o comunque del valore
che l’altro gli ha dato, E Può ACCADERE PER SCARSA CONOSCENZA DELLA LINGUA.
Questo tipo di errore è detto ostativo,e esclude il valore della volontà. Si distingue
dall’errore vizio,ove la volontà e viziata e CHE DI persè NON LA ESCLUDE, ossia
l’errore sta nel modo in cui la vontà si forma,quando è convinto per errore di
circostanze non vere. I giuristi romani si occuparono ampliamente dell’errore
negoziale, ma senza distinguere i due tipi di errore, in quanto non consideravano la
volontà come interna,ma considerarono il negozio completo. Il probema stava in che
misura dare rilevanza ai verba e in quale alla voluntas. Nei negozi solenni eventuali
errori nelle parti formali erano irrilevanti e garantivano comunque la validità dell’atto,
diversamente accadeva negli “ spazi bianchi”. Vi erano esigenze di certezza o di
rispetto. L’errore di diritto era irrilevante, e l’ignoratia pure, tranne nei casi in cui vi
siano casi di persone particolarmente ignoranti per ceto come rustici e militari.L’errore
essenziale è quello che investe il negozio nei suoi aspetti essenziali. L’error in negotio,
ossia su quale negozio applicare, era rilevante e comportava l’annullamento di ogni
effetto. Si può sbagliare destinatario,in persona, fondamentale nei tetamenti, vi è
l’error in nomine, ove l’oggetto v’era indicato in modo sbagliato, Vi era l’errore in
qualitae,sostanza e quantitae. Il substantia era tutelati nei iudici bona fidei,il qualitate
era sempre irrilevante.
Generalmente, era l’errore di fatto a essere quello più rilevante, e la rilevanza portava
il negozio a essere invalido. L’errore di fatto era essenziale e scusabile,è l’errore non
grossolano.

Il dolo
L’errore ostativo esclude la volontà,e l’errore vizio non la esclude ma la vizia.Come vizi
della volontà figura anche il dolo. Nel contesto negoziale,il dolo è una macchinazione
volta a trarre in inganno un acquirente, che normalmente non avrebbe ne voluto ne

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compiuto il negozio, oppure a condizioni diverse. L’errore indotto dal dolo altrui,fu
sempre rilevante. E’ solo al dolus malus che facciamo riferimente,non al dolus bonus
che consiste nell’inganno legittimato,ad esempio il venditore che sostiene la bontà dei
propi prodotti. Il malus è atto a trarre in inganno. Iure civile il negozio viziato da dolo è
inizialmente efficace. Il principio subì però pesante deroga, sostenendo che nei giudizi
in buona fede esso dovesse essere ritenuto invalido, e quindi il convenuto non era
tenuto a dare niente. Se la vittima si accorge prima della frode rispetto al
processo,essa potrà agire con la medesima azione di buona fede tutelarsi e ricevere
indietro quanto è stato oggetto della prestazione.
Exceptio doli: Fu utilizzata per tutelare in giudizio azioni non di buona fede. La vittima
del raggiro poteva porre exceptio doli ed essere assolto. Il negozio sarebbe stato si
iure civili valido,ma poi neutralizzati dallo iure pretorio.
Exceptio doli generalis: formula più generale dell’exceptio doli che poteva valere in
contesti diversi da quelli del negozio, e tutelare diverse situazioni di raggiro. Esso si
compiva al momento dell’azione ma poteva essere applicato a un contesto più vario,
e solitamente si parla di iniquità.
L’actio de dolo: Cosa accadeva quando la vittima di un raggiro non si fosse accorta
subito,avesse dato esecuzione al negozio? Soccoreva per lui l’actio de doli,azione
penale e quindi al simplum. Era un’azione grave e comportava l’infamia del
condannato. Era arbitraria, ossia il giudice prima della condanna intimava la
restituzione dei beni. Era penale e quindi all’occorrenza nossale. L’attore poteva agire
quindi direttamente solo sull’autore del dolo,non verso i suoi figli. Era un’azione
pretoria in factum, ossia no poteva essere esperita dopo oltre un anno dalla
commissione del dolo. Successivamente, con la depenalizzazione delle azione penali,
si concesse una condanna in virtù di taxatio. Nei iudici bona fidei si riceveva indietro
tanto quanto era la stima dei danni subiti.

La violenza(metus)
Altro vizio della volontà è la violenza,ma non intesa come altrui violenza fisica, che
avrebbe sicuramente annullato la volontà ,bensi la violenza psicologica,minaccia, che
porta a pronunciare certa verba. Di solito si trattano di minaccie gravi,o comunque più
gravi della nascita del negozio stesso. La volontà è viziata perché si forma in relazione
alla minaccia perpetrata dall’avversario. Un negozio di questo tipo,purtroppo valeva
iure civile. E’ pur vero che per negozi iudicia bona fidei il convenuto non avesse
dovuto nemmeno porre exceptio che avrebbe ottenuto restituzione. Per i iudicia
stricta,venne utilizzata la exceptio metus,che rendeva libero il convenuto e gli faveva
ottenere una restituzione. La valenza di questa exceptio era assoluto,non limitata
all’autore della vis, e questo permetteva in ogni negozio di applicarla quando in
generela c’era stato caso di violenza.LA vittima di metus poteva agire in actio quod
metus causa,penale,e portava un danno al violento pari a 4 volte il simplum entro un
anno. Poteva essere usata anche contro esterni che si fossero avvantaggiati del
metus. Poteva essere esercitata come nossale per via della sua natura penale. Nella in
integrum restitutio propter metum il giudice avrebbe ignorato l’esistenza della
mancipatio e avrebbe ridato i beni alla vittima.

La causa nei negozi giuridici.La condictio


Chiunque effettua un engozio giuridico non può non avere motivi personali per
aderirvi. I motivi spesso sono del tutto soggettivi e l’ordinamento non li prende in

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considerazione. A parte i motivi però, ogni negozio è compiuto per una “causa”, per la
quale si intende la ragion d’essere del negozio,ossia la funzione che si intende
realizzare co gli eggetti del negozio. Nei negozi bilaterali la causa è comune,e
solitamente in essi la causa è riconosciuta come valida,dato che determina la
struttura di alcuni negozi(Compravendita,mutuo).
I negozi astratti invece non necessitano di una causa, e i più famosi sono quello dello
ius civile,ove non compariva la causa dato che potevano essere usati per una
molteplicità di esse. Dall’età preclassica in poi però si diede una forma di tutela a
questi negozi,1 con la conditio, per la restituzione di quanto già prestato,2 con
l’exceptio e l’annullamento degli effetii.
La condictio: La condictio fu la versione formulare della legis actio per conditionem, e
come con essa si perseguivano crediti che l’attore pretendeva sussistere, a favore di
un obbligo espresso con oportere. Poteva avere luogo con certa pecunia,o con certa
res. Si trattava pertanto di azione civile in personam e di stretto diritto. Come nella
legis actio, non era necessario indicare la causa, e nell’ambito formulare la formula
era quindi senza demonstratio. La conditio presupponeva che in precedenza vi fosse
una datio, ossia che il propietario avesse trasferito al convenuto una res. Serviva
anche una ragione secondo la quale il convenuto non dovesse tenere più quella cosa.
Se soccombeva,doveva restituire la propietà all’attore. Riguardo al contesto negoziale
ci interessiamo di conditio ex-contrattuali,riguardavano dationes compiute per una
causa inestitente o venuta a mancare. Era quindi impiegata come rimedio contro il
difetto di causa nei negozi astratti. Così, se qualcuno traferiva la propietà di qualcosa
essendo erroneamente convinto di essere obbligato a farlo potrà poi perseguire il falso
creditore con condictio.

Elementi accidentali dei negozi giuridici


Ogni negozio era tipico ed aveva una singola strutturea ed applicazione,e ad ognuno
di esse si possono aggiungere clausole diverse,anche definite come elementi
accidentali del negozio. Queste clausole sono decise dalle due parti del negozio. Una
prima tipologia di clausola è quella della condiizone. Per condizione si intende una
clausola che concerne un evento futuro e incerto al quale si fanno variare gli effetti
del negozio. Si distinguono in condizioni sospensive e risolutive: Le prime stabiliscono
quando un negozio inizia a fare effetto,le seconde quando esso termina di dare effetti.
Gli actus legittimi: in essi un eventuale clausola avrebbe reso nulli gli effeti del
negozio. Esempi sono la mancipatio e la in iure cessio. Fondamentalmente si parla di
negozi composti da certa verba. Essi erano logicamente incompatibili con un rivio di
qualsiasi genere. Qualsiasi clausola avrebbe contraddetto le loro formule. “dico che
questa cosa è mia”
Condicio iuris: Si tratta di negozi che erano integralmente collegati ad una clausola
temporale subordinata al verificarsi di determinati eventi. Ad esempio un testamento
non era valido fino alla morte del testatore. Non si trattavano di persè come
accidentalità,dato che la specifica di esse sarebbero state superflue.
Le condizioni in praesens vel in praeteritum conlatae: Nenahce queste si
consideravano accidentalità, in quanto dipendevano da eventi attuali o passati, e il
negozio in questione diventava subito valido una volta accertati i vari eventi.
Condizioni impossibili: un evento dedotto in condizione poteva essere impossibile
materialmente o giuridicamente, e solitamente un negozio collegato a questo tipo di

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condizione era nullo . generalemente ciò si applicava ai negozi inter vivos, mentre
quelli mortis causa erano tenuti validi in quanto essi considerati scritti in tal modo non
apposta(Interpretazione sabiniana).
Condizioni illecite: Nei negozi iudicia bona fidei erano soliti essere dichiarati nulli in
concomitanza con condizioni illecite. La stipulatio invece restava dapprima esistente
ed efficace. Il pretore da un certo momento però inizio a denegare questo tipo di
azioni o a bloccarle con exceptio doli. Il passo successivo della giurisprudenza fu
invalidarla anche iure civile. Analogo procedimentovenne applicato ai negozi mortis
causa.
Condizioni positive e negative: Rispettivamente al verificarsi o al non verificarsi di un
determinato evento.
Condizioni potestative,casuali, miste. Potestative sono quelle dipendenti da un atto
volontario della diretta persona interessata,casuali quelle dettate dal caso o dalla
volontà di terzi e miste sono la fusione di queste due. Furono ritenute nulle le
condizioni potestative che fossero rimesse alla sola volontà della persona che avesse
interesse contrarie, per ovvie ragioni. Potevano sussistere anche condizioni
potestative negative, e se soggette a termine non vi era alcun problema. Tuttavia
condizioni di questo limite senza un termine temporale risultavano ambigue,in quanto
non si poteva farle valere fino alla morte dell’interessato. Questo porto le due parti ad
effettuare la cautio muciana, che stabiliva che nel momento in cui si dovesse smettere
di rispettare le condizione,i beni dovettero essere restituiti al propietario.
Condicio pendet: E’ una condizione che non si è verificata del tutto e non si sa se si
verificherà.
Il debitore pertanto che aveva adempiuto in presenza della condizione avrebbe potuto
pretenderne la restituzione. Durante la pendenza il negozio esiste ed è valido, ma non
produce effetti. Trasmissibile agli eredi inter vivos.
Condicio deficit: Con il mancare della condizione,il negozio diventa nullo.
Condicio extitit : La condizione si verifica e il negozio comincia a produrre i suoi effetti.
L’attivazione del negozio aveva elementi retroattivi. Se qualcuno avesse interesse nel
fermare l’attivazione del negozio,anche se ci riuscisse la condizione risulterebbe
comunque verificata da un adempimento fittizio.
Condizioni risolutive: Esse non erano congeniali alla mentalità giuridica romana. Non
era contemplabile da loro per esempio una “propietà temporanea” , essa era
perpetua,comme l’istituzione di erede e così come lo status libertatis. Inserire una
condizione temporanea nei casi degli actus legictimi rendeva nulla sia la condizione
che l’atto. Se si trattava di un negozio diverso,si considerava come non apposta. Nel
caso della stipulatio essa sarebbe rimasta pura,la condizione come non apposta. Ne
riconobbe invece validità l’usufrutto. Queste condizioni erano da considerare veri e
propi pacta, tutelati se di stretto di diritto ipso iure,se di iudicia bonae fidei attraverso
particolari azioni. Si poteva utilizzare anche una exceptio pactio conventi per fermare
gli effetti dati dall’exceptio paccti conventi.

Il termine(dies)
Il termine è una clausola temporale che riguarda un evento futuro,ma che certamente
si verificherà.Poichè vi è certezza che l’evento avverrà sorgono meno problemi
rispetto alle condizioni. I romani vi si riferivano con dies. Poteva trattarsi di una data di

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calendario o di un avvenimento certo,come la morte di qualcuno. I romani distinsero i


negozi ex die(termine iniziale) e ad diem(termine finale). Il negozio con termine
iniziale cominciava a produrre i suoi effetti all’arrivare della scadenza,il termine finale
li smetteva di produrre all’arrivo della scadenza. Per ovvi motivi non sono appliabili
agli actus legittimi In alcuni negozi era concesso quello iniziale e non finale(stipulatio
traditio).
Il pretore diede pratica rilevanza al termine finale nella stipulatio con l’exceptio doli e
l’exceptio pacti conventi. Il termine iniziale era in ogni caso trasmesso agli eredi. Se si
donava prima non si poteva usare condictio indebiti.

Il modus
Imposizione al destinatario di adottare un comportamento determinato. Poiché si
tratta di comportanto volontario,esso potrebbe essere paragonato alla condizione
potestativa. Ne differisce però riguardo all’avveramento della condizione,dato che il
negozio modale è immediatamente efficace,e rimane efficace a prescindere
dall’adempimento del modus,solo che il beneficiario sarà obbligato a compiere quanto
il modus gli impone. Se la condizione potestativa subordina ma non ordina,il modus
ordina ma non subordina. Il giurista trebazio suggerì che prima di dare un esercizio ad
un negozio legato sub modo,si dovette stipulare una cautio per promettere
l’esecuzione del modus. Altrimenti se si fosse rifiutato sarebbe stato applicato
l’exceptio doli generalis. Se si profilava un interesse della collettività all’adempimento
di un determinato modus,l’autorità pubblica poteva costringere un individuo ad
adeguarsi alla volontà del testatore. Se si donava un legato “affetto” da modus, il
modus poteva essere tale da apparire anch’esso insieme alal donazione dallo stesso
atto di trasferimento. Se non rispettato poteva essere vittima di condictio per la
restitiuzione.

La rappresentanza
Gli effetti del negozio giuridico erano solitamente applicabili solo alle parti del
negozio.
Figure esterne sono
Il nuntius: Messaggero che riferisce puntualmente ciò che è portato a riferire. Si tratta
di un mero strumento,non diverso da una lettera. Non dichiara alcuna volontà non
propia. I nuntius non potevano compiere negozi solenni,ma potevano effettuare
contratti consensuali e patti.
La rappresentanza organica: Altro è il caso delle persone fisiche che agiscono e quindi
concludono negozi,in nome di qualcun altro. Il processo per cui lo fanno è però di
rappresentanza organica,ossia in ruolo di organo d’acquisto e legali rappresentanti nel
caso del diritto romano solitamente di un pater familias che mandava le parti alieni
iuris della sua famiglia a fare compere. Esso è il responsabile di ogni acquisto.
La responsabilità addietizia: Accadeva talvolta che gli effetti del negozio ricadessero
sia sul pater familias sia sul soggetto alieno iuris.
La rappresentanza: Nel senso di rappresentanza vera e propi gli effetti del negozio
ricadevano anziché al dichiarante direttamente ad un terzo. E’ un concetto non
originario del diritto romano,ma consiste una situzione nel quale un soggetto detto
rappresentante conclude in negozio in nome e per conto di un altro soggetto.

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Si distingue in volontaria ed in legale: Volontaria quando i poteri del rappresentante


sono conferiti dal rappresentato con un atto volontario,legale in tutti gli altri casi(Il
tutore ad esempio). Il nuntius non è considerato tale in quanto quel soggetto non
esprime alcuna volontà e la rappresenza organica invece grazie ad un soggetto non
autonomo) e neanche è addietizia. I romani tendenzialmente erano contrari al
riconoscimento dello chema della rappresentanza, e ne è un esempio la
stipulatio:Nessuno può stipulare in favore di un terzo. Le ragioni di ciò sono scorte nel
forte individualismo e nelle modalità dei contratti solenni,che richiedevano entrambi
le parti presenti.
La rappresentanza indiretta: Consiste nel chiudere un negozio altrui in nome
proprio,con effetti che pertanto si imputano al dichiarante,salvo poi il dovere di
quest’ultimo di doverli trasferire al terzo per il quale ha concluso il negozio e all’altro
di sapere che gli obblighi erano per il terzo. Era effettuati per idonei atti di
trasferimento. Non è considerata vera e propia rappresentanza in quanto gli incarichi
dovevano sempre essere trasferiti.
Le deroghe alla esclusione della rappresentanza: Nonostante i romani fossero contrari
alla rappresentanza,vennero fatte alcune eccezioni. Il curato furiosi era legittimato ad
alienare con mancipatio e iure cessio i beni de furioso,come stabilivano le 12 tavole.
In età classica potè addirittura alienare fondi rustici e suburbani. Un'altra importante
deroga riguardo il possesso,ove particolari figure come il curator furiosi e al tutor
impuberis traevano vantaggio era quella del libero commercio di acquisto e
trasferimento dei beni del curato. Questà capacità fù traferita anche al procurator.
In età classica si stabilì persino che l’acquisto per un terzo era consentito ad ogni
persona libera,pure all’insaputa del terzo. Un acquisto tramite procuratore o terzo
quindi trasferiva direttamente la propietà delle res nec mancipi. Una volta scomparse
le figure di ius civile,questo processo funzionerà poi anche per le res mancipi.

Patti e contratti a favore di terzi:


Era vietato a roma effettuare contratti i quali obblighi tangessero terzi al contratto. Il
terzo era sicuramente esente dagli effetti di una eventuale stipulatio di questo
tipo(comunque inefficace) in quanto non presente nel rito. E’ da escludere il caso
anche perché negando la possibilità di promulgare azione da parte del terzo neghiamo
anche la validità del negozio. In opera tardo classica delle costituzioni imperiali
derogarono tuttavia questi obblighi e concessero a terzi actiones utiles e in factum. Un
caso è una donazione reale con modus.

Il cognitor,il procurator ad litem e altri sostitui processuali


L’esigenza che un soggetto si facesse sostituire da un'altra persona fin dall’inizio della
lite non era molto avvertita nelle legis actiones. Fu tenuta presente nel processo
formulare. Importante è la figura del cognitor,sostituto processuale dichiarato
direttamente dalla persona che ne desiderava la presenza tramite parole solenni. Il
cognitor poteva essere sia attore che convenuto,e vi interveniva nomina alieno. Il
cognitor compiva la litis contestatio, ma nel caso di azioni in personam non era
abilitato in sé alla situazione per cui litigava: tutto risaliva al dominus litis,sia in caso
di attore che di convenuto. Nell’intentio della formula stava quindi il dominus litis,non
il cognitor. Esso appariva nella condemnatio perché era a suo danno o favore che il
giudice pronunciava la sentenza. Era per cui una trasposizione di soggetti. L’effetto

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preclusivo si applicava sia al cognitor che al dominus liti, mentre la condanna solo a
quest’ultimo.
Diversa era la figura del procurator ad litem,nominato informalmente. Anche questo
processo era applicato con trasposizione di soggetti. Esso non deduceva in giudizio il
rapporto sostanziale,permettendo così al dominus litis di ritentare l’azione,e inoltre se
l’azione avesse avuto esito positivo sarebbe stato il procurator ad avere accesso alla
actio iudicati. Il convenuto per titularsi avrebbe chiesto una stipulatio al procuratore
che avrebbe dovuto risarcirlo se il dominus litis avesse ritentato l’azione. Se il
procurator era convenuto,sarebbe stato lui vittima della actio iudicati, comportando la
libertà del dominus. Per questo motivo anche in questo caso il procurator stipulava
che in caso di condanna la pena sarebbe stata comunque adempiuta. La sua figura fu
in futuro assimilita a quella del cognitor.

5 Persone e famiglia
La dottrina moderna per quanto riguarda il diritto delle persone distingue i concetti di
capacità giuridica e di capacità di agire. Capacità giuridica si intende la possibilità di
essere tutelari diritti o doveri, la capacità di agire si intende la capacità di operare nel
mondo del diritto e a compiere personalmente atti giuridici.
Nel diritto romano le cose stavano diversamente. A Roma la persona era riferito alla
persona fisica. Tutti gli esseri umani erano persone ma non tutte avevano capacità
giuridica. Potevano averla ma non sempre l’avevano le persone libere. Ma l’avevano
gli schiavi. La capacità di agire era riservata agli esseri umani intellettualmente
capaci.La capacità di agire non pressupone perforza la capacità giuridica , infatti
schiavi e figli potevano agire pur senza di essa, imputando quindi gli effetti delle loro
azioni al dominus o al pater familias.

Nascita e morte
Presupposto di ogni capacità giuridica e di azione è l’esistenza, che inizio con la
nascita e ha fine con la morte. Viene considerato nato l’essere umano
vivo,indipendentemente dalle sue condizioni vitali. In alcuni casi per la successione
dei postumi il neonato concepito veniva classificato come già nato, subordinando
però comunque gli effetti giuridici al momento della nascita. Sistemi di registro della
nascite furono istruiti ai tempi di Augusto però solo per fini probatori. Non si ebbe mai
a roma un vero e proprio sistema di registro delle morti. Tuttavia in alcune condizioni
giuridiche particolari era importante determinare chi fosse morto prima. Ad esempio,
se padre e figlio morivano insieme sarebbe stato il figlio sino a prova contraria a
morire per primo.

Capacità giuridica,la dottrina dei tre status, libertatis


civitatis familiae
Erano definiti aventi status libertatis tutti gli uomini liberi,status civitas ogni
componente della civiltà romana e status familiae in riguardo alla famiglia. Piena
libertà giuridica aveva in via di principio la persona che godeva dei tre status: Libera,
cittadino romano, assente da potestà altrui. Sui iuris era il soggetto libero da potestà,
alieni iuris quello soggetto.

Status libertatis. Liberi e servi.

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Era la prima condizione a roma per godere della capacità giuridica. I servi non
avevano capacità giuridica. Liberi si nasceva o si diventava. Nascevano liberi quelli
nati da madre libera e lo diventavano gli schiavi liberati. I primi ingenui, i secondi
liberti. La schiavitù è un fenomeno antico già noto al diritto romano al tempo delle 12
tavole,ma furono le numerose guerre vittoriose che portarono a Roma schiere sempre
più vaste di prigionieri che erano soliti diventare schiavi. La schiavitù era un istituto
ius civile,dato che lo schiavo era soggetto a dominio ex iure quiritium ed classificato
res mancipi. Da un diverso punto divista potremmo definire la schiavitù ius gentium,
perché tipica di tutte le popolazioni del tempo. Si nasceva schiavi da madre schiava.
Si diventava schiavi anche per cattura,per captivitas. Era l’autorità pubblica ad
assicurarsi che questi prigionieri fossero venduti a privati. Questa regola valeva però
anche per i romani . I romani tuttavia maltolleravano che chi godeva della
cittadinanza romana potesse essere schiavo in patria per cui, anche se un romano
tornava da schiavo, recuperava automaticamente il suo status, fatta eccezione per il
possesso e il matrimonio. Per curare i suoi beni poteva essere nominato un curator(ius
postlimini). Se un Romano moriva in cattività, Roma agiva come se fosse morto un
momento prima della cattura,quindi ancora come libero,al fine di avviare le procedure
ereditarie.
In età postclassica fu consentita la vendita di neonati che sarebbero diventati schiavi
del compratore: La vendita era tuttavia limitata a casi di estrema indigenza.

Le condizioni giuridiche e sociali dei servi


Condizioni sociali: Inizialmente a Roma le condizioni degli schiavi non erano
particolarmente dure dato che i servi non erano molti in rapporto alla popolazione,e
anche le famiglie più numerose spesso non ne possedevano più di uno. Aiutavano la
famiglia nelle stesse mansioni in cui i figli e il dominus erano impegnati. Con la
crescita della potenza militare romana il numero di schiavi aumento
sensibilmente,tanto che le famiglie più abbienti arrivarono ad avere anche più di
cento schiavi. Le condizioni di vita divenirono in quei frangenti molto più dure,e
venivano impiegati in miniera o nei lavori agricoli, e le donne spesso sfruttate come
prostitute. Quelli più capaci intellettualmente spesso diventano maestri e istruttori per
i figli del dominus oppure al comando di navi o di imprese commerciali. Durante il
basso impero tuttavia il numero di servi diminuava sempre più e le condizioni
migliorarono sempre più grazie alla dottrina filosofica stoica e al cristianesimo,che
scoraggiavano questa condizione.(Seneca e la sua considerazione del diritto naturale)
Condizioni giuridiche : La posizione giuridica dei servi agli inizi era simile a quella dei
figli familias,con la differenza però che non diventavano sui iuris con la morte del
dominus. Con l’ampliamento dei territori romani si ampliarono anche le differenze
giuridiche. Gli schiavi erano considerati si persone dal diritto naturale, ma tuttavia
essendo soggetti al dominio ex iure quiritium del dominus erano considerati res
mancipi commerciabili. Non erano giuridicamente capaci perché non potevano avere a
loro carico ne alcun diritto ne alcun obbligo giuridico. Le unioni tra schiavi non erano
considerate matrimonio ma contuberium. Non avevano pertanto alcun rilievo
giuridico. Essi tuttavia avevano rilevanza nella materia di diritto criminale,ove in esso
lo schiavo era giuridicamente capace, spesso sottoposto a torture e a pene
estremamente severe come la crocifissione,poi abolita per via della religione
cristiana).
L’influenza dello stoicismo aiutò molto gli schiavi, e dentro prestabiliti limiti si
considerò il loro matrimonio come rilevante. Essi vennero sempre pià tutelati dagli

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insulti e dagli abusi, ad esempio una lex petronia sosteneva che uno schiavo infermo
alla morte del dominus guadagnasse libertà. Lo schiavo poteva migliorare ma non
peggiorare la condizione del suo dominus. Essi infatti sin dall’età arcaica si
occupavano delle compere per la famiglia,partecipando attivamente a negozi e quindi
dando luce a diritti soggettivi. Potevano addirittura essere mancipio accipiens,
accipienti nella traditio e stipulatori nella stipulatio. Non potevano però effettuare l’in
iure cessio. Ognuno dei diritti che si creavano erano però affidabili al dominus. Passi
del digesto però ci suggeriscono che i diritti erano effettivamente trasmessi al
dominus solo se lui era al cosciente di quello che lo schiavo andava compiendo.
Le azioni nossali: Ripetiamolo: Gli atti del servo non potevano essere peggiorativi per
il dominus. Era risalente all’età arcaica la capacità della vittima di un delicta compito
da servo altrui di impossessarsene o eventualmente infliggere danni corporali ad
esso,salvo la facoltà del dominus di evitare ciò con una paga pecuniaria. In sostanza ,
se liberato, si riconosceva una responsabilità penale del servo.

Il peculio e le obbligazioni naturali


Per quanto riguarda gli atti leciti diversi dall’acquisto,se compiuti da schiavi erano del
tutto inefficcaci. Lo schiavo non poteva obbligare se stesso, e nessun negozio da lui
compiuto avrebbe potuto obbligare il dominus. Era però usanza arcaica concedere agli
schiavi un peculio,inizialmente un solo gruzzoletto di denaro, guadagnato dai servi
con lavoro o attività commerciale, poi anche beni diversi natura e persino immobili.
Propietario del peculio restava il dominis,ma si ammise presto che gli schiavi
potessero trasferire il possesso delle res peculiares, e pertanto anche la propietà delle
res nec mancipi. Il dominus poteva però revocare tutto in qualsiasi momento.
Spendendo il peculio potevano anche farsi carico di obblighi assunti con atto lecito.
Potevano inoltre durante l’età classica vincolarsi con obligationes naturali(non civili)
che non davano luogo ad azioni vere e propie. Il creditore poteva comunque
trattenere ciò che aveva ottenuto in adempimento.

Le azioni addietizie
Con la crescita dell’economia Romana l’esigenza di utilizzare servi negli affari del
dominus si fece sempre più importante. Bisognava però che i terzi potessero fare
affidamento completo sui negozi compiuti con gli schiavi. A ciò provvide il pretore,non
generalmente ma nei termini in cui il dominus si fosse assunto esplicitamente o
implicitamente la responsabilità per le azioni dello schiavo. Vennero istituite quindi le
azioni addietizie, che oltre a considerare la responsabilità naturale del servo
consideravano anche quella del dominus. Azioni addietizie erano L’actio quod iussu,
l’actio exercitoria, l’actio institutoria, lactio de peculio in rem verso, e seppur non
proprio addietizia vi si accosta la actio tributoria. Nelle prime tre la condemnatio era
tutta a carico del dominus, nelle altre la responsabilità non andava oltre certi limiti. Si
trattava di azioni con trasposizione di soggetti.
L’actio quod iussu : Presupponeva che l’impegno del servo fosse stato preso sotto
completa osservanza del dominus, e in seguito ad autorizzazione, assumendone il
dominus ogni rischio
L’actio exercitoria: presupponeva che il propietario dello schiavo fosse un exercitor
navis, e che avesse affidato la gestione della nave ad uno schiavo chiamato anche
magister navis. Per i debiti contratti dallo schiavo durante l’incarico rispondeva
l’exercitor.

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L’actio institutoria: Debiti contratti da uno schiavo con rulo di institor(direttore). Il


dominus ne rispondeva interamente.
L’actio de peculio in rem verso: Prevedeva due taxationes,una per il peculio che non
andava oltre il valore del peculio stesso ed una “rem verso”, nella quale non essendo
sufficiente il peculo il dominus rispondeva dei debiti contratti dal servo nei limiti del
suo arricchimento. Nella taxatio de peculio bisognava per cui procedere alla stima del
peculio. Esaurito il peculio, e magari non essendoci stato un reale arricchimento del
dominus spesso i creditori restavano insoddisfatti.
Queste due notazioni diedero origine all’azione pretoria in factum “tributoria”. Essa
presupponeva un peculio, e delle obbigazioni fatte dal servo. I terzi creditori,temendo
un dissesto finanziario da parte dal servo, si rivolgevano al pretore, che invitava il
dominus a procedere alla ripartizione delle merci peculiari. Attribuendo ad essi se le
merci non bastavano una quota proporzionale a ciascuno. Poteva essere esperita dai
creditori contro il dominus che avesse affidato fraudolentemente una quota minore di
quella meritata.

Le liti di libertà(causae libertates)


Lo status libertatis poteva essere oggetto di contestazione. Sia che un libero
rischiasse di diventare schiavo,sia uno schiavo che poteva divenire libero. Si istituiva
allora un processo di libertà: vindicatio in libertatem ex servitute(Libero che viveva
come schiavo) o vindicatio in servitutem ex libertate. Il rito adottato inizialmente fu la
legis actio sacramento in rem con il sacramentum fissato a 50 assi. Nel formulare si
usavano le formule delle rei vendicatio. Durante il processo extra ordinem a giudicare
era un praetor de liberalibus. Nel contesto post classico,si trattava di azioni
meramente dichiarative. Durante il corso della disputa lo schiavo sarebbe vissuto
come libero. Il soggetto interessato da questo processo era considerato oggetto.
Inizialmente a presidiare i suoi interessi di libertà contro il dominus era un adsertor in
libertatem. Le ragioni sono evidenti: il servo non aveva la capacità di stare in giudizio,
e d’altro canto la sua libertà sarebbe rimasta incerta fino all’emissione della sentenza.
L’assenza di possibili adsertores poteva essere fonte di problemi; Costantino a
riguardo con una favore libertatis uno speciale procedimento per la ricerca di un
adsertor. Con Giustiniano il problema venne risolto alla radice,e lo schiavo poteva
eccezzionalmente apparire in processo per discutere della sua libertà.

La manumissio e gli altri modi di acquisto della libertà


La schiavitù terminava con l’atto di affrancazione,detto anche manomissio e per ius
civile se ne avevano tre la vindicta la censu e la manumissio testamento.
La manumissio vindicta era un negozio formale e solenne che non tollerava ne
condizioni ne termini. Si svolgeva in iure presenti il dominus e lo schiavo. Si trattatava
di un processo in iure nel quale sono presenti dominus e schiavo. Molti credono che si
trattasse di una finta vindicatio in libertatem ove l’adsertor dichiarava libero lo
schiavo toccandolo con una bacchetta, e se il dominus non faceva opposizione il
pretore dichiarava la sua addictio nei confronti della libertà. Dall’età repubblicana il
dominus doveva manifestare la sua volontà di liberare il servo. Il ritò ando
smeplificandosi,potendolo compiere persino in strada.

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La manumissio censu: era assai meno praticata , e consisteva su accordo del dominus
di inserire il nome delle schiavo nel censimento dei cittadini che aveva luogo a roma
ogni 5 anni. Erano richieste paroli solenni del dominus.
La manomissio testamento: la più diffusa ,anch’essa molto antica. Che fu la più diffusa
è ovvio per ragioni di carattere dei romani, che preferivano mantenere il possesso
degli schiavi in vita e liberarsene dopo la morte.
Aveva efficacia quindi dopo la morte del testatore. AD essa potevano essere apposta
condizioni sospensive e termini iniziali. Prima del verificarsi di queste il manomissio
era detto statuliber.
Le manomissio pretorie:dall’ultima età repubblicana si manomettevano i servi nelle
forme più diverse Inter amicos quando si annunciava ad una cerchia ristretta di amici
o per epistulam per iscritto per semplice lettera. Gli schiavi liberati in questo modo
non erano liberi però ius civile. Più tardi sarebbero considerati come coloni,quindi non
cives, mentre più tardi ancora vennero parificati a quelli liberati ius civile.
La manomissione fedecommissaria: era una manomissione indiretta. Il testatore
aveva fatto carico di manomettere uno schiavo agli eredi o ai fedecommessi. In caso
di rifiuto l’onerato poteva esservi costretto extra ordinem. L’organo giudiziario
successivamente potè attrubuire direttamente la libertà dello schiavo. Ad avviare la
procedura sarebbe stato lo schiavo stesso,potendo eccezionalmente comparire in
processo.
Nuove forme di manumissio: In età postclassica nacque la manumissiio in sacrosanctis
ecclesiis, Ove al dominus bastava dichiarare davanti all’assemblea dei fedeli di voler
liberare il proprio servo per manometterlo.
Limiti alla libertà di manomettere: Le liberazioni con la filosofia stoica e la cristianità
divennero eccessive, e con due diverse leggi vennero limitate.
La lex fufia cania pose un limite percentuale posto in base ad un limite percentuale.
Bisognava indicare uno per uno gli schiavi da affrancare. Le manumissioni disposte in
violazione erano considerate nulle.
La lex aelia sentia si riferì sia alle manumissioni mortis causa sia a quelle inter
vivos,stabilì che non si potevano liberare schiavi con condotta turpe. Non si potevano
manomettere gli schiavi in frode ai creditori.
I liberti: Gli schiavi liberata acquistavano libertà, e diventavano anche sui iuris,non
ricadendo sotto la potestà di alcuno,ma tuttavia la loro condizione era diversa dai nati
liberi,aka ingenui. I liberti soffrivano di una minore considerazione sociale, ed erano
esclusi da qualsiasi carica pubblica. Una volta liberati il precedente dominus diventava
patrono e poteva valersi dello ius patronus. Era un potesta trasmissibile ai
discendenti. In età arcaica e in preclassica i patroni avevano addirittura diritto di vita o
di morte sugli schiavi liberati. I poteri di coercizione personale che derivavano dallo
ius patronatus permettevano al patrono di eseigere delle operae,prestazioni
giornaliere domestiche. Dal’’età repubblicana il liberto ancora schiavo faceva un
giuramento al dominus promettendo che una volta libero avrebbe stipulato di
compiere giornalmente le operae. Il rapporto era così stretto che poteva capitare che
nella cognitio extra ordinem in caso di estrema indigenza che le parti si supportassero
con il prestito degli alimenti.

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Le personae in causa mancipi,altre situazioni di


dipendenza personale.
Le personae in causa mancipi: Le persone di questo genere erano sil libere e cittadine
romane,ma erano assoggettate alla potestà di un mancipium. Si consideravano alla
stregua di servi. Assumevano questa condizione i figli mancipati dal pater familias. In
età arcaica spesso era infatti permessa la vendita dei figli. Usanza che venne
avversata persino però dalle 12 tavole. La Mancipatio si userà più tardi nei contesti
dell’adoptio e della emancipatio,o per dare azione a nossa. A differenza dei servi le
persone in causa mancipi potevano sposarsi e avere figli legittimi. Non avevano però
capacità giuridica,ed erano alieni iuris,in quanto soggetti al mancipio. A differenza
degli eredi,morto il mancipio accipiens che li aveva acquistato essi non diventavano
liberi ma la propietà passava all’erede. Dovevano essere liberati tramite manumissio,
e in ogni caso sarebbero poi stati soggetti al patronato, dell’accipiens. I figli dati a
nossa invece erano fortunamente liberi una volta risolto il loro debito. Tutte queste
figure caddero sempre più in disuso,e pertanto non è dato riscontrare persone in
causa mancipi all’interno del corpus iuris civile.
Altre situazioni di dipendenza personale erano:
Gli addicti,debitori insolventi, che seppur improgionati di persè fino alla vendita in
schiavitù restavano persone libere
I clientes,gente debole che si metteva volontariamente sotto la protezione di un
patrono.

IL colonato: Fenomeno sviluppatosi nel basso impero. I coloni erano persone di umile
origine e condizione che si obbligavano ad un lavoro subordinato, soprattutto durante
i periodi di maggiore crisi, che portarono con se un progressivo irrigidimento delle
classi sociali. Essi erano adoperati in quanto con una progressiva diminuzione nel
numero di schiavi il costo della manodopera servile era minore di quella
coloniale.Quello che percepivano i coloni spesso era insufficiente anche per il loro
sostenimento. Essi erano vincolati per contratto alla terra che lavoravano, e il loro
propietaro aveva grande poteri su di loro,quali la minaccia e la violenza fisica. Vennero
chiamati anche “Servi di terra”. La loro condizione era fondamentalmente perpetua.

Status civitatis
Il possesso dello status civitatis(cittadinanza romana) presupponeva ovviamente la
libertà,ed era pertanto una delle condizioni per poter accedere al diritto privato. Solo
ai cives romani era affidato lo ius civile in senso stretto. Nascevano romani sia i nati
da padre cittadino purchè procreati in iusta nuptiae,e tutti quelli nati da madre
cittadina. Le più grandi concessioni di cittadinanza furono a riguardo degli alleati
italici(socii) e con constitutio Antoniniana del 212 d.c. in favore di ogni abitante libero
dell’impero. Perdeva la cittadinanza chi diveniva schiavo, quelli che si stabilivano in
colonie o che erano stati esiliati.
Ai cives romani si contrapponevano i peregrini,persone libere non cives. Essi
usufruivano del ius gentium. Si concedevano talvolta a loro ius commerci(capacità di
commerciare) o ius connubi(Capacità di effettuare iusta nuptia con romani.)

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Una categoria privilegiata era quella dei Latini. Soprattutto per i Latini prisci,ossia i
cittadini delle città laziali vicine a roma, essi potevano infatti mantenere le loro leggi e
tradizioni.Il gradino più basso nella gerarchia dei peregrini era quella dei peregrini
dediticii. Essi partecipavano solo al ius gentium. Per i deditici di condotta turpe era
vietato avvicinarsi a roma oltre le 100 miglia. Le categorie tuttavia andranno sempre
più a svanire con il tempo.

Status familiae
Per avere la piena capacità giuridica non bastava essere cittadini romani,occorreva
anche essere sui iuris,ossia libera da qualsiasi potesta altrui. A dominium erano
soggetti gli schiavi, a mancipio l e persone a causa mancipi a patria potestas i figli e
alla manus le donne. La familia è composta solitamente in età arcaica di un'unica
persona sui iuris. Solitamente è l’uomo il pater familias,ma vi sono stati rari case di
donne sui iuris definite mater familias,una qualifica valida socialmente ma non
giuridicamente. Solo i maschi potevano avere in potesta dei figli. Le donne,se sui iuris,
potevano avere diritti o doveri ma mai potestà, essendo l’inizio e la fine della sua
famiglia. La familia e la potesta nascevano con il matrimonio.

Gli sponsali
Il matrimonio era preceduto solitamente dalla promessa di matrimonio,fatta con una
sponsio. A essa partecipavano le parti sui iuris,quindi o gli stessi interessati o i
rispettivi pater familias. Si parlò pertanto di sponsalia. Ne nasceva un vincolo come da
ogni sponsio. Dall’età preclassica il volere del matrimonio era semplicemente
espresso. La rottura della promessa era comunque con delle penalità,come per
esempio la restituzione dei doni tra coniugi.(Non applicata a favore della parte che ha
rotto il fidanzamento)

Il matrimonio.Premesse
Presupposto per una familia iure dicta era un iusta nuptiae o matrimonio legittimo. A
roma il matrimonio consisteva nella convivenza stabile di due persone di sesso
diverso e nella volontà monogamica di continuare a vivere come marito e
moglie(affectio maritalis). Senza di quest’ultima non si aveva matrimonio ma
concubinato. La cessazione avveniva in una impossibile convivenza, o in mancanza
dell’affectio maritalis. Il matrimonio romano fu un fatto sociale prima che giuridico, ed
era altamente considerato nella società romana antica. Pur essendo estrememante
facile divorziare(Non c’erano bisogno di atti solenni) esso era trattato sempre con
grande rispetto. Al matrimonio poteva accompagnarsi la conventio in manum, alla
quale la moglie cadeva sotto la manus del marito. Questo portava la moglie ad essere
parte della famiglia del marito e perdeva iure civile ogni legame con la famiglia di
origine. Se la conventio in manum non avesse avuto luogo,la sua situazione giuridica
sarebbe rimasta invariata e avrebbe avuto importanti riflessi soprattutto in materia
ereditaria. Essi si suddividino in matrimonio cum manu e sine manu. I secondi
divenirono sempre più frequenti col passare del tempo.

Le condizioni giuridiche alla base dell’esistenza di un


iusta nuptiae
Le condizioni sono 3

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Il connobium: era la possibilità di poter vivere in matrimonio legittimo con l’altro


coniuge. Non si rilevava in se ma in riferimento all’altro coniuge. Ad esempio,prima di
qualche anno dopo le 12 tavole patrizi e plebei non potevano vivere in connubium. Era
sempre vietato il matrimonio a Roma tra parenti in linea retta. Era permesso prima
entro il sesto grado, e col tempo i divieti sul connubio familiare si facevano sempre
meno pesanti culminando con Claudio che permise il matrimonio tra nipoti perché egli
stesso voleva sposarsi con agrippina.
L’eta pubere: Era necessaria la capacità di procreare per potersi sposare. L’età pubere
era 12 anni per le femmine e 14 per i maschi. Gli evirati infatti non potevano sposarsi.
L’affectio maritatis: Esigeva il consenso dei coniugi,e rappresentava la volontà di stare
assieme.
IL lutto vedovile invece, non coportava negazioni nel compimento di iusta nuptiae ma
comportava alcune sanzioni. Risalivano ai mores per i quali era tendezialmente
vietato entro 10 mesi,momento nel quale secondo tradizione bisognava piangere il
marito morto. Aveva l’esigenza pratica di evitare dubbi sulla paternità dei figli nati dal
precedente matrimonio. Le sanzioni col tempo andarono peggiorando,comportando
l’infamia e l’impossibilità di ricevere il testamento del marito defunto così come quello
di altri mariti.

IL matrimonio:struttura
Per la costituzione di un matrimonio non era necessario alcun rito. Era sufficiente che
si stabilisse la convivenza insieme alla volontà di vivere come marito e moglie. In
difetto era considerato concubinato.(la cristiantà limitò molto questo fenomeno. Per il
mantenimento la convivenza deve perdurare, e non essere interrotta. Essa non veniva
interrotta per semplici uscite o viaggi di lavoro volti al bene della famiglia. Era
fondamentale che rimanesse la disponibilità dell’affectio maritalis. Il matrimonio era
strettamente monogamico. Per compierne uno nuovo andava sciolto il precedente,
Altrimenti si sconfinava nell’infamia.
Come si faceva però a provare l’affectio maritatis,situazione sentimentale? Importante
era a tale argomento se era stata effettuata la conventio in manum,o in età cristiana
dell’avvenuta benedizione nuziale in chiesa. Il processo di verifica era più semplice se
la donna era giusta e onesta(non concubina o di teatro) e se fossero entrambi di pari
rango sociale.

Il matrimonio:Effetti
Solo i nati da iusta nuptiae erano considerati figli legittimi e cadevano sotto la
potestas del padre. La donna inoltre acquistava la dignità sociale e giuridica del
marito.I coniugi erano esonerati dal dover testimoniare uno contro l’altro. La donna
adultera era in età arcaica era passibile di omicidio,solo nel 18 d.c. con una lex iulia
del adulteris si imposero solo pene ma comunque molto severe. Le donazioni tra
coniugi erano fermamente vietate. Tra i coniugi era vietata dal pretore ogni azione
infamante. Egli inventò un azione apposita,la actio rerum amotarum, non infamante e
applicabile ad esempio dal marito contro la moglie per via delle cose sottratte in vista
del divorzio.

Lo scioglimento del matrimonio,il divorzio

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Quando veniva meno il connubium,che era condizione giuridica per la sua esistenza, il
matrimonio cessava. Così come per captivitas,esilio o deportazione. L’affectio invece
poteva svanire si per morte,ma anche perché venisse proprio meno. Si parlò al
riguardo di divortium. Non erano richieste formalità per il suo compimento,bastava
esternare in qualsiasi modo la propia volontà,anche attraverso un messaggero. Non
erano tolleranti i divorzi senza reali motivi,pesantemente sazionati , dal censore,
responsabile del regime morale. Il cristianesimo ostacolò il divorzio ma non lo abolì.
Nessun ostacolo fu posto invece al divorzio consensuale.
Alcuni casi di divorzio(per impotenza,scomparsa,deportazione e prigionia) non erano
particolarmente sanzionati,mentre tutti gli altri divennero sine caussa,colpiti da
sanzioni varie. Restava valido il matrimonio della liberta che divorziava dal patrono
senza il suo consenso. Bisognava fare richiesta scritta o davanti ai testimoni di
divorziare,altrimenti il matrimonio sarebbe rimasto valido. Nella storia romana ci si
allontana per cui sempre di più dal concetto di matrimonio come fatto sociale di
convivenza e ci si avvicina al concetto di matrimonio come forte vincolo giuridico.

La dote
La dote è istituto del diritto romano arcaico.Consisteva in una o più cose o diritti che la
moglie o il suo pater familias mettevano a disponibilità del marito per sostenere il
peso del matrimonio nei matrimoni sine manu(ed è di quelli che si parlerà
maggiormente) e rappresentava invece un compenso alle aspettative ereditarie perse
con la manus per la moglie. Di norma appunto in caso di divorzio la dote era restituita
alla moglie, e serviva a lei per il mantenimento una volta vedova o divorziata.
Costituzione della dote.
La dote si costituiva di datio,promissio,dictio.
Datio significava tecnicamente il trasferimento di propietà vero e proprio della dote al
marito. Aveva un effetto reale e si realizzava attraverso negozi astratti come traditio
in iure cessio e mancipatio.La dote assumeva la forma di causa esterna.
La promissio dotis era una stipulatio compiuta dotis causa, effettuata in favore del
marito, che diveniva creditore. Aveva quindi offetti obbligatori, e il marito poteva se gli
effetti non erano realizzati chiamare in giudizio con l’actio ex stipulatu.
La dotis dictio era un negozio solenne ed esculsivo della dote(causale) nel quale si
pronunciavano certa verba da parte del solo costituente,e aveva effetti obbligatori che
avrebbero permesso al marito di reclamare l’adempimento con un actio in personam
di ius civile.
La dote poteva essere costiuita sia prima del matrimonio si adurante. Se prima,la
dotis e la promissio avevano in se una condizione sospensiva tacita. Mentre la
datis,nel caso non fossero poi avvenute le nozze era salvabile attraverso condizio, in
quanto in essa hanno operato negozi che ne hanno perso la causa peculiare.
Era molto diffuso a Roma che il padre costituisse dote per la figlia.
La dote res mulieris: La dote era del marito e giovava direttamente al marito,e
indirettamente alla moglie,tuttavia spesso proprio perché esistente in considerazione
della moglie era anche “cosa di lei”. Era infatti obbligatorio per il marito restituire la
dota alla moglie dopo il divorzio, con un azione per la restituzione utilizzabile dalla
moglie chiamate actio rei uxoriae. La stessa lex iulia de fundo tutali(capitolo della de

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adulteeris) vietò al marito,pena la nullità,di alienare beni immobili dotali senza il


consenso della moglie.
Restituzione: Il marito mediante stipulatio prometteva al costituente la restituzione
della dote,proprio per permettere una actio ex stipulatu. Venne poi fin dall’età
repubblicana una peculiare azione per essa definita rei uxoriae,strutturata con formula
in ius. Era formulata con oportere,quindi in personam. Questa azione era molto simile
a quelle ex fide bona,in quanto il giudice era invitato a giudicare secondo ciò che sarà
più buono ed ecquo. Il matrimonio doveva essere però sine manu per funzionare.
L’azione non si trasmetteva agli eredi, proprio perché era un diritto PERSONALE della
moglie. IL marito, post rei uxoriae era responsabile del perimento e deterioramento
della dote se dipeso da suo dolo o colpa. Esso però avrebbe potuto restituire la dote in
più rate se non colpevole di adulterio, e lo faceva avvalendosi di alcune retentiones.
Fondamentalmente le retentiones erano strutture delle rei uxoriae che permettevano
al marito di trattenere alcune parti della dote. Alcune di carattere etico e quindi non
trasportabili agli eredi,altre invece si perché di natura patrimoniale.
La retentio propter liberos: era un acontributo lasciato al marito per il mantenimento
e l’educazione dei figli a suo carico. Spettava se il divorzio avveniva per colpa della
moglie. Non poteva ammontare oltre alla metà della dote.
La retentio propter mores sanzionava la cattiva condotta della moglie.Era quindi
imputabile solo nel caso in cui la moglie fosse la causa del divorzio e l’ammontare
dipendeva dalle azioni da lei compiute. Non oltre un sesto della dote.
La retentio propter res donatas: spettava al marito qualunque fosse il motivo di
scioglimento del matrimonio e ammontava alla stessa somma che egli aveva donato
durante le nozze alla moglie.
La retentio propter res amotas: Spettava al marito e risarciva quanto la moglie avesse
sottratto dalla casa in vista del divorzio.(Al posto dell’actio rerum amotarum)
La retentio propter inpensas : riguardava invece quanto il marito avesse speso sui
beni dotali .Sia spese utili che volluttuarie ,ossia di mero funzionamento e
mantenimento o di abbellimento.
La dote in età postclassica e con giustiniano: Giustiniano rinnovò talmente tanto la
materia dotale che venne chiamato legislator uxorius.
Con lui scomparve al dotis dictio. La datio veniva fatta ormai solamente tramite
traditio,accompagnata da un documento scritto. Anche nella promissio era necessario
un solo documento scritto. Vennero da giustiniano tutelate maggiormente le ragioni
della donna. La dote era maggiormente considerata dalla moglie,definendolo un
naturale dominium. Il divieto di alienazione della dote da parte del marito fu reso
assoluto,anche in presenza dell’accordo della donna. Prese anche l’idea che la dote
conseguentemente ad un divorzio dovesse essere in favore dei figli. In caso di morte
della moglie o di divorzio a lei imputabile,i beni dotali passavano in propietà ai figli e il
marito ne manteneva il godimento. Giustiniano abolì il processo delle retentiones. I
beni immobili erano da restituire immediatamente,i beni mobili entro un anno.
Giustiniano infine soppresse actio rei uxoriae e creò una generale actio ex stipulatu a
cui fu esteso il regime de i iudicia bon fidei,il medesimo applicato alle rei uxoriae.
Venne definita con una generica actio dote.

I beni parafernali e le donazioni propter nuptias

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Poteva accadere che la moglie sui iuris avesse con se alcuni beni e non li costituisse in
dote. Poteva mantenerne la titolarità o donarli al marito. In quest’ultimo caso si parla
di beni parafernali, o extra dotem. Il marito poteva comunque essere chiamato in
futuro a rispondere dei beni affidatogli con actio mandata o actio depositi.
Nulla vietava al futuro marito di fare doni alla futura moglie(donaziones ante nuptias),
di solito di scarso valore. Essi erano considerati normali donazioni. Con l’influenza
orientale tuttaia le donazioni crebbero in valore economico, e la legislazione pose loro
lo stesso regime della dote.
Giustiniano infine derogò l’antico principio che non permetteva donazioni tra marito e
moglie,permettendole quando esse erano in funzione del matrimonio,come se fosse
una dote del marito(Donatio propter nuptias).

I filii familias. Adozione e legittimazione


Come sappiamo i figli familias erano alieni iuris,perché ricadevano sotto potestà altrui.
Filii familias si era per nascita o per altri motivi.
La nascita: Avevano lo status di filii familias gli individui nati da matrimonio legittimo
cum manu e sine manu. Se il padre biologico era alieni iuris al momento della nascita,
il nuovo nascituro era soggetto alla stessa potestà a cui era soggetto il padre. Se il
padre sui iuris moriva prima della nascita,il figlio nasceva sui iuris.
L’adrogatio :L’adrogatio era l’adozione di un soggetto sui iuris. Quest’ultimo cessava
di essere tale e cadeva sotto la patria potestas dell’adrogante. Era un negozio solenne
del diritto arcaico a cui partecipava una comitio curiata. L’adrogante, l’adrogato e la
comitio erano tutti interrogati dal pontifex e dovevano manifestare le loro volontà
nello svolgersi dell aadrogatio. Si trattava quindi di una lex comiziale rogata. Col
passare del tempo il rito si semplifico e bastarono 30 littori. Dai comizi erano escluse
le donne,quindi esse non potevano essere adrogate,e non potevano nemmeno
adrogare. Niente impediva all’adrogante di essere più giovane dell’adrogato fino a
quando venne stabilito che dovesse avere almeno 18 anni in più. (“Ad imitazione di
natura”) Successivamente si stabilì che si poteva adrogare anche mediante rescritto
dell’imperatore,rendendo la procedura più semplice e veloce,diventando poi lo
standard. Era possibile adrogare anche le femmine con questo metodo,non dovendo
più apparire nel comizio. I beni dell’adrogato passavano all’adrogante, e i debiti
reipersecutori che aveva compiuto iure civili andavano annulati. Fu’ poi il pretore per
ragioni ecquità ad introdurre una particolare azione :l’actio utili rescissi capiti
deminutione,che tramite una fictio faceva muovere il giudice come se l’adrogatio non
fosse avvenuta.
L’adoptio in senso stretto: Riguardava l’adozione di un soggetto alieni iuris.
Inizialmente questo processo non era possibile in quanto la patria potestas terminava
solo con la morte di chi la esercitava. La legge delle 12 tavole stabilì però a scopo
punitivo che chi vendesse il figlio mancipandolo per più di 3 volte ne avrebbe perso la
potestà. Questo grazie all’interpretazione dei pontefici permettè di creare un
complesso procedimento ad hoc per le adozioni. Il pater familias che voleva dare in
adozione il proprio figlio la mancipava all’altro pater il quale doveva poi adottarlo.
Quest’ultimo lo manometteva. Ripetendo il processo per tre volte, la potestas naturale
si estingueva,ma ancora non si era creata quella adottiva. Il padre adottiva allora
mancipava il futuro figlio adottivo al precedente padre naturale, e portandolo con se
in iure cessio faceva pronunciare dictio in favore della sua patria

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potestà,acquistandola iure civili. Il procidementi era così complesso per i


maschi,mentre per le figlie o i nipoti bastava una sola mancipatio. Anche qui l’età di
differenza era di almeno 18 anni. Giustiniano semplificò il procedimento permettendo
l’adozione anche tramite una semplice richiesta. Giustiniano infine modificò l’adoptio
e la rese parziale,mantendo la vera potestas naturale e l’eredità generata da essa,ma
potendo come percepire l’eredità del padre adottivo che non avesse lasciato il
testamtento. Quella di cui parlavamo prima venne definito adoptio plenissima.
Legittimazione: Fù riconosciuta dall’età postclassica in poi la legittimazione fu
riconosciuta per i figli nati fuori da matrimonio legittimo una volta che quest’ultimo lo
diventava.

La situazione giuridica dei filii familias aspetti personali


I filii familias o erano diretti figli del potestas o adottati o figli di figli alieni iuris.
Inizialmente il pater aveva diritto di vita o di morte sui propi figli,ma la religione e il
costume mitigarono questo aspetto durante il tempo. Nei casi più gravi interveniva la
saccratio ove il pater era condannato a morte. Nell’eta repubblicana era il censore a
certificare la situazione familiare, e non dipendeva da organi familiari e sacrali.
L’uccisione del figlio,se crudele e ingiustificata durante la tarda età repubblicana era
trattata come l’uccisione di un uomo estraneo. Il diritto di vita o di morte andò quindi
ad estinguersi velocemente negli anni.

La situazione giuridica dei filii familias aspetti


patrimoniali
La situazione partrimoniale dei figli era inizialmente uguali agli schiavi. Essi erano
completamente esenti da capacità giuridica. Per illeciti da loro compiuto il pater
poteva convenirli tramite azioni nossali. Anche i filii avevano un peculio,e trattando
con res nec mancipi,poteva trasferirne la propietà. La posizione come negli aspetti
personali andò sempre di più modificandosi con gli aspetti personali. La nossalità
scomparve e ad apparire in giudizio furono direttamente i figli. Durante l’ultima
repubblica invece venne riconoscuta capacità ai figli familias di effettuare obbligazioni
civili. Questo fu riconosciuto solo ai maschi, e i creditori avrebbero potuto procedere
con azione di accertamento dei crediti e conseguente sentenza di condanna,però non
avrebbero potuto esecuzione personale(Non potevano sottrarre il figlio al potestas) ne
per l’esecuzione patrimoniale(il filius non disponeva di un patrimonio proprio). I
creditori avrebbero dovuto attendere che egli stesso sarebbe diventato sui iuris. In
ragione di ciò venne emanato un senatoconsulto Macedoniano,che vietò i mutui in
denaro ai filii familias, in quanto, un tale macedoniano per estinguere i suoi debiti ha
ucciso il padre per poterli pagare con l’eredità.
Si applicarono le cosiddette azioni addietizie anche per i figli. Essi poterono infine
presenziare in giudizio dal processo formulare in poi. Prima come cognitor o
procurator e poi per se stessi quando poterono iniziare a obbligarsi civilmente.
I peculi speciali: si fini per ammettere che i figli avessero beni propi. I lprimo passo fu
fatto da augusto che concese ai figli milites di poter disporre validamente dei proventi
del servizio e dei beni con esso aquistati. Adriano la la estese anche ai milites dimessi
dalla militia. Si parlò al riguardo di peculio castrense.
Il peculio castrense eraa motlo più solido del normale peculio e il pater non poteva
reclamarlo a se. Fini infatti nell’età classica a essere considerato come del filius

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familias. Quindi egli poteva oltre a che obbligarsi civilmente poteva inoltre farsi attore
nei relativi giudizi. Poteva addirittura litigare col pater familias in giudizio.In caso di
morte del figlio tuttavia il peculio castrense tornava comunque al padre. Il regime per
l’ottenimento di questo peculio fu esteso a chi lavorasse per lo stato, per l’esercizio di
attività forensi o nel sacerdozio.
I bona adventicia: A partire da Costantino si attribui ai filii familias la propietà dei bona
materna,dei beni provenienti dalla successione della madre,poi anche dei beni
materna generis,ossia qualunque cosa proveniente dal lato materno,poi ancora dei
beni acquistati per il matrimonio. Si suol discorrere a riguardo si bona adventicia.
L’amministrazione e godimento però erano del patria potestas, e si parlo a riguardo di
“usufrutto legale”. Solo alla morte del pater li avrebbero ereditatai completamente.

Metodi per la cessazione dello stato filiis familias


La situazione di filius familia poteva terminare principalmente in 2 modi diversi.
La morte del pater familias: La morte estingue la patria potestas emanata da un
individuo. I filii cessavano di essere tali e diventavano sui iuris, se maschi, patres
familias. Alla morte del padre di famiglia era ecquiparata la capitis deminutio maxima
o media, che andavano a rimuovere la libertà o la cittadinanza. Solo un cittadino
romano poteva emanare potestà.
L’emancipatio: Il processo creativo dei pontefici oltre a portare all’adoptio avrebbe
portato alla emancipatio. Consisteva nella liberazione dei filii familias volontaria da
parte del pater attuale. Il processo terminava con la manumissio della persona in
causa mancipi. Poteva essere compiuta anche dal fiduciario,ma così facendo il figlio
sarebbe stato costretto al patronato per quest’ultimo. Per questo motivo una volta
cessata la potestà naturale si rimancipava al padre. In età post classica sarà
necessaria invece una semplice dichiarazione.

Le donne in manu
Alieni iuris erano le donne soggette a manus. Si acquisiva attraverso in manu
convenctio. In ogni caso le donne venivano assoggettate alla potestà del marito. IL
marito acquisiva i diritti trasmissibili e la donna perdeva tutti i suoi debiti,ma che il
pretore con una actione fictia provvederà a tutelare ancora i creditori.
La conventio in manum avveniva per
Usus: Consisteva nella convivenza coniugale protratta per un anno. La donna avrebbe
potuto evitarla allontanandosi per tre notti consecutive dalla casa del marito. Si parlò
al riguardo di usurpatio trinoctii. Cadde poi nel tempo in desuetudine l’usus.
Confarreatio: era un rito arcaico solenne e religioso,durante il quale era fatto sacrificio
a Giove del pane di farro. A parte gli sposi vi erano invitati i sacerdoti maggiori.
Esigeva 10 testimoni e la pronuncia di certa et solemnia verba. Era riservato alle
classi più elevate. In età classica sopravvisse solo in determinati frangenti,ossia quello
di riservare le maggiori cariche sacerdotali a chiunque nascesse da nozze confarreate.
La coemptio: Era una mancipatio al fine dell’acquisto della manus. Oggetto era la
donna, e il mancipante era la donna stessa se sui iuris o il pater se alieni
iuris,l’acquirente era il marito sui iuris,altrimenti il suo pater familiass. Era il modo più
comune della stessa manus,ma scomparve durante l’età classica insieme alla manus
stessa. La moglie in manu era come una filia familias per il pater,ma solo

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giuridicamente e non socialmente. La morte del pater aveva gli stessi effetti e
rendeva sui iuris la donna, e se il matrimonio era stato compiuto tramite confarreatio
si aveva la difarreatio,rito uguale e contrario.

Parentela e affinità,gli alimenti.


Il vincolo tra più componenti della stessa famigli era detto agnatio, ed era un sorta di
parentela civile che prescindeva dal titolo di sangue. Di norma il vincolo di sangue non
mancava ma poteva anche mancare nei casi di adozione. In ogni caso erano legati da
agnatio. Il vincolo di agnatio non si estingueva nemmeno con la morte del pater
familias costitutivo. Era però esclusivamente maschile. Poiché poi presupponeva la
potestà,strumento dello ius civile si parla sempre di cittadini romani. Essa aveva
conseguenze giuridiche importanti per quanto riguarda il testamento e di cura furiosi.
Il vincolo di agnatio si estingueva invece per emancipatio,datio in
adoptionem,coemptio, e in ogni caso di conventio in manum.
Diversa dall’agnatio era la cognatio, parentela di sangue sia in linea maschile che
femminile. A volte coincideva con cognatio,a volte no. Ebbe inizialmente poca
rilevanza per il diritto e considerato di ius naturale. Ne ritrovo molta di più nel diritto
giustinianeo,ove venne parificata alla agnatio. La parentela poteva essere sia in linea
retta sia in linea collaterale. Era in linea retta i diretti discendenti,in linea laterale chi
aveva un ascendente in comune. Per contare il grado di parentela si usavano le
generazioni,senza calcolare nel computo la generazione maggiore.
L’affinità: Era il legame che univa un coniuge con i parenti dell’altro coniuge.
Anch’essi si posso disporre in linea retta o in linea collaterale.
Gli alimenti: Inizialmente in una rigida mentalità come quella romana la mancanza di
negozi privati attuati all’oblligo del sostentameto familiare non permetteva di chiedere
a parenti il sostenimento necessario. Questo cambiò col tempo quando le strutture
giuridiche divennero meno severe, come quando i filii familias potessero presenziare
in processo per se stessi, e permise di sanzionare pretese alimentari tra i parenti più
vicini. Non intervenne al riguardo il pretore ma nel processo extra ordinem vennerò
istituiti degli obblighi di sostentamento tra genitori e figli, e più tardi anche in linea
retta generalemente.

La capitis deminutio
Venne istituito dai giuristi repubblicani e mantenuto fino all’età postclassica,seppur in
misura minore. La capitis deminutio consisteva nel mutamento del precedente status.
Essa si collega ai contesti nei quali in ogni caso si spezzavano i precedenti vincoli di
agnatio.
Si parla di capitis maxima, ove si perdeva la libertà, media ove si perdeva la
cittadinanza,minima ove si perdeva lo status familiae e di conseguenza i legami di
agnatio. Il testamento di chi subiva capitis deminutio era invalido. Talvolta aveva lo
stesso effetto della morte,come nel contesto dell’usufrutto che si estingueva per
morte e capitis deminutio. Spesso veniva infatti paragonata alla morte.

Limitazioni della capacità giuridica: Infamia e limiti alla


capacità giuridica delle donne

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La capcità giuridica solitamente si riconosceva a tutti i cittadini romani sui iuris,ma vi


erano diverse eccezioni. Una è quella dei liberti,incapcai nel diritto pubblico e limitati
nella actiones contro il patrono. I coloni,i cui beni erano considerati alla stregua del
peculio servile. Vi erano poi gli addicti, i clientes ecc.. E’importante ricordare inoltre
come con l’avvento della cristianità persero la loro capacità giuridica i
pagani,ebrei.apostati, eretici. Anche di diritto privato.
Disistima sociale e infamia: I soggetti che compivano azioni riprorevoli a loro
imputabili cadevano nel concetto di disistima sociale. Un esempio era un soggetto
adibito a testimone in un engozio aes et libram(Mancipatio ad esempio) avesse
rifiutato di fare testimonianza. Questo,rendendolo improbus e intenstabilis lo rendeva
incapce di dare e ricevere testimonianza,bloccando atti come la mancipatio.
Si discusse anche di ignominia e di infamia stabilendo alcune incapacità per questi
soggetti, specialmente nel termine del diritto pubblico e nell’incapacità di accedere a
cariche pubbliche. Anche il censore poteva scrivere note di infamia in seguito a
particolari comportamenti. Si trattava di soldati espulsi,bigami,di coloro che non
avessero rispettato i llutto vedovile,o chiunque dedito a mestiere turpe. Il pretore
vietò a tutti gli infami di postulare proo alis, di proporre cioè istanze giudiziarie
nell’interesse altrui,vietò inolte la capacità di essere cognitor o procurator e la
capacità di esserlo. Un esempio di infamia si ha con il termine insoluto della
proscriptio o con alcune azioni particolari( di dolo furto etc.)
Limiti alla capacità giuridica delle donne : Alle donne era vietato qualunque accesso al
diritto pubblico. Le donne non potevano in nessun modo accedere a patria potestas.
L’agnatio era riconosciuto solo in limite maschile,con notevoli riflessi nel diritto
ereditario. Era impossibile adrograre fino a chè il processo non venne fatto per
rescripta. Le era vietato postulare pro aliis, e a rappresentare qualunque altro in
giudizio. Un legge atta a sancire il lusso impedì alle donne di essere istituite come
eredi ai cittadini con più di 100000 assi di patrimonio. Le donne non potevano
assumere obbligazioni nell’interesse altrui, proprio in via della presunta mancanza di
fermezza tipica del genere femminile a roma.

Capacità di agire,puberi e impuberi.


La capacità di agire a roma non presupponeva la capacità giuridica.
Alcune persone alieni iuris a roma potevano agire, e solitamente compiere acquisti per
il pater familias e trasferire la propietà di res nec mancipi. Potevano agire se sui iuris i
puberi, ossia i maschi sopra il quattordicesimo anno di età e le femmine al
dodicesimo. Infantes erano prima dei 7 anni ,infantes maiores dai 7 ai 14. In parte la
capacità di agire era riconosciuta agli infantes maiores, solo per quanto riguarda
l’acquisto di un diritto però. Per gl impuberi sui iuris si faceva ricorso ad un tutore ,che
esercitava la tutela impuberis.

La tutela degli impuberi


La tutela degli impuberi era un istituto del ius civile. Poteva essere
legitima,testamentaria e dativa.
Si dice legitima quando era chiamato come tutore l’agnate proximo all’impubere,cioè
il parente di grado più vicino. Si attuava quella legittima solo quando il pater familias
prima di morire non avesse dato ordine ad una tutela testamentaria indicando egli
stesso,familiare o estraneo il tutore del figlio. La tutela dativa neque invece dopo una

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lex attilia del 210 a.c.che diede al pretore il potere di nominare su istanze della
madre,congiunti o estranei, un tutore all’impubere sui iuris che non ne avesse alcuno.
La tutela era nell’insieme potestativa e protettiva,ossia il tutore esercitava un potere
sull’infante nell’interesse della famiglia e doveva garantirgli nello stesso tempo
protezione ed assistenza. Inizialmente l’approcio era più potestativo,con l’arrivo della
tutela in datio venne rese un rapporto a maggior fine protettivo. Le persone designate
potevano inizialmente rifutare la tutela, solo se muniti di valide excusationes, che
avrebbero portato il tutore designato a individuare un valido tutore al proprio posto.
Per tutta l’età classsica la tutela fu prerogativa maschile,divenne solo dopo in casi
eccezionali concessa alle donne su ispirazione ellenistica.
I poteri del tutore: Prerogativa del tutore impubere era l’autoritas,che era in sostanza
la dichiarazione della volontà espressa dal pupillo. Veniva applicata all’infante maior
che intendeva compiere atti diversi da quelli di propietà intendeva compiere azioni
come obbligazioni o alienazioni ed era necessaria la presenza del tutore. Gli
infantes,invece ovviamente non potevano compiere alcun atto giuridicamente
rilevante. Era il tutore a dover soddisfare e assisterlo nelle sue esigenze mondane.
Egli poteva acquistare e trasferire possesso nell’interesse del pupillo,e quindi
trasferire propietà di res nec mancipi con atti che si imputavano direttamente al
pupillo. La sua capacità venne sempre più limitata dapprima da settimio severo che
impedì ai tutori di trasferire la propietà di fondi e poi il divieto venne esteso per tutto
tranne che per cose di poco valore. Per tutti i negozi che comprendevano acquisto e
perdita del possesso il tutor agiva in nome proprio. Questo significa che
nell’alienazione e nell’acquisto di res mancipi era lo stesso tutore a esserne a carico, e
avrebbe poi dovuto trasferire tutto al pupillo una volta pubere.
Le responsabilità del tutore: La tutela cessava una volta che terminava l’età pubere. Il
tutore in quel momento avrebbe dovuto rendere conto della sua gestione tutelare. Già
contemplata nelle dodici tavole era l’actio rationibus distrahendis che andava a punire
il tutore di tutti gli abusi commessi volontariamente al pupillo. L’azione era penale ed
in duplum,senza comportare infamia a differrenza della actio tutelae che non poteva
essere ad essa cumulabile. L’actio tutelae era un iudicius bona fidea, con attività
ripersecutoria e comportava infamia. Nell’intentio figurava un oportere ex fide bona.
In questa azione il tutore era spinto a riconsegnare tutti i beni che aveva acquistato
per la gestione tutelare e rispondeva di tutti i pregiudizi patrimoniali derivati al pupillo
dalla gestione imputabile a dolo o colpa al tutore.

I minori di 25 anni . La cura minoris.


Con la crescita dell’economia romana si avvertì il pericolo di rendere giuridicamente
efficienti dei quattordicenni. Nel 200 a.c un lex Laetoria, istituì un’azione, l’actio legis
laetoria, contro quanti avessero negoziato contro un minore di 25 anni e l’avessero
raggirato. Cadde poi in desuetudine. Era esercitabile da chiunque e quindi actiones
populares. La pena era pecuniaria ed era un multiplo del pregiudizio. Il pretore
propose poi nuovi rimedi a tutela dei minori di 25 anni con l’exceptio legis laetoriae e
la in integrum restitutio propter aetatem.
L’exceptio legis leatoraea era data esecuzione quando un negozio pregiudizievole
verso un minore di 25 anni era stato compiuto ma non era ancora in esecuzione. La in
integrum restitutio propter aetatem invece veniva applicata ai negozi già efficaci.

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Per utilizzare questi due strumenti non era necessario che il giovane fosse stato per
forza raggirato,bastava che avesse subito un pregiudizio patrimoniale. Questo portò le
persone a spesso non fidarsi nel compiere negozi con minori di 25 anni.
La cura minorum: dall’età repubblicana vi era la possibilità di affidare un curatore
all’adolescente. Lo nominava il pretore stesso ogni qual volta se ne faceva richiesta e
obbligatoriamente in particolari situazioni. Il curatore aiutava il giovane
nell’espletamento degli affari, e se del caso prestava consenso. Esso non era
necessario nei negozi che restavano validi e invalidi indipendentemente da esso. Se
prestato però il minore non poteva pretendere in giudizio di essere salvato per via
della sua inesperienza. Il curator minoris poteva anche gestire direttamente il
patrimonio dell’adolescente. I negozi compiuti dal curatore erano imputati di norma a
lui stesso,e poi al massimo sarebbero stati trasferiti al curato. La cura minorum
durava fino al venticinquesimo anno, e spesso coincideva con la tutela.
La venia aetatis: era una concessione data a singoli minori di 25 anni che si faceva
prima direttamtente al principe poi al magistrato. Se il giovane era considerato di sani
principi infatti gli si permetteva di agire nel mondo giuridico negoziale come se non
fossero minori,(dovevano comunque avere più di 20 anni) ma non potevano più
ricorrere nel caso alla exceptio lex legis laetorea ne alla in integrum restitutio propter
aetatem.

Altri casi di incapacità di agire. Furiosi e prodigi


La capacità di agire era negata algi infermi di mente(furiosi) e ai prodigi. Lo stato del
furius era tale e quale quello dell’infans,la posizione del prodigus era paragonabile a
quella dell’infans maior. I prodigi non potevano infatti compiere atti aes et libram e
tanto meno compiere alienazioni o obbligazioni.
Vennero così istituiti per la loro tutela il curator furiosi e il curator prodigi che
solitamente erano l’agnatus proximus. Se non lo si individuava è tramite cura
honoraria che il magistrato ne individuava uno.
I compiti del curator furiosi erano sulla persona e sul patrimonio, quelli del curator
prodigi solo sul patrimonio. Il regime giuridico era simile a quello della tutela
impuberis. Le 12 tavole riconobbero al curator furiosi il potere di alienare i beni del
curato. Sordi muti ed altri invalidi se sui iuris erano muniti di uno speciale curatore che
li aiutava personalmente e nella manifestazione della volontà personale.

La tutela mulieris
Le donne avevano si capacità di agire ma con limitazioni di diverso ordine,molto gravi
in età arcaica. La situazione andrà migliorando molto col tempo,quasi fino alla parità
col sesso maschile.
La condizione della donna secondo il diritto era di forte subordinazione,mentre dal
punto di vista sociale godeva di grande rispetto. Questo accadeva a roma a differenza
per esempio di Atene, ove la moglie non era distinguibile dalla schiava. Le donne sui
iuris e puberi erano dapprima soggette alla tutela, specificamente tutela mulieris.
Essa veniva applicata a tutte le donne libere dalla potestà, che cadevano sotto il
tutore mulieris. Poteva essere come la tutela impubera testimentaria,dativa,legitima,.
Testamentari a quando alla morte il pater familias indicava il tutore mulieris finire. In
difetto per via legitima si affidava come tutore l’agnatus proximus. Se questo
mancava ci pensava il pretore, che dava un tutore dativo.

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Il tutor mulieris non gestiva il patrimonio della donna,ma il suo compito era di
assisterla nella gestione patrimoniale. Per effettuare negozi di alienazione di res
mancipi,e il compimento di obbligazioni doveva affidarsi all’autoritas del tutore.
Nel testamento il pater familias poteva indicare che la donna scegliesse tramite sua
scelta (optio) il tutore che l’avrebbe affiancata. Si parlò al riguardo di tutor optivus. La
donna poteva anche fare coemptio di se stessa a una persona di fiducia,e questa la
acquistava in manu. Quest’ultimo la mancipava alla persona che la donna voleva
come tutore legittimo.
Una lex di augusto ,papia poppea, riconobbe alle donne ingenue con tre figli,quattro
se liberte lo ius liberorum,esonerandole dalla tutela e donando quindi a loro piena
capacità di agire. Nel 410 tutte le donne avevano acccesso allo ius liberorum.

Le persone giuridiche:
Anche entità diverse dalle persone giuridiche possono essere centro di diritti e doveri
giuridici. Si parla in tal caso di persone giuridiche. La persona giuridica può essere a
base personale,la corporazione, o a base patrimoniale, la fondazione.
Per corporazione si intende una aggregazione di persona con propia organizzazione
interna, alla quale fanno capo diritti e doveri che non sono uguali a quelli dei singoli.
Era una soggettività giuridica diversa da quella dei suoi componenti. La corporazione
resta la stessa pure se ne variano i componenti. Per fondazione si intende invece un
complesso patrimoniale volto ad un preciso scopo(ad esempio opera pia). I rapporti
giuridici fanno capo alla fondazione stessa,e anch’essa non cambia quando ne varia
l’entità fisica dei componenti o beneficiari.
La persona giuridica a diritti e doversi distinti da quelli dei suoi dipendenti.
IL populus romanus: era l’entità collettiva composta dai cittadini romani politicamente
organizzati. Corrispondeva in sostanza al nostro stato, Tutto ciò che concerneva il
popuus romanus era “pubblico”. Non si parlo mai di propietà privata a riguardo. Era
costituito da res publicae,e la sua cassa era dapprima l’erarium poi il fisco.
Civitates e collegia: Differentemente la capacità giuridica di queste istituzioni fu anche
di diritto privato.
Le civitates erano municipia e coloniae,agglomerati urbani fuori roma, le prime
composte da cittadine le seconde da latini coloniarii. Con la concessione della
cittadinanza di caracalla nel 212 furono unificate. I collegiae erano di minore
importanza e portata,che avevano scopo di culto o comunque atti a perseguire
interessi religiosi. Potevano trattarsi inoltre di associazioni di artigiani o commercianti
ed esistevano infine i collegia tenuiorum che erano congregazioni di povera gente al
fine di provvedere funerali e riti di sepoltura. I collegiae erano molto antichi,ma spesso
venivano sciolti(come quello di bacco). Ad un certo punto vennero sciolti tutti i collegi
esistenti,ad eccezione di quelli più antichi, e per la loro costituzione era necessaria
approvazione da parte del senato o dell’imperatore. I collegi tenuiorum invece
vennero sempre considerati leciti. La composizione era solitamente numerosa, e il
numero minimo era per la nascita era di tre persone,dopo avrebbero potuto anche di
minuire. Sia civitates che collegiae potevano prendere parte in processi di diritto
privato tramite actores. Essi erano loro rappresentanti,ma non in senso proprio.
Questo gli permetteva di avere accesso ai più svariati negozi. Potevano fare capo di

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debiti o crediti,e potevano anche avere schiavi e diritto di usufrutto. Marco aurelio
consentì ai collegi di affrancare i propi schiavi e quindi di assumerne il patronato.
Le fondazioni. L’eredità giaccente : Nei testi giuridici romani manca l’idea di un
patrimonio titolare di se stesso,e manca quindi l’idea stessa di fondazione. Simile ad
essa è tuttavia l’eredità giacente, ossia lo stato del complesso ereditario dalla morte
del testatore fino all’accettazione da parte dell’erede. Durante quel lasso di tempo
l’eredità non apparteneva a nessuno, e quidni in caso di furto, non si aveva vero e
proprio furtum. L’erede avrebbe dovuto aspettare di diventare dominus per la
rivendica. Marco aurelio tutelò queste situazioni col crimen hereditatis,ove il
responsabile sarebbe stato punito con pena pubblica criminale. Per altre questioni si
sentì il bisogno di agire diversamente: Il servo con il dominus morto durante la
giacenza dell’eredità non poteva acquistare a nessuno,e per questo di ricorse a
pretoree finzione giuridiche per agire come se l’erede fosse divenuto tale sin dalla
morte del padre,potendo evitare così spaicevoli situazioni. Si affermo anche nel diritto
romano che il giacimento ereditario era da considerare come persona,e più
precisamente come il propietario originale dell’eredità ormai defunto. Questo
permetteva all’erede di divenire titolare dei rapporti giuridici costituiti durante la
giacenza.
Le piae cause: Si usava disporre legati in favore di civitates con l’onere di devolverne
il credito in favore della cittadinanza o comunque agli strati più poveri di essa. Poteva
essa essere in favore di corporazioni religiose vincolandone il reddito a scopi di culto o
beneficenza. Si parla di pia causa come autonoma soggettività giuridica.

6 cose reali diritti e possesso


Le res
Spesso indicava la cosa nella sua accezione più propia di oggetto materiale,altre volte
indica il rapporto giuridico ed altre ancora la natura dell’azione. Al riguardo oggi si
suol parlare di “beni”. Quello di oggetto materiale era l’interpretazione prevalente che
gli davano i giuristi romani.

Res corporales res incorporales


Le res corporales sono le cose che si possono toccare,quindi gli oggetti
materiali,mentre le res incorporales sono le cose che non si possono toccare,e nel
diritto romano fanno riferimento a determinate entità considerate come oggetti
nell’ambito del iuss,come eredità usufrutto obbligazioni servitù prediali. Si trattava di
diritti soggettivi o comunque di posizioni giuridiche soggettive ad oggetto cose
corporali. MA la qualifica non si riferiva a quegli oggetti ma alla ius
medesima(successionis eccc..)
E’ singolare che tra essi non appaia il diritto di propietà, ma è comprensibile in quanto
i romani consideravano la propietà come una caratteristica insita nell’oggetto. Il
possesso,e quindi traditio e usucapione faceva riferimento solo a cose corporali.

Cose in commercio e cose fuori commercio

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Le res corporales si dividono tra res in commercio,quindi soggette a propietà


privata,quelle fuori commercio no. Non erano proprio res per il diritto privato. Fuori
commercio erano
Le res divini iuris,si suddividevano in res sacrae,religiosae,sanctae. Sacre erano tutte
le cose dedicate agli dei. Res religiosae erano i luoghi detti appartenere ai dei
Mani,soprattutto i sepolcri, si a di schiavi sia di cives. Res sanctae erano le porte e le
mura della città.
Le res humani iuris erano invece le cose appartenenti allo stato,e quindi i beni di uso
pubblico. Le res appartenenti allo stato che provvedevano ad un reddito
indirettamente come schiavi e fondi sono dette res pecunia popoli. Potevano essere
luogo di rapporti giuridici tra stato e privato,trattati però particolarmente. Se queste
res pecunia popoli entravano nel patrimonio del privato erano res a tutti gli effetti.
Possiamo dire che erano humani iuris e privatae tutte le cose non pubbliche e in
commercio.

Res mancipi e res nec mancipi. Beni mobili e beni


immobili
Nelle res definite come mancipi furono inserite le cose di maggior pregio nella società
romana arcaica: i fondi,gli edifici sul suolo italico,gli scchiavo, gli animali da tiro e da
soma e le servitù rustiche. Le altre erano identificate come res nec mancipi.
Per le res mancipi era obbligatorio il rito della mancipatio o dell’in iure cessio, per le
altre era sufficiente la traditio. Nonostante alcune res nec mancipi scoperte dopo dai
romani come elefanti e cammelli o le navi(Inizialmente non di grande valore per i
romani) erano di grande valore venne comunque ritenuta sufficiente la traditio. La
distinzione tra res mancipi e non venne a divenire sempre meno importante, tanto che
fu formalmente soppressa da giustiniano.
Beni mobili e beni immobili: Si dice immobile il suolo insieme a ciò che vi inerisce
stabilmente,si dicono mobili gli animali e gli oggetti inanimati trasportabili o
comunque amovibili.(Gli schiavi tra di essi). Questa distinzione era importante ai fini
dell’usucapione per cui i termini erano diversi in ogni caso,e per la difesa del
possesso. In età postclassica la vendita di immobili venne accompagnata dall’obbligo
di documenti scritti.

Le res. Altre classificazioni


Cose fungibili e infungibili: Le cose fungibili sono le cose definibili in base al peso,al
rapport alla misura:frumento stoffa monete. Sono cose sostituibili per le quali è
rappresentabile un ecquivalente. Le cose infungibili invece sono le cose che si
definiscono nella loro individualità. Questà distinzione era utile in materia di
restituzione: Le cose fungibili potevano essere restituite col medesimo,le infungibili
no.
Genere e specie: Il genere corrisponde alle cose fungibili,la specie a quelle infungibili.
Queste categorie sono però definite da diversi punti di vista. Le cose di genere
appartenevano a un genus, le cose di specie di una particolare specia. Se si dice “uno
schiavo” si indica il genus, se si dice “Lo schiavo loris” si indica la specie. I genera
possono essere diversi, più ampi e meno. Ad esempio “Vino rosso “ “vino rosso 16
gradi”. Questa distinzione era rilevante in materia di obbligazioni.

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Cose consumabili e cose inconsumabili: Le cose consumabili si consumano con un


utilizzo(cibo denaro) quelle inconsumabili sono utilizzabili ripetutamente. Era rilevante
la distinzione in termine di usufrutto e comodato ove potevano essere date solo cose
inconsumabili.
Cose divisibili e indivisibili: Distinzione tra cose materialmente divisibili e no.
Importante a riguardo delle divisioni comuni.
Cose semplici,composte collettive: Distinzione creata dai filosofi stoici: Cose semplici
erano le cose che costituivano un unità naturale(schiavo sasso) cose composte erano
un insieme di cose semplici congiunte tra loro artificialmente,(nave armadio) e cose
collettive constano di più cose semplici non congiunte e tuttavia considerate
unitariamente(gregge). Le cose composte e collettive davano luogo a particolarità in
materia di accessione possesso e usucapione. Esse rimanevano tali pure se ne
cambiavano i componenti.
Pertinenze e partes: Pertinenze sono definite dal diritto moderno come tutte le cose
che sono destinate al servizio o all’abbellimento di un’altra. A Roma esisteva la
pars(parte) che segue giuridicamente la cosa a cui appartiene. La pars per i romani
era un elemento non indipendete di materia concepita come fondamentale per la
coas: senza di essa non sarebbe integra. Le cose non considerate pars mantenevano
autonomia pure se al servizio di altre.(instrumenta fundi) Era necessario per
quest’ultime ad esempio in caso di alienazione di fare esplicita richiesta per
l’inclusione.
I frutti: I frutti sono distinguibili in frutti naturali e civili,ove quelli naturali sono le parti
staccate della cosa che costituiscono il reddito normale,per frutti civili si intende
invece il corrispettivo che si ottiene dando in godimento ad altri la cosa
stessa(interessi,affitti). I romani usarono propiamente solo i frutti naturali,quindi
prodotti di piante e di animali. Essi diventavano frutti a tutti gli effetti quando staccati
dalla cosa madre. Prima erano partes. CASO DELLA SCHIAVA IN USUFRUTTO CHE FA IL
BAMBINO E CI SI CHIEDE SE E’ UN FRUTTO NO. Frutto civile era il lavoro degli schiavi.

I diritti reali
Si distingue tra diritti reali e diritti di credito. Gli accordi appunti si dividono in Negozi
reali ed in negozi obbligatori. I diritto soggettivi su una res sono di carattere
assoluto,ogni membro della società è ugulamente obbligato a rispettarlo. E’ quindi un
dovere negativo: essi non dovevano agire in modo da ostacolare il diritto reale
esercitato da altri. Diritto reale per eccellenza è la propietà,un potere illimitato che un
singolo ha su un oggetto. Esistono però anche diritti reali limitati su cose altrui,e si è
soliti classificarli in diritti reali limitati o diritti su cosa altrui. Si è solito classificarli
anche come diritti reali di godimento(Usufrutto servitù) ,ove si poteva avere un
godimento più o meno limitato sulla cosa, mentre i diritti reali di garanzia danno
possibilità al titolare di rivalersi sulla cosa data in garanzia. Nulla vieta al propietario
con diritto reale limitato di compiere atti di disposizione in merito alla cosa
contestata,compatibilmente però con la persistenza dell’eventuale diritto privato. Se
si acquista una cosa in usufrutto ne si acquista la nuda propietà. I romani si poneva
più spesso nell’ottica del processo rispetto a quella del diritto sostanziale,e quindi per
quanto riguarda in processo distinsero le azioni in rem da quelle in personam. I diritti
che permettevano le azioni in rem erano il dominum per gli schiavi(revendicatio). Vi
erano diverse strutture di intervento in quanto a Roma i diritti reali erano tipici,e si

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procedeva casisticamente, riconoscendone uno alla volta. Non furono mai molti per
non rendere gravosa la circolazione del commercio.

La propietà
Quando si parla di propietà si fa riferimento ad un diritto soggettivo a natura reale per
cui al propietario,si riconosce sulla cosa che ne è oggetto una signoria generale. E il
diritto reale potenzialmente più esteso ed esclusivo. Questa facoltà può subire
tuttavia alcune limitazioni di diversa ampiezza, e se imposte dall’ordinamento
giuridico definite come limitazioni legali, se invece imposte ad opera del propietario
sono dette limitazioni volontarie. Queste limitazioni,come l’usufrutto,non potevano
non estinguersi,e quindi la propietà sarebbe tornata tale prima o poi. La propietà
viene infatti definita “elastica”.
Era un potere che prima di essere una spettanza era proprio un diritto al godimento e
alla disposizione,un potere che può prescindere dall’effettiva disposizione.( a meno
che non si estingua). Solitamente il propietario è anche il possessore della
cosa,tuttavia può anche non esserlo e restare propietario,mantenendo comunque il
diritto al possesso. E’ sicuramente un attività molto antica,tutelata ancora nella legis
actio sacramento in rem attraverso la rei vendicatio. Nello ius più antico si
affermava”Questa cosa è mia ex iure quiritum” espressione che in tarda età
repubblicana venne definito dominium ex iure quiritium. Come detto in precedenza la
res è considerata tutt’uno col diritto di propietà sulla res medesima. Si comprende il
motivo per cui la propietà non è una res corporales.
Il dominium ex iure quiritum era diritto civile prerogativa dei romani,il semplice
dominium era quello affiadto dal pretore. Ai peregrini spettava la propietà peregrina
attuata attraverso ius gentium. Sui fondi provinciali la propietà era definita proprio
come provinciale. Queste distinzioni vennero meno con l’editto di Caracalla che rese
tutti i cittadini dell’impero romani. Giustiniano soppresse ogni distinzione tra pretoria e
ex iure quiritum.

Il dominium ex iure quiritum


Quando a Roma i cittadini reclamavano come propia una cosa la denominavano loro
ex iure quiritum. Si parlò di dominium ex iure quiritium. La natura era reale,solo per
cittadini romani e solo per cose corporali. Per i giureconsulti romani questo diritto era
tendenzialmente illimato e assoluto,nell’accezzione di poter usare e abusare della
cosa propia. Questo assolutismo era da ricercarsi nel forte individualismo dei Romani
del tempo. La propietà civile immobiliare fino al 292 quando fu parificata a quella
provinciale era esente da tasssazioni. Era pure notevole che il dominium ex iure
quiritium si estendeva dalle stelle fino agli inferi,nel senso che un propietario del suolo
era libero di modificarne anche il sottosuolo con miniere e scavi. Tutto ciò non significa
però che non vi siano limiti legali: Quanto meno per gli immobili. Per esigenza di
pacifica convivenza l’ordinamento spesso poneva limiti al dominio,sia di diritto
pubblico sia di diritto privato(esempi: Non poter costruire entro una certa altezza, non
poter demolire per poi guadagnare sui materiali ricavati,l’uso delle rive a scopo di
navigazione, o la concessione di passare su fondi privati.) Poteva accadere che si
imponesse la vendita della propia propietà allo stato per ragioni di pubblica necessità.
Esisteva pure la confisca dei beni in favore allo stato ,applicata come sanzione al
diritto criminale. Era inoltre essenziale regolare i rapporti di vicinanza tra le varie
propietà.

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Rapporti di vicinanza. Altre limitazioni legali della


propietà:
Le comunità preciviche romane non riconoscevano la propietà privata individuale su
immobili. Solitamente essi erano a disposizione della collettività. Il dominium ex iure
quiritium,o propietà privata immobilare deve quindi aver avuto origini con
assegnazioni immobiliari statali al favore di privati. Prima non sempre,ma dopo lo
sviluppo agricolo le ager publicus vennero sempre più spesso assegnate a carattere
definitivo. L’assgegnamento di porzioni avveniva attraverso la limitatio,rito nel quale
venivano tracciati al suolo paralleli e perpendicolare da nord a sud e da est a ovest.
Ad ogni limite di terreno veniva istituito un terreno di 30 centimentri a scopo limitante
definito limes. Esso non era usucapibile. Lo stesso valeva per gli edifici, dove lasciava
un ambituss di 30 centimetri tra un edificio e l’altro. Ai propietari era assicurato
accesso indipendente ai propi beni. Con l’andar del tempo piuttosto che con la
limitatio si cerco di regolarsi attraverso confini naturali. Venne quindi data la
possibilità di avere agri arcifinii. Non vennero mai fatti obbblighi come quello del
passaggio sopra il suolo al rigurdo. Le servitù si costituivano sempre volontariamente.
Quando per problemi naturali non si scorgevano più i confini si poteva agire attraverso
legis actio per iudici arbitrive postulationem, nel processo formulare invece con
aiudicatio. Le interferenze trra vicini nei loro limiti dovevano essere tollerate.
( esempio: i Rami del vicino sul proprio terreno,consentire al vicino l’ingresso qualche
volta per raccogliere frutti caduti.). A propositi di limitazioni legali della propieta
vengono in luogo due azioni, la actio acquae pluviae arceandea e la actio cautio
damni infecti. La prime riguarda il caso di sovrabbondanza delle acque,la seconda era
una generale cautio contro il danno temuto), Non furono mai vietati atti emulativi ove
si esercitava un diritto non per trarne vantaggio ma solo per farne dispetto,per i
Romani “Chi esercita un proprio diritto non può nuocere a nessuno”.

I modi di aquisto della propietà


La propietà si poteva acquistare iure civile,gentium,naturale. Il primo effetto è
riservato solo ai cittadini,gli altri estesi anche ai non cittadini. Iure civile erano la
macipatio,la in iure cessio,la usucapio. Iuris gentium e naturale erano
l’occupazione,l’accessione la specificazione al traditio.
Acquisti originari e derivativi: Si dice originario l’acquisto della propietà che ha luogo a
prescindere da riferimenti al precedente propietario. Di contro,l’acquisto a titolo
derivativo ha luogo con la trasmissione del diritto di propietà di un soggetto all’altro.
Con esso venivano trasferiti anche i diritti reali limitanti,proprio perché non si poteva
alienare più di quanto si possedeva. Allo stesso modo il trasferimento delle servitù di
un fondo non le estingueva. Auctor era colui che trasmetteva il diritto, e aveva come
causa l’acquirente. Un'altra postilla è quella dei diritti cosidetti costitutivi o derivativo
costitutivi. Avvengono quando si costituiscono diritti soggettivi ex novo,quindi in
precedenza inesistente sotto il profilo giuridico. Un esempio è la costituzione di
usufrutto. L’acquisto dei frutti per lo più era ad uso originario.
Acquisti a titolo particolare e a titolo universale: Negli acquisti a titolo particolare
aveva luogo l’acquisto di un bene determinato,o più,ma sempre determinati. A titolo
universale si acquistavano non necessariamente definiti,come un preciso complesso
patrimoniale,di adrogatio nell’acquisto di diritti. Era una distinzione importante in
termine di negozi giuridici con effetti reali o in termini di effetti obbligatori.
Quest’ultimi riguardano solo le parti aventi causa a titolo universale.

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I modi di acquisto originari l’occupazione e acquisto dei


frutti
L’occupazione era un diritto di acquisto originario della propietà civile. Fu definita ius
gentium e ius naturalis. Consisteva nel prendere il possesso di cose di nessuno,ossi
res nullius.(cose trovate sulle rive del mare ad esempio). Per occupazione si parla pure
di res delictae e di tesori.
La sorte delle res delictae era diversa in base a se fossere res mancipi o res nec
mancipi. Delle prime il legittimo propietario ne manteneva il possesso finchè il nuovo
propietario non l’abbia usucapita. Nelle seconda ci furono vari dibattiti,ma prevalse la
tesi sabiniana secondo la quale una cosa abbandonata perdeva il diritto di propietà
intrinseco e diventava res nullius. Quanto al tesoro inizialmente spettava a chi
possedeva il fondo sul quale si trovava. Successivamente adriano stabilì che per metà
spettava a chi l’aveva scoperto e metà a possessore del fondo
L’acquisto dei frutti: Dal punto di vista giuridico il frutto era tale e autonomo con la
separazione dalla cosa madre. Il propietario della cosa madrelo faceva suo il frutto
separandolo da essa. I figli nati da schiave,pur non essendo considerati frutti,erano
comunque di propietà del dominus.

L’accessione
L’accessio è un istituto iuris gentium-naturalis, e presuppone che una cosa subisca un
incremento e si completi grazie ad un'altra cosa accessoria. Colui che aveva la
propietà della cosa principale la ottiene anche per la cosa aggiunta. Giuridicamente è
la congiunzione di due cose di propietari diversi; è un unione organica,cioè che ha
luogo per complementazione di corpi.
Unione organica: Vera e propia accessione, che contempla la congiunzione di cose
mobili a immobili:
Satio:semina implantatio:Piantare alberi in terreni altrui
O cose mobili con cose mobili:
Scriptura: Scrivere su un foglio altrui. Tinctura:Tingere oggetto altrui pictura:dipingere
sul foglio altrui(dibattuto) ferruminatio: fusioni oggetti metallici i quali uno sia a
completamento dell’altro.
Unione separabile: Quando avveniva un unione senza che fosse organica,la regola era
che il propietario manteneva il possesso sulla cosa ma non poteva farlo rivalere
durante l’unione,questo perché il dominus principale diventava propietario della
res,non di tutte le sue parti. Finche la nave rimaneva tale egli non poteva riavere
indietro il suo legno.
Inaedificatio: Con questo termine ci riferiamo alla costruzione di un edificio con
materiale appartentente a una persona diversa dal propietario del suolo. Non si
trattava di unione organica perché a roma il materiale veniva sempre riutilizzato. VI
sono due casistiche
1 LA prima è quella di costruire con materiale altrui su terreno propio Il propietario del
suolo diveniva propietario dell’edificio su di esso edificato.Il propietario dei materiali
rimaneva tale, ma non poteva rivendicarli fino ad una demolizione. Demolizione che
non avrebbe pretendere, per evitare che vi fossero troppe demolizioni a scopo di

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rivendica. Il dominus del fondo però non avrebbe potuto usucapire i materiali,e il
propietario avrebbe potuto rivendicarli alla demolizione. Se i materiali erano rubati era
data al propietario la actio de tigno iuncto,penale e in duplum.
2Il secondo caso è quando si tenta di costruire con materiale proprio su terreno altrui.
Il dominus ne diveniva propietario,e la propietà dei materiale non sarebbe rimasta
quiesciente se non nel caso in cui in buona fede egli fosse ignaro dell’alienità del
suolo.
Gli incrementi fluvia e la crusta lapsa: Quando il fiume cambiava corso e quindi parti
del suo letto rimanevano secche,il dominus col fondo illimitato più vicino ne diveniva
propietario. Se vi si formava un isola in mezzo il dominus della sponda più vicina ne
possedeva la propietà.
In caso di alluvione o di altri disastri naturali che spostino la terra la terra spostata
diventa propietaria del dominus che è propietario del terreno su cui si è depositato.

Altri modi di acquisto originari e fenomeni analoghi:


La specificazione: Tra i modi di acquisto originario vi è la specificazione,ossia la
trasformazione di una cosa in un'altra diversa. Ad esempio vino dall’uva,olio dalle
olive etc.. Per i proculiani chi trasformava aveva accesso alla nuova res pure se prima
era altrui,per i sabiniani(aristotelici) invece conveniva che la cosa rimanesse in
propietà. Si trovo una soluzione di mezzo: Se la cosa era ricostituibile,la propietà era
del propietario originale,altrimenti sarebbe mutata.
Confusione e commistione: Confusione e commistione sono rispettivamente il
mescolamento o il deposito caotico di corpi solidi o liquidi. Se di diversa propietà, non
si cedeva una particolare propietà a qualcuno ma si stabiliva la compropietà. Fatta
eccezione però per la commistione di denaro,infatti acquistava la propietà del denaro
altrui chi lo confondeva col proprio.(A meno che non fosse rubato).

I modi di acquisto derivativi.LA mancipatio e la in iure


cessio.
Sia in iure cessio e mancipatio avevano di persè una struttura poco adatta al
trasferimento di un diritto, dato che in entrambe parla solo quello che lo riceverà .
Bisogna capire però che il trasferimento è possibile proprio perché iu iure cessor
mancipatio dans erano entrambi prima titolari del diritto che intendevano trasferire.
Ricordiamo che con queste azioni si trasmettono anche diritti reali limitanti e servitù,
e se vi era uno schiavo che aveva compiuto un delitto nel patrimonio da trasferire si
rischiava l’azione nossale.La mancipatio inoltre dava trasferimento di possesso solo
nei casi in cui vi fosse un mobile ascopo. Nel caso di immobile era necessaria anche
una traditio.

La traditio
Era un negozio bilaterale che si compiva con la consegna di una cosa, era iuris
gentium e iuris naturale. Poteva avere oggetto sia mobili sia immobili. Trasferiva
comunque il possesso e riguardava cose corporali. Poteva trasferire la propietà solo di
res nec mancipi. Era più pratica della mancipatio e delle in iure cessio.

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La consegna: LA traditio era fondamentalmente una consegna,ed era necessaria la


disponibilità della cosa. Poteva avvenire anche se l’accipiens mandava un custode o
se il tradens donava le chiavi di un magazzino .(traditio simbolica) La consegna di un
immobile avvveniva con l’ingresso dell’accipiens o con la definizione dei limiti. Se uno
già deteneva la cosa e il propietario volesse donargliela o vendergliela bastava questa
volonta per completare una traditio defiinita brevi manu. Al contrario poteva avvenire
il costituto possessorio,negozio raro nel quale nell’alienazione il dominus tradeva un
oggetto ma stabiliva che avrebbe comunque mantenuto presso s e stesso il possesso.
Traditio e trasferimento del possesso. La consegna di persè era un atto incolore.
Poteva avere luogo per i motivi più disparati, ne acquisiva la propietà l’accipiens che
riceveva res nec mancipi(locazione vendita donazione) e ne acquisisva il possesso a
titolo di pegno detenzione e sequestro. L’importante è che nel gesto vi fosse l’intesa
che l’accipiens dovesse mantenerne il possesso. Essendo un atto di trasferimento del
possesso riguarda solo res corporali,essendo quelle incorporali non tangibili.
Traditio e trasferimento della propietà civile: La traditio poteva comportare insieme il
trasferimento di possesso e propietà. Con la traditio insieme alla possessione passava
la propietà, solo se l’alienante era egli stesso propietario,e se ad essere commerciati
erano beni res nec mancipi. Era richiesta inoltre la volontà di trasferire il bene suo
nomine, in modo che l’accipiens iniziasse a tenere la cosa come propia.
La iusta causa traditionis: iusta è detta la causa che sta alla base della traditio,ossia
giuridicamente lecita in diversi casi. Nella vendita,nella donazione,nella dote,nel
credito. Era indice di entrambe volontà consensuali. Il pegno non rientra tra queste
perché il pegno non aveva come scopo il trasferimento della propietà. La iusta causa
poteva però mancare e la propietà sarebbe ugualmente passata, anche in casi in cui
la causa futura sarebbe venuta a mancare. La traditio non era per cui un negozio
causale di per sé ma semplicemente astratto.Va detto tuttavia che se la causa fosse
venuta a mancare l’alienante aveva accesso a condictio.

Altri modi di acquisto della propietà a titolo derivativo


Il legato per vindicationem: Il legato per vindicationem era un atto mortis causa nel
quale veniva individuato un legato a titolo particolare da affidare ad un terzo in un
testamento. Morto il testatore e rese valide le sue richieste il legato diveniva efficace
e il legatario ne guadagnava la propietà. In questa accezione il legato era per
vindicationem,nel caso di obbligazioni per damnationem.
L’auidicatio: Pronunzia del giudice nel processo formulare che aveva lo scopo di
assegnare a diversi contendenti ,copropietari o coeredi beni che diventavano di
propietà esclusiva di ciascuno secondo ripartizione dal giudice valutata. Essa era
costitutiva e quindi di per se metodo costitutivo della realtà. Essa era utilizzata anche
per la ripartizione dei confini e aveva lo stesso valore costitutivo.
La litis aestimatio: Poteva accadere che una lite per revendicatio nel processo
formulare pur con il convenuto soccombente esso si rifiutasse di restituire la cosa. Era
in base al valore della cosa che si decideva l’importo della litis estimatio . Una volta
pagata il soccombente diveniva propietario ex iure quiritium se si litigava per res nec
mancipi,possessore iure pretorio se res mancipi,valido ai fini dell’usucapione.

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L’usucapione
Oggi detto prescrizione acquisitiva trovava fondo nelle 12 tavole. Si parlava di usus,e
si ecludevano non cives e res furtivae. I regime si conoslidò in età classica e venne poi
mantenuto nel corpus iuris civilis. Comportava l’acquisto del dominium ex iure
quiritium. Vi erano diversi requisiti per il suo avvenimento:
1 res habilis: La cosa da usucapire doveva essere res habilis,ossia idonea ad essere
usucapita. Non lo erano le res furtivae e possesae. Il divieto per le res furtivae non
riguardava tanto il furto violento in se,ma anche un possessore non ladro che però
avesse una cosa rubata. Su di esso l’oggetto aveva una macchia che sarebbe svanita
solo riportandola al dominus.
2 Possessio: Non ogni possesso portava all’usucapione. Lo diventava solo chi
possedeva la cosa come propia. Fino all’età classica non si poterono usucapire res
incorporales,essendo impossedibili.
Tempus: IL termine per l’avvenimento dell’usucapione era breve: Due anni per gli
immobili un anno per tutto il resto. Lo stesso precetto individua nell’usus annuale
l’acquisto della manus sulla donna. Si compiva solo quando l’ultimo giorno era
iniziato, e doveva essere continuo e mai interrotto,neanche per un momento.
Fides: Ai fini dell’usucapione alla fine dell’età classica si richiedeva la buona fede: La
convinzione di non recare ad altri pregiudizio con il nostro possesso. Buona fede
soggettiva,e consisteva nella convinzione dell’usucapiente di essere egli stesso
dominus ex iure quiritium. Essa doveva sussistere al momento del possesso:la mala
fede sopravvenuta non sarebbe stato un ostacolo.
Titulus o iusta causa: LA ragione oggettiva che stava alla base del volere di
usucapione. Doveva essere tale da giustificare l’acquisto del possesso e quindi base
per giustificare anche l’eventuale acquisto di propietà.
I titoli erano molti ma definiti: Il pro emptore,che consegnava cosa venduta,il pro
donato o pro dote,il pro legato,il pro soluto,anche il missiu in possessionem,il bonurum
emptor e il servo venduto per azione nossale.
Non sono indicati negli iusta causa mancipatio iure cessio e traditio in quanto negozi
astratti e non causali.
Per valere l’usucapione anche la causa doveva essere valida.
L’usucapio pro herede: Con l’usucapio pro herede la persona che avesse preso
possesso anceh di una sola cosa ereditaria dopo un anno poteva fare sua l’intera
eredità. Era necessario però ovviamente che non vi fossero eredi e che quindi l’eredità
fosse giacente. Già in età classica si permise di usucapire solo le singole cose,ma per
il resto si mantenne ili regime di iusta causas e buona fede. Dai tempi di adriano
l’usucapio pro herede verificata in mala fede poteva essere revocata dall’erede anche
quando già avvenuta.

La perdita del dominium ex iure quiritum


Il dominiium perdeva la propietà col perimento della cosa,con l’alienamento del
dominio,e quando il possessore non propietario usucapiva. La propietà non si
estingueva per il non usus. Si estingueva anche a seguito di confisca emptio ab
invito,ossia una espropiazione per pubblica utilità.

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La rei vendicatio
Antico strumento alla difesa del dominium ex iure quiritium era la rei vendicatio o
rivendicca. Essa spettava al propietario ede era propia delle azioni in rem. Il
propietario era non possessore ed era rivolta al possessore attuale. Nell’ambito delle
legis actio avveniva inizialmente per legis actio sacramenti poi per agere in rem per
sponsionem. Nel formulare agere per fromulam petitoriam più semplicemente definita
rivendica formulare. Essa era composta da iudicis nominatio ,intentio,clausola
restitutoria e condemnatio. Il giudice doveva pertanto emanare sentenza di condanna
quando le due condizioni,una positiva ed una negativa erano verificate. Nel caso in cui
il convenuto restituiva il giudice lo assolveva per via della clausola,altrimenti litis
aestimatio.
L’onere della prova: Nella formula l’onere della prova non poteva che gravare
sull’attore. Solitamente si trattava di provare il possesso di rem acquisite a titolo
derivativo,ed era quindi necessario verificare se chi aveva alienato era possessore
etc.. Di grande aiuto era l’usucapione che se avvenuto in buona fede dopo un anno
toglieva i dubbi sulla propietà. Allo stesso modo il principio della successio
possessionis,che permetteva di continuare l’usucapione del padre morto.
Le spese il ius retentionis: Poteva accadere che il convenuto avesse prima della lite
erogato del denaro sulla rem contestata. Sarebbe stato equo che quelle risorse gli
vengano rimborsate. Si provvedeva con exceptio doli, e nel caso in cui l’attore non
intedesse pagare le spese dopo essa il convenuto veniva assolto. Le spese volluttuarie
restano a carico del possessore a meno cche ciò per cui aveva speso era passibile di
ius tollendi,ossia attraverso la rimozione senza fare danni al patrimonio del
propietario.
La legittimazione passiva: A essere legittamato passivamente in termini di rivedicatio
era solo il possessore ,ossia colui che ne potesse restituire. Dall’età classica in poi
anche ad alcuni detentori venne affidata la facultas restituendi. In età classica si
ammise in anche che fosse da conddannare in sede di verifica qui liti se optulit:colui
che avesse dolosamente accettato di rem defendere anche se non possedente. Ciò
rendeva più difficile l’identificazione del possessore e dava tempo per il compimento
dell’usucapione 
I frutti: L’oggetto da rivendicare era indicato dall’intentio insieme ai dati necessari per
l’identificazione. Non si faceva obbligo di restituire i frutti percepiti prima della lite. I
frutti invece post litem constestam erano da restituire insieme alla cosa controversa. Il
convenuto doveva inoltre restituire i frutti che avrebbe potuto percepire con un
amministrazione più adeguata della cosa.
LA responsabilità del convenuto: La res che si perseguiva la perseguiva nello stato in
cui era al termine della litis contestatio. I danni ante litis contestatio non erano
calcolati. Quelli post invece dovevano essere risarciti all’attore,semprechè imputabili a
sua causa o colpa. Inoltre chiunque avesse usucapito post litis contestatio non
otteneva realmente la propietà,e se soccombente era obbligato in processo a
trasferire quella acquisita con mancipatio.
LItis aestimatio: Il convenuto che non restituiva vrebbe dovuto pagare il valore della
cosa ,ma ne avrebbe ancche trattenuto il possesso.

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Le altre azioni e rimedi giudiziari a difesa della propietà


quiritaria
Le azioni negatorie: Erano di servitù ed usufrutto,civili e di natura reale,e si
utilizzavano contro chi turbava l’esercizio di servitù e usufrutto.
Le actio pluviae arcenddae: Avevano fondamento nelle dodici tavole ed erano
utilizzabili dal propietario di un fondo rustico contro quello vicini che vesse alterato il
normale confluimento delel acque piovane risultandone in sovrabbondanza. Era un
actio in persona,quindi un obligatio propter rem, che intimava a ripristinare la
situazione come la precedente. Anche se il propietario del fondo vicino era nel
frattempo cambiatp,era comunque obbligato a ripristinare la situazione.
L’azione e la cautio per il danno temuto: Uno degli ultimi contesti in cui si utilizzarono
le legis acctio. La cautio damno infeccti era un stipulatio che si faceva tenere
all’avversario nel caso in cui lui abbia costruito qualcosa che possa arrecare danno
alla nostra propietà. In maniera che se non l’avesse fatta sarebbe stato perseguibile
con l’actio ex stipulato. Il propietario minacciante prometteva un risarcimento. Chi si
rifiutava di prestare la cautio cadeva nella missio in possessionem del pretore che
dava in detenzione l’oggetto potenzialmente pericoloso all’attore. Se anche dopo la
detenzione si rifiutava di stipulare l’immobile veniva dato in possesso all’attore con
possibilità di usucapire.
L’operis novi nuntiatio: “denunzia di nuova opera” Non era un actio ma si trattava
bensì di un istituto di ius civile. Presupponeva che era in corso in un fondo vicino una
costruzione o una demolizione che risultasse lesiva a chia avrebbe esercitato questa
azione. Si intimava il vicino di sospenderne l’esecuzione. Se l’avesse continuata il
pretore dava a questo un interdictum demolitorum,che lo costringeva a demolire
quanto costruito dopo la nuntiatio. LA nuntiatio cessava con la morte dell’attore o con
l’alienamento delle sue terre. Cessava sempre invece decorso un anno. Cessava
anche tramite stipulatio che prometteva che se l’opera sarebbe risultata illegittima
sarebbe stata distrutta dallo stesso costruttore. L’accertamento di ogni cosa avrebbe
avuto luogo in sede propia.
L’interdictum qod vi aut clam: Con questo interdictum il propietario otteneva la
possibilità di rimuovere forzatemente qualccosa che indesideratamente era stato
costruito sul suo fondo nonostante il suo divieto. Clam,clandestinamente,senza avver
chiesto autorizzazzione al possessore convinto che gli sarebbe stata negata.

L’azione pubbliciana e la propietà pretoria


Si ritenne equo tutelare chiunque era in possesso in buona fede e iusta causa di una
res usucabile, e ne avessero perso il posesso prima del termine dell’usucapione. A
provvedere fu il pretore con l’actio publiciana. Vi erano ammessi solo cittadini
romani,che potevano usucapire. Come la rivendica era azione in rem,con clausola
restitutoria e con condanna al quanti ea res erit, e passivamente legittimato il
possessore attuale. L’intentio della formula però era diversa: Non si chiedeva di
verificare “se” la propietà della cosa spettasse all’attore ex iure quiritum ma bensi se
col decorso del termine annuale l’attore sarebbe divenuto per effetto di usucapione il
propietario. Era pertanto un azione fittizia che chiedeva al giudice di procedere come
se l’attore fosse divenuto già propietario. Comunque il giudice doveva verificare però
le condizioni dell’usucapione. Se il conflitto era però tra propietario civile e possessore
ad usucapionem prevaleva il primo. Ciò era equo. Il dominus ex iure quiritum avrebbe

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opposto l’exceptio iustii domini contro l’actio publiciana. Ciò era equo però solo se il
possesso ad usucapionem era stato ricevuto da un terzo e non dal dominus stesso. Se
era stato il dominus a cedere con traditio allora si sfociava in iniquità: alla exceptio
posta dal dominus si poteva opporre la replicatio doli. Una volta effettuata l’actio
publiciana l’attore teneva la cosa in bonis. Fu detto dominium questo tipo di propietà
ma non iure quiriutim bensi iure praetorio,verrà infatti chiamato dominio propietario o
propietà pretoria. Per ottenre il dominus ex iure quiritium bastava attendere la fine
dell’usucapione.

La propietà peregrina e la propietà provinciale.


La propietà peregrina è stata coniata per giustificare situazioni in cui un cittadino non
romano intendeva acquistare una res con un modo di aquisto della propietà definito
iuris gentium e come tale accessibile ai non cives. Oppure un peregrino con ius
commerci e pertanto in grado di mancipare. Essi acquistavano appunto la propietà
peregrina che era tutelata con gli stessi strumenti della propietà civile probabilmente
con l’intervento di un pretore e della sua fictio,che chiedeva di giudicare come se il
dominio fosse civile.
La propietà provinciale: Per propietà provinciale si fa riferimento a beni solo
immobili,in particolare a quelli provinciali. Erano fondi provinciali le terre conquistate
fuori roma e organizzate in province. Esse furono assoggettate ad imposta. Pare
connettersi a ciò il fatto che il dominium sui fondi provinciali era del popolus romanus
o dell’imperatore, mentre il potere riconosciuto dai privati era quello della possessio.
Questa possessio però era molto simile alla propietà civile,trasmissibile mortis causa o
inter vivos e tutelabile da un actio in rem simile alla rei vindicatio. Questi terreni erano
res nec mancipi sicchè si trasferivano per traditio, e essendo tali non si acquistavano
per usucapione. Se qualcuno tuttavia l’avesse posseduta per lungo periodo era suo
diritto nel processo cognitivo di oppore la longi temporus praescriptio contro l’actio in
rem del propietario. I tempi per ottenerla erano molto più lunghi dell’usucapione: Dieci
anni se possessore e propietario abitavano nella stessa città e venti se in città diverse.
La distinzione tra fondi civili e provinciali cesso nel momento in cui anche i fondi
romani furono sottoposti ad imposte.

La propietà nel diritto post classico e giustinianeo


Nel 212 a.c. la cittadinanza romana venne estesa a tutti i cittadini dell’impero, mentre
dominium ex iure quiritium e le altre propietà rimasero distinte fino al terzo secolo
dopo cristo. Nell’età postclassica assistiamo a una volgarizzazione del diritto, con
l’abolizione delle varie formule e una minore preparazione dei giuristi che andavano a
rendere il diritto generalmente più fumoso.LA differenza tra propietà e possesso
venne a mancare.
Giustiniano intervenne e nel suo corpus iuris civilis stabilì per esempio che il
dominium non era più qualificato ex iure quiritium ma fu di nuovo inteso come un
diritto soggettivo al possesso,del tutto distinto quindi dalla possessio. Il dominio
divenne con giustiniano un istituto giuridico unitario, e quindi eliminò ogni sfumatura
precedente della propietà. L’actio publiciana fu mantenuta appunto per chi esercitava
il possesso a non dominum. La legislazione post classica poi generalmente tendeva a
limitare ulteriormente la propietà immobiliare,come per esempio il divieto di costruire
a meno di 12 piedi dall’edifiio vicino.

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Trasferimento: Si oscura con giustiniano la distinzione tra negozi astratti e causali:


vendita e donazione quando un oggetto costoso ne era soggetto di definirono cause
ed atti causli di trasferimento della propietà. Per il passaggio del dominio era di nuovo
necessaria la traditio. In etàclassica gli atti traslativi non tolleravano alcune
condizione,mentre nel diritto giustinianeo si consideravano effetti reali quelli aggiunti
a patti risolutivi aggiunti alla compravendita.
Usucapione e longi temporis praescriptio. Giustiniano istituì una longissima temporis
praescriptio,opponibile a prescindere da ogni fattore una volta superati i quarantanni
di possesso. Il termine fu poi ridotto a trentanni da teodosio secondo e aggiunti
requisti sulla buona fede e iusta causa. Giustiniano la confermò e stabilì anche che la
longi temporus praescriptio non era solo utilizzabile a scopo di difesa ma anche come
strumento per ottenere la propietà. Si continuò poi a utilizzare il normale usucapione,
che era diventato tre anni per i mobili e dieci o venti anni per gli immobili.
Differenze nella rivendicatio:
L’onere della prova: Era inizialmente previsto che se l’attore non fosse riuscito a
provare sufficientemente il suo diritto anche il convenuto avrebbe dovuto provare che
la cosa spettasse a lui. Sarebbe stato poi il giudice a valutare a chi dei due doveva
essere propietario. Arcadio ed onorio la abrogarono nel 396.
Le spese: Per motivi di ecquità si riconobbe l’obbligo di rimborsare le spese anche al
possessore in mala fede
La legittimazione passiva e la respnsabilità del convenuto: si diede responsabilità al
convenuto che avesse perso o determinato il perimento della cosa contestata. Una
volta ammesso ciò si riconobbe quindi la responsabilità del convenuto per
danneggiamenti anteriore alla lite,dapprima limitata post litis contestatio.
I frutti: Si concesse all’attore di esigere i frutti prodotti prima della lite che in età
classica andavano perseguiti a parte. Rimase invariatà la responsabilità di dover
consegnare i frutti percepiti dopo l’inizio della lite.
La sentenza: Al termine della sentenza,ora assoluta, l’interessato avrebbe potuto
pretendere l’esecuzione manu militari. Alla condanna pecuniaria si giungeva solo nei
casi di convenuto non possessore.

La compropietà
Il consortium ercto non cito: Istituto di ius civile che tradotto stava a signifacare
“Dominio non diviso” Si costituiva automaticamente alla morte del pater familias, e
supponeva che il patrimonio ereditario restasse comune. Questo significava che
chiunque potesse alienarlo senza il consenso degli altri se questi non avessero posto
tempestivamente il veto (Ius prohibendi). Ognuno era considerato propietario
dell’intero.
Alla eventuale divisione si procedeva per iudicis arbitrive postulationem. Scomparve
prima dell’ultima età repubblicana.
La compropietà: Definite anche come comunione. Poteva essere volontaria, ma più
spesso era accidentale. Ad esempio il legato per vindicationem a favore di più
persone.
Compropietà e consortium: Il regime che li stabilisce è differente: La communione
stabilisce una quota ideale del patrimonio condiviso. I classici negarono poi che si

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potesse essere copropietari della stessa cosa. Ognuno poteva quindi alienare solo la
propia quota. Poteva su di essa costituire pegno e usufrutto ma non servitù
,indivisibili. Nel consortio solo da diritto giustinianeo è necessario il consenso di tutti.
Il ius adcrescendi: Se un propietario nella comunione rinunciava alla sua quota si
alzavano quelle degli altri. Ognuno è limitato dall’altro. Manomettendo uno schiavo ad
esempio non si faceva che accrescere il dominium degli altri su di esso. Per affrancarlo
serviva che tutti lo manomettessero.
La tutela giudiziaria: Per tutelarsi il compropietario aveva accesso alla rei vendicatio
pro parte.Agiva per intero quando doveva attestare o negare la presenza di diverse
servitù.
I terzi avrebbero agito su un solo propietario anche se in solidum( Ad esempi uno
schiavo che compiva un illecito e dovesse essere passivo di azione nosssale)L’azione
non poteva essere ripetuta da o contro gli altri titolari. Se avesse perso o vinto la
causa l’imputato spartiva o richiedeva il necessario danaro pro quota.
La divisione:L’actio commmuni dividundo: Quando era necessario dividere
definitivamente la compropietà si ricorreva alla actio communi dividundo. Non v’era
convenuto o attore, e nel processo delle legis actiones si utilizzava la iudicis arbitrive
postulationem. Nel processo formulare si dava al giudice potere di aiudicatio, ossia di
pronunziare la propietà esclusiva di una parte o del tutto. Se la cosa era indivisibile
erano necessari vonguagli in denaro alle parti che non avevano potuto assistere alla
divisione della cosa,costiutendo così obbligazioni.

Le servitù prediali
Tra i diritti reali su cose altrui si inseriscono le servitù prediali: Diritti soggettivi con
effetto reale,secondo i quali un propietario di un fondo può chiedere a quello vicino un
determinato comportamento di tolleranza o di omissione. E’ quindi un peso posto su
un fondo per l’utilità dell’altro. Si riferiscono solo ai beni immobili,e i due fondi tra i
quali si costituisce una servitù si definiscono di solito dominante e serviente. LA
servitù non è alienabile dai fondi. La servitù è quindi un rapporto tra fondi.
I due fondi devono appartenere a propietari diversi,non potevano esistere servitù per
propietari dello stesso fondo. Le servitù si inquadrano tra i diritti naturali di
godimento,costituendosi essi per l’utilità di un altro fondo. L’utilità poi deve riguardare
il fondo dominante in se, non il propietario attuale. I fondi soggetti a servitù dovevano
essere vicini. Abbiamo visto come i diritti reali non possano consistere in un “fare”.
Non deve trarre in inganno il fatto che esistano servitù negative e positive,
intendedosi come positive quelle che consistono nella permissione di una particolare
azione (il passaggio) e negative quelle che ne pongono il veto. Le servitù inoltre
riguardano l’intero fondo,e come abbiamo visto nella compropietà non sono divisibili.
Le origini: Nascono da epoca preclassica avanzata. Questo risolta ovvio in quanto nei
primi secoli di roma grazie all’ambitus e al limes si assicurava sufficiente indipendenza
ad ogni fondo senza la necessità di servitù. Dopo la legge delle 12 tavole i fondi
arcifinii divennero sempre più numerosi, e si dovettero stabilire diverse servitù
Iter(passaggio a piedi) actus(carri e bestiame) acquae(Irrigazione) Inizialmente queste
tre servitù erano considerate res corporales. Col riconoscimento il ultima età
repubblicana di diverse tipologie di servitù si arrivo a considerarle res incorporales,e si
parlo di iure paredorium(diritto dei fondi).

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La tipicità: Non si riconobbero mai le servitù come categoria unitaria,esse erano


tipiche. Si riconobbero gradualmente per opera del pretore e della giurisprudenza
diverse figure di iure praedorium, anche se il loro regime giuridico generale restò
tendenzialmente uniforme. Un temperamento della tipicità fu l’introduzione della
modus servitutis. Un modus da applicare alle servitù era ad esempio la specificazione
di quali animali potessero passare.
Le servitù rustiche e le servitù urbane: Le servitù rustiche erano res mancipi,quelle
urbane res nec mancipi.
Le servitù e il ius civile. I fondi italici. : Il riconoscimento giuridico delle servitù
avvenne nello ius civile,tutelate con vindicationes e riguardo esclusivamente i fondi
italici,ossia gli unici passibili di dominium ex iure quiritium. Con l’imposizione di
tassazione anche sui fondi italici in epoca postclassica al divisione sparì e ogni fondo
potè quindi avere sevitutes ex iure civili.
Le servitutes personarum: Da giustiniano la qualifica di servitues fu estesa a a
usufrutto e a uso. I rapporti tra fondi vennero definiti più in dettagli come servitù
prediali. Usufrutto e uso di definirono invece servitù personali. Elemento comune era
l’assoggettamento di una res ad un'altra res nell prediali,ad una persona nelle
personali. Le prime riguardavano solo immobili, le altre anche mobili. Spesso venne
critica seppure presente nel corpus iuris civilis questa distinzione.
I modi di costituzione,mancipatio e in iure cessio: Le servitù erano diritti reali e per cui
si costituivano per mezzo di negozi con effetti reali. Con la mancipatio si costituivano
le servitù rustiche, con la in iure cessio sia quelle rustiche che quelle urbane.
PACTIO ET StiPULAtio: Sui fondi provinciali non erano inizialmente disponibili servitù.
L’esigenza di istituire servizi negli interessi di un altro fondo di faceva mediante
stipulatio, ove si prometteva la servitù per apputno via traverse. Queste azioni a cui
era riconosciuto effetto reale erano tutelate dal diritto pretorio(honorario),quindi non
con azioni in ius ma bensì in factum. Gli effetti reali non si stabilivano alal
stipulatio,capace solo di creare obbligazioni ma bensì al patto. Scomparse mancipatio
e in iure cessio si diede a pactio et stipulatio valore vero come stipulature di sevitù.
EXCEPTIO SERVITUTIS: Quando il propietario di due fondi ne alienava uno mediante
mancipatio,poteva con una lex macipii stabilire un determinata servitù tra i due fondi:
Si trattava quindi di exceptio servitutis. Scomparsa la mancipatio essa avveniva
attraverso traditio, in virtù di un semplice atto informale.
AIUDICATIO: Le servitù si potevano costituire pure grazie ad aiudicatio,capacità del
giudice di stabilire servitù quando si andava a spartire una cosa in compropietà.
LEGATO PER VINDICATIONEM: Presupponeva che un testatore avesse dato un fondo al
legato e un ‘altro vicino ad un altro legato o erede. La servitù si costiutiva una volta
morto il testatore.
TRADITIO: Le servitù non si costituivano per traditio,perché esso presupponeva
l’utilizzo di res corporales.
L’USUCAPIONE : Le servitù per lo stesso motivo non potevano essere costituite
mediante usucapione in quanto esso riguardava le sole cose possedibili. Un Lex
scribonia però ne abolì l’utilizzo : Quindi significa che in passato era
utilizzato,probabilmente quando alcune di esse erano considerate res corporale.(iter
actus acquae)

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Questo utilizzo dell’usucapione come atto costiturio ritorno nel diritto giustinianeo con
la longi temporus praescriptio,che presupponeva iusta causa buona fede e lungo
possessio.
I modi di estinzione:
CONFUSIONE: Quando il propietario dei due fondi acquista anche l’altro
vicinante,annullando le servitù.
RINUNZIA: Per rinunziare a una servitù si utilizzavaa inizialmente per in iure cessio,da
quando è cessata di esistere mediante pactio.
Non usus: Il mancato esercizio di una servitù,prolungato per due anni ne provocava
l’estinzione. Nessun problema si pose per le servitù rustiche, positive. Le sevitù
urbane erano invecce negative,comportando quindi un non fare. Come si determina il
non usus di qualcosa che bisogna non fare? Semplicemente quando la servitù non era
stata rispettata per oltre due anni e non fu esercitata al riguardo alcuna vindicatio
servitutis, e si può dire quindi che il propietario usucapisce la libertà del fondo
liberandolo da una servitù. Giustiniano la rimise alla longi temporus praescriptio,10 20
anni.
La difesa giudiziale: Col riconoscimento delle servitù come entità giuridiche naquero le
rispettive azioni giudiziarie. Vindicatio servitutis. Nelle legis actionis si dovette
procedere con sacramento in rem,nel formulare nell’intentio si faceva riferimento al
ius vantato. La formula era munita di clausola restitutoria,o arbitraria,e l’azione si
esercitava contro il dominus del fondo serviente. Nel diritto classico avanzato si
utilizzo l’actio confessoria servitutis, opposta quindi alla actio negatoria servitutis.

L’usufrutto
Anche l’usufrutto fu considerato diritto reale limitato di godimento su cosa altrui. Il
titolare era l’usufruttuario,il propietario del bene gravato il nudo propietario. Si dava
quindi diritto di usarne una cosa altrui e di percepirne i frutti. Poteva avere ad oggetto
solo cosa fruttifere e inconsumabili. Aveva carattere personale perché limitato
all’usufruttario,inalienabile e intrasmissibile.
Le origini: E comune pensare ch el’usufrutto abbia avuto origine con la diffusione dei
matrimoni sine manu, ove la moglie non avrebbe ricevuto alcuno patrimonio dalla
morte del marito, e se l’avvesse ricevuto sarebbe dovuto andare alla sua famiglia. In
questo tipo di matrimonio inoltre i figli non erano iure civli eredi della madre. Inolte
l’eventualità che la donna facesse testamento era assai rara. Ecco quindi mediante
legato che si stabili che i beni provienienti dal testatore marito morto erano donati alla
moglie in qualità di usufrutto,in modo che il dominio di essi restasse agli eredes.
Nell’età repubblicana fu qualificato ius e quindi tra le res incorporales. La tutela
giudiziaria ebbe luogo nello ius civile. Molto presto si ammise possibile anche per
negozi inter vivos.
La natura giuridica: L’usufrutto era un diritto reali su cose altrui. Come diritto reale
seguiva pertanto la cosa presso qualsiasi propietario. Il nudo propietario poteva quindi
si alienare al cosa data in usufrutto, ma gli altri non avrebbero acquistato altro oltre
alla nuda propietà. Quando si era propietari di qualcosa lo si era e basta, non nudi
propietari+usufruttuari. Quando infatti per qualsiasi motivo l’usufruttario acquistava
la propietà della cosa l’usufrutto si estingueva. In età postclassica il concetto si

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intorbidò e venne considerato alla stregua di propietà temporane. Giustiniano come


abbiamo già visto lo inserì nelle servitutes personlai.
L’oggetto: L’usufrutto poteva avere ad oggetto res mancipi e res nec mancipi,mobili e
immobili. Non doveva essere raro l’usufrutto di un gregge,di persè cosa collettiva,
nemmeno che un testatore dispose l’usufrutto di i propi beni per legato. L’usufrutto
doveva sempre avere oggetto res corporales ed inconsumabili. Doveva trattarsi anche
di cose soggette alla produzione di reddito, così come gli schiavi, i quali frutti erano le
operae.
Le attribuzioni e i doveri dell’usufruttuario: L’usufruttario avevà facoltà di usare(uti) e
percepire i frutti(frui) del bene in usufrutto. Esse vennero espresse globamente.
L’usufruttuari faceva suoi i frutti una volta percepiti,con la perceptio pertanto,non con
la smeplice separazione dalla cosa madre. Gli aquisti dei servi andavano da lui se da
lui finanziati o se attinenti alla sua attività lavorativa. Avendo il godimento della cosa
l’usufruttuario aveva l’obbligo di doverla mantenere in funzione e di evitare il suo
perimento. Quando un gregge era in usufrutto e una pecora moriva bisognava
sostituirla. L’usufruttuario godeva della cosa nello stato in cui era all’inizio
dell’usufrutto. Non poteva in alcun modo alterarne l’essenza,neanche a fin di bene. A
garanzia dell’adimpento di faceva compiere una cautio all’usufruttuario, che creava
obbligazioni trasmissibili agli eredi. Se l’usufrutto era mortis causa spettava al pretore
l’attuamento di codesta cautio.
IL carattere personale: L’usufruttuario volendo poteva cedere l’esercizio
dell’usufrutto,mai alienarlo. Responsabile verso in nudo propietario sarebbe sempre
dovuto essere l’usufruttuario, del quale diritto si sarebbe estinto con la morte. Questa
personailtà dell’ussufrutto mise in dubbio la possibilità di poterlo concedere alla
civitates, ma poi si stabili che era possibile si ma non oltre i 100 anni.
I modi di costituzione:L’usufrutto non era una res mancipi,non si costituiva quindi
mediante mancipatio. Pure l’usufrutto come le servitù si costituiva con legato per
vindicationem,in iure cessio ecc.. Poteva accadere che nell’in iure cessio si
“deduceva” l’usufrutto, così che il propietario rimanesse un nuovo nudo propietario e
il precedente possessore potesse mantenere l’usufrutto del suo ex bene. GIUSTI
SIMILE A SERVITU TRIN TRON
I modi di estinzione: L’usufrutto si estingueva in ogni modo con la morte
dell’usufruttuario. Alla morte era legata la capitis deminutio ,dapprima anche minima
con giustiniano solo maxima e media. Potevano essere apposti all’usufrutto condizioni
risolutive o termini finali. Si poteva estinguere per perimento della cosa o per sua
mutazione nel caratttere. Altri modi erano la rinunzia in iure cessio,mediante la
consolidazione della propietà da parte dell’usufruttuario,oppure tramite non usus o
longi temporus praescriptio in epoca gisutinianea. Con l’estinzione dell’usufrutto la
propietà del nudo propietario tornava a riespandorsi,evidenziandone ancora una volta
l’elasticità. Se si rifiutava di consegnare indietro il fondo o la cosa,si faceva ricorso ad
actio ex stipulatu.
La tutela giudiziaria:L’azione che si dava all’usufruttuario impedito nell’esercitare il
suo diritto er a la vindicatio usus fructus,esperibile sia contro il nudo propietario sia
contro terzi. Fu più tardi detta anche lei actio confessoria.

Il quasi usufrutto

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Il quasi usufrutto nasce nel contesto dell’usufrutto gravante su tutti i beni del
testatore, dappri masolo inconsumabili e da dopo anche riguardante i beni
consumabili come il denaro. In questo caso sarebbe stata necessaria una cautio
fructuaria che sanciva che si sarebbe dovuto restituire il medesimo al termine
dell’usufrutto.(tantumdem)
In questo caso l’usufruttuario dovendo restituire cose del medisimo valore non
avrebbe avuto usufrutto ma propietà sui beni consumabili. Di usufrutto tutto ciò non
aveva niente oltre al nome. Per questo fu definito usufrutto.
La restituzione della tantundem o avveniva tramite gli eredi che ne ereditavano
l’onere oppure al momento di una eventuale clausaola risolutiva o termine finale. Non
si risulta che il quasi usfrutto si costituisse in modi diversi che per il legato, Si dava al
quasi usufruttuario la vindicatio usus fructus.

L’usus e figure affini


Certamente successivo a quello dell’usufrutto è il riconoscimento del reale diritto di
godimento su cose altrui infruttifere. Generalemente esse erano trasferite per
legato,per l’uso personale e diretto. Questa esgienza fu sentita in particolare per la
casa,la quale l’usufruttario dovevaa usarla personalmente a differenza
dell’usufruttuario che avrebbe potuto darla in locazione. Nel caso di usus di fondi
rustici non si poteva recepire i frutti salvo quelli necessari nel consumo quotidiano, e
in nessun modo bisognava disturbare il raccolto o le attività del dominus su di esso.
Dei servi l’usuario avrebbe potuto percepire direttamente le operae,mentre per gli
animali avrebbe potuto godere dell’attività lavorativa ma non dei frutti,e cio
implicava ovviamento l’obbligo dell’usus su alcune tipologie di animali. L’usus era
indivisibile. Come nell’usufrutto era necessario prestare cautio, tale era l’obbligo
nell’usus, e la tutela giudiziaria era effettuate tramite vindicatio usus, perché nella
formula non si faceva riferimento al fruendi. Pure l’usus fu qualificato da giustiniano
tra le servitutes.

La superficie,gli agri vectigales,e l’enfiteusi


Il diritto di superficie: La superficies per i romani accedeva al suolo. Era in dipendenza
di questo principio il propietario del suolo era necessariamente propietario anche di
ciò che era incorporato al suolo. Era esclusa pertanto la divisione della propietà di un
edificio per vie orizzontali. Questo principio fu mantenuto ma attenuato. Ad imitazione
dello stato anche i privati usarono dare in concessione la superficie separatamente dal
suolo. Si procedeva tramite compravendita o locazione. Si agiva in modo da lasciare al
compratore il godimento della superficies sulla quale l’edificio era costruito. Nel caso
della compravendita avrebbe dovuto pagare una sola volta, nel caso della locazione
un canone periodico. Il venditore era solo obbligato al compratore verso un pacifico
godimento della superficie. Il superficiario non diveniva quindi propietario della
superficie,neppure acquistava su diessa alcune diritto reale limitato. Per il diritto il
superficiario era solo un creditore che aveva accesso ad un actio ex contractu contro il
concedente e mai contro terzi.
Il pretore concesse poi a chiunque avesse escluso dal godimento il superificiario della
superficie un INTERDICTUM DE SUPERFICIEBUS. Si diede poi più tardi un actio in
rem,esperibile contro chiunque avesse il godimento al posto del propietario. Si
trattava di un azione in factum. L’azione reale era più piena perché colpiva chiunque
avesse avuto godimento della superficie.

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In tal modo si fece deroga al principio di efficacia solo obbligatoria dei contratti. Fu
mantenuta sempre però la differenza tra dominus propietario e superficiario. Nell’actio
in rem si presupponeva come un diritto reale limitato col godimento di cosa altrui. Col
tempo e con l’età classica si riconobbe il diritto di vendere la superficie,darla in pegno
iure pretorio e costituire usufrutto e servitù. SOLARIUM CANONE
Gli agri vectigales: Erano state dette agre verticale s quelle porzioni di ager publicus
che i censori concedevano a privati dietro pagamento periodico detto vectigal. I
concessionari si dicevano possessores e tutelati tramite interdicta contro turbamenti.
Venivano realizzate mediante locationes, di diritto pubblico quelle censoria, di privato
quelle dei municipia, di breve durata inizialmente e immediatamente revocabili in
assenza di vectigal.
Fu ammessa l’alienabilità inter vivos e il passaggio agli eredi. Il pretore nel primo
secolo avanti cristo concesse poi tutela giudiziaria con azione in factum di natura
reale esperibile contro qualsiasi posessore. Poiche il dominio restava al populus
romano si parla di diritto reale di godimento su cosa altrui. I diritti in età classica si
ampliarono , con la permissione di usufrutto e pegno,servit e capacità di utilizzare
alcune azioni riservate al dominus,tipo acquae pluviae arciendae.
L’enfiteusi: In età postclassica non si parlò più di agri vectigales,si svilupparono invece
con regime analogo altri tipi di concessione per le terre appartenenti alla sfera
pubblica. Anche l’enfiteusi era un diritto reale di godimento su cosa altrui. Poteva
riguardare sia terre pubbliche che private, e spesso vi si ricorreva al fine di migliorare
il fondo. L’enfiteuta era tenuto al pagamento di un canone annuo. Poteva alienare il
fondo solo se informava il concedente. Esso poteva avere diritto di essere preferito
entro due mesi, altrimenti l’enfiteuta avrebbe dovuto dargli il 2% del valore del fondo.
Esso si estingueva per mancato pagametno del canone per oltre tre anni,nonché con
l’alienazione a terzi senza che l’enfiteuta avesse dato precedenza al
concedente,oppure per cofnusione. Ad esso fu esteso l’ager vectigalis.

Pegno e ipoteca
Siamo ancora nel campo dei diritti reali su cosa altrui ma non più di godimento bensì
di garanzia. Sono dettti di garanzia i diritti reali atti alla realizzazione di un credito, e
che quando non realizzato danno al creditore il diritto di avvalersi sulla cosa. I pegni
sono quindi garanzia reali del credito. Si contrappongono ad esse le garanzie
personali, sempre più presenti quanto andiamo dietro nel tempo.
I romani conobbero anche un diritto di garanzia reale differente chiamata la fiducia.
Comportava nel creditore l’acquisto della cosa che si dava in garanzia,con l’obbligo di
restituirla una volta saldato il debito. La fiducia fu la più antica garanzia reale per
obbligazioni. Comportava spesso mancipatio e in iure cessio, e per cui solitamente
doveva essere usata perl più con res mancipi.
La genesi: la pratica del pegno ebbe inizio nel terzo secolo avanti cristo,e si effettuava
la consegna di una cosa al creditore che l’avrebbe tenuta fino a quando il debito non
sarebbe stato soddisfatto. Si parlò al riguardo di pignius dare,pignius datum, e datio
pignoris. Chi riceveva il pegno non riceveva la propietà,quindi dare e datio
mantenevano il significato comune di consegna. Sembra che la datio fosse
inizialmente concessa per cose mobili nec mancipi, poi estesa ad ogni res con

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l’autorizzazione all’utilizzo di mancipatio e in iure cessio. Solo un secolo dopo si hanno


notizie dei primi contratti con conventio pignioris, ove non vi era la consegna fisica del
pegno ma solo un patto tra le due parti. Vi si incominciò a fare ricorso per la locazione
di fondi rustici,ove a garanzia del canone si convenivano tutti gli attrezzi o gli
eventuali schiavi portati per lavorarvici. In seguito la conventio pignoris si estese ad
ogni tipo di debito e alle cose più diverse. Ai fini della difesa ogni pignoratore venne
definito come possessore. Con la datio pignoris lo acquistava subito, con la conventio
solo una volta verificatosi l’inadempimento.
Il primo intervento pretorio in merito si ebbe con l’interdictum salvianum, che
concedeva al locatore nel caso di mancato pagamento del canone di portare via le
invcta et illata tenuti in pegno. Per il conduttore contro il locatore invece venne
impiegato l’interdictum de migrandi quando il locatore non permetteva di portar via
determinati oggetti evidentemente non in pegno. Un ulteriore intervento pretorio fu
quello dell’actio serviana,in factum e in rem. Era esperibile dal creditore pignoratizio
ed era conseguita al conseguimento del possesso. Fu utilizzata poi per ogni tipo di
pegno.(definita anche vindicatio pignoris).
E’ con l’azione serviana che il pegno si configura nel diritto reale. Un diritto reale
definito come di garanzia.Esso era più protetto degli interdetti possessori.
LA DATIO PIGNORIS E LA CONVENTIO PIGNORIS O IPOTECA
Come si è visto la datio pignoris si costituiva con la consegna,e quindi con la traditio il
creditore aquistava subito possesso della res pignorata. Era però tenuto a restituirla
una volta concluso il debito. Questo obbligo fu fatto rientrare tra i contratti reali. LA
conventio pignoris invece era un patto con effetti reali,ma maturava il diritto di
possesso in caso di inadempimento. Di qui nasce la possibilità di dare in pegno la
stessa cosa a diversi creditori.
Il pegno si costituiva solitamente su cose corporali,ma è pure testimoniato pegno di
servitù usufrutto e crediti,o anche pegno del pegno. Si ammise altresì il pegno della
superficie e dell’ager vectigalis. Il pegno era validamente costituito da chi aveva la
cosa in bonis. Mai dal nudo propietario.
Il creditore che teneva la cosa presso se aveva un possesso qualifacato come
possesso ad interdicta. La posssessio ad usucapionem restava sempre al debitore. Il
creditore non aveva libero uso delle cose pignorate,utilizzandole avrebbe compiuto
infatti un furto. Avrebbe potuto percepirne i frutti come interesse. Poteva esistere però
il patto di anticresi secondo il quale il creditore era libero di prendere i frutti per se ma
non doveva allora imporre interessi.
Il patto commissiorio e lo ius vendendi: DAll’ultima età repubblicana si riconobbero
come validi sia il patto commissorio,per cui il creditore una volta che il debitore fosse
inadempiente acquistava in propietà il bene pignorato,sia il patto per cui si dava al
creditore facoltà di vendere la cosa.(ius vendendi) Il patto commissorio fu vietato da
costantino,perché valutato come troppo gravoso.(il valore della cosa avrebbe potuto
superare il debito.
Assai più praticato fu il ius vendendi, e si ritenne stabilito per ogni azione con pegno.
Poteva vendere la cosa con traditio e il compratore avrebbe potuto usucapirla se res
mancipi, se res nec mancipi avrebbe subito ottenuto la propietà quiritaria. Con il
ricavato della vendita il creditore soddisfaceva il proprio credito, ed era tenuto a
restituire al debitore quanto eventulamente sopravanzato. Il superfluum. In mancanza

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di compratori si riconobbe la capacità del creditore di acquistare la propietà del bene


previo istanza verso l’imperatore. Se il debitore metteva in pegno la stessa cosa
presso più creditori si installava un rango di precedenze dettate secondo il criterio
precedemte nel tempo maggiore nel diritto, passando per primo dunque il creditore
alla quale l’ipoteca era stata convenuta per prima. aI CREDITORI di rango inferiore si
dava la chanche di pagare il debito del creditore di rango superiore e poi quindi
diventaare superiori a loro volta.
Estinzione: va da se che il pegno si estinguesse insieme al debito. Poteva inoltre
estinguersi per confusione,PER RINUNZIA,alla vendita da parte del crediitore che
avrebbe dato il superfluo ai creditori di rango inferiore. Pure qui venne poi applicata la
longi temporus praescriptio che divenne vero e proprio modo di estinzione del pegno.

Il possesso
Il possesso è come l’esercizio di fatto di un diritto soggettivo. Posside un diritto chi lo
esercita,non chi ne è titolare. Il possesso è uno stato di fatto,dura finchè dura. Se si
smette l’esercizio di un diritto corrispondente a una cosa se ne perde anche il
possesso. Il possesso è determinato da disponibilità materiale ed animus, possiamo
quindi dire che possiede la cosa chi la tiene come propia. Non basta quindi parlare di
detenzione per parlare di possesso ma serve anche l’animus, più precisamente
l’animus domini,ossia l’intenzione di tenere la cosa per se. Possiede pure il non
propietario convinto che la cosa che tiene gli appartenga,possiede anche il ladro(in
mala fede). Non possiede l’inquilino(locazione) il depisitario,il comodatario.
La genesi: Il possesso nasce con l’uso di lasciare in gestione ai privati larghi
appezzamenti di terre pubbliche,consentendone a certe condizioni l’occupazione
mediante pagamento di un vectigal. Chi teneva legittimamente agri publici furono
detti possessores, e il loro potere possessio. Sin dagli ultimi anni dell’età arcaica si
diede tutela ai possessores ccon interdicta,il più antico di essi l’interdicta uti
posseditis.
Il pretore estese la stessa tutela a quanti avevano l’usus di una cosa immobile che in
dipendenza di esso entro un biennio l’avrebbero acquistata per usucapione, e più in
generale la diede a chiunque tenesse un fondo rustico come proprio. L’elenco dei
soggetti tutelati aumentava sempre di più.
LA DIFESA DEL POSSESSO: Gli interdetti furono divisi in diverse categorie apiscendae
possessionis(possesso),retindae possessionis(conservazione) reciperandea
possessionis(Recupero)
Gli adipiscendae possessionis erano rivolti all’aquisto ex novo del possesso.
Gli interdetti retindae possessionis in qualche modo corrispondenti alla nostra azione
di manutenzione erano proibitori manifestandovi col veto del magistrato che sai fatta
violenza.
Il più antico era l’interdictum uti possessionis, relativo agli immobili, nel quale era
vietato l’uso della violenza da parte dei due contendenti per modificare la situazione
possessoria che risultava non viziata nei confronti dell’altro.Era quindi duplex. Ne era
parte integrante la exceptio vitiosae possessionis secondo la quale si aggiudicava la
cosa la prte che possedeva senza vizi rispetto all’altro litigante. Senza
violenza,clandestinità,concessione precaria. La persona che aveva acquistato il
possesso con violenza era si tutelata dal luti possessionis ma non contro il osggeto al

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quale aveva sottratto la propietà,analogamente negli altri due casi. Il possesso viziato
è definito anche possessio iniusta.
L’interdictum uti possiedis giovava quindi al possessor iustus per far cessare molestie
e turbative. Essa permetteva di sottrarre pure con la violenza al possessor iniustus.
Struttura analoga aveva l’interdictum urtrubi,relativo ai beni mobili,pure esso era
proibitori e tutelava iil possessore senza vizi(ne vic ne clam ne precario). Sebbene
classificato tra i retindae possessionis,giovava sia per la cessazione di molestie sia per
il recupero del possesso. Tutelava colui che avesse posseduto maggiormente senza
vizi durante l’ultimo anno.Giustiniano lo comparò poi a quello uti posseditis.
Nonostante la già funzione recuperatoria dell’interdetto uti posseditis,l’editto pretorio
contemplava per i soli beni immobili l’interdictum de vi,detto anche de vi cottidiana,in
favore del possessore che avesse subito sopossessamento violento. L’interdetto era
volto al recupero del possesso perduto. Era quindi restitutorio al simplex. Pure esso
conteneva l’exceptio vitiosae possessionis e pertando dato al possessor iustus. Il
violentato avrebbe potuto recuperare con la violenza. Doveva essere esercitato non
oltre l’anno ed era trasmissibile agli eredi.
Di poco successivo è l’interdictum de vi armata,simile ade vi, ma che presupponeva
che per lo spossessamento fosse impiegata una banda armata. Era garantita per via
della gravità anche al possessor iniustus.Giustiniano lo ecquiparo al de vi.
Possesso e propietà Tra i legittimati ad utilizzare interdicta per la difesa della
propietà come sappiamo vi furono coloro che uti domini tenevano la cosa come
propietari. Il posesso era al contrario della propietà uno stato di fatto e non di diritto. Il
possessore uti dominus era protetto sia se propietario della cosa sia che non lo
fosse,pure contro il propietario stesso se autore del turbamento.Il propietario avrebbe
sempre potuto far rivendica,ma se avesse utiizzato altri mezzi sarebbe stato vittima
degli interdetti a sua difesa.Questa concezione si offuscò in post classica ma ritornerà
in auge con giustiniano.
POSSESSORI E DETENTORI: La difesa interdittale possessoria,sorta per tutela di agri
publici, fu estesa a tutti i propietari che tenevano una coa uti domini. Tutti costoro si
dissero possessores. Restavano esclusi i servi e i filii familias, i loro beni infatti
spettavano al dominus o al pater. Così pure per coloni e inquilini. Le azioni interdittali
in questi casi spettavano al vero possessore dei beni. Coloro che tenessero per loro la
cosa senza però averne il possesso vengono definiti come detentori.(naturail
possessio)
Il possesso ad usucapionem e la possessio ad interdicta
L’usucapione discendeva direttamente dall’usus regolamentato dalle 12 tavole.
Aveva una matrice diversa a quella della possessio ad interdicta,divenuta più ampia e
generale.
La ratio della difesa del possesso era diversa da quella dell’usucapione. Se gli
interdicta erano mirati alla ecquita sociale, nell’usucapione era necessario chiarire
dubbi circa la titolarità del dominium, e di garantire la preferenza a coloro che
curavano i loro affari piuttosto che a chi li trascurava. Non tutti i possessori interdittali
potevano usucapire, e non tutti i possessori ad usucapionem avevano tutela
interdittale. Poteva accadere che in ordine alla stessa cosa si diede ordine ad uno il
possesso ad usucapionem e ad un altro il possesso ad interdicta. Come nel caso del
creditore pignoratizio e precario dans. La possiessone ad usucapionem quindi non fu

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mai veramente inserita nei generi delle possessioni interdicta,ma a sua tutelaa aveva
l’azione publiciana.
Acquisto conservazione e perdita del possesso: Quella dei possessores era una
situazione che presupponeva l’effettiva disponibilità di possedere una cosa, e
percepirono che con essa non poteva non esserci il desiderio di tenerla per se. Questi
due requisiti si definiscono corpus possidere e animus definendi. Il possesso di una res
si realizzava quanndo taluno con lìanimus possidendi aveva possibilità di disporne.
Bastava che venisse meno o uno o l’altro per non essere più un valido possessore.
Il possesso si trasmetteva e acquistava mediante traditio, si aquistava per
occupatio,adprehensio o ress derelictae, e si perdeva per derelicto. Acquistava il
possesso mediante traditio anche chi non riceveva subito la res traditia. Conservava il
possesso il possessore che usciva del fondo per poi tornarci. Conservava il pascolo
stagionale per tutto l’anno il contadino. Il possesso è tale quando il possessore può
subito recuperare una cosa. Perdeva il possesso ada esempio un possessore che
allontandosi vede il suo fondo occupato da altre persone. Quanto in particolare
all’animus possidenti non fu mai ecquiparato all’animus dominis, esso era più vasto
ed apparteneva a chiunque volesse tenere la cosa come propia.
L’animus peraltro era un elemento molto intimo,era al momento dell’acquisto che si
doveva manifestare come apprezzabile. Era ovvio per cui che il possessore
mantenesse il possesso mentre dormiva.
Chi tiene una cosa per una causa,non può poi pretendere di possederla ad altro titolo
per avere intanto mutato da se il proprio animus. Se uno tiene una cosa per locazione
non è adatto per esempio a compire usufrutto. Per divenire possessore uti dominis è
necessario che la cosa ci venga venduta.
L’oggetto del possesso: Riguardava l’usucapione il principio secondo il quale al
possessore di una signola cosa era negato il possesso delle sue parti. Ad esempio al
possessore di un edificio era negato il possesso delle sue singole parti,e in quanto non
da lui posseduto non avrebbe potuto usucapirle.
Peculiare del possesso inoltre è il fatto che non si possano possedere res incorporales.
Chi possedeva servitù o usufrutti non veniva considerato possessore proprio per
questo motivo,dato che il possesso restava al nudo propietario.
Quasi possessio e possessio iuris :Negare il possesso a titolari di usufrutto e servitù comportava
però che non fossero tutelati giuridicamente contro molestie,e ngare anche l’acquisto
per usucapione. Il pretore allora per questioni di equità concesse gli interdicta uti
possessionis e de vi agli usufruttuari su immobili. Il pretore poi col tempo tutelò anche
chi aveva a carico alcune servitù con alcuni interdicta simili all’uti possessionis,detti
itinere actuque privato. Non si trattavano propiamente di interdetti possessori ma
furono di ispirazione per le definizione del particolare stato di diritto definito come di
“quasi possessione”(possessio iuris)
Con la longi temporis prescriptio nacque poi l’usucapione di servitù e usufrutto.
Possessio e superficie: Ai superficiari era inizialemente negata la qualfica di
possessores. Esso emerge evidentemente perché il pretore creo un interdictaa
apposito anche per loro ,de superficiebus,simile all’uti possessionis.In età classica
venne ammesso l’interdictum de vi. Non comportò mai l’acquisto di usucapione.

7 Obbligazioni
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IL concetto
“l’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale siamo astretti dalla necessità
di adempiere a qualche prestazione secondo il nostro ordinamento giuridico.
L’obligatio nasce attraverso un vincolo potenziale,secondo il quale si è dovuti ad un
certo comportamento. Questo comportamento è designato come prestazione. Un
soggetto debitore è dovuto a compiere delle prestazioni verso il soggetto creditore. Il
dovere giuridico del debitore è il debito. Il diritto del creditore è il credito. Il credito è
limitatato ad un entità giuridica limitata,il debitore(i). L’azione che si da all’occorrenza
è un azione in personam. Consiste essa generalmente in un comportamento
positivo:dare fare… Quando si tratta invece di diritti reali solitamente si parla di un
non fare. Il debitore inadempiente incorre in “responsabilità. La responsabilità è la
posizione di chi deve rendere conto,e se non lo fa incorre in sanzione.(Dopo un azione
dichiarativa).
Si è visto quindi che il vincolo della obligatio è un vincolo potenziale,in quanto dipende
in base alla responsabilità del debitore. Il concetto di obbligazione nacque a roma
nell’età arcaica.

La genesi e la storia
L’idea dell’obligatio nacque a roma nell’ambito degli atti leciti. Ma tra le fonti ad
assumere rilevo giuridico per le obligatio furono prima gli atti illeciti.
Gli atti illeciti : Il solo modo inizialmente pensato per punire inizialmente un atto
illecito dai romani fu la vendetta. L’offensore doveva subire una poena,per lo più
corporale, e nei casi più gravi poteva essere anche ucciso. Ad infliggere la pena era
sempre il pater familias dell’offeso. Questo perché l’offensore doveva essere trasferito
di propietà. Fino a qui siamo ancora lontani dall’idea classica della obligatio. Nelle
fonti infatti non c’è riferimento a prestazioni intese come comportamenti dovuti. E’
facile tuttavia che l’offeso se gli veniva offerto denaro in cambio poteva rinunciare di
attuare la vendetta. Si stabilì poi che non pote rifiutare la composizione
pecuniaria(Ovviamente se di giusto valore). Questa somma di denaro veniva chiamata
poena. Il relativo pagamento inizialmente non era considerato dovuto ma solo come
riscatto o onere come sissssssvuoldire.
Gli atti leciti : L’idea dell’obligatio come vincolo iuris nacque negli atti leciti.
Il nexum : Il nexum era un gesto per aes et libram,e quindi con testimoni libripens e
bilancia. Vi si ricorreva in relazione ad un prestito. Il metallo,o poi denaro veniva
utilizzata come merce di scambo o dopo prestito di denaro. Il primo pronunziava
parole solenni e informava alla persona che aveva ricevuto il prestito quale sarebbe
stata la sua condizione fino a che il debito non fosse stato saldato. Diventava nexus.
Formalmente libero ma non servo, tuttavia assoggettato al prestitore fino a che
l’importo non sarebbe stato ripagato. Per la cessazione del nexum serviva la solutio
per aes et libra,ossia letteralmente lo scioglimento del legame tra i due,fortemente
consigliato dai more maiorum. Quello sui nexi era un potere diretto e immediato
simile a quello di debitori insolventi,che come il nexum aveva il suo fondamento nell
ius quiritium. Il nexum dava quindi luogo ad un vincolo attuale e non potenziale come
la classica obbligatio. Una lex poetelia papiria nel 326 a.c. comunque abolì la pratica
del nexum, che spesso gravava sui plebei da parte dei patrizi.

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I praedes e i vades: Figure antiche con la qualifica di garanti. I praedes nella legis
sacramentio in rem assicuravano che la cosa in possesso temporaneo sarebbe poi
stata restituita,i vades garantivano la presenza del convenuto il giorno in cui era stato
rimandato il processo. Essi stessi erano responsabili delle azioni che compiva
l’avversario del creditore in giudizio, e ci si poteva rivolgersi a loro come colpevoli
qualora vi fosse un situazione di inadempimento. Debito e responsabilità facevano
quindi capo a persone diverse.
La sponsio : L’obbligazione classica e più antica è la sponsio,e pare abbia avuto
origine nella sfera religiosa. Riconosciuta al tempo delle 12 tavole, per le quali si
stabili di procede con iudicis arbitrive postulationis. Consisteva in interrogatio e
responsio. Creava quindi un credito e un debito.
La struttura nata dalla sponsio andò ad espandersi ad altri rapporti di antura lecita. Si
parlo al riguardo in ogni caso di obligatio. Il fenomeno poi già in età repubblicana si
confinguro anche per gli atti illeciti,ove si utilizzava la poena come riscatto per evitare
pena corporale al debitore. E’ pertanto naturale che si inizio a parlare di obligatio
anche per atti illeciti. Gaio infatti effettuò una trattazione per utte e due le tipologie.
Si trattava però comunque di fenomeni eterogenei, e per la maggir parte ci si riferisce
ad atti di natura lecita. Venute meno le legis actio,nel processo formulare esisteva lo
stesso un tipo di condanna corporale definita come addictio,resa però molto meno
pesante della manus iniectionis,e si profilò anche un nuovo modo di agire per via
punitiva,ossia la bonurum venditio(esecuzione patrimoniale),così sarebbe stato il
patrimoio ad essere soggetto alla potestà del creditore. All’esecuzione personale si
doveva fre ricorso solo nei convenuti privi di mezzi,.
L’bligatio in queste posizioni divenne sempre più un vincolo sul patrimonio che un
semplice vincolo ptenziale.
1 Nel termine obligatio sono ravvedibili ancora gli echi del nexum “ligatio” e “solutio”
legato e scioglimento infatti.
2 Nell’obbligatio classica debito e responsabilità facevano capo solo al debitore.
Abbiamo visto come ssi possa dividere con praedes e vades, e si pensa che ciò abbia
origine nella sponsio, come evidenziato dai vari frammenti contenenti” Prometti cche
mi sia dato cento?”

Obbligazioni civili e obbligazioni onorarie


Per i vincoli nati dalla sponsio si parlò in sede processuale di oportere, e nel processo
formulare appariva infatti nella intentio. A differenza dei diritti reali si affermava un
obbligo che solo il debitore aveva nei confronti del creditore. L’oportere non era
qualificato ex iure quiritium, e questo ci fa intuire come la propietà sia di persè più
anziana. In ogni caso però esisteva comunque il vincolo di ius civile in riferimento ai
mores e alle leges. Da età preclasscica il pretore concedeva azione in factum,nelle
quali non appariva oportere nell’intentio. Esse operavano nello ius honorarium. Le
obligatio furono inizialmente qualificate come solo in ius in personam,mentre in quelle
honorarie si diceva che la parte obbligata era tenuta in virtù di un azione,actione
teneri. Le obbligationes in età classica furono estese al diritto honorario. Il ricordo
della definizione di obligatio che prima abbiamo visto fa forse riferimento al
“secundum nostra civitate iura” che pe rgiustiniano era l’ordinamento giuridico
presente,mentre probabilmente era un riferimento al ius civile.

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Le obbligazioni naturali
Ad ogni obligatio corrispondeva un actio in personam. Alcune obbligazioni non erano
però tutelate,e vennero definite quindi obbligazioni naturali. Si trattava di obbligazioni
più in punto di fatto che in punto di diritto. Si inizio a discorrere di esse principalmente
per quanto riguarda le obbligazioni compiute da schiavi,filie familias , e donne fatti in
favore a terzi. Non si negò mai al negozio efficacia,sebbene compiuto da alieni
iuris,ma la si defini un obbligazione naturale. Il difetto di azione era il non effetto
dell’obbligazione naturale,l’effetto fondamentale era invece la solutio retentio. Questa
comportava che se il debito fosse stato adempiuto spontaneamente,ne il debitore ne
il suo avente potesa avrebbero potuto pretendere la restituzione di quanto prestato.
Contro di lui non era quindi proponibile l’azione di ripetizione dell’indebito.
Nel corso dell’età classica anche le azioni compiute dal pupillo senza autoritas
vennero definite obbligazioni naturali.

I contenuti della prestazione


Ai romani interessava più il processo che il diritto sostanziale. L’oportere era divisibile
in tre istanze. Dare facere oportere.
Dare,quando si parlava di oportere,solitamente rimandava a situazioni di
trasferimento di propieta e di costituzione di diritti reali. In questi casi bisognava
trasferire la propietà, e quindi il convenuto avrebbe dovuto essere propietario, e
generalmente era necessario che acquistasse anche il possesso della cosa dovuta. Le
formule di oportere con dare avevano intentio certa.
Più ampio era in materia il concetto di facere: riguardava ogni comportamento diverso
dal dare. Poteva trattarsi di attività materiale,sia di un compimento del negozio
giuridico. VI rientrava anche il non facere. L’intentio e la demonstratio erano incerte.
Quidquid ob eam rem dare facere oportet.
Non è chiaro il significato di praestare,ma sembra che facesse riferimento ad ogni tipo
di prestazione,ma si pensa principalmente a situazioni di garanzia.

I requisiti della prestazione


Con riferimento alle obbligazioni di atto lecito per le quali si davano ai privati
possibilità più o meno ampie era necessario stabilirne alcuni limiti.
Il carattere patrimoniale: La prestazione doveva essere suscettibile di una
valutazione in denaro. Non è un principio originario in quanto in passato le
obbligazioni erano spesso a carattere personale. Lo conferma la sponsio per il
matrimonio. Sappiamo però che nel processo formulare la condanna non poteva non
essere espressa in denaro. L’ostacolo di questo tipo poteva essere aggirato attraverso
una stipulatio nella quale si prometteva una poena nel caso la prestazione non fosse
avvenuta entro tempo prestabilito. “mi devi 10000 sesterzi se non ti comporti bene
alla festa”.La pena della stipulatio era convenzionale e decisa prima dell’accordo. Era
perseguibile inoltre dalla actio ex stipulto,reipersecutria e non penale.
L’interesse del creditore: si neccessitava inoltre che il creditore avesse interesse
nel compiere quella determinata obbligazione. Era infatti vietato stipulare contratti a
favore di terzi. Per aggirare l’ostacolo si poteva usare ancora un stipulatio penale. “

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prometti di darmi duecento se entro il terzo anni non dai 100 a sempronio?” Si
invogliava a fare tramite il proprio benessere.
La promessa del fatto altrui: I Classici negarono validità all’assunzione di
responsabilità per comportamento altrui. Quindi non solo erano non validi i contratti a
favore di terzi ma anche invalido era l’assunzione che un terzo dovesse tenere un
determinato comportamento se fuori dalla obbligazione. Anche questo aggirabile con
una stipulazione penale,nella quale stabiliva una somma nel caso le sue aspettative
fossero state frustrate.
Impossibilium nulla obligatio: era nullo il negozio che prevedeva una prestazione
impossibile. Non si faceva riferimento alla impossibilità sopravvenuta ma bensì alla
impossibilità iniziale. Nei iudicia bona fidei si stabili una penale che doveva pagare il
debitore cosciente della impossibilità. Si pensa con actio de dolo o in factum.
Potevano essere materialmente impossibili o giuridicamente impossibili.
Materialmente consegnare un edificio già distrutto giuridicamente trasferire la
propietà di qualcosa che non appartiene.
Era di contro valido il negozio che imponeva al debitore di trasferire cosa non suo.
Erano fatti suoi il recuperare della cosa da altro propietario per poi venderla ,difficile
ma non impossibile.
Liceità: la prestazione chiesta doveva essere lecita,pena la nullità. Non pteva essere
contraria a diritto oggettivo a o a buon costume. Il regime era diverso da quello delle
cause e delle condizioni illecite.
Determinabilità : Le parti dovevano avere cura di sottolineare precisamente in cosa
consisteva la prestazione. Potevano anche fare rinvio ad elementi esterni,come nel
caso di una compravendità passata. Si parlò allora di determinabilità per relationem.
Si poteva anche rimandare la determinazione della prestazione ad un terzo,che però
come idea non piacque molto ai romani e decisero così di istituire la figura
dell’arbitrum bona viri,persona onesta che preocedeva secondo i comuni metri di
valutazione oggettivi. In materia di iudicium bona fidei fu sempre considerato
arbitrium bona viri il terzo . Trovarono applicazione in materia di stipulatio,legati,ius
iurandum liberit. Qualche volta vennero messi in discussione spesso invece erano
accettate le cclausole.
Ab heredis persona obligatio incipere non potest: “Un’obbligazione non può
avere inizio dalla persona dell’erede.” Cio vietava che nascesse dal lato attivo o
passivo una obbligazione direttamente all’erede di una delle due parti. I giuristi
classici però decisero di eludere questo principio permettendo sempre le stipulatio in
punto di morte,propia o dello stipulante. Giustiniano la abolì.

Le obbligazioni indivisibili: Le prestazioni potevano essere divise in


più prestazioni omogenee,mentre alccune no. Si tratta delle prestazioni indivisibili.
Erano quelle di fare facere. Quelle di dare erano sempre divisibili anche quando la
quota non era fungibile. Il propietario avrebbe dovuto alienarne una quota agli altri.
Erano invece indivisibili le obbligazioni di servitù o di usus.(obbligazioni solidali
elettive)

Le obbligazioni alternative : Erano obbligazioni che contenevano


all’interno di esse due o più prestazioni diverse , e l’adimpimento di solo una di queste
avrebbe estinto l’obbligazione. Spesso a sciegliere era il debitore ma poteva capitare
che potesse essere il creditore. Quando il creditore scieglieva la prestazione avveniva

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il fenomeno di concentrazione e ritornava ad essere una semplice obbligazione. Se


una diventava impossibile,si aveva concentrazione. Se l’impossibilità di una delle
opzioni diveniva nulla per colpa del debitore egli avrebbe dovuto pagarne l’aestimatio.

Le obbligazioni generiche
La prestazione può avere come oggetto sia cose individuabili in un genus che in una
specie. Erano solitamente generiche le obbligazione con alla base cose fungibili.
Bisognava sempre restituire l’ecquivalente,in termini di quantità e di qualità.
Nascevano generalmetne da stipulatio e legato per damnationem. Bisognava indicare
l’oggetto della prestazione con necessaria precisione. Si dicevano nulli i negozi nei
quali si doveva “Un servo” In quanto indeterminati. Si poteva però supplire in via di
interpretazione della volontà. Quando si faceva riferimento a singole cose
appartenenti ad un genus solitamente si faceva sciegliere il debitore,ma era possibile
che fosse ancche il creditore a sciegliere. In ogni caso si avrebbe dovuto prendere la
cosa di valore medio,ne la migliore ne la peggiore. Il genus non perit,deve essere
ampio.

Inadempimento e responsabilità.Impossibilità
sopravvenuta della prestazione imputabile al debitore.
Il creditore ha diritto alla prestazione. Se non adempiuta il debitore incorre in
responsabilità. L’inadempimento poteva generarsi anche da impossibiltà
sopravvenuta,la più comune il perimento. Ltro è che divenga difficoltoso. Quando il
genus è ampio poi è difficile che venga tutto a perire. L’impossibilità sopravvenuta per
causa del debitore dava luogo a responasabilità. In quali circostanze però? I criteri non
furono mai rigorosi e furono per la maggiore dedotti dall’interpretazione della
giurisprudenza. Nelle azioni in ius il debitore(di stretto diritto) era responsabile per i
comportamenti positivi che hanno portato all’impossibilità di una determinata
prestazione. In origine non era responsabile per omissioni. In determinati casi il
debitore teneva in custodia qualcosa chedoveva restituire. In questi casi le
conseguenze erano molto severe. Era liberato solo se la cosa periva per cause naturali
o di forza maggiore.
Il depositario invece rispondeva non per custodia ma solo per dolo, perché non era a
vantaggio suo che teneva li la cosa. Non si parlava di inganno con dolo ma di azioni
volontarie. Nei iudicia bona fidei si concesse di adeguarsi in base alla situa. Poteva
limitarsi al dolo anche nella custodia in quel caso.
Si inizia a parlare di colpa nella legge acquilia,che corripsonde ad un comportamento
negligente o imprudente. Si utilizzo come metro di responsabilità per esempio nel
actio rei uxoriae.
Si distinse poi tra culpa lata,quella più grave, che fu equiparata al dolo,e culpa levis
consistente nel non adoperare la giusta diligenze dell’uomo medio. Definita anche
culpa abstracta. Venne definita culpa in concreto quella di chi non curava le cose di
altri come le sue. Ai criteri di inadempimento di poteva sfuggire con patto contrario e
consensuale. Si ritenne però nullo il patto che esonerasse il debitore anche per il dolo.
(contro mores)
Il periculum: Per periculum si intende in generale il rischio dipendente di un evento
pregiudizievole per taluno e non imputabili ne allo stesso ne ad altri. Se si trattava di
perimento la regola fosse che la perdita patrimoniale fosse a carico del propietario. In

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materia di obbligazioni era il rischio dell’impossibilità della prestazione per cause di


forza maggiore. Era solitamente del creditore.
La perpetuatio obligationis: L’inadempimento imputabile al debitore portava sua
responssabilità e pertanto il creditore l’avrebbe portato con se in giudizio e giudicato
in merito all’obligatio iudicati. Egli però in sostanza non poteva più perseguire
l’obbligazione perché diventata impossibile,ma ne perseguiva l’aestimatio. Non
sarebbe stato neanche necessario nel processo formulare perché la condanna era
sempre pecuniaria. Però come si poteva tenere responsabile un debitore della
restituzioni di una cosa se era perita? Qui intervenivano i veteres ocn l’istituizone delle
perpetuatio obligationis, rendendo l’obbligazione perseguibile come se la res non
fosse perita grazie ad una fictio. Questo sitema venne a far parte del ius civile. Era
applicabile anche nei casi di deterioramento.

La mora
Il ritardo nell’adempimento della prestazione dava origina a mora. Il ritardo poteva
essere imputabile sia al creditore sia al debitore.
La mora del debitore: Il debitore cadeva in mora quando senza giustificazioni non
adempiva il proprio debito .
Il debitore solitmente cadeva in mora nel momento dell’interpellatio,ossia quando era
chiamato dal debitore per adempiere alla prestazione. Essa però sarebbe stata
superflua in due casi a)Quando il negozio era con termine iniziale b)quando si trattava
di obbligazione con atto illecito. Il ladro cadeva in mora sin dal momento del furto.
La posizione in mora del debitore era la più grave perché egli era responsabile del
perimento o deterioramento della cosa dovuta,comunque dell’impossibilità della
prestazione,qualunque fosse stata la causa. Il periculum sarebbe stato sempre al
carico del debitore moroso. Anche qui si usava la perpetuatio obbligaitonis. Poteva
essere liberato solo se avesse provato che seppur avesse eseguito tempestivamente
l’azione la cosa sarebbe perita ugualmente. Il moroso deve comunque sempre
rispondere di tutti i frutti dal momento della caduta in mora. Le conseguenze della
mora si estinguevano quando il debitore accettava di effettuare la prestazione. Il
creditore non poteva rifiutarsi,sarebbe altrimenti caduto in mora egli stesso.
La mora del creditore: Il creditore cadeva in mora quando rifiutava la prestazione
del debitore. In questo caso la situazione del debitore migliorava,ma il creditore non
incorreva in responsabilità. Se la cosa periva sotto la giurisdizione del debitore non si
sarebbe potuti andare oltre il dolo ed era liberato ipso iure o exceptio. E dal momento
in cui una cosa in genus veniva messe in specie in luogo pubblico il debitore smetteva
di pagare interessi e frutti sulla cosa.

Le fonti delle obbligazioni


Per definire le fonti delle obbligazioni si usa spesso il concetto di causa. Le cause
erano tipiche come le loro azioni. I giuristi romani pensarono due categorie originarie,i
contractus e i delicta. Atti leciti i primi illeciti i secondi. I contratti sono ogni atto lecito
fonte di obbligazioni,ma non solo, è necessario che in essi avvegna un accordo tra
parti definito come conventio, secondo il quale si definivano le prestazioni. Dovevano
essere almeno quindi bilaterali. Gaio però studiando scoprì che alcuni contratti come
la ssolutio retento,ossia la restituzione del superfluo da parte del creditore non era in
se passibile di conventio. Inventò allora una terza categoria definita come varie

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causarum figurae,che raggruppava tutte le cause diverse da quelle del cotratto.


(negotiorum gestio,legato e tutela) Giustiniano applico una ulterio re divisione
suddividendole in quattro . Contratto, quasi contratto(Atti leciti senza conventio,le
stesse di gaio con in più la coeredità) i delicta e i quasi delicta,atti illeciti meno gravi
avvenuti senza il dolo di una delle parti. Questa divisione venne portata avanti fino al
codice napoleonico ma venne poi abolito nel 1942 per ritornare nel nostro codice
civile italiano alla tripartizione di gaio.

I contratti
Si intendono per i contratti i negozi giuridici almeno bilaterali produttivi di obbligazioni
concordate dalle parti. I contratti erano tipici,cosi come lo erano i negozi giuridici del
diritto romano. Ognuno era sanzionato da specifiche actiones. LA tipicità venne però
nel tempo temperata per esempio con l’utilizzo della stipulatio,tipica ma in relazione
alla forma e non ai contenuti che potevano essere eterogenei. In età classica inoltre si
diede efficacia ai contratti sanzionati da buona fede. Furono inoltre riconosciuti i
cosiddetti contratti innominati. Dall’età postclassica il carico diventò ancora più
sottile,ove la stipulatio era solo ormai una convenzione. I contratti non solo erano i
negozi giuridici con effetti obbligatori,ma che essi erano fonte soltanto di obbligazioni.
Mancipatio eccetera non erano contratti in quanto fonti di effeti reali. All’inizio quindi
erano solo contratti quelli di ius civile,gli unici che potevano effettivamente dare
obligationes. Venne poi estesa allo ius honorarium.
Si suddividono poi per quanto riguarda gli effetti in contratti bilaterali e unilaterali.
Unilaterali quelli i cui effetti ricadono solo su una delle parti,come stipulatio e mutuo.
Bilaterali imperfetti erano ad esempio deposito e comodato, che potevano essere
bilaterali ma ssolo nel caso di risarcimenti dovuti a rimborso spese e risarcimenti.
Dai contratti bilaterali come compravendita e locazione nascevano sempre effetti per
entrambe le parti. Il carattere bilaterale lo si capisce già dai nomi “emptio
venditio””Locatio conductio” . Erano negozi sanzionati da iudicia bona fidei,e
l’interpretazione agiva non si avrebbe potuto pretendere l’adempimento dell’altra
parte se a sua volta non si è adempiuto.
Una menzione è necessaria per la societas,contratto plurilaterale e negozio
plurilaterale. Vi erano più manifestazioni di volontà e più obbligazioni. Le obbligazioni
assunte da ciascuna delle parti cospiravano tutte al medesimo fine sociale.
Altra FONDAMENTALE classificazione derivata dalle fonti romane e da gaio e la
distinzione tra il tipo di contratti,reali,consensuali ,scritti, verbali.
Nei contratti consensuali bastava ed era sufficiente che venisse manifestato il
consenso. Vi rientravano la compravendita,la locazione la società e il mandato.
Peculiari è che finchè non ne fosse avvenuta l’esecuzione essi si scioglievano per
mutuo dissenso.(ovviamente se ci pensiamo)
Nei contratti reali,re, gli effetti obbligatori si producevano con la consegna della cosa.
Il consenso ovviamente non poteva mancare ma non era sufficiente. Consegna e
contesto erano contestuali, e spesso la consegna stessa era la manifestazione del
consenso. La consegna talvolta risultava in una traditio,in altre parole una datio. Era
questo il caso del mutuo. Altre volte la traditio si traduceva solamente in un passaggio
di possesso. Era questo il caso del pegno e del deposito in sequestre. Altre volte non

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veniva trasferito nemmeno il possesso,ed era questo il caso della detenzione e del
deposito semplice.
Contratto verbale era soprattutto la stipulatio,mentre i contratti letterali erano i
nomina transcriptia. In essi l’obbligazione nasceva verbis o litteris,ossia attraverso
certa verba nella stipulatio o attraverso la registrazione per iscritto nei nomina
trasncriptia. Il consenso non era sufficiente,bisognava accompagnarvi verba o
scriptura.
Un caso a se erano i contratti innominati,da accostare per certi riguardi ai contratti
reali, Il consenso anche qui non era sufficiente e l’obbligazione trovava espressione
nel dare o feacere di una delle parti.

I contratti reali :il mutuo


Il mutuo delle fonti giuridiche romane può essere definito come un contratto reale
unilaterale,per cui una parte, detta mutuante consegna al mutuario una somma di
denaro o di altre cose fungibili. Il mutuatario avrebbe dovuto restituirle dello stesso
genere attraverso la traditio e quindi il traferimento della propietà.
Il rapporto si costituiva con la datio ad opera del mutuante. L’obbligazione era a carico
solo del mutuatario. Si trattava di negozio causale, e il mutuatario acquisiva proprio la
propietà di cio che gli era dato in mutuo. LA sorte non interessava in quanto erano
cose fungibili. Era necessario restituire l’ecquivalente. Ne conseguiva che il debito non
veniva meno neppure se le cose a carico del mutuatario perissero o si deteriorassero.
Ne era divenuto propietario,e quindi era tutto a suo carico. Per la restituzione si
stabiliva un termine. La configurazione del mutuo deve risalire ad età preclassica,ove
la lex silia stabilì che in processo per i crediti di certa pecunia di usasse la legis actio
per conditionem. Nel formulare poi la conditio. (Si poteva comunque usare la
stipulatio,ed era spesso usata anche quando la figura del mutuo è stata riconosciuta.
Prima si poteva ricorrere solo a quella e al nexum)
La condictio era un’azione per la ripetizione del dato ed era quindi impiegata anche
per la persecuzione dei crediti da mutuo. Nel mutuo era detta actio certa pecunie,o se
oggetto di altre cose fruibili conditio triticaria. Era una azione di stretto diritto in
personam in ius. Era riconosciuta dal ius civile,ma dal fatto che potevano utilizzarla
anche i peregrini venne definita ius gentium. La cosa restituita doveva essere la
stessa di quella della datio. Il debitore non era tenuto al pagamento di interessi, e
perciò il contratto di persè era gratuito. Non avrebbe avuto effetto una semplice
pattuizione di interessi in quanto i patti nei negozi di stretti diritto erano tutelabili solo
tramite exceptio,mentre al creditore sarebbe servita una azione. Il problema si risolse
effettuando una particolare stipulatio definita usuraruum,ove si faceva promettere al
mutuatario il pagamento di interessi. Vennero poi imposti limiti a questi interessi,che
arrivavano fino al 110% annuo ai tempi delle dodici tavole. (fenus unciarum) Un
senato consulto ne abbasso il limite al 12% annuo mentre giustiniano sotto pressione
cristiane lo abbasso al 6%.
Vi era inoltre una particolare tipologia di mutuo definito fenus nauticum che si
applicava ai prestiti marittimi. Riguardavano somme di denaro date in prestito
oltremare con interessi molto elevati,ben al di sopra di quanto permesso dalla legge.
Ciò perché se il denaro moriva in viaggio il rischio del perimento era del mutuante,e il
mutuatario ne era invece liberato.

I contratti reali:il deposito


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Il deposito è contratto bilaterale imperfetto ,per cui una parte il deponenete consegna
al depositario una o più cose mobili e chiede che qeuste vengano custodite
gratutitametne. Il diritto romano non conosceva alcun rimedio per queste situazioni
sino a che il pretore non concesse un’actio depositi in factum contro il depositario
infedele. Nella misura del doppio se il deposito era fatto in situazioni di emergenza,nel
simplum negli altri casi. Quando in duplum l’azione era certamente penale. Lo era
anche in simplum però,perché pare che si volesse punire il comportamento. In età
classica il pretore stabiliì anche un actio depositi in ius ex fide bona, ma di natura
reipersecutoria,rivolta alla riconsegna della cosa in custiodia. L’actio deposito in
factum perse quindi utilizzo e valore reale(non nei casi del duplum). Il pretore nello
stesso periodo emano anche un azione non diretta ma contraria che poteva esercitare
il depositario per richiedere il rimborso di eventuali spese per il mantenimetno della
cosa. Solo l’actio diretta era infamante. L’actio depositi in ius era si istituto dell ius
civile ma utilizzabile anche dai peregrini.
Il depositario doveva custodire la cosa. Acquisiva solo la detenzione con la consegna,e
non poteva usarla,avvrebbe altresì commesso furto. LA restituzione riguardava la
stessa cosa ricevuta in deposito. Se la cosa periva o si deteriorava per colpa
imputabile al depositario si poteva agire per actio depositi. La sua responsabilità era
limitata al dolo, in quanto il depositario non traeva alcun vantaggio dal contratto. Nel
diritto giustinianeo venne equiparato alla culpa lata(dolo si parla).
La restituzione doveva essere esaudita su semplice richiesta. Il depositario poteva
restituirla a un terzo dietro patto . Il deponente doveva rimborsare le spese al
depositario. Se non pagati egli avrebbe potuto anche apporre exceptio doli, e se non
restituiti in quell’istanza egli avrebbe mantenuto il possesso della cosa.
Il sequestro o deposito in sequestre: Speciale tipo di deposito era il sequestro o
deposito in sequestre,legato a esigenze giudiziare. Si concedeva ad un terzo quando
due compropietari litigavano per il singolo possesso. Il depositario sequestre era poi
tenuto a restituire la cosa al vincitore della lite. Anziché la sempllice detenzione egli
acquisiva il possesso ad interdicta,sicchè sarebbe stato lui a ricorrere alla tutela
interdittale. Per la restituzione si poteva ricorrere ad una speciale actio sequestraria.
Il deposito irregolare: Nulla vietava di depositare cose fungibili, e tuttavia
esattamente individuate nella species(Sacchi di denaro frumento ettc.c……) il
depositario doveva restituire le medesime cose. In alcune situazione come il deposito
di monete il propietario avrebbe potuto poi mischiarle con le sue e spenderle, ma
avrebbe dovuto dirdare il tantum una volta richiesto. Si parlo di deposito
irregolare,che corrisponde al nostro deposito bancario. Un negozio del genere sembra
non centrare molto col deposito ma è definito tale per ragioni di praticità giuridica.
Essendo il deposito sanzionato dai iudicia bona fidei erano possibili patti condizioni,
tra cui il patto di interessi. Era il deponente a volere che i suoi soldi venissero
conservati.

Comodato contratto reale


Il comodato come il deposito è definito contratto reale bilaterale imperfetto. Il
comodante affidava al comodatario una o più cose mobili. Esso aveva l’impegno di
restituire le stesse cose. Era un prestito d’uso gratuito. Era come il deposito privo di
protenzione nel diritto più antico, e venne istituita una zione diretta dapprima in
factum actio commodati in factum(Simplum) alla quale poi si affianco quella ex fide
bona in ius. Erano esperibili per la restituzione della cosa. Venne istiuita anche un

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azioni contraria iudicium contrarium commodati per spese e danni. Così come gli
spettavano compensatio e retentio. Della cosa il comodatario acquistava la semplice
detenzione e dei particoalri usi che era autorizzato a fare ne avevvano discusso in
precedenza. Se veniva fatto altro uso si trattava di furto. In caso di perimento e
deterioramento il comodatario rispondeva per custiodia. Il regime a riguardo era
particolarmente rigoroso in quanto si agiva per interesse solo del comodatario. Nel
post classico se ne oscurarono gli effetti rispetto ad altre pratiche.

I contratti reali il pegno


Nel pegno si installava un rapporto particolare: Quello che era di solito il debitore
diveniva anche creditore dando in pegno una res al creditore che in garanzia diveniva
però debitore della res pignorata(a meno di inadempienza). Qui parliamo
principalmente di datio pignoris. E’ un contratto reale perché si realizza con la
consegna della cosa. Il creditore pignoratizio non poteva utilizzarla ma otteneva il
possessio ad interdicta.IL possesso ad usucapionem rimaneva al propietario del
pegno. Esisteva la classica azione in factum del pretore actio pignieraticia che
permettava all’oppignorante di ricevere Per eventuali spese da parte del creditore
pignoratizio esisteva ancora un iudicim contraria pignoraticia. Poteva anche opporre
exceptio doli e poter ottenere i possesso in assenza di pagamento rimborsi. Non
sembra vi si sia affiancata al classica azione in ius.(perché l’obbligo era solo
eventuale) Contratto reale bilaterale imperfetto. Grado sia culpa sia custodia. Era nei
giudizi di buona fede.

La fiducia
Prima di comodato e pegno in quel tipo di negozi si usava la fiducia. Il fiduciante
trasferiva al fiduciario mediante mancipatio o in iure cessio res mancipi col patto che
verificate certe condizioni il fiduciario ritrasferisse la propietà al fiduciante. Questo era
il pactum fiduciae. Come e quando dovesse tornare dipende dalla causa negoziale. Si
trattava perciò di un negozio fiduciario, in cui di solito insieme si cercava di
raggiungere uno scopo.
La fiducia poteva essere cum creditore o cum amico. Cum creditore si asssisteva al
passaggio di propietà per motivi di garanzia del credito al fiduciario.(pegno) Nella
fiducia cum amico la cosa poteva essere data per ragioni di custodia(deposito) e
prestito d’uso(comodato). Il fiduciario avrebbe dovuto ritrasferire dietro semplice
richiesta.
Sappiamo che a mancipatio e a in iure cessio poteva non far seguito la consegna della
cosa. Per cui anche mancipante e cedente fiduciae avrebbero potuto mantere il
possesso. Avrebbero poi riaquistato la propietà poi col tempo per usureceptio,uno
speciale usucapione,che si compiva sempre entro un anno senza iusta causa. Poteva
però essere evitata,se per esempio cum creditore il fiduciario lasciava si la cosa
presso l’altra parte ma in titolo di locazione o precario,così sarebbe manca l’uti
possessiones utile per l’usureceptio.
Come era tutelato il fiduciante non possessore al termine dell’accordo? Non si
utlizzavano legis actio ma la fides, qualità molto importante a Roma,quindi solida
garanzia. Col processo formulare si ricorreva a actio fiduciae,per il riacquisto di
propieta e possesso. L’azione era in personam reipersecutoria e infamante.
Ricolleghiamo l’actio fiduciae ai bona fidei. Lo stesso fiduciario d’altronde avrebbe
potuto far valere con exceptio doli e con conseguente retentio propie pretese pre

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spese al mantemimento. E dall’età classica fare riferimento all’actio fiduciae contraria.


Cum creditore,quando lasciava il possesso poi poteva sempre intervenire con
rivendica per reclamare la cosa ormai sua. Il possessore avrebbe potuto invece fare
riferimenti agli interdetti . Anche qui era applicato il ius vendendi e il superfluum
veniva dato al debitore.Il processo per fiducia fu utilizzato fino a quando non furono
vietate in iure cessio e mancipatio. La fiducia era atto lecito,negozio giuridico
bilaterlae e fonte di obbligazioni. Quindi si parla di contratto. Forse reale boh.

I contratti verbali. La stipulatio


Conosciamo già la sua struttura essenziale,di interrogazione e medesima risposta, e il
suo prototipo fu la sponsio. Era molto utilizzata per il carattere astratto e molto agile e
riconobbe diverse applicazioni. Fu lo strumento per la novazione e le garanzie
personali. L’ampia applicabilità dipendevano dal fatto che la sua tipicità stava nella
forma ma non nei contenuti. Era un negozio giuridico bilaterale,e per cui non bastava
il consenso espresso , ma doveva essere messo tramite verbis.(sponder? Spondeo).
LA stipulatio a differenza della sponsio era si di ius civile ma fruibile anche dai
peregrini. La stipulatio produceva i suoi effetti solo quando le formalità orali erano
compiute. Fu solo dopo che la stipulatio venne considerata nulla in assenza di
consenso. Come negozio era bilaterale,ma come contratto era unilaterale.
L’obbligazione era solo per il promittente. Era inoltre negozio astratto.
Necessitava la compresenza delle parti. La risposta poi doveva arrivare in tempo
ragionevolmente breve. Poteva essere formulata in modo che lo stipulante
pretendesse che l’altra parte promettesse di adempiere a lui o ad un terzo. In questa
maniera il terzo non diventava creditore ma era aggiunto ai fini dell’adempimento.
Diversa era la posizione dell’adstipulator.Questi era un secondo stipulante che si
affiancava al primo per sua richiesta e chiedeva anche lui le stesse cose al promissor.
Si utilizzava per il principio ab heredis persona obligatio incipere non
potest,eludendolo con una seconda stipulatio dell’adstipulator,che avrebbe poi
versato agli eredi quanto percepito. Era utilizzabile principalmente così perché il
promittente era liberato con una solutio soltanto. Scomparve in età classica insieme al
principio che tentava di aggirare.
Esisteva anche un adpromissor,che prometteva una seconda volta le stesse cose dopo
il primo promettente. Aveva funzione di garanzia,e si parlò di satisdatio.
Contro il debitore inadempiente si dava l’actio ex stipulatu. In ius e di stretto diritto.
Era concepita diversamente in base a situazioni di dare o di facere. Nel caso del dare
era la formula della conditio. Nell’altra ipotesi la formulare era con demonstratio e
intentio incerta.
La stipulatio era atto orale,ma nei casi più complessi veniva messa per iscritto
dapprima solo a scopi probatori. Durante il periodo postclassico l’uso dello scritto si
diffuse maggiormente e si fini per riconoscere piena validità al documento.
L’imperatore leone stabili pure che si poteva fare con qualsivoglia
verba,avviccinandola quindi ai pacta. Fu giustiniano a riportare la stipulatio alla
formalità passata,comunque accettando l’esistenza di documenti a lei collegati.
Dotis dictio e promissio iurata liberti: A differenze della stipulatio in queste
obbligazioni orali era solo un soggetto a parlare,quello che si obbligava. Furono definiti
contratti unilaterlali.

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I contratti letterali. I nomina transcrpitia.


Essi traggono origine da nomen(credito) che faceva riferimetno all’operazione che
eseguiva il pater familias sul libro della contabilità domestica il codex accepti et
expensi ove registrava entrate ed uscite.
Nel parlare di nomina in transcriptia si distingue tra transcriptio a re in personam o a
personam in personam.
La prima consisteva nel pater familias già creditore di una somma di denaro,e
d’accordo col debitore registrava nel codex accepti quanto gli era dovuto. Registrava
nel codex expensi la stessa somma come se l’avesse data a mutuo. Si creava così un
obbligatio letteris.
Nella trascriptio a personam in personam il pater familias avendone avuto delega dal
debitore o da terzi, segnava nel codex accepti la somma come se l’avesse incassata, e
nel codex expensi la stessa somma come se data a mutuo al terzo. Si estingueva così
il credito verso l’uno e nasceva l’obbligazione a carico dell’altro. Aveva luogo una
sorta di novazione. Erano in ogni caso fittizie,non si muoveva denaro.
Le parti dovevano essere d’accordo ma poteva costituirsi tra assenti. Era pensabile
che i debitori scrivessero sul proprio codex azioni simmetriche a quelle del paterl..
Al creditore si davaa la condictio. Ecco quindi che dalla scrittura nascevano
obbligazioni.Litteris. Il contratto era unilaterale. Vennero sostituiti dalla stipulatio.
Tra i contratti letterlai si nominano chyrographae e syngraphae nelle quali si
riconoscevano debiti e prestazioni.

I contratti consensuali: la compravendita


Nel diritto romano più antico per la vendita si parlava di mancipatio. Si dava in cambio
della propietà di una cosa un corrispettivo in metallo. Con l’avvento della moneta
essa diventò però un imaginaria venditio,necessaria solo al trasferimento della
propietà ex iure quiritium.
Dalla prima età classica si diede riconoscimento e tutela all’accordo liberalalmente
espresso tra due individui di scambiarsi una cosa con il suo prezzo. LA compravendita
si compiva col solo accordo,il trasferimento degli oggetti avveniva solo in virtù di atto
esecurtivo.
L’accordo fu obbligatiorio, e il venditore doveva garantire il pacifico utilizzo della cosa.
La comprevendita era quindi un contratto consensu bilaterale,iuris gentium. Era
sanzionato da actiones in ius exfide bona. L’actio empti per il compratore e l’actio
venditi per il venditore.
Il consenso: La compravendita non era formale e poteva essere manifestata
liberamente. Pure per nuntius o litteras. Poteva essere manifestata oralmente o per
iscritto(Propietà immobiliari)
L’oggetto: Il termine tecnico per individuare l’oggeto in vendita era merx. Potevano
essere res di ogni tipo. Si poteva pure vendere l’eredità.(Singoli cespiti di un’eredità
già esistente). Si potevano vendere servitù(concederle al propietario vicino) o
usufrutto(Concedere un usufrutto ocederne uno giàà attivo).

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La vendita poteva pure avere oggetto cose future. Emptio rei speratae era una
vendita con condizione sospensiva. La vendita avrebbe prodotto i suoi effetti solo se le
cose fossero venute ad esistenza. Il prezzo lo si sarebbe stabilito al momento in base
alla quantità, ad esempio dei frutti. Emptio spei invece consisteva nella vendita di una
cosa sperata, che se non avveniva prevedeva comunque il pagamento. (Il pescatore
che vende forfetiamente la pesca del giorno)
Era nulla la vendita di res extra commercium per la impossibilum nulla obligatio. Si
ammise la validità dell’emptia venditio di uno uomo libero come schiavo, se il
compratore non era a conoscenza infatti poteva poi rivalersi con actio empti.
Il prezzo: Il prezzo doveva sempre essere espresso in denaro per evitare confusione
con la cosa(Ci provavano i sabiniani). La misura del prezzo era concordata tra le parti
in modo certo. Il prezzo doveva anche essere giusto da quando Diocleziano stabili che
era nulla la vendita di qualcosa venduto a meno della metà del suo reale valore. Si
poteva evitare la rescissione pagando la differenza.
L’obbligazione del compratore: Il compratore era tenuto a versare il giusto
quantitavo di denaro stabilito prima nel consenso della vendita con traditio. Esso era
altrimenti passibile di interessi stabiliti ex fide bona dal giudice.
Le obbligazioni del venditore.Habere licere :Il venditore era tenuto a fare godere
pacifico godimento al compratore. Il venditore era quindi obbligato a fare traditio della
cosa venduto. Esso poteva anche trasferire la propietà con mancipatio ma non vi era
tenuto. Spessissimo lo faceva, ma probabilmente non vi era tenuto in quanto la
compravendita negozio iuris gentium vi avevano accesso i peregrini esclusi dallo ius
quiritium.
Se il venditore ritardava a consegnare la merce e nel frattempo essa periva,egli
rispondeva per custiodia. IL periculum invece era stanamente carico del
compratore,quindi contro il principio di interdipendenza delle prestazioni,nel quale egli
sarebbe stato liberato. Si pensava che si agisse così in quanto la cosa era nel suo
patrimonio.
L’evinzione : Poteva accadere che il venditore non trasferisse la propietà perché a
sua volta non propietario. In questo caso,il compratore col tempo avrebbe acquistato
la propietà usucapione. Se però prima di quel momento avveniva rivendica dal
propietario allora si verificava evinzione: era il venditore a risponderne. Egli era
comunque responsabile perché agiva con dolo.
Fuori da queste circostanze il venditore rispondeva si per evinzione ma non per
dipendenza della compravendita. Il venditore di res mancipi non suo che compiesse
mancipatio ad un compratore era costretto poi ad assisterlo in sede di rivendica per vi
a dell’autoritas. Essa era simile all’usucapione per un semplice motivo, Esso si
compiva in uno o due anni. Nei confronti dei cives l’autoritas sarebbe stata senza
limiti di tempo.
Se il venditore non interveniva si dava al compratore l’actio autoritatis per il doppio
del prezzo. Qui si rivede l’originario carattere penale. Si decise così di avere garanzie
contro l’evinzione e una di queste era stipulatio dupluae. Il venditore prometteva il
doppio del valore della cosa venduta in caso di evinzione. Divenne poi essa obbligo
originario inserito all’interno della compravendita.
Vizi occulti: Anche in ordine ai vizi occulti ,ossia difetti nascosti dal venditore la
vendità in se non dava alcuna responsabili. Si diede però l’actio empti contro il

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venditore in dolo,ossi a quello che per ottenere vantaggi aveva taciuto sui difetti della
cosa. Solitamente era l’actio ex stipulato ad incastrarlo in quanto esso certificava le
qualità e i vizi di una cosa con stipulatio.
Deve essere richiamata anche l’actio de modo agri. Questa presupponeva che dopo la
mancipatio il dans dovesse precisare l’estensione del fondo. Se mminore di quella
dichiarata si agiva per actio modo agri.
Un ruolo fondamentale nella materia dei vizi fu quello degli edili curuli. Essi
esercitavano vigilanza sui vari maercati e avevano ius edicendi,potevano quindi
producere editto. Specialmente per la compravendita. Essi fecero obbligo di dichiarare
i vizi che affliggevan ole merci,per esempio il comportamento di uno schiavo. Contro il
venditore truffaldino entro 6 mesi si dava l’actio rehidibitoria per la restituzione,entro
un anno l’actio aestimatoria,che faceva recuperare il valore minore dello schiavo o
dell’animale.
Patti aggiunti: Al regime tipico di ogni cotratto si poteva derogare medianti patti
aggiunti. In materia di compravendita principalmente. I patti aggiunti ai negozi
davano luogo a iudicia bona fidei.
I principali patti aggiunti alla compravendita erano
Patto commissorio e l’in diem addictio: Erano a favore del venditore,prevedevano di
considerare la vendita come non avvenuta se il compratore non pagava entro il
temrmine stabilito, oppure se nel termine ssi riceveva migliore offerta,
Il pactum displicentae era a favore del venditore che se entro il termine non
apprezzava la merce poteva restituirla. All’inizio era considerati alla stregua di
condizioni sospensive, da età classi divennero invece normalità ed era più comune
incontrarne.

I contratti consensuali:La locazione


Per locare in rem si intendeva collocare temporaneamente una cosa presso altri e
lasciarla a loro disposizione,conducere rem si intese portare la cosa con se e prenderla
in consegna in ogni caso con l’impegno della restituzione. Oggi alcuni di questi
contratti si parla di affitto per quanto riguarda i fondi rustici,per altri si discute di
appalto. Dal trasporto di cose all’affidamento di indumento ad un lavandaio o ad un
gioelliere l’anello. Tutte queste azioni erano tutelate giuridicamente da azioni locati e
conducti. LA locazione fu presto qualificata come contractus,e dai classici considerati
tra i contratti che si realizzavano col semplice consenso manifestato. Nascevano
obbligazione per tutte e due le parti. Era un contratto consensuale e bilaterale per cui
con l’esplicita previsio di un corrrispettivo definito mercede,il locatore si impegnava a
mettere in disposizione la cosa al locatario per tempo limitato e con scopo preciso. Le
obbligazioni erano ius e fide bona. Furono ammessi anche i peregrini,per cui parliamo
di un contratto ius gentium.
La locazione tuttavia non era unitaria sotto diversi aspetti,basti pensare che a volte la
mercede doveva pagarla il locatore talvolta il locatario. Comunque si cercò di dare un
interpretazione tipica oggi riscontrata secondo tre diverse tipologie di locazione.
Locatio rei: Fa riferimento alla locazione di cose,mobili e immobili con l’intenzione
che il locatario utilizasse la cosa locata ed eventualmente che ne percepisse i frutti.
Corrisponde alla nostra locazione e al nostro affitto. Si parla di inquilini se si parla di
immobili urbani e di coloni se rustici. Era dovere del locatore consegnare la cosa

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esente da vizi e garantirne il pacifico godimento. Dal canto suo però il conduttore non
aquisiva il possesso della res locata ma soltanto la detenzione. Doveva pagare la
mercede alle scadenze stabilite e restituirla alla scadenza Il conduttore rispondeva per
custodia ad eventuali danni per cui era imputabile,mentre il locatore rispondeva per
mancato godimento della cosa e dell’eventuale periculum in quanto il conduttore era
liberato dall’obbligazione di pagare la mercede.
Locatio operis: In queste istanze il locatore si obbligava al consegnare al conduttore
una cosa, e dall’altro il conduttore si obbligava in ordine alla stessa cosa il
raggiungimento di un risultato su di essa. La mercede pertanto doveva darla il
locatore. Vi rientravano il trasporto,la custodia,il lavandaio,la locazione dello schiavo
per istruzione etc.. Vi rientravano pure fattispecie diverse definite opus locare. Il
conduttore in esse assumeva l’impegno di trasformare la cosa in qualcosa di diverso o
migliorarla(orefice anello). Corrisponde al nostro contratto di appalto. Della res locata
il detentore acquisiva la detenzione,ed era responsabile di custiodia, come della
cattiva esecuzione dell’opera definita come imperitia della quale doveva rispondere.
Era invece liberato da casi fortuiti o di forza maggiore. IL periculum in quei casi era a
carico del locatore,che comunque doveva pagare la mercede.
Un regime speciale speciale si stabilì per le locatio operis di trasporto marittimo. Se
per difficoltà di navigazione bisognava liberare la nave di alcune merci,il rischio
teoricamente stava interamente al locatore. Una lex Rhoda stabili però che il rischio in
quei casi sarebbe stato diviso proporzionalmente tra tutti i locatori che avevano merci
su quella imbarcazione. Questo era un precetto che si rifaceva ai bona fides e si
realizzava ccon una prima actio locati del locatario verso il conduttore,che poi con un
actio conducti si rivaleva del necessario per ripagare la merce grazie all’intervento di
tutti gli altri locatori.
Locatio operarum: Con la locatio operarum un uomo libero assumeva l’impegno di
mettere le propie operae alla disponibilità di un'altra persona,il quale si obbligava a
pagare una mercede. Il lavoratore era il locatore,il conduttore il datore di lavoro.
Avrebbe dovuto pagare le mercede anche nei casi in cui le opere non potessero essere
prestate per cause di forza maggiore. Corrisponde al nostro contratto di lavoro
subordinato. Giova ricordare che fino all’età classica i lavoratori liberi erano pochi e
mal visti,solitamente si ricorreva alla forza lavoro degli schiavi. Alcune attività
lavorative definite artes liberales erano invece tenute in gran considerazione come gli
avvocati o gli agromensori.
La locazione da età postclassica: Il regime sempre grazie al tipico intorbidamento
divenne meno chiaro. Tutti i lavoratori furono praticamente cconsiderati coloni. Inoltre
molti dei precedenti contratti che per definizione in età classica dovevano essere a
titolo gratuito acquisivano in quest’epoca retribuzione,rendendo molto confusionaria
la distinzione. Giustiniano poi ristabili la classicità.

I contratti cconsensuali :La società


Con l’introduzione in età preclassica, dell’actio pro socio in ius ex fide bona. Ebbe
riconoscimento a roma la societas consensuale,espressamente aperta a cives e
peregrini. Fu classificata tra i contratti consensuali,plurilaterale per cui due o più
persone(socii) convengono di mettere in comune o beni o attività di lavoro, al fine di
conseguire uno scopo comune,previa divisione di profitti e perdite.
La società consensuale sopravvivrà anche al diritto romano. Il tipo più antico era la
societas omnium bonorum,nel quale i soci mettevano in comune tutti i beni. Nacquero

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diversi tipi di società ,in alcune si mettevano in comune i futuri aquisti dei soci,o un
singolo bene.
La società era un singolare contratto consensuale,perché non solo si obbligavano in
presenza del consenso ma esso doveva perdurare. Nel momento in cui anche solo
uno dei soci cambiava idea la società si scioglieva. Lo stesso nei casi di morti e di
capitis deminutio. Dal contratto nascevano obbligazioni reciproche tra i soci,di
dividere tutti i profitti e le perdite. Uno dei soci poteva anche essere in grado di avere
solo i profitti se di accordi, ma mai uno poteva onerarsi solo le perdite. Le varie
obbligazioni erano tutelate dall’actio pro socio, ed essendo ex fide bona le somme
erano compensabili. In alcune circostanze si rispondeva per dolo o per colpa,in altre
per custodia. La condanna dell’actio pro socio era infamante per il
soccombente,sanzionava quindi penalmente la disfiducia ta soci. (fraterniatas)
D’altronde però il convenuto poteva godere del benefium competentiae. La società dei
tempi non dava luogo ad un patrimonio autonomo distinto,e quindi ogni obbligazione
era a carico della stessa che l’aveva compiuta,non della società . essa era capace di
agire in giudizio tramite rappresentate, e poi eventualmente spartire i profitti. Nel
contratto con terzi di solito si faceva utilizzo degli schiavi propietari della società e del
loro peculio per compiere obbligazioni: Così facendo il limite massimo in caso di
soccombenza era il peculio o l’effettivo arrichimento percepito dalla società.

I contratti consensuali: Il mandato


Secondo la concezione dei classici il mmandato è un contratto bilaterale imperfetto
per cui un soggetto conferiva un incarico ad un altro,il quale si impegnava a eseguirlo
gratuitamente.Le parti del rapporto erano mandante e mandatario. Per la conclusione
era sufficiente il consenso. IL mandato era engozio iuris gentium,per cui fruibile da
tutti. Nessun compenso era dovuto al mandatario. Poteva avere oggetto sia la
conclusione di negozi giuridici si a ad azioni di mero fatto. Furono negati gli effetti
giuridici a vantaggio del mandatario: esso sarebbe stato semplice suggerimento. Il
riconoscimento avviene sin dalla prima età preclassica con la creazione dell’actio
mandati in ius ex fide bona.
Il mandatario era perseguibile con azione diretta se non teneva fede allla prestazione
che aveva accetato dii compiere e se non trasferiva le eventuali cose o denaro che
doveva per il mandato. Actio mandati directa.
Il mandante invece era perseguibile con actio mandati contraria ed era tenuto a
rimborsare spese e risolevarlo dai debiti assunti durante quel momento. L’esigenza
del trasferimento di cose denaro e debiti nasceva dalla struttura per rappresentanza
indiretta.
Di eventuali pregiudizi nel mandato si rispondeva solitamente per dolo. Il violamento
della fiducia era gravemente riprovato dal costume, e questo rendeva l’actio mandati
infamante. Poteva avvenire in caso di contrasto compensazione tra le obbligazioni
delle parti.
Il mandato si estingueva per rinunzia da parte del mandatario e per morte di una delle
due parti. Esse potevano essere risolutive solo se non ne fosse iniziata l’esecuzione.
Solo il mandante poteva revocare l’incarico dopo il suo inizio. Venne utilizzato tra
ccreditore e adstipulator, cognitor e principale procurator.

I contratti innominati:Precario

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La tipicità contrattuale avrebbe negato tutela ai contratti che non rientravano negli
schemi principali. D’altronde tutelare ogni patto avrebbe significato sacrificarne la
tipicità. La strada seguita fu quella di concedere via via la qualifica di obbligazioni alle
convenzioni non definibili con un nome, e quindi innominati. Questi contratti dovevano
essere però negozi,per cui ognuna delle due parti dovesse essere orientata a un dare
o a un facere. Non si riconobbe obbligazione al patto in se ma all’esecuzione che
avveniva per suo conto. In sostanza alla prestazione avvenuta,che obbligava l’altra
parte ad una controprestazione. Prima della prestazione era quindi priva di effetti
obbligatori. Di qui il possibile accostamento ai contratti reali,dove nasce l’obbligazione
nel momento della consegna. A queste azione era a tutela un’actio in factum
decretalis diretta alla controprestazione.
Già nell’età classica alcuni giuristi stabilirono che una prestazione in attesa di una
controprestazione dava origine ad una obbligazione civilis tutelata da actio praescripti
verbis, ove l’intentio era con oportere e la praescriptio indicava il fatto che vi aveva
dato causa. A questi contratti si rispondeva per dolo e colpa. L’actio praescripti versi
più cche un actio fu indicata come modo di procedere,e i compilatori di giustiniano la
inserirono nell azioni di buona fede e ne estero l’applicazione a certi rapporti. Essa
divenne quindi un azione generale che andava a tutelare tutte quelle situazioni che
aveva effetti costitutivi di obbligazioni ma non riconosciute saldamente nel sistema
giuridico. Ancora prima però non si era privi di tutela,infatti siccome solitamente si
compiva una datio,se si trattava di res si poteva chiedere la ripetizione con conditio,
(do ut) mentre nei negozi con (facere ut des) soccorreva l’actio de dolo. Essa venne
meno per il carattere sussidiario quando fu portata l’actio praescripta verbis. Chi
faceva la prestazione poteva liberamente recedere con conditio anche prima della
controprestazione.
Alcuni esempi di contratti innominati sono:
La permuta: A differenza della compravendita non era consensuale e bilaterale.
L’effetto non si produceva prima della datio. L’obbligazione poi nasceva solo a carico
della persona che avesse rievuto laprima cosa, obblgiato a darne un'altra.
L’aestimatum: Viene detto oggi contratto estimatorio. Apparteneva pure esso al tipo
do ut des,e consinsteva che un contraente dava all’altro una cosa stabilendone il
valore, e l’altro assumeva l’impegno di restituire il ricavato dopo averla venduta
oppure restituirla.
IL precario: Consisteva nella concessione di un bene,affinche un precario acccipiens
ne godesse gratuitamente e lo restituisse a richiesta.
E’ istituto molto antico e trae origine dalle concessioni di terre che i possessori
usavano fare ai propi clientes. Questo spiega che al precarista si riconobbe l’utilizzo
dell’interdettum uti possiedis, e con essa la qualifica di possessore. Era lui stesso a
reagire contro turbative. La possessio ad usucapionem restava al concedente. La
difesa spettava però solo contro terzi e mai contro il concedente. Egli poteva farsi
valere anche con la violenza sul possessore,applicando autodifesa. Molto presto però il
pretore interpose nell’editto l’interdictum quod precario. Fu si accostato al comodato
per ovvie somiglianze e qualificato iuris gentium, ma non si diede una actio vera e
propie per la restituizione. Inoltre si applicava spesso agli immobili, e si riconobbe
come già detto il possesso ad interdicta.
In età classica scomparsa l’autotutela, esso perse il suo significato originario. Si
continuo ad utilizzare per situazioni di fiducia o di usureceptio.(per evitarlo). Si

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utilizzava dare in precario la res pignorata al debitore pignoratizio,così facendo il


recupero in caso di inadempienza darebbe stato molto più rapido.
Durante l’età postclassica le differenze con il comodato e il precario divenne sempre
più sottile. Si diede nell’epoca giustinianea l’acctio praescripti verbi e non più solo
l’interdetto,. DA qui il riconoscimento del precario nel contratto innominato.

I patti
L’accezione giuridica di pacta è la stessa dell’uso comune.Accordi comunque
manifestati. Nelle nostre fonti si parla di accordi tra due o più persone. Alcune di
queste convenzioni furono tipicizzate, e fu conferita loro efficacia obbligatiorie e
definite contractus. Restavano fuori però i patti semplici,definiti nuda pacta,che non
davano luogo ad alcuna obbligazione ma erano tutelati in via di exceptio. Per vero al
semplice pactum davano già tutela le 12 tavole forse per conferma di mores,che
riconscevano secondo patto l’esclusione della pena del taglione.
Fu l’editto pretorio de pactis ad avere grande importanza nel sistema giuridico
romano,nel quale il pretore promise di dare tutela ai patti senza dolo e rispettossi
delle leggi. Vi diede però efficiacia limitata,non con azione ma con exceptio pacti
conventi.Per dare luogo ad obbligazione il patto doveva essere rivestito della struttura
della stipulatio.
Quando si trattava di patti aggiunti ai contratti iudici bona fidei,il giudice era tenuto a
prenderne considerazione anche senza exceptio. Potevano essere aggiunti
contestualmente alla creazione dell’obbligazione oppure dopo la sua conclusione. I
patti fatti durante il contratto (incontinenti) erano considerati parte dell’obbligazione
stessa, e potevano quindi essere esperiti con la tipica azione ex fide bona del
contratto. Dall’età post classica gli imperiali introdussero pesanti breccie nel sistema
delle obbligazioni. Si diede ad alcuni patti come quello della dote,della donazione o
del comprumissum valore reale obbligatorio. (pacta legittima)
Il comrpumissum era il patto extragiudiziale secondo il quale si devideva in comune
acccordo di rimettere ad un terzo le sorti di una controversia. Esso non ebbe alcuna
autonomia formale per i classici, che doveva essere costruita secondo stipulazioni
penali e ciascuna parte prometteva un pecunia se non si fosse adeguata al volere
dell’arbitro. Giustiniano rimose queste stipulationes e diede valore al cumprumissum
in se con un actio in factum. Con la nascita dell’utilizzo della scrittura per le
obbligazioni e la stipulatio la differenza tra quest’ultima e i patti si assottigliava
sempre di più . ogni accordo poi divenne lecito, tant’è cha ai giorni nostri i contratti
sono tra le fonti di obbligazioni.

Le obligationes quasi ex contractu


Questo tipo di obbligazione sono le responsabili della nascita della tripartizione di
gaio,di fronte al pagamento di indebito infatti vi era la mancanza di un accordo volto a
far nascere l’obbligazione. Erano si atti leciti ma inseriti nelle variae causae figurae
per mancanza di conventio.
Gestione di affari altrui(negotrium gestio): Interesas qui la gestione di affari
altrui senza mandato o incarico. Ad essa furono attribuiti valori obbligatori con
l’istituzione di un azione actiones negotrium gestorium. Si trattava di azioni di buona
fede.Presupponeva che il gestore pensasse che i fondi fossero effettivamente altrui e
che la gestione fosse stata almeno all’inizio utile. In ogni caso nascevano obligazioni a

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carico del gestore,a volte anche a carico del gerito. A carico del gestore nasceva
l’obbligazione di portare a termine quanto inrtrapreso e di prestare all’altra parte il
ricavato.La responsabilità fu prima limitata al dolo e poi alla colpa.Il dominus invece
doveva risarcire eventuali spese extra e risarcire danni nascenti dalla gestione. Poiché
il gestore non era rappresentante diretto era necessario inoltre che trasmettesse tutti
i diritti acquistati.
Tutela,communio incidens e coeredità: Non erano esse fonti di obbligazioni ma
esse nascevano nel momento in cui queste situazioni si risolvevano. IN quel momento
nascevano o potevano nascere come per esempio nella tutelae con l’actio tutelae
diretta o non o come nella gestione di un compropietà vi era actio communi
dividundo.
Legati e fedecommessi con effetti obbligatori: Altra possibile fonte di
pbbligazione era rappresentata dai legati. Consistevano in disposizioni
testamentarie che creavano un vincolo obbligatorio tra erede e legatario. Vantaggioso
per il legatario. Ne vennero individuati due tipologie.
Di maggiore diffusione il legato per damnationem,in cui sifaceva obbligo all’erede di
compiere una determinata prestazione. Poteva essa essere delle più varie,ma sempre
del dare o del facere.
Con il legato sine modo invece si ordinava all’erede di NON facere, e quindi di lasciare
fare ad un eventuale legato che voleva appropiarsi di qualcosa.
Inizialmente il legato per damnactionem poteva agire direttametne per manus
iniectionem,poi invece venne stipulata una particolare azione detta ex testamento. Di
dare o di facere. COndictio. Intentio demonstratio incerta. Giustiniano unificò poi le
due tipologie di legati.
Ai legati possono poi essere accostati i fedecommessi,disposizioni di ultima volontà in
favore di terzi.Egli rimetteva per l’esecuzione per la fides dell’erede o legatario. Erano
anch’essi obbligatori e valutati con petitio fedecommissi nel processo extra ordinem.
Giustiniano li ecquiparò ai legati.
Pagamento di indebito(solutio indebiti): Era stata lei ad ispirare gaio nella
tripartizzione. Significa esecuzione di una prestazione non dovuto. Veniva fatto quindi
un trasferimento di propietà pensado erronaemnte di esserne tenuti. In questo caso
l’altra parte era tenuto ,inconsapevole che la cosa non gli fosse dovuto a restituirla.
Colui che accettava la prestazione non dovuta commetteva furto. La condictio era in
queste istanze definita indebiti.

Applicazioni non contrattuali della condicio e


arricchimento ingiustificato.Altre fonti di obbligazioni.
Un fenomeno simile a quello del pagamente di indebito è l’utilizzo della conditio in
condizioni non contrattuali.
La datio ub rem,la datio per causa illecita,per cui all’autore della datio si dava la
conditio contro l’accipiens,la datio ob dotem,ove si dava contro il marito la conditio
per riavere la dote e donazione reale mortis causa.
In questi casi si faceva carico all’accipiens di un obbligatio alla restituzione,anchessa
come la solutio indebiti atto lecito non contrattuale. Non furono però classificate tra la
variae causarum figurae.

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La conditio per essere attuata presupponeva una datio la cui causa era venuta a
manccare. Erano tutte le situazioni nelle quali nell’accipiens non si trovava motivo
affinnchè lui trattenesse la cosa. Si sarebbe arricchito ingiustamente nei confronti di
chi aveva fatto la datio,e questo i romani non vollero permetterlo. Situazioni simili
erano già tutelate dal pretore,come nella situazioni in cui egli si occupava di punire gli
eredi di un dominus che ha compito illecito nei limiti del loro arricchimento.
La conditio per cui non presupponeva una datio ma perseguiva una datio,era un dare
oportere espresso nell’intentio. Era pertanto con intentio certa. Raramente per
pretese di facere se ne concesse una incerta.
Nonostante la tipicizzazzione della conditio durante l’epoca giustinianea, il risultato fu
il suo utilizzo contro ogni ingiustificato arricchimento.

I delitti
Pure i delicta come sappiamo erano ritenuti essere fonti di obbligazioni. Si trattava di
atti illeciti,volontari, e riprovati dal sistema giuridico. I delitti erano tipici:Non si stabilì
a riguardo uno schema generale ma ognuno rimase con il proprio regime giuridico. LA
tipicità come per i contratti andò sfumando col tempo,ma non si arrivo mai a Roma ad
una soluzione unitaria. Per il diritto romano il vincolo sta tra offendente è offeso,ove il
primo è obbligato a ripararne i danni. Esso era perseguibile da un’azione penale
nell’ambito del processo privato. Le azioni penali erano inizialmente solo civili,ma dal
formulare in poi anche in factum. I meno gravi non era considerati civili,ma da
giustiniano definiti “quasi ex delicto”. I giuristi fecero dipendere ogni volta le soluzioni
di delitto sia dal tipo sia dalle circostanze ad esso relative.
Il criterio generale fu quello del dolo,per cui il delitto si imputava all’autore sempre
che l’avesse commesso col deliberato desiderio di provocare un’offesa.Esso era
implicito nel comportamento dell’offensore. Si parlò di colpa non solo per chi l’avesse
fatto con volontà ma anche chi l’avesse fatto con negligenza e imprudenza.
Di fronte ai delicta stavano i crimina,sanzionati dal processo civile,ben più gravi e
lesivi non solo per un privato ma per la comunità stessa.Molto spesso anche delitti
privati iniziarono a essere processati iudicia pubblica,cosicchè si inizio ad avere
concorso tra i due tipi di processo. Essi solitamente si cumulavano,prima pubblico e
poi privato. Col tempo il diritto privato quindi perse via via il suo valore penale,e
venne utilizzato più che altro per il risarcimento dei danni.

Il furto
Tra i delicta il furtum è certamente tra i più antichi.
La nozione: Essi erano come oggi sottrazione illecita di cosa altrui. Ai tempi delle 12
tavole tuttavia si sentì l’esigenza di non lasciare impuniti certi illeci,e si operò quindi
sull’antica nozione di furtum e la si amplio in via di interpretazione ad ogni
comportamento volontario che non integrato in altri diritti provocasse per dolo un
perdita o uno svantaggio relativa a una cosa al suo autore. Si qualificò furto persino
l’istigazione dello schiavo alla fuga. Doveva essere considerato furto anche il
danneggiamento doloso di cose altrui. Era una nozione tanto ampia da coprire la
maggior parte degli illeciti privati.

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Con la giurisprudenza repubblicana si cercò attraverso al definizione di nuove figure di


limitare la portata del furto. Non si torno mai tuttavia a prima delle 12 tavole. Esso
venne quidni ristretto alle cose mobili,e si ritenne sufficiente il contatto fisico contro il
volere del propietario,non per forza la detenzione. Ad esempio come abbiamo visto
l’uso non autorizzato di una res da parte del pignoratore,depositario o comodatario
venne considerato furto. Era necessaria inoltre l’individuazione di un dolo specifico.1
contro la volonta del propietario della cosa 2 per conseguire un lucro 3 proprio per
conseguire un furto(Animus furandi).
I genera furtorum: li individiuo Servio rufo, e distinguevano tra furtum manifestum
e furtum nec manifestum. LA vera individuazione risale ai primordi di roma. Per
manifesto si intendeva il ladro colto in fragrante nel furto e catturato, che per usanza
veniva spogliato e messo a sorreggere un piatto.(Gaio non capiva perché)
Il furtum nec manifestum invece ogni furtum che non è manifestum.
Le sanzioni; LE 12 tavole comminavano gravi sanzioni al furtum manifestum. Il ladro
era fustigato e poi addictus. Se schiavo gettato da una rupe. Se il furto era commesso
di notte e con armi il derubato avrebbe potuto uccidere il ladro. Molto presto però per
evitare eccesssi di autodifesa venne introdotta l’actio furti manifesti,che consisteva al
derubato di conseguire i quadruplo di quanto tolto.Nossale se il ladro alieni iuris.
Per il furtum nec manifestum invece si stabilì che la pena era il doppio del danno. Furti
nec manifesti actio.
Queste azioni erano sicuramente infamanti ed erano ponibili non solo dal propietario
ma anche da chi aveva interesse che la particolare cosa non fosse rubata. Ad esempio
un comodatario,che responsabile di custiodia verso il comodante doveva riavere la
cosa indietro per non incorrere in responsabilità. Queste due azioni sono tra le poche
ad avere natura soltanto penale nel diritto giustinianeo.
Accanto all’actio furti e in concorso cumulativo si dava la conditio ex causa furtiva,
ammessa contro il ladro e di funzione reipersecutoria sin da quando la conditionem
era stata permessa per certa res. Conl’actio furti si chiedeva la pena pecuniaria,con la
condictio ex causa furti si perseguiva la res. L’una non avrebbe ostacolato l’altra. Alla
condictio ex causa furtiva era ammesso solo il propietario della cosa rubata, ed era
una condictio particolare in quanto di solito esse presupponevano una datio da
ripetere,mentre nel caso del furto non ve ne era alcuna. Si ritenne però giusto e
necessario darla ai ladri ,perché il concetto di datio non è originario ma si è
correttamente definito durante il principato.
Perché non si utilizzava la rivendicatio al posto che la datio per perseguire la res
rubata? Gaio ci spiega che in odio dei ladri era necessario poter avere una doppia
tutela ,reale e personale. Se il ladro era stato onerato oltre i suoi possedimenti il
derubato che avesse agito con conditio sarebbe stato onerato nella percentuale
offerta dal bonoru emptor,mentre con la rivendicatio se l’oggetto era in buone
condizioni sarebbe stato più vantaggioso. Viceversa, se il ladro era persona solvibile,
la revendicatio sarebbe stata meno sicura, in quanto utilizzabile solo contro il
possessore,mentre la conditio che era in personam era comunque esperibile contro il
ladro anche se la cosa fosse perita,e dato che il ladro era in mora dal momento del
furto anche di eventuali deterioramenti.

La rapina

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La grave situazione dell’ordine pubblico,turbata da bande di schivi ladri organizzati


molto spesso dal dominus portò Lucullo nel 76°.c. Egli stabilì che si doveva pagare il
quadruplo dei danni provocati e delle cose asprotate. L’azione doveva essere esperita
entro l’anno. Dopo avrebbe avuto valore del simplum. Queste azioni non rigurdavano
solo i dominus degli schiavi ma chiunque avesse organizzato questo tipo di spedizioni.
Riguardo ovviamente anche tutte le persone libere che avessero compiuto la rapina.
Assunse configurazione autonoma questa tutela,definita dall’azione actio vi bonorum
raptorum. Venne istituita come illecito civile nonstante la natura pretoria dell’azione.
Non era infatti nient’altro che un furto qualificato.
Non era tuttavia un furtum manifestum,anche perché difficilmente qualcuno sarebbe
riuscito a imprigionare i ladri armati e in gruppo. Prima dell’editto di lucullo per cui la
rapina era perseguibile solo con la pena del doppio di quanto sottratto,mentre il
furtum manifestum,più grave della rapina con il quadruplum. Lucullo la parificò al
manifesto. E’ nel corpus iuris definita mista ,reipersecutoria e penale allo stesso
tempo. Simpplum per il valore delle cose asportate e triplum a titolo di pena.

La legge aquilia e il damnum iniuria datum


In età postdecemvirale il danneggiamento doloso e l’acceptilatio dell’adstipulator
erano considerati come furti. Un lex acquilia nel terzo secolo avanti ne fece oggetto di
specifica revisione. Era divisa in tre capitoli
1 l’uccisione iniuria di schiavi e pecudes altrui,intesi come pecudes quadrupedi da
gregge o armento.
2 Riguardava l’adstipulator e l’acceptilatio di cui si parlerà dopo
3 Faceva riferimento all’ucccisione o distruzione di bestiame non pecudes o
all’uccisione di cose inanimate.
La pena era del simplum,per il primo capitolo applicata al maggiore valore dello
schiavo o di animali all’anno precedente all’uccisione,nel secondo per l’importo del
credito estinto e nel terzo nel maggior valore entro i trenta giorni entro l’evento
dannoso.
Il secondo cadde in desuetudine quando vennero stipulate particolari actiones per il
caso. Il primo e il terzo capitolo,per i quali si usa parlare di damnum iniuria datum
furono oggetto di ampia discussione.
L’azione che spettava all’offeso era l’actio legis acquiliae,penale e in ius.Vi era
legittimato il propietaraio. Il pretore tuttavia mediante actiones utiles amplio la tutela
a usufruttuari,comodatari e possessori di buona fede.
La legge era penale,per cui eventualmente la si dava per via nossale e quindi
cumulabile. L’autore del danno doveva rispondere per culpa levissima ma comunque
al simplum. Essa venne infatti definita la meno penale delle azioni penali. Era anzi
quasi reipersecutoria. Questo implico che una volta attuata un azione di questa natura
essa non era cumulabile con la legis acquiliae. Ai tempi di giustiniano venne
considerata mista: Quando era ucciso ad esempio uno schiavo storto si considerò
reipersecutoria la parte che perseguiva il suo stesso valore,penale la parte
concordante il massimo valore dell’ultimo anno. Col tempo si cercò anche di applicare
una aestimatio atta ad aumentare o diminuire la somma nell’interesse dell’attore che
la cosa rimanesse in vita. Iniuria fa riferimento a comportamento non giusto.
Il danno previsto dalla legge acquilia era il danno recato a cosa altrui,e si rispondeva

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della colpa. Il pretore distinse poi dai danni effettuati fisicamente con la forza
muscolare l’offensore agli altri casi come per esempio l’omissione. In età giustinianea
si istituì un ‘actio in factum in grado di tutelare ogni danneggiamento non previsto
dalla legis acquilae. Le situazioni da esse tutelate,ove si rispondeva per dolo e colpa
verso privati continuarono a svolgersi nel processo privato,nonostante il trasferimento
graduale dei delitti nei processi civili.

L’iniuria
L’iniuria aveva ancora origne nelle 12 tavole e affidava pene diverse per lesioni e
abusi sempre nel contesto fisico. Per il membrum ruptum si rispondeva per taglion,per
os fractum 300 o 150 assi in base alla capacità giuridica del soggetto e per lesioni
fisiche minori 25 assi. Al talgione volendo si poteva ovviare con offerta
pecuniara,offerta che poi divenne prassi nel processo formulare. Non era tuttavia
neanche ottimale avere pene fisse: Gellio ci racconta di un tale che si divertisse ad
andare in giro con lo schiavo che trasportava una borsa piena di assi a schiaffeggiare
le persone che gli stavano antipatiche e a risarcile immediatamente dopo. 10 assi
erano il valore di una pecora 100 assi il valore di un bue. Questo portò il pretore ad
intervenire e per gli atti qualificati iniuria sviluppo una particolare azione,l’actio
iniurarum,atta a perseguire una pena pecuniara da perseguire in fase processuale es
tabilità dal giudice sulla base dell’entità dell’offesa. Si intervenì dopo per le offese
morali,anch’esse qualificate iniuria. Non erano iniuria azini violente rese lecite. Era
necessario il dolo per un azione ad essere definita tale,ma spesso il dolo era
contenuto in essa. L’azione era di natura penale era infamante, e in ogni caso era
intrasmissibile agli eredi. La formula faceva riferimento all’ecquita e in base a quella si
stabiliva l’importo della pena. La sentenza spesso avevaa una taxatio e quindi un
importo massimo imputabile. In quelle molto gravi invece la stima pecuniaria aveva
un minimo. Nell’età giustinianea si faceva ricorso sia al processo civile criminale che a
quello privato.

Altri atti illeciti extracontrattuali:L’actio de pauperie


Oltre ai delicta inseriti nelle varie classificazioni di Gaio e giustiniano ne esistono
altrettanti illeciti,non inseriti. Nelle azioni civili spiccano L’actio autoritas e de modo
agri,anche se dopo cesseranno di avere valore penale.Tra le azioni pretorie ricordiamo
invce quelle di dolo e quod metus causa.
L’actio de pauperie: Actio molto antica risalente alle 12 tavole, e responsabile dei
danni che i pecudes di qualcuno compivano all’altro. Non era penale e il possessore
del pecudes offensore poteva o risarcire l’offeso o darlo in via nossale,come forma di
pagamento. E’ l’unica azione nossale a non essere penale. Era legittimata all’azione
non solo il posessore ma anche la persona che aveva interesse che quel danno non
venisse compiuto(Comodatario). Quest’azione non rigurdava inoltre atti ma
comportamenti volontari e seguiva il principio che chi possedeva qualcosa doveva
accettarne sia i vantaggi sia gli svantaggi.

Le obligationes quasi ex delicto


Alcuni esempi
Iudex qui lite suam fecerit: Era il caso del giudice che avesse giudicato
malamente. Si dava un’azione in factum poenalis,e nel peggiore dei casi esso doveva
pagare la somma del pregiudizio dell’attore.

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Effesum vel deiectum: Obbligazione che nasce dalla proiezione di oggetti fuori dalle
finestre di ccasa siutate in altezza. I danni era in duplum per le cose danneggiate e 50
aurei nel caso di morte di uomo libero.
Positum aut suspensum: Altra azione in factum popularis esperibile contro chi
lasciasse oggetti in posizioni pericolose in altezza. Era per cui esperibile al solo
pericolo. Pena fissa di 10 aurei.
Actiones adversus nautas,caupones,stabularios: Per I furti e I danneggiamenti a
passeggeri e avventori che si verificavano sulle navi nelle locande,negli alberghi a
pagare in duplum erano sempre I gestori dell’attivitaà. Questo perché a Roma si
riteneva che ognuno di essi dovesse scegliersi bene i propi collaboratori e di creare un
ambiente sicuro in cui usufruire delle loro attività.

Estinzione delle obbligazioni.L’adempimento( solutio)


Si è solito classificare come solutio gli atti o le prestazioni che portano alla fine un
obbligazione. L’estinzione ope iudicis,anche chiamata compensazione era assai più
rara.
Adempimento(solutio): Con l’adempimento della prestazione, o pagamento, il
credito si estingue e il debitore era liberato. In età arcaica l’adempimento non era
sempre sufficiente. Esso diventò comunque il modo più naturale per l’estinzione delle
obbligazioni.Non si può escludere che a riguardo abbiano avuto ruolo i iudicia bona
fidei. Il termine per definire l’adempimento della prestazione era la solutio. La solutio
estingueva l’obbligazione ipso iure. A compierla era solitamente il debitore o terzi
salvo non fossero richieste capacità specifiche. La solutio andava fatta di norma al
creditore ma la si poteva fare anche al suo procurator. Doveva essere adempiuta per
intero salvo che il creditore accettasse un pagamento parziale. In alcuni casi esso
pagava secono il beneficium competentiae.(taxatio condemnatio formulare). Esso gli
avrebbe risparmiato debiti oltre le sue chanche e l’infamia.(per esecuzione dei debiti)
Se vi erano più debiti omogenei allora si procedeva a sanarne prima quegli scaduti,poi
quelli più gravosi e poi quelli più antichi. Egli doveva compiere una data prestazione.
Avrebbe potuto darne una diversa solo nel caso in cui il creditore vi fosse d’accordo. Si
aveva allora la datio solutiom,che estingueva l’obbligazione ipso iure.
La prestazione andava adempiuta nei limiti stabili di tempo nell’atto costituivio. Se
non li presupponeva venivano dedotti. Il luogo dell’adempimento era lo stesso da
quello stabilito dall’atto costitutivo secodno le circostanze. Se non era indicato il luogo
si compiva a casa del debitore,ove egli poteva essere portato in processo. Per i crediti
di certi pecunia,sanzionati con iudicia stricta e intentio certa di agire con l’actio de eo
quod loco,denominata anche actio arbitraria. Con essa l’attore avrebbe potuto
chiedere al giudice di spostare l’adempimento del contratto in luogo diverso da quello
proprio dell’obbligatio,e il giudice però doveva tenere conto dell’interesse del debitore
di chiudere l’obbligazione li dove avrebbe voluto. L’avvenuto pagamento era attestato
da un documento apocha di funzione probatoria.giustiniano la rese obbligatoria.

La remissione del debito


Con remissione si intede l’atto con il quale il creditore rinunzia al proprio credito.
Solutio per aes et libram: era uno dei gesta per aes et libramcome il macpatio o il
nexum. Era riservato ai cives romani. In essa il debitore dichiarava solennemente di

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liberare se stesso dal potere del creditore,e gettava sulla bilancia il metallo dovuto.
Con l’introduzione della moneta egli la consegnava simbolicamente al creditore. Si
trattava di uno di quei gesti a formalismo interno,simmetrico e contrario al nexum.
Infatti è proprio con questto atto che si liberavano i nexus dai creditori,non era infatti
sufficiente il pagamento informale. Dopo l’ablizione del nexus si ritenne sufficiente per
liberare iudicuts o eredi dal vincolo nei confronti del creditore. Mantenne l’effetto
istintivo ipso iure ,e venne riconosciuto nonostante l’adempimento. Venne così
definita imaginaria solutio. Del’l’adempimento aveva solo l’immagine. Era un negozio
astratto e quindi valido in ogni caso nonostante la causa.
L’acceptilatio: “considerare come ricevuto”. Alla domanda del debitore” Hai ricevuto
quello che ti ho promesso” “si” Era simmetrica e contraria rispetto alla
stipulatio,iniziava verbis e si estingueva verbis. Era del ius gentium per l’utilizzo e ius
civile per quanto riguarda l’effetto,che era ipsp iure. Era però atto legittimo e quindi
non tollerava l’aggiunta di termini o condizioni. In età arcaica si pensa che le stipulatio
e le relative obbligazioni non si estinguessero da se ma fossero necessarie le giuste
cotnro azioni(acceptilatio). Riconosciuto poi l’effetto liberativo dell solutio
l’acceptilatio divenne un metodo per rimettere un debito,indipendentemente dalla
causa,diventando un imaginaria solutio. Ebbe un largo utilizzo durante il principato
per vi adel largo utilizzo della stipulatio. Venne poi parificata al pctum de non
petendo,e quindi classificata come pacta nel corpus iuris civilis.(esisteva pure
l’acceptilatio litteris,l’atto con il quale il dominus scriveva sul codex. Poteva anch’essa
essere usata per la remissione dei debiti).
Il pactum de non petendo: in questo patto ci si impegnava informalmente a non
pretendere l’addempimento della prestazione. Essendo un patto doveva essere fatto
valere ope excptionis. Nei iudicia bona fidei sempre ossevato così come lo era ai
tempi delle 12 tavole per furto e iniuria.
La transazione : Essa era per i classici una specifica causa di negozi astratti,e
insieme un particolare caso del pactum non petendo. Pressuponeva un lite in corso,e
le parti si mettevano d’accordo affinchè la lite finisse,pattuendo reciproche
attribuzioni e rinunzie. Si sarebbero poi accordati eventulmente con stipulatio per
attribuzioni e le rinunzie potevano esse fatte valere ope exceptionis.

La novazione
Per novazione si intende la sostituzione di una obbligazione precedente con una
nuova. Si verificava fondamentalmente per effetto di stipulatio,facendo espresso
rapporto alla precedente obbligazione che si andava a estinguere. Ad esempiosi
poteva sostituire l’obbligazione di una compravendita con quella di una stipulatio. La
prima obbligazione si estingueva ipso iure, e con essa si interrompevano garanzie e
interessi.
Era necessaria per una novazio l’idem debitum,ossia la medesima somma da
richiedere,e l’animus novandi,che richiedeva la volontà delle parti di procede con
obbligazione. Giustiniano abolì il requisito dell’idem debitum. Aliquid novi,la nuova
obbligazione doveva effettivamente presentare qualcosa di nuovo rispetto alla
precedente.
In relazione all’aliquid novi la nuova obbligazione poteva essere soggettiva o
oggettiva. In quelle oggettive a cambiare era la causa,condizioni,termini,garanzie.

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La stipulatio aquiliana: Un caso interessante di novazione è quella della stipulatio


qquiliana,che riuniva tutte le obbligazioni verso il creditore in una sola per procedere
più comodamente e evitare controversie. L’azione avrebbe potuto così essere estinta
con una sola acceptilatio.
La delegatio promittendi: Nella novazione soggettiva l’elemento nuovo riguardava
la persona del creditore o del debitore,e faceva generalmente seguito ad una
delegatio. Qui interessa la delegatio promittendi.
In quella attiva il creditore invitava il debitore a compiere una stipulatio con un terzo
ove il debitore prometteva di dare la stessa somma a lui dovuta a questa persona. Era
il terzo a chiedere di promettere di dare lo stesso che doveva a tizio.
In quella passiva invece il delegante era il debitore che individuava un'altra persona
per pagare i suoi debiti. Il creditore interrogava questo terzo e gli chiedeva di
promettere di dare quel che gli doveva tizio.
Anche le transscriptio erano considerate novazioni.
Litis contestatio e sentenza
Risale ai giuristi dell’ultima epoca repubblicana l’affibiamento alla litis contestatio di
effetti preclusivi ed esclusivi,strettamente collegati fra di loro, in quanto il non poter
ripetere il processo escludeva di conseguenza anche l’obbligazione che lo ha causato.
Era tenuto obbligato il debitore da un nuovo vincolo che sorgeva in ambito
processuale,quindi fattualmente diverso dal primo. Si parlò al riguardo di condemnare
oportere. La sentenza di condanna poi avrebbe fatto estinguere il condemnari
oportere e avrebbe dato luogo a un iudicatum facere oportere,cioè all’obligatio
iudicati.
Per effetto della litis contestatio si aveva una prima novazione,una seconda con la
condanna. Era una costruzione dogmatica,e infatti il pegno e gli interessi
continuavano a incorrere.

La compensazione
La compensazione nel processo formulare è la struttra del processo formulare
secondo la quale si ha una compensazione tra i debiti del creditore e del debitore
inizialmente concessa solo nei iudicia bona fidei dal giudice e quindi concessa ipso
iure . Era resa obbligatoria per i banchieri e per gli argentari che dovevano effettuare
la stima prima del processo e poi indicare la stima già compensata nell’intentio .
Poteva anche accadere che la compensazione non era solo giudiziaria ma legale e le
persone estinguevano crediti e debiti reciproci. Ai tempi di giustiniano si escluse la
prima tutela definita giudiziale,ove ogni credito e debito andavano sanati in giusta
sede. La deroga più ampia a ciò si ebbe coi giudizi di buona fede ove il giudice per
valutare la situzione era costretto anche a valutare i debiti precedenti. Si
estinguevano quindi crediti compensati ope iudicis. Non occorreva che i crediti fossero
entrambi in denaro perché anche per le cose nel processo formulare avveniva sempre
una aestimatio in denoro. I banchieri e gli argentari rischiavano la pluris petitio.
La si applicò anche per il bonurum emptor il quale si fece agire per motivi di equità
cum deductione contro i debitori del fallito quando questi erano a loro volta suoi
creditori. LA ragione era che il bonurum emptor doveva cogliere i debiti del fallito non

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per l’intero ma in percentuale. Se non avesse agito in questo modo avrebbe dovuto
pagare l’esatto intero e pagato in percentuale. Marco aurelio consentì di opporre in
contestatione un exceptio doli per notificare anche i debiti del creditore verso di noi.
Questo è particolare in quanto di solitò l’excceptio liberava subito il convenuto ,ma
non in questo caso.
Nel diritto giustinianeo il ricorso alla compensazione si generalizza ed è fruibile ipso
iure.D’ufficio nel contesto di giustiniano. Esso sarebbe avvenuto dopo un smeplice
accertametno dichiaaritivo.

Altri fatti giuridici estintivi delle obbligazioni.


Contrarius consensu e recesso unilaterale:I contratti consensuali fino a che non ne
avesse avuto l’esecuzione si scioglievano per reciproco dissenso. Società e mandato si
dissolvevano anche per recesso unilaterale. Si estinguevano quindi ipso iure le varie
obbligazioni.
Si estinguevano le obbligazioni attue alla sua attuazione,ma non quelle contratte per
raggiungerle con terzi.
La morte: La morte solitamente non comportava solitamente l’estinzione delle
obbligazioni da atto lecito o comunque sanzionate di azioni reipersecutorie, che si
trasmettevano agli eredi. Certamente non riguardava i nexi in quanto morto un nexus
non avrebbe avuto senso prenderne l’erede nella stessa situazione. In origine non si
trasmetteva nulla nemmeno con la legis actio per manus iniectionem, ma le 12 tavole
già stabilivano che gli eredi erano perseguibili in caso di palese arricchimento. Questa
tipologia di pensiero si consolidò in etàà preclassica,ove la bonurum venditio si pensò
come un obbligatio con a vincolo il patrimonio e non la persona. Sponsiones e
fidepromessi si estinguevano ancora con morte del garante in età classica.
Quanto alle obbligazioni sanzionate da atti illeciti l’azione penale non era esperibile
contro gli eredi. Per l’aspetto attivo le obbligazioni potevano trasmettersi,tranne alcuni
come ad esempio l’iniurarium non passavano agli eredi dell’offeso. Quando la morte
comportava l’estinzione essa si estingueva ipso iure.
Adrogatio e conventio in manum di donne sui iuris: Con queste due figure si
estinguevano iure civili eventuali debiti contratti precedentemente dalla donna sui
iuris. IL pretore per riscuoterli concesse però l’actio utilis filicia
Confusio :L’obbligazione doveva avvenire tra due persone distinte.
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione. L’obbligazione si estingueva
anche ipso iure se sopravveniva un’impossibilit della prestazione non imputabile
all’obbligato.
Il decorso del tempo: Le azioni penali in factum non potevano essere esercitat oltre
l’anno della commissione dell’illecito. Decorso un anno senza litis contestatio le
obbligazioni si estinguevano.(Non per le rapine ed altri azioni particolari,che dopo un
anno semplicemente poteva essere emanata al simplum).
Una lex furia stanilì inoltre che dopo un biennio dall’assunzione della garanzia il
garante era liberato.
Generalmente però secodno il diritto classico le azioni in personam era la
perpetuità,ma nel 424 teodosio secondo, istituiì la praescriptio tiginta annorum, ove
dopo trent’anni dell’inerzia del titolare di un obbligazione essa si estingueva. Essendo

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praescriptio ed exceptio parificate in post classica,essa poteva valere in ogni processo


come exceptio.
Il concursus causorum: Si fa riferimento al caso del creditoredi una cosa
determinata che dopo che l’obbligazione è sorta.,acquista la stessa cosa ad altro
titolo,per altra via. La conseguenza era dapprima che l’bbligazione si estinguesse ipso
iure in ogni caso. Da giuliano si affermo che l’obbligazione dovesse estinguersi in
quanto le due cause,quella per la cui la cosa era dovuta e l’altra per cui veniva
acquistata, nel caso i n cui fossero tutte e due lucrative per il creditore. Concursus
causarum lucrativarum. Non si estingueva se le due cause non erano entrambe
lucrative.

Trasmissione di crediti e debiti.La cessione dei crediti


Con la morte di una delle parti del rapporto le obbligazioni sanzionate da azione
reipersecutorire si trasmettevano solitamente agli eredi, sia dal lato attivo si ada
quello passivo, Mentre passavano solo da quello attivo quelle penali.
LA cessione dei crediti: A roma non era giuridicamente possibile che crediti e debiti
mutassero titolare passando inalterati da un soggetto all’altro. Mancavano infatti
negozi idonei. Innanzitutto con la novazione soggettiva preva delegatio,ove il
creditore cedeva il proprio debito ad un altro e il terzo interrogava l’obbligato
chiedendogli di dargli quanto doveva al creditore originiario. In tal modo cambiava si
la persona del creditore ma non si ebbe luogo ad una vera e propia trasmissione di
debiti in quanto perché il cessionario acquistava un credito “nuovo” libero da
eventuali garanzie personali o interessi. Ecco pertanto che la giurisprudenza per
risolevere utilizzava le strutture del cognitor o del procurator ad litem. Il cessionario
prendeva parte nel processo come era inteso secondo queste figure,ma secondo
accordi non trasferiva poi il capitale “guadagnato” al primo propietario. Questo però
aveva inizialmente il limite di non poter passare agli eredi questa situazione
soggettiva. In materia intervenne antonino pio,nell’ipotesi di vendite ereditarie con
l’actiones utiles nomine. Il cessionario agiva grazie ad essa come per un debito
proprio e trasmissibile agli eredi. In epoca tardo classica per interventi imperiali si
diede questa azione anche per singoli crediti. Si usava inoltre notificare l’avvenuta
cessione al debitore,in maniera che da quel momento non potesse più pagare
direttamente al cedente. Le figure di cognitor e procurator vennero poi unificate. Nel
422 teodosio e onorio istituirono invece difese per il debitore in queste situazioni: era
vietata la cessio in potentione,ossia la cessione del debito a persone più potenti e
influenti,così come si vieto l’eccesso di richiesta oltre il debuto convenuto e il
creditore acquisito che acquistava crediti contro gente non abbiente per assoggettarla
a vessazioni.
L’assunzione di debiti: Si potevano assumere tramite cognitor e procurator o
procedere per trasscriptio a personam in personam.

Obbligazioni parziarie e solidali


Le obbligazioni parziarie:Son dette parziarie le obbligazioni con più credditori o
debitori nelle quali ogni creditore ha diritto di pretendere,o un debitore di prestare,una
parte soltanto dall’oggetto da ciascun debitore\creditore. SI ripartisce a sceonda delle
situazioni e si vanno a creare quindi diverse obbligazioni. Era il caso dell’eredità
devoluta a più eredi,ove a ognuno spettava una parte soltanto .

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Le obbligazioni solidali: Diverse dalle parziarie sono le obbligazioni dette


solidali,quelle per cui avendo più creditori diritto,o essendo più creditori tenuti alla
prestazione,ciascun creditore puo esigere che ogni debitore adempia la medesima
prestazione completamente. L’azione veniva quindi eseguita in solidum.
Le obbligazioni solidali potevano essere attive o passive: Con pluralità di creditori le
prime di debitori le seconde.
Le obbbligazioni solidali cumulative: Il fenomeno di solidarietà cumulativa
sorgeva per il diritto romano in materia di legati per damnationem e in materia di
delicta. Nei legati ne si aveva la parte attiva,e avveniva quando una singola cosa era
legata disgiuntamente a più persone. L’erede avrebbe avuto pieni diritti sulla cosa, e
probabilmente tutti quelli che non l’avevano ricevuta nella species avevano diritto ad
essere risarciti con aestimatio.
Per gli illeciti sanzionati da azioni penali invece poteva accadere che l’offeso potesse
chiedere a tutti i soggetti che hanno preso parte nel delitto di risarcire uno per uno
tutti i danni.(L’intero poena). Ciò era vero anche in forma attiva,in quanto se uno
faceva danni a più persone esse avrebbero potuto singolarmente chiedere l’intera
poena. Si trattava di tante obbligazioni quante erano i creditori e i debitori.
Il cumulo delle azioni penali venne poi lentamente derogato nel tempo.
Le obbligazioni solidali elettive: Quando la solidarietà ere aelettiva il creditore
esigeva da tutti l’intera prestazione,oppure eleggeva il debitore che avesse dovuto
compiere la prestazione con elctio. Essa derivava da alcune applicazioni della
stipulatio.
Per l’attiva si chiedeva ad un debitore di Compiere alcune stipulatio dei creditori. Per
la passiva un creditore chiedeva ad un numero di debitori se tutti promttessero di
dargli tot.
Se interveniva un adstipulator bisognava fare due stipulatio e due o più nel caso di
intervento di garanti nella passiva.
Stabilire quale regime tra questi utilizzare era sempre una questione di volotnà. Soliari
elettive erano obbligatiorie nei casi di legato per ddamnationem nel quale il testatore
aveva imposto lo stesso obbligo per più legatari o se avesse detto a più coeredi di
compiere la stessa prestazione per un legatario.
Come si estinguevano: L’obbligazione solidale elettiva si estingueva per tutti con
lpadempimento della prestazione. Si estingueva pure per acceptilatioe novazione o
per situazioni non imputabili ai debitore\e.
Confusio e capitis deminutio invece estinguevano solo per i diretti interessati. Per
quanto riguarda il pactum de non petendi bisogna distinguere da quando era in rem,
ossia quando il creditore diceva che non avrebbe richiesto nullla in generale o quando
ssarebbe statoin personam quindi non pretendendo nulla solo da un singolo.
Che la la fase esclusiva della litis contestatio escludesse l’obbligazione solidale
elettiva era ccerto. Ma si estingueva per tutti o solo verso chi partcipava alla lite? Se
iudicia stricta si estingueva per tutti,perché il ripetersi dell’azione sarebbe stato
escluso dal principio de eadem re rispetto alla precedente. Questo era vero pure se il
convenuto soccombente non era nelle condizioni di saldare il debito. Era quindi
incarico del creditore selezionare il miglior convenuto.

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Nei iudicia bona fidei invece l’obbligazione si estingueva solo per il particolare
convenuto nnel alite. Si giudicava solo il rapporto tra le parti. Giustiniano impose poi
che l’univo modo per estinguere obbligazioni solidali elettive era la solutio.
Rivalsa e regresso: Siccome nelle obbligazioni solidali elettive era solo la parte
elette a riscuotere o a saldare un debito, viene da chiedersi se a roma esistessero
struttere di rivalsa per i creditori o di regresso per i debitori. Di persè a roma non
erano contemplate queste figure ma i soci avrebbero potuto chiedere rivalsa o
regresso attraverso l’actio pro soci.
Il rapporto tra creditori inoltre poteva essere tale che solo uno avesse il diritto al
denaro se uno era uun’adstipulator,lo stesso vale per i garanti del debitore.

Gli atti in frode dei creditori


In caso di persistente inadempimneto il creditore avrebbe avuto dapprima sul debitore
la manus. Dalla prima età preclassica all’esecuzione patrimoniale. IL patrimonio
rappresentò quindi da quel momento una garanzia estrema, nel caso il loro crediti non
venisserosoddisfatti. In virtù di ciò si sanci la nullità della manomissione di schiavi in
frode al creditore. IL pretore ancora prima però aveva introdotto una denegatio
actionis, unaa in integrum restitutio ab fraudem e un interdictum fraudatorium.
Con la denegatio actonis esgli negava le obbligazioni che il debitore contraeva al
proposito di aumentare la sua situazione di insolvibilità. Al terzo quindi avrebbe
denegato l’azione contro il bonurum emptor.
Con la in integrum restituo gli atti de debitore che ne avevano diminuito il patrimonio
venivano sostanzialmente annullati.Nel caso in ci il debitore avesse alienato beni propi
ad esempio il magister bonorum dopo che il curator avvesse emeanto l’in integrum
restitutio inseriva il bene alienato nel patrimonio del debitore ,agendo come se
l’alienazione non vi fosse stata.
L’interdictum fraudatorium invece si dava direttamente al singolo creditore dopo la
bonorum venditio, eriguardava anch’esso il tentativo di ridurre il proprio patrimonio.
Era rivolto contro al terzo in favore del quale tali atti erano stati compiuti,solitamente
un alienazione. L’interdictum era restiturio. Si aveva tempo un anno per proporre
queste azioni.
Recquisito comuni per i tre rimedi erano: eventus damni,consilium farudis e scientia
fraudis.
L’eventus damni aveva carattere oggettivo:Il debitore doveva essere tale da aver
recato effettivo danno con le sue alienazioni.
Consilium fraudis e scientia fraudis erano requisiti soggettivi, il primo riguardava il
debitore e si doveva verificare se fosse stato volontario l’eventus damni,mentre la
scientia fraudis riguardava il terzo che avesse acquistata e si verifica se avesse
coscienza del consilium fraudis, e in questo caso si agiva nei confronti del terzo che
avesse avuto vantaggio a titolo gratuito.
Nel diritto post classico si unificò la in integrum e l’interdicta con un actio definita
pauliana.

Le garanzie personali delle obbligazioni

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L’affermazione secondo la quale i creditori avessero a garanzia il patrimonio del


debitori sul quale all’occorrenza rivalersi in caso di inadempimento con la bonorum
venditio non era sufficiente a far preferire questa tipologia di garanzia rispetto a
quelle personali,in quanto spesso il patrimonio del debitore poteva non essere
sufficiente a risanare il debito. IL fenomeno può essere spiegato in quanto le garanzie
personali erano quasi sempre disponibili grazie alla tipica solidarietà della società
romana,ove in ogni clan vi era sicuramente un membro adatto a fare garanzia e
facilitare così il ricorso del credito. Inolte i garanti erano obbligati loro stessi in caso di
inadempimento.
Le stipulazioni di garanzia: LA più antica garanzie personale delle obbligazioni era
la sponsio,e funzionava però solo per obbligazione contratte verbis. Doveva essere
prestata subito dopo la promissio dal garante in qualifica di sponsor,chiamato anche
adpromissor accanto al promissor originale. Essa era però fruibile dai soli cives romani
e si estingueva con la morte del garante. Una lex publilia stabilì che se il debitore non
avesse restituito al garante quanto egli aveva sborsato per risanare il suo debito entro
sei mesi questi l’avrebbe fatto suo ccon la legis per manus iniectionem pro iudicato.
Venuta meno la legis egli poteva agire con actio depensi nella misura del simplum se
il convenuto riconosceva il debito e nel duplum se il debito non venisse riconosciuto.
Più recente rispetto alla sponsio era la fidepromissio. ANch’essa riconosciuta in età
preclassica era una stipulatio ed era però fruibile da cives e pellegrini. Ad essa però
non fu estesa l’actio depensi. Alla sponsio e alla fidepromissia venne fatta modifica
con una lex furia de sponsu e stabilì che trascorsi i due anni dall’assunzione della
garanzia essi sarebebro stai liberati,e stabilì anche che la prestazione avrebbe dovuto
dividersi in parti uguali se entrambi non avessero potuto solvere l’intero ma solo la
parte soltanto. SI parla in caso di beneficium divisionis.
Sul finire fu riconosciuta la fideiussu. Anch’essa una stipulatio fruibile da cives e non
cives. Non si estero ad esse le regole stabilita dalla lex publilia e dalla elx furia ma
queste obbligazioni passavano agli eredi anche dal lato passivo, e potevano essere
utilizzate anche al fianco di obbligazioni create non verbis. La fideiussone poteva
essere prestata anche a distanza dall’obbligazione originale e anche in luoghi diversi.
Questa caratteristica di temporalità e spazialità fu poi estesa anche a sponsio e
fidepromissio. Adriano rese divisibile la fideiussione tra fideiussori dello stesso
credito,ma solo in quelli nelle condizioni di adempiere. Debitori e garanti sarebbero
stati tenuti in solidum verso l’attore.
Le stipulazioni di garanzia però erano solo accessorie,nnon potevano nascere senza
un'altra obbligazione. Erano pertante nulle le stipulazione a debito maggiore di quello
principale ma non quelle minori. L’obbligazione principale si estingueva per solutio
acceeptilartio novazione pactum de non ptendo in rem,litis contestatio. Non si
estingueva però er confusione del garante,capitis deminutio pactum de non petendo
in personam, e neppure per sponsio e fidepromissio dopo il decorso biennale.
Sappiamo che nei iudicia stricta la litis contestatio andava a annullare l’obbligazione
per tutti i debitori. Sappiamo che l’actio exx stipulato era di stretto diritto e per cui si
sarebbe annullata. Era compito del creditore quindi scegliere il debitore più solubile da
portare in giudizio. Per questo aspetto quindi garanti e debitori erano trattati nella
stessa maniera.
La situazione tra garanti e debitore era diversa in relazione all’adempimento della
prestazione. Fermo restando l’obbligo del debitore di pagare per intero i garanti
godevano del benficium divisionis,per cui ciascuno sarebbe stato tenuto solo ad una

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parte. Si derogò quindi il principio di obbligazioni solidali. Il sacrificio economico ultimo


doveva essere sempre del debitore. Il garante doveva essere quindi abile di agire per
regresso, ma l’unica azione concessa era l’actio depensi che era strettamente
collegata alla sponsio. In favore del fidepromissio e de fideiussu non essendo stata
riconosciuta al cuna tutela a riguardo si agiva nel madnato. Di qui l’acito mandati
contraria che di persè rivolta al rimborso qui aveva come oggetto il rimborso del
debito. Alla fine dell’età classica ma solo per i debiti in denaro si usò agire
diversamente. Il garante che prima della litis contestatio si fosse offerto da pagare
riceveva in cessione l’azione contro il debitore principale essendo stato nominato dal
creditore cognitor o procurator in rem suam. In realtà ciò non era correttissimo in
quanto l’bbligazione dopo che l’azione ceduta veniva applicata andava sparendo. Si
risolse considerando il pagamento del garante non come solutio bensì come costo del
credito acquistato.
La fideiussone inoltre aveva ben più diffusione rispetto alle altre due stipulazioni non
tanto per la fruibilità dei cives(garantit anche dalla fidepromissio) ma per la
trasmissibilità passiva delloblbligazione creatasi. Valeva inolte per ogni tipo di
obbligazione
Lo sviluppo postclassico e giustinianeo. Nell’età postclassica svanirono sponsio
e fidepromissio,e riamse la sola fideiussone.
Giustiniano estese l’impossibilità di cancellare obbligazioni con la litis contestatio
anche nelle fideiussioni. Perarlttro il debitore non poteva più sottrarsi all cessione
dell’azione in favore del garante. Beneficium cedendarum actionum. Ammise inote
una sua novella che il garante sarebbe dovuto intervenire solo dopo l’accertamento
che il debitore originario fosse incapace di adempiere.
Il mandato di credito: L’idea di impiegare il mandato in funzione di garanzia del
mutuo nasce nell’ultima età repubblicana. LA funzione di garanzia nasceva in questo
modo. Chi aveva accettato di farsi garante dava mandato al futuro creditore di dare
un certa quantità di denaro in mutuo a terzi. Si contraeva in tal modo il mandato di
credito, il cui il mandante era il garante, il mandatario il creditore garantito eil terzo
era il debitore a cui si prestava garanzia. Al creditore spettavano sia l’actio credita
pecuniae che l’actio mandati contraria contro il mandante. Le azioni erano diverse e
non erano de eadem re. Se il debitore adempieva tuttavia l’actio mandati contraria
sarebbe stata priva di contenuto,ma non era vero il contrario,ossia il pagamento del
garante non liberava il convenuto. Egli avrebbe poi potuto subordinare il pagamento
alla cessione dell’azione contro il debitore in via di regresso. Il garante godeva quindi
del beneficium cedendarum acitonnum. POTEVA DARSI IL CASO DI Più MANDANTI
DELLO STESSO CREDITO: Ciascuno di essi era tenuto in solidum verso il creditore, e la
solutio da parte di uno liberava gli altri.
Saranno chiare le diversità tra mandato di credito e stipulazioni di garanzia: Se da un
lato il mandato non poteva non precedere l’atto costitutivo dell’obbligazione per cui si
prestava garanzia e il suo camppo di applicazione era limitato solo al mutuo,d’altro
canto esso comportava vantaggi per il creditore(Che poteva cumulare azioni fino al
momento in cui il debito non era stato pagato) e per il garante(che godeva del
beneficium cedandurum actionum). Essendo inoltre il mandato di credito un contratto
consensuale non serviva la presenza delle parti per attuarlo. Nel regime della
compilazione si manifesterà nel tempo la volontà di unificare il regime di mandato di
credito e fideiussone.

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8 Donazioni
Donazioni,concetto ed evoluzione.Lex cincia
Sino a tutta l’età classica le donazioni non furono per il diritto romano negozio
autonomo ma una possibile causa di negozi giuridici astratti. Soprattutto
mancipatio,in iure cessio,traditio,stipulatio,acceptilatio. Questi negozi,tutti astratti
potevano essere compiuti anche donandi causa con l’intento di compiere un atto di
liberalità in favore dell’altra parte senza corrispettivo e per cui a titolo gratuito. (Non
rientravano negozi si gratuiti ma causali come il mutuo e il comodato)
Si è premesso da se come la donazione avesse effetti diverse a seconda di come fosse
impiegata. Poteva trasferire diritti reali di godimento(in dando),promettere
prestazioni(obligando) o effetti estintivi di un azione come tramite acceptilatio(in
liberando)
La lex cincia: La lex cinci dovette essere istituita per tutelare le persone più deboli
dal fenomeno della donazione. Per evitare il gravare di donazioni estorte si stbili
secondo la elx cincci nel 204 a.c. che non si potessero fare donazioni ultra
modum(Oltre misura). Dal divieto vennero esclusi i parenti a partire dal sesto grado.
Era un lex imperfeccta,percè sebben vietasse questi comportamenti non li poteva
perseguire o evitare che avvenissero. Il pretore diede allore l’exceptio cinciae, Giova al
donante solo nei casi quindi in cui non avesse avuto luogo una donazione e poteva
difendersi solo se la donazione era ultra modus(Da ricordare che il limite fissato era
piuttosto basso).
Antonino diede il beneficium competentiae per le donazioni che non rientrassero nella
lex cincia.
Alla fine del 3 secolo a.c. la lex cincia si ritenne superata,e per cui si ritenne
necessario arginarne la portatta. Si affermo il principio morte cincia
removutur,secondo il quale qualsiasi donazione non revocata in vita avrebbe avuto
valore con la morte del donante. Le donazioni erano talvolta revocabili talvolta no.
Quelle irrevocabili,acnhe se illegali si dissero perfectae.
La riforma di Costantino e la legislazione di giuliano: Costantino qualificò la
donazione come contractus e ad essa si riconobbe effetto traslativo della propietà. Si
pretese però pena nullita la forma scritta da presentare ad un organo pubblico. Si
disse perfecta la donazione così effettuata. Gli effetti della lex cincia erano
sovvertiti,ed essa perdette significato. Queste decisoni erano in favore degli oneri
fiscali sulla possessione e non del donante.
Giustiniano rese un tipico negozio causale la donazione come costa ma dall’altro
canto pretese la traditio per il trasferimetno della propietà. Diede efficacia alle
donazioni obbligatorie anche se realizzate mediante semplice patto. +
La donazione pertatno appare configurata ora come un tipico negozio causale ora
quale solo possibile causa di tradito stipulatio e altri negozi.(A differenza dell’età
classic a dove era solo causa). Quanto alla forma per essere valida bisgnava produrre
un odcumento dove la si certificava solo quando l’importo era rilevante. La legge
cincia non fu più ripristinata.

Le donazioni tra coniugi

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Si affermò nei deceni successisivi alla lex cincia il divieto tra donazione tra coniugi.
Sembra che esso non abbia avuto origine legislative ma che abbia avuto radice nei
mores. Nemmeno i classici dimostravano di intendere la ratio di questo veto e ne
cercarono di intendere le regioni fallendo miseramente.(FA ridere pensare che questo
veto è stato portato fino al codice civile del 1942 ma è stato poi definito
anticostituzionale nel 1973). Il principio è invece da ricercarsi nei matrimoni sine
manu, ove le donazioni tra coniugi non sarebbero rimaste nella stessa familia ma i
possedimenti spettavano legislativametne alle famiglie della donna o dell’uomo se
alieni iuris. Ebbe quindi il precetto di tutelare gli interessi del familia,e di mantenere
stabili gli equilibri di potere delle grandi famigle che avevano forte infulenza politica e
sociale nella roma medio e tardo repubblicana. A differenza del lex cincia il divieto di
donazione tra coniugi comportava la nullità dell’atto. Talchè la macipatio così come le
stipulatio donatis causa risultavano nulle. Circa l’estensione del divieto si deve notare
che l’idea di donazione diversa che negli altri casi,sicchè si considerò donazione solo
ciò che comportasse un effettivo impoverimento di un coniuge e conseguente
arricchimento dell’altro. D’altro canto non furono esclusi i doni di piccolo valore,specie
se in occasione di particolari ricorrenze nonché i beni necessari nella vita quotidiana.
Furono altresì consentite le donazioni mortis causa e quelle divortii causa perché
entrambe destinate ad avere i propi effetti dopo il termine del matrimonio.
Nulla vietava peraltro che il coniuge donante disponesse per testamento in favore
dell’altro coniuge ciò che già gli avesse doanto in vita. La donazione veniva esercitata
impedendone agli eredi la revoca dovette avere notevole diffusione in epoca classica.
Un senatoconslto definito orartio antonini stabilì la conferma delle donazioni tra
coniugi non revocate in vit dal coniuge se esso non avesse mutato volontà in vita.
Giustiniano rese efficaci le donazioni propter nuptias ossia quelle tenutosi durante il
matrimonio.

La donazioni mortis causa


Largamente testimoniata nelle fonti è la prassi per cui un soggetto ritenendosi per
ragioni di salute o di condizione (guerra).Quest’ultimo donava una cosa al donatario
trasferendone la propietà. La causa donandi in questo casi si andava ad integrare con
la causa mortis,creando così la donatio mortis causa. Si affermo secondo la scuola
sabinia che il sopravissuto alla malattia e quello che tornava la guerra aveva accesso
alla condictio in quanto la causa della donazione era andata a mancare. Il donante
preferiva se stesso al donatario, e il donatario agli eredi. Uguale regime si adottò per
l’ipotesi di donazione reale, puer essa classifacta mortis causa effettuata a
prescindere da pericoli imminenti,nel caso in cui il donatario fosse premorto il donante
avrebbe avuto la condictio per la ripetizione del donante. Non mancano donazioni
mortis causa con l’aggiunta di condizioni sospensive da realizzare all’effettiva morte
del donante. Questo era possibile solo per res nec mancipi, in quanto per trasferire la
propietà di res mancipi serviva la mancipatio e non la traditio, e in quanto actus
legittimo non accettava la presenza di condizioni. Mancata la condizione pertanto il
donante ancora propietario avrebbe avuto la revendicatio per riprendere a se il bene.
Il risultato pratico delle ddonazioni era simile a quello dei legati, che vennero
addirittura “quasi parificati” da Giustiniano,E infatti nell’intentio delle donazioni mortis
causa vi era il precetto che non si aggirassero veti tipici dei legati.

9 Le successioni mortis causa

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Il fenomeno della successione


Con successio,successio in locum e in ius si fa riferimento alla trasmissione delle
posizioni giuridiche soggettive,sia dal lato passivo che da quello attivo.CHitrasmette è
il dante causa,chi riceve è detto successore o avente causa. Il fenomeno riguarda
principalmente propietà crediti e debiti.
La successione può essere a titolo universale o a titolo particolare. Si definisce
universale la successione per cui taluno subentra per l’intero o in quota nel patrimonio
unitariamente considerato e non necessariametne definito nei suoi elementi
costitutivi, ed entra in possesso di posizione giuridiche soggettive che facevano capo
ad un altro soggetto.
La successione a titolo particolare quando taluno subentra al posto di un'altra persona
in singole determinate posizioni giuridiche successive.
La successione può avere luogo inter vivos o mortis causa. Il nostro diritto come
successione universale è presente solo nella causa di morte. A rome invece le
successioni universali inter vivos, come ad esmepio l’adrogatio,la conventio in manum
di donna sui iuris. Iure praetorio invece la bonorum venditio.

La successione universale mortis causa secondo il ius


civile. Concetti e principi fondamentali. La delazione
ereditaria
Secondo il ius civile asuccedere mortis causa a titolo univeresale erano gli heredes. Il
complesso delle situazioni giuridiche soggettive che facevano capo al defunto era
definito hereditas. L’acquisto dell’hereditas presupponeva la chiamata all’eredità: In
termini tecnici la delazione ereditaria. Era lo stesso momento della morte
dell’ereditario. La delazione poteva essere testamentaria o legittima.(ab intestato).
Intestata era la persona che non aveva fatto testamento. Le leggitmità non faceva
riferimento alla lex comiziale ma nel suo precetto più ampio. Succedevano
legittimamente anche gli eredi non inseriti nel testamento ma nepuure diseredati. Una
volta deferita l’eredità il chiamto diveniva heres automaticamnte e necessariamente
per il fatto stesso dell’avvenuta delazione e dal momento di essa. Di qui la distinzione
tra heredis voluntari e necessari. Necessari erano tutti i sui,ossia le persone non
diseredate che subivano la potestà o la manus del defunto. Ovviamente non si poteva
avere allo stesso tempo eredità testamentaria e legittima:O si faceva il testamento o
non lo si faceva. Talchè se uno degli eredi testamentri rifiutava l’eredità essa non si
allargava agli eredi ab intestato ma si ampliava agli heredi testamentari una quota.
Altro principio del ius civile era quello dell’intrasmissibilità agli eredi della delazione
ereditaria. Comportava che se la persona chiamata alla successione moriva prima di
avere accettato,la delazione non passava agli eredi. Questi avrebbero acquistato il
patrimonio già proprio del dante causa ma era loro preclusa la possibilità di
accettare,e quindi acquistare quell’hereditas che l’ereditando non aveva ancora
aquistata. LA regola subì pochi derogamenti in età classica infatti venen stabilito
solamente che essi avrebbero potuto accettare solo nel caso in cui non fosse
imputabile al chiamato all’eredità il fatto di non averla accettata tempestivamente.
Con giustianiano si andò oltre e si stabilì che fosse possibile acquistare l’eredità in sua
vece. La delazione ereditaria era a fortiori intrasmissibile inter vivos. Non rappresento
una era e propia eccezione l’in iure cessio hereditatis, nel qual e l’ab intestato

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volontario prima ancora di avere accettato cedevva ad altri l’eredità che gli era stata
referita. Il cessionario allora acquisiva automaticamente la qualifica di ereditario.
Cadde in desuetudine in post classica ma rimase nel corpus iuris.

Ereditando ed eredi:Capacità
Ereditando ed eredi,trasmettendosi diritti soggettivi a loro carico,non potevano non
essere in possesso di capacità giuridica: Dovevano essere persone libere,romane e sui
iuris.Alla successione ereditara peraltro potevano essere chiamati anche nascituri
postumi alla morte dell’ereditando al patto che concepiti prima della morte. L’acquisto
della qualifica di heredes era subordinato alla nascita. Questo principio venne
lungamente perfezionato nel tempo e si rese possibile istituire eredi o diseredare
nipoti ex filio e ulteriori discendenti nati dopo la perfezione del testamento caduti
sotto la potestas del testatore perché il genitore era premorto o uscito dalla familia.
Per la successione ab intestato la capacità giuridica in capo all’ereditando doveva
sussistere in tempo di morte,quella in capo agli eredi al tempo della delazione e per
gli eredi volontari pure al tempo dell’accettazione e doveva poi sussistere
ininterrottamente dalla delazione all’accettzione. Se il civile era caduto in captivitas
poteva accettare validamente l’eredità tornato in patri con ius postlimini.
Testamenti factio indica sia la capacità di fare testamento sia la capacita di acquistare
come eredi in forza di testamento.
La testamenti factio attiva: Presupponeva sia la capacità giuridica sia quella di
agire. La capacità giuridica doveva permanere dal momento della perfezione del
testamento sino al momento della morte. La capacità di agire solo al momento della
perfezione del testamento. LA capcità di fare testamento dai tempi di adriano fu resa
possibile per le donne sui iuris intellettualmente capaci ed era invece negata agli
impuberi e i prodigi. Al furioso era resa possibile in un momento di lucidità.
La testamenti factio passiva: Presupponeva la capacità giuridica che a parte il
caso dei postumi doveva sussistere sia al tempo della perfezione sia al tempo della
delazione. Per gli eredi volontari doveva esistere anche al tempo dell’accettazione. Le
regole ricordate non riguardavano ne i filii familias immediatamenti soggetti alla
patria potestas ne i servi manomessi dal testamento: essi avrebbero acquisito
capacità giuridica al tempo della morte. Schiavi e filii familias altrui potevano essere
istituiti eredi perché con l’accettazione che si compiva dietro iussum dell’avente
potestà acquistavano al proprio dominus.
Le conseguenze giuridiche dell’incapacità di trasmettere e ricevere mortis causa
erano diverse a seconda dei casi. In difetto della capacità giuridica in tempo di morte
l’ereditando non avrebbe avuto posizioni giuridiche da trasmettere. Sicchè neppure si
dava luogo a successione. Se l’incapacità di agire o l’incapacità giuridica sorgeva al
momento della perfezione del testamento esso sarebbe stato nullo e l’eredita
trassmessa ab intestato.Quanto alla capacità di essere heredes i capaci non avevano
diritto ad alcuna delazione,di nessun tipo. Se un incapace era istituito erede era
chiamato all’eredità un eventuale substitutus. Se si trattava di testamento per quota
esso si alzava ai coeredi testamentari.

Capacitas e legislazione caducaria


La legislazione augustea fece alcuni approfondimeti per quanto riguarda la capacitas
delle persone che avrebbero dovuto succedere ex testametno. Stabilì per i non

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capaces un regime diverso da quello dell testamenti factio. Con la lex papia poppea et
iulia si negò ai caelibes e agli orbi la capacità di acquistare la capacità per
testamento:Completamente per caelibes e per metà agli orbi. Nel caso dei caelibes la
capcità giuridica poteva essere acquistati anche cento giorni dopo la morte del
testatore. Quello non acquistato dai non capaces andava in primis ai coeredi con
famiglia,poi ai legati con famiglia e infine all’aerarium popolo romani,quantità definita
anche come caduca. Per la persecuzione si diede la caducarium vendicatio nel
processo extra ordinem. Il ius antiquom continuò a intervenire normalmente in tutte le
altre situzioni. Caracalla cerco di volgere il caducum solo verso lo stato,ma l’influenza
cristiana insieme a giustiniano abolirono questa lex.

L’indegnità a succedere
Sin dai tempi del principato senatoconsulti e costituzioni imperiali andarono a
sanzionare le persone ritenute indegne di acquistare un eredità.Gli indegni avevano lo
iure hereditario ma quello che gli spettava veniva rivendicato extra ordinem
dall’aerarium populi romani,da etàà classica avanzata dal fisco.(Con le modalità della
cadocorum vendicatio). Gli indegni restava eredi anche dopo l’azione dello
stato,perché la condizione di eredde non cessava mai. I casi di indegnità erano vasti:
Omicidio dell’ereditando,chi sollevava controversie sullo status di esso o sulla
veridicità del testamento,rei d’adulterio e stuprum.

Gli eredi necessari e gli eredi volontari.L’acquisto


dell’eredità
Gli eredi necessari: Gli heredes necessari erano quelli definiti sui gli schiavi dal
dominus manomessi nel testamtento e nello stesso testamtento istituiti eredi. Si
dissero necessari perché diventavano automaticamente e necessariamente eredi con
la morte dell’ereditando senza che occoresse atto di accettazione e senza possibilità
di rinunziare.
I sui heredes erano quindi i famigliari più vicini. Gli stessi che con la morte
dell’ereditando avrebbero acquistato lo stato di sui iuris. Poteva trattarsi sia di ab
intestato o di eredi testamtentari. Solo le persone di sesso maschile avrebbero potuto
avere heredes sui.
L’acquisto della qualità di heres comportava l’acquisto dell’attivo ereditario così come
il passivo ereditario. Potev accadere che i debiti fossero più dei crediti,e costituissero
così un’eredita damnosa. Poteva addirittura subire bonorum venditio,con proscriptio e
conseguente infamia. Dall’ultime età repubblicana intervenne il pretore concedendo il
beneficium abstinendi che giovava al suus che non avesse compiuto alcun atto di
gestione su una determinata eredità,e che comunque nessun atto dimostrava di
volerla mantere . Così facendo egli non avrebbe avuto proscriptio a suo nome.
Avrebbe avuto luogo a nome del pater familias defunto rendendone ignominiosa la
memoria.
Spesso per il timore di ciò si manometteva uno schiavo nel testamento istituendolo
come erede. Egli non godeva quindi però del beneficium astinendi,e non avrebbbe
potuto evitare proscriptio e infamia. VArebbe ottenuto se possibile e sufficiente la
bonurum venditio.
Gli eredi volontari: Chiunque non fosse erede necessario e fosse chiamato alla
eredità diveniva erede volontario. Furono anche definiti heredes extranei. Non

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appartenevano alla famiglia proprio iure dicta. Essi acquistavano l’eredità dopo averla
accettata.
L’accettazione: Poteva essere tacita o espressa. Avveniva se espressa mediante
cretio,se tacita mediante pro herede gestio. La cretio era uno degli actus legitimi e
aveva carattere formale.
LA cretio era un actus legittimo e ebbe origine nell’ambito testamentario in cui il
testatore istituiva che il testamentario dovesse accettare entro un certo termine,e che
accettasse nella forma del cretio. Il ricorso alla cretio era necessario solo se imposto
dal testatore.
LA pro herede gestio invece consisteva nel compimento di atti di gestione del
patrimonio del defunto che implicitamente sanciva l’idea di accettare. Si ritenne pro
herede gestio anche lì’implicita idea di accettare durante l’età classica. La cretio
cadde in disuso in postclassica.
L’accettazione dell’eredità non tollerava ne condizioni ne termini di alcun tipo.(LA
cretio in particolare per la sua natura di actus legittimo),doveva essere effettuata
personalmente,e non poteva essere compiuta validamente prima della
delazione(quindi in nessun caso prima della morte.) L’aditio prima della delazione era
senza effetti. Se non vi era imposizione di cretio l’erede erea libero di adire l’eredità
senza particolari limiti di tempo. Il pretore tuttavia nell’interesse degli altri eredi
poteva dare un termine normalmente di 100 giorni.
La rinunzia: Ecco quindi che il chiamato all’eredità avrebbe potuto non accettare.
Poteva far trascorrere il tempo necessario all’accettazione oppure negare
espressamente l’eredità. Non v’era alcuna forma. Andava però fatto.
L’eredità deserta: Con la morte dell’ereditando senza eredi necessari e senza che
nessuno accettasse di riscuotere il patrimonio l’eredità era considerata giacente,e
quindi passibile di usucapio pro herede. Il pretore avrebbe potuto nominarne un
curatore. Con ripudio da parte degli eredi volontari l’eredità andava deserta. In quel
caso gli eventuali creditori potevano immettersi nell’eredità e eseguire bonurum
venditio per soddisfare i propi debiti,infamando la memoria del defunto.
L’acquisto ereditario.semel heres,semper heres.: Con l’accettazione dell’eredità
si diventava automaticamente heres,qualifica indivisibile dal soggetto una volta
affibiata.
LA fusione dei patrimoni di ereditando ed eredi.Rimedi: Come sappiamo
l’acquisto della successione non era solo nell’attivo ma anche nel passivo. Questo
avveniva grazie alla fusione dei due patrimoni., Poteva accadere che l’hereditas fosse
damnosa,ma è ovvio che gli eventuali eredi volotnari sapendolo avrebbero potuto
rifiutare di farsene carico. I creditori sarebbero allora intervenuti sul patrimonio del
defunto. I classici però ripudiavano questa pratica ed escogitarono alcuni rimedi
Uno era il pactum ut minus solvatur secondo il quale prima di accetare i chiamati
all’eredita convenivano con i creditorei che avrebbero pagato solo una parte
percentuale dei debiti del defutno. Avrebbero fatto valere ciò conexceptio pacti
conventi.
Un altro espediente era l’additio mandato creditorum. I chiamati adivano l’ereditò
dietro mandato dei creditori ereditari. Così se costretti a pagare oltre l’attivo ereditario
si sarebbero srivalsi con l’actio mandati contraria.

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Giustiniano introdusse il benficium inventarii, secondo il quale l’erede che non avesse
ancora accettato e che avesse stilato una lista del valore del patrimonio del defunto
enntro due mesi sarebbe stato considerato accettante ma non oltre il valore dei
cespiti ereditari. In alcuni casi inoltre poteva essere l’erede ad essere iberato di debiti
e per questo motivo impossibilitato a pagare quelli del defunto. LA rivalsa di questo
pregiudizio spettava ai creditori che si immettevano nel patrimonio personale
dell’erede e procedevano per bonorum venditio.

La hereditas
La hereditas dai giuristi romani era considerata universitas,formata da unità in corpo e
in iura,e come tale soggetto definito passibile di bonorum venditio. Universitas ossia
che come le corporazioni poteva perdere o cambiare unità ma restava comunque
uguale a se stessa. Un complesso unitario di autonoma considerazione e quindi
passsibile di in iure cessio hereditatis e di usucapio pro herede. Chiunque diventasse
heredes concepiva ssu di essa lo ius hereditatis,un ius classificato tra le res
incorporales. Essa comprendeva anche situazioni soggettive come crediti o debiti.
Non entravano a far parte dell’eredità del titolare le potestà familari e nemmeno
tutela e cautela. Passava per converso agli eredi il mancipium sui filii familias altrui. La
potestà dei servi si trasmetteva insieme al dominium. IL possesso invece era
considerato res facti ma veniva automaticamente tramandato agli heredes necessarti.
Non così avvenne per gli eredi volontari per i quali non si potè prescindere da un atto
di presa di possesso. Una volta preso però veniva considerato come direttametne
ereditato dal testatore in virtà di successio possesionis. All’erede potevano fare capo
ius che non si estinguevano con la morte ma che venivano trasmessi ai più stretti
familiari,ossia sacra familiae(culto delle dvinità domestiche) e allo ius sepolcri(Res
religiosa utilizzata per la sepoltura.)

La hereditatis petitio
L’azione specifica a tutela dell’eredità era la hereditas vendicatio o anche detta
hereditas petitio. Nella legis actio sacramenti in rem la solenne dichiarazione di
appartenenza a sé che ciascuna delle parti pronunziava non veniva riferita a una cosa
determinata ma all’intera eredità. AL posto dell’eredità vi era ssimbolicamente un
ocmponente di essa.A giudicare erano i centumviri. Dalla prima età preclassica si
risolse con l’agere in rem per sponsionem,e dal processo formulare si agì con formula
petitoria,simile alla rei vendicatio ma con l’eredità al posto della res. Fu esteso da un
senatoconsulto il campo di applicazione tra privati e pubblici(cadocurum). L’azione
spettava all’erede civile. Nella legis entrambi dovevano provare,in tutte le altre solo
l’attore.
Legittimazione passiva: Il principio espresso nei testi classici è che l’azione sia
esperibile contro chi possiede acnhe solo una parte dell’eredita. Chi assumeva di
essere erede era un possessore pro herede,chi non voleva esplicare la ragione del suo
possesso era definito pro possessore. Se il possessore invece si dava qualche titolo
particolare come pro donato pro dote allora si doveva agire per semplice rivendicatio.
Si stabilì grazie ad un senatoconsulto che chi era soggetto a hereditatis petitio doveva
consegnare tutti i frutti,anche antecedenti alla litis contestatio.(essi avrebbero
accresciuto l’eredità). Bisognava anche restituire ogni tipo di arricchimento ottenuto
grazie all’eredità. Giustiniano incluse questa azioen tra i iudicia bona fidei.

LA coeredità
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La situazione era più complessa di quella della compropietà in quanto non era un
singolo oggetto a essere conteso ma una serie di res e diritti non definiti,universits.
Ogni erede comunque avrebbe avuto una quota e aveva diritti e doveri analoghi a
quello del comproppietario sul bene comune. Le obbligazioni nate da queste
situazione furono definite da giustiniano quasi ex contractu.
Ius adcrescendi: In presenza di determinate circostanze alcuni candidati
acquistavano autmaticamente la quota di altri contitolari. Nell’eredità presupponeva
che uno degli eredi volontari per rinunzia o per impossibilità sopravvenuta decidesse
di rinunziare alla sua quota ereditaria. Si verificava allora un accrescimento delle
quote degli altri eredi. Che a rinunciare fosse qualcuno già erede era impossibile in
quanto era caratteristica definitiva. L’accrescimento della quota avveniva
automaticamente(ipso iure).
Non potevano rinunciare alle quote gli eredi necessari,in quanto non era richiesta loro
accettazione.
Lo ius acrescendi si derogava in 3 situazioni 1 quando trovava applicazione nella
legislazione caducaria 2 quando il testatore avesse nominato un substiutus 3 quando
il testatore avesse istituito che una determinata quota fosse già da suddividere
congiunatamente tra due o più individui. In questo caso erano solo lor ad arricchirsi.
Divisione dell’eredità: Per la divisione dell’eredità erano eclusi crediti o debiti
testamentari perché un preccetto delle 12 tavole stabiliva che si imputavano
direttamente ai coeredi a ciascuno in proporzione alla quota spettante. Così si seguiva
il regime delle obbligazioni parziarie nel caso di obbligazioni divisibili. Se indivisibili si
seguiva il regime delle obbligazioni solidali elettive. L’azione propia era la actio
familiae ercirscundae e prima del processo per formule la si afforntava con la legis
actio iudci postulationem. Il regime giuridico era molto simile a quello dell’actio
communi dividundo. Era infatti anche questo con aiudicatio. Il giudice pertanto
prestava la distribuzione dei cespiti in più lotti,tanti quante le quote ereditarie e
ognuno del valore il più possibile ecquivalente alla quota. Poi la ggiudicava mediante
aiudicatio.
Le divisioni delle eredità erano assai più complessi di quelli della compropietà perché
bisognava tenere conto della volontà dell’ereditando,del modus imposto,dei prelegati
restituzione della dote alla moglieetc..

La bonorum possessio
Un sistema di successione pretoria si aveva tramite la bonorum possessio. Inizialmete
la si utlizzò per rendere più agevole la tutela dello ius civile poi per ocrreggerlo.
Origini e tutela: Sembra che alle origini della bonorum possessio ci sia il momento
all’inizio di una lite nella legis actio sacramenti in rem nella quale si provvedeva
all’assegnazione a una delle parti del processo possesso provvisorio della cosa. Nel
contesto della formula petitoria il pretore avrebbe ancora concesso la bonorum
venditio ma con diversi criteri: Sorgeva il problema quando bisognava sapere chi fosse
chi fosse verametne legittimato ereditario, e dovesse quindi in quanto possessore
sostenere la lite nel più vantaggioso ruolo di convenuto. Ecco che allora il pretore
affibiava la bonorum possessio al più probabile erede o a quello che avesse offerto
maggiori garanzie per la restituzione in caso di soccombenza. Da tarda età
repubblicana tuttavia il pretore solitamente non concedeva più solo per agevoalre in
processo ma anche solo a chi per ragioni di opportunita era suggerito come erede del

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de cuius,ma anche in assenzie di controversie in corso. Così la bonorum possessio


perse la sua naturale origine di possesso temporaneo ma divenne istituto di diritto
sostanziale,nei loro editti i pretori indicava a quali soggetti dare la bonorum possessio.
La classifica rimase diversa dalla figura dell’erede in quanto iure paraetorià,incapace
di cancellare quella iure civile ma solo di impedirne nei fatti la realizzazione. Esso non
poteva quindi costituire posizione giuriddiche civili valide. Il pretore però assicurava
situazioni di vantaggio e di svantaggio analoghe. Il bonorum possesso era infatti
tutela dall’interdictum quorom bonorum per difendere il possesso delle res e con
l’abilità di poterle usucapire col tempo. L’usucapione della boorum possessio era
tutelato da un azione simile a quella publiciana. Quanto a crediti e debiti ai bonorum
possessores si davano strumenti di difesa uguali a quelli degli eredi.
Heredes e bonorum possessores: Secondo le previsioni edittali la bonorum
possessio era concessa a soggetti che erano al contempo heredis iuris civile. La
doppia qualifica li aiutava a difendere il possesso in quanto l’interdicta era molto più
rpido da applicare rispetto rispetto all’hereditats petitio. MA era pure possibile che la
bonorum possessio si desse a soggetti che non erano heredes.
Qual era allora il destino di questi poveretti se convenuti in giudizio con hereditas
petitio? Inizialmente avrebbero sempre perso,ma non si ritenne fosse una soluzione
equa. Si divisero così le situazioni in due istanze. Cum re,dove a primeggiare era il
bonorum possessor e sine re dove a primeggiare era l’heredes. (Si usava exceptio
doli.
Bonorum possessor loco heredis: Tra due bonorum possesso il pretore concedeva
medesima tutela. Furono poi infatti definiti successores in virtù di successo. La
formale distinzione rimanne nel fatto che il bonorum possessor succedeva loco
heredis,al posto dell’erede. Alla bonorum possesso si estese il regime della capacità
dell’hereditas.
Delazione: Verano due tipi di delazione,testamento legitimi o ab intestato. I
successibili erano si chiamati alla bonorum possessio per categoriee ma i per i
bonorum possessor la delazione aveva una durata limitata nel tempo.
All’appartenente di ciascuna categorie era dato un tempo limite per adempiere. Al
passare del tempo limite o al rifuto si sarebbe dovuti passare alla categoria inferiore.
Prima i testamtentari,poi gli ab intestato poi i legittimi e cosi via.Il tempo per l’istanza
della bonorum possessio solitamento iniziato dopo la morte del de cuius era di una
anno per i figli e i genitori e di cento giorni per gli altri chiamati.

L’acquisto:I chiamati alla successione pretoria erano tutti volontari. Bonorum


possessre non si era mai automaticamente ma solo dopo agnitio bonorum
possessionis. Il processo iniziava con petitio e il pretore avrebbe datio. Se
l’accettazione doveva essere fatta personalmente la petitio poteva essere fatta anche
attraverso rappresentante.
Diritto postclassico giustinianeo: Ai tempi di giustiniano venne meno la differenza
tra ius civile e honorarium. Si mantenne inizialmente la divisione tra heredes e
bonorum possesosor,ma poi furono quasi del tutto assimilate. Si poteva acquistare la
bonorum possessio anche solo tramite la semplice manifestazione di volontà. Il
bonorum possessor alla stregua del successore civile avrebbe subito ereditato il
dominium per via della perduta distinzione tra azioni civili e pretorie.

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La collazione
La collatio bonorum: Fu introdotta dal pretore. Alla bonorum possessio ab
intestato(sine tabuli e contra tabulas) il pretore chiamava innanzitutto i liberi. Nei
liberi rientravano sia i suoi si a i figli emanxipati. Menter gli acquisti dei suoi con la
morte del pater entravano a far parte dell’eredità quelli degli emancipati rimanevano
a loro. Questo non fu considerato equo e quindi il pretore decise di intervenire con la
collatio bonorum, che imponeva agli emancipati mediante cautiones ove il mancipato
prometteva una quota dei suoi beni personali a tutti i sui. L’emancipato poteva subito
trasferire i beni senza lugnhe promesse. Egli doveva effettuare collatio prima di
avvalersi dei benefici della bonorum possessio,altrimenti nulli.
Collatio dotis: Riguardava la figlia cui il padre avesse costituito dote alla quale
pertanto sciolto il matrimonio il marito e i suoi eredi avrebbero dovuto restituire i beni
dotali. Col risultato che se questi beni proveninenti dal patrimonio paterno si sarebbe
avvantaggiata in definitiva la figlia soltanto. Il pretore interbenne e addosso alla filia
sua che chiedeva la bonorum possessio di dovere stipulare delle cautiones a tutela dei
propi fratelli. Assunse doti di ius civile,quando l’obbligo fu inserito nell’actio familiae
erciscundae.
La collatio nel diritto post classico e giustinianeo: LA fusione tra hereditas e
bonorum possessio fece si che nella successione ereditaria assunse più signicato la
parentela di sangue in quanto tale. Inoltre i filii familias cominciarono ad avere sempre
più diritti ,rendendo non importante differenziarli dagli emancipati. Non occorre più
utilizzare quindi la collatio bonorum, Le collatio furono riunite in un unico istituto
definito collatio descendentium attuata sempre mediante cautiones. Giustiniano la
ampliò alla successione testamentaria. Si era tenuti in donazione per beni costituiti in
dote alla figlia o donati propter nuptias al figlio.
La successione universale ab intestato: La successione mortis causa poteva
essere ex testamento e presupponeva un valido testamento per avvenire.
La successione ab intestato presupponeva invece un testamento non valido oppure
uno valido ma iquali eredi volontari si rifiutassero di di accettare. Ecco allora che il
momento della delazione non sarebbe statao la morte dell’ereditando ma il momento
in cui non sarebbero venuti alla successioni gli eredi ex testamento. Analogamente
avveniva per la bonorum possessio. Trascorso il tempo i termini per l’agnitio della
secundum tabulas erano chiamati i sine tabulas e quindi i successibili pretori ab
intestato.

La successione ab intestato secondo il ius civile


A norma delle 12 tavole ,in difetto di testamento e in mancanza di heredes sui erano
chiamati glia gnatus proximus,in mancanza di essi i gentili.
Si crede che la successio ab intestato abbia preceduto quella testamentaria.
La successione dei sui Alla successione ab intestato erano chiamati innanzitutto i
sui,ossia le persone sotto la diretta potestà del apter che con la sua morte sarebbero
diventati sui iuris. Isnieme ai figli vi era la moglie cum manu e i nipoti dei figli
premorti. Anche i non nati ma già concepti alla morte avevano diritto all’eredeità. Ad
ognuno spettava una quota. Ai nipoti ex filio sarebbe stato dato quanto sarebbe stato
dovuto al padre. In mancanza di sui si passava agli agnati.

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La successione degli agnati: Gli agnati erano le persone libere discendenti in linea
maschile da un capostipite di sesso maschile,purchè il vinccolo non fosse stato
spezzato per capitis deminutio. In primo luogo fratelli o sorelle, e con loro madri e figli
rispettivi se con matrimonio com manu. Chè la madre filiae loco rispetto al marito
fosse stata considerata alla stregua di sorella rispetto ai suoi figli.
Gli agnati di ssesso maschile erano chiamati alla successione senza limitazioni di
grado,quelli di sesso femminile non oltre il secondo grado.(sorelle). Inolrte l’agnato più
vicino escludeva quello lontano,anche in caso di mancata accettazione. Non era
accettata succesio graduum.
Se vi erano agnati dello stesso grado tutti venivano alla successione per quote uguali.
Gli agnati erano eredi volotari. (capta non stirpi)
La successione dei gentili: Erano gli appartenenti alla stessa gens dell’ereditando.
Erano anch’essi eredi volontari;erano chiamati all’eredità solo in assenza di agnanti.
Cadde in disuso con la scomparsa delle gens in età classica.
La successione del patrono e quella del parens manumissor: IL patrono
succedeva alpropio liberto se questi morto senza testamento non avesse avuto sui
heredes. Lo stesso avveniva per il padre che emancipava il figlio,essendo la sua
posizione molto simile a quella del patrono.

La successione universale ab intestato secondo il diritto


pretorio
Il sistema successorio ab intestatio prima descritto apparteneva all’età arcaica.
Rigidamente patriarcale. Non solo non c’era successione per il sesso femminile ma
neanche tra la madre e i figli nei casi sine manu,inoltre spezzato il vincolo di agnatio
con l’emancipatio essi non erano chiamati alla successione naturale del padre e
neppure di fratelli o sorelle. IL pretore per correggere la situazione fece ricorso alla
bonorum possessionis sine tabulis. Le classi dei successibili a questa bonorum
possessio erano 4: Liberi,legitimi,cognati,vir et uxor.
I liberi erano costituiti dai sui,dai figli emancipati e da quelli dati in adozione ma già
sui iuris al tempo della morte. Se premorti o rinunzianti i loro discendenti. Tra più liberi
l’attribuzione aveva luogo per stirpi.
Nella classe dei legittimi i suscettibili erano gli ab intestato ex iure civili(Sui agnati
gentiles,ma i sui erano già presenti ei liberi) Le regole erano le stesse dello ius civile.
La classe dei cognati era costituita dai parenti di sangue in linea maschile e femminile
non oltre il sesto grado. Alla successione erano i parenti più vicini: solo se quelli più
vicini rifiutavano quelli più lontani erano capaci di fare richiesta per la bonorum
possessio. Era quindi ammessa la successio graduum.
Nella quarta classe unde vir et exor erano chiamati reciprocamente marito e moglie. I
Il parens manumissor fù inserito nei legitimi.
Madre e figli erano ancore nei legittimi solo se la madre era cum manu,altrimenti
sarebbero addirittura finiti nella classe dei cognati,dopo quindi lo zio paterno o il
nipote ex fratre.

I senato consulti tertulliano e orfiziano

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A migliorare la situazione tra madre e figlio ci pensò il senato consulto di tertulliano


che stabilì la mdre succedesse ab intestato al proprio figlio. Doveva trattarsi di donna
con is liberorum. Alla madre erano comunque preferiti i figli del defunto, il padre e i
fratelli legato con vincolo di agnatio.
IL senato consulto di orfiziano chiamò i figli a succedere alla propia madre prima di
chiunque altro.
I senatoconsulti erano fonte di ius civile e questo classifico madre e figli eredi
civili,seppur sempre volontari,e permettavano la bonorum possessio ab intestato
nellla classe dei legittimi.

La successione intestata in età postclassica e


giustinianea
Durante l’età postclassica gisutinianea si fecero diverse riforme per quanto riguarda il
sistema della successioni. Si assimileranno hereditass e bonorum posessores,gli
agnati vennero dapprima parificati ai cognati e poi eliminati da giustiniano. I parenti
femminili si assimilarono a quelli maschili. Si indebolì la posizione del patrono e dei
suoi discendenti. Giustiniano istituì4 nuove classi:
-Figli e discendenti
-Genitori e fratelli o sorelle germani
-Fratelli o sorelle unilaterali
-Ulteriori parenti di sangue

L’ereditaà vacante
Nel caso in cui non ci fossero ne eredi ne bonorum possessores l’eredità era definita
vacante. I creditori erano liberi di effettuare esecuzione sui beni ereditari ,e se
nell’eredità non vi fossero stati debiti sarebbe stata devoluta all’erario e dopo quindi
al fisco. Dall’età post classica invece i beni andavano nelle comunità di
appartenenza(esercito).

Il testamento
La chiamata all’eredità e alla bonorum possessio poteva aver luogo in forza di
testamento. E la delazione ex testamento prevaleva su quella legittima o ab intestato.
Il testamento era un atto unilaterale,mortis causa,personalissimo,revocabile fino
all’ultimo istante di vita. Era un atto complesso che prevedeva diversi atti
negoziali.Istituzione di erede,legati,manumissioni e altro. L’istituzione di erede non
poteva mancare pena nullità dell’atto.
L’uso di testare ebbe a roma larghissima diffusione,considerato conforto per la morte.
Testamento deriva da testimoni,e in effeti tra le formalità richieste vi era la presenza
di testimoni.
Il testamento civile: La prima forma di testamento riconosciuto fu quello civile.
Anche definito testamentus clatis comitiss. Era un atto formale che si compiva
oralmente dinanzi ai comitia curata che assumevano funzione di testimonianza. IL
testatore dichiarava solennemente le propie volontà. E pensabile che lo si utilizzasse
inizialmente solo per istituzioni ad heree.

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Poco più recente era il testamentu procintu . Con esso si volle tutelare l’interesse dei
miltari che testavano in mezzo all’esercito romano pronto alla battaglia. Erano così i
compagni i testimoni.
Gaio ci suggerisce che ai suoi tempi questi erano ormia caduti in desuetudine.
Assai più comodo era l’impiego della mancipatio,macipatio familiae prima e
testamento per aes et libram dopo. Escogitati dalla intepretazione pontificale per
consentire di testare chi non fosse in tempo per i calati comitia(Si riunivano due volte
all’anno) o non facesse parte dell’esercito. In tal modo inoltre anche le donne
potevano testare.
La mancipatio familiae era un negozio fiduciario. Con essa il testatore trasferiva il
proprio patrimonio ad un amico fidato definito anche familiae emptor. Al contempo
alla mancipatio era aggiunta una lex manipi che indicavva a chi devolvere i vari
cespiti ereditari.
LA mancipatio familiae subi poi una profonda trasformazione e divenne testametno
per aes et libram. Si compivanella maniera seguente: Si eseguiva comunque
mancipatio della propia eredità al familia emptor e questi nel affermare la propietà a
se recitava una complessa formula dalla quale traspariva la fittizieità
dell’affermazione di trasparenza. Da parte sua poi il testatore manifestava
solennemente le sue ultime volontà. La pronunzia orale era detta nuncupatio. Per
comperensibili motivazioni di privacy si smise però di enunciare le volontà nella
nuncupatio ma in essa era contenuta solo la volontà di voler testare e facesse rinvio
alle vere e propie volontà in tavolette scritte che teneva con se.
Ecco pertanto che il testamento per aes et libram a parte il rituale della mancipatio
dal quale non si poteva prescindere poteva essere compiuto tutto oralmente con
nuncupatio totale o in parte scritto con noncupatio parzialle o cosiddetta di rinvio.
A differenza della mancipatio familiae dove il familiae emptor acquisiva subito il
patrimonio nel testametno per aes et libram l’intervento del familiae emptor era
richiesto per mera formalità ad imitazione della mancipatio familiae. Il familiae emptor
non acquistava nulla che era del testatore neanche temporaneametne. Era con la sua
morte che il testamento per aes et libram avrebbe avuto efficace con la conseguente
delazione ex testamento.
Tutti i testamenti descritti erano iure civili.
IL cosiddetto testamento pretorio: L’editto pretorio prevedeva una bonorum
possessio secundum tabulas. Sappiamo che quest’ultima prevalesse sulla delazione
pretoria ab intestato. Ai fini della bonorum possessio secundum tabulas il pretore
esigeva un documento scritto chiuso e sigillato mediante contrassegno di sette
testimoni al quale doveva essere apposta la propia firma. Era quindi un testamento
per il quale si potesse prescindere da solennità orali. Per esso è uso di parlare di
testamentento praetorio. Il numero di testimoni,sette, ricalcava le formalità del
testamento per aes et libram. Li servivano 5 testimoni. Questo ci fa capire che il
testamento per aes et libram era valido iure civile e iure pretorio. Il pretore ne
avrebbe concesso inoltre la validità anche se con noncupatio totale.
Il testamento da età post classica: LA forma sino in età post classica più utilizzata
fu quella del testamentum per aes et libram con nuncupatio di rinvio. Costantino
sensibile alle istanzze provinciali e con ormai tutti i cittadini considerati come romani
grazie all’editto di caracalla del 212 decise di eliminare mancipatio e nuncupatio dal

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testamento per aes et libram al fine di velocizzare la procedura. Ancora importanti


erano i testimoni. Il testamento civile fu così praticamente assimilato a quello pretorio
salvo che per il numero dei testimoni(5-7). Sarà teodosio a dare la svolta finale in
meriito e stabili che bastava portare un documento chiuso davanti a 7 testimoni con la
propia firma, e dopo essi avrebbero firmato e imposto i loro sigilli.
Durante il basso impero erano in voga forme pubbliche di testametno,orli o
scritte,compiute dinnanzi ad un pubblico ufficiale oppure dinanzi al principe.
Particolare era il testamentum militis,successivo al procintu che permetteva anche ai
peregrini nell’esercito di fare heredits e i familiari avrebbero pure avuto diritto di
bonorum possessio secundum tabulas.

Il testamento,invalidità inefficacia e revoca


IL testamento veniva annulalto per la mancata osservanza delle formalità prescritte
durante la sua realizzazzione. Era pure inefficace in caso nessuno degli eredi
acquistasse ex testamento eredito o bonorum possessio. Era immediatamente
annullata per un vizio in se dell’atto. L’invalidità era generalmente totale. Un
testamento inizialmetne valido inoltre poteva essere colpito da invalidità per
sopravvenuta capacità del testatore o per sopravvivenza dei filius o per revoca.
Sopravvivenza dei figli: Il testamento perdeva validità soprattutto per sopravvenza
di un filius: più precisamente per sopravvenienza di un suus dopo la perfezione del
testamento. Poteva trattarsi di un discendete naturalale,di un figlio adottivo o di una
donna su cui si avrebbe avuto la manus. Poteva pure trattarsi di un soggetto nato
dopo la morte del testatore e che con la nascita avrebbe acquisito diretta potestà sul
figlio. In relazione ai discendenti naturali si parlò di invalidità sopravvenuta agnatione
postumi,in realzioni ai figli adottivi e alla mulier in manu di quasi agnatione proximi.
Non sarebbe diventato nullo se un eventuale discedente fosse stato in qualunque
modo rappresentato nel testamento..
La revoca: il testamento è un atto di volontà ed è revocabile fino all’ultimo istante di
vita. Iure civili tuttavia il testamento era revocabile solo attraverso un testamento
successivo,altrimenti il primo avrebbe continuato a produrre i suoi effetti. Il principio
non subì deroghe nemmeno per il testamento per aes et libram ove venivano ditrutte
o manomesse le tavole contenenti il contenuto del testamento. Essendo atto orale
sarebbe rimasto valido.
Diverso era il putno di vista pretorio:Pure un nuovo testamento avrebbe sotituito iure
pretorio il precedente,ma non si deve dimenticare che ai fini della bonorum possessio
serviva presentare un documento scritto al pretore chiuso con sigillo di sette
testimoni. Così se rotto il documento o danneggiato i sigilli il pretore dava la bonorum
possessio sine tabulas ab intestato. Si trattò inizialmente sine re poi cum re.
Giustiniano inolte diede efficacia anche alla pronunzia orale del testatore di revoecare
il testamento reso dinanzi ad apposito organo pubblico o dinanzi a tre teestimoni.

L’istituzione di erede
IL testamento poteva contenere disposizioni di diversa natura,ma la più importante
era quella dell’istituzione di erede. L’istituzione di erede e il fedecommesso universale
erano entrambe a titolo universale comportando per i destinatari successione in

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universum in ius,mentre le altre disposizioni davano luogo ad acquisto di determinate


posizioni,quidni a titolo particolare.
L’istituzione di erede poteva essere contenuta solamente in un testamento e ne
rappresenta il fondamento.
Caput: Il testamento iniziava e non poteva non iniziare con la hereditas institutio:
Quanto scritto prima sarebbe stato nullo. Se vi erano più istituzioni di eredità
andavano tutte indicate all’inizio. Questa reggola perdette ogni valore con giustiniano.
Fundamentum: Nessun testamento era valido senza l’istituzione di almeno un erede
in esso o se nessun degli eredi in essi indicato avesse riscosso l’hereditas. LA
mancanza di efficacia nella istituzione di erede annullava tutte le altre disposizioni.
Subi poche deroghe il principio e perarltoro di carattere marginale. L’istituzione non
solo doveva essere in termini espliciti ma anche in forma imperativa dapprima e dopo
con lì’impiego di iubere.
Ogni rigore formale per la heredis institutio fu abolito da costanzo. Egli sosteneva che
in quatno la volontà del testatore fosse inequivocabile allora ogni manifestazione di
volere istituire erede era da ccetare.
Potevano quindi essere eredi una o più persone: Ex asse se singolo per quota se in di
più. Anche gli eredi per quota però erano considerati universali.
La heredis institutio ex certa re: Siccome l’erede succedeva in universum ius era
impensabile che si istituisse qualcuno erede di certa re,ossia in un singolo bene. Era
quindi cosiderata inizialmente invalida questa sfaccettatura. I sabiniani intervennero
considerando inizilamente non valida nel testamento l’eredità certa res,ma chiesero
poi all’arbiter di considerarla valida durante l’actio familiae erciscundae.
Condizioni e termini:IL testatore poteva subordinare l’istituzione di erede ad una
condizione purchè sospensiva. Non erano invece accettate le scadenze di termini o
l’avveramento di condizioni risolutive. Non con termine iniziale per motivi di
opportinità e non con termine finale per via della qualifica sempiterna di erede. Se
queste dispozioni erano presenti erano considerate come non valide. Era in tal modo
fatto salvo il testamento probabilmente come ci insegna il buon favor testamenti.
La sostituzione volgare: Poteva riguardare ogni istituzione di erede. Era una specie
di condizione sospensivva. Se un determinato erede era premorto o in qualche modo
impossibilitato a percepire l’eredita il testatore poteva nominarne un sostituo volgare.
LA quota dell’erede andava a lui e vi erano più gradi di sostituti. Solo finiti i gradi si
procedeva con arricchimento per gli altri.
LA sotituzione pupillare: Presupponeva che il testatore istituisse erede un
discendente impubere che staba sotto la sua immediata potestas e cosnisteva nell’
istituzione di erede se l’istituito precedente dosse morto ancora impubere. Nominava
quindi un erede al propi erede. AAd esempio il nipote. Si derogò quindi il carattere
personalissimo del testamento.
All heredis institutio si potevano aggiungere modus,cretio e si poteva manomettere e
istituire come erede allo stesso tempo uno schiavo.

La successione necessaria formale


Secodno il ius civile: La giurisprudenza pontificale stabili che i sui heredes al fine della
validità del testamento vanno istiuiti eredi o diseredati.

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L’exheredatio comportava l’esclusione del suus diseredato dall’eredità. Anch’essa


come l’erede doveva erssere istituita in termini imperativi.
In materia si faceva uso distinguere tra sui ,ceteri sui e postumi sui. I primi erano i figli
mashci in potestate,i ceteresui gli altri sui heredes e i postumi sui sappiamo già chi
sarebebero stati. La diseredazione dei sui doveva essere nominativa mentre quella dei
ceteri sui anche non specifica. Giustiniano stabilì poi che andavano in ogni caso
nominati nel testamento.
A parte ciò la distinzione tra sui e ceteri era rilevanet anche ai fini delle conseguenze
della omissione. La praeteritio(omissione) di un suus comportava la nullità totale del
testamento,e si apriva la successione ab intestato. LA praeteritoi dei ceteri ssui dava
luogo a invalidità parziale: Avrebbe concorso insieme agli eredi testamentari per la
meta se extranei, per la quota che sarebbe stata devoluta ab intestato se erano sui.
Secondo il diritto pretorio: Dall’ultima età repubblicana in materia intervenne il
pretore: Correggendo ed imitando lo ius civile. Per il diritto pretorio la prima classe
successoria era rappresentata dai liberi ed erano i liberi che iure pretorio bisognava
rendere eredi o diseredare. Ai liberi praeteriti e insieme con loro eventualmente gli
altri liberi istituiti eredi il pretore dava la bonorum possessio contra tabulas nella
misura della quota ad ognune spettante iure pretorio ab intestato.
Il pretore distingueva liberi di sesso maschile e femminile: I primi dovevano essere
diseredati nominativamente,le femmine pure inter ceteros. Giustiniano poi in ogni
caso richiese la nominatività della diseredazione.
In merito alle sorti delle disposizioni testamentarie quindi bisogna distinguere tra
testamento in ius civile e pretorio. Nel primo se era praeterito un suss non era
valido,nel secondo si dava corso ad alcune disposizioni testamentarie. Non era
legittimato inoltre alla contra tabulas chiunque in qualche modo avesse dato seguito
alla volontà testamentaria.
Una speciale bonorum possessio contra tabulas fu istituita nell’editto pretorio in
favore del patrono in ordine al patrimonio del liberto senza figli naturali. Non era
inoltre tutelato solo formalmente,infatti sarebbe stato impossibile diseredarlo. Gi
spettava almeno metà patrimonio in ogni caso, Questo discorso è valido anche per il
pater manumissor.

La querela inofficiosi testamenti


Il sistema illustrato come pare ovvio non offriva grande tutela nella sostanza a parenti
stretti: sui ed heredi salvavano il testamento anche con una piccola quota,e potevano
essere diseredati senza particolari spiegazioni. L’unico a cui era fornito una qualche
forma di tutela era il padre del figlio manumissor morto grazie alla eventuale bonorum
possessio dimidiae partis. Fuori da questo caso mancava un sistema di successione
materiale atto a garantire una giusta porzione al favore dei più stretti congiiunti del
testatore,ossia un sistema che impedisse la loro rimozione dal testamento. La lacuna
fu colmata con la querela inofficiosi testamenti,che prese il via nel tribunali dei
centumviri,secondo i quali soltanto un infermo poteva escludere senza alcun valido
motivo un figlio dal proprio testamento,non facendo dovere quindi all’elementare
dovere di affetto. E come ricordiamo i furiosi non potevano fare testamento.. Si trattò
di un espediente prettamente difensivo,al quale però i centumviri,sensibili alla
coscienza sociale diedero corso. I testamenti finivano per essere dichiarati nulli dai

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centumviri per infermità di mente del tetatore , elargendo poi l’eredità via ab
intestato.
La querela era quindi una speciale petizzione di eredita con la quale il querelante
perseguiva la sua quota ab intestato. In età classica venne applicata nel rito della
congitio extra ordinem che andadva ad affiancarsi alle lefis acio. Essa era qquindi un
rimedio contro un testamento di persè valido,un rimedio funzionante solo nel ccaso di
ingiustifica diseredazione o anche l’elargire di quote inime. I soggetti attivamente
legittima alla querela inofficiosa furono in primo luogo i figli del tetstaore,poi i genitori
e indinine fratelli e sorelle. Non sarebbe stato facile però provare l’inoficiosità di un
testamento per fenitori o fratelli.(Non dimentichiamici che erea innanzitutto un
giudizio morale contro il testatore. Dalla querela era escluso il legittimato che avess
dato sefuito in qualche modo alla volonta del testatoer. Ne era pure escluso chi aveva
cosneguito almeno un quarto di quelllo che gli sarebbe spettato con ab intestatio. La
querela quando passava dava diritto alla piena quota ab intestatio. Passivamente di
regola erano legittimati gli eredi testamentari. L’aazione di querela doveva essere
esperita entro 5 anni dall’adizione dell’eredità da parte dell’erede. Peraltro in caso di
vittoria del querelante si davano misure di vantaggio per legatari fedecommissari e
servi manomessi. Durante l’età postclasssica si consolidò la legittimazione attiva dei
genitori e dei fratelli consaguinei. Dai tempi di giustiniano invce era mmesso alla
querela solo chi non avesse ricevuto nulla dal testatore. Chi aveva ricevuto qualcosa
in meno della portio debita era escluso dalla querela ma legittamato attivamente ad
un'altra azione definita actio ad implendam leegitamam. Sarà in favore di un terzo
della quota ab intestato. Giustiniano inolte rese obsolete la diseredazioni come
istituto in se e doveva essere infatti ogni voltamotivata, (Legittimari non possono
essere esclusi dall’eredità).

I legati
I legati erano disposizioni con le quali il testatore con intento di liberalità e in forma
imperativa attribuiva,sostanzialmente sottraendoli agli eredi singoli beni o comunque
singoli diritti soggettivi alle persone da lui stesso indicate. Vennero riconosciuti come
sappiamo dopo l’istituzione di erede,origine del testamento. Era dalle 12 tavole che
esse acquisirono la loro denomiazione e più precisamente dal vervbo legare. Era uso
diffuso a roma fare larghe donazione a favore di parenti e amici. Da qui intuiamo come
la giurisprudenza si sia mossa a difesa degli eredi.
I quattor genera legatorum: A seguito di un riflessione si individuarono 4 tipologie
di legato:
Il legato per vindicationem,che era traslativo di propietà o costituivo di servitù o
usufrutto. Aveva pertanto effetti reali. IL beneficiario quidni avrebbe dovuto fare
eventuale ricorso alla rei vendivatio,vindicatio usufructus o alla vindicatio servitutis se
necessario. IL legato per vindicationem quindi solitamente per oggetto aveva i beni
propi del testatore. Le parole usate erano do lego. Il legato per damnationem aveva
invece effetti obbligatori:con esso il testatore poneva carico dell’erede l’obbligo di
compiere una prestazione determinata di dare o facere. Si costituiva in tal modo una
obligatio la quale l’erede era il debitore,sanzionata dall’actio ex testamento. Pure
efficacia obbligatorio aveva il legato sinendi modo, anch’esso sanzionato con actio ex
testamento, e consisteva nell’erede a consetire di fare qualcosa di particolare al
legatario.Ad esempio,prendere il possesso di una cosa determinata. Con la presa di
possesso,non altro che una traditio si acquisiva la propietà di res nec mancipi e il
posesso ad usucapionem per le res mancipi. L’erede venne poi considerato in ogni

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caso obbligato a trasferire la propietà sichhè il legato sinendi modo fu ecquiparato a


quello per damnationem. Il legato pre praeceptionem per cui si esigeva
dell’imperativo praecipitio preceduto dal nome del legatario e dall’indicazione
dell’oggetto sanciva che in un caso di coeredità il nominato avesso ricevuto oltre la
quota spettantegli. Era un legato di propietà e doveva quindi avere ad oggetto solo
cose propie del testatore. Avrebbe avuto attuzione con aiudicatio in sede di giudizio
durante un actio familiae erciscundae. Venne poi parificato a quello per vindicationem
e quindi istituibile per persone diverse da coeredi.
Il senatoconsulto neroniano e l’unificazione dei diversi tipi di legato:
Capitava spesso che causa scarsa conoscenza giuridica testatori poco esperti
causassero invalidità di una disposizione. Nerone intervenne e stabilì che un legato
inserito in una classe invalida era da considerarsi come nella classe corretta e quindi
valido. In pratica riposte tutte nel legato per damnationem,quello con più largo campo
di applicazione. Ad esempio un legato di cose altrui disposte con legato per
vindicationem. L’imperatore costanzo nel 339 abolì l’obbligo di usare formule per i vari
legati,e bastava che la volontà del testatore fosse in qualche modo manifestata.
Sarebbe poi dipeso dalle circostanze se il legato avesse avuto effeti reali o obbligatori.
Si giunse quindi vicino ad unificazione dei tipi classici di legato che si realizzerà con
giustiniano. Egli riconobbe sempre effetti obbligatori ai legati,e talvolta bisognava
individuare se concorressero effetti reali. Di diede quindi al legatario una doppia
tutela,l’actio in rem e l’actio in personam.
I legatari: Anche i legatari come gli eredi dovevano avere la testamenti factio
passiva e pure vi si applicavano i regolamenti caducari. IL testatore poteva legare la
stessa cosa a più persone ,ognuna delle quali acquistava una quota. Di propietà per
cose reali di credito se per damnationem. Il testaore poteva disporre legati ancche in
favore di un coerede,e li si definisce prelegati. Il regime era uguale a quello dei legati
praeceptione.
Gli onerati: L’onere dei legati gravava ssugli eredi non però oltre l’attivo ereditario.
Nel caso di più eredi erà facoltà del testatore di porre il legalemento a carico di
soltanto un erede,fermo restando che in nessun caso il coerede onerato avrebbe
subito il peso oltre il valore della sua quota. Per la parte ecceddente i legati venivano
ridotti proporzionalmente nel caso limite di hereditas damnosa i legati erano
interamente nulli.
L’oggetto: Quali cose,diritti o semplici comportamenti potessero formare oggetto di
legato s’è detto a proposito dei singoli tipi. Poteva ad esempio esse la liberazione di
un obbligo da parte del testatore,potevsa essere la dote,oppure si faceva sciegliere
rta più cose con il legatus optionis.
Intepretazione:L’interpretazione delle volontà negoziale del testatore da parte della
giurisprudenza era sempre verso ciò che realmente avrebbe voluto il testatore in
segno di estremo rispetto per chi se ne è andato….
Gli elementi accidentali: I legati era liberamente apponibile ogni tipologia di
condizione o termine.
Il momento dell’acquisto: L’efficacia del legato dipendeva dall’acquisto dell’eredità
da parte dell’onerato. Sappaimo che l’erede necessario non aveva occasione di
rifiutare l’eredità,quello volontario si. Poteva inoltre accadeer che il legatario morisse
dopo la morte del testatore ma prima dell’adizione da parte dell’erede volontario:

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Questo comportava la perdita della cose o crediti dati in legato che non era
trasmissibile agli redi. La giurisprudenzza tappò questa falla stabilendo che il elgatario
avrebbe acquistato diritto al lascito e lo avrebbe trasmesso ai suoi eredi sin dal dies
cedens,intendendosi la morte del testatore.
Al dies cedens si contrapponeva il dies veniens, il momento a partire del quale il
legatario avrebbe potuto far valere i propi diritti. Coincideva solitamnte con l’adizione
dell’eredita da parte dell’erede onerato. Una voltaa che il legato per damnationem o
sinendi modo diveniva attivo il legatario acquisiva il credito,mentre per i legati reali
l’acquisto era immediato ma con facoltà di rinunzia,che in caso di collegatari dava
luogo ada ccrescimetno.
Invalidità inefficacia e revoca: Abbiamo già visto i casi di validit e invalidità. È utile
ora ricordare la regola catoniana che comportava che il legato invalido al tempo della
composizione restava invalido pure se la causa di invalidità cessava al tempo della
morte del testatore. Si fece eccezione per il legato sospensivamente condizionato. Il
legato poteva inoltre essere revocato con la revoca del testamento in cui esso era
contenuto,oppure con espressione contrarie a quelle adoperate per il legato,e da età
postclassica qualsiasi espressione che facesse intendere ciò. Si da età post classica
era stata tuttavia riconosciuta iure pretorio la revoca del legato liberamente
manifestata dal testatore dopo la definizione del testamento. Il elgato sarebbe stato
valido iure civili,ma si dava poi all’erede “onerato” exceptio doli contro il legatario che
agiva contra voluntatem testantis.
I limiti alla libertà di disporre mediante legati:Il costume comune di disporre
numerosi legati poteva portare a rimanere insodisfatti gli eredi necessari. La elx furia
testamentaria fissò a 1000 assi il valore massimo,la voconia stabilì che non potesse
superare ciò che restava agli eredi. Entrambe furono però revocate dalla lex falcidia e
che stabilì che non si potesse dare in legato per più di tre quarti dell’eredità
assicurando così un quarto agli eredi necessari.Se avesse ceduto di più i legati erano
ridotti ipso iure al limite stabilito dalla legge.
Giustiniano li ecquiparò ai fede commessi, e nei punti diversi prevaleva il regime dei
fedecommessi.

Altre possibili disposizioni testamentarie


Altre possibili disposizioni testamentarie erano la manumissio testamenti, ove si
faceva libero uno schiavo e spesso dopo esse vi era anche l’istituzione ad erede di
quest’ultimo e la tutoris datio,ove si individuava un soggetto che aveva lo scopo di
tutore verso figli o figlie(Tutore imbupberis tuore muliere)
Giustiniano poi stabilì che se uno schiavo era definito erede era allora implicita la sua
liberazione

I fedecommessi
L’uso diffuso di raccomandare informalmente i propi eredi o anche legatari
rimettendosi per il loro adempimento solo alla fides che compissero una determinata
prestazione in favore della persona indicata dovette certo trarre origine dal proposito
di molti di aggirare ostacoli e divieti del regime dei legati. Si parlò allora di
fedecommessi, Augusto li rese vincolanti per l’onerato legittimando il beneficiato a
promuovere le petitio fedecommissi secondo il processo extra ordinem. Essi avevano
pure effetto obbligatorio.

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La forma era libera,andava imposto in forma precativa e non imperativa ma


comunque libera puerchè non desse luogo a dubbi circa l’effettiva volontà. Potevano
essere disposti addirittura con un cenno di assenso. Era pure libera la formula per la
revocca. Il disponente poteva onerarne un erede,un legatario,un fidecommisario e
pure un erde ab intestato dato che prescindeva dall’esistenza di un testamento. Non
era inoltre necessaria la testamenti factio che la faceva preferire al legato.-
I Fedecommessi di libertà: Le prestazioni possibili erano analoghe a quelle dei
legati. Era infatti possibile manomettere uno schiavo. Lo schiavo da manomettere
avrebbe potuto appartenere oltre che al disponenete pure a un terzo. Era compito del
fedecommesso acquistarlo e manometterlo. La fedecomissione si annullava se il terzo
chiedva troppo o si rifiutava di vendere.
La sostituzione fedecommissaria: Un altro punto del regime dei fedecommessi
che merita attenzione e quella della sostituzione. Come nelle sostituzioni volgari si
potevano nominare diversi fedecommessi da sostiuire al primo nell’ipotesi che il primo
non acquistasse il lascito o morisse. In materia sia ccettò pure la cosiddetta
sostituzione fedecommissaria secondo la quale per cui il sostituto non acquistava al
posto della person indicata ma dopo di lei: Alla scadenza di un termine ,o dopo la
morte del primo fedecommissario, che quindi avrebbe dovuto sempre conservare
bene il bene oggetto.
Il senatoconsulto pegasiano e l’ecquiparazione dei legati ai fedecommessi:
Il senato consulto pegasiano estes ai fedecommessi sia i divieti di capre stabiliti dalla
legge iulie et papia sia dalla legge falcidia. Nel corso dell’età classica si andarono
estendendo ai fedecommessi alcuni precetti relativi ai legati. Accedde pure il
contratraio. Giustiniano li parificò.
Fedecommessi particolari ed universali: I fedecommessi particolari sono quelli di
cui ho parlato fino ad adesso. Erano simili a quelle dei legati.
Il fedecommesso universale: Per fedecommesso universale si intende la
disposizione di ultima volontà che fa carico all’erede di trasmettere ad altri dopo
averla aquistata l’intera eredità o una sua quota. L’erede avrebbe dovuto trasferire al
fedecommissario la qualifica di erede. MA essa era intrasmissibile,per cui ad essere
trasferiti erano i corpora hereditaria. Quanto ai crediti e ai debiti le parti procedevano
mediante specifiche stipulationes in modo che a doverli perquisire o pagare sarebbe
dovuto essere stato il fedecommissario.Il fedecommissario era legittimato a produrre
azioni a suo nome come se fosse erede e eventuali creditori dovevano rivalersi su di
lui.

I codicilli
I codicilli erano idonei come il testamento a contenere più disposizioni mortis causa.
Con la prola codicilli si indica un documento scritto e tante altre volte una lettera che
a differenza del testamento non richiedeva formalità nella sua composiizone. Vi diede
riconoscimento augusto insieme ai fedecommessi. Si fece innanzitutto differenza tra i
fedecommessi confermati e quelli non. Confermati erano quelli nominati nel
testamento,capaci di ogni disposizione tra la disposizione ad erede o la exheredatio e
quelli non riconosciuti invece solo fedecommessi. Erano considerati parti integranti del
testamento e ne condividevano le sorti. In età postclassica si inizio a fare confusioni e
si richiesero testimoni anche per i codicilli.

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