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Diritto Romano
1 Ius
Diritto
Cosa significa diritto?
Vi sono diverse correnti di pensiero, due per la precisione. Una normativa, una
istituzionale.
Per la prima il diritto consiste nell’insieme delle norme scritte, mentre nella seconda la
chiave di lettura istituzionale vede il diritto come l’organizzazione di una società in
tutte le sue sfaccettature, il modo di essere una collettività. Questo secondo modo di
intendere il diritto è detto dinamico.
Non tutte le norme, poi, sono diritto. La norma, per essere Giuridica deve essere
generale e astratta, indirizzata genericamente ad ogni componente di una società.
Deve essere inoltre anche Coattiva o suscettibile, cioè che possa essere imposta con
la forza.
IUS
Ius significa Diritto in latino.Noi lo chiamiamo diritto e non giure per via della
cristianizzazione che ha voluto il diritto appunto come “Giusta direzione”.
Ius a Roma poteva avere un valore oggettivo o soggettivo a seconda del contesto in
cui era utilizzato. (ius gentium, usufrutto poi però attualmente messo in dubbio ,visto
che ius forse indicava la situazione giuridica complessiva)
Poteva avere anche significato potestativo. (Sui iuris,alieni iuris.)
Indicava un luogo, “in iure” , davanti al magistrato.
Il significato più testimoniato è di diritto soggettivo e corrispondente obbligo.
IUS QUIRITIUM
E’la più antica qualificazione del ius. Diritto dei quiriti.
I quiriti erano una delle più antiche qualificazioni collettive della civiltà romana.
Qualificazione normalmente oggettiva.
Di formazione consuetudinaria.
Vi erano riconosciute posizione di potere su uomini animali o cose. “Questa cosa è
mia ex iure quiritum” poi dominium ex iure quiritium e poi propietà. Anche la patria
potestas, la manus e la mancipatio si basavano su di essa.
IUS CIVILE
Si qualifica ius civile perché riguarda i cittadini romani e loro soltanto.(cives)
Comprende al suo interno lo ius quiritium, ma è più ampio. Essa tutela ad esempio
situazioni come la Sponsio e quindi le obbligazione tra creditore e debitore. Il debitore
era vincolato alla ius civile attraverso l’oportere, ossia la necessità di quest’ultimo di
mantenere l’atteggiamento dovuto. Situazioni come servitù prediali e usufrutto erano
come le obbligazione previste e tutelate dallo ius civile,ma non da quiritium. Dal terzo
secolo avanti cristo, per ovvie necessità, anche ai peregrini venne concesso di dar
luogo ad obblighi qualificabili in termini di oportere.
Quindi, dal punto di vista della fruibilità, l’ius civile si estendeva solo ai cives,mentre
dal punto di vista degli effetti,cioè mediante tutela di azioni civili, le situazioni di ius
civile venivano qualificate in uno dei seguenti modi
-Ex iure quiritium: “Questa cosa è mia per il diritto dei quiriti”
-Iura : “A me spetta il diritto di usufrutto sul fondo Corneliano” (Usufrutto)
-Oportere “ Dico che tu mi devi cento”
Visto il duplice modo di essere inteso,lo ius civile va messo in relazione con:
a) Ius gentium: I negozi fruibili anche dai peregrini, diritto esteso anche ai non
cives
b) Ius honorarium: Nasce grazie all’intervento del pretore e di altri pochi
magistrati.Esso non tutelava ne riconosceva alcune delle azioni civili
precedenti,bensì da azioni pretorie. Il diritto onorario si contrapponeva a quello
civile,che comprendeva anche lo ius gentium. Sono diverse anche le fonti di
produzione del diritto,infatti quelle onorarie si basavano sullo ius
edicendi(editto),mentre la ius civile si basava sui mores e sulle leges.
Il ius honorarium
Si contrappone alla ius civile in senso lato. Ius in senso oggetivo. E’ generato
dall’attività creativa del pretore, o più in generale un magistrato eletto a carica
annuale. Quando scadeva il mandato del magistrato, il suo imperium veniva prorogato
e diveniva un governatore provinciale.Il pretore urbano nasce nel 3 secolo avanti
cristo con la leges liciniae sextiae. Aveva il compito specifico di “Dicere ius”. Vennero
istituiti anche gli edili curili,che si occupavano principalmente del lato commerciale. Il
praetor pelegrinus nasce dopo,nel 242 a.c. e si occupava di tutti i commerci che non
compredevano unicamente romani.Viene istituito per via dei sempre più imponenti
commerci.
I governatori provinciali nacquero solo dopo la prima guerra punica,per via del
maggior numero di territori da controllare.
Lo ius honorarium è indissolubilmente legato al processo formulare. La maggior parte
era emanato dall’editto del pretore urbano. Quelli degli altri pretori erano ricalcati
sopra quello urbano.
L’editto emanato durava quanto la stessa carica, e di solito non riguardava i cittadini.
Presentava un programma con tutti i provvedimenti. Poteva in alcuni casi utilizzare i
decreta e superare i limiti della sua produzione edittale. Nonostante durasse quanto la
carica,l’editto veniva solitamente rinnovato e rinforzato dai pretori successivi. Da qui
edictum tralaticum. Intorno al 130 d.c. Adriano ordinò il testo definitivo dell’editto, il
cosiddetto editto perpetuo. Vennè così meno la creatività del pretore. All’interno
dell’editto perpetuo vi erano dei mezzi di tutela giudiziaria di ius civile,dato che il
pretore era la voce della civiltà. Risulta quindi ovvio che non tutto ciò che era
nell’editto era ius honorarium. Ricordiamo infatti le 3 funzioni principali del pretore
Romano : AGEVOLARE L’APPLICAZIONE DELLO IUS CIVILE,COLMARNE LE LACUNE,
CORREGGERLO.
Tutto stava nel mantenere l’equità. Lo ius civile non era di persè iniquo, ma lo era la
sua applicazione. Non potendo bloccare lo ius civile, il pretore forniva strumenti per
paralizzarlo. Ad esempio l’exceptio, o ancora meglio tutelando la stipulatio. Non
negava formalmente le strutture,ma ne impediva l’attuazione, come per esempio in
caso di inganno. Lo ius honorarium era quindi come uno strumento si esterno ma
correttivo dello ius civile e quindi non del tutto estraneo.
Avanzando nel tempo, e con la scomparsa del processo formulare, queste due realtà
giuridiche si fusero tra loro, seppur nessun manoscritto lo abbia mai confermato
formalmente.
La leges e i plebisciti
Le lex in età arcaica erano designate da pronuncie orali e solenni. Si suddividevano in
Legis privatae: manifestazioni di volontà di privati nell’ambito di particolari negozi.
Legis publicae: Fonti di ius civile, collegate quindi,direttamente o non al popolo. Si
suddividono ulteriormente in
Leges datae: Leggi chieste dalla popolazione e delegate con una lex rogata ad un
magistrato affinchè le legiferasse. Una volta lette in pubblico dal magistrato,iniziavano
subito ad avere efficacia.La famosa legge delle 12 tavole fu una lex data al seguito dei
conflitti tra patrizi e plebei, scritte su bronzo,andarono perdute durante un rogo di
Roma. Non erano altro che Mores impressi su bronzo, ma che furono attentamente
tramandati,e considerati base del diritto.
Leges Rogatae: Leggi che per essere approvate richiedevano il consenso delle
assemblee popolari e del senato con la sua autorictas. Queste leggi erano lette
pubblicamente dal magistrato o dal pretore, che interrogava le assemblee. Esse
concernevano patrizi e plebei.
I senatoconsulti
Erano vere e propie direttive date ai magistrati dal senato,attraverso il consilium. Dal
primo secolo dopo cristo cominciarono ad intervenire nelle questioni di diritto privato,
creando così nuova ius civile. Infatti essa verrà chiamata ius novum,contrapposta alla
più antica ius vetus. Il senato prese posto quindi durante il principato sostituendo le
assemblee popolari.
Il senato tuttavia non decideva mai autonomamente,bensì non faceva altro che
eseguire e rendere ius ciò che il principe chiedeva tramite oratio,senza mai negare
neppure una volta.
del tempo , cognitio extra ordinem(nuova fonte), ove ogni funzionario era sotto il
diretto controllo imperiale. Occorre quindi considerare lo ius extraordinarium una
nuova forma di diritto oggettivo a se stante.
Con il decadimento della giurisprudenza alla fine dell’età classica,rimasero solo gli
edicta come fonte di produzione del diritto, mentre i rescripta, precedentemente una
delle fonti più prolifiche di diritto,persero importanza.
La giurisprudenza
E’ il risultato dell’interpretazione del diritto oggettivo secondo il quale si desumono i
risultati delle sentenze. A differenza da noi , a Roma la Giurisprudenza era una fonte
del diritto.
I primi giuristi a Roma furono i pontefici, custodi del diritto e della conoscenza. I
cittadini si rivolgevano a loro per conoscere lo ius da applicare. Essi avevano anche la
capacità creativa dell’interpretatio, che gli permetteva di guardare da diversi punti di
vista e quindi modificare e adattare i pochi strumenti a disposizione della ius civile ai
tempi. Alla fine dell’età arcaica, i formulari dei pontefici vennero resi pubblici, e la loro
figura perse senso rispetto ad una giurisprudenza più laica. Da quel momento in poi
anche i giuristi potevano emettere responsi qualificati, e successivamente investiti
dall’autoritas, che li poneva allo stesso livello del principe riguardo alla questione. La
loro autoritas finiva per influenzare anche i casi successivi e analoghi.
I giuristi ebbero successivamente anche un attività consultiva,consilium, alla quale
spesso si appellavano magistrati e imperatori.
Essi erano soliti avere produzione letteraria: Le institutiones,veri e propi manuali, o i
commentari ad quintum mucium ad sabinum,ad edictum e di casistica. I quintum
mucium e i sabinum erano incentrati sullo ius civile. Negli ad edictum il giurista
illustrava la materia dell’editto pretorio sistematicamente. Nelle opere di casistica
invece si elencavano e discutevano alcuni casi particolari. Ad esse faceva capo il
Digesto,solitamente molto ampio. Quinto mucio scevola scriverà poi il libri iuris
civil,prima opera scientifica a riguardo dello ius civile. Gaio scrisse un importante
manuale di istituzioni e Pomponio invece un importante manuale sulla storia del diritto
romano.
Dopo l’avvento del contratto ex fide bona e dello ius honorarium non si sentiva più il
bisogno di un interpretazione creativa come quella dei pontefici. La giurisprudenza
laica, per cui , non necessitava di trattare la ius come divina,bensì la trattava con
razionalità e considerandone le potenzialità. L’interpretazione da restrittiva a
espansiva, e spesso si applicava l’interpretazione analogica. Essi a modo loro
svolgevano quindi anche un interpretazione creativa, apllicando lo ius civile ove prima
non si poteva spingere,valutando i contratti razionalmente. Questi loro ampliamenti
erano fonte di diritto vero e proprio,classificato come iura dei popoli romani.
Nell’età post classica, il processo era addirittura definito tribunale dei morti, ove infatti
i giudici dovevano attenersi al giudizio dei giuristi più famosi, e se morti alle loro
opere principali. In caso di disaccordo tra due antichi giuristi vinceva la maggioranza,
in caso di parità papiniano, colui che scrisse l’editto perpetuo.
3 Il processo
Processo privato e diritto sostanziale
Il processo di cui ci occupiamo è quello privato. Intendiamo quindi le attività volte alla
manifestazione di un diritto soggettivo da parte di un singolo,soggetto privato, alla
quale manifestazione giuridica soggettiva attiva interviene un organo pubblico,in
specifico quello giudiziario.
Le norme processuali al giorno d’oggi sono considerate secondarie rispetto al diritto
sostanziale.
Il diritto sostanziale è l’insieme delle norme primarie che regolano i rapporti tra
cittadini. In esso hanno fondamento i diritti soggettivi. Quindi, se il diritto sostanziale
fissa le condizioni da rispettare affinchè un diritto soggettivo sia applicabile, una volta
verificatesi al titolare verrà assicurata la tutela giudiziaria. Poter fare vale le propie
ragioni e quindi diritti soggettivi è detto AZIONE.
Diritto soggettivo prius
Azione posterius
A roma vi erano diverse Actiones, ognuna capace di tutelare una particolare posizione
giuridica attiva. Ciò consegue che solo certe situazioni erano tutelabili,in quanto
doveva esistere lo strumento processuale adatto. Con l’avvento dello ius honorarium
grazie al pretore e al suo editto l’elenco delle azioni o strumenti giuridici capaci di
tutelare un diritto soggettivo aumentò considerevolmente. Le varie situazioni però
dipendevano sempre dallo strumento capace di tutelarle. (Mutuo conditio, si
recuperava solo quanto mutuato)
dovevano anche invocare dei testimoni che attestassero il rito, si parla quindi di LITIS
CONTESTATIO.
La fase apud iudicem si svolgeva dinanzi al giudice,di norma un privato cittadino. Era
chiamato arbiter se necessitava di avere competenze specifiche , iudex in caso
contrario.Nelle cause liberales o nellle controversie ereditarie erano chiamati come
giudici organi collegiali pubblici. Il giudice in generale si occupava di raccogliere le
prove ed emanare la sentenza finale.
Il formalismo di cui parlavo prima riguarda in realtà solo la fase in iure. Prima di un
precetto delle 12 tavole non era neanche necessaria la presenza di ambedue le parti
in questa fase. Bisogna infine osservare che le pretese azionabili con le legis actiones
erano le stesse dello ius civile. Non tutelavano quindi i rapporti di buona fede né
quella dei rapporti di diritto pretorio.
-Sponsio(Stipulatio)
-Divisione di eredità comuni
-Divisione di singoli beni comuni
Quando si agiva per stipulatio il rito era simile a quello sacramenti in personam.
L’attore doveva esplicare la causa della sua azione e doveva utilizzare certa verba
davanti al pretore, che nominava un iudex(nelle stipulatio) o un arbiter(Nelle
divisioni). L’organo giudicando si esprimeva direttamente sulla lite e non sul
sacramentum. Il convenuto quando gli veniva inizialmente manifestato l’oportere
poteva negare,senza rischi di infamia o pecuniari.
processo formulare per i litigi tra romani e non romani o tra non romani in suolo
romano. Un solo pretore presto non bastò più, e quindi venne istituito un praetor
pelegrinus, che aveva il compito di regolare i processi dei peregrini per formulas. Le
legis actiones vennero rapidamente abbandonate e messe da parte pure dai cittadini
romani per via del loro soffocante formalismo, fino a che vennero completamente
abolite nel 17 a.c. da Augusto.( tranne per le liti tra centumviri). La conseguenza fu
che al processo formulare vennero attribuiti effeti anche per lo ius civile, non solo più
honorarium, fino a divenire il processo privato ordinario per tutta l’età classica.Il
rapporto diritto soggettivo processo è evidentemente posto come processo a funzione
di precedente logico. Esso aveva un carattere unitario,un solo procedimento dove
potevano essere utilizzate diverse actiones. Ognuna di esse aveva una determinata
formula, e il loro numero era molto alto. Era diviso nella parte in iure e apud iudicem,
ma in entrambe le sezioni gli attori e i convenuti potevano esprimersi liberamente, e
inoltre le formule erano redatte per iscritto.
La in ius vocatio è ancora presente nel processo formulare, e consisteva nel chiamare
il convenuto in giudizio. Rimase pur sempre un atto privato, ma senza solennità
orale(certa verba) , l’attore doveva comunicare al convenuto quale azione avrebbe
portato in processo. Non si aveva più il diritto di portare il convenuto con la forza, ma
era bensì il pretore a garantire la presenza in processo:la sua “missio in bona” gli
permettava attraverso il suo editto l’immissione in tutti i beni del convenuto che si
rifiutava di presenziare in diritto.
Il vadimonium tuttavia è ciò che sostituirà velocemente la in ius vocatio,ove era lo
stesso convenuto tramite stipulatio a promettere all’avversario la presenza in
processo al giorno x. Questo lo sottraeva all’obbligo di seguire subito l’attore in iure.
Demonstratio: Indicava la causa o la fonte della pretesa indicata dall’attore. Non tutte
le formule la possedevano. Figurava per esempio nelle compravendite e nei iudici
bona fidei. Iniziava con quod. Poiche aulo agerio ha comprato il fondo da..
Condemnatio: Nella condemnatio si invitava il giudice a condannare il convenuto se
sussitevano le condizioni indicate nella formula. Essa non era la sentenza di condanna
vera e propia, anch’essa chiamata condemnatio,bensì ciò che ne permetteva
l’esecuzione. Doveva sempre essere espressa in denaro anche se l’attore aveva fatto
richiesta diversa. Questo già avveniva nella legis manus iniectionem. Se l’intentio era
certa, il giudice condannava per quanto indicato nell’intentio in termini di denaro. Se
la quantità non era indicata, il giudiceva doveva attraverso una aestimatio definire il
valore dell’oggetto in contestazione. Si valutava in base a quello che vale,che varrà e
ha valso. “sia giudice tizio. Se risulta che la cosa controversa sia di aulo agerio ex iure
quiritium,e la stessa cosa non verrà restituita ad aulo agerio arbitrio iudici,tu giudice
condannerai numerio negidio tanto quanto sarà il valore di quella cosa.” Nei furti si
condannava ad esempio al doppio del valore della cosa nel momento in cui è stata
rubata. Avolte era acocmpagnata da una taxatio, che stabiliva il limite di denaro
ottenibile, oppure da una beneficium competentiae secondo la quale non si puoteva
chiedere al convenuto più di quanto possedeva.
La aiudicatio: Stava solo nelle formule divisiorie e nell’azione di regolamento nei
confini. Il giudice aggiudicava ai partecipanti parti definite di quanto era oggetto della
divisione. Aveva efficacia costitutiva.
L’effeto ope exceptionis si aveva quando si era invece costretti ad effettuare una
exceptiones per portare in processo determinati fatti rilevanti. Ad esempio quando
qualcuno aveva promesso di non voler riscuotere un debito.
L’exceptio era giovabile solo dal convenuto. Poteva accadere che l’attore vanificasse
gli effetti dell’exceptio e quindi il giudice non dovesse più tenerne conto durante il
processo. Allora dopo l’exceptio si aggiungeva una replicatio che ne vanificasse gli
effetti.
Clausola arbitraria: anch’essa costitutiva della formula, generava actiones arbitrarie.
Procedure esecutive
Actio iudicati: L’attore vittorioso poteva accedere alla actio iudicati 30 giorni dopo La
nascita dell’obligatio iudicati emanata dal giudice apud iudicem. Era un’azione
dichiarativa,in personam. In essa, davanti al pretore il convenuto poteva ammettere di
essere tenuto. In quel caso il pretore avviava il processo esecutivo. Poteva anche fare
opposizione però, in 3 modi
1 Che la sentenza nei suoi confronti non fosse valida per i disparati motivi, senza mai
mettere in discussione il verdetto stesso.
2 Di avere già adempiuto ai suoi doveri
3 Che i 30 giorni non fossero ancora trascorsi.
Dopo una attenta analisi dichiarativa ,si arrivava ad una conclusione. Se il convenuto
avesse contestato infondatamente la pena decisa dalla obligatio iudicati sarebbe
stata doppia.
Rimedi pretori
Gli interdicta. Nascono nel processo delle legis actiones. Era qualcosa che il pretore
negava di fare o allo stesso tempo poteva essere un ordine a fare. Pur manifestandosi
in settore di interesse pubblico, rimasse prettamente emesso su domanda di un
privato verso un altro privato. L’interdictum aveva dei presupposti che ne
giustificavano la messa in azione. Se il convenuto avesse riconosciuto quei
presupposti,avrebbe dovuto obbedire. L’intimato poteva però opporsi a questi
presupposti, dando inizio ad una procedura di accertamento assai complessa. Furono
largamente utilizzati in materia possessoria,ed erano anch’essi tipici.
I due attori facevano due sponsio, dove ognuno prometteva di pagare una penale nel
caso che fosse falso o vero il presupposto dell’interdicta.
La in integrum restitutio: Comportava il ripristino di una situazione giuridica
precedente,atta dal pretore, per via di motivi di equità. Era lui stesso che accertava
che fosse possibile. Il pretore tuttavia non poteva rendere nulli gli effetti dello ius
civile, ma poteva neutralizzare quegli effetti senza poi veramente annullarli. Il giudice
era spinto dal pretore a comportarsi come se l’azione di ius civile non ci fosse stata
ma fosse stata sostituita da un'altra (fictio). (Esempio mancipatio-revendicatio
L’exceptio poteva anche ridurre la condanna. Gli effetti ipso iure vennero intesi come
verificabili d’ufficio. Le azioni in buona fede aumentarono molto di numero. La
differenza tra ogni azione processuale svaniva, e processo e diritto accquisivano la
loro autonomia.
Elementi accidentali: Eventuali elementi che i due attori decidono di inserire nel
negozio secondo accordo.
Invalidità
Il negozio nullo è si inefficace perché non produce effetti,ma non ha in se nessun
valore. Un negozio inefficace invece,può essere valido. Si pensi ad un testamento
prima della morte del suo scrittore.
Si dice nullo il negozio che via di un suo intrinseco difetto nasce morto. Si dice
annullabile il negozio che non nasce morto ma ammalato, e alcuni soggetti posso
porvi fine. Un negozio annullato diventa immediatamente inefficace anche
retroattivamente. Solitamente era il pretore con lo ius honorarium a porvi fine,ma nel
diritto giustinianeo già non si distingueva più dallo ius civile. Un negozio nullo era
trattato ipso iure come se non esistesse. Annche negozi di ius civile,potevano essere
annullati dal pretore per ragioni di ecquità,grazie ai suoi rimedi pretori. In realtà non lo
si annullava ne lo si rendeva inefficace,semplicemente se ne impediva la
realizzazione. Questo Quando il pretore utilizzava la denegatio actionis o l’exceptio
essi invece venivano ignorati quando utilizzava la bonorum possessio o la in integrum
restitutio. A stabilire l’annullabilità vi erano le famose 3 leges
1 Le leges perfectae, che stabilivano un divieto per i negozi che se realizzato ne
annullava gli effetti
2 le leges minus quam perfectae che non annullavano gli effetti ma sanzionavano i
trasgressori
3 le leges imperfectae che sancivano un divieto ma non sanzionavano ne annullavano
gli effetti del negozio.
Un ulteriore distinzione la si fa tra i negozi inter vivos, che sono destinati a produrre
effetti in vita del soggetto,(Mancipatio etc) o i negozi mortis causa,attivi solo dopo la
morte dell’autore(testamenti).
I negozi con effetto reale erano solitamente accompagnati da in iure cessio mancipato
e traditio, mentre quelli con obbligazioni erano definiti come contratti. Nei negozi con
effetti reali si possono individuare i negozi dispositivi, ove taluno aliena elimina o
comprime un proprio diritto. Tutti i negozi reali quindi sono dispositivi se visti dalla
prospettiva del soggeto che traferisce propietà etc.
La mancipatio
Trova fondamento nei mores maiorum,e viene riconfermata nelle 12 tavole. Era un
negozio ex iure quiritum,quindi di ius civile e quindi limitato ai cittadini romani. Era
uno dei gesti aes et libram (aes rame libram bilancia) ed era caratterizzata da certa
verba. Le parti erano il mancipio dans,colui che cedeva il possesso,il mancipio
accipiens,colui che lo riceveva, il libripens e cinque testimoni che dovevano essere
cittadini romani puberi. Era impiegato per il trasferimento della propietà in senso lato.
Si usava acnhe per “adottare figli”, emanciparli, o ottenure la manus sulla donna. Era
il mancipio accipiens a parlare,mentre il mancipio dans rimaneva in silenzio. Egli
riferiva che quella cosa era sua ex iure quiritium,in forza del metallo e della bilancia. Il
metallo era grezzo in antichità e diventava aes signatum(certificato) poco dopo.
La mancipatio solitamente trasferiva possesso e propietà dei beni mobili, e
inizialmente anche per gli immobili, dato che dovevano essere in presenza del
rituale( ad esempio effettuandola sopra un fondo),ma dopo , quando non era più
necessario avere il bene immobile durante la mancipatio starà al mancipio dans
consegnarne personalmente il possesso. Probabilmente la vendita era la funzione
originaria, ma viene successivamente sostituita per la compravendita,ove però, in
caso della vendita di res mancipi,comunque si effettuava la mancipatio. Trasferiva la
propietà,ed aveva pertanto effetti reali. Essa presenta inoltre diverse similarità con la
legis actio sacramento in rem, ove tuttavia qui è solo il mancipio accipiens a
parlare,cosciente che la propietà sarebbe stata realmente sua solo a rito compiuto. Il
formulario della mancipatio poteva essere integrato da legis mancipii,legis privatae
volti a limitare l’influenza della mancipatio.Sopravvisse per tutta l’età classica,ma
quando scomparì tra differenza tra res mancipi e nec mancipi non si senti più ragione
per il suo utilizzo.
La in iure cessio
La in iure cessio era un altro negozio formale precedente alle 12 tavole,ex iure
quiritium e quindi fruibili solo dai cives romani. Essa poteva essere utilizzata per il
trasferimento della propieta su res mancipi e nec mancipi, o per l’acquisto della
potestà nell’adoptio. Si compiva in iure,quindi davanti al pretore. Il
L’errore negoziale
La divergenza tra volontà può essere inconsapevole, e può accadere di dare un
significato diverso alla propia volontà rispetto a quello che realmente ha. Nei negozi
bilaterali si interpreta in maniera errata la volontà dell’altro,o comunque del valore
che l’altro gli ha dato, E Può ACCADERE PER SCARSA CONOSCENZA DELLA LINGUA.
Questo tipo di errore è detto ostativo,e esclude il valore della volontà. Si distingue
dall’errore vizio,ove la volontà e viziata e CHE DI persè NON LA ESCLUDE, ossia
l’errore sta nel modo in cui la vontà si forma,quando è convinto per errore di
circostanze non vere. I giuristi romani si occuparono ampliamente dell’errore
negoziale, ma senza distinguere i due tipi di errore, in quanto non consideravano la
volontà come interna,ma considerarono il negozio completo. Il probema stava in che
misura dare rilevanza ai verba e in quale alla voluntas. Nei negozi solenni eventuali
errori nelle parti formali erano irrilevanti e garantivano comunque la validità dell’atto,
diversamente accadeva negli “ spazi bianchi”. Vi erano esigenze di certezza o di
rispetto. L’errore di diritto era irrilevante, e l’ignoratia pure, tranne nei casi in cui vi
siano casi di persone particolarmente ignoranti per ceto come rustici e militari.L’errore
essenziale è quello che investe il negozio nei suoi aspetti essenziali. L’error in negotio,
ossia su quale negozio applicare, era rilevante e comportava l’annullamento di ogni
effetto. Si può sbagliare destinatario,in persona, fondamentale nei tetamenti, vi è
l’error in nomine, ove l’oggetto v’era indicato in modo sbagliato, Vi era l’errore in
qualitae,sostanza e quantitae. Il substantia era tutelati nei iudici bona fidei,il qualitate
era sempre irrilevante.
Generalmente, era l’errore di fatto a essere quello più rilevante, e la rilevanza portava
il negozio a essere invalido. L’errore di fatto era essenziale e scusabile,è l’errore non
grossolano.
Il dolo
L’errore ostativo esclude la volontà,e l’errore vizio non la esclude ma la vizia.Come vizi
della volontà figura anche il dolo. Nel contesto negoziale,il dolo è una macchinazione
volta a trarre in inganno un acquirente, che normalmente non avrebbe ne voluto ne
compiuto il negozio, oppure a condizioni diverse. L’errore indotto dal dolo altrui,fu
sempre rilevante. E’ solo al dolus malus che facciamo riferimente,non al dolus bonus
che consiste nell’inganno legittimato,ad esempio il venditore che sostiene la bontà dei
propi prodotti. Il malus è atto a trarre in inganno. Iure civile il negozio viziato da dolo è
inizialmente efficace. Il principio subì però pesante deroga, sostenendo che nei giudizi
in buona fede esso dovesse essere ritenuto invalido, e quindi il convenuto non era
tenuto a dare niente. Se la vittima si accorge prima della frode rispetto al
processo,essa potrà agire con la medesima azione di buona fede tutelarsi e ricevere
indietro quanto è stato oggetto della prestazione.
Exceptio doli: Fu utilizzata per tutelare in giudizio azioni non di buona fede. La vittima
del raggiro poteva porre exceptio doli ed essere assolto. Il negozio sarebbe stato si
iure civili valido,ma poi neutralizzati dallo iure pretorio.
Exceptio doli generalis: formula più generale dell’exceptio doli che poteva valere in
contesti diversi da quelli del negozio, e tutelare diverse situazioni di raggiro. Esso si
compiva al momento dell’azione ma poteva essere applicato a un contesto più vario,
e solitamente si parla di iniquità.
L’actio de dolo: Cosa accadeva quando la vittima di un raggiro non si fosse accorta
subito,avesse dato esecuzione al negozio? Soccoreva per lui l’actio de doli,azione
penale e quindi al simplum. Era un’azione grave e comportava l’infamia del
condannato. Era arbitraria, ossia il giudice prima della condanna intimava la
restituzione dei beni. Era penale e quindi all’occorrenza nossale. L’attore poteva agire
quindi direttamente solo sull’autore del dolo,non verso i suoi figli. Era un’azione
pretoria in factum, ossia no poteva essere esperita dopo oltre un anno dalla
commissione del dolo. Successivamente, con la depenalizzazione delle azione penali,
si concesse una condanna in virtù di taxatio. Nei iudici bona fidei si riceveva indietro
tanto quanto era la stima dei danni subiti.
La violenza(metus)
Altro vizio della volontà è la violenza,ma non intesa come altrui violenza fisica, che
avrebbe sicuramente annullato la volontà ,bensi la violenza psicologica,minaccia, che
porta a pronunciare certa verba. Di solito si trattano di minaccie gravi,o comunque più
gravi della nascita del negozio stesso. La volontà è viziata perché si forma in relazione
alla minaccia perpetrata dall’avversario. Un negozio di questo tipo,purtroppo valeva
iure civile. E’ pur vero che per negozi iudicia bona fidei il convenuto non avesse
dovuto nemmeno porre exceptio che avrebbe ottenuto restituzione. Per i iudicia
stricta,venne utilizzata la exceptio metus,che rendeva libero il convenuto e gli faveva
ottenere una restituzione. La valenza di questa exceptio era assoluto,non limitata
all’autore della vis, e questo permetteva in ogni negozio di applicarla quando in
generela c’era stato caso di violenza.LA vittima di metus poteva agire in actio quod
metus causa,penale,e portava un danno al violento pari a 4 volte il simplum entro un
anno. Poteva essere usata anche contro esterni che si fossero avvantaggiati del
metus. Poteva essere esercitata come nossale per via della sua natura penale. Nella in
integrum restitutio propter metum il giudice avrebbe ignorato l’esistenza della
mancipatio e avrebbe ridato i beni alla vittima.
considerazione. A parte i motivi però, ogni negozio è compiuto per una “causa”, per la
quale si intende la ragion d’essere del negozio,ossia la funzione che si intende
realizzare co gli eggetti del negozio. Nei negozi bilaterali la causa è comune,e
solitamente in essi la causa è riconosciuta come valida,dato che determina la
struttura di alcuni negozi(Compravendita,mutuo).
I negozi astratti invece non necessitano di una causa, e i più famosi sono quello dello
ius civile,ove non compariva la causa dato che potevano essere usati per una
molteplicità di esse. Dall’età preclassica in poi però si diede una forma di tutela a
questi negozi,1 con la conditio, per la restituzione di quanto già prestato,2 con
l’exceptio e l’annullamento degli effetii.
La condictio: La condictio fu la versione formulare della legis actio per conditionem, e
come con essa si perseguivano crediti che l’attore pretendeva sussistere, a favore di
un obbligo espresso con oportere. Poteva avere luogo con certa pecunia,o con certa
res. Si trattava pertanto di azione civile in personam e di stretto diritto. Come nella
legis actio, non era necessario indicare la causa, e nell’ambito formulare la formula
era quindi senza demonstratio. La conditio presupponeva che in precedenza vi fosse
una datio, ossia che il propietario avesse trasferito al convenuto una res. Serviva
anche una ragione secondo la quale il convenuto non dovesse tenere più quella cosa.
Se soccombeva,doveva restituire la propietà all’attore. Riguardo al contesto negoziale
ci interessiamo di conditio ex-contrattuali,riguardavano dationes compiute per una
causa inestitente o venuta a mancare. Era quindi impiegata come rimedio contro il
difetto di causa nei negozi astratti. Così, se qualcuno traferiva la propietà di qualcosa
essendo erroneamente convinto di essere obbligato a farlo potrà poi perseguire il falso
creditore con condictio.
condizione era nullo . generalemente ciò si applicava ai negozi inter vivos, mentre
quelli mortis causa erano tenuti validi in quanto essi considerati scritti in tal modo non
apposta(Interpretazione sabiniana).
Condizioni illecite: Nei negozi iudicia bona fidei erano soliti essere dichiarati nulli in
concomitanza con condizioni illecite. La stipulatio invece restava dapprima esistente
ed efficace. Il pretore da un certo momento però inizio a denegare questo tipo di
azioni o a bloccarle con exceptio doli. Il passo successivo della giurisprudenza fu
invalidarla anche iure civile. Analogo procedimentovenne applicato ai negozi mortis
causa.
Condizioni positive e negative: Rispettivamente al verificarsi o al non verificarsi di un
determinato evento.
Condizioni potestative,casuali, miste. Potestative sono quelle dipendenti da un atto
volontario della diretta persona interessata,casuali quelle dettate dal caso o dalla
volontà di terzi e miste sono la fusione di queste due. Furono ritenute nulle le
condizioni potestative che fossero rimesse alla sola volontà della persona che avesse
interesse contrarie, per ovvie ragioni. Potevano sussistere anche condizioni
potestative negative, e se soggette a termine non vi era alcun problema. Tuttavia
condizioni di questo limite senza un termine temporale risultavano ambigue,in quanto
non si poteva farle valere fino alla morte dell’interessato. Questo porto le due parti ad
effettuare la cautio muciana, che stabiliva che nel momento in cui si dovesse smettere
di rispettare le condizione,i beni dovettero essere restituiti al propietario.
Condicio pendet: E’ una condizione che non si è verificata del tutto e non si sa se si
verificherà.
Il debitore pertanto che aveva adempiuto in presenza della condizione avrebbe potuto
pretenderne la restituzione. Durante la pendenza il negozio esiste ed è valido, ma non
produce effetti. Trasmissibile agli eredi inter vivos.
Condicio deficit: Con il mancare della condizione,il negozio diventa nullo.
Condicio extitit : La condizione si verifica e il negozio comincia a produrre i suoi effetti.
L’attivazione del negozio aveva elementi retroattivi. Se qualcuno avesse interesse nel
fermare l’attivazione del negozio,anche se ci riuscisse la condizione risulterebbe
comunque verificata da un adempimento fittizio.
Condizioni risolutive: Esse non erano congeniali alla mentalità giuridica romana. Non
era contemplabile da loro per esempio una “propietà temporanea” , essa era
perpetua,comme l’istituzione di erede e così come lo status libertatis. Inserire una
condizione temporanea nei casi degli actus legictimi rendeva nulla sia la condizione
che l’atto. Se si trattava di un negozio diverso,si considerava come non apposta. Nel
caso della stipulatio essa sarebbe rimasta pura,la condizione come non apposta. Ne
riconobbe invece validità l’usufrutto. Queste condizioni erano da considerare veri e
propi pacta, tutelati se di stretto di diritto ipso iure,se di iudicia bonae fidei attraverso
particolari azioni. Si poteva utilizzare anche una exceptio pactio conventi per fermare
gli effetti dati dall’exceptio paccti conventi.
Il termine(dies)
Il termine è una clausola temporale che riguarda un evento futuro,ma che certamente
si verificherà.Poichè vi è certezza che l’evento avverrà sorgono meno problemi
rispetto alle condizioni. I romani vi si riferivano con dies. Poteva trattarsi di una data di
Il modus
Imposizione al destinatario di adottare un comportamento determinato. Poiché si
tratta di comportanto volontario,esso potrebbe essere paragonato alla condizione
potestativa. Ne differisce però riguardo all’avveramento della condizione,dato che il
negozio modale è immediatamente efficace,e rimane efficace a prescindere
dall’adempimento del modus,solo che il beneficiario sarà obbligato a compiere quanto
il modus gli impone. Se la condizione potestativa subordina ma non ordina,il modus
ordina ma non subordina. Il giurista trebazio suggerì che prima di dare un esercizio ad
un negozio legato sub modo,si dovette stipulare una cautio per promettere
l’esecuzione del modus. Altrimenti se si fosse rifiutato sarebbe stato applicato
l’exceptio doli generalis. Se si profilava un interesse della collettività all’adempimento
di un determinato modus,l’autorità pubblica poteva costringere un individuo ad
adeguarsi alla volontà del testatore. Se si donava un legato “affetto” da modus, il
modus poteva essere tale da apparire anch’esso insieme alal donazione dallo stesso
atto di trasferimento. Se non rispettato poteva essere vittima di condictio per la
restitiuzione.
La rappresentanza
Gli effetti del negozio giuridico erano solitamente applicabili solo alle parti del
negozio.
Figure esterne sono
Il nuntius: Messaggero che riferisce puntualmente ciò che è portato a riferire. Si tratta
di un mero strumento,non diverso da una lettera. Non dichiara alcuna volontà non
propia. I nuntius non potevano compiere negozi solenni,ma potevano effettuare
contratti consensuali e patti.
La rappresentanza organica: Altro è il caso delle persone fisiche che agiscono e quindi
concludono negozi,in nome di qualcun altro. Il processo per cui lo fanno è però di
rappresentanza organica,ossia in ruolo di organo d’acquisto e legali rappresentanti nel
caso del diritto romano solitamente di un pater familias che mandava le parti alieni
iuris della sua famiglia a fare compere. Esso è il responsabile di ogni acquisto.
La responsabilità addietizia: Accadeva talvolta che gli effetti del negozio ricadessero
sia sul pater familias sia sul soggetto alieno iuris.
La rappresentanza: Nel senso di rappresentanza vera e propi gli effetti del negozio
ricadevano anziché al dichiarante direttamente ad un terzo. E’ un concetto non
originario del diritto romano,ma consiste una situzione nel quale un soggetto detto
rappresentante conclude in negozio in nome e per conto di un altro soggetto.
preclusivo si applicava sia al cognitor che al dominus liti, mentre la condanna solo a
quest’ultimo.
Diversa era la figura del procurator ad litem,nominato informalmente. Anche questo
processo era applicato con trasposizione di soggetti. Esso non deduceva in giudizio il
rapporto sostanziale,permettendo così al dominus litis di ritentare l’azione,e inoltre se
l’azione avesse avuto esito positivo sarebbe stato il procurator ad avere accesso alla
actio iudicati. Il convenuto per titularsi avrebbe chiesto una stipulatio al procuratore
che avrebbe dovuto risarcirlo se il dominus litis avesse ritentato l’azione. Se il
procurator era convenuto,sarebbe stato lui vittima della actio iudicati, comportando la
libertà del dominus. Per questo motivo anche in questo caso il procurator stipulava
che in caso di condanna la pena sarebbe stata comunque adempiuta. La sua figura fu
in futuro assimilita a quella del cognitor.
5 Persone e famiglia
La dottrina moderna per quanto riguarda il diritto delle persone distingue i concetti di
capacità giuridica e di capacità di agire. Capacità giuridica si intende la possibilità di
essere tutelari diritti o doveri, la capacità di agire si intende la capacità di operare nel
mondo del diritto e a compiere personalmente atti giuridici.
Nel diritto romano le cose stavano diversamente. A Roma la persona era riferito alla
persona fisica. Tutti gli esseri umani erano persone ma non tutte avevano capacità
giuridica. Potevano averla ma non sempre l’avevano le persone libere. Ma l’avevano
gli schiavi. La capacità di agire era riservata agli esseri umani intellettualmente
capaci.La capacità di agire non pressupone perforza la capacità giuridica , infatti
schiavi e figli potevano agire pur senza di essa, imputando quindi gli effetti delle loro
azioni al dominus o al pater familias.
Nascita e morte
Presupposto di ogni capacità giuridica e di azione è l’esistenza, che inizio con la
nascita e ha fine con la morte. Viene considerato nato l’essere umano
vivo,indipendentemente dalle sue condizioni vitali. In alcuni casi per la successione
dei postumi il neonato concepito veniva classificato come già nato, subordinando
però comunque gli effetti giuridici al momento della nascita. Sistemi di registro della
nascite furono istruiti ai tempi di Augusto però solo per fini probatori. Non si ebbe mai
a roma un vero e proprio sistema di registro delle morti. Tuttavia in alcune condizioni
giuridiche particolari era importante determinare chi fosse morto prima. Ad esempio,
se padre e figlio morivano insieme sarebbe stato il figlio sino a prova contraria a
morire per primo.
Era la prima condizione a roma per godere della capacità giuridica. I servi non
avevano capacità giuridica. Liberi si nasceva o si diventava. Nascevano liberi quelli
nati da madre libera e lo diventavano gli schiavi liberati. I primi ingenui, i secondi
liberti. La schiavitù è un fenomeno antico già noto al diritto romano al tempo delle 12
tavole,ma furono le numerose guerre vittoriose che portarono a Roma schiere sempre
più vaste di prigionieri che erano soliti diventare schiavi. La schiavitù era un istituto
ius civile,dato che lo schiavo era soggetto a dominio ex iure quiritium ed classificato
res mancipi. Da un diverso punto divista potremmo definire la schiavitù ius gentium,
perché tipica di tutte le popolazioni del tempo. Si nasceva schiavi da madre schiava.
Si diventava schiavi anche per cattura,per captivitas. Era l’autorità pubblica ad
assicurarsi che questi prigionieri fossero venduti a privati. Questa regola valeva però
anche per i romani . I romani tuttavia maltolleravano che chi godeva della
cittadinanza romana potesse essere schiavo in patria per cui, anche se un romano
tornava da schiavo, recuperava automaticamente il suo status, fatta eccezione per il
possesso e il matrimonio. Per curare i suoi beni poteva essere nominato un curator(ius
postlimini). Se un Romano moriva in cattività, Roma agiva come se fosse morto un
momento prima della cattura,quindi ancora come libero,al fine di avviare le procedure
ereditarie.
In età postclassica fu consentita la vendita di neonati che sarebbero diventati schiavi
del compratore: La vendita era tuttavia limitata a casi di estrema indigenza.
insulti e dagli abusi, ad esempio una lex petronia sosteneva che uno schiavo infermo
alla morte del dominus guadagnasse libertà. Lo schiavo poteva migliorare ma non
peggiorare la condizione del suo dominus. Essi infatti sin dall’età arcaica si
occupavano delle compere per la famiglia,partecipando attivamente a negozi e quindi
dando luce a diritti soggettivi. Potevano addirittura essere mancipio accipiens,
accipienti nella traditio e stipulatori nella stipulatio. Non potevano però effettuare l’in
iure cessio. Ognuno dei diritti che si creavano erano però affidabili al dominus. Passi
del digesto però ci suggeriscono che i diritti erano effettivamente trasmessi al
dominus solo se lui era al cosciente di quello che lo schiavo andava compiendo.
Le azioni nossali: Ripetiamolo: Gli atti del servo non potevano essere peggiorativi per
il dominus. Era risalente all’età arcaica la capacità della vittima di un delicta compito
da servo altrui di impossessarsene o eventualmente infliggere danni corporali ad
esso,salvo la facoltà del dominus di evitare ciò con una paga pecuniaria. In sostanza ,
se liberato, si riconosceva una responsabilità penale del servo.
Le azioni addietizie
Con la crescita dell’economia Romana l’esigenza di utilizzare servi negli affari del
dominus si fece sempre più importante. Bisognava però che i terzi potessero fare
affidamento completo sui negozi compiuti con gli schiavi. A ciò provvide il pretore,non
generalmente ma nei termini in cui il dominus si fosse assunto esplicitamente o
implicitamente la responsabilità per le azioni dello schiavo. Vennero istituite quindi le
azioni addietizie, che oltre a considerare la responsabilità naturale del servo
consideravano anche quella del dominus. Azioni addietizie erano L’actio quod iussu,
l’actio exercitoria, l’actio institutoria, lactio de peculio in rem verso, e seppur non
proprio addietizia vi si accosta la actio tributoria. Nelle prime tre la condemnatio era
tutta a carico del dominus, nelle altre la responsabilità non andava oltre certi limiti. Si
trattava di azioni con trasposizione di soggetti.
L’actio quod iussu : Presupponeva che l’impegno del servo fosse stato preso sotto
completa osservanza del dominus, e in seguito ad autorizzazione, assumendone il
dominus ogni rischio
L’actio exercitoria: presupponeva che il propietario dello schiavo fosse un exercitor
navis, e che avesse affidato la gestione della nave ad uno schiavo chiamato anche
magister navis. Per i debiti contratti dallo schiavo durante l’incarico rispondeva
l’exercitor.
La manumissio censu: era assai meno praticata , e consisteva su accordo del dominus
di inserire il nome delle schiavo nel censimento dei cittadini che aveva luogo a roma
ogni 5 anni. Erano richieste paroli solenni del dominus.
La manomissio testamento: la più diffusa ,anch’essa molto antica. Che fu la più diffusa
è ovvio per ragioni di carattere dei romani, che preferivano mantenere il possesso
degli schiavi in vita e liberarsene dopo la morte.
Aveva efficacia quindi dopo la morte del testatore. AD essa potevano essere apposta
condizioni sospensive e termini iniziali. Prima del verificarsi di queste il manomissio
era detto statuliber.
Le manomissio pretorie:dall’ultima età repubblicana si manomettevano i servi nelle
forme più diverse Inter amicos quando si annunciava ad una cerchia ristretta di amici
o per epistulam per iscritto per semplice lettera. Gli schiavi liberati in questo modo
non erano liberi però ius civile. Più tardi sarebbero considerati come coloni,quindi non
cives, mentre più tardi ancora vennero parificati a quelli liberati ius civile.
La manomissione fedecommissaria: era una manomissione indiretta. Il testatore
aveva fatto carico di manomettere uno schiavo agli eredi o ai fedecommessi. In caso
di rifiuto l’onerato poteva esservi costretto extra ordinem. L’organo giudiziario
successivamente potè attrubuire direttamente la libertà dello schiavo. Ad avviare la
procedura sarebbe stato lo schiavo stesso,potendo eccezionalmente comparire in
processo.
Nuove forme di manumissio: In età postclassica nacque la manumissiio in sacrosanctis
ecclesiis, Ove al dominus bastava dichiarare davanti all’assemblea dei fedeli di voler
liberare il proprio servo per manometterlo.
Limiti alla libertà di manomettere: Le liberazioni con la filosofia stoica e la cristianità
divennero eccessive, e con due diverse leggi vennero limitate.
La lex fufia cania pose un limite percentuale posto in base ad un limite percentuale.
Bisognava indicare uno per uno gli schiavi da affrancare. Le manumissioni disposte in
violazione erano considerate nulle.
La lex aelia sentia si riferì sia alle manumissioni mortis causa sia a quelle inter
vivos,stabilì che non si potevano liberare schiavi con condotta turpe. Non si potevano
manomettere gli schiavi in frode ai creditori.
I liberti: Gli schiavi liberata acquistavano libertà, e diventavano anche sui iuris,non
ricadendo sotto la potestà di alcuno,ma tuttavia la loro condizione era diversa dai nati
liberi,aka ingenui. I liberti soffrivano di una minore considerazione sociale, ed erano
esclusi da qualsiasi carica pubblica. Una volta liberati il precedente dominus diventava
patrono e poteva valersi dello ius patronus. Era un potesta trasmissibile ai
discendenti. In età arcaica e in preclassica i patroni avevano addirittura diritto di vita o
di morte sugli schiavi liberati. I poteri di coercizione personale che derivavano dallo
ius patronatus permettevano al patrono di eseigere delle operae,prestazioni
giornaliere domestiche. Dal’’età repubblicana il liberto ancora schiavo faceva un
giuramento al dominus promettendo che una volta libero avrebbe stipulato di
compiere giornalmente le operae. Il rapporto era così stretto che poteva capitare che
nella cognitio extra ordinem in caso di estrema indigenza che le parti si supportassero
con il prestito degli alimenti.
IL colonato: Fenomeno sviluppatosi nel basso impero. I coloni erano persone di umile
origine e condizione che si obbligavano ad un lavoro subordinato, soprattutto durante
i periodi di maggiore crisi, che portarono con se un progressivo irrigidimento delle
classi sociali. Essi erano adoperati in quanto con una progressiva diminuzione nel
numero di schiavi il costo della manodopera servile era minore di quella
coloniale.Quello che percepivano i coloni spesso era insufficiente anche per il loro
sostenimento. Essi erano vincolati per contratto alla terra che lavoravano, e il loro
propietaro aveva grande poteri su di loro,quali la minaccia e la violenza fisica. Vennero
chiamati anche “Servi di terra”. La loro condizione era fondamentalmente perpetua.
Status civitatis
Il possesso dello status civitatis(cittadinanza romana) presupponeva ovviamente la
libertà,ed era pertanto una delle condizioni per poter accedere al diritto privato. Solo
ai cives romani era affidato lo ius civile in senso stretto. Nascevano romani sia i nati
da padre cittadino purchè procreati in iusta nuptiae,e tutti quelli nati da madre
cittadina. Le più grandi concessioni di cittadinanza furono a riguardo degli alleati
italici(socii) e con constitutio Antoniniana del 212 d.c. in favore di ogni abitante libero
dell’impero. Perdeva la cittadinanza chi diveniva schiavo, quelli che si stabilivano in
colonie o che erano stati esiliati.
Ai cives romani si contrapponevano i peregrini,persone libere non cives. Essi
usufruivano del ius gentium. Si concedevano talvolta a loro ius commerci(capacità di
commerciare) o ius connubi(Capacità di effettuare iusta nuptia con romani.)
Una categoria privilegiata era quella dei Latini. Soprattutto per i Latini prisci,ossia i
cittadini delle città laziali vicine a roma, essi potevano infatti mantenere le loro leggi e
tradizioni.Il gradino più basso nella gerarchia dei peregrini era quella dei peregrini
dediticii. Essi partecipavano solo al ius gentium. Per i deditici di condotta turpe era
vietato avvicinarsi a roma oltre le 100 miglia. Le categorie tuttavia andranno sempre
più a svanire con il tempo.
Status familiae
Per avere la piena capacità giuridica non bastava essere cittadini romani,occorreva
anche essere sui iuris,ossia libera da qualsiasi potesta altrui. A dominium erano
soggetti gli schiavi, a mancipio l e persone a causa mancipi a patria potestas i figli e
alla manus le donne. La familia è composta solitamente in età arcaica di un'unica
persona sui iuris. Solitamente è l’uomo il pater familias,ma vi sono stati rari case di
donne sui iuris definite mater familias,una qualifica valida socialmente ma non
giuridicamente. Solo i maschi potevano avere in potesta dei figli. Le donne,se sui iuris,
potevano avere diritti o doveri ma mai potestà, essendo l’inizio e la fine della sua
famiglia. La familia e la potesta nascevano con il matrimonio.
Gli sponsali
Il matrimonio era preceduto solitamente dalla promessa di matrimonio,fatta con una
sponsio. A essa partecipavano le parti sui iuris,quindi o gli stessi interessati o i
rispettivi pater familias. Si parlò pertanto di sponsalia. Ne nasceva un vincolo come da
ogni sponsio. Dall’età preclassica il volere del matrimonio era semplicemente
espresso. La rottura della promessa era comunque con delle penalità,come per
esempio la restituzione dei doni tra coniugi.(Non applicata a favore della parte che ha
rotto il fidanzamento)
Il matrimonio.Premesse
Presupposto per una familia iure dicta era un iusta nuptiae o matrimonio legittimo. A
roma il matrimonio consisteva nella convivenza stabile di due persone di sesso
diverso e nella volontà monogamica di continuare a vivere come marito e
moglie(affectio maritalis). Senza di quest’ultima non si aveva matrimonio ma
concubinato. La cessazione avveniva in una impossibile convivenza, o in mancanza
dell’affectio maritalis. Il matrimonio romano fu un fatto sociale prima che giuridico, ed
era altamente considerato nella società romana antica. Pur essendo estrememante
facile divorziare(Non c’erano bisogno di atti solenni) esso era trattato sempre con
grande rispetto. Al matrimonio poteva accompagnarsi la conventio in manum, alla
quale la moglie cadeva sotto la manus del marito. Questo portava la moglie ad essere
parte della famiglia del marito e perdeva iure civile ogni legame con la famiglia di
origine. Se la conventio in manum non avesse avuto luogo,la sua situazione giuridica
sarebbe rimasta invariata e avrebbe avuto importanti riflessi soprattutto in materia
ereditaria. Essi si suddividino in matrimonio cum manu e sine manu. I secondi
divenirono sempre più frequenti col passare del tempo.
IL matrimonio:struttura
Per la costituzione di un matrimonio non era necessario alcun rito. Era sufficiente che
si stabilisse la convivenza insieme alla volontà di vivere come marito e moglie. In
difetto era considerato concubinato.(la cristiantà limitò molto questo fenomeno. Per il
mantenimento la convivenza deve perdurare, e non essere interrotta. Essa non veniva
interrotta per semplici uscite o viaggi di lavoro volti al bene della famiglia. Era
fondamentale che rimanesse la disponibilità dell’affectio maritalis. Il matrimonio era
strettamente monogamico. Per compierne uno nuovo andava sciolto il precedente,
Altrimenti si sconfinava nell’infamia.
Come si faceva però a provare l’affectio maritatis,situazione sentimentale? Importante
era a tale argomento se era stata effettuata la conventio in manum,o in età cristiana
dell’avvenuta benedizione nuziale in chiesa. Il processo di verifica era più semplice se
la donna era giusta e onesta(non concubina o di teatro) e se fossero entrambi di pari
rango sociale.
Il matrimonio:Effetti
Solo i nati da iusta nuptiae erano considerati figli legittimi e cadevano sotto la
potestas del padre. La donna inoltre acquistava la dignità sociale e giuridica del
marito.I coniugi erano esonerati dal dover testimoniare uno contro l’altro. La donna
adultera era in età arcaica era passibile di omicidio,solo nel 18 d.c. con una lex iulia
del adulteris si imposero solo pene ma comunque molto severe. Le donazioni tra
coniugi erano fermamente vietate. Tra i coniugi era vietata dal pretore ogni azione
infamante. Egli inventò un azione apposita,la actio rerum amotarum, non infamante e
applicabile ad esempio dal marito contro la moglie per via delle cose sottratte in vista
del divorzio.
Quando veniva meno il connubium,che era condizione giuridica per la sua esistenza, il
matrimonio cessava. Così come per captivitas,esilio o deportazione. L’affectio invece
poteva svanire si per morte,ma anche perché venisse proprio meno. Si parlò al
riguardo di divortium. Non erano richieste formalità per il suo compimento,bastava
esternare in qualsiasi modo la propia volontà,anche attraverso un messaggero. Non
erano tolleranti i divorzi senza reali motivi,pesantemente sazionati , dal censore,
responsabile del regime morale. Il cristianesimo ostacolò il divorzio ma non lo abolì.
Nessun ostacolo fu posto invece al divorzio consensuale.
Alcuni casi di divorzio(per impotenza,scomparsa,deportazione e prigionia) non erano
particolarmente sanzionati,mentre tutti gli altri divennero sine caussa,colpiti da
sanzioni varie. Restava valido il matrimonio della liberta che divorziava dal patrono
senza il suo consenso. Bisognava fare richiesta scritta o davanti ai testimoni di
divorziare,altrimenti il matrimonio sarebbe rimasto valido. Nella storia romana ci si
allontana per cui sempre di più dal concetto di matrimonio come fatto sociale di
convivenza e ci si avvicina al concetto di matrimonio come forte vincolo giuridico.
La dote
La dote è istituto del diritto romano arcaico.Consisteva in una o più cose o diritti che la
moglie o il suo pater familias mettevano a disponibilità del marito per sostenere il
peso del matrimonio nei matrimoni sine manu(ed è di quelli che si parlerà
maggiormente) e rappresentava invece un compenso alle aspettative ereditarie perse
con la manus per la moglie. Di norma appunto in caso di divorzio la dote era restituita
alla moglie, e serviva a lei per il mantenimento una volta vedova o divorziata.
Costituzione della dote.
La dote si costituiva di datio,promissio,dictio.
Datio significava tecnicamente il trasferimento di propietà vero e proprio della dote al
marito. Aveva un effetto reale e si realizzava attraverso negozi astratti come traditio
in iure cessio e mancipatio.La dote assumeva la forma di causa esterna.
La promissio dotis era una stipulatio compiuta dotis causa, effettuata in favore del
marito, che diveniva creditore. Aveva quindi offetti obbligatori, e il marito poteva se gli
effetti non erano realizzati chiamare in giudizio con l’actio ex stipulatu.
La dotis dictio era un negozio solenne ed esculsivo della dote(causale) nel quale si
pronunciavano certa verba da parte del solo costituente,e aveva effetti obbligatori che
avrebbero permesso al marito di reclamare l’adempimento con un actio in personam
di ius civile.
La dote poteva essere costiuita sia prima del matrimonio si adurante. Se prima,la
dotis e la promissio avevano in se una condizione sospensiva tacita. Mentre la
datis,nel caso non fossero poi avvenute le nozze era salvabile attraverso condizio, in
quanto in essa hanno operato negozi che ne hanno perso la causa peculiare.
Era molto diffuso a Roma che il padre costituisse dote per la figlia.
La dote res mulieris: La dote era del marito e giovava direttamente al marito,e
indirettamente alla moglie,tuttavia spesso proprio perché esistente in considerazione
della moglie era anche “cosa di lei”. Era infatti obbligatorio per il marito restituire la
dota alla moglie dopo il divorzio, con un azione per la restituzione utilizzabile dalla
moglie chiamate actio rei uxoriae. La stessa lex iulia de fundo tutali(capitolo della de
Poteva accadere che la moglie sui iuris avesse con se alcuni beni e non li costituisse in
dote. Poteva mantenerne la titolarità o donarli al marito. In quest’ultimo caso si parla
di beni parafernali, o extra dotem. Il marito poteva comunque essere chiamato in
futuro a rispondere dei beni affidatogli con actio mandata o actio depositi.
Nulla vietava al futuro marito di fare doni alla futura moglie(donaziones ante nuptias),
di solito di scarso valore. Essi erano considerati normali donazioni. Con l’influenza
orientale tuttaia le donazioni crebbero in valore economico, e la legislazione pose loro
lo stesso regime della dote.
Giustiniano infine derogò l’antico principio che non permetteva donazioni tra marito e
moglie,permettendole quando esse erano in funzione del matrimonio,come se fosse
una dote del marito(Donatio propter nuptias).
familias. Quindi egli poteva oltre a che obbligarsi civilmente poteva inoltre farsi attore
nei relativi giudizi. Poteva addirittura litigare col pater familias in giudizio.In caso di
morte del figlio tuttavia il peculio castrense tornava comunque al padre. Il regime per
l’ottenimento di questo peculio fu esteso a chi lavorasse per lo stato, per l’esercizio di
attività forensi o nel sacerdozio.
I bona adventicia: A partire da Costantino si attribui ai filii familias la propietà dei bona
materna,dei beni provenienti dalla successione della madre,poi anche dei beni
materna generis,ossia qualunque cosa proveniente dal lato materno,poi ancora dei
beni acquistati per il matrimonio. Si suol discorrere a riguardo si bona adventicia.
L’amministrazione e godimento però erano del patria potestas, e si parlo a riguardo di
“usufrutto legale”. Solo alla morte del pater li avrebbero ereditatai completamente.
Le donne in manu
Alieni iuris erano le donne soggette a manus. Si acquisiva attraverso in manu
convenctio. In ogni caso le donne venivano assoggettate alla potestà del marito. IL
marito acquisiva i diritti trasmissibili e la donna perdeva tutti i suoi debiti,ma che il
pretore con una actione fictia provvederà a tutelare ancora i creditori.
La conventio in manum avveniva per
Usus: Consisteva nella convivenza coniugale protratta per un anno. La donna avrebbe
potuto evitarla allontanandosi per tre notti consecutive dalla casa del marito. Si parlò
al riguardo di usurpatio trinoctii. Cadde poi nel tempo in desuetudine l’usus.
Confarreatio: era un rito arcaico solenne e religioso,durante il quale era fatto sacrificio
a Giove del pane di farro. A parte gli sposi vi erano invitati i sacerdoti maggiori.
Esigeva 10 testimoni e la pronuncia di certa et solemnia verba. Era riservato alle
classi più elevate. In età classica sopravvisse solo in determinati frangenti,ossia quello
di riservare le maggiori cariche sacerdotali a chiunque nascesse da nozze confarreate.
La coemptio: Era una mancipatio al fine dell’acquisto della manus. Oggetto era la
donna, e il mancipante era la donna stessa se sui iuris o il pater se alieni
iuris,l’acquirente era il marito sui iuris,altrimenti il suo pater familiass. Era il modo più
comune della stessa manus,ma scomparve durante l’età classica insieme alla manus
stessa. La moglie in manu era come una filia familias per il pater,ma solo
giuridicamente e non socialmente. La morte del pater aveva gli stessi effetti e
rendeva sui iuris la donna, e se il matrimonio era stato compiuto tramite confarreatio
si aveva la difarreatio,rito uguale e contrario.
La capitis deminutio
Venne istituito dai giuristi repubblicani e mantenuto fino all’età postclassica,seppur in
misura minore. La capitis deminutio consisteva nel mutamento del precedente status.
Essa si collega ai contesti nei quali in ogni caso si spezzavano i precedenti vincoli di
agnatio.
Si parla di capitis maxima, ove si perdeva la libertà, media ove si perdeva la
cittadinanza,minima ove si perdeva lo status familiae e di conseguenza i legami di
agnatio. Il testamento di chi subiva capitis deminutio era invalido. Talvolta aveva lo
stesso effetto della morte,come nel contesto dell’usufrutto che si estingueva per
morte e capitis deminutio. Spesso veniva infatti paragonata alla morte.
lex attilia del 210 a.c.che diede al pretore il potere di nominare su istanze della
madre,congiunti o estranei, un tutore all’impubere sui iuris che non ne avesse alcuno.
La tutela era nell’insieme potestativa e protettiva,ossia il tutore esercitava un potere
sull’infante nell’interesse della famiglia e doveva garantirgli nello stesso tempo
protezione ed assistenza. Inizialmente l’approcio era più potestativo,con l’arrivo della
tutela in datio venne rese un rapporto a maggior fine protettivo. Le persone designate
potevano inizialmente rifutare la tutela, solo se muniti di valide excusationes, che
avrebbero portato il tutore designato a individuare un valido tutore al proprio posto.
Per tutta l’età classsica la tutela fu prerogativa maschile,divenne solo dopo in casi
eccezionali concessa alle donne su ispirazione ellenistica.
I poteri del tutore: Prerogativa del tutore impubere era l’autoritas,che era in sostanza
la dichiarazione della volontà espressa dal pupillo. Veniva applicata all’infante maior
che intendeva compiere atti diversi da quelli di propietà intendeva compiere azioni
come obbligazioni o alienazioni ed era necessaria la presenza del tutore. Gli
infantes,invece ovviamente non potevano compiere alcun atto giuridicamente
rilevante. Era il tutore a dover soddisfare e assisterlo nelle sue esigenze mondane.
Egli poteva acquistare e trasferire possesso nell’interesse del pupillo,e quindi
trasferire propietà di res nec mancipi con atti che si imputavano direttamente al
pupillo. La sua capacità venne sempre più limitata dapprima da settimio severo che
impedì ai tutori di trasferire la propietà di fondi e poi il divieto venne esteso per tutto
tranne che per cose di poco valore. Per tutti i negozi che comprendevano acquisto e
perdita del possesso il tutor agiva in nome proprio. Questo significa che
nell’alienazione e nell’acquisto di res mancipi era lo stesso tutore a esserne a carico, e
avrebbe poi dovuto trasferire tutto al pupillo una volta pubere.
Le responsabilità del tutore: La tutela cessava una volta che terminava l’età pubere. Il
tutore in quel momento avrebbe dovuto rendere conto della sua gestione tutelare. Già
contemplata nelle dodici tavole era l’actio rationibus distrahendis che andava a punire
il tutore di tutti gli abusi commessi volontariamente al pupillo. L’azione era penale ed
in duplum,senza comportare infamia a differrenza della actio tutelae che non poteva
essere ad essa cumulabile. L’actio tutelae era un iudicius bona fidea, con attività
ripersecutoria e comportava infamia. Nell’intentio figurava un oportere ex fide bona.
In questa azione il tutore era spinto a riconsegnare tutti i beni che aveva acquistato
per la gestione tutelare e rispondeva di tutti i pregiudizi patrimoniali derivati al pupillo
dalla gestione imputabile a dolo o colpa al tutore.
Per utilizzare questi due strumenti non era necessario che il giovane fosse stato per
forza raggirato,bastava che avesse subito un pregiudizio patrimoniale. Questo portò le
persone a spesso non fidarsi nel compiere negozi con minori di 25 anni.
La cura minorum: dall’età repubblicana vi era la possibilità di affidare un curatore
all’adolescente. Lo nominava il pretore stesso ogni qual volta se ne faceva richiesta e
obbligatoriamente in particolari situazioni. Il curatore aiutava il giovane
nell’espletamento degli affari, e se del caso prestava consenso. Esso non era
necessario nei negozi che restavano validi e invalidi indipendentemente da esso. Se
prestato però il minore non poteva pretendere in giudizio di essere salvato per via
della sua inesperienza. Il curator minoris poteva anche gestire direttamente il
patrimonio dell’adolescente. I negozi compiuti dal curatore erano imputati di norma a
lui stesso,e poi al massimo sarebbero stati trasferiti al curato. La cura minorum
durava fino al venticinquesimo anno, e spesso coincideva con la tutela.
La venia aetatis: era una concessione data a singoli minori di 25 anni che si faceva
prima direttamtente al principe poi al magistrato. Se il giovane era considerato di sani
principi infatti gli si permetteva di agire nel mondo giuridico negoziale come se non
fossero minori,(dovevano comunque avere più di 20 anni) ma non potevano più
ricorrere nel caso alla exceptio lex legis laetorea ne alla in integrum restitutio propter
aetatem.
La tutela mulieris
Le donne avevano si capacità di agire ma con limitazioni di diverso ordine,molto gravi
in età arcaica. La situazione andrà migliorando molto col tempo,quasi fino alla parità
col sesso maschile.
La condizione della donna secondo il diritto era di forte subordinazione,mentre dal
punto di vista sociale godeva di grande rispetto. Questo accadeva a roma a differenza
per esempio di Atene, ove la moglie non era distinguibile dalla schiava. Le donne sui
iuris e puberi erano dapprima soggette alla tutela, specificamente tutela mulieris.
Essa veniva applicata a tutte le donne libere dalla potestà, che cadevano sotto il
tutore mulieris. Poteva essere come la tutela impubera testimentaria,dativa,legitima,.
Testamentari a quando alla morte il pater familias indicava il tutore mulieris finire. In
difetto per via legitima si affidava come tutore l’agnatus proximus. Se questo
mancava ci pensava il pretore, che dava un tutore dativo.
Il tutor mulieris non gestiva il patrimonio della donna,ma il suo compito era di
assisterla nella gestione patrimoniale. Per effettuare negozi di alienazione di res
mancipi,e il compimento di obbligazioni doveva affidarsi all’autoritas del tutore.
Nel testamento il pater familias poteva indicare che la donna scegliesse tramite sua
scelta (optio) il tutore che l’avrebbe affiancata. Si parlò al riguardo di tutor optivus. La
donna poteva anche fare coemptio di se stessa a una persona di fiducia,e questa la
acquistava in manu. Quest’ultimo la mancipava alla persona che la donna voleva
come tutore legittimo.
Una lex di augusto ,papia poppea, riconobbe alle donne ingenue con tre figli,quattro
se liberte lo ius liberorum,esonerandole dalla tutela e donando quindi a loro piena
capacità di agire. Nel 410 tutte le donne avevano acccesso allo ius liberorum.
Le persone giuridiche:
Anche entità diverse dalle persone giuridiche possono essere centro di diritti e doveri
giuridici. Si parla in tal caso di persone giuridiche. La persona giuridica può essere a
base personale,la corporazione, o a base patrimoniale, la fondazione.
Per corporazione si intende una aggregazione di persona con propia organizzazione
interna, alla quale fanno capo diritti e doveri che non sono uguali a quelli dei singoli.
Era una soggettività giuridica diversa da quella dei suoi componenti. La corporazione
resta la stessa pure se ne variano i componenti. Per fondazione si intende invece un
complesso patrimoniale volto ad un preciso scopo(ad esempio opera pia). I rapporti
giuridici fanno capo alla fondazione stessa,e anch’essa non cambia quando ne varia
l’entità fisica dei componenti o beneficiari.
La persona giuridica a diritti e doversi distinti da quelli dei suoi dipendenti.
IL populus romanus: era l’entità collettiva composta dai cittadini romani politicamente
organizzati. Corrispondeva in sostanza al nostro stato, Tutto ciò che concerneva il
popuus romanus era “pubblico”. Non si parlo mai di propietà privata a riguardo. Era
costituito da res publicae,e la sua cassa era dapprima l’erarium poi il fisco.
Civitates e collegia: Differentemente la capacità giuridica di queste istituzioni fu anche
di diritto privato.
Le civitates erano municipia e coloniae,agglomerati urbani fuori roma, le prime
composte da cittadine le seconde da latini coloniarii. Con la concessione della
cittadinanza di caracalla nel 212 furono unificate. I collegiae erano di minore
importanza e portata,che avevano scopo di culto o comunque atti a perseguire
interessi religiosi. Potevano trattarsi inoltre di associazioni di artigiani o commercianti
ed esistevano infine i collegia tenuiorum che erano congregazioni di povera gente al
fine di provvedere funerali e riti di sepoltura. I collegiae erano molto antichi,ma spesso
venivano sciolti(come quello di bacco). Ad un certo punto vennero sciolti tutti i collegi
esistenti,ad eccezione di quelli più antichi, e per la loro costituzione era necessaria
approvazione da parte del senato o dell’imperatore. I collegi tenuiorum invece
vennero sempre considerati leciti. La composizione era solitamente numerosa, e il
numero minimo era per la nascita era di tre persone,dopo avrebbero potuto anche di
minuire. Sia civitates che collegiae potevano prendere parte in processi di diritto
privato tramite actores. Essi erano loro rappresentanti,ma non in senso proprio.
Questo gli permetteva di avere accesso ai più svariati negozi. Potevano fare capo di
debiti o crediti,e potevano anche avere schiavi e diritto di usufrutto. Marco aurelio
consentì ai collegi di affrancare i propi schiavi e quindi di assumerne il patronato.
Le fondazioni. L’eredità giaccente : Nei testi giuridici romani manca l’idea di un
patrimonio titolare di se stesso,e manca quindi l’idea stessa di fondazione. Simile ad
essa è tuttavia l’eredità giacente, ossia lo stato del complesso ereditario dalla morte
del testatore fino all’accettazione da parte dell’erede. Durante quel lasso di tempo
l’eredità non apparteneva a nessuno, e quidni in caso di furto, non si aveva vero e
proprio furtum. L’erede avrebbe dovuto aspettare di diventare dominus per la
rivendica. Marco aurelio tutelò queste situazioni col crimen hereditatis,ove il
responsabile sarebbe stato punito con pena pubblica criminale. Per altre questioni si
sentì il bisogno di agire diversamente: Il servo con il dominus morto durante la
giacenza dell’eredità non poteva acquistare a nessuno,e per questo di ricorse a
pretoree finzione giuridiche per agire come se l’erede fosse divenuto tale sin dalla
morte del padre,potendo evitare così spaicevoli situazioni. Si affermo anche nel diritto
romano che il giacimento ereditario era da considerare come persona,e più
precisamente come il propietario originale dell’eredità ormai defunto. Questo
permetteva all’erede di divenire titolare dei rapporti giuridici costituiti durante la
giacenza.
Le piae cause: Si usava disporre legati in favore di civitates con l’onere di devolverne
il credito in favore della cittadinanza o comunque agli strati più poveri di essa. Poteva
essa essere in favore di corporazioni religiose vincolandone il reddito a scopi di culto o
beneficenza. Si parla di pia causa come autonoma soggettività giuridica.
I diritti reali
Si distingue tra diritti reali e diritti di credito. Gli accordi appunti si dividono in Negozi
reali ed in negozi obbligatori. I diritto soggettivi su una res sono di carattere
assoluto,ogni membro della società è ugulamente obbligato a rispettarlo. E’ quindi un
dovere negativo: essi non dovevano agire in modo da ostacolare il diritto reale
esercitato da altri. Diritto reale per eccellenza è la propietà,un potere illimitato che un
singolo ha su un oggetto. Esistono però anche diritti reali limitati su cose altrui,e si è
soliti classificarli in diritti reali limitati o diritti su cosa altrui. Si è solito classificarli
anche come diritti reali di godimento(Usufrutto servitù) ,ove si poteva avere un
godimento più o meno limitato sulla cosa, mentre i diritti reali di garanzia danno
possibilità al titolare di rivalersi sulla cosa data in garanzia. Nulla vieta al propietario
con diritto reale limitato di compiere atti di disposizione in merito alla cosa
contestata,compatibilmente però con la persistenza dell’eventuale diritto privato. Se
si acquista una cosa in usufrutto ne si acquista la nuda propietà. I romani si poneva
più spesso nell’ottica del processo rispetto a quella del diritto sostanziale,e quindi per
quanto riguarda in processo distinsero le azioni in rem da quelle in personam. I diritti
che permettevano le azioni in rem erano il dominum per gli schiavi(revendicatio). Vi
erano diverse strutture di intervento in quanto a Roma i diritti reali erano tipici,e si
procedeva casisticamente, riconoscendone uno alla volta. Non furono mai molti per
non rendere gravosa la circolazione del commercio.
La propietà
Quando si parla di propietà si fa riferimento ad un diritto soggettivo a natura reale per
cui al propietario,si riconosce sulla cosa che ne è oggetto una signoria generale. E il
diritto reale potenzialmente più esteso ed esclusivo. Questa facoltà può subire
tuttavia alcune limitazioni di diversa ampiezza, e se imposte dall’ordinamento
giuridico definite come limitazioni legali, se invece imposte ad opera del propietario
sono dette limitazioni volontarie. Queste limitazioni,come l’usufrutto,non potevano
non estinguersi,e quindi la propietà sarebbe tornata tale prima o poi. La propietà
viene infatti definita “elastica”.
Era un potere che prima di essere una spettanza era proprio un diritto al godimento e
alla disposizione,un potere che può prescindere dall’effettiva disposizione.( a meno
che non si estingua). Solitamente il propietario è anche il possessore della
cosa,tuttavia può anche non esserlo e restare propietario,mantenendo comunque il
diritto al possesso. E’ sicuramente un attività molto antica,tutelata ancora nella legis
actio sacramento in rem attraverso la rei vendicatio. Nello ius più antico si
affermava”Questa cosa è mia ex iure quiritum” espressione che in tarda età
repubblicana venne definito dominium ex iure quiritium. Come detto in precedenza la
res è considerata tutt’uno col diritto di propietà sulla res medesima. Si comprende il
motivo per cui la propietà non è una res corporales.
Il dominium ex iure quiritum era diritto civile prerogativa dei romani,il semplice
dominium era quello affiadto dal pretore. Ai peregrini spettava la propietà peregrina
attuata attraverso ius gentium. Sui fondi provinciali la propietà era definita proprio
come provinciale. Queste distinzioni vennero meno con l’editto di Caracalla che rese
tutti i cittadini dell’impero romani. Giustiniano soppresse ogni distinzione tra pretoria e
ex iure quiritum.
L’accessione
L’accessio è un istituto iuris gentium-naturalis, e presuppone che una cosa subisca un
incremento e si completi grazie ad un'altra cosa accessoria. Colui che aveva la
propietà della cosa principale la ottiene anche per la cosa aggiunta. Giuridicamente è
la congiunzione di due cose di propietari diversi; è un unione organica,cioè che ha
luogo per complementazione di corpi.
Unione organica: Vera e propia accessione, che contempla la congiunzione di cose
mobili a immobili:
Satio:semina implantatio:Piantare alberi in terreni altrui
O cose mobili con cose mobili:
Scriptura: Scrivere su un foglio altrui. Tinctura:Tingere oggetto altrui pictura:dipingere
sul foglio altrui(dibattuto) ferruminatio: fusioni oggetti metallici i quali uno sia a
completamento dell’altro.
Unione separabile: Quando avveniva un unione senza che fosse organica,la regola era
che il propietario manteneva il possesso sulla cosa ma non poteva farlo rivalere
durante l’unione,questo perché il dominus principale diventava propietario della
res,non di tutte le sue parti. Finche la nave rimaneva tale egli non poteva riavere
indietro il suo legno.
Inaedificatio: Con questo termine ci riferiamo alla costruzione di un edificio con
materiale appartentente a una persona diversa dal propietario del suolo. Non si
trattava di unione organica perché a roma il materiale veniva sempre riutilizzato. VI
sono due casistiche
1 LA prima è quella di costruire con materiale altrui su terreno propio Il propietario del
suolo diveniva propietario dell’edificio su di esso edificato.Il propietario dei materiali
rimaneva tale, ma non poteva rivendicarli fino ad una demolizione. Demolizione che
non avrebbe pretendere, per evitare che vi fossero troppe demolizioni a scopo di
rivendica. Il dominus del fondo però non avrebbe potuto usucapire i materiali,e il
propietario avrebbe potuto rivendicarli alla demolizione. Se i materiali erano rubati era
data al propietario la actio de tigno iuncto,penale e in duplum.
2Il secondo caso è quando si tenta di costruire con materiale proprio su terreno altrui.
Il dominus ne diveniva propietario,e la propietà dei materiale non sarebbe rimasta
quiesciente se non nel caso in cui in buona fede egli fosse ignaro dell’alienità del
suolo.
Gli incrementi fluvia e la crusta lapsa: Quando il fiume cambiava corso e quindi parti
del suo letto rimanevano secche,il dominus col fondo illimitato più vicino ne diveniva
propietario. Se vi si formava un isola in mezzo il dominus della sponda più vicina ne
possedeva la propietà.
In caso di alluvione o di altri disastri naturali che spostino la terra la terra spostata
diventa propietaria del dominus che è propietario del terreno su cui si è depositato.
La traditio
Era un negozio bilaterale che si compiva con la consegna di una cosa, era iuris
gentium e iuris naturale. Poteva avere oggetto sia mobili sia immobili. Trasferiva
comunque il possesso e riguardava cose corporali. Poteva trasferire la propietà solo di
res nec mancipi. Era più pratica della mancipatio e delle in iure cessio.
L’usucapione
Oggi detto prescrizione acquisitiva trovava fondo nelle 12 tavole. Si parlava di usus,e
si ecludevano non cives e res furtivae. I regime si conoslidò in età classica e venne poi
mantenuto nel corpus iuris civilis. Comportava l’acquisto del dominium ex iure
quiritium. Vi erano diversi requisiti per il suo avvenimento:
1 res habilis: La cosa da usucapire doveva essere res habilis,ossia idonea ad essere
usucapita. Non lo erano le res furtivae e possesae. Il divieto per le res furtivae non
riguardava tanto il furto violento in se,ma anche un possessore non ladro che però
avesse una cosa rubata. Su di esso l’oggetto aveva una macchia che sarebbe svanita
solo riportandola al dominus.
2 Possessio: Non ogni possesso portava all’usucapione. Lo diventava solo chi
possedeva la cosa come propia. Fino all’età classica non si poterono usucapire res
incorporales,essendo impossedibili.
Tempus: IL termine per l’avvenimento dell’usucapione era breve: Due anni per gli
immobili un anno per tutto il resto. Lo stesso precetto individua nell’usus annuale
l’acquisto della manus sulla donna. Si compiva solo quando l’ultimo giorno era
iniziato, e doveva essere continuo e mai interrotto,neanche per un momento.
Fides: Ai fini dell’usucapione alla fine dell’età classica si richiedeva la buona fede: La
convinzione di non recare ad altri pregiudizio con il nostro possesso. Buona fede
soggettiva,e consisteva nella convinzione dell’usucapiente di essere egli stesso
dominus ex iure quiritium. Essa doveva sussistere al momento del possesso:la mala
fede sopravvenuta non sarebbe stato un ostacolo.
Titulus o iusta causa: LA ragione oggettiva che stava alla base del volere di
usucapione. Doveva essere tale da giustificare l’acquisto del possesso e quindi base
per giustificare anche l’eventuale acquisto di propietà.
I titoli erano molti ma definiti: Il pro emptore,che consegnava cosa venduta,il pro
donato o pro dote,il pro legato,il pro soluto,anche il missiu in possessionem,il bonurum
emptor e il servo venduto per azione nossale.
Non sono indicati negli iusta causa mancipatio iure cessio e traditio in quanto negozi
astratti e non causali.
Per valere l’usucapione anche la causa doveva essere valida.
L’usucapio pro herede: Con l’usucapio pro herede la persona che avesse preso
possesso anceh di una sola cosa ereditaria dopo un anno poteva fare sua l’intera
eredità. Era necessario però ovviamente che non vi fossero eredi e che quindi l’eredità
fosse giacente. Già in età classica si permise di usucapire solo le singole cose,ma per
il resto si mantenne ili regime di iusta causas e buona fede. Dai tempi di adriano
l’usucapio pro herede verificata in mala fede poteva essere revocata dall’erede anche
quando già avvenuta.
La rei vendicatio
Antico strumento alla difesa del dominium ex iure quiritium era la rei vendicatio o
rivendicca. Essa spettava al propietario ede era propia delle azioni in rem. Il
propietario era non possessore ed era rivolta al possessore attuale. Nell’ambito delle
legis actio avveniva inizialmente per legis actio sacramenti poi per agere in rem per
sponsionem. Nel formulare agere per fromulam petitoriam più semplicemente definita
rivendica formulare. Essa era composta da iudicis nominatio ,intentio,clausola
restitutoria e condemnatio. Il giudice doveva pertanto emanare sentenza di condanna
quando le due condizioni,una positiva ed una negativa erano verificate. Nel caso in cui
il convenuto restituiva il giudice lo assolveva per via della clausola,altrimenti litis
aestimatio.
L’onere della prova: Nella formula l’onere della prova non poteva che gravare
sull’attore. Solitamente si trattava di provare il possesso di rem acquisite a titolo
derivativo,ed era quindi necessario verificare se chi aveva alienato era possessore
etc.. Di grande aiuto era l’usucapione che se avvenuto in buona fede dopo un anno
toglieva i dubbi sulla propietà. Allo stesso modo il principio della successio
possessionis,che permetteva di continuare l’usucapione del padre morto.
Le spese il ius retentionis: Poteva accadere che il convenuto avesse prima della lite
erogato del denaro sulla rem contestata. Sarebbe stato equo che quelle risorse gli
vengano rimborsate. Si provvedeva con exceptio doli, e nel caso in cui l’attore non
intedesse pagare le spese dopo essa il convenuto veniva assolto. Le spese volluttuarie
restano a carico del possessore a meno cche ciò per cui aveva speso era passibile di
ius tollendi,ossia attraverso la rimozione senza fare danni al patrimonio del
propietario.
La legittimazione passiva: A essere legittamato passivamente in termini di rivedicatio
era solo il possessore ,ossia colui che ne potesse restituire. Dall’età classica in poi
anche ad alcuni detentori venne affidata la facultas restituendi. In età classica si
ammise in anche che fosse da conddannare in sede di verifica qui liti se optulit:colui
che avesse dolosamente accettato di rem defendere anche se non possedente. Ciò
rendeva più difficile l’identificazione del possessore e dava tempo per il compimento
dell’usucapione
I frutti: L’oggetto da rivendicare era indicato dall’intentio insieme ai dati necessari per
l’identificazione. Non si faceva obbligo di restituire i frutti percepiti prima della lite. I
frutti invece post litem constestam erano da restituire insieme alla cosa controversa. Il
convenuto doveva inoltre restituire i frutti che avrebbe potuto percepire con un
amministrazione più adeguata della cosa.
LA responsabilità del convenuto: La res che si perseguiva la perseguiva nello stato in
cui era al termine della litis contestatio. I danni ante litis contestatio non erano
calcolati. Quelli post invece dovevano essere risarciti all’attore,semprechè imputabili a
sua causa o colpa. Inoltre chiunque avesse usucapito post litis contestatio non
otteneva realmente la propietà,e se soccombente era obbligato in processo a
trasferire quella acquisita con mancipatio.
LItis aestimatio: Il convenuto che non restituiva vrebbe dovuto pagare il valore della
cosa ,ma ne avrebbe ancche trattenuto il possesso.
opposto l’exceptio iustii domini contro l’actio publiciana. Ciò era equo però solo se il
possesso ad usucapionem era stato ricevuto da un terzo e non dal dominus stesso. Se
era stato il dominus a cedere con traditio allora si sfociava in iniquità: alla exceptio
posta dal dominus si poteva opporre la replicatio doli. Una volta effettuata l’actio
publiciana l’attore teneva la cosa in bonis. Fu detto dominium questo tipo di propietà
ma non iure quiriutim bensi iure praetorio,verrà infatti chiamato dominio propietario o
propietà pretoria. Per ottenre il dominus ex iure quiritium bastava attendere la fine
dell’usucapione.
La compropietà
Il consortium ercto non cito: Istituto di ius civile che tradotto stava a signifacare
“Dominio non diviso” Si costituiva automaticamente alla morte del pater familias, e
supponeva che il patrimonio ereditario restasse comune. Questo significava che
chiunque potesse alienarlo senza il consenso degli altri se questi non avessero posto
tempestivamente il veto (Ius prohibendi). Ognuno era considerato propietario
dell’intero.
Alla eventuale divisione si procedeva per iudicis arbitrive postulationem. Scomparve
prima dell’ultima età repubblicana.
La compropietà: Definite anche come comunione. Poteva essere volontaria, ma più
spesso era accidentale. Ad esempio il legato per vindicationem a favore di più
persone.
Compropietà e consortium: Il regime che li stabilisce è differente: La communione
stabilisce una quota ideale del patrimonio condiviso. I classici negarono poi che si
potesse essere copropietari della stessa cosa. Ognuno poteva quindi alienare solo la
propia quota. Poteva su di essa costituire pegno e usufrutto ma non servitù
,indivisibili. Nel consortio solo da diritto giustinianeo è necessario il consenso di tutti.
Il ius adcrescendi: Se un propietario nella comunione rinunciava alla sua quota si
alzavano quelle degli altri. Ognuno è limitato dall’altro. Manomettendo uno schiavo ad
esempio non si faceva che accrescere il dominium degli altri su di esso. Per affrancarlo
serviva che tutti lo manomettessero.
La tutela giudiziaria: Per tutelarsi il compropietario aveva accesso alla rei vendicatio
pro parte.Agiva per intero quando doveva attestare o negare la presenza di diverse
servitù.
I terzi avrebbero agito su un solo propietario anche se in solidum( Ad esempi uno
schiavo che compiva un illecito e dovesse essere passivo di azione nosssale)L’azione
non poteva essere ripetuta da o contro gli altri titolari. Se avesse perso o vinto la
causa l’imputato spartiva o richiedeva il necessario danaro pro quota.
La divisione:L’actio commmuni dividundo: Quando era necessario dividere
definitivamente la compropietà si ricorreva alla actio communi dividundo. Non v’era
convenuto o attore, e nel processo delle legis actiones si utilizzava la iudicis arbitrive
postulationem. Nel processo formulare si dava al giudice potere di aiudicatio, ossia di
pronunziare la propietà esclusiva di una parte o del tutto. Se la cosa era indivisibile
erano necessari vonguagli in denaro alle parti che non avevano potuto assistere alla
divisione della cosa,costiutendo così obbligazioni.
Le servitù prediali
Tra i diritti reali su cose altrui si inseriscono le servitù prediali: Diritti soggettivi con
effetto reale,secondo i quali un propietario di un fondo può chiedere a quello vicino un
determinato comportamento di tolleranza o di omissione. E’ quindi un peso posto su
un fondo per l’utilità dell’altro. Si riferiscono solo ai beni immobili,e i due fondi tra i
quali si costituisce una servitù si definiscono di solito dominante e serviente. LA
servitù non è alienabile dai fondi. La servitù è quindi un rapporto tra fondi.
I due fondi devono appartenere a propietari diversi,non potevano esistere servitù per
propietari dello stesso fondo. Le servitù si inquadrano tra i diritti naturali di
godimento,costituendosi essi per l’utilità di un altro fondo. L’utilità poi deve riguardare
il fondo dominante in se, non il propietario attuale. I fondi soggetti a servitù dovevano
essere vicini. Abbiamo visto come i diritti reali non possano consistere in un “fare”.
Non deve trarre in inganno il fatto che esistano servitù negative e positive,
intendedosi come positive quelle che consistono nella permissione di una particolare
azione (il passaggio) e negative quelle che ne pongono il veto. Le servitù inoltre
riguardano l’intero fondo,e come abbiamo visto nella compropietà non sono divisibili.
Le origini: Nascono da epoca preclassica avanzata. Questo risolta ovvio in quanto nei
primi secoli di roma grazie all’ambitus e al limes si assicurava sufficiente indipendenza
ad ogni fondo senza la necessità di servitù. Dopo la legge delle 12 tavole i fondi
arcifinii divennero sempre più numerosi, e si dovettero stabilire diverse servitù
Iter(passaggio a piedi) actus(carri e bestiame) acquae(Irrigazione) Inizialmente queste
tre servitù erano considerate res corporales. Col riconoscimento il ultima età
repubblicana di diverse tipologie di servitù si arrivo a considerarle res incorporales,e si
parlo di iure paredorium(diritto dei fondi).
Questo utilizzo dell’usucapione come atto costiturio ritorno nel diritto giustinianeo con
la longi temporus praescriptio,che presupponeva iusta causa buona fede e lungo
possessio.
I modi di estinzione:
CONFUSIONE: Quando il propietario dei due fondi acquista anche l’altro
vicinante,annullando le servitù.
RINUNZIA: Per rinunziare a una servitù si utilizzavaa inizialmente per in iure cessio,da
quando è cessata di esistere mediante pactio.
Non usus: Il mancato esercizio di una servitù,prolungato per due anni ne provocava
l’estinzione. Nessun problema si pose per le servitù rustiche, positive. Le sevitù
urbane erano invecce negative,comportando quindi un non fare. Come si determina il
non usus di qualcosa che bisogna non fare? Semplicemente quando la servitù non era
stata rispettata per oltre due anni e non fu esercitata al riguardo alcuna vindicatio
servitutis, e si può dire quindi che il propietario usucapisce la libertà del fondo
liberandolo da una servitù. Giustiniano la rimise alla longi temporus praescriptio,10 20
anni.
La difesa giudiziale: Col riconoscimento delle servitù come entità giuridiche naquero le
rispettive azioni giudiziarie. Vindicatio servitutis. Nelle legis actionis si dovette
procedere con sacramento in rem,nel formulare nell’intentio si faceva riferimento al
ius vantato. La formula era munita di clausola restitutoria,o arbitraria,e l’azione si
esercitava contro il dominus del fondo serviente. Nel diritto classico avanzato si
utilizzo l’actio confessoria servitutis, opposta quindi alla actio negatoria servitutis.
L’usufrutto
Anche l’usufrutto fu considerato diritto reale limitato di godimento su cosa altrui. Il
titolare era l’usufruttuario,il propietario del bene gravato il nudo propietario. Si dava
quindi diritto di usarne una cosa altrui e di percepirne i frutti. Poteva avere ad oggetto
solo cosa fruttifere e inconsumabili. Aveva carattere personale perché limitato
all’usufruttario,inalienabile e intrasmissibile.
Le origini: E comune pensare ch el’usufrutto abbia avuto origine con la diffusione dei
matrimoni sine manu, ove la moglie non avrebbe ricevuto alcuno patrimonio dalla
morte del marito, e se l’avvesse ricevuto sarebbe dovuto andare alla sua famiglia. In
questo tipo di matrimonio inoltre i figli non erano iure civli eredi della madre. Inolte
l’eventualità che la donna facesse testamento era assai rara. Ecco quindi mediante
legato che si stabili che i beni provienienti dal testatore marito morto erano donati alla
moglie in qualità di usufrutto,in modo che il dominio di essi restasse agli eredes.
Nell’età repubblicana fu qualificato ius e quindi tra le res incorporales. La tutela
giudiziaria ebbe luogo nello ius civile. Molto presto si ammise possibile anche per
negozi inter vivos.
La natura giuridica: L’usufrutto era un diritto reali su cose altrui. Come diritto reale
seguiva pertanto la cosa presso qualsiasi propietario. Il nudo propietario poteva quindi
si alienare al cosa data in usufrutto, ma gli altri non avrebbero acquistato altro oltre
alla nuda propietà. Quando si era propietari di qualcosa lo si era e basta, non nudi
propietari+usufruttuari. Quando infatti per qualsiasi motivo l’usufruttario acquistava
la propietà della cosa l’usufrutto si estingueva. In età postclassica il concetto si
Il quasi usufrutto
Il quasi usufrutto nasce nel contesto dell’usufrutto gravante su tutti i beni del
testatore, dappri masolo inconsumabili e da dopo anche riguardante i beni
consumabili come il denaro. In questo caso sarebbe stata necessaria una cautio
fructuaria che sanciva che si sarebbe dovuto restituire il medesimo al termine
dell’usufrutto.(tantumdem)
In questo caso l’usufruttuario dovendo restituire cose del medisimo valore non
avrebbe avuto usufrutto ma propietà sui beni consumabili. Di usufrutto tutto ciò non
aveva niente oltre al nome. Per questo fu definito usufrutto.
La restituzione della tantundem o avveniva tramite gli eredi che ne ereditavano
l’onere oppure al momento di una eventuale clausaola risolutiva o termine finale. Non
si risulta che il quasi usfrutto si costituisse in modi diversi che per il legato, Si dava al
quasi usufruttuario la vindicatio usus fructus.
In tal modo si fece deroga al principio di efficacia solo obbligatoria dei contratti. Fu
mantenuta sempre però la differenza tra dominus propietario e superficiario. Nell’actio
in rem si presupponeva come un diritto reale limitato col godimento di cosa altrui. Col
tempo e con l’età classica si riconobbe il diritto di vendere la superficie,darla in pegno
iure pretorio e costituire usufrutto e servitù. SOLARIUM CANONE
Gli agri vectigales: Erano state dette agre verticale s quelle porzioni di ager publicus
che i censori concedevano a privati dietro pagamento periodico detto vectigal. I
concessionari si dicevano possessores e tutelati tramite interdicta contro turbamenti.
Venivano realizzate mediante locationes, di diritto pubblico quelle censoria, di privato
quelle dei municipia, di breve durata inizialmente e immediatamente revocabili in
assenza di vectigal.
Fu ammessa l’alienabilità inter vivos e il passaggio agli eredi. Il pretore nel primo
secolo avanti cristo concesse poi tutela giudiziaria con azione in factum di natura
reale esperibile contro qualsiasi posessore. Poiche il dominio restava al populus
romano si parla di diritto reale di godimento su cosa altrui. I diritti in età classica si
ampliarono , con la permissione di usufrutto e pegno,servit e capacità di utilizzare
alcune azioni riservate al dominus,tipo acquae pluviae arciendae.
L’enfiteusi: In età postclassica non si parlò più di agri vectigales,si svilupparono invece
con regime analogo altri tipi di concessione per le terre appartenenti alla sfera
pubblica. Anche l’enfiteusi era un diritto reale di godimento su cosa altrui. Poteva
riguardare sia terre pubbliche che private, e spesso vi si ricorreva al fine di migliorare
il fondo. L’enfiteuta era tenuto al pagamento di un canone annuo. Poteva alienare il
fondo solo se informava il concedente. Esso poteva avere diritto di essere preferito
entro due mesi, altrimenti l’enfiteuta avrebbe dovuto dargli il 2% del valore del fondo.
Esso si estingueva per mancato pagametno del canone per oltre tre anni,nonché con
l’alienazione a terzi senza che l’enfiteuta avesse dato precedenza al
concedente,oppure per cofnusione. Ad esso fu esteso l’ager vectigalis.
Pegno e ipoteca
Siamo ancora nel campo dei diritti reali su cosa altrui ma non più di godimento bensì
di garanzia. Sono dettti di garanzia i diritti reali atti alla realizzazione di un credito, e
che quando non realizzato danno al creditore il diritto di avvalersi sulla cosa. I pegni
sono quindi garanzia reali del credito. Si contrappongono ad esse le garanzie
personali, sempre più presenti quanto andiamo dietro nel tempo.
I romani conobbero anche un diritto di garanzia reale differente chiamata la fiducia.
Comportava nel creditore l’acquisto della cosa che si dava in garanzia,con l’obbligo di
restituirla una volta saldato il debito. La fiducia fu la più antica garanzia reale per
obbligazioni. Comportava spesso mancipatio e in iure cessio, e per cui solitamente
doveva essere usata perl più con res mancipi.
La genesi: la pratica del pegno ebbe inizio nel terzo secolo avanti cristo,e si effettuava
la consegna di una cosa al creditore che l’avrebbe tenuta fino a quando il debito non
sarebbe stato soddisfatto. Si parlò al riguardo di pignius dare,pignius datum, e datio
pignoris. Chi riceveva il pegno non riceveva la propietà,quindi dare e datio
mantenevano il significato comune di consegna. Sembra che la datio fosse
inizialmente concessa per cose mobili nec mancipi, poi estesa ad ogni res con
Il possesso
Il possesso è come l’esercizio di fatto di un diritto soggettivo. Posside un diritto chi lo
esercita,non chi ne è titolare. Il possesso è uno stato di fatto,dura finchè dura. Se si
smette l’esercizio di un diritto corrispondente a una cosa se ne perde anche il
possesso. Il possesso è determinato da disponibilità materiale ed animus, possiamo
quindi dire che possiede la cosa chi la tiene come propia. Non basta quindi parlare di
detenzione per parlare di possesso ma serve anche l’animus, più precisamente
l’animus domini,ossia l’intenzione di tenere la cosa per se. Possiede pure il non
propietario convinto che la cosa che tiene gli appartenga,possiede anche il ladro(in
mala fede). Non possiede l’inquilino(locazione) il depisitario,il comodatario.
La genesi: Il possesso nasce con l’uso di lasciare in gestione ai privati larghi
appezzamenti di terre pubbliche,consentendone a certe condizioni l’occupazione
mediante pagamento di un vectigal. Chi teneva legittimamente agri publici furono
detti possessores, e il loro potere possessio. Sin dagli ultimi anni dell’età arcaica si
diede tutela ai possessores ccon interdicta,il più antico di essi l’interdicta uti
posseditis.
Il pretore estese la stessa tutela a quanti avevano l’usus di una cosa immobile che in
dipendenza di esso entro un biennio l’avrebbero acquistata per usucapione, e più in
generale la diede a chiunque tenesse un fondo rustico come proprio. L’elenco dei
soggetti tutelati aumentava sempre di più.
LA DIFESA DEL POSSESSO: Gli interdetti furono divisi in diverse categorie apiscendae
possessionis(possesso),retindae possessionis(conservazione) reciperandea
possessionis(Recupero)
Gli adipiscendae possessionis erano rivolti all’aquisto ex novo del possesso.
Gli interdetti retindae possessionis in qualche modo corrispondenti alla nostra azione
di manutenzione erano proibitori manifestandovi col veto del magistrato che sai fatta
violenza.
Il più antico era l’interdictum uti possessionis, relativo agli immobili, nel quale era
vietato l’uso della violenza da parte dei due contendenti per modificare la situazione
possessoria che risultava non viziata nei confronti dell’altro.Era quindi duplex. Ne era
parte integrante la exceptio vitiosae possessionis secondo la quale si aggiudicava la
cosa la prte che possedeva senza vizi rispetto all’altro litigante. Senza
violenza,clandestinità,concessione precaria. La persona che aveva acquistato il
possesso con violenza era si tutelata dal luti possessionis ma non contro il osggeto al
quale aveva sottratto la propietà,analogamente negli altri due casi. Il possesso viziato
è definito anche possessio iniusta.
L’interdictum uti possiedis giovava quindi al possessor iustus per far cessare molestie
e turbative. Essa permetteva di sottrarre pure con la violenza al possessor iniustus.
Struttura analoga aveva l’interdictum urtrubi,relativo ai beni mobili,pure esso era
proibitori e tutelava iil possessore senza vizi(ne vic ne clam ne precario). Sebbene
classificato tra i retindae possessionis,giovava sia per la cessazione di molestie sia per
il recupero del possesso. Tutelava colui che avesse posseduto maggiormente senza
vizi durante l’ultimo anno.Giustiniano lo comparò poi a quello uti posseditis.
Nonostante la già funzione recuperatoria dell’interdetto uti posseditis,l’editto pretorio
contemplava per i soli beni immobili l’interdictum de vi,detto anche de vi cottidiana,in
favore del possessore che avesse subito sopossessamento violento. L’interdetto era
volto al recupero del possesso perduto. Era quindi restitutorio al simplex. Pure esso
conteneva l’exceptio vitiosae possessionis e pertando dato al possessor iustus. Il
violentato avrebbe potuto recuperare con la violenza. Doveva essere esercitato non
oltre l’anno ed era trasmissibile agli eredi.
Di poco successivo è l’interdictum de vi armata,simile ade vi, ma che presupponeva
che per lo spossessamento fosse impiegata una banda armata. Era garantita per via
della gravità anche al possessor iniustus.Giustiniano lo ecquiparo al de vi.
Possesso e propietà Tra i legittimati ad utilizzare interdicta per la difesa della
propietà come sappiamo vi furono coloro che uti domini tenevano la cosa come
propietari. Il posesso era al contrario della propietà uno stato di fatto e non di diritto. Il
possessore uti dominus era protetto sia se propietario della cosa sia che non lo
fosse,pure contro il propietario stesso se autore del turbamento.Il propietario avrebbe
sempre potuto far rivendica,ma se avesse utiizzato altri mezzi sarebbe stato vittima
degli interdetti a sua difesa.Questa concezione si offuscò in post classica ma ritornerà
in auge con giustiniano.
POSSESSORI E DETENTORI: La difesa interdittale possessoria,sorta per tutela di agri
publici, fu estesa a tutti i propietari che tenevano una coa uti domini. Tutti costoro si
dissero possessores. Restavano esclusi i servi e i filii familias, i loro beni infatti
spettavano al dominus o al pater. Così pure per coloni e inquilini. Le azioni interdittali
in questi casi spettavano al vero possessore dei beni. Coloro che tenessero per loro la
cosa senza però averne il possesso vengono definiti come detentori.(naturail
possessio)
Il possesso ad usucapionem e la possessio ad interdicta
L’usucapione discendeva direttamente dall’usus regolamentato dalle 12 tavole.
Aveva una matrice diversa a quella della possessio ad interdicta,divenuta più ampia e
generale.
La ratio della difesa del possesso era diversa da quella dell’usucapione. Se gli
interdicta erano mirati alla ecquita sociale, nell’usucapione era necessario chiarire
dubbi circa la titolarità del dominium, e di garantire la preferenza a coloro che
curavano i loro affari piuttosto che a chi li trascurava. Non tutti i possessori interdittali
potevano usucapire, e non tutti i possessori ad usucapionem avevano tutela
interdittale. Poteva accadere che in ordine alla stessa cosa si diede ordine ad uno il
possesso ad usucapionem e ad un altro il possesso ad interdicta. Come nel caso del
creditore pignoratizio e precario dans. La possiessone ad usucapionem quindi non fu
mai veramente inserita nei generi delle possessioni interdicta,ma a sua tutelaa aveva
l’azione publiciana.
Acquisto conservazione e perdita del possesso: Quella dei possessores era una
situazione che presupponeva l’effettiva disponibilità di possedere una cosa, e
percepirono che con essa non poteva non esserci il desiderio di tenerla per se. Questi
due requisiti si definiscono corpus possidere e animus definendi. Il possesso di una res
si realizzava quanndo taluno con lìanimus possidendi aveva possibilità di disporne.
Bastava che venisse meno o uno o l’altro per non essere più un valido possessore.
Il possesso si trasmetteva e acquistava mediante traditio, si aquistava per
occupatio,adprehensio o ress derelictae, e si perdeva per derelicto. Acquistava il
possesso mediante traditio anche chi non riceveva subito la res traditia. Conservava il
possesso il possessore che usciva del fondo per poi tornarci. Conservava il pascolo
stagionale per tutto l’anno il contadino. Il possesso è tale quando il possessore può
subito recuperare una cosa. Perdeva il possesso ada esempio un possessore che
allontandosi vede il suo fondo occupato da altre persone. Quanto in particolare
all’animus possidenti non fu mai ecquiparato all’animus dominis, esso era più vasto
ed apparteneva a chiunque volesse tenere la cosa come propia.
L’animus peraltro era un elemento molto intimo,era al momento dell’acquisto che si
doveva manifestare come apprezzabile. Era ovvio per cui che il possessore
mantenesse il possesso mentre dormiva.
Chi tiene una cosa per una causa,non può poi pretendere di possederla ad altro titolo
per avere intanto mutato da se il proprio animus. Se uno tiene una cosa per locazione
non è adatto per esempio a compire usufrutto. Per divenire possessore uti dominis è
necessario che la cosa ci venga venduta.
L’oggetto del possesso: Riguardava l’usucapione il principio secondo il quale al
possessore di una signola cosa era negato il possesso delle sue parti. Ad esempio al
possessore di un edificio era negato il possesso delle sue singole parti,e in quanto non
da lui posseduto non avrebbe potuto usucapirle.
Peculiare del possesso inoltre è il fatto che non si possano possedere res incorporales.
Chi possedeva servitù o usufrutti non veniva considerato possessore proprio per
questo motivo,dato che il possesso restava al nudo propietario.
Quasi possessio e possessio iuris :Negare il possesso a titolari di usufrutto e servitù comportava
però che non fossero tutelati giuridicamente contro molestie,e ngare anche l’acquisto
per usucapione. Il pretore allora per questioni di equità concesse gli interdicta uti
possessionis e de vi agli usufruttuari su immobili. Il pretore poi col tempo tutelò anche
chi aveva a carico alcune servitù con alcuni interdicta simili all’uti possessionis,detti
itinere actuque privato. Non si trattavano propiamente di interdetti possessori ma
furono di ispirazione per le definizione del particolare stato di diritto definito come di
“quasi possessione”(possessio iuris)
Con la longi temporis prescriptio nacque poi l’usucapione di servitù e usufrutto.
Possessio e superficie: Ai superficiari era inizialemente negata la qualfica di
possessores. Esso emerge evidentemente perché il pretore creo un interdictaa
apposito anche per loro ,de superficiebus,simile all’uti possessionis.In età classica
venne ammesso l’interdictum de vi. Non comportò mai l’acquisto di usucapione.
7 Obbligazioni
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lOMoARcPSD|9836546
IL concetto
“l’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale siamo astretti dalla necessità
di adempiere a qualche prestazione secondo il nostro ordinamento giuridico.
L’obligatio nasce attraverso un vincolo potenziale,secondo il quale si è dovuti ad un
certo comportamento. Questo comportamento è designato come prestazione. Un
soggetto debitore è dovuto a compiere delle prestazioni verso il soggetto creditore. Il
dovere giuridico del debitore è il debito. Il diritto del creditore è il credito. Il credito è
limitatato ad un entità giuridica limitata,il debitore(i). L’azione che si da all’occorrenza
è un azione in personam. Consiste essa generalmente in un comportamento
positivo:dare fare… Quando si tratta invece di diritti reali solitamente si parla di un
non fare. Il debitore inadempiente incorre in “responsabilità. La responsabilità è la
posizione di chi deve rendere conto,e se non lo fa incorre in sanzione.(Dopo un azione
dichiarativa).
Si è visto quindi che il vincolo della obligatio è un vincolo potenziale,in quanto dipende
in base alla responsabilità del debitore. Il concetto di obbligazione nacque a roma
nell’età arcaica.
La genesi e la storia
L’idea dell’obligatio nacque a roma nell’ambito degli atti leciti. Ma tra le fonti ad
assumere rilevo giuridico per le obligatio furono prima gli atti illeciti.
Gli atti illeciti : Il solo modo inizialmente pensato per punire inizialmente un atto
illecito dai romani fu la vendetta. L’offensore doveva subire una poena,per lo più
corporale, e nei casi più gravi poteva essere anche ucciso. Ad infliggere la pena era
sempre il pater familias dell’offeso. Questo perché l’offensore doveva essere trasferito
di propietà. Fino a qui siamo ancora lontani dall’idea classica della obligatio. Nelle
fonti infatti non c’è riferimento a prestazioni intese come comportamenti dovuti. E’
facile tuttavia che l’offeso se gli veniva offerto denaro in cambio poteva rinunciare di
attuare la vendetta. Si stabilì poi che non pote rifiutare la composizione
pecuniaria(Ovviamente se di giusto valore). Questa somma di denaro veniva chiamata
poena. Il relativo pagamento inizialmente non era considerato dovuto ma solo come
riscatto o onere come sissssssvuoldire.
Gli atti leciti : L’idea dell’obligatio come vincolo iuris nacque negli atti leciti.
Il nexum : Il nexum era un gesto per aes et libram,e quindi con testimoni libripens e
bilancia. Vi si ricorreva in relazione ad un prestito. Il metallo,o poi denaro veniva
utilizzata come merce di scambo o dopo prestito di denaro. Il primo pronunziava
parole solenni e informava alla persona che aveva ricevuto il prestito quale sarebbe
stata la sua condizione fino a che il debito non fosse stato saldato. Diventava nexus.
Formalmente libero ma non servo, tuttavia assoggettato al prestitore fino a che
l’importo non sarebbe stato ripagato. Per la cessazione del nexum serviva la solutio
per aes et libra,ossia letteralmente lo scioglimento del legame tra i due,fortemente
consigliato dai more maiorum. Quello sui nexi era un potere diretto e immediato
simile a quello di debitori insolventi,che come il nexum aveva il suo fondamento nell
ius quiritium. Il nexum dava quindi luogo ad un vincolo attuale e non potenziale come
la classica obbligatio. Una lex poetelia papiria nel 326 a.c. comunque abolì la pratica
del nexum, che spesso gravava sui plebei da parte dei patrizi.
I praedes e i vades: Figure antiche con la qualifica di garanti. I praedes nella legis
sacramentio in rem assicuravano che la cosa in possesso temporaneo sarebbe poi
stata restituita,i vades garantivano la presenza del convenuto il giorno in cui era stato
rimandato il processo. Essi stessi erano responsabili delle azioni che compiva
l’avversario del creditore in giudizio, e ci si poteva rivolgersi a loro come colpevoli
qualora vi fosse un situazione di inadempimento. Debito e responsabilità facevano
quindi capo a persone diverse.
La sponsio : L’obbligazione classica e più antica è la sponsio,e pare abbia avuto
origine nella sfera religiosa. Riconosciuta al tempo delle 12 tavole, per le quali si
stabili di procede con iudicis arbitrive postulationis. Consisteva in interrogatio e
responsio. Creava quindi un credito e un debito.
La struttura nata dalla sponsio andò ad espandersi ad altri rapporti di antura lecita. Si
parlo al riguardo in ogni caso di obligatio. Il fenomeno poi già in età repubblicana si
confinguro anche per gli atti illeciti,ove si utilizzava la poena come riscatto per evitare
pena corporale al debitore. E’ pertanto naturale che si inizio a parlare di obligatio
anche per atti illeciti. Gaio infatti effettuò una trattazione per utte e due le tipologie.
Si trattava però comunque di fenomeni eterogenei, e per la maggir parte ci si riferisce
ad atti di natura lecita. Venute meno le legis actio,nel processo formulare esisteva lo
stesso un tipo di condanna corporale definita come addictio,resa però molto meno
pesante della manus iniectionis,e si profilò anche un nuovo modo di agire per via
punitiva,ossia la bonurum venditio(esecuzione patrimoniale),così sarebbe stato il
patrimoio ad essere soggetto alla potestà del creditore. All’esecuzione personale si
doveva fre ricorso solo nei convenuti privi di mezzi,.
L’bligatio in queste posizioni divenne sempre più un vincolo sul patrimonio che un
semplice vincolo ptenziale.
1 Nel termine obligatio sono ravvedibili ancora gli echi del nexum “ligatio” e “solutio”
legato e scioglimento infatti.
2 Nell’obbligatio classica debito e responsabilità facevano capo solo al debitore.
Abbiamo visto come ssi possa dividere con praedes e vades, e si pensa che ciò abbia
origine nella sponsio, come evidenziato dai vari frammenti contenenti” Prometti cche
mi sia dato cento?”
Le obbligazioni naturali
Ad ogni obligatio corrispondeva un actio in personam. Alcune obbligazioni non erano
però tutelate,e vennero definite quindi obbligazioni naturali. Si trattava di obbligazioni
più in punto di fatto che in punto di diritto. Si inizio a discorrere di esse principalmente
per quanto riguarda le obbligazioni compiute da schiavi,filie familias , e donne fatti in
favore a terzi. Non si negò mai al negozio efficacia,sebbene compiuto da alieni
iuris,ma la si defini un obbligazione naturale. Il difetto di azione era il non effetto
dell’obbligazione naturale,l’effetto fondamentale era invece la solutio retentio. Questa
comportava che se il debito fosse stato adempiuto spontaneamente,ne il debitore ne
il suo avente potesa avrebbero potuto pretendere la restituzione di quanto prestato.
Contro di lui non era quindi proponibile l’azione di ripetizione dell’indebito.
Nel corso dell’età classica anche le azioni compiute dal pupillo senza autoritas
vennero definite obbligazioni naturali.
prometti di darmi duecento se entro il terzo anni non dai 100 a sempronio?” Si
invogliava a fare tramite il proprio benessere.
La promessa del fatto altrui: I Classici negarono validità all’assunzione di
responsabilità per comportamento altrui. Quindi non solo erano non validi i contratti a
favore di terzi ma anche invalido era l’assunzione che un terzo dovesse tenere un
determinato comportamento se fuori dalla obbligazione. Anche questo aggirabile con
una stipulazione penale,nella quale stabiliva una somma nel caso le sue aspettative
fossero state frustrate.
Impossibilium nulla obligatio: era nullo il negozio che prevedeva una prestazione
impossibile. Non si faceva riferimento alla impossibilità sopravvenuta ma bensì alla
impossibilità iniziale. Nei iudicia bona fidei si stabili una penale che doveva pagare il
debitore cosciente della impossibilità. Si pensa con actio de dolo o in factum.
Potevano essere materialmente impossibili o giuridicamente impossibili.
Materialmente consegnare un edificio già distrutto giuridicamente trasferire la
propietà di qualcosa che non appartiene.
Era di contro valido il negozio che imponeva al debitore di trasferire cosa non suo.
Erano fatti suoi il recuperare della cosa da altro propietario per poi venderla ,difficile
ma non impossibile.
Liceità: la prestazione chiesta doveva essere lecita,pena la nullità. Non pteva essere
contraria a diritto oggettivo a o a buon costume. Il regime era diverso da quello delle
cause e delle condizioni illecite.
Determinabilità : Le parti dovevano avere cura di sottolineare precisamente in cosa
consisteva la prestazione. Potevano anche fare rinvio ad elementi esterni,come nel
caso di una compravendità passata. Si parlò allora di determinabilità per relationem.
Si poteva anche rimandare la determinazione della prestazione ad un terzo,che però
come idea non piacque molto ai romani e decisero così di istituire la figura
dell’arbitrum bona viri,persona onesta che preocedeva secondo i comuni metri di
valutazione oggettivi. In materia di iudicium bona fidei fu sempre considerato
arbitrium bona viri il terzo . Trovarono applicazione in materia di stipulatio,legati,ius
iurandum liberit. Qualche volta vennero messi in discussione spesso invece erano
accettate le cclausole.
Ab heredis persona obligatio incipere non potest: “Un’obbligazione non può
avere inizio dalla persona dell’erede.” Cio vietava che nascesse dal lato attivo o
passivo una obbligazione direttamente all’erede di una delle due parti. I giuristi
classici però decisero di eludere questo principio permettendo sempre le stipulatio in
punto di morte,propia o dello stipulante. Giustiniano la abolì.
Le obbligazioni generiche
La prestazione può avere come oggetto sia cose individuabili in un genus che in una
specie. Erano solitamente generiche le obbligazione con alla base cose fungibili.
Bisognava sempre restituire l’ecquivalente,in termini di quantità e di qualità.
Nascevano generalmetne da stipulatio e legato per damnationem. Bisognava indicare
l’oggetto della prestazione con necessaria precisione. Si dicevano nulli i negozi nei
quali si doveva “Un servo” In quanto indeterminati. Si poteva però supplire in via di
interpretazione della volontà. Quando si faceva riferimento a singole cose
appartenenti ad un genus solitamente si faceva sciegliere il debitore,ma era possibile
che fosse ancche il creditore a sciegliere. In ogni caso si avrebbe dovuto prendere la
cosa di valore medio,ne la migliore ne la peggiore. Il genus non perit,deve essere
ampio.
Inadempimento e responsabilità.Impossibilità
sopravvenuta della prestazione imputabile al debitore.
Il creditore ha diritto alla prestazione. Se non adempiuta il debitore incorre in
responsabilità. L’inadempimento poteva generarsi anche da impossibiltà
sopravvenuta,la più comune il perimento. Ltro è che divenga difficoltoso. Quando il
genus è ampio poi è difficile che venga tutto a perire. L’impossibilità sopravvenuta per
causa del debitore dava luogo a responasabilità. In quali circostanze però? I criteri non
furono mai rigorosi e furono per la maggiore dedotti dall’interpretazione della
giurisprudenza. Nelle azioni in ius il debitore(di stretto diritto) era responsabile per i
comportamenti positivi che hanno portato all’impossibilità di una determinata
prestazione. In origine non era responsabile per omissioni. In determinati casi il
debitore teneva in custodia qualcosa chedoveva restituire. In questi casi le
conseguenze erano molto severe. Era liberato solo se la cosa periva per cause naturali
o di forza maggiore.
Il depositario invece rispondeva non per custodia ma solo per dolo, perché non era a
vantaggio suo che teneva li la cosa. Non si parlava di inganno con dolo ma di azioni
volontarie. Nei iudicia bona fidei si concesse di adeguarsi in base alla situa. Poteva
limitarsi al dolo anche nella custodia in quel caso.
Si inizia a parlare di colpa nella legge acquilia,che corripsonde ad un comportamento
negligente o imprudente. Si utilizzo come metro di responsabilità per esempio nel
actio rei uxoriae.
Si distinse poi tra culpa lata,quella più grave, che fu equiparata al dolo,e culpa levis
consistente nel non adoperare la giusta diligenze dell’uomo medio. Definita anche
culpa abstracta. Venne definita culpa in concreto quella di chi non curava le cose di
altri come le sue. Ai criteri di inadempimento di poteva sfuggire con patto contrario e
consensuale. Si ritenne però nullo il patto che esonerasse il debitore anche per il dolo.
(contro mores)
Il periculum: Per periculum si intende in generale il rischio dipendente di un evento
pregiudizievole per taluno e non imputabili ne allo stesso ne ad altri. Se si trattava di
perimento la regola fosse che la perdita patrimoniale fosse a carico del propietario. In
La mora
Il ritardo nell’adempimento della prestazione dava origina a mora. Il ritardo poteva
essere imputabile sia al creditore sia al debitore.
La mora del debitore: Il debitore cadeva in mora quando senza giustificazioni non
adempiva il proprio debito .
Il debitore solitmente cadeva in mora nel momento dell’interpellatio,ossia quando era
chiamato dal debitore per adempiere alla prestazione. Essa però sarebbe stata
superflua in due casi a)Quando il negozio era con termine iniziale b)quando si trattava
di obbligazione con atto illecito. Il ladro cadeva in mora sin dal momento del furto.
La posizione in mora del debitore era la più grave perché egli era responsabile del
perimento o deterioramento della cosa dovuta,comunque dell’impossibilità della
prestazione,qualunque fosse stata la causa. Il periculum sarebbe stato sempre al
carico del debitore moroso. Anche qui si usava la perpetuatio obbligaitonis. Poteva
essere liberato solo se avesse provato che seppur avesse eseguito tempestivamente
l’azione la cosa sarebbe perita ugualmente. Il moroso deve comunque sempre
rispondere di tutti i frutti dal momento della caduta in mora. Le conseguenze della
mora si estinguevano quando il debitore accettava di effettuare la prestazione. Il
creditore non poteva rifiutarsi,sarebbe altrimenti caduto in mora egli stesso.
La mora del creditore: Il creditore cadeva in mora quando rifiutava la prestazione
del debitore. In questo caso la situazione del debitore migliorava,ma il creditore non
incorreva in responsabilità. Se la cosa periva sotto la giurisdizione del debitore non si
sarebbe potuti andare oltre il dolo ed era liberato ipso iure o exceptio. E dal momento
in cui una cosa in genus veniva messe in specie in luogo pubblico il debitore smetteva
di pagare interessi e frutti sulla cosa.
I contratti
Si intendono per i contratti i negozi giuridici almeno bilaterali produttivi di obbligazioni
concordate dalle parti. I contratti erano tipici,cosi come lo erano i negozi giuridici del
diritto romano. Ognuno era sanzionato da specifiche actiones. LA tipicità venne però
nel tempo temperata per esempio con l’utilizzo della stipulatio,tipica ma in relazione
alla forma e non ai contenuti che potevano essere eterogenei. In età classica inoltre si
diede efficacia ai contratti sanzionati da buona fede. Furono inoltre riconosciuti i
cosiddetti contratti innominati. Dall’età postclassica il carico diventò ancora più
sottile,ove la stipulatio era solo ormai una convenzione. I contratti non solo erano i
negozi giuridici con effetti obbligatori,ma che essi erano fonte soltanto di obbligazioni.
Mancipatio eccetera non erano contratti in quanto fonti di effeti reali. All’inizio quindi
erano solo contratti quelli di ius civile,gli unici che potevano effettivamente dare
obligationes. Venne poi estesa allo ius honorarium.
Si suddividono poi per quanto riguarda gli effetti in contratti bilaterali e unilaterali.
Unilaterali quelli i cui effetti ricadono solo su una delle parti,come stipulatio e mutuo.
Bilaterali imperfetti erano ad esempio deposito e comodato, che potevano essere
bilaterali ma ssolo nel caso di risarcimenti dovuti a rimborso spese e risarcimenti.
Dai contratti bilaterali come compravendita e locazione nascevano sempre effetti per
entrambe le parti. Il carattere bilaterale lo si capisce già dai nomi “emptio
venditio””Locatio conductio” . Erano negozi sanzionati da iudicia bona fidei,e
l’interpretazione agiva non si avrebbe potuto pretendere l’adempimento dell’altra
parte se a sua volta non si è adempiuto.
Una menzione è necessaria per la societas,contratto plurilaterale e negozio
plurilaterale. Vi erano più manifestazioni di volontà e più obbligazioni. Le obbligazioni
assunte da ciascuna delle parti cospiravano tutte al medesimo fine sociale.
Altra FONDAMENTALE classificazione derivata dalle fonti romane e da gaio e la
distinzione tra il tipo di contratti,reali,consensuali ,scritti, verbali.
Nei contratti consensuali bastava ed era sufficiente che venisse manifestato il
consenso. Vi rientravano la compravendita,la locazione la società e il mandato.
Peculiari è che finchè non ne fosse avvenuta l’esecuzione essi si scioglievano per
mutuo dissenso.(ovviamente se ci pensiamo)
Nei contratti reali,re, gli effetti obbligatori si producevano con la consegna della cosa.
Il consenso ovviamente non poteva mancare ma non era sufficiente. Consegna e
contesto erano contestuali, e spesso la consegna stessa era la manifestazione del
consenso. La consegna talvolta risultava in una traditio,in altre parole una datio. Era
questo il caso del mutuo. Altre volte la traditio si traduceva solamente in un passaggio
di possesso. Era questo il caso del pegno e del deposito in sequestre. Altre volte non
veniva trasferito nemmeno il possesso,ed era questo il caso della detenzione e del
deposito semplice.
Contratto verbale era soprattutto la stipulatio,mentre i contratti letterali erano i
nomina transcriptia. In essi l’obbligazione nasceva verbis o litteris,ossia attraverso
certa verba nella stipulatio o attraverso la registrazione per iscritto nei nomina
trasncriptia. Il consenso non era sufficiente,bisognava accompagnarvi verba o
scriptura.
Un caso a se erano i contratti innominati,da accostare per certi riguardi ai contratti
reali, Il consenso anche qui non era sufficiente e l’obbligazione trovava espressione
nel dare o feacere di una delle parti.
Il deposito è contratto bilaterale imperfetto ,per cui una parte il deponenete consegna
al depositario una o più cose mobili e chiede che qeuste vengano custodite
gratutitametne. Il diritto romano non conosceva alcun rimedio per queste situazioni
sino a che il pretore non concesse un’actio depositi in factum contro il depositario
infedele. Nella misura del doppio se il deposito era fatto in situazioni di emergenza,nel
simplum negli altri casi. Quando in duplum l’azione era certamente penale. Lo era
anche in simplum però,perché pare che si volesse punire il comportamento. In età
classica il pretore stabiliì anche un actio depositi in ius ex fide bona, ma di natura
reipersecutoria,rivolta alla riconsegna della cosa in custiodia. L’actio deposito in
factum perse quindi utilizzo e valore reale(non nei casi del duplum). Il pretore nello
stesso periodo emano anche un azione non diretta ma contraria che poteva esercitare
il depositario per richiedere il rimborso di eventuali spese per il mantenimetno della
cosa. Solo l’actio diretta era infamante. L’actio depositi in ius era si istituto dell ius
civile ma utilizzabile anche dai peregrini.
Il depositario doveva custodire la cosa. Acquisiva solo la detenzione con la consegna,e
non poteva usarla,avvrebbe altresì commesso furto. LA restituzione riguardava la
stessa cosa ricevuta in deposito. Se la cosa periva o si deteriorava per colpa
imputabile al depositario si poteva agire per actio depositi. La sua responsabilità era
limitata al dolo, in quanto il depositario non traeva alcun vantaggio dal contratto. Nel
diritto giustinianeo venne equiparato alla culpa lata(dolo si parla).
La restituzione doveva essere esaudita su semplice richiesta. Il depositario poteva
restituirla a un terzo dietro patto . Il deponente doveva rimborsare le spese al
depositario. Se non pagati egli avrebbe potuto anche apporre exceptio doli, e se non
restituiti in quell’istanza egli avrebbe mantenuto il possesso della cosa.
Il sequestro o deposito in sequestre: Speciale tipo di deposito era il sequestro o
deposito in sequestre,legato a esigenze giudiziare. Si concedeva ad un terzo quando
due compropietari litigavano per il singolo possesso. Il depositario sequestre era poi
tenuto a restituire la cosa al vincitore della lite. Anziché la sempllice detenzione egli
acquisiva il possesso ad interdicta,sicchè sarebbe stato lui a ricorrere alla tutela
interdittale. Per la restituzione si poteva ricorrere ad una speciale actio sequestraria.
Il deposito irregolare: Nulla vietava di depositare cose fungibili, e tuttavia
esattamente individuate nella species(Sacchi di denaro frumento ettc.c……) il
depositario doveva restituire le medesime cose. In alcune situazione come il deposito
di monete il propietario avrebbe potuto poi mischiarle con le sue e spenderle, ma
avrebbe dovuto dirdare il tantum una volta richiesto. Si parlo di deposito
irregolare,che corrisponde al nostro deposito bancario. Un negozio del genere sembra
non centrare molto col deposito ma è definito tale per ragioni di praticità giuridica.
Essendo il deposito sanzionato dai iudicia bona fidei erano possibili patti condizioni,
tra cui il patto di interessi. Era il deponente a volere che i suoi soldi venissero
conservati.
azioni contraria iudicium contrarium commodati per spese e danni. Così come gli
spettavano compensatio e retentio. Della cosa il comodatario acquistava la semplice
detenzione e dei particoalri usi che era autorizzato a fare ne avevvano discusso in
precedenza. Se veniva fatto altro uso si trattava di furto. In caso di perimento e
deterioramento il comodatario rispondeva per custiodia. Il regime a riguardo era
particolarmente rigoroso in quanto si agiva per interesse solo del comodatario. Nel
post classico se ne oscurarono gli effetti rispetto ad altre pratiche.
La fiducia
Prima di comodato e pegno in quel tipo di negozi si usava la fiducia. Il fiduciante
trasferiva al fiduciario mediante mancipatio o in iure cessio res mancipi col patto che
verificate certe condizioni il fiduciario ritrasferisse la propietà al fiduciante. Questo era
il pactum fiduciae. Come e quando dovesse tornare dipende dalla causa negoziale. Si
trattava perciò di un negozio fiduciario, in cui di solito insieme si cercava di
raggiungere uno scopo.
La fiducia poteva essere cum creditore o cum amico. Cum creditore si asssisteva al
passaggio di propietà per motivi di garanzia del credito al fiduciario.(pegno) Nella
fiducia cum amico la cosa poteva essere data per ragioni di custodia(deposito) e
prestito d’uso(comodato). Il fiduciario avrebbe dovuto ritrasferire dietro semplice
richiesta.
Sappiamo che a mancipatio e a in iure cessio poteva non far seguito la consegna della
cosa. Per cui anche mancipante e cedente fiduciae avrebbero potuto mantere il
possesso. Avrebbero poi riaquistato la propietà poi col tempo per usureceptio,uno
speciale usucapione,che si compiva sempre entro un anno senza iusta causa. Poteva
però essere evitata,se per esempio cum creditore il fiduciario lasciava si la cosa
presso l’altra parte ma in titolo di locazione o precario,così sarebbe manca l’uti
possessiones utile per l’usureceptio.
Come era tutelato il fiduciante non possessore al termine dell’accordo? Non si
utlizzavano legis actio ma la fides, qualità molto importante a Roma,quindi solida
garanzia. Col processo formulare si ricorreva a actio fiduciae,per il riacquisto di
propieta e possesso. L’azione era in personam reipersecutoria e infamante.
Ricolleghiamo l’actio fiduciae ai bona fidei. Lo stesso fiduciario d’altronde avrebbe
potuto far valere con exceptio doli e con conseguente retentio propie pretese pre
La vendita poteva pure avere oggetto cose future. Emptio rei speratae era una
vendita con condizione sospensiva. La vendita avrebbe prodotto i suoi effetti solo se le
cose fossero venute ad esistenza. Il prezzo lo si sarebbe stabilito al momento in base
alla quantità, ad esempio dei frutti. Emptio spei invece consisteva nella vendita di una
cosa sperata, che se non avveniva prevedeva comunque il pagamento. (Il pescatore
che vende forfetiamente la pesca del giorno)
Era nulla la vendita di res extra commercium per la impossibilum nulla obligatio. Si
ammise la validità dell’emptia venditio di uno uomo libero come schiavo, se il
compratore non era a conoscenza infatti poteva poi rivalersi con actio empti.
Il prezzo: Il prezzo doveva sempre essere espresso in denaro per evitare confusione
con la cosa(Ci provavano i sabiniani). La misura del prezzo era concordata tra le parti
in modo certo. Il prezzo doveva anche essere giusto da quando Diocleziano stabili che
era nulla la vendita di qualcosa venduto a meno della metà del suo reale valore. Si
poteva evitare la rescissione pagando la differenza.
L’obbligazione del compratore: Il compratore era tenuto a versare il giusto
quantitavo di denaro stabilito prima nel consenso della vendita con traditio. Esso era
altrimenti passibile di interessi stabiliti ex fide bona dal giudice.
Le obbligazioni del venditore.Habere licere :Il venditore era tenuto a fare godere
pacifico godimento al compratore. Il venditore era quindi obbligato a fare traditio della
cosa venduto. Esso poteva anche trasferire la propietà con mancipatio ma non vi era
tenuto. Spessissimo lo faceva, ma probabilmente non vi era tenuto in quanto la
compravendita negozio iuris gentium vi avevano accesso i peregrini esclusi dallo ius
quiritium.
Se il venditore ritardava a consegnare la merce e nel frattempo essa periva,egli
rispondeva per custiodia. IL periculum invece era stanamente carico del
compratore,quindi contro il principio di interdipendenza delle prestazioni,nel quale egli
sarebbe stato liberato. Si pensava che si agisse così in quanto la cosa era nel suo
patrimonio.
L’evinzione : Poteva accadere che il venditore non trasferisse la propietà perché a
sua volta non propietario. In questo caso,il compratore col tempo avrebbe acquistato
la propietà usucapione. Se però prima di quel momento avveniva rivendica dal
propietario allora si verificava evinzione: era il venditore a risponderne. Egli era
comunque responsabile perché agiva con dolo.
Fuori da queste circostanze il venditore rispondeva si per evinzione ma non per
dipendenza della compravendita. Il venditore di res mancipi non suo che compiesse
mancipatio ad un compratore era costretto poi ad assisterlo in sede di rivendica per vi
a dell’autoritas. Essa era simile all’usucapione per un semplice motivo, Esso si
compiva in uno o due anni. Nei confronti dei cives l’autoritas sarebbe stata senza
limiti di tempo.
Se il venditore non interveniva si dava al compratore l’actio autoritatis per il doppio
del prezzo. Qui si rivede l’originario carattere penale. Si decise così di avere garanzie
contro l’evinzione e una di queste era stipulatio dupluae. Il venditore prometteva il
doppio del valore della cosa venduta in caso di evinzione. Divenne poi essa obbligo
originario inserito all’interno della compravendita.
Vizi occulti: Anche in ordine ai vizi occulti ,ossia difetti nascosti dal venditore la
vendità in se non dava alcuna responsabili. Si diede però l’actio empti contro il
venditore in dolo,ossi a quello che per ottenere vantaggi aveva taciuto sui difetti della
cosa. Solitamente era l’actio ex stipulato ad incastrarlo in quanto esso certificava le
qualità e i vizi di una cosa con stipulatio.
Deve essere richiamata anche l’actio de modo agri. Questa presupponeva che dopo la
mancipatio il dans dovesse precisare l’estensione del fondo. Se mminore di quella
dichiarata si agiva per actio modo agri.
Un ruolo fondamentale nella materia dei vizi fu quello degli edili curuli. Essi
esercitavano vigilanza sui vari maercati e avevano ius edicendi,potevano quindi
producere editto. Specialmente per la compravendita. Essi fecero obbligo di dichiarare
i vizi che affliggevan ole merci,per esempio il comportamento di uno schiavo. Contro il
venditore truffaldino entro 6 mesi si dava l’actio rehidibitoria per la restituzione,entro
un anno l’actio aestimatoria,che faceva recuperare il valore minore dello schiavo o
dell’animale.
Patti aggiunti: Al regime tipico di ogni cotratto si poteva derogare medianti patti
aggiunti. In materia di compravendita principalmente. I patti aggiunti ai negozi
davano luogo a iudicia bona fidei.
I principali patti aggiunti alla compravendita erano
Patto commissorio e l’in diem addictio: Erano a favore del venditore,prevedevano di
considerare la vendita come non avvenuta se il compratore non pagava entro il
temrmine stabilito, oppure se nel termine ssi riceveva migliore offerta,
Il pactum displicentae era a favore del venditore che se entro il termine non
apprezzava la merce poteva restituirla. All’inizio era considerati alla stregua di
condizioni sospensive, da età classi divennero invece normalità ed era più comune
incontrarne.
esente da vizi e garantirne il pacifico godimento. Dal canto suo però il conduttore non
aquisiva il possesso della res locata ma soltanto la detenzione. Doveva pagare la
mercede alle scadenze stabilite e restituirla alla scadenza Il conduttore rispondeva per
custodia ad eventuali danni per cui era imputabile,mentre il locatore rispondeva per
mancato godimento della cosa e dell’eventuale periculum in quanto il conduttore era
liberato dall’obbligazione di pagare la mercede.
Locatio operis: In queste istanze il locatore si obbligava al consegnare al conduttore
una cosa, e dall’altro il conduttore si obbligava in ordine alla stessa cosa il
raggiungimento di un risultato su di essa. La mercede pertanto doveva darla il
locatore. Vi rientravano il trasporto,la custodia,il lavandaio,la locazione dello schiavo
per istruzione etc.. Vi rientravano pure fattispecie diverse definite opus locare. Il
conduttore in esse assumeva l’impegno di trasformare la cosa in qualcosa di diverso o
migliorarla(orefice anello). Corrisponde al nostro contratto di appalto. Della res locata
il detentore acquisiva la detenzione,ed era responsabile di custiodia, come della
cattiva esecuzione dell’opera definita come imperitia della quale doveva rispondere.
Era invece liberato da casi fortuiti o di forza maggiore. IL periculum in quei casi era a
carico del locatore,che comunque doveva pagare la mercede.
Un regime speciale speciale si stabilì per le locatio operis di trasporto marittimo. Se
per difficoltà di navigazione bisognava liberare la nave di alcune merci,il rischio
teoricamente stava interamente al locatore. Una lex Rhoda stabili però che il rischio in
quei casi sarebbe stato diviso proporzionalmente tra tutti i locatori che avevano merci
su quella imbarcazione. Questo era un precetto che si rifaceva ai bona fides e si
realizzava ccon una prima actio locati del locatario verso il conduttore,che poi con un
actio conducti si rivaleva del necessario per ripagare la merce grazie all’intervento di
tutti gli altri locatori.
Locatio operarum: Con la locatio operarum un uomo libero assumeva l’impegno di
mettere le propie operae alla disponibilità di un'altra persona,il quale si obbligava a
pagare una mercede. Il lavoratore era il locatore,il conduttore il datore di lavoro.
Avrebbe dovuto pagare le mercede anche nei casi in cui le opere non potessero essere
prestate per cause di forza maggiore. Corrisponde al nostro contratto di lavoro
subordinato. Giova ricordare che fino all’età classica i lavoratori liberi erano pochi e
mal visti,solitamente si ricorreva alla forza lavoro degli schiavi. Alcune attività
lavorative definite artes liberales erano invece tenute in gran considerazione come gli
avvocati o gli agromensori.
La locazione da età postclassica: Il regime sempre grazie al tipico intorbidamento
divenne meno chiaro. Tutti i lavoratori furono praticamente cconsiderati coloni. Inoltre
molti dei precedenti contratti che per definizione in età classica dovevano essere a
titolo gratuito acquisivano in quest’epoca retribuzione,rendendo molto confusionaria
la distinzione. Giustiniano poi ristabili la classicità.
diversi tipi di società ,in alcune si mettevano in comune i futuri aquisti dei soci,o un
singolo bene.
La società era un singolare contratto consensuale,perché non solo si obbligavano in
presenza del consenso ma esso doveva perdurare. Nel momento in cui anche solo
uno dei soci cambiava idea la società si scioglieva. Lo stesso nei casi di morti e di
capitis deminutio. Dal contratto nascevano obbligazioni reciproche tra i soci,di
dividere tutti i profitti e le perdite. Uno dei soci poteva anche essere in grado di avere
solo i profitti se di accordi, ma mai uno poteva onerarsi solo le perdite. Le varie
obbligazioni erano tutelate dall’actio pro socio, ed essendo ex fide bona le somme
erano compensabili. In alcune circostanze si rispondeva per dolo o per colpa,in altre
per custodia. La condanna dell’actio pro socio era infamante per il
soccombente,sanzionava quindi penalmente la disfiducia ta soci. (fraterniatas)
D’altronde però il convenuto poteva godere del benefium competentiae. La società dei
tempi non dava luogo ad un patrimonio autonomo distinto,e quindi ogni obbligazione
era a carico della stessa che l’aveva compiuta,non della società . essa era capace di
agire in giudizio tramite rappresentate, e poi eventualmente spartire i profitti. Nel
contratto con terzi di solito si faceva utilizzo degli schiavi propietari della società e del
loro peculio per compiere obbligazioni: Così facendo il limite massimo in caso di
soccombenza era il peculio o l’effettivo arrichimento percepito dalla società.
I contratti innominati:Precario
La tipicità contrattuale avrebbe negato tutela ai contratti che non rientravano negli
schemi principali. D’altronde tutelare ogni patto avrebbe significato sacrificarne la
tipicità. La strada seguita fu quella di concedere via via la qualifica di obbligazioni alle
convenzioni non definibili con un nome, e quindi innominati. Questi contratti dovevano
essere però negozi,per cui ognuna delle due parti dovesse essere orientata a un dare
o a un facere. Non si riconobbe obbligazione al patto in se ma all’esecuzione che
avveniva per suo conto. In sostanza alla prestazione avvenuta,che obbligava l’altra
parte ad una controprestazione. Prima della prestazione era quindi priva di effetti
obbligatori. Di qui il possibile accostamento ai contratti reali,dove nasce l’obbligazione
nel momento della consegna. A queste azione era a tutela un’actio in factum
decretalis diretta alla controprestazione.
Già nell’età classica alcuni giuristi stabilirono che una prestazione in attesa di una
controprestazione dava origine ad una obbligazione civilis tutelata da actio praescripti
verbis, ove l’intentio era con oportere e la praescriptio indicava il fatto che vi aveva
dato causa. A questi contratti si rispondeva per dolo e colpa. L’actio praescripti versi
più cche un actio fu indicata come modo di procedere,e i compilatori di giustiniano la
inserirono nell azioni di buona fede e ne estero l’applicazione a certi rapporti. Essa
divenne quindi un azione generale che andava a tutelare tutte quelle situazioni che
aveva effetti costitutivi di obbligazioni ma non riconosciute saldamente nel sistema
giuridico. Ancora prima però non si era privi di tutela,infatti siccome solitamente si
compiva una datio,se si trattava di res si poteva chiedere la ripetizione con conditio,
(do ut) mentre nei negozi con (facere ut des) soccorreva l’actio de dolo. Essa venne
meno per il carattere sussidiario quando fu portata l’actio praescripta verbis. Chi
faceva la prestazione poteva liberamente recedere con conditio anche prima della
controprestazione.
Alcuni esempi di contratti innominati sono:
La permuta: A differenza della compravendita non era consensuale e bilaterale.
L’effetto non si produceva prima della datio. L’obbligazione poi nasceva solo a carico
della persona che avesse rievuto laprima cosa, obblgiato a darne un'altra.
L’aestimatum: Viene detto oggi contratto estimatorio. Apparteneva pure esso al tipo
do ut des,e consinsteva che un contraente dava all’altro una cosa stabilendone il
valore, e l’altro assumeva l’impegno di restituire il ricavato dopo averla venduta
oppure restituirla.
IL precario: Consisteva nella concessione di un bene,affinche un precario acccipiens
ne godesse gratuitamente e lo restituisse a richiesta.
E’ istituto molto antico e trae origine dalle concessioni di terre che i possessori
usavano fare ai propi clientes. Questo spiega che al precarista si riconobbe l’utilizzo
dell’interdettum uti possiedis, e con essa la qualifica di possessore. Era lui stesso a
reagire contro turbative. La possessio ad usucapionem restava al concedente. La
difesa spettava però solo contro terzi e mai contro il concedente. Egli poteva farsi
valere anche con la violenza sul possessore,applicando autodifesa. Molto presto però il
pretore interpose nell’editto l’interdictum quod precario. Fu si accostato al comodato
per ovvie somiglianze e qualificato iuris gentium, ma non si diede una actio vera e
propie per la restituizione. Inoltre si applicava spesso agli immobili, e si riconobbe
come già detto il possesso ad interdicta.
In età classica scomparsa l’autotutela, esso perse il suo significato originario. Si
continuo ad utilizzare per situazioni di fiducia o di usureceptio.(per evitarlo). Si
I patti
L’accezione giuridica di pacta è la stessa dell’uso comune.Accordi comunque
manifestati. Nelle nostre fonti si parla di accordi tra due o più persone. Alcune di
queste convenzioni furono tipicizzate, e fu conferita loro efficacia obbligatiorie e
definite contractus. Restavano fuori però i patti semplici,definiti nuda pacta,che non
davano luogo ad alcuna obbligazione ma erano tutelati in via di exceptio. Per vero al
semplice pactum davano già tutela le 12 tavole forse per conferma di mores,che
riconscevano secondo patto l’esclusione della pena del taglione.
Fu l’editto pretorio de pactis ad avere grande importanza nel sistema giuridico
romano,nel quale il pretore promise di dare tutela ai patti senza dolo e rispettossi
delle leggi. Vi diede però efficiacia limitata,non con azione ma con exceptio pacti
conventi.Per dare luogo ad obbligazione il patto doveva essere rivestito della struttura
della stipulatio.
Quando si trattava di patti aggiunti ai contratti iudici bona fidei,il giudice era tenuto a
prenderne considerazione anche senza exceptio. Potevano essere aggiunti
contestualmente alla creazione dell’obbligazione oppure dopo la sua conclusione. I
patti fatti durante il contratto (incontinenti) erano considerati parte dell’obbligazione
stessa, e potevano quindi essere esperiti con la tipica azione ex fide bona del
contratto. Dall’età post classica gli imperiali introdussero pesanti breccie nel sistema
delle obbligazioni. Si diede ad alcuni patti come quello della dote,della donazione o
del comprumissum valore reale obbligatorio. (pacta legittima)
Il comrpumissum era il patto extragiudiziale secondo il quale si devideva in comune
acccordo di rimettere ad un terzo le sorti di una controversia. Esso non ebbe alcuna
autonomia formale per i classici, che doveva essere costruita secondo stipulazioni
penali e ciascuna parte prometteva un pecunia se non si fosse adeguata al volere
dell’arbitro. Giustiniano rimose queste stipulationes e diede valore al cumprumissum
in se con un actio in factum. Con la nascita dell’utilizzo della scrittura per le
obbligazioni e la stipulatio la differenza tra quest’ultima e i patti si assottigliava
sempre di più . ogni accordo poi divenne lecito, tant’è cha ai giorni nostri i contratti
sono tra le fonti di obbligazioni.
carico del gestore,a volte anche a carico del gerito. A carico del gestore nasceva
l’obbligazione di portare a termine quanto inrtrapreso e di prestare all’altra parte il
ricavato.La responsabilità fu prima limitata al dolo e poi alla colpa.Il dominus invece
doveva risarcire eventuali spese extra e risarcire danni nascenti dalla gestione. Poiché
il gestore non era rappresentante diretto era necessario inoltre che trasmettesse tutti
i diritti acquistati.
Tutela,communio incidens e coeredità: Non erano esse fonti di obbligazioni ma
esse nascevano nel momento in cui queste situazioni si risolvevano. IN quel momento
nascevano o potevano nascere come per esempio nella tutelae con l’actio tutelae
diretta o non o come nella gestione di un compropietà vi era actio communi
dividundo.
Legati e fedecommessi con effetti obbligatori: Altra possibile fonte di
pbbligazione era rappresentata dai legati. Consistevano in disposizioni
testamentarie che creavano un vincolo obbligatorio tra erede e legatario. Vantaggioso
per il legatario. Ne vennero individuati due tipologie.
Di maggiore diffusione il legato per damnationem,in cui sifaceva obbligo all’erede di
compiere una determinata prestazione. Poteva essa essere delle più varie,ma sempre
del dare o del facere.
Con il legato sine modo invece si ordinava all’erede di NON facere, e quindi di lasciare
fare ad un eventuale legato che voleva appropiarsi di qualcosa.
Inizialmente il legato per damnactionem poteva agire direttametne per manus
iniectionem,poi invece venne stipulata una particolare azione detta ex testamento. Di
dare o di facere. COndictio. Intentio demonstratio incerta. Giustiniano unificò poi le
due tipologie di legati.
Ai legati possono poi essere accostati i fedecommessi,disposizioni di ultima volontà in
favore di terzi.Egli rimetteva per l’esecuzione per la fides dell’erede o legatario. Erano
anch’essi obbligatori e valutati con petitio fedecommissi nel processo extra ordinem.
Giustiniano li ecquiparò ai legati.
Pagamento di indebito(solutio indebiti): Era stata lei ad ispirare gaio nella
tripartizzione. Significa esecuzione di una prestazione non dovuto. Veniva fatto quindi
un trasferimento di propietà pensado erronaemnte di esserne tenuti. In questo caso
l’altra parte era tenuto ,inconsapevole che la cosa non gli fosse dovuto a restituirla.
Colui che accettava la prestazione non dovuta commetteva furto. La condictio era in
queste istanze definita indebiti.
La conditio per essere attuata presupponeva una datio la cui causa era venuta a
manccare. Erano tutte le situazioni nelle quali nell’accipiens non si trovava motivo
affinnchè lui trattenesse la cosa. Si sarebbe arricchito ingiustamente nei confronti di
chi aveva fatto la datio,e questo i romani non vollero permetterlo. Situazioni simili
erano già tutelate dal pretore,come nella situazioni in cui egli si occupava di punire gli
eredi di un dominus che ha compito illecito nei limiti del loro arricchimento.
La conditio per cui non presupponeva una datio ma perseguiva una datio,era un dare
oportere espresso nell’intentio. Era pertanto con intentio certa. Raramente per
pretese di facere se ne concesse una incerta.
Nonostante la tipicizzazzione della conditio durante l’epoca giustinianea, il risultato fu
il suo utilizzo contro ogni ingiustificato arricchimento.
I delitti
Pure i delicta come sappiamo erano ritenuti essere fonti di obbligazioni. Si trattava di
atti illeciti,volontari, e riprovati dal sistema giuridico. I delitti erano tipici:Non si stabilì
a riguardo uno schema generale ma ognuno rimase con il proprio regime giuridico. LA
tipicità come per i contratti andò sfumando col tempo,ma non si arrivo mai a Roma ad
una soluzione unitaria. Per il diritto romano il vincolo sta tra offendente è offeso,ove il
primo è obbligato a ripararne i danni. Esso era perseguibile da un’azione penale
nell’ambito del processo privato. Le azioni penali erano inizialmente solo civili,ma dal
formulare in poi anche in factum. I meno gravi non era considerati civili,ma da
giustiniano definiti “quasi ex delicto”. I giuristi fecero dipendere ogni volta le soluzioni
di delitto sia dal tipo sia dalle circostanze ad esso relative.
Il criterio generale fu quello del dolo,per cui il delitto si imputava all’autore sempre
che l’avesse commesso col deliberato desiderio di provocare un’offesa.Esso era
implicito nel comportamento dell’offensore. Si parlò di colpa non solo per chi l’avesse
fatto con volontà ma anche chi l’avesse fatto con negligenza e imprudenza.
Di fronte ai delicta stavano i crimina,sanzionati dal processo civile,ben più gravi e
lesivi non solo per un privato ma per la comunità stessa.Molto spesso anche delitti
privati iniziarono a essere processati iudicia pubblica,cosicchè si inizio ad avere
concorso tra i due tipi di processo. Essi solitamente si cumulavano,prima pubblico e
poi privato. Col tempo il diritto privato quindi perse via via il suo valore penale,e
venne utilizzato più che altro per il risarcimento dei danni.
Il furto
Tra i delicta il furtum è certamente tra i più antichi.
La nozione: Essi erano come oggi sottrazione illecita di cosa altrui. Ai tempi delle 12
tavole tuttavia si sentì l’esigenza di non lasciare impuniti certi illeci,e si operò quindi
sull’antica nozione di furtum e la si amplio in via di interpretazione ad ogni
comportamento volontario che non integrato in altri diritti provocasse per dolo un
perdita o uno svantaggio relativa a una cosa al suo autore. Si qualificò furto persino
l’istigazione dello schiavo alla fuga. Doveva essere considerato furto anche il
danneggiamento doloso di cose altrui. Era una nozione tanto ampia da coprire la
maggior parte degli illeciti privati.
La rapina
della colpa. Il pretore distinse poi dai danni effettuati fisicamente con la forza
muscolare l’offensore agli altri casi come per esempio l’omissione. In età giustinianea
si istituì un ‘actio in factum in grado di tutelare ogni danneggiamento non previsto
dalla legis acquilae. Le situazioni da esse tutelate,ove si rispondeva per dolo e colpa
verso privati continuarono a svolgersi nel processo privato,nonostante il trasferimento
graduale dei delitti nei processi civili.
L’iniuria
L’iniuria aveva ancora origne nelle 12 tavole e affidava pene diverse per lesioni e
abusi sempre nel contesto fisico. Per il membrum ruptum si rispondeva per taglion,per
os fractum 300 o 150 assi in base alla capacità giuridica del soggetto e per lesioni
fisiche minori 25 assi. Al talgione volendo si poteva ovviare con offerta
pecuniara,offerta che poi divenne prassi nel processo formulare. Non era tuttavia
neanche ottimale avere pene fisse: Gellio ci racconta di un tale che si divertisse ad
andare in giro con lo schiavo che trasportava una borsa piena di assi a schiaffeggiare
le persone che gli stavano antipatiche e a risarcile immediatamente dopo. 10 assi
erano il valore di una pecora 100 assi il valore di un bue. Questo portò il pretore ad
intervenire e per gli atti qualificati iniuria sviluppo una particolare azione,l’actio
iniurarum,atta a perseguire una pena pecuniara da perseguire in fase processuale es
tabilità dal giudice sulla base dell’entità dell’offesa. Si intervenì dopo per le offese
morali,anch’esse qualificate iniuria. Non erano iniuria azini violente rese lecite. Era
necessario il dolo per un azione ad essere definita tale,ma spesso il dolo era
contenuto in essa. L’azione era di natura penale era infamante, e in ogni caso era
intrasmissibile agli eredi. La formula faceva riferimento all’ecquita e in base a quella si
stabiliva l’importo della pena. La sentenza spesso avevaa una taxatio e quindi un
importo massimo imputabile. In quelle molto gravi invece la stima pecuniaria aveva
un minimo. Nell’età giustinianea si faceva ricorso sia al processo civile criminale che a
quello privato.
Effesum vel deiectum: Obbligazione che nasce dalla proiezione di oggetti fuori dalle
finestre di ccasa siutate in altezza. I danni era in duplum per le cose danneggiate e 50
aurei nel caso di morte di uomo libero.
Positum aut suspensum: Altra azione in factum popularis esperibile contro chi
lasciasse oggetti in posizioni pericolose in altezza. Era per cui esperibile al solo
pericolo. Pena fissa di 10 aurei.
Actiones adversus nautas,caupones,stabularios: Per I furti e I danneggiamenti a
passeggeri e avventori che si verificavano sulle navi nelle locande,negli alberghi a
pagare in duplum erano sempre I gestori dell’attivitaà. Questo perché a Roma si
riteneva che ognuno di essi dovesse scegliersi bene i propi collaboratori e di creare un
ambiente sicuro in cui usufruire delle loro attività.
liberare se stesso dal potere del creditore,e gettava sulla bilancia il metallo dovuto.
Con l’introduzione della moneta egli la consegnava simbolicamente al creditore. Si
trattava di uno di quei gesti a formalismo interno,simmetrico e contrario al nexum.
Infatti è proprio con questto atto che si liberavano i nexus dai creditori,non era infatti
sufficiente il pagamento informale. Dopo l’ablizione del nexus si ritenne sufficiente per
liberare iudicuts o eredi dal vincolo nei confronti del creditore. Mantenne l’effetto
istintivo ipso iure ,e venne riconosciuto nonostante l’adempimento. Venne così
definita imaginaria solutio. Del’l’adempimento aveva solo l’immagine. Era un negozio
astratto e quindi valido in ogni caso nonostante la causa.
L’acceptilatio: “considerare come ricevuto”. Alla domanda del debitore” Hai ricevuto
quello che ti ho promesso” “si” Era simmetrica e contraria rispetto alla
stipulatio,iniziava verbis e si estingueva verbis. Era del ius gentium per l’utilizzo e ius
civile per quanto riguarda l’effetto,che era ipsp iure. Era però atto legittimo e quindi
non tollerava l’aggiunta di termini o condizioni. In età arcaica si pensa che le stipulatio
e le relative obbligazioni non si estinguessero da se ma fossero necessarie le giuste
cotnro azioni(acceptilatio). Riconosciuto poi l’effetto liberativo dell solutio
l’acceptilatio divenne un metodo per rimettere un debito,indipendentemente dalla
causa,diventando un imaginaria solutio. Ebbe un largo utilizzo durante il principato
per vi adel largo utilizzo della stipulatio. Venne poi parificata al pctum de non
petendo,e quindi classificata come pacta nel corpus iuris civilis.(esisteva pure
l’acceptilatio litteris,l’atto con il quale il dominus scriveva sul codex. Poteva anch’essa
essere usata per la remissione dei debiti).
Il pactum de non petendo: in questo patto ci si impegnava informalmente a non
pretendere l’addempimento della prestazione. Essendo un patto doveva essere fatto
valere ope excptionis. Nei iudicia bona fidei sempre ossevato così come lo era ai
tempi delle 12 tavole per furto e iniuria.
La transazione : Essa era per i classici una specifica causa di negozi astratti,e
insieme un particolare caso del pactum non petendo. Pressuponeva un lite in corso,e
le parti si mettevano d’accordo affinchè la lite finisse,pattuendo reciproche
attribuzioni e rinunzie. Si sarebbero poi accordati eventulmente con stipulatio per
attribuzioni e le rinunzie potevano esse fatte valere ope exceptionis.
La novazione
Per novazione si intende la sostituzione di una obbligazione precedente con una
nuova. Si verificava fondamentalmente per effetto di stipulatio,facendo espresso
rapporto alla precedente obbligazione che si andava a estinguere. Ad esempiosi
poteva sostituire l’obbligazione di una compravendita con quella di una stipulatio. La
prima obbligazione si estingueva ipso iure, e con essa si interrompevano garanzie e
interessi.
Era necessaria per una novazio l’idem debitum,ossia la medesima somma da
richiedere,e l’animus novandi,che richiedeva la volontà delle parti di procede con
obbligazione. Giustiniano abolì il requisito dell’idem debitum. Aliquid novi,la nuova
obbligazione doveva effettivamente presentare qualcosa di nuovo rispetto alla
precedente.
In relazione all’aliquid novi la nuova obbligazione poteva essere soggettiva o
oggettiva. In quelle oggettive a cambiare era la causa,condizioni,termini,garanzie.
La compensazione
La compensazione nel processo formulare è la struttra del processo formulare
secondo la quale si ha una compensazione tra i debiti del creditore e del debitore
inizialmente concessa solo nei iudicia bona fidei dal giudice e quindi concessa ipso
iure . Era resa obbligatoria per i banchieri e per gli argentari che dovevano effettuare
la stima prima del processo e poi indicare la stima già compensata nell’intentio .
Poteva anche accadere che la compensazione non era solo giudiziaria ma legale e le
persone estinguevano crediti e debiti reciproci. Ai tempi di giustiniano si escluse la
prima tutela definita giudiziale,ove ogni credito e debito andavano sanati in giusta
sede. La deroga più ampia a ciò si ebbe coi giudizi di buona fede ove il giudice per
valutare la situzione era costretto anche a valutare i debiti precedenti. Si
estinguevano quindi crediti compensati ope iudicis. Non occorreva che i crediti fossero
entrambi in denaro perché anche per le cose nel processo formulare avveniva sempre
una aestimatio in denoro. I banchieri e gli argentari rischiavano la pluris petitio.
La si applicò anche per il bonurum emptor il quale si fece agire per motivi di equità
cum deductione contro i debitori del fallito quando questi erano a loro volta suoi
creditori. LA ragione era che il bonurum emptor doveva cogliere i debiti del fallito non
per l’intero ma in percentuale. Se non avesse agito in questo modo avrebbe dovuto
pagare l’esatto intero e pagato in percentuale. Marco aurelio consentì di opporre in
contestatione un exceptio doli per notificare anche i debiti del creditore verso di noi.
Questo è particolare in quanto di solitò l’excceptio liberava subito il convenuto ,ma
non in questo caso.
Nel diritto giustinianeo il ricorso alla compensazione si generalizza ed è fruibile ipso
iure.D’ufficio nel contesto di giustiniano. Esso sarebbe avvenuto dopo un smeplice
accertametno dichiaaritivo.
Nei iudicia bona fidei invece l’obbligazione si estingueva solo per il particolare
convenuto nnel alite. Si giudicava solo il rapporto tra le parti. Giustiniano impose poi
che l’univo modo per estinguere obbligazioni solidali elettive era la solutio.
Rivalsa e regresso: Siccome nelle obbligazioni solidali elettive era solo la parte
elette a riscuotere o a saldare un debito, viene da chiedersi se a roma esistessero
struttere di rivalsa per i creditori o di regresso per i debitori. Di persè a roma non
erano contemplate queste figure ma i soci avrebbero potuto chiedere rivalsa o
regresso attraverso l’actio pro soci.
Il rapporto tra creditori inoltre poteva essere tale che solo uno avesse il diritto al
denaro se uno era uun’adstipulator,lo stesso vale per i garanti del debitore.
8 Donazioni
Donazioni,concetto ed evoluzione.Lex cincia
Sino a tutta l’età classica le donazioni non furono per il diritto romano negozio
autonomo ma una possibile causa di negozi giuridici astratti. Soprattutto
mancipatio,in iure cessio,traditio,stipulatio,acceptilatio. Questi negozi,tutti astratti
potevano essere compiuti anche donandi causa con l’intento di compiere un atto di
liberalità in favore dell’altra parte senza corrispettivo e per cui a titolo gratuito. (Non
rientravano negozi si gratuiti ma causali come il mutuo e il comodato)
Si è premesso da se come la donazione avesse effetti diverse a seconda di come fosse
impiegata. Poteva trasferire diritti reali di godimento(in dando),promettere
prestazioni(obligando) o effetti estintivi di un azione come tramite acceptilatio(in
liberando)
La lex cincia: La lex cinci dovette essere istituita per tutelare le persone più deboli
dal fenomeno della donazione. Per evitare il gravare di donazioni estorte si stbili
secondo la elx cincci nel 204 a.c. che non si potessero fare donazioni ultra
modum(Oltre misura). Dal divieto vennero esclusi i parenti a partire dal sesto grado.
Era un lex imperfeccta,percè sebben vietasse questi comportamenti non li poteva
perseguire o evitare che avvenissero. Il pretore diede allore l’exceptio cinciae, Giova al
donante solo nei casi quindi in cui non avesse avuto luogo una donazione e poteva
difendersi solo se la donazione era ultra modus(Da ricordare che il limite fissato era
piuttosto basso).
Antonino diede il beneficium competentiae per le donazioni che non rientrassero nella
lex cincia.
Alla fine del 3 secolo a.c. la lex cincia si ritenne superata,e per cui si ritenne
necessario arginarne la portatta. Si affermo il principio morte cincia
removutur,secondo il quale qualsiasi donazione non revocata in vita avrebbe avuto
valore con la morte del donante. Le donazioni erano talvolta revocabili talvolta no.
Quelle irrevocabili,acnhe se illegali si dissero perfectae.
La riforma di Costantino e la legislazione di giuliano: Costantino qualificò la
donazione come contractus e ad essa si riconobbe effetto traslativo della propietà. Si
pretese però pena nullita la forma scritta da presentare ad un organo pubblico. Si
disse perfecta la donazione così effettuata. Gli effetti della lex cincia erano
sovvertiti,ed essa perdette significato. Queste decisoni erano in favore degli oneri
fiscali sulla possessione e non del donante.
Giustiniano rese un tipico negozio causale la donazione come costa ma dall’altro
canto pretese la traditio per il trasferimetno della propietà. Diede efficacia alle
donazioni obbligatorie anche se realizzate mediante semplice patto. +
La donazione pertatno appare configurata ora come un tipico negozio causale ora
quale solo possibile causa di tradito stipulatio e altri negozi.(A differenza dell’età
classic a dove era solo causa). Quanto alla forma per essere valida bisgnava produrre
un odcumento dove la si certificava solo quando l’importo era rilevante. La legge
cincia non fu più ripristinata.
Si affermò nei deceni successisivi alla lex cincia il divieto tra donazione tra coniugi.
Sembra che esso non abbia avuto origine legislative ma che abbia avuto radice nei
mores. Nemmeno i classici dimostravano di intendere la ratio di questo veto e ne
cercarono di intendere le regioni fallendo miseramente.(FA ridere pensare che questo
veto è stato portato fino al codice civile del 1942 ma è stato poi definito
anticostituzionale nel 1973). Il principio è invece da ricercarsi nei matrimoni sine
manu, ove le donazioni tra coniugi non sarebbero rimaste nella stessa familia ma i
possedimenti spettavano legislativametne alle famiglie della donna o dell’uomo se
alieni iuris. Ebbe quindi il precetto di tutelare gli interessi del familia,e di mantenere
stabili gli equilibri di potere delle grandi famigle che avevano forte infulenza politica e
sociale nella roma medio e tardo repubblicana. A differenza del lex cincia il divieto di
donazione tra coniugi comportava la nullità dell’atto. Talchè la macipatio così come le
stipulatio donatis causa risultavano nulle. Circa l’estensione del divieto si deve notare
che l’idea di donazione diversa che negli altri casi,sicchè si considerò donazione solo
ciò che comportasse un effettivo impoverimento di un coniuge e conseguente
arricchimento dell’altro. D’altro canto non furono esclusi i doni di piccolo valore,specie
se in occasione di particolari ricorrenze nonché i beni necessari nella vita quotidiana.
Furono altresì consentite le donazioni mortis causa e quelle divortii causa perché
entrambe destinate ad avere i propi effetti dopo il termine del matrimonio.
Nulla vietava peraltro che il coniuge donante disponesse per testamento in favore
dell’altro coniuge ciò che già gli avesse doanto in vita. La donazione veniva esercitata
impedendone agli eredi la revoca dovette avere notevole diffusione in epoca classica.
Un senatoconslto definito orartio antonini stabilì la conferma delle donazioni tra
coniugi non revocate in vit dal coniuge se esso non avesse mutato volontà in vita.
Giustiniano rese efficaci le donazioni propter nuptias ossia quelle tenutosi durante il
matrimonio.
volontario prima ancora di avere accettato cedevva ad altri l’eredità che gli era stata
referita. Il cessionario allora acquisiva automaticamente la qualifica di ereditario.
Cadde in desuetudine in post classica ma rimase nel corpus iuris.
Ereditando ed eredi:Capacità
Ereditando ed eredi,trasmettendosi diritti soggettivi a loro carico,non potevano non
essere in possesso di capacità giuridica: Dovevano essere persone libere,romane e sui
iuris.Alla successione ereditara peraltro potevano essere chiamati anche nascituri
postumi alla morte dell’ereditando al patto che concepiti prima della morte. L’acquisto
della qualifica di heredes era subordinato alla nascita. Questo principio venne
lungamente perfezionato nel tempo e si rese possibile istituire eredi o diseredare
nipoti ex filio e ulteriori discendenti nati dopo la perfezione del testamento caduti
sotto la potestas del testatore perché il genitore era premorto o uscito dalla familia.
Per la successione ab intestato la capacità giuridica in capo all’ereditando doveva
sussistere in tempo di morte,quella in capo agli eredi al tempo della delazione e per
gli eredi volontari pure al tempo dell’accettazione e doveva poi sussistere
ininterrottamente dalla delazione all’accettzione. Se il civile era caduto in captivitas
poteva accettare validamente l’eredità tornato in patri con ius postlimini.
Testamenti factio indica sia la capacità di fare testamento sia la capacita di acquistare
come eredi in forza di testamento.
La testamenti factio attiva: Presupponeva sia la capacità giuridica sia quella di
agire. La capacità giuridica doveva permanere dal momento della perfezione del
testamento sino al momento della morte. La capacità di agire solo al momento della
perfezione del testamento. LA capcità di fare testamento dai tempi di adriano fu resa
possibile per le donne sui iuris intellettualmente capaci ed era invece negata agli
impuberi e i prodigi. Al furioso era resa possibile in un momento di lucidità.
La testamenti factio passiva: Presupponeva la capacità giuridica che a parte il
caso dei postumi doveva sussistere sia al tempo della perfezione sia al tempo della
delazione. Per gli eredi volontari doveva esistere anche al tempo dell’accettazione. Le
regole ricordate non riguardavano ne i filii familias immediatamenti soggetti alla
patria potestas ne i servi manomessi dal testamento: essi avrebbero acquisito
capacità giuridica al tempo della morte. Schiavi e filii familias altrui potevano essere
istituiti eredi perché con l’accettazione che si compiva dietro iussum dell’avente
potestà acquistavano al proprio dominus.
Le conseguenze giuridiche dell’incapacità di trasmettere e ricevere mortis causa
erano diverse a seconda dei casi. In difetto della capacità giuridica in tempo di morte
l’ereditando non avrebbe avuto posizioni giuridiche da trasmettere. Sicchè neppure si
dava luogo a successione. Se l’incapacità di agire o l’incapacità giuridica sorgeva al
momento della perfezione del testamento esso sarebbe stato nullo e l’eredita
trassmessa ab intestato.Quanto alla capacità di essere heredes i capaci non avevano
diritto ad alcuna delazione,di nessun tipo. Se un incapace era istituito erede era
chiamato all’eredità un eventuale substitutus. Se si trattava di testamento per quota
esso si alzava ai coeredi testamentari.
capaces un regime diverso da quello dell testamenti factio. Con la lex papia poppea et
iulia si negò ai caelibes e agli orbi la capacità di acquistare la capacità per
testamento:Completamente per caelibes e per metà agli orbi. Nel caso dei caelibes la
capcità giuridica poteva essere acquistati anche cento giorni dopo la morte del
testatore. Quello non acquistato dai non capaces andava in primis ai coeredi con
famiglia,poi ai legati con famiglia e infine all’aerarium popolo romani,quantità definita
anche come caduca. Per la persecuzione si diede la caducarium vendicatio nel
processo extra ordinem. Il ius antiquom continuò a intervenire normalmente in tutte le
altre situzioni. Caracalla cerco di volgere il caducum solo verso lo stato,ma l’influenza
cristiana insieme a giustiniano abolirono questa lex.
L’indegnità a succedere
Sin dai tempi del principato senatoconsulti e costituzioni imperiali andarono a
sanzionare le persone ritenute indegne di acquistare un eredità.Gli indegni avevano lo
iure hereditario ma quello che gli spettava veniva rivendicato extra ordinem
dall’aerarium populi romani,da etàà classica avanzata dal fisco.(Con le modalità della
cadocorum vendicatio). Gli indegni restava eredi anche dopo l’azione dello
stato,perché la condizione di eredde non cessava mai. I casi di indegnità erano vasti:
Omicidio dell’ereditando,chi sollevava controversie sullo status di esso o sulla
veridicità del testamento,rei d’adulterio e stuprum.
appartenevano alla famiglia proprio iure dicta. Essi acquistavano l’eredità dopo averla
accettata.
L’accettazione: Poteva essere tacita o espressa. Avveniva se espressa mediante
cretio,se tacita mediante pro herede gestio. La cretio era uno degli actus legitimi e
aveva carattere formale.
LA cretio era un actus legittimo e ebbe origine nell’ambito testamentario in cui il
testatore istituiva che il testamentario dovesse accettare entro un certo termine,e che
accettasse nella forma del cretio. Il ricorso alla cretio era necessario solo se imposto
dal testatore.
LA pro herede gestio invece consisteva nel compimento di atti di gestione del
patrimonio del defunto che implicitamente sanciva l’idea di accettare. Si ritenne pro
herede gestio anche lì’implicita idea di accettare durante l’età classica. La cretio
cadde in disuso in postclassica.
L’accettazione dell’eredità non tollerava ne condizioni ne termini di alcun tipo.(LA
cretio in particolare per la sua natura di actus legittimo),doveva essere effettuata
personalmente,e non poteva essere compiuta validamente prima della
delazione(quindi in nessun caso prima della morte.) L’aditio prima della delazione era
senza effetti. Se non vi era imposizione di cretio l’erede erea libero di adire l’eredità
senza particolari limiti di tempo. Il pretore tuttavia nell’interesse degli altri eredi
poteva dare un termine normalmente di 100 giorni.
La rinunzia: Ecco quindi che il chiamato all’eredità avrebbe potuto non accettare.
Poteva far trascorrere il tempo necessario all’accettazione oppure negare
espressamente l’eredità. Non v’era alcuna forma. Andava però fatto.
L’eredità deserta: Con la morte dell’ereditando senza eredi necessari e senza che
nessuno accettasse di riscuotere il patrimonio l’eredità era considerata giacente,e
quindi passibile di usucapio pro herede. Il pretore avrebbe potuto nominarne un
curatore. Con ripudio da parte degli eredi volontari l’eredità andava deserta. In quel
caso gli eventuali creditori potevano immettersi nell’eredità e eseguire bonurum
venditio per soddisfare i propi debiti,infamando la memoria del defunto.
L’acquisto ereditario.semel heres,semper heres.: Con l’accettazione dell’eredità
si diventava automaticamente heres,qualifica indivisibile dal soggetto una volta
affibiata.
LA fusione dei patrimoni di ereditando ed eredi.Rimedi: Come sappiamo
l’acquisto della successione non era solo nell’attivo ma anche nel passivo. Questo
avveniva grazie alla fusione dei due patrimoni., Poteva accadere che l’hereditas fosse
damnosa,ma è ovvio che gli eventuali eredi volotnari sapendolo avrebbero potuto
rifiutare di farsene carico. I creditori sarebbero allora intervenuti sul patrimonio del
defunto. I classici però ripudiavano questa pratica ed escogitarono alcuni rimedi
Uno era il pactum ut minus solvatur secondo il quale prima di accetare i chiamati
all’eredita convenivano con i creditorei che avrebbero pagato solo una parte
percentuale dei debiti del defutno. Avrebbero fatto valere ciò conexceptio pacti
conventi.
Un altro espediente era l’additio mandato creditorum. I chiamati adivano l’ereditò
dietro mandato dei creditori ereditari. Così se costretti a pagare oltre l’attivo ereditario
si sarebbero srivalsi con l’actio mandati contraria.
Giustiniano introdusse il benficium inventarii, secondo il quale l’erede che non avesse
ancora accettato e che avesse stilato una lista del valore del patrimonio del defunto
enntro due mesi sarebbe stato considerato accettante ma non oltre il valore dei
cespiti ereditari. In alcuni casi inoltre poteva essere l’erede ad essere iberato di debiti
e per questo motivo impossibilitato a pagare quelli del defunto. LA rivalsa di questo
pregiudizio spettava ai creditori che si immettevano nel patrimonio personale
dell’erede e procedevano per bonorum venditio.
La hereditas
La hereditas dai giuristi romani era considerata universitas,formata da unità in corpo e
in iura,e come tale soggetto definito passibile di bonorum venditio. Universitas ossia
che come le corporazioni poteva perdere o cambiare unità ma restava comunque
uguale a se stessa. Un complesso unitario di autonoma considerazione e quindi
passsibile di in iure cessio hereditatis e di usucapio pro herede. Chiunque diventasse
heredes concepiva ssu di essa lo ius hereditatis,un ius classificato tra le res
incorporales. Essa comprendeva anche situazioni soggettive come crediti o debiti.
Non entravano a far parte dell’eredità del titolare le potestà familari e nemmeno
tutela e cautela. Passava per converso agli eredi il mancipium sui filii familias altrui. La
potestà dei servi si trasmetteva insieme al dominium. IL possesso invece era
considerato res facti ma veniva automaticamente tramandato agli heredes necessarti.
Non così avvenne per gli eredi volontari per i quali non si potè prescindere da un atto
di presa di possesso. Una volta preso però veniva considerato come direttametne
ereditato dal testatore in virtà di successio possesionis. All’erede potevano fare capo
ius che non si estinguevano con la morte ma che venivano trasmessi ai più stretti
familiari,ossia sacra familiae(culto delle dvinità domestiche) e allo ius sepolcri(Res
religiosa utilizzata per la sepoltura.)
La hereditatis petitio
L’azione specifica a tutela dell’eredità era la hereditas vendicatio o anche detta
hereditas petitio. Nella legis actio sacramenti in rem la solenne dichiarazione di
appartenenza a sé che ciascuna delle parti pronunziava non veniva riferita a una cosa
determinata ma all’intera eredità. AL posto dell’eredità vi era ssimbolicamente un
ocmponente di essa.A giudicare erano i centumviri. Dalla prima età preclassica si
risolse con l’agere in rem per sponsionem,e dal processo formulare si agì con formula
petitoria,simile alla rei vendicatio ma con l’eredità al posto della res. Fu esteso da un
senatoconsulto il campo di applicazione tra privati e pubblici(cadocurum). L’azione
spettava all’erede civile. Nella legis entrambi dovevano provare,in tutte le altre solo
l’attore.
Legittimazione passiva: Il principio espresso nei testi classici è che l’azione sia
esperibile contro chi possiede acnhe solo una parte dell’eredita. Chi assumeva di
essere erede era un possessore pro herede,chi non voleva esplicare la ragione del suo
possesso era definito pro possessore. Se il possessore invece si dava qualche titolo
particolare come pro donato pro dote allora si doveva agire per semplice rivendicatio.
Si stabilì grazie ad un senatoconsulto che chi era soggetto a hereditatis petitio doveva
consegnare tutti i frutti,anche antecedenti alla litis contestatio.(essi avrebbero
accresciuto l’eredità). Bisognava anche restituire ogni tipo di arricchimento ottenuto
grazie all’eredità. Giustiniano incluse questa azioen tra i iudicia bona fidei.
LA coeredità
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lOMoARcPSD|9836546
La situazione era più complessa di quella della compropietà in quanto non era un
singolo oggetto a essere conteso ma una serie di res e diritti non definiti,universits.
Ogni erede comunque avrebbe avuto una quota e aveva diritti e doveri analoghi a
quello del comproppietario sul bene comune. Le obbligazioni nate da queste
situazione furono definite da giustiniano quasi ex contractu.
Ius adcrescendi: In presenza di determinate circostanze alcuni candidati
acquistavano autmaticamente la quota di altri contitolari. Nell’eredità presupponeva
che uno degli eredi volontari per rinunzia o per impossibilità sopravvenuta decidesse
di rinunziare alla sua quota ereditaria. Si verificava allora un accrescimento delle
quote degli altri eredi. Che a rinunciare fosse qualcuno già erede era impossibile in
quanto era caratteristica definitiva. L’accrescimento della quota avveniva
automaticamente(ipso iure).
Non potevano rinunciare alle quote gli eredi necessari,in quanto non era richiesta loro
accettazione.
Lo ius acrescendi si derogava in 3 situazioni 1 quando trovava applicazione nella
legislazione caducaria 2 quando il testatore avesse nominato un substiutus 3 quando
il testatore avesse istituito che una determinata quota fosse già da suddividere
congiunatamente tra due o più individui. In questo caso erano solo lor ad arricchirsi.
Divisione dell’eredità: Per la divisione dell’eredità erano eclusi crediti o debiti
testamentari perché un preccetto delle 12 tavole stabiliva che si imputavano
direttamente ai coeredi a ciascuno in proporzione alla quota spettante. Così si seguiva
il regime delle obbligazioni parziarie nel caso di obbligazioni divisibili. Se indivisibili si
seguiva il regime delle obbligazioni solidali elettive. L’azione propia era la actio
familiae ercirscundae e prima del processo per formule la si afforntava con la legis
actio iudci postulationem. Il regime giuridico era molto simile a quello dell’actio
communi dividundo. Era infatti anche questo con aiudicatio. Il giudice pertanto
prestava la distribuzione dei cespiti in più lotti,tanti quante le quote ereditarie e
ognuno del valore il più possibile ecquivalente alla quota. Poi la ggiudicava mediante
aiudicatio.
Le divisioni delle eredità erano assai più complessi di quelli della compropietà perché
bisognava tenere conto della volontà dell’ereditando,del modus imposto,dei prelegati
restituzione della dote alla moglieetc..
La bonorum possessio
Un sistema di successione pretoria si aveva tramite la bonorum possessio. Inizialmete
la si utlizzò per rendere più agevole la tutela dello ius civile poi per ocrreggerlo.
Origini e tutela: Sembra che alle origini della bonorum possessio ci sia il momento
all’inizio di una lite nella legis actio sacramenti in rem nella quale si provvedeva
all’assegnazione a una delle parti del processo possesso provvisorio della cosa. Nel
contesto della formula petitoria il pretore avrebbe ancora concesso la bonorum
venditio ma con diversi criteri: Sorgeva il problema quando bisognava sapere chi fosse
chi fosse verametne legittimato ereditario, e dovesse quindi in quanto possessore
sostenere la lite nel più vantaggioso ruolo di convenuto. Ecco che allora il pretore
affibiava la bonorum possessio al più probabile erede o a quello che avesse offerto
maggiori garanzie per la restituzione in caso di soccombenza. Da tarda età
repubblicana tuttavia il pretore solitamente non concedeva più solo per agevoalre in
processo ma anche solo a chi per ragioni di opportunita era suggerito come erede del
La collazione
La collatio bonorum: Fu introdotta dal pretore. Alla bonorum possessio ab
intestato(sine tabuli e contra tabulas) il pretore chiamava innanzitutto i liberi. Nei
liberi rientravano sia i suoi si a i figli emanxipati. Menter gli acquisti dei suoi con la
morte del pater entravano a far parte dell’eredità quelli degli emancipati rimanevano
a loro. Questo non fu considerato equo e quindi il pretore decise di intervenire con la
collatio bonorum, che imponeva agli emancipati mediante cautiones ove il mancipato
prometteva una quota dei suoi beni personali a tutti i sui. L’emancipato poteva subito
trasferire i beni senza lugnhe promesse. Egli doveva effettuare collatio prima di
avvalersi dei benefici della bonorum possessio,altrimenti nulli.
Collatio dotis: Riguardava la figlia cui il padre avesse costituito dote alla quale
pertanto sciolto il matrimonio il marito e i suoi eredi avrebbero dovuto restituire i beni
dotali. Col risultato che se questi beni proveninenti dal patrimonio paterno si sarebbe
avvantaggiata in definitiva la figlia soltanto. Il pretore interbenne e addosso alla filia
sua che chiedeva la bonorum possessio di dovere stipulare delle cautiones a tutela dei
propi fratelli. Assunse doti di ius civile,quando l’obbligo fu inserito nell’actio familiae
erciscundae.
La collatio nel diritto post classico e giustinianeo: LA fusione tra hereditas e
bonorum possessio fece si che nella successione ereditaria assunse più signicato la
parentela di sangue in quanto tale. Inoltre i filii familias cominciarono ad avere sempre
più diritti ,rendendo non importante differenziarli dagli emancipati. Non occorre più
utilizzare quindi la collatio bonorum, Le collatio furono riunite in un unico istituto
definito collatio descendentium attuata sempre mediante cautiones. Giustiniano la
ampliò alla successione testamentaria. Si era tenuti in donazione per beni costituiti in
dote alla figlia o donati propter nuptias al figlio.
La successione universale ab intestato: La successione mortis causa poteva
essere ex testamento e presupponeva un valido testamento per avvenire.
La successione ab intestato presupponeva invece un testamento non valido oppure
uno valido ma iquali eredi volontari si rifiutassero di di accettare. Ecco allora che il
momento della delazione non sarebbe statao la morte dell’ereditando ma il momento
in cui non sarebbero venuti alla successioni gli eredi ex testamento. Analogamente
avveniva per la bonorum possessio. Trascorso il tempo i termini per l’agnitio della
secundum tabulas erano chiamati i sine tabulas e quindi i successibili pretori ab
intestato.
La successione degli agnati: Gli agnati erano le persone libere discendenti in linea
maschile da un capostipite di sesso maschile,purchè il vinccolo non fosse stato
spezzato per capitis deminutio. In primo luogo fratelli o sorelle, e con loro madri e figli
rispettivi se con matrimonio com manu. Chè la madre filiae loco rispetto al marito
fosse stata considerata alla stregua di sorella rispetto ai suoi figli.
Gli agnati di ssesso maschile erano chiamati alla successione senza limitazioni di
grado,quelli di sesso femminile non oltre il secondo grado.(sorelle). Inolrte l’agnato più
vicino escludeva quello lontano,anche in caso di mancata accettazione. Non era
accettata succesio graduum.
Se vi erano agnati dello stesso grado tutti venivano alla successione per quote uguali.
Gli agnati erano eredi volotari. (capta non stirpi)
La successione dei gentili: Erano gli appartenenti alla stessa gens dell’ereditando.
Erano anch’essi eredi volontari;erano chiamati all’eredità solo in assenza di agnanti.
Cadde in disuso con la scomparsa delle gens in età classica.
La successione del patrono e quella del parens manumissor: IL patrono
succedeva alpropio liberto se questi morto senza testamento non avesse avuto sui
heredes. Lo stesso avveniva per il padre che emancipava il figlio,essendo la sua
posizione molto simile a quella del patrono.
L’ereditaà vacante
Nel caso in cui non ci fossero ne eredi ne bonorum possessores l’eredità era definita
vacante. I creditori erano liberi di effettuare esecuzione sui beni ereditari ,e se
nell’eredità non vi fossero stati debiti sarebbe stata devoluta all’erario e dopo quindi
al fisco. Dall’età post classica invece i beni andavano nelle comunità di
appartenenza(esercito).
Il testamento
La chiamata all’eredità e alla bonorum possessio poteva aver luogo in forza di
testamento. E la delazione ex testamento prevaleva su quella legittima o ab intestato.
Il testamento era un atto unilaterale,mortis causa,personalissimo,revocabile fino
all’ultimo istante di vita. Era un atto complesso che prevedeva diversi atti
negoziali.Istituzione di erede,legati,manumissioni e altro. L’istituzione di erede non
poteva mancare pena nullità dell’atto.
L’uso di testare ebbe a roma larghissima diffusione,considerato conforto per la morte.
Testamento deriva da testimoni,e in effeti tra le formalità richieste vi era la presenza
di testimoni.
Il testamento civile: La prima forma di testamento riconosciuto fu quello civile.
Anche definito testamentus clatis comitiss. Era un atto formale che si compiva
oralmente dinanzi ai comitia curata che assumevano funzione di testimonianza. IL
testatore dichiarava solennemente le propie volontà. E pensabile che lo si utilizzasse
inizialmente solo per istituzioni ad heree.
Poco più recente era il testamentu procintu . Con esso si volle tutelare l’interesse dei
miltari che testavano in mezzo all’esercito romano pronto alla battaglia. Erano così i
compagni i testimoni.
Gaio ci suggerisce che ai suoi tempi questi erano ormia caduti in desuetudine.
Assai più comodo era l’impiego della mancipatio,macipatio familiae prima e
testamento per aes et libram dopo. Escogitati dalla intepretazione pontificale per
consentire di testare chi non fosse in tempo per i calati comitia(Si riunivano due volte
all’anno) o non facesse parte dell’esercito. In tal modo inoltre anche le donne
potevano testare.
La mancipatio familiae era un negozio fiduciario. Con essa il testatore trasferiva il
proprio patrimonio ad un amico fidato definito anche familiae emptor. Al contempo
alla mancipatio era aggiunta una lex manipi che indicavva a chi devolvere i vari
cespiti ereditari.
LA mancipatio familiae subi poi una profonda trasformazione e divenne testametno
per aes et libram. Si compivanella maniera seguente: Si eseguiva comunque
mancipatio della propia eredità al familia emptor e questi nel affermare la propietà a
se recitava una complessa formula dalla quale traspariva la fittizieità
dell’affermazione di trasparenza. Da parte sua poi il testatore manifestava
solennemente le sue ultime volontà. La pronunzia orale era detta nuncupatio. Per
comperensibili motivazioni di privacy si smise però di enunciare le volontà nella
nuncupatio ma in essa era contenuta solo la volontà di voler testare e facesse rinvio
alle vere e propie volontà in tavolette scritte che teneva con se.
Ecco pertanto che il testamento per aes et libram a parte il rituale della mancipatio
dal quale non si poteva prescindere poteva essere compiuto tutto oralmente con
nuncupatio totale o in parte scritto con noncupatio parzialle o cosiddetta di rinvio.
A differenza della mancipatio familiae dove il familiae emptor acquisiva subito il
patrimonio nel testametno per aes et libram l’intervento del familiae emptor era
richiesto per mera formalità ad imitazione della mancipatio familiae. Il familiae emptor
non acquistava nulla che era del testatore neanche temporaneametne. Era con la sua
morte che il testamento per aes et libram avrebbe avuto efficace con la conseguente
delazione ex testamento.
Tutti i testamenti descritti erano iure civili.
IL cosiddetto testamento pretorio: L’editto pretorio prevedeva una bonorum
possessio secundum tabulas. Sappiamo che quest’ultima prevalesse sulla delazione
pretoria ab intestato. Ai fini della bonorum possessio secundum tabulas il pretore
esigeva un documento scritto chiuso e sigillato mediante contrassegno di sette
testimoni al quale doveva essere apposta la propia firma. Era quindi un testamento
per il quale si potesse prescindere da solennità orali. Per esso è uso di parlare di
testamentento praetorio. Il numero di testimoni,sette, ricalcava le formalità del
testamento per aes et libram. Li servivano 5 testimoni. Questo ci fa capire che il
testamento per aes et libram era valido iure civile e iure pretorio. Il pretore ne
avrebbe concesso inoltre la validità anche se con noncupatio totale.
Il testamento da età post classica: LA forma sino in età post classica più utilizzata
fu quella del testamentum per aes et libram con nuncupatio di rinvio. Costantino
sensibile alle istanzze provinciali e con ormai tutti i cittadini considerati come romani
grazie all’editto di caracalla del 212 decise di eliminare mancipatio e nuncupatio dal
L’istituzione di erede
IL testamento poteva contenere disposizioni di diversa natura,ma la più importante
era quella dell’istituzione di erede. L’istituzione di erede e il fedecommesso universale
erano entrambe a titolo universale comportando per i destinatari successione in
centumviri per infermità di mente del tetatore , elargendo poi l’eredità via ab
intestato.
La querela era quindi una speciale petizzione di eredita con la quale il querelante
perseguiva la sua quota ab intestato. In età classica venne applicata nel rito della
congitio extra ordinem che andadva ad affiancarsi alle lefis acio. Essa era qquindi un
rimedio contro un testamento di persè valido,un rimedio funzionante solo nel ccaso di
ingiustifica diseredazione o anche l’elargire di quote inime. I soggetti attivamente
legittima alla querela inofficiosa furono in primo luogo i figli del tetstaore,poi i genitori
e indinine fratelli e sorelle. Non sarebbe stato facile però provare l’inoficiosità di un
testamento per fenitori o fratelli.(Non dimentichiamici che erea innanzitutto un
giudizio morale contro il testatore. Dalla querela era escluso il legittimato che avess
dato sefuito in qualche modo alla volonta del testatoer. Ne era pure escluso chi aveva
cosneguito almeno un quarto di quelllo che gli sarebbe spettato con ab intestatio. La
querela quando passava dava diritto alla piena quota ab intestatio. Passivamente di
regola erano legittimati gli eredi testamentari. L’aazione di querela doveva essere
esperita entro 5 anni dall’adizione dell’eredità da parte dell’erede. Peraltro in caso di
vittoria del querelante si davano misure di vantaggio per legatari fedecommissari e
servi manomessi. Durante l’età postclasssica si consolidò la legittimazione attiva dei
genitori e dei fratelli consaguinei. Dai tempi di giustiniano invce era mmesso alla
querela solo chi non avesse ricevuto nulla dal testatore. Chi aveva ricevuto qualcosa
in meno della portio debita era escluso dalla querela ma legittamato attivamente ad
un'altra azione definita actio ad implendam leegitamam. Sarà in favore di un terzo
della quota ab intestato. Giustiniano inolte rese obsolete la diseredazioni come
istituto in se e doveva essere infatti ogni voltamotivata, (Legittimari non possono
essere esclusi dall’eredità).
I legati
I legati erano disposizioni con le quali il testatore con intento di liberalità e in forma
imperativa attribuiva,sostanzialmente sottraendoli agli eredi singoli beni o comunque
singoli diritti soggettivi alle persone da lui stesso indicate. Vennero riconosciuti come
sappiamo dopo l’istituzione di erede,origine del testamento. Era dalle 12 tavole che
esse acquisirono la loro denomiazione e più precisamente dal vervbo legare. Era uso
diffuso a roma fare larghe donazione a favore di parenti e amici. Da qui intuiamo come
la giurisprudenza si sia mossa a difesa degli eredi.
I quattor genera legatorum: A seguito di un riflessione si individuarono 4 tipologie
di legato:
Il legato per vindicationem,che era traslativo di propietà o costituivo di servitù o
usufrutto. Aveva pertanto effetti reali. IL beneficiario quidni avrebbe dovuto fare
eventuale ricorso alla rei vendivatio,vindicatio usufructus o alla vindicatio servitutis se
necessario. IL legato per vindicationem quindi solitamente per oggetto aveva i beni
propi del testatore. Le parole usate erano do lego. Il legato per damnationem aveva
invece effetti obbligatori:con esso il testatore poneva carico dell’erede l’obbligo di
compiere una prestazione determinata di dare o facere. Si costituiva in tal modo una
obligatio la quale l’erede era il debitore,sanzionata dall’actio ex testamento. Pure
efficacia obbligatorio aveva il legato sinendi modo, anch’esso sanzionato con actio ex
testamento, e consisteva nell’erede a consetire di fare qualcosa di particolare al
legatario.Ad esempio,prendere il possesso di una cosa determinata. Con la presa di
possesso,non altro che una traditio si acquisiva la propietà di res nec mancipi e il
posesso ad usucapionem per le res mancipi. L’erede venne poi considerato in ogni
Questo comportava la perdita della cose o crediti dati in legato che non era
trasmissibile agli redi. La giurisprudenzza tappò questa falla stabilendo che il elgatario
avrebbe acquistato diritto al lascito e lo avrebbe trasmesso ai suoi eredi sin dal dies
cedens,intendendosi la morte del testatore.
Al dies cedens si contrapponeva il dies veniens, il momento a partire del quale il
legatario avrebbe potuto far valere i propi diritti. Coincideva solitamnte con l’adizione
dell’eredita da parte dell’erede onerato. Una voltaa che il legato per damnationem o
sinendi modo diveniva attivo il legatario acquisiva il credito,mentre per i legati reali
l’acquisto era immediato ma con facoltà di rinunzia,che in caso di collegatari dava
luogo ada ccrescimetno.
Invalidità inefficacia e revoca: Abbiamo già visto i casi di validit e invalidità. È utile
ora ricordare la regola catoniana che comportava che il legato invalido al tempo della
composizione restava invalido pure se la causa di invalidità cessava al tempo della
morte del testatore. Si fece eccezione per il legato sospensivamente condizionato. Il
legato poteva inoltre essere revocato con la revoca del testamento in cui esso era
contenuto,oppure con espressione contrarie a quelle adoperate per il legato,e da età
postclassica qualsiasi espressione che facesse intendere ciò. Si da età post classica
era stata tuttavia riconosciuta iure pretorio la revoca del legato liberamente
manifestata dal testatore dopo la definizione del testamento. Il elgato sarebbe stato
valido iure civili,ma si dava poi all’erede “onerato” exceptio doli contro il legatario che
agiva contra voluntatem testantis.
I limiti alla libertà di disporre mediante legati:Il costume comune di disporre
numerosi legati poteva portare a rimanere insodisfatti gli eredi necessari. La elx furia
testamentaria fissò a 1000 assi il valore massimo,la voconia stabilì che non potesse
superare ciò che restava agli eredi. Entrambe furono però revocate dalla lex falcidia e
che stabilì che non si potesse dare in legato per più di tre quarti dell’eredità
assicurando così un quarto agli eredi necessari.Se avesse ceduto di più i legati erano
ridotti ipso iure al limite stabilito dalla legge.
Giustiniano li ecquiparò ai fede commessi, e nei punti diversi prevaleva il regime dei
fedecommessi.
I fedecommessi
L’uso diffuso di raccomandare informalmente i propi eredi o anche legatari
rimettendosi per il loro adempimento solo alla fides che compissero una determinata
prestazione in favore della persona indicata dovette certo trarre origine dal proposito
di molti di aggirare ostacoli e divieti del regime dei legati. Si parlò allora di
fedecommessi, Augusto li rese vincolanti per l’onerato legittimando il beneficiato a
promuovere le petitio fedecommissi secondo il processo extra ordinem. Essi avevano
pure effetto obbligatorio.
I codicilli
I codicilli erano idonei come il testamento a contenere più disposizioni mortis causa.
Con la prola codicilli si indica un documento scritto e tante altre volte una lettera che
a differenza del testamento non richiedeva formalità nella sua composiizone. Vi diede
riconoscimento augusto insieme ai fedecommessi. Si fece innanzitutto differenza tra i
fedecommessi confermati e quelli non. Confermati erano quelli nominati nel
testamento,capaci di ogni disposizione tra la disposizione ad erede o la exheredatio e
quelli non riconosciuti invece solo fedecommessi. Erano considerati parti integranti del
testamento e ne condividevano le sorti. In età postclassica si inizio a fare confusioni e
si richiesero testimoni anche per i codicilli.