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Similitudini tra il diritto romano e il diritto moderno

La discussione proposta in merito alle similitudini che si possono cogliere fra il


diritto romano e il diritto moderno, mi spinge, in virtù anche del materiale fornito dal
modulo e dall’esercitazione sulle fonti del diritto, ad avanzare le seguenti considerazioni.
Mi piacerebbe affrontare l’argomento suddividendo lo stesso in tre aspetti (o macro
aree) sicuramente correlati fra di loro e che così denomino:

- Aspetto strutturale;
- Aspetto sociale;
- Aspetto giuridico.

Per quanto concerne il primo punto, e cioè quello legato più precisamente alla
struttura della Comunità/Stato, non si può fare a meno di notare talune analogie tra la
struttura della Civitas romana e quella del nostro Stato. Il Senato presente a Roma fin
dall’epoca monarchica esiste ancora oggi pur avendo funzioni differenti tenuto conto della
forma repubblicana del nostro ordinamento. La caratteristica di essere composto da
membri più anziani (dal latino senex) è conservata tuttora, considerata la soglia minima
dei 40 anni (diversa per l’altro ramo del Parlamento - la Camera dei Deputati - per la quale
la soglia è di 25 anni) per coloro, appunto, che si candidano al Senato della Repubblica.
Anche dal punto di vista terminologico, non si può fare a meno di notare come
alcuni vocaboli siano stati tramandati fino ad oggi: si pensi al termine Repubblica, anche
alla luce dell’etimologia latina (res = “cosa” - publica = “pubblica”). Si focalizzi poi
l’attenzione sul cambiamento di significato delle parole “magistrato” e “magistratura” dal
mondo romano alla realtà attuale, segnalando anche l’etimologia comune di “magistrato” e
“maestro” (da magister). Lo stesso Senato dal latino Senatus, come specificato in
precedenza, ha una rilevanza etimologica importante legata alla funzione degli stessi
senatori – anziani, dove l’anzianità era vista come elemento di esperienza indispensabile
per l’esercizio del loro compito.

Passando al secondo aspetto, che ho definito di carattere sociale, elementi di similitudine tra
il diritto romano e quello moderno possono essere riscontrati nell’esigenza legata alla
rivendicazione dei diritti. Una sorta di analogia in tal senso può essere intravista nella ribellione dei
plebei del 494 a.C. che tra le richieste fondamentali da loro rivendicate vi era quella di leggi scritte
per eliminare evidenti manipolazioni. Nel 451 a.C. viene affidato a dieci magistrati (decemviri =
“dieci uomini”), patrizi e plebei, il compito di redigere il primo codice. Le norme vengono incise su
dodici tavole di bronzo (leggi delle XII Tavole) ed esposte nel Foro. Il riferimento alla protesta dei
plebei e al loro ritiro sul Monte Sacro offre lo spunto per riflettere sul diritto allo sciopero, con le
dovute distinzioni tra la situazione antica e quella contemporanea e senza trascurare le radici del
concetto attuale di sciopero, eterogenee rispetto alla realtà della Roma del V secolo a.C. L’episodio
del Monte Sacro ci spinge anche ad un’altra importantissima considerazione che trova
punti di contatto con l’attuale ordinamento. Si pensi alla nascita dei tribuni della plebe:
magistrati eletti dai plebei ed essenzialmente plebei essi erano inviolabili e non potevano
essere interrotti o molestati durante il loro mandato. Con le dovute eccezioni e con le
necessarie differenziazioni è possibile ipotizzare punti di “contatto” con l’attuale immunità
parlamentare anche se, va ribadito, si parla di due funzioni distanti e distinte (giudiziaria la
prima e legislativa la seconda).

Per quanto riguarda, infine, l’aspetto strettamente giuridico, mi soffermo sulle


similitudini inerenti tre istituti giuridici oltretutto analizzati nel Modulo di riferimento:
- Il diritto di proprietà;
- La donazione;
- Il matrimonio.

Non vi è dubbio che il diritto di proprietà sancito con l’art. 832 del c.c. nel nostro
attuale ordinamento, trovi il suo antecedente storico in diritto romano nella figura del
dominium ex iure Quiritium. Tale istituto designava in origine l'appartenenza piena ed
esclusiva di una res privata ad un individuo, situazione riconosciuta e tutelata dal ius civile.
In realtà già prima del dominium ex iure Quiritium, con il cosiddetto “mancipium” (da
“manu capere” prendere con la mano), i romani regolavano il loro rapporto all’interno della
comunità di appartenenza, ma si trattava più che altro di un diritto di potere più che di
proprietà, visto che si esercitava in larga misura sulle persone (filii,nepotes ex filio,
pronepotes, le uxores in manu, ecc…) e su pochissime cose (la domus, il fundus in agro
romano e gli animali). Il dominium ex iure Quiritium, mentre, ha rappresentato una nuova
concezione di diritto che anche nelle sue caratteristiche salienti (la pienezza, la esclusività
e l'elasticità) ha, in un certo senso, fatto da supporto giuridico all’attuale concezione di
proprietà sancita con l’art. 832 c.c. Se al dominus, infatti, spettava ogni facoltà di utilizzare
la res in maniera illimitata, la facoltà di modificarla e perfino di distruggerla (il suo diritto era
tutelato da un'apposita azione - la rei vindicatio - da res vi dicere affermare violentemente
un potere sulla cosa), anche oggi, con le dovute differenziazioni dovute più alla
contingenza dei casi che ai principi di base, è possibile riscontrare delle similitudini nelle
caratteristiche specifiche del diritto di proprietà:

 La realità: la proprietà rientra tra i diritti reali, caratterizzati dalla assolutezza, dalla
immediatezza del rapporto sulle cose, e dalla inerenza.
 La pienezza: il diritto di proprietà consente al titolare di un bene di servirsi della
cosa e di disporre del suo diritto trasferendolo ad altri o creando diritti altrui sulla
cosa.
 L’elasticità: il diritto di proprietà in talune circostanze può essere compresso, ma
caratteristica di tale diritto è che al cessare della causa che ha compresso il diritto,
esso si riespande automaticamente.
 perpetuità: una proprietà ad tempus non ha senso. Quindi il diritto di proprietà non
si estingue con il passare del tempo.

Anche per ciò che concerne le tipologie di acquisto del diritto di proprietà (a titolo
originario e a titolo derivativo) è possibile riscontrare analogie tra l’antico e l’attuale
ordinamento. L’art. 922 (e successivi) del codice civile, infatti, specifica come talune
modalità sono tuttora vigenti. Si pensi ai casi di accessione, specificazione, occupazione,
usucapione. Sono tutte modalità che nel diritto romano hanno avuto determinata rilevanza
in ordine al diritto in esame.

Per ciò che concerne la donazione, anche in questo caso va specificato come
l’istituto attuale, regolato dall’art. 769 e successivi del codice civile, abbia subito influenze
dal Diritto romano. Già dalla definizione “La donazione è il contratto col quale, per spirito di
liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o
assumendo verso la stessa un’obbligazione” è possibile riscontrare affinità con l’antico in
due elementi fondamentali: il concetto di liberalità (animus donandi) e l’arricchimento di un
soggetto a danno di un altro. L’animus donandi, infatti, rappresenta un presupposto
imprescindibile nell’istituto della donazione nella sua fase iniziale a Roma. Parliamo infatti
del periodo che va dalle origini sino alla lex Cincia de donis et muneribus del 204 a.C.
quando la donazione come atto tipico era inesistente perché l’istituto era basato più su
concetti come dare, agere, tradere, promettere o mancipare donationis causa. Anche dal
punto di vista contenutistico è possibile fare delle analogie. Come per il passato anche
oggi la donazione è classificata in tre diverse tipologie: donazioni reali (che trasferiscono o
costituiscono un diritto su un bene) donazioni promissorie (che fanno nascere
un’obbligazione in capo al donante nei confronti del donatario) e donazioni liberatorie (che
estinguono un’obbligazione del donatario verso il donante). Anche per ciò che concerne la
revoca della donazione, importanti similitudini possono essere fatte con il passato
soprattutto nell’epoca di Giustiniano che fu il primo a distinguere le due uniche ipotesi di
revoca: l’ingratitudine e la sopravvivenza dei figli del donante. Oggi l’art 800 del codice
civile distingue proprio queste due ipotesi, anche se il carattere esclusivamente personale
previsto da Giustiniano viene meno visto che ai sensi dell’art 802 del nostro codice è
previsto che la revoca per ingratitudine è consentita anche agli eredi del donante e non
solo contro il donatario, ma anche contro i suoi eredi. Infine, anche il concetto di
donazione indiretta previsto nel diritto romano è sancita nel nostro sistema come atto di
liberalità realizzato mediante il ricorso ad un diverso mezzo giuridico.

Per quanto riguarda l’istituto del matrimonio, infine, non si può fare a meno di
evidenziare che sia per il passato che per il presente il matrimonium ha avuto un
innegabile influenza di svariati elementi ricollegabili essenzialmente a caratteri sociali,
religiosi e morali. Il matrimonio, nel diritto romano, rappresentava il fondamento della
famiglia e su di esso si basava l’evolversi dei comportamenti e degli usi che
intercorrevano fra i componenti della famiglia stessa. Innanziutto, per comprendere
bene l’evolversi di questo istituto è importante capire la sua concezione maturata
nel corso delle varie fasi temporali a partire da quella arcaica e preclassica,
classica, postclassica e moderna.
In epoca arcaica, esistevano due tipi di matrimonio:

 il matrimonium cum manum conventione


 il matrimonium sine manu

Il primo rappresentava la forma più antica di celebrazione, cui doveva seguire la


coabitazione per un anno (usus). Il matrimonium cum manu nacque infatti in epoca
repubblicana, per evitare i gravi effetti che l'uscita della donna dalla famiglia originaria
comportava, ossia la perdita di tutti i diritti successori verso la famiglia d'origine.
In età postclassica, grazie soprattutto all'influenza del Cristianesimo, si andò affermando il
matrimonio come negozio giuridico: per il sorgere del vincolo non occorrevano più né
l'usus né il permanere dell' affectio maritalis, ma bastava il consenso iniziale degli sposi.
Giustiniano sancì definitivamente la figura del negozio "matrimonio", i cui effetti si
verificavano per l'intervento del semplice consenso iniziale. Il matrimonium sine manu,
invece, era un istituto che privava del potere di manus il marito. Questo tipo di matrimonio
non concedeva al marito alcun tipo di potere sulla donna, che restava legata alla propria
famiglia di origine e, quindi, non poteva avere nessuna aspettative ereditaria dalla famiglia
del marito.

Certo non è facile fissare precisi punti di contatto inerenti l’istituto tra l’antico e il
moderno, ma, nonostante tante evoluzioni e modifiche è innegabile sostenere che il
matrimonio abbia conservato alcuni principi fondamentali che ritroviamo, ancora oggi, nel
diritto civile vigente, come ad es. il principio della consensualità e della monogamia,
poiché in nessuna epoca mai il diritto romano è stato contaminato da influenze orientali.
Un altro importantissimo aspetto di congiuntura con il presente, anche se
contestualizzato a precisi parametri di carattere sociale e culturale oltre che ovviamente
religioso, è il divorzio. Lo scioglimento del matrimonio era una diretta conseguenza della
concezione classica dell'istituto, secondo cui il vincolo veniva meno per la morte di uno dei
coniugi o quando veniva a mancare la cd. affectio maritalis. Il divorzio per sua natura non
doveva esigere forme, come non ne esigeva il matrimonio. Un semplice avviso per litteras
o per messaggio verbale (per nuntium) doveva bastare. Fu solo nel Medioevo che il diritto
canonico rese indissolubile il matrimonio di sua natura. Come si sa, questo concetto,
l’indissolubilità, rimase in piedi per parecchi secoli fino a quando le legislazioni
divorzistiche hanno riconosciuto (lì dove è stato fatto) la cessazione del vincolo col
semplice venir meno della comunione spirituale e materiale, cioè dell’affectio.

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