Istituzioni dal latino institutiones, derivato da instituo; in senso traslato significa istruire, ammaestrare,
insegnare e nell'antichit il termine era usato per indicare materiali elementari introduttivi allo studio delle
discipline, in cui una determinata materia veniva ordinata ed esposta sistematicamente e sinteticamente.
Diritto romano diritto di quella collettivit politica organizzata di uomini liberi che fece capo all'antica
Roma; protratto per oltre 1300 anni, dal 754 a.C., origini della citt di Roma al 565 d.C., morte di Giustiniano
(Corpus iuris civilis). Esso si divideva in:
privato settore che regola rapporti tra individui in quanto tali (interessi privati, individuali).
pubblico regola organizzazione e funzionamento della collettivit e rapporti tra collettivit e singoli
che la compongono (interessi pubblici).
Occidentalis (Roma) e pars Orientalis (Bisanzio Costantinopoli). Fattori interni come il trionfo del
Cristianesimo ed esterni come le invasioni barbariche causano indebolimento e disgregazione territoriale che
poter alla fine dell'impero romano d'Occidente (476 d.C), che non fu mai pi ricostruito. Et di decadenza in
cui l'unica fonde viva del diritto l'imperatore, ma le costituzioni imperiali rivelano scadimento di livello
tecnico e stilistico e imbarbarimento linguistico, ma nonostante ci lo studio del diritto sopravvive grazie a
rielaboratori di opere e compilatori di raccolte e antologie giuridiche. Importante il Codice Teodosiano,
compilazione di costituzioni imperiali da Costantino a Teodosio II, che quest'ultimo ordin e fece portare a
compimento (438 d.C.); impulso maggiore in Oriente come testimonia il Corpus iuris civilis, tramite cui ci
pervenuta la ricostruzione del diritto postclassico e giustinianeo molto completa per via delle ricche fonti, per
la quale l'unico problema la difficolt di valutazione e coordinamento delle fonti.
CAPITOLO I - IUS
Diritto: il concetto uno tra i pi controversi e discussi per via di alcune difficolt logiche, ma si possono
tuttavia dividere le correnti del pensiero in due gruppi, a seconda della concezione adottata:
normativa: il diritto norma, regola di condotta o meglio complesso organico di norme;
istituzionale: il diritto l'ordinamento giuridico, l'organizzazione sociale, la societ organizzata, il
modo di essere di una collettivit.
Non tutte le norme sono giuridiche, ma la norma di diritto per essere tale dev'essere generale e astratta,
ossia non rivolta a uno o pi soggetti determinati n volta a regolare il caso concreto, ma indirizzata a tutti i
componenti della collettivit e per la regolamentazione di situazioni astratte. Dev'essere inoltre coattiva,
ossia quando occorre suscettibile di essere imposta con la forza (secondo alcuni solo quella emanata dallo
Stato giuridica, altri aggiungono requisiti tecnici, etici).
Diritto oggettivo e diritti soggettivi: il primo (law) norma agendi, il secondo (right) la pretesa del soggetto
riconosciuta e tutelata dal diritto oggettivo (facultas agendi), cui corrisponde il dovere di soddisfarla da parte
di altro o altri soggetti. Il diritto soggettivo trova fondamento nel diritto oggettivo, ed stato inteso dalla
dottrina moderna in termini di potest e facolt:
potest: posizioni giuridiche attive per cui il titolare esercita un potere su altri soggetti senza che essi
possano sottrarvisi (patria potestas);
facolt: insieme delle possibilit riconosciute e garantite al soggetto che sono implicite nella titolarit
di un diritto soggettivo;
Il diritto soggettivo in un soggetto ha un riscontro su altri soggetti, perci si parla di rapporto giuridico: al
diritto soggettivo di uno corrisponde il dovere giuridico di altro/altri soggetti. Altri concetti importanti:
obbligo: dovere di fare/non fare qualcosa in relazione al diritto soggettivo altrui;
soggezione: situazione di dover sottostare all'altrui potest
onere: sacrificio addossato a un soggetto affinch consegua un risultato utile o eviti un pregiudizio;
Ius
Il termine latino corrispondente all'italiano diritto ius. L'italiano diritto deriva da directum, dirigere (idea
del guidare liberi voleri), che soppiant il termine pi antico ius. Non si trova nel diritto romano una vera
definizione di ius, ma i Romani usarono il termine ora nell'accezione di diritto oggettivo (ius civile, ius
gentium etc), ora nell'accezione di diritto soggettivo, ora nel significato di potest (sui iuris, alieni iuris), ora
nel significato di luogo del giudizio (in iure, in ius vocatio). Il significato pi frequente per quello di
situazione giuridica soggettiva, con riguardo ad un rapporto giuridico inteso come diritto soggettivo e
corrispondente obbligo. Altri significati di ius possono essere: ius come rito (atto giuridico predeterminato nel
suo svolgimento), ius come situazione che si realizza a seguito di determinati atti.
Ius Quiritium
E' la pi antica qualificazione di ius e rappresenta il nucleo pi antico del diritto romano, infatti i Quirites
erano i membri delle prime collettivit cittadine romane. Vi erano riconosciute posizioni giuridiche soggettive
di potere su persone o su cose per esempio il potere su cose inanimate, animali o schiavi, che si
manifestava con un'affermazione di appartenenza ex iure Quiritium e per cui pi tardi si parl di dominium
(pi tardi ancora di propriet). Inoltre, avevano fondamento nel ius Quiritium anche patria potestas, manus e
mancipium, che comportavano l'esercizio di una potest su persone libere.
Ius civile
In et arcaica il diritto si amplia: riguarda soltanto i cives romani e comprende in se il ius Quiritium, ma
riconosce anche posizioni giuridiche di carattere relativo che saranno dette obbligazioni (crediti e debiti),
caratterizzate da un vincolo per cui un soggetto tenuto ad un certo comportamento verso un altro soggetto.
La necessit giuridica del debitore di tenere il comportamento dovuto fu espressa col verbo oportere, un
vincolo di ius civile ma non ex iure Quiritium. Tutte le posizioni riconosciute da questo ius civile erano tutelate
in sede giudiziaria da azioni civili. Dal III sec. a.C. si cominci a dare efficacia giuridica a nuovi negozi, anche
se compiuti da non cittadini, che davano luogo a obblighi in termini di oportere, talch i crediti corrispondenti
furono tutelati da azioni civili. Di conseguenza si parl di ius in due accezioni diverse:
dal punto di vista della fruibilit: le persone alle quali si estendeva erano i cives romani;
dal punto di vista degli effetti: tutela mediante azioni civili, diritto nel cui ambito diritti e doveri
venivano qualificati come ex iure Quiritium, ius, oportere.
Ius gentium
In et preclassica vennero riconosciuti nuovi negozi giuridici costitutivi di obbligazioni, subito fruibili anche
dai peregrini, negozi per i quali la necessit di adempiere da parte del debitore fu espressa in termini di
oportere con aggiunta delle parole ex fide bona. Queste parole comportavano che il giudice chiamato a
decidere in una lite dovesse valutare secondo buona fede i doveri del debitore convenuto (metro di giudizio
non rigido che rimandava ai criteri di correttezza nella vita di relazione, in senso oggettivo). Il pretore fu il
primo a dare riconoscimento ai iudicia bonae fidei nell'ambito del processo formulare, non prima del III sec.
a.C., indicandolo come metro di giudizio ai giudici privati. Osservando che i doveri del debitore erano
espressi in termini di oportere, la giurisprudenza tratt le azioni di buona fede alla stregua di quelle civili,
considerandole strumenti del ius civile. Dunque i negozi riconosciuti e tutelati da azioni di buona fede furono
detti appartenere al ius gentium = negozi e gli istituti fruibili anche dai peregrini (non cittadini), quindi da
soggetti appartenenti ad altri popoli. Questo fu giustificato dai giuristi sostenendo che si trattava di negozi
riscontrabili con uguali strutture e modalit anche presso altri popoli, e ci permise di far rientrare nel ius
gentium anche negozi e istituti tipici del ius civile antico (traditio, mutuo, stipulatio) estendendone fruibilit e
tutela giudiziaria (effetti) anche ai non cittadini.
Ius honorarium
Quella di ius honorarium una delle qualificazioni fondamentali del ius in senso oggettivo, e si tratta del
diritto risultante dall'attivit creativa di alcuni organi giurisdizionali, ossia di magistrati eletti dal popolo con
carica annuale come pretori (urbano e peregrino), edili curuli e governatori delle province. Il ius honorarium
non attribuiva iura o poteri n riconosceva vincoli di oportere; i relativi diritti e doveri erano tutelati da azioni
pretorie, non da azioni civili come per il ius civile. Le fonti di produzione del ius honorarium erano per l'editto
del pretore e di altri magistrati con ius edicendi (mentre per il ius civile erano i mores, le leges e la
giurisprudenza).
il pretore urbano era un magistrato cum imperio, istituito con le leges Liciniae Sextiae (367 a.C):
aveva il compito specifico di dicere in ius
gli edili curuli, istituiti nello stesso periodo, erano magistrati sine imperio: spettava loro la cura
annonae con conseguenti poteri di vigilanza su mercati e relativa giurisdizione. I governatori delle
province furono istituiti invece dopo l'esito vittorioso della I guerra punica
il praetor peregrinus fu istituito pi tardi ed ebbe il compito di dicere in ius tra romani e stranieri
(peregrini) o tra stranieri. Ebbe pari dignit e imperium rispetto al praetor urbanus.
Il magistrato pi importante fu il pretore urbano, il cui editto fu la fonte prevalente del diritto onorario. In forza
del ius edicendi che gli spettava per la sua carica, il emanava un editto di durata annua nell'editto il
pretore non dava ordini ma esponeva un programma, promettendo strumenti giudiziari e indicando modelli di
provvedimenti che avrebbe emanato. Poteva per anche adottare provvedimenti non previsti dall'editto
tramite i decreta. L'editto cadeva formalmente alla fine dell'anno di carica ma accadde che i pretori andarono
via via confermando la parte dell'editto del pretore precedente che avesse avuto buon esito, portando alla
formazione di un nucleo edittale che si trasmise inalterato (edictum tralaticium); addirittura si stabil poi, su
ordine dell'imperatore Adriano, un testo definitivo dell'editto pretorio che l'imperatore propose al senato per
l'approvazione: si ebbe l'Editto perpetuo. Dopo di allora i pretori mantennero la funzione giurisdizionale ma il
ius edicendi perdette significato.
Il contenuto dell'editto contemplava i modelli dei mezzi di tutela giudiziaria del ius civile (actiones), perci
costituiva diritto pretorio soltanto la parte che scaturiva dalle clausole edittali che promettevano strumenti
processuali non del ius civile: l'intervento pretorio si manifestava in tre direzioni adiuvandi vel supplendi
vel corrigendi iuris civilis gratia = agevolare l'applicazione del ius civile, colmarne le lacune, correggerlo. Lo
ius honorarium inoltre aveva caratteristiche che lo distinguevano dal ius civile, ma comunque lo
presupponeva. Riguardo agli strumenti per correggerlo, essi servivano per raggiungere l'equit (infatti
l'applicazione del ius civile poteva risultare iniqua) il pretore, non potendo negare il ius civile n abrogarlo,
concedeva gli strumenti idonei a paralizzarne l'attuazione (per esempio se un soggetto prometteva con
stipulatio qualcosa a un altro perch vi era stato costretto, in caso di inadempimento la pretesa del creditore
poteva essere iniqua, dunque si denegava l'azione). Con il diritto onorario dunque furono riconosciuti nuovi
tipi negoziali, nuovi istituti e illeciti privati. Quando verso la fine dell'et classica e gli inizi di quella
postclassica vennero meno il pretore giusdicente e il processo formulare, la conseguenza la fusione tra ius
civile e ius honorarium, che non fu mai proclamata (contrapposizione e distinzione attenuate).
CAPITOLO II LE FONTI
Le fonti di produzione
Le fonti di produzione sono gli atti o gli eventi che producono il diritto oggettivo, da cui esso scaturisce:
consuetudine i giureconsulti romani caratterizzavano la consuetudine in relazione alla sua lunga
osservanza (diritto che era stato osservato per moltissimi anni) e sottolineavano che essa era il
risultato di un tacito accordo tra i cittadini. In senso giuridico infatti la consuetudine l'osservanza
generale e costante per lungo tempo di un comportamento da parte di una collettivit, e la
convinzione dei cittadini di obbedire a una norma giuridica. La consuetudo riguard pi che altro le
popolazioni provinciali, alle quali Roma via via aveva esteso la cittadinanza e il diritto romano: molte
popolazioni opposero resistenza all'applicazione di principi estranei alle proprie tradizioni giuridiche.
Per questo motivo i giuristi classici attribuirono valore alle consuetudini, e proclamarono l'efficacia di
mores e consuetudini in materie non regolate da leges, senatoconsulti o costituzioni imperiali. Venne
cos riconosciuta l'efficacia della consuetudine al di fuori della legge e venne affermata la sua
equiparazione alla lex = la consuetudo fu riconosciuta fonte di ius civile, in quanto essa
manifestazione tacita della volont di un popolo (mentre la lex manifestazione espressa).
Ovviamente si neg efficacia alla consuetudine contra legem (differente il caso della desuetudine,
cio mancata applicazione di un istituto perch non utilizzati per lungo tempo).
mores maiorum costumi giuridici dei maiores, ossia dei pi antichi Romani (remoti antenati),
tanto risalenti da non aver memoria della loro origine. I mores costituivano il ius Quiritium e su di essi
si fondavano istituti e negozi del ius civile pi antico
leges, lex pronunzie orali e solenni; potevano essere:
- leges privatae = manifestazioni di volont di privati in ambito di certi negozi
- leges publicae = fonti del ius civile, erano disposizioni a carattere normativo e vincolante per tutti i
cittadini; la loro efficacia derivava dal loro collegamento con la volont popolare. Esse potevano
essere datae oppure rogatae. Le leges publicae datae presupponevano che il popolo avesse
delegato ad un magistrato di legiferare: erano pronunciate dinnanzi al popolo dal magistrato
delegato, e acquistavano efficacia immediata. Una lex data era per esempio la legge delle XII
Tavole, emanata nel 450-451 a.C. dai decemviri (magistrati straordinari appositamente eletti) per le
prime dieci tavole e dai consoli Valerio e Orazio per le ultime due; le vicende di formazione di tale
legge vanno inquadrate nelle lotte tra patrizi e plebei dei primi tempi della repubblica. Scritta in latino
arcaico, la legge delle XII Tavole ebbe un carattere integrativo (di conferma) rispetto ai mores ma
venne considerata con venerazione. Le leges publicae rogatae invece venivano soltanto proposte
dal magistrato, il quale interrogava il popolo appositamente convocato e riunito in assemblea, che
avrebbe potuto approvare o respingere. In caso di approvazione, la proposta diveniva lex. In quanto
le assemblee erano composte da patrizi e plebei, le leges rogatae erano vincolanti per entrambi. Alle
leges publicae si possono accostare le pi antiche leges regiae, in materia religioso-sacrale, di
diritto criminale, organizzazione della famiglia, condizione delle persone, disciplina dei funerali;
furono approvate dai comizi curiati su proposta del rex o su emanazioni da lui semplicemente
comunicate al popolo, talvolta confermative di mores.
plebisciti votati soltanto dalla plebe, obbligavano dapprima i soli plebei. Con la lex Hortensia, si
equipararono i plebisciti alla leges rendendoli obbligatori per tutti. Da allora in diritto privato si fece
ricorso prevalentemente ad essi
editti dei magistrati;
senatoconsulti una delle funzioni del Senato romano era il consilium. I relativi senatusconsulta
divennero all'occorrenza vere e proprie direttive vincolanti per i magistrati cui erano rivolte. Questa
prassi non riguard dapprima il diritto privato, ma a partire dal I secolo d.C., furono emanati
senatoconsulti in ambito privatistico che diventarono atti precettivi rivolti ai cittadini. Essi furono
presto classificati tra le fonti del diritto, con lo stesso valore delle leges, e quindi come fonti del ius
civile; il ius civile che ne scaturiva fu detto ius novum, in contrapposizione al ius civile antico (ius
vetus) rispetto a cui i senatoconsulti introdussero novit. L'attivit legislativa del Senato durante il
principato prese il posto di quella delle assemblee popolari. Spesso la proposta di senatoconsulto al
Senato veniva fatta dall'imperatore o da un suo legato, mediante oratio, e non accadeva mai che il
Senato negasse l'approvazione: il senatoconsulto che ne derivava era espressione della volont del
principe, solo formalmente emanazione del Senato. L'attivit legislativa del Senato si and
estinguendo durante l'et classica e venne meno a met del III secolo
constitutiones principum provvedimenti imperiali, ora a contenuto normativo generale, ora relativi
a concreti casi giuridici particolari, che gli imperatori emanarono dai primi tempi del principato; essi
ebbero valore vincolante per tutti gli abitanti dell'impero. Il giureconsulto Gaio le classific tra le fonti
del diritto con lo stesso valore delle leges, e Papiniano le incluse tra le fonti del ius civile. Le
costituzioni imperiali a carattere generale erano edicta e mandata, quelle a carattere particolare
erano decreta, rescripta ed epistulae:
- edicta = atti atti normativi indirizzati a tutti gli abitanti dell'impero, con efficacia duratura (diversi da
quelli dei magistrati repubblicani di durata annua)
- mandata = istruzioni che l'imperatore rivolgeva ai propri alti funzionari
- decreta = sentenze che l'imperatore emanava giudicando extra ordinem, su istanza degli
interessati, in ordine a liti in corso (in grado di appello o primo grado)
- rescripta = sentenze dell'imperatore (come i decreta) che si avevano se era una sola delle due parti
in lite a rivolgersi all'imperatore, il quale faceva annotare la risposta in calce all'istanza;
- epistulae = risposta dell'imperatore alla richiesta di un parere su una lite da parte di magistrati o
altri funzionari imperiali, ai quali la lite era stata deferita.
Generalmente l'imperatore, nell'emettere rescritti e decreti, si atteneva al diritto vigente; a volte per,
per ragioni di equit, adeguamento a nuove condizioni o ragioni di politica legislativa, se ne
discostava. Sebbene decreti e rescritti riguardassero particolari casi concreti e avessero efficacia
limitata, per l'autorit dell'imperatore che li emanava il principio in essi contenuto veniva applicato
ogni qual volta si prospettavano fattispecie uguali a quelle su cui il principe si era pronunciato. Il ius
che ne scaturiva era considerato ius civile, ma i suoi nuovi principi, la singolarit della sua
formazione, l'auctoritas dell'imperatore e il fatto che pi volte questo ius operava nell'ambito di un
processo non ordinario (cognitio extra ordinem) fecero s che apparve un complesso a s, detto ius
novum o ius extraordinarium. In quest'ultima denominazione si fa riferimento alla cognitio extra
ordinem, dove questo ius trovava frequenti applicazioni. Con l'esaurirsi dell'attivit legislativa dei
comizi e dell'impulso creativo del pretore, l'intervento legislativo dell'imperatore rimase l'unica fonte
viva di diritto in et classica.
cognitio extra ordinem anche questa prassi giudiziaria una fonte del diritto romano di et
classica, in quanto tramite essa si formarono regole e istituti nuovi, di natura processuale o
sostanziale (anche quando a intervenire non era direttamente l'imperatore, ma suoi delegati)
giurisprudenza la scienza del diritto viene considerata come fonte di produzione; si parla di
interpretatio prudentium, cio dei (iuris) prudentes, esperti del diritto, detti anche iuris consulti. E'
strano trovarla tra le fonti del diritto oggettivo, siccome oggi per noi il giurista un privato che non
emana norme giuridiche ma le interpreta offrendo la sua opinione, mai vincolante. Diversamente a
Roma, dove i primi giuristi furono i pontefici, una casta che in et arcaica ebbe il monopolio di
conoscenza e interpretazione del diritto (si chiedevano ai pontefici consulti sul significato dello ius).
L'interpretazione pontificale dello ius rimase aderente al precetto o all'atto negoziale considerati, ma
essi tuttavia accrebbero il ius civile e ne consolidarono le strutture, dando un'interpretazione creativa
di mores e leges e ricavando nuovi istituti da altri gi esistenti. Sul finire dell'et arcaica furono
ammessi i plebei al pontificato, e il primo pontefice plebeo cominci a discutere in pubblico le ragioni
dei responsi; inoltre furono divulgati i formulari di leges actiones e di negozi, dunque si spezz il
monopolio pontificale del diritto. La giurisprudenza laica cominci a operare dapprima con funzione
consultiva come i pontefici, poi con l'aggiunta di insegnamento e composizione di opere giuridiche.
Anche i giuristi laici, come gi i pontefici, davano gratuitamente pareri (responsa), talmente
considerati che i giudici vi si attenevano quasi sempre. Il prestigio della classe dei giureconsulti
andr crescendo tanto che Augusto confer loro il ius respondendi ex auctoritate principis, cosicch il
responso avesse auctoritas come se lo stesso principe avesse risolto la questione. I giuristi svolsero
anche attivit consultiva (anche per l'imperatore) e attivit letteraria; le opere pi significative furono
i manuali elementari con funzioni didattiche (Institutiones). I primi tempi dell'et classica videro
l'antagonismo, senza chiare ragioni di fondo, di due sectae di giuristi, sabiniani e proculiani a
sanare il dissidio fu Salvio Giuliano, un sabiniano autori di Digesta in 90 libri.
La giurisprudenza laica successiva ai pontefici inizi un'interpretazione del ius che tenesse conto
della ratio e della potenzialit delle norme (non solo della lettera); essa pervenne ad intenderne la
portata in senso a volte pi stretto, a volte pi ampio di quello che alla lettera la norma faceva
pensare. Venne spesso applicata l'interpretazione analogica, che comportava l'applicazione di una
norma a fattispecie diversa ma simile rispetto a quella della norma stessa contemplata. I maggiori
giuristi romani preclassici e classici svolsero anche un'interpretazione creativa, diversa per rispetto
a quella pontificale: essi ebbero l'autorit di affermare che valessero come ius nuovi dei principi
giuridici non ancorati allo ius precedente, come il riconoscimento di effetti civili ai rapporti di buona
fede e conseguente recepimento nello ius civile di criteri e principi sino ad allora estranei allo stesso.
La giurisprudenza classica afferm inoltre l'equiparazione alle leges di senatoconsulti, costituzioni
imperiali e consuetudine.
Le fonti di cognizione
Si intende fonte di cognizione ogni materiale che fa conoscere il diritto oggettivo quale fu, ossia che
consente di conoscerne forme e contenuti. La principale fonte di questo tipo il Corpus iuris civilis, la
monumentale compilazione di giurisprudenza (iura) e costituzioni imperiali (leges) compiuta su iniziativa di
Giustiniano nel VI sec. d.C. e poi completata dallo stesso imperatore con le leges emanate dopo il 534. Tale
opera era formata da 4 parti distinte:
1. Institutiones: 4 libri, parte pi breve e semplice; sono scritte in forma di discorso diretto tenuto
dall'imperatore ai giovani che si avviano agli studi giuridici, quindi con funzione didattica oltre che
forza di legge. Ricalcano il sistema delle Istituzioni di Gaio, attingendone anche per il contenuto
2. Digesta: 50 libri, parte pi estesa e di maggior pregio; una grande antologia giuridica con brani
tratti da opere di giuristi classici, organizzati per materia, che ebbero peraltro forza di legge. I brani
dei giuristi classici utilizzati furono modificati, a volte solo per la forma e altre anche per la sostanza,
in modo da adeguare il brano allo stato del diritto vigente al tempo di Giustiniano
3. Codex: compilazione che raccoglie le costituzioni imperiali; l'opera fu ordinata subito sopo l'ascesa
al trono di Giustiniano, ma fu completata solo in seguito. Visto che egli aveva emanato altre
costituzioni di diritto privato durante la compilazione dei Digesta, ordin in seguito un altro Codex
che le comprendesse, ossia il Codex repetitae praelectionis diviso in dodici libri, a loro volta divisi
in titoli (con rubrica) all'interno dei quali le costituzioni si susseguono in ordine cronologico
4. Novellae: costituzioni emanate dopo quest'ultimo Codex da Giustiniano e raccolte dopo la sua
morte.
CAPITOLO II IL PROCESSO
Processo privato e diritto sostanziale
Il processo privato quello che ci riguarda, espressione con cui intendiamo il complesso delle attivit volte
ad accertare e realizzare posizioni giuridiche soggettive attive alle quali d impulso il singolo, e nelle quali
interviene un organo pubblico. Al giorno d'oggi le norme processuali sono secondarie e strumentali rispetto a
quelle di diritto sostanziale; quest'ultimo consta di norme primarie che regolano direttamente i rapporti tra gli
uomini nella vita associata in esso hanno fondamento posizioni giuridiche soggettive attive, alla
realizzazione delle quali il processo volto. Colui che diviene titolare del diritto soggettivo ha tutela
giudiziaria, il che significa che avr il potere di promuovere un giudizio per far valere le proprie ragioni:
questo potere l'azione. Per diritto romano il rapporto tra diritto sostanziale e processo era diverso, anche
se questa idea dell'azione deriva dall'actio delle fonti romane; nelle fonti per si parla di actiones al plurale,
che erano tipiche. Il fenomeno della tipicit ricorrente nel diritto privato romano: ci significa che erano
'actiones' solo quelle riconosciute espressamente e singolarmente c'era un elenco di azioni, ognuna a
difesa di una diversa posizione giuridica attiva e ognuna con struttura propria. Una ragione era quindi
tutelabile solo in caso vi fosse un'actio apposita o un altro idoneo strumento processuale, prospettiva
rovesciata rispetto a oggi: oggi l'azione presuppone il diritto soggettivo, per diritto romano viceversa. Questa
prospettiva era pi marcata nel diritto onorario, e quindi nel processo formulare dove questo trovava
espressione: determinate posizioni giuridiche soggettive vi acquistavano rilievo giuridico nel momento in cui
il pretore proponeva nell'editto lo strumento giudiziario che le contemplava e tutelava, e quindi l'esistenza del
mezzo processuale consentiva la configurazione di una sottostante posizione giuridica soggettiva
riconosciuta e tutelata. In armonia con questo il fatto che i giuristi romani erano soliti porsi pi spesso dal
punto di vista del processo che da quello del diritto sostanziale, e quindi dell'actio rispetto al diritto
soggettivo: non casuale la preferenza dell'azione in personam per la tutela.
Nel corso dell'evoluzione romana si riscontrano pi tipi di processo: le legis actiones, il processo formulare,
le cognitiones extra ordinem, il processo postclassico e quello giustinianeo. Con riferimento ai primi due,
essendo la controversia decisa da un giudice privato, si parla di Ordo iudiciorum privatorum.
Le legis actiones
Esse erano le pi antiche, l'unico processo privato fruibile dai cittadini romani in et arcaica; se ne parla
come un tipo di processo, ma in realt si trattava di 5 diversi riti processuali tra loro diversi per origine, natura
e struttura, ma con certe comuni caratteristiche (come l'esigenza rigorosa di certa verba). Il nome legis
actiones ha due spiegazioni:
azioni istituite dalla legge, che consente di imbastire un processo nei vari casi: evidentemente il
processo arcaico impediva al pretore di inventare nuove actiones, quindi era necessario che a
monte di un litigio vi fosse una lex publica
azioni che ricalcavano le parole delle leggi, e quindi venivano conservate immutabili al pari delle
leggi stesse
Trattandosi di istituzioni del ius civile arcaico naturale che le legis actiones fossero accessibili ai soli cives,
motivo che giustifica l'esasperato formalismo. La ritualit era rigorosa, pena la nullit: occorreva pronunziare
le parole previste e anche compiere certi gesti comune era l'oralit, del tutto ignorata la scrittura. Con la
sola eccezione della legis actio per pignoris capionem, era richiesta per il compimento delle formalit la la
presenza sia di ambedue i litiganti, attore (actor) e convenuto (reus), sia di un magistrato con iuris dictio.
Doveva essere cura dell'attore assicurare la presenza dell'avversario, e proprio a tal fine soccorreva la in ius
vocatio, atto privato per cui una parte, mediante pronuncia di certa verba, imponeva all'altra di seguirla
dinanzi al magistrato il vocatus doveva obbedire, in caso contrario l'attore era autorizzato a usare la forza
per trascinarlo in giudizio. Dall'emanazione delle leges Liciniae Sextiae del 367 a.C., il magistrato con iuris
dictio che prendeva parte attiva divenne il pretore la iuris dictio si manifestava con la pronuncia di almeno
uno fra i verbi do, dico, addico, con cui il pretore autorizzava la prosecuzione del giudizio e mostrava di
ritenere legittimo il rito compiuto dalle parti, cosicch egli determinava il principio di diritto da valere per il
caso concreto (in questo senso egli ius dicebat).
Le legis actiones dichiarative (sacramenti, per iudicis arbitrive postulationem e per condictionem) avevano la
comune caratteristica strutturale del procedimento diviso in due fasi:
fase in iure aveva luogo dinanzi al magistrato e serviva a fissare i termini giuridici della lite, con
parole solenni. Poteva darsi l'esigenza di un rinvio riconosciuta e giustificata, caso in cui la parte che
aveva subito l'iniziativa avrebbe garantito, mediante intervento di appositi garanti detti vades, di
ricomparire in iure nel giorno stabilito. Alla fine di questa fase il pretore nominava un giudice
(iudicem dabat), mentre i contendenti compivano un atto solenne di invocazione di testimoni che
attestassero il rito compiuto = litis contestatio; proprio a questa molti credono si connettesse gi
nelle legis actiones il principio che vietava la ripetizione della lite.
fase apud iudicem si svolgeva dinnanzi al giudice che era stato nominato dal pretore. Era di
norma un privato cittadino che avrebbe rivestito il ruolo di iudex o arbiter (nel caso di controversie
che richiedessero competenze tecniche o capacit di valutazioni economiche per la decisione). Nelle
liti di libert e in quelle ereditarie giudicavano organi collegiali pubblici: decemviri stlitibus iudicandis
nelle prime e i centumviri nella seconde. In ogni caso il compito del giudice, unico o collegiale che
fosse, era quello di raccogliere le prove ed emanare la sentenza. In questa fase non c'era il
formalismo tipico delle legis actiones, e non era neanche necessaria la presenza di ambedue le
parti; tuttavia, secondo un precetto delle XII Tavole, in assenza di una parte, dopo il mezzogiorno del
giorno del giudizio il giudice dava ragione alla parte presente.
Le legis actiones erano 5: sacramenti, per iudicis arbitrive postulationem, per condictionem, per manus
iniectionem e per pignoris capionem. Le prima tre erano dichiarative (o di cognizione), cio volte
all'accertamento di situazioni giuridiche incerte o controverse; le ultime due erano esecutive, cio volte alla
realizzazione di situazioni giuridiche certe o ritenute tali dall'ordinamento giuridico. In caso di controversie o
incertezze, prima si esercitava l'azione dichiarativa in modo da rendere certa e non pi controvertibile la
situazione giuridica, poi si procedeva eventualmente con quella esecutiva.
Legis actio sacramenti
E' una delle pi antiche ma anche quella che sopravvisse pi a lungo e la legis actio dichiarativa di pi
larga applicazione. Nel suo ambito si poteva agire per ogni pretesa per cui non fosse prescritto l'utilizzo di
un'altra legis actio dalla legge. Poteva essere:
in rem: impiegata per il riconoscimento e la tutela di posizioni giuridiche soggettive assolute (del
tipo di quelle per cui pi tardi si agir con vindicationes). Era con essa che il proprietario perseguiva
la cosa che affermava appartenergli, che l'erede perseguiva l'eredit che diceva sua etc.
Emblematica l'applicazione nel caso di chi perseguiva una cosa propria (per cui pi tardi si
parler di rei vindicatio), quando si agiva cos presenti i due contendenti e la cosa controversa in
iure (davanti al magistrato), la parte che aveva preso l'iniziativa della lite con una bacchetta in mano
faceva atto di apprensione della cosa, affermando solennemente che essa gli apparteneva e
toccandola. L'altra parte compiva gli stessi gesti e pronunziava la stessa formula, cosicch alla
vindicatio dell'uno seguiva contravindicatio dell'altro. A questo punto il pretore interveniva ordinando
ai litiganti di deporre la cosa; questi obbedivano, e subito dopo si sfidavano reciprocamente al
sacramentum. Quest'ultimo, atto dapprima pregno di sacralit che comportava un solenne
giuramento, al tempo della narrazione gaiana era divenuto una scommessa di pagare all'erario, in
caso di soccombenza, 50 o 500 assi a seconda del valore della lite (inferiore a 1000 assi o da 1000
in su). Presentato il sacramentum, interveniva ancora il pretore emanando un provvedimento in
forza del quale assegnava il possesso interinale (provvisorio) della cosa alla parte che assicurasse
l'intervento di garanti pi idonei. Questi garanti erano detti praedes litis et vindiciarum, in quanto
garantivano che, una volta soccombente, la parte cui era stato affidato il possesso interinale
avrebbe restituito la cosa e i suoi frutti. Chiusa la fase in iure, il giudizio continuava apud iudicem.
Qui dove ciascuna parte cercava di dimostrare al giudice che la cosa controversa gli apparteneva:
l'onere della prova gravava su entrambe in quanto in iure avevano affermato entrambe
l'appartenenza a s della res; il giudice, raccolte le prove, dichiarava quale dei due sacramenta
fosse iustum (proprietario) e quale iniustum (soccombente). Il soccombente era costretto a pagare
all'erario l'importo del sacramentum e, nel caso in cui fosse il possessore provvisorio della cosa, a
cedere l'oggetto all'altra parte: se non lo restituiva, la parte vittoriosa poteva procedere contro i
praedes o addirittura attraverso l'autodifesa, anche con l'uso della forza
in personam: volta alla tutela di posizioni giuridiche soggettive relative, quindi si pu dire che con
essa si perseguivano i crediti. Il creditore insoddisfatto agiva contro il debitore chiedendogli, in iure,
di ammettere o di negare il proprio debito. Nel caso in cui il debitore-convenuto riconoscesse il
debito, si aveva confessio in iure, con conseguente interruzione del rito e potest del creditore di
procedere con la legis actio per manus iniectionem. Se il convenuto negava, le parti si sfidavano
reciprocamente al sacramentum e si procedeva come per la legis actio sacramenti in rem: se alla
fine era riconosciuto debitore il convenuto, l'attore procedeva alla legis actio per manus iniectionem.
Legis actio per manus iniectionem
Era esecutiva, molto remota nel tempo. Gaio dice che vi si ricorreva per la realizzazione di posizioni
giuridiche soggettive per le quali una legge vi avesse fatto espresso rinvio. Essa poteva innanzitutto essere
esperita per l'esecuzione di un giudicato, per espressa disposizione delle XII Tavole si parla in tal caso di
manus iniectio iudicati, aperta al creditore in favore del quale fosse stata emessa (a seguito di una legis actio
dichiarativa) sentenza che riconosceva l'avversario debitore di una somma di denaro. Si procedeva alla
manus iniectio solo se il debitore (iudicatus), dopo 30 giorni dalla sentenza (iudicatum), non avesse ancora
pagato. Al iudicatus era parificato il confessus, convenuto che in iure aveva ammesso il proprio debito.
A questa legis actio si procedeva talvolta anche senza iudicatum e confessio, in caso di situazioni
riconosciute a priori come certe si trattava di manus iniectio pro iudicato (es. quando lo sponsor prestava
garanzia e il debitore garantito non gli rimborsava entro 6 mesi il relativo importo) oppure di manus iniectio
pura (l'erede pot agire direttamente con manus iniectio quando il legatario avesse percepito dall'eredit pi
di 1000 assi a titolo di legato). Il procedimento in questi casi si svolgeva dinanzi al magistrato, presenti
creditore e debitore, di cui solo il primo aveva ruolo attivo. Questi, rivolgendosi all'avversario, enunciava
mediante certa verba la causa del credito che pretendeva spettargli, ne indicava l'importo e dichiarava di
manum inicere; contemporaneamente afferrava il preteso debitore. Quest'ultimo poteva indicare un vindex, il
cui intervento lo avrebbe sottratto alla manus iniectio; il vindex poteva negare il debito contestando il diritto
dell'attore di procedere a manus iniectio in questo modo si istituiva una legis actio dichiarativa nella quale
il vindex, se soccombente, veniva condannato al doppio dell'importo del debito. Se nessun vindex
interveniva il pretore pronunciava l'addictio in favore del creditore, cosicch egli avrebbe potuto trascinare
con s l'addictus tenendolo in catene per 60 giorni. Durante questo il creditore avrebbe dovuto per condurre
l'addictus in tre mercati consecutivi e qui proclamare l'importo del debito, per offrire possibilit a chiunque di
riscattarlo: se nessuno si offriva di fare ci il creditore poteva venderlo come schiavo fuori Roma ma avrebbe
anche potuto ucciderlo.
Legis actio per pignoris capionem
Era esecutiva, pi recente ma comunque precedente alle XII Tavole. Era singolare in quanto non richiedeva
la presenza n del magistrato n dell'avversario, e poteva svolgersi anche nei giorni nefasti: alcuni giuristi
negarono che fosse una legis actio per questo motivo. Il creditore, pronunziando certa verba, prendeva
contestualmente possesso di cose appartenenti al debitore e le teneva in pegno; verosimilmente il debitore
poteva poi riscattare le cose pignorate. Le applicazioni di questa legis actio erano stabilite da mores o da
leges e riguardavano crediti di natura prevalentemente pubblica e sacrale.
Legis actio per iudicis arbitrive postulationem
Era dichiarativa, pi recente ma gi nota al tempo delle XII Tavole. Era esperibile per pretese per le quali la
legge avesse fatto espresso rinvio; certamente era esperibile per crediti nascenti da stipulatio e per la
divisione di eredit comuni. Nel primo caso il rito era simile, per la prima parte, alla legis actio sacramenti in
personam. In ogni caso comunque l'attore (nell'actio ex stipulatu) o le parti (nei giudizi divisori) dovevano
riferirsi alla causa dei diritti vantati e, rivolgendosi al pretore, chiedere con parole determinate la nomina di un
iudex (o di un arbiter nelle azioni divisorie), il quale si pronunziava direttamente in merito alla lite.
Legis actio per condictionem
E' la pi recente, introdotta per crediti con oggetto una somma determinata di denaro (certa pecunia); fu poi
estesa da una lex Calpurnia anche a crediti di cose determinate diverse dal denaro furono riconosciuti
cosi anche i crediti da mutuo, pagamento di indebito etc.
Sul procedimento sappiamo poco: in iure l'attore, senza precisarne la causa, affermava un proprio credito; la
necessit di adempiere del debitore era espressa in termini di oportere. Se il convenuto negava, l'attore lo
invitava a ripresentarsi dopo trenta giorni dinanzi al pretore per la nomina del giudice che avrebbe deciso la
controversia, e che si sarebbe poi pronunziato direttamente sul merito della lite il creditore avrebbe poi
proceduto con legis actio per manus iniectionem contro il convenuto in caso fosse stato giudicato debitore di
una somma determinata.
Il processo formulare
Il pretore ebbe un ruolo determinante nella genesi del processo formulare, che stato sostanzialmente di
creazione pretoria. Con l'intensificarsi delle relazioni commerciali tra Romani e stranieri e lo sviluppo della
societ romana si avvert l'esigenza di strutture processuali diverse dalle legis actiones, processo nel quale
trovavano tutela solo situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall'arcaico ius civile e riservate ai cives.
Su ci intervenne il pretore consentendo di litigare per formulas, dando luogo al processo formulare: esso
dapprima si realizzava solo in forza dei poteri del pretore e al di fuori del ius civile, quindi quindi che dinanzi
a lui si litigava sia per formulas che per legis actiones. Presto un solo pretore non bast, e fu istituita la figura
del pretore peregrino, con il compito di esercitare giurisdizione tra romani e stranieri o tra soli stranieri.
Intanto per le legis actiones si rivelavano sempre pi inadeguate al mutato contesto, insofferente
all'eccessivo rigorismo formale, e quindi furono gradatamente soppresse il nuovo processo le and
sostituendo, dunque gli furono attribuiti effetti anche per il ius civile e divenne infine il nuovo processo privato
ordinario. Il processo formulare, a differenza delle legis actiones, aveva carattere unitario = si trattava di un
solo procedimento, che poteva essere impiegato per l'esercizio di varie actiones. Per ognuna di esse era
prevista una formula e, pur essendo azioni tipiche, erano in numero cos alto da consentire la tutela di
pretese diverse per origini, natura e fondamento (dato il carattere non rigido di questo processo).
Il procedimento era diviso in due fasi, in iure e apud iudicem (ognuna con funzioni analoghe a prima); in
questo caso per le parti potevano esprimere le loro ragioni liberamente anche in iure, non c'era pi il
formalismo delle legis actiones; le formulae erano redatte per iscritto e il ruolo del magistrato era pi attivo
1. in ius vocatio vi si provvedeva per assicurare la presenza in iure dell'avversario; essa restava un
atto privato compiuto dall'attore, senza partecipazione di organo pubblico, con cui egli invitava l'altra
parte a seguirlo dinanzi al magistrato. Per non si richiese pi solennit orale e l'attore avrebbe
dovuto precisare l'azione che intendeva promuovere al convenuto. Inoltre, contro il vocatus che si
rifiutava di seguirlo in giudizio, l'attore non avrebbe potuto fare ricorso alla forza: era il pretore a
esercitare coazione indiretta avendo promesso nel suo editto missio in bona contro il vocatus che
non avesse seguito l'attore
2. vadimonium si affianc alla in ius vocatio da et preclassica. La denominazione rimanda ai
vades, che nelle legis actiones assicuravano la ricomparsa in giudizio della parte convenuta; nel
vadimonium era il convenuto che, mediante stipulatio, prometteva all'attore di comparire dinanzi al
magistrato nel giorno concordato sottraendosi all'obbligo di seguire immediatamente l'attore in iure.
3. fase in iure in questa fase venivano fissati i termini giuridici della lite, ed era necessaria la
presenza dell'attore e del convenuto. Il magistrato aveva iuris dictio, che comportava soprattutto la
datio actionis = con essa il magistrato, approvato il testo della formula concordata tra le parti,
concedeva l'azione richiesta; in tal modo dava il via libera a un altro procedimento cosicch la lite
potesse essere decisa con sentenza. I magistrati giusdicenti del processo formulare erano i due
pretori, l'edile curule e i governatori provinciali, tutti sulla base di un editto.
Dinanzi al pretore le parti manifestavano le proprie ragioni: l'attore indicava all'avversario la formula
dell'azione che intendeva promuovere riferendosi all'albo pretorio (il quale riproduceva l'editto, dove
erano contemplati i modelli delle diverse formule). Seguiva la postulatio actionis, rivolta al pretore,
mediante la quale l'attore chiedeva di provvedere con l'azione indicata e mostrava le proprie pretese.
Se il convenuto non le ammetteva, aveva luogo un dibattito informale nel quale le parti sostenevano
i propri punti di vista. Era possibile che la pretesa dell'attore apparisse infondata al pretore, quindi
sarebbe stato inutile procedere oltre; poteva per anche accadere che essa fosse fondata ma che
fosse iniquo perseguirla in questi casi il pretore denegava l'azione (denegatio actionis). La
pretesa attrice restava impregiudicata per effetto della denegatio actionis, che non era una sentenza
n ne produceva gli effetti; per in punto di fatto la pretesa attrice non poteva essere perseguita.
Pi spesso accadeva che il pretore desse l'azione (datio actionis); il presupposto per la datio actionis
era che le parti avessero accordato il testo della formula da adottare, con partecipazione e
approvazione del pretore. La formula era un breve documento scritto con indicato il nome del giudice
chiamato e giudicare, al quale si rivolgeva un invito di condannare o assolvere; in sostanza vi erano
sintetizzati i termini determinanti della controversia.
Il pretore (se d'accordo sulla formula) compiva dunque la datio actionis, ossia iudicium dabat = dava
la formula, quindi l'azione richiesta. L'attore ne recitava il contenuto = iudicium dictabat. Il convenuto
l'accettava = iudicium accipiebat. Questo insieme di atti (dare, dictare e accipere iudicium)
costituivano la litis contestatio. L'invocazione di testimoni tipica della litis contestatio delle legis
actiones sarebbe stata ora superflua in quanto era presente la formula. La litis contestatio era
presupposto indispensabile per una decisione giudiziale di merito alla controversia, e inoltre essa
era l'atto istitutivo del giudizio. Con essa i termini giuridici della lite restavano fissati definitivamente
come espressi nella formula, che non avrebbe pi potuto essere mutata; la litis contestatio aveva
effetti esclusori, o preclusivi = l'azione non poteva essere ripetuta se identiche risultavano essere
personae, petitum e causa petendi. Altro effetto della litis contestatio era quello conservativo: la
pretesa dell'attore veniva messa al sicuro, qualunque evento successivo non l'avrebbe pregiudicata.
Senza litis contestatio non sarebbe stata possibile alcuna sentenza; essa esigeva la partecipazione
anche del convenuto (che doveva accipere iudicium) senza la sua defensio il giudizio non aveva
luogo: egli per non poteva rifiutare impunemente di defendere, e nel caso in cui assumesse un
atteggiamento passivo di non collaborazione il pretore minacciava sanzioni diverse. Accadeva quindi
raramente che il mancato compimento della litis contestatio dipendesse dalla non volont del
convenuto. Con la litis contestatio si chiudeva la fase in iure.
4. fase apud iudicem aveva luogo dinanzi al giudice che avrebbe deciso la controversia. Il pretore
aveva non aveva la iudicatio (potere di decidere il merito della lite), la quale era compito del giudice.
Erano le parti che, in accordo col magistrato, sceglievano il giudice; il suo nome figurava poi in
apertura alla formula, con le parole Tizio sar giudice. Il giudice poteva essere una persona singola
(iudex unus) oppure un organo collegiale (es. recuperatores che giudicavano in processi di maggior
rilievo sociale). Per la scelta del giudice erano predisposte delle speciali liste, compilate secondo
criteri politici e aggiornate. Anche nel processo formulare non era necessaria la presenza di
entrambe le parti apud iudicem ma, in caso di assenza di una parte, trascorso il mezzogiorno del d
dell'udienza, il giudice decideva in favore della parte presente.
Se presenti ambedue le parti, il procedimento apud iudicem si svolgeva senza formalit: ciascuna
parte esponeva le proprie ragioni e adduceva le prove tentando di mostrare l'inconsistenza di quelle
avversarie (non c'erano regole sui mezzi di prova). Il giudice era rigorosamente vincolato ai termini
della formula, la quale lo invitava a condannare il convenuto verificate certe condizioni e ad
assolverlo se quelle condizioni non ricorrevano. Dato ci, e siccome a ogni azione corrispondeva
una formula, il titolare del diritto non avrebbe potuto ottenere giudiziariamente nulla pi dei termini
della formula. La fase apud iudicem si concludeva con la sentenza di condanna o di assoluzione del
convenuto; la sentenza era definitiva e non soggetta ad appello esso infatti richiedeva un organo
superiore rispetto a quello che l'aveva emessa, ma nel processo formulare mancava una struttura
gerarchica del genere (il giudice privato non aveva superiori gerarchici). La sentenza di condanna
era sempre espressa in denaro e dava luogo all'obligatio iudicati: l'attore vittorioso avrebbe potuto
procedere contro il soccombente che non vi si adeguava con l'actio iudicati.
Le parti ordinarie della formula
La formula era un documento scritto nella forma di un invito al giudice a condannare o assolvere; essa era
anche detta iudicium e vi erano sintetizzati i dati rilevanti della controversia. Era oggetto della litis contestatio
e vincolava il giudice. La formula era formata da pi partes:
1. iudicis nominatio = nomina del giudice
2. intentio = non poteva mancare, ed esprimeva la pretesa dell'attore (petitum); l'intentio caratterizzava
la formula consentendo di stabilire se fosse in rem o in personam oppure civile o pretoria e, quando
mancava la demonstratio, consentiva anche di stabilire il tipo di azione. L'intentio poteva essere
- certa, quando la pretesa attrice era determinata. In questo caso l'attore avrebbe potuto incorrere in
pluris petitio, cio nella domanda di qualcosa di pi, con l'effetto di perdere la lite e non poterla pi
ripetere. Nel caso invece di minoris petitio non c'erano problemi. Quando l'intentio certa era
espressa in denaro il giudice, verificati i termini della formula, condannava il convenuto alla somma
indicata (es. nella formula della condictio per perseguire crediti in denaro = actio certae creditae
pecuniae); nel caso in cui l'intentio certa non era espressa in denaro, la formula indicava al giudice i
criteri per stimare quanto preteso dall'attore per poter emettere poi condanna pecuniaria
- incerta, quando la pretesa attrice non era determinata. Se la formula era con demonstratio,
l'intentio era sempre incerta e indicava in generale tutto ci che il convenuto doveva dare/fare (il
giudice decideva pi liberamente). Il pericolo di pluris petitio non era prospettabile nel caso d'intentio
incerta poich con esse l'attore deduceva in giudizio quello che gli spettava senza specificarlo.
3. demonstratio = indicava la causa della pretesa dell'attore, i fatti che vi avevano dato vita; non tutte
le formule avevano una demonstratio, anzi alcune erano astratte (causa non espressa). Comunque
la demonstratio figurava in molte formule, era collocata prima dell'intentio e iniziava con quod
causale
4. condemnatio = parte della formula con la quale si invitava il giudice a condannare il convenuto in
caso di sussistenza delle condizioni indicate, e ad assolverlo in caso contrario. La condemnatio era
diversa dalla sentenza di condanna (chiamata per anch'essa condemnatio), alla quale era per
collegata poich quest'ultima era possibile in quanto erano stati conferiti al giudice i poteri relativi
dalla condemnatio della formula. La condemnatio doveva precisare l'oggetto della sentenza di
condanna, e la sentenza doveva essere espressa in denaro anche se la pretesa attrice fosse stata
di diversa natura questo perch l'eventuale procedimento esecutivo contro il convenuto
condannato presupponeva un debito espresso in una somma determinata di denaro.
La condemnatio delle formule con demonstratio e intentio incerta era espressa genericamente in
modo da attribuire al giudice ampia discrezionalit, in quanto avrebbe dovuto valutare l'interesse
dell'attore all'adempimento; invece nelle azioni penali era in un multiplo del pregiudizio subito
dall'attore. Talvolta, affinch la condanna pecuniaria non superasse certi limiti, era integrata da una
taxatio cosicch il convenuto soccombente non fosse condannato oltre una certa misura
5. adiudicatio = si trovava solo nelle formule delle azioni divisorie e dell'azione per il regolamento dei
confini, autorizzava il giudice ad 'aggiudicare' ai partecipanti alla comunione oppure ai confinanti
parti definite di quanto era oggetto della divisione o parti definite di terreno a confine; il termine
adiudicatio indicava sia la pars formulae precisata sia la relativa pronunzia del giudice, che aveva
efficacia costitutiva.
La formula poteva essere poi arricchita da altri elementi formulari:
praescriptio: non propriamente una parte delle formula in quanto scritta prima della iudicis
nominatio; essa era un rimedio che giovava all'attore, in forza del quale l'oggetto dell'azione (e quindi
l'effetto preclusivo della litis contestatio) venivano limitati a quanto egli volesse o potesse perseguire
in quel momento. Questo per evitare che, nelle formule con intentio incerta, si perseguisse una sola
parte di quanto dovuto senza poter pi ripetere l'azione per esigere il resto: nel caso di pagamento
rateale, se alla prima scadenza non pagata il creditore avesse agito contro il debitore, non avrebbe
poi pi potuto agire in caso di mancato pagamento delle successive scadenze
exceptio: era un rimedio a favore del convenuto, inserito nella formula a sua richiesta o nel suo
interesse (dopo l'intentio e prima della condemnatio). Sotto l'aspetto formale era una condizione
negativa della condanna, in quanto il giudice avrebbe potuto e dovuto condannare il convenuto solo
se le circostanze dedotte dall'exceptio non risultavano vere (es. nell'exceptio doli il giudice poteva
condannare il convenuto solo se l'attore non aveva avuto un comportamento doloso = condizione
negativa). La funzione dell'exceptio era analoga a quella della denegatio actionis, ma questa
impediva lo svolgimento del giudizio e il pretore vi giungeva quando in iure emergevano circostanze
per cui la pretesa dell'attore appariva contraria all'equit pretoria. Invece il pretore concedeva
l'exceptio quando le circostanze (es. il dolo) non erano manifeste e venivano contestate dall'attore,
s che andavano accertate: l'exceptio veniva incorporata nella formula, e, previa litis contestatio, il
giudizio continuava apud iudicem (era il giudice a verificare le circostanze dell'exceptio). Non ogni
difesa del convenuto era exceptio: se egli semplicemente negava la pretesa dell'attore, non
opponeva exceptio e quindi non sarebbe occorso modificare la formula; l'exceptio era invece
necessaria quando, senza di essa, il giudice non avrebbe potuto tenere conto di fatti che si voleva
considerare, dunque era quella difesa del convenuto del tipo vero ma... Vediamo ora la differenza
tra l'espressione ipso iure e l'espressione ope exceptionis. L'effetto ipso iure era un effetto
automatico, di ius civile, che escludeva l'intentio, di cui il giudice doveva tener conto anche se non si
menzionava nella formula (es. l'adempimento della prestazione estingueva un'obbligazione ipso iure,
quindi non era necessaria exceptio). Viceversa per far valere l'effetto ope exceptionis bisognava
opporre un'exceptio, altrimenti l'obbligazione non si estingueva e si veniva condannati. La tutela di
pretese solo tramite exceptio era imperfetta perch, essendo questo un mezzo processuale
opponibile dal convenuto, il soggetto tutelato con essa non avrebbe potuto giovarsene se non
convenuto. L'exceptio era un rimedio pretorio, in quanto escogitata dal pretore, e con la quale il
convenuto poteva opporre circostanze iure civili non rilevanti: era un mezzo di attuazione
dell'aequitas pretoria, volto a correggere il ius civile quando la sua applicazione appariva iniqua.
Come le actiones, anche le exceptiones erano tipiche, ma le possibili applicazioni erano moltissime
e il fatto di essere contemplate nell'editto costitu un correttivo alla tipicit.
Davanti all'exceptio del convenuto l'attore poteva anche opporre circostanze che, se verificate,
facevano apparire iniqua l'exceptio; dunque nella formula si inseriva una replicatio, secondo la quale
il giudice non avrebbe tenuto conto dell'exceptio
clausola arbitraria (restitutoria)
iudicia stricta: giudizi di stretto diritto, erano azioni civili in personam nelle quali il dovere giuridico di
adempiere da parte del debitore era espresso nell'intentio non con oportere ex fide bona ma con
oportere puro e semplice (es. condictio e actio ex stipulatu).
Azioni pretorie
Erano rimedi volti a colmare lacune del ius civile, in quanto tutelavano rapporti iure civili non tutelati o
reprimevano comportamenti iure civili non repressi; le azioni pretorie potevano essere utili, con
trasposizione di soggetti o in factum. Le prime due avevano un'intentio riferita al ius civile (intentio in ius
concepta), e servivano per estendere azioni civili a situazioni non contemplate iure civili. Invece nelle azioni
in factum mancavano riferimenti al ius civile, e nell'intentio (in factum concepta) si invitava il giudice a
condannare o assolvere a seconda che avessero luogo o meno certi eventi.
Le azioni utili avevano una azione civile di base che andavano ad estendere con modalit diverse, di cui la
pi comune era la fictio: le azioni utili in cui si operava con fictio erano dette ficticiae nella intentio il
giudice doveva giudicare sulla base di una finzione giuridica, come se esistesse un elemento o una
circostanza mancanti ma necessari secondo il ius civile per dar luogo a una situazione riconosciuta e
tutelata. Nelle azioni con trasposizione di soggetti, per dare modo al giudice di condannare il convenuto
nonostante il difetto nell'attore di legittimazione attiva (o del convenuto di quella passiva), si indicava
nell'intentio il nome del soggetto effettivamente legittimato e nella condemnatio il nome della parte che stava
in giudizio al posto del legittimato.
della litis contestatio che vietava di tornare ad agire una seconda volta sulla stessa cosa operava a volte ipso
iure in forza di exceptio: la lite non sarebbe stata ripetibile ipso iure se la precedente lite de eadem re fosse
stata un iudicium legitimum in ius e in personam. Dunque tutte le azioni non in personam erano di per s
ripetibili anche tra le stesse persone e per la stessa cosa; affinch il secondo giudice tenesse conto che c'era
gi stata una litis contestatio sulla stessa cosa, occorreva che il convenuto opponesse un'exceptio.
Azioni arbitrarie Sono azioni la cui formula conteneva una particolare clausola (restitutoria o arbitraria)
per cui il giudice, verificata l'intentio, prima di pronunziare la condanna avrebbe dovuto invitare il convenuto a
restituire, e condannarlo solo in caso non obbedisse. Questa clausola rappresentava un temperamento del
principio per cui la condanna doveva essere espressa in denaro: giovava infatti al convenuto (che poteva
evitare la condanna a una somma di denaro di cui non disponeva) e anche all'attore (che conseguiva
l'oggetto della pretesa). Se su invito del giudice il convenuto non restituiva, l'importo della condanna
pecuniaria era stabilito dall'attore sotto vincolo di giuramento: egli avrebbe probabilmente giurato un valore
superiore a quello di mercato, attribuendo alla res valore affettivo nelle azioni arbitrarie il convenuto in
genere restituiva. Avevano clausola restitutoria soltanto le azioni reali, per le quali l'esigenza dell'attore di
ottenere la res anzich l'aestimatio in denaro era pi sentita. Quando la clausola mancava, il giudice avrebbe
dovuto condannare il convenuto anche se questi, dopo la litis contestatio, avesse soddisfatto le pretese
dell'avversario. Nei iudicia bonae fidei, pure in difetto della clausola, si ammise che il giudice avrebbe dovuto
assolvere il convenuto se dopo la litis contestatio avesse adempiuto ogni suo obbligo, mentre nei iudicia
stricta fu mantenuta pi a lungo l'altra soluzione.
Azioni penali e azioni reipersecutorie
Al giorno d'oggi l'autore di un illecito incorre in responsabilit penale se il suo atto, reputato a priori lesivo
degli interessi della collettivit, viene qualificato reato dalla legge e quindi sanzionato con una pena
pecuniaria o detentiva: essa sempre irrogata ed eseguita da i pubblici poteri e se pecuniaria il relativo
importo va alle casse pubbliche. L'autore di un illecito che provoca ad altri danno ingiusto incorre in
responsabilit civile, materia di diritto privato. Nel diritto romano invece si riscontravano sia pene pubbliche
sia pene private, e queste ultime erano perseguite dal privato nel processo privato.
Le azioni penali erano in personam; con esse il privato, vittima di un illecito, perseguiva dall'autore
dell'illecito stesso una pena, che aveva funzione afflittiva e punitiva. La pena poteva essere pecuniaria o
corporale; nel processo formulare era sempre pecuniaria. Con le azioni reipersecutorie invece si
perseguiva la res, la funzione era risarcitoria. Nel processo formulare, essendo sia pena che condanna
pecuniarie, era difficile distinguere i due tipi di azioni: le azioni reali erano tutte reipersecutorie, quelle in
personam potevano essere sia penali che reipersecutorie. Erano sempre penali le azioni in cui la legge o
l'editto pretorio stabilivano pene fisse, cos come anche le azioni con condanna a un multiplo della cosa
sottratta. Dunque le azioni reipersecutorie erano al simplum. Le azioni penali nascevano sempre da un atto
illecito extracontrattuale, delictum o maleficium: dal primo potevano derivare anche le azioni reipersecutorie.
Per stabilire la natura dell'azione bisognava dunque fare riferimento al relativo regime giuridico: la funzione
poteva essere o punitiva o risarcitoria; le azioni penali erano passivamente intrasmissibili, cio esercitabili
solo contro l'autore dell'illecito e non contro gli eredi (poena personale), mentre il risarcimento riguardava il
patrimonio e quindi l'azione reipersecutoria era passivamente trasmissibile. Le reipersecutorie non si
cumulavano (l'interessato esigeva una volta sola il risarcimento per l'intero), mentre le penali si cumulavano
contro pi responsabili e l'azione poteva essere esercitata per l'intero contro ciascuno (l'azione contro uno
non precludeva quella contro gli altri): ognuno doveva pagare l'intera pena perch tutti andavano puniti e non
avrebbe avuto senso frazionarla. Si potevano inoltre cumulare azione penale con azione reipersecutoria: il
risarcimento poteva essere preteso anche dopo aver punito e viceversa. Le azioni penali potevano essere
civili o pretorie; quelle pretorie non potevano essere esercitate oltre l'anno dalla commissione dell'illecito.
Solo le azioni penali potevano essere esperite in via nossale e si esercitavano per gli illeciti commessi da
soggetti a potest (schiavi e filii familias); in questi casi l'azione penale era data come noxalis contro l'avente
potest il quale, se soccombente, doveva o pagare la pena prevista per l'illecito o dare a nossa il colpevole
soggetto alla sua potest. La noxae deditio si compiva con mancipatio, e proprio delle azioni nossali era il
principio per cui la responsabilit penale per i delitti seguiva la persona del colpevole.
La depenalizzazione del diritto privato: quanto pi si risale indietro nel tempo tanto pi rigido era il sistema
delle azioni penali (molte azioni reipersecutorie in et classica erano penali in et arcaica); con il principato
inizi un lento graduale processo di depenalizzazione e il regime giuridico delle azioni penali sub
temperamenti contro gli eredi del colpevole si stabil che fosse proponibile un'azione non penale nei limiti
dell'arricchimento che avevano avuto grazie all'illecito commesso dal loro dante causa; si ammisero deroghe
al principio del cumulo di azioni penali e reipersecutorie (alcune azioni penali divennero mixtae); le azioni
nossali furono limitate a illeciti commessi da schiavi. Con Giustiniano le azioni penali rimaste erano poche;
pian piano il diritto privato si liber di ogni idea di penalit, e il penale rest materia di diritto pubblico.
Azioni mixtae perseguivano sia res che poena. Dapprima erano solo penali corrispondenti a un multiplo
del pregiudizio subito dalla vittima; in seguito nella condemnatio si consider come risarcimento il simplum
patito dall'attore, come pena il resto.
Procedure esecutive
actio iudicati la fase apud iudicem del processo formulare si concludeva con condanna del
convenuto espressa in denaro, che dava luogo a obligatio iudicati. L'attore vittorioso dunque poteva
procedere con l'actio iudicati contro il soccombente che entro 30 giorni non avesse adempiuto;
l'azione era dichiarativa, in personam, di accertamento. Non era consentito al convenuto mettere in
discussione la condanna ricevuta, per egli poteva negare che esistessero i presupposti dell'actio
iudicati: poteva opporre che non vi era stata valida sentenza di condanna verso di lui, oppure di
avere adempiuto, oppure che i 30 giorni non erano ancora trascorsi. In tal caso di procedeva come
in ogni azione dichiarativa: formula, litis contestatio, fase apud iudicem e sentenza. L'atteggiamento
del convenuto che negava costituiva infitiatio e comportava la condanna al doppio in caso di
contestazione infondata, e poi il pretore procedeva all'esecuzione, che poteva essere:
- esecuzione personale contro il iudicatus ricalcata sulla legis actio per manus iniectionem con
temperamenti notevoli; il pretore pronunciava l'addictio del debitore in favore del creditore
autorizzandolo a condurlo nelle proprie carceri private e tenerlo in assoggettamento fino al riscatto;
- esecuzione patrimoniale culminava nella bonorum venditio. Si iniziava con la missio in bona
(missio in possessionem omnium bonorum), tramite cui il pretore immetteva il creditore nel possesso
di tutti i beni del debitore (funzione di conservazione e custodia). Intanto il pretore disponeva anche
la proscriptio, con cui dava notizia della procedura in corso a tutti gli altri eventuali creditori per
permettere loro di intervenire. Il debitore, trascorsi 30 giorni dalla proscriptio senza aver soddisfatto il
creditore, diventava infamis. A questo punto il pretore poteva nominare un curator bonorum per
gestire provvisoriamente il patrimonio del debitore; i creditori designavano invece un magister
bonorum che preparasse la vendita all'asta del patrimonio stesso. Dopodich si procedeva alla
bonorum venditio vinceva l'asta chi offriva di pagare la percentuale pi alta sui debiti. L'acquirente
(bonorum emptor) avrebbe pagato subito i debiti ai creditori, avrebbe potuto recuperare beni del
debitore che non erano in suo possesso e avrebbe potuto esigere eventuali crediti del debitore
stesso: il bonorum emptor subentrava dal lato passivo e dal lato attivo nella situazione giuridica del
debitore. La bonorum venditio era istituto estraneo al ius civile, quindi il bonorum emptor non
diventava proprietario iure civili dei beni del debitore, ma iure praetorio era considerato come
successore del debitore stesso il pretore infatti gli dava le azioni che spettavano al debitore,
adattandole al caso in due modi: o tramite fictio (con una formula in cui si invitava il giudice a
giudicare come se il bonorum emptor fosse erede del debitore), oppure attraverso una formula con
trasposizione dei soggetto detta actio Rutiliana (nell'intentio della formula c'era il nome del debitore,
mentre la condemnatio era in favore del bonorum emptor)
cessio bonorum e distractio bonorum si poteva arrivare a esecuzione personale/patrimoniale
anche in assenza di un giudicato, quindi in assenza di sentenza di condanna ed esercizio dell'actio
iudicati. Un caso era quello del convenuto che rifiutasse di se defendere nelle azioni in personam,
oppure il caso del vocatus in ius che non seguisse l'attore. In visto di una lex Iulia si concesse al
debitore insolvente perch sfortunato (insolvenza non imputabile sotto l'aspetto morale) la cessio
bonorum = cessione volontaria di tutto il patrimonio ai creditori, che comportava bonorum venditio
ma non infamia n proscriptio n esecuzione personale. Queste ultime si risparmiarono anche a
taluni incapaci (pupilli senza tutore, furiosi e prodigi senza curatore) in virt di una clausola edittale: il
pretore nominava il curator bonorum, che provvedeva a vendere singoli cespiti patrimoniali ereditari
per soddisfare i creditori con il ricavato = distractio bonorum ex edicto.
Rimedi pretori (oltre a denegatio actionis, exceptio, azioni pretorie e bonorum possessio)
interdicta: ordini magistratuali tipici che vietavano certi comportamenti e che erano impiegati nelle
liti private al tempo delle legis actiones. Col processo formulare, gli interdicta iniziarono anche a
ordinare di fare qualcosa, da cui la distinzione in interdicta prohibitoria (vietavano), restitutoria
(ordinavano di restituire) ed exhibitoria (ordinavano di esibire). Erano emessi su domanda di un
privato contro un altro privato, presenti entrambe le parti: il pretore esaminava le ragioni degli
interessati e emanava un interdetto che faceva riferimento ai presupposti che lo giustificavano. Se
l'intimato riconosceva questi presupposti, avrebbe subito obbedito all'ordine del magistrato
concludendo il processo; se l'intimato li avesse negati, iniziava un procedimento per verificare se tali
condizioni effettivamente sussistessero se l'esito era contrario all'intimato si davano all'attore
strumenti processuali idonei alla realizzazione dell'interdictum contro di lui. Il procedimento previsto
per l'accertamento dei presupposti dell'interdictum era complesso: spesso si agiva cum periculo,
cio si imponeva all'intimato di prestare una sponsio in iure con cui promettere il pagamento di una
penale nel caso in cui i presupposti fossero verificati, sponsio alla quale l'attore rispondeva
promettendo con restipulatio una poena per l'ipotesi inversa. Quando gli interdetti erano restitutori o
esibitori si poteva agire sine periculo purch l'intimato chiedesse la nomina di un arbiter e una
formula arbitraria, cosicch nessuna delle parti avrebbe corso il rischio di una penale ed egli avrebbe
potuto, in caso di perdita della lite, evitare la condanna pecuniaria dell'azione arbitraria restituendo;
in integrum restitutio: classificata tra i rimedi pretori corrigendi iuris civilis gratia. Il pretore vi
ricorreva per ripristinare la situazione giuridica prima dell'evento o dell'atto del quale egli voleva
rimuovere gli effetti giuridici, per motivi di equit. Il pretore non poteva annullare gli effetti giuridici
prodotti iure civili, ma poteva neutralizzarli concedendo agli interessati i mezzi giudiziari adatti, come
l'actio ficticia. A volte il pretore emanava preliminarmente un decretum, il iudicium rescindens, in cui
si affermava l'esigenza di reintegrare la precedente situazione giuridica, talch il pretore concedeva
al postulante l'actio ficticia, cosiddetto iudicium rescissorium, se l'avversario non si adeguava
spontaneamente
cautiones o stipulationes praetoriae: espedienti pretori supplendi iuris civilis gratia, a cui si
ricorreva quando mancava un obbligo giuridicamente sanzionato al compimento di una prestazione,
ma che il pretore riteneva equo che tale obbligo vi fosse. Su istanza dell'interessato, il pretore
imponeva alla parte contro cui era stata avanzata l'istanza di obbligarsi con stipulatio, con cui
promettere all'avversario la prestazione del caso: in tal modo nasceva tra le parti una obligatio iuris
civilis, sanzionata da un'azione civile (come da ogni stipulatio). L'obbligo mancante sarebbe cos
scaturito da un contratto riconosciuto iure civili; si parla anche di stipulationes praetoriae in quanto il
pretore esercitava coazione perch il convenuto prestasse stipulatio si trattava di coazione
indiretta, o denegatio actionis oppure missio in possessionem
missiones in possessionem: disposte dal pretore con decretum, su postulatio (istanza)
dell'interessato e previa cognitio pretoria per l'accertamento dei presupposti. L'istante grazie alla
missio poteva immettersi in possessionem di un singolo bene o di un patrimonio, ma solitamente il
missus acquistava la semplice detenzione; le missiones in possessionem si davano nelle sole
ipotesi previste dall'editto e la funzione era diversa a seconda del tipo: ora di custodia e
conservazione, ora di pressione al compimento di un atto giuridico o all'assunzione di un
comportamento o entrambi.
sentenza potesse imporne l'esecuzione forzosa, evitando all'attore l'onere di una procedura esecutiva
separata. Se la sentenza era di condanna pecuniaria invece si dava luogo alla procedura esecutiva, previa
actio iudicati: il giudice extra ordinem poteva evitare esecuzione personale e bonorum venditio disponendo il
pignoramento e la vendita di singoli beni del soccombente in misura sufficiente a soddisfare le ragioni
dell'altra parte.
compiuto violando un precetto giuridico, ma non sempre per la violazione comportava la nullit; in proposito
consideriamo la classificazione delle leges in:
a) leges perfectae = stabilivano un divieto e insieme la nullit dell'atto compiuto nonostante il divieto
b) leges minus quam perfectae = stabilivano un divieto e una sanzione contro i trasgressori, senza sancire al
contempo la nullit dell'atto compiuto in difformit
c) leges imperfectae = stabilivano un divieto senza nullit n sanzioni
Soggetti: ogni negozio giuridico doveva essere compiuto tra soggetti con capacit di agire e legittimati a
compiere il negozio. Per legittimazione si intende l'idoneit a porre in essere un negozio in relazione agli
effetti che destinato a produrre; se i soggetti non erano legittimati, il negozio era invalido (nullo iure civili).
Classificazioni
formali = la volont deve essere manifestata in forma determinata, pena la nullit
causali (la causa, elemento costitutivo e essenziale, ne determina la struttura) o astratti (la causa
non emerge dalla struttura del negozio, gli effetti si producono indipendentemente da essa)
unilaterali (volont manifestata da una sola parte), bilaterali (volont manifestata da due parti),
plurilaterali (volont manifestata da tre o pi parti)
a titolo oneroso (almeno bilaterali, ciascuna parte consegue un vantaggio dietro corrispettivo: es.
compravendita) o a titolo gratuito (una parte consegue un vantaggio senza corrispettivo, es.
deposito, atti di liberalit)
inter vivos (destinati a produrre effetti in vita dei soggetti) o mortis causa (destinati a produrre
effetti dopo la morte del loro autore)
a effetti reali (idonei al trasferimento della propriet o alla costituzione/estinzione di diritti reali
limitati, es. mancipatio, in iure cessio, traditio) o a effetti obbligatori (idonei a nascita o estinzione di
obbligazioni, es. contratti)
dispositivi = atti di disposizione in forza dei quali taluno aliena, estingue o comprime un proprio
diritto (sono tutti quelli con effetti reali, ma ce ne sono anche altri)
fiduciari = atti che eccedono negli effetti lo scopo che si intende raggiungere, il quale si realizzer
grazie all'attuazione di un'intesa stretta tra le parti
I negozi formali
Ogni negozio giuridico comporta manifestazione di volont; a volte si riconoscono effetti giuridici alla volont
comunque manifestata, altre volte si esige l'impiego di forme determinate per la manifestazione. In
quest'ultimo caso di parla di negozi formali carattere peculiare del diritto arcaico era il formalismo, perch
gli atti giudiziari e i negozi di ius civile antico erano formali e solenni. Le formalit erano orali, essendo
richiesto l'uso di parole stabilite (certa verba) e talvolta anche il compimento di gesti predeterminati: la forma
era imposta, e le parti avrebbero solo dovuto includere i dati del negozio concreto in uno schema
determinato. Il non rispetto delle forme comportava la nullit dell'atto.
La mancipatio
Essa ha fondamento nei mores maiorum, e fu confermata dalla legge delle XII Tavole; era un negozio del ius
Quiritium, quindi del ius civile, quindi fruibile solo da cittadini romani. Essa era uno dei gesta per aes et
libram, atti che si compivano con rame/bronzo e bilancia, ed erano caratterizzati: dal fatto che una parte
conseguiva vantaggio dietro pronunzia di certa verba, dall'impiego di bilancia (libra) e metallo che veniva
pesato, e dalla presenza di almeno cinque testimoni cittadini romani puberi e del libripens (che reggeva la
bilancia e provvedeva alla pesatura). Il nome mancipatio viene da mancipium, da manu capere. Le parti
erano il mancipio dans (mancipante) e il mancipio accipiens. La mancipatio comportava l'acquisto di un
potere su persone o cose in favore dell'accipiens e la perdita sulle stesse da parte del mancipio dans. Era
impiegata per il trasferimento della propriet delle res mancipi la propriet era una posizione giuridica
soggettiva espressa dapprima come appartenenza, poi come dominium ex iure Quiritium. La mancipatio era
usata anche per la costituzione di servit rustiche, l'acquisto della manus sulla donna, del mancipium sui filii
familias altrui e, con adattamenti, anche per il testamento.
Esemplare l'impiego per l'acquisto della propriet su fondi in suolo italico, schiavi, animali da tiro e da
soma (res mancipi) se il caso era quello di uno schiavo, si procedeva cos: presenti il mancipio dans, lo
schiavo, cinque testimoni e il libripens, il mancipio accipiens prendeva lo schiavo e dichiarava che era suo
secondo il diritto dei Quiriti e che fosse a lui acquistato in forza del metallo e della bilancia; in seguito poneva
il metallo sulla bilancia, che il libripens provvedeva a pesare e che l'accipiens consegnava subito dopo al
dans (in et pi antica metallo grezzo, poi lingotti con marchio pubblico). Per effetto della mancipatio
l'accipiens acquistava la propriet sul servo. Per quanto riguarda il trasferimento del possesso, bisogna
distinguere tra beni mobili e immobili la mancipatio di beni mobili trasferiva al contempo propriet e
possesso (perch l'oggetto era presente). Per quanto riguarda gli immobili (es. fondi), dapprima la
mancipatio trasferiva anche il possesso purch si compisse sul fondo stesso, cosicch l'accipiens potesse
compiere il gesto della presa di possesso; da un certo punto per non fu pi necessario recarsi sul luogo,
quindi la mancipatio in tal caso non trasferiva anche il possesso occorreva per esso che il mancipio dans
ne facesse ulteriormente traditio (consegna). Questo rito appare dunque essere un atto in cui si realizza uno
scambio immediato di cosa contro un corrispettivo in metallo, quindi di cosa contro prezzo (vendita). Quindi
la funzione originaria della mancipatio era quella della vendita.
Una volta introdotta la moneta coniata la pesatura assunse valore simbolico e il mancipio accipiens, anzich
deporre il metallo sulla bilancia, la percuoteva con un raudusculum (pezzo di metallo), che poi veniva
consegnato al mancipio dans in sostituzione al metallo pesato. Col riconoscimento del contratto di
compravendita con effetti obbligatori, la mancipatio perdette la funzione di vendita (pur mantenendo la sua
struttura) e fu definita imaginaria venditio = atto che aveva solo l'apparenza della vendita. La mancipatio
comunque mantenne i suoi effetti reali di trasferimento della propriet. La vendita era un altro negozio a s
che aveva solo effetti obbligatori, ma quando essa aveva ad oggetto res mancipi era necessario che il
venditore facesse anche mancipatio per trasferire il possesso (mancipatio venditionis causa). La mancipatio
per, diventata ormai negozio astratto, poteva anche essere compiuta per cause diverse dalla vendita
(donazione, dote etc.). Inoltre, nella mancipatio il mancipio accipiens affermava un'appartenenza attuale
della cosa, per era consapevole che in realt la cosa non era ancora sua e lo sarebbe diventata solo alla
fine del rito: era quindi chi acquistava ad affermare un proprio potere sulla cosa e ad adottare i
comportamenti conseguenziali. Il mancipio dans doveva essere presente, ma taceva anche se il negozio
giuridico era bilaterale (espressione di un accordo di volont). Il formulario della mancipatio poteva essere
integrato da leges privatae, che potevano essere leges mancipii o leges mancipio dictae = manifestazioni di
volont espresse oralmente dal mancipio dans, talvolta anche dall'accipiens, secondo schemi e termini
prestabiliti (certa verba) volte a limitare o integrare gli effetti tipici del negozio. La mancipatio sopravvisse e
venne applicata sino a tutta l'et classica; durante il Basso Impero essa era in netta decadenza, e poi
scomparve del tutto con Giustiniano (non pi distinzione tra res mancipi e nec mancipi).
La in iure cessio
Negozio formale e solenne, di origine pi recente della mancipatio ma precedente XII Tavole. Essa era di ius
civile (solo cives), caratterizzata dall'impiego di schemi e strutture processuali che ricalcavano il rito della
legis actio sacramenti in rem. Essa veniva impiegata per il trasferimento della propriet su res mancipi e nec
mancipi, per la costituzione e la rinunzia di servit prediali e usufrutto, per l'acquisto della patria potestas
nell'adoptio, per la cessione della tutela mulieris e (a determinate condizioni) dell'eredit. Si compiva in iure,
dinanzi a un magistrato con iuris dictio (pretore): quando l'atto aveva oggetto lo schiavo sul quale il cedente
intendeva trasferire al cessionario la propriet, presenti sia le parti sia lo schiavo, il cessionario teneva lo
schiavo e pronunciava la formula vindicatoria (dico che quest'uomo mio ex iure Quiritium). Il pretore
interrogava il cedente se volesse contravindicare e, di fronte a suo diniego o silenzio, pronunciava l'addictio
del servo in favore del cessionario.
La in iure cessio appare essere stata un finto processo agli inizi era un espediente per perseguire effetti
per i quali il ius civile non prevedeva un negozio; non tanto quindi per il trasferimento della propriet, per la
quale la mancipatio e la traditio risultavano pi comode, ma per altre applicazioni. Se per la forma appare un
finto processo, nella sostanza era un vero negozio giuridico bilaterale, dal quale erano per esclusi servi e
filii familias per la forma dell'atto. Come la mancipatio pi recente, anche essa era un negozio astratto, da cui
cio non emergeva alcuna causa (vendita, donazione, dote, etc.), e aveva effetti reali: se impiegata per il
trasferimento della propriet, con essa si trasmetteva necessariamente anche il possesso solo quando si
trattava di cose mobili. In et postclassica non vi si fece pi ricorso e fu eliminato ogni riferimento nel Digesto
e nelle costituzioni imperiali del Codice giustinianeo.
La stipulatio: cenni
Negozio formale, bilaterale (contratto) con effetti obbligatori. Le parti erano lo stipulante (stipulator) e il
promittente (promissor); si compiva in forza di un'interrogazione, con la quale lo stipulante chiedeva al
promittente se intendeva assumere l'impegno a tenere un determinato comportamento, e di una risposta
congrua del promittente, il quale si limitava a pronunziare in prima persona il verbo gi impiegato in seconda
persona dallo stipulante. Nasceva cos a carico del promittente, divenuto debitore, e a favore dello
stipulante, divenuto creditore, un'obbligazione sanzionata iure civili (actio ex stipulatu) con oggetto la
prestazione promessa. Il tipo pi antico di stipulatio fu la sponsio, riservata solo ai cives e caratterizzata
dall'impiego del verbo spondere. La stipulatio fu tra i negozi di pi largo impiego del diritto romano; era un
negozio astratto, si poteva impiegare per le cause pi diverse in cui l'effetto voluto era quello di rendere
taluno obbligato a una prestazione (variet dei comportamenti promessi: pagamento somma, trasferimento
propriet etc.)
compimento delle formalit era necessario e sufficiente per la validit dell'atto: se effettuate, il negozio era
valido e produceva effetti. Questo principio fu superato per la stipulatio, per la quale si stabil che l'accordo
tra le parti non potesse mancare, pena la nullit.
Ipotesi di divergenza tra volont e manifestazione:
dichiarazioni ioci causa o demonstrandi causa = dichiarazioni fatte per scherzo/nel contesto di
una rappresentazione teatrale oppure a scopo di ammaestramento. Non potevano essere prese sul
serio e non si collegarono mai ad esse effetti giuridici
riserva mentale = qualcuno consapevolmente dichiara ci che non vuole; il negozio valido
simulazione = la divergenza consapevole, ma la consapevolezza di non volere quanto si dichiara
comune alle parti del negozio, e l'intento di non volere il negozio dichiarato concordato. La
simulazione presuppone un negozio almeno bilaterale. Essa pu essere assoluta (quando le parti
manifestano di volere un negozio ma non ne vogliono nessuno) o relativa (quando in realt ne
vogliono uno diverso da quello dichiarato, dando luogo a un negozio simulato e non voluto e ad un
altro dissimulato e voluto). Se fosse stato simulato un negozio in cui la volont era indispensabile,
esso sarebbe stato nullo; viceversa per i negozi solenni del ius civile in cui il compimento delle
formalit prescritte era sufficiente, il negozio rimaneva valido ed efficace anche se simulato. Ma,
essendo l'accordo simulatorio un patto, una volta che il pretore diede ai patti tutela giuridica,
l'interessato avrebbe potuto opporre l'exceptio pacti conventi all'azione dell'altra parte che avesse
preteso l'adempimento di un negozio simulato questo, valido iure civili, sarebbe stato invalidato
iure praetorio.
L'errore negoziale
La divergenza tra manifestazione e volont pu anche essere inconsapevole, in conseguenza di errore. Nei
negozi bilaterali pu esserci errore anche per il fatto che una parte attribuisce alla manifestazione di volont
dell'altra un valore diverso da quello obbiettivo, o comunque diverso da quello che costei vi ha dato: in tal
caso di ha dissenso. L'errore che esclude la volont pu dipendere da un fraintendimento, e viene detto
errore ostativo o errore nella dichiarazione. Da esso va distinto l'errore-vizio, che non esclude la volont:
l'errore per cui taluno, convinto di circostanze false, compie il negozio in dipendenza di esse. Il negozio in
s voluto, ma senza errore non sarebbe stato compiuto c' un vizio della volont, la volont c' ma
viziata. Non sempre facile stabilire se si tratta di errore-vizio o di errore ostativo. Il problema dell'errore era
posto per diritto romano come quello dell'interpretazione della volont: bisognava stabilire in che misura dare
rilievo a ci che l'autore del negozio avesse inteso compiere. Quando riguardava le parti fisse dei negozi
solenni, l'errore era irrilevante e il negozio ugualmente valido. Circa le parti variabili dei negozi solenni o di
altri negozi, l'errore poteva dar luogo a nullit. Bisognava contemperare esigenze diverse: da un lato
esigenza di certezza, dall'altro esigenza di rispetto della volont effettiva.
L'errore di diritto, ossia quello che dipende da ignoranza o fraintendimento di norme e istituti giuridici,
solitamente irrilevante perch su tutti i consociati grava l'onere di conoscere l'ordinamento giuridico che li
riguarda; si riconosce l'errore di diritto solo per persone gravemente ignoranti (rustici) e per donne, minori di
25 anni e militari (persone digiune di nozioni giuridiche). Invece l'errore di fatto, quando era rilevante,
rendeva il negozio invalido: generalmente nullo, quindi improduttivo di effetti. L'errore di fatto era rilevante se
scusabile (cio non grossolano, l'errore frutto di una crassa ignoranza non era scusabile) e essenziale
(errore che investe il negozio nei suoi aspetti fondamentali). Riguardo all'essenzialit dell'errore, sono state
stabilite delle categorie:
error in negotio = cade sull'identit del negozio, era essenziale e quindi rilevante. Emblematico il
caso del dissenso nei negozi bilaterali, quando una parte, convinta che l'altra intenda porre in essere
un negozio diverso da quello che in effetti vuole, adotta il comportamento conseguente
error in persona = riguarda l'identit del destinatario o dell'altra parte del negozio. Era sempre
rilevante nelle disposizioni mortis causa, lo era nei negozi inter vivos solo se in essi l'elemento della
fiducia era determinante (es. mutuo)
error in corpore = riguarda l'identit fisica dell'oggetto del negozio; era sempre rilevante
error in nomine = quando una persona/un oggetto identificabili sono indicati con nome diverso; era
un errore irrilevante, ammesso che l'identificazione fosse possibile
error in substantia = riguarda la composizione materiale dell'oggetto del negozio, era rilevante
error in qualitate = riguarda la qualit dell'oggetto del negozio, era irrilevante
error in quantitate = riguarda la quantit dell'oggetto del negozio: soluzioni non uniformi
error in causa = riguarda i motivi, le circostanze di fatto credute esistenti e per le quali taluno
indotto a compiere un negozio: si parlava di falsa causa, era un errore irrilevante
Il dolo
Si configura come vizio della volont. Il dolo, come criterio di responsabilit, esprime l'idea della volontariet
di un comportamento e delle sue conseguenze pregiudizievoli per altri. In questo senso si contrappone alla
colpa, che indica la volont del comportamento ma non delle conseguenze.
Il dolo negoziale in particolare il vizio della volont nei negozi giuridici, una macchinazione volta a trarre
in inganno un'altra persona affinch compia un negozio per lei pregiudizievole, che diversamente non
avrebbe voluto n compiuto, oppure l'avrebbe fatto a condizioni diverse. In questo caso si tratta sempre id
errore-vizio ma, quando l'errore non imputabile all'autore del negozio ma indotto dall'altrui macchinazione,
si parla di dolo (non pi di errore). L'errore indotto da altrui dolo fu, a partire da et preclassica, rilevante.
In riferimento al dolo negoziale si intente il dolus malus, non il dolus bonus (furberie tollerate dal costume
che i pi adoperano per i propri affari). Il dolus malus la vera e propria macchinazione per trarre in inganno.
Dapprima il negozio viziato da solo era iure civili valido ed efficace, ma questo principio sub deroga a
proposito dei negozi che davano luogo a giudizi di buona fede poich dolo e buona fede si escludono a
vicenda, dovendo il giudice di tali giudizi stabilire a che cosa era tenuto il convenuto secondo criteri di buona
fede, nel caso in cui l'impegno assunto dal convenuto fosse stato conseguenza di dolo dell'attore, il giudice
doveva assolvere il convenuto stesso. In questo caso di iudicia bonae fidei, il dolo dava luogo a invalidit del
negozio ope iudicis (in forza della pronunzia del giudice).
L'exceptio doli mali: il pretore introdusse nell'editto la clausola che prometteva l'exceptio doli mali, uno
strumento necessario per invalidare i negozi dai quali nascevano azioni non di buona fede. La vittima del
raggiro avrebbe potuto essere chiamata in giudizio per l'adempimento, e contro di lui la relativa azione
sarebbe stata iure civili fondata; per, in virt dell'exceptio doli, il convenuto sarebbe stato assolto una volta
accertato l'inganno. Gli effetti del negozio iure civili valido sarebbero stati neutralizzati iure praetorio,
mediante exceptio doli.
L'exceptio doli generalis: il campo di applicazione dell'exceptio doli era pi ampio rispetto al solo dolo
negoziale: vi rientravano anche i casi in cui appariva iniquo che l'attore conseguisse quanto iure civili gli era
dovuto. L'exceptio doli quindi faceva riferimento non solo al dolo commesso dall'attore prima del giudizio
(exceptio dolo praeteriti), ma anche al dolo che l'attore commetteva nel momento in cui agiva e per il fatto
stesso che agiva = exceptio doli praesentis, o generalis questo dolo non era inganno ma comportamento
iniquo.
L'actio de dolo : se la vittima del dolo (inconsapevole del danno subito) avesse dato esecuzione al negozio,
non poteva pi difendersi con exceptio, ma occorreva poter promuovere un giudizio fu data per questo
l'actio de dolo, esperibile dalla vittima contro l'autore del dolo. Era un'azione penale e al simplum, quindi
l'importo della pena corrispondeva al danno subito; comportava per l'infamia a carico del condannato. Era
un'azione arbitraria, per cui il convenuto sarebbe stato condannato se su invito del giudice non avesse
risarcito il danno. Era inoltre sussidiaria, ossia concessa dal pretore in difetto di altro mezzo giudiziario a
favore dell'ingannato; essendo penale era all'occorrenza nossale, poteva essere esercitata contro l'autore
del dolo ma non contro gli eredi e, trattandosi di azione pretoria in factum, non poteva essere esperita oltre
l'anno dalla commissione del dolo. Nel graduale processo di depenalizzazione delle azioni penali, contro gli
eredi si ammise che la condanna con taxatio fosse mantenuta nei limiti dell'arricchimento conseguito in
dipendenza del dolo. Fuori dai iudicia bonae fidei il negozio gi eseguito non veniva invalidato, ma
l'ingannato poteva ottenere la condanna dell'autore del dolo a una pena corrispondente al pregiudizio subito
tramite questa actio. Dapprima, il dolo proprio dell'actio de dolo era un'attivit simulatoria previa
macchinazione per trarre in inganno (ambito del dolo negoziale); in seguito il concetto di dolo fu allargato nel
iudicium de dolo ammesso per comportamenti iniqui al di fuori del caso di dolo negoziale o di inganno,
purch non rientranti in altri illeciti.
La in integrum restitutio propter dolum: diverso rimedio pretorio contro il dolo, negoziale e non solo.
La violenza (metus)
Anch'essa era un vizio della volont. Si trattava del timore generato dall'altrui violenza (vis). Essa non la
violenza fisica (per la quale una persona viene materialmente costretta a esprimere una volont negoziale),
in quanto essa non facilmente prospettabile in concreto. Il metus invece la minaccia di provocare un
male se il minacciato non compia un certo negozio, quindi violenza morale (compulsiva o animo illata).
Infatti la minaccia di un male genera timore, che induce taluno a compiere un negozio per lui pregiudizievole
altrimenti non compiuto o compiuto a condizioni diverse minaccia grave davanti alla quale la vittima
preferisce il compimento del negozio rispetto a questa via (vizio della volont). Il regime giuridico e lo
sviluppo storico furono analoghi a quelli del dolo per molti versi: il negozio estorto con minaccia era iure civili
valido ed efficace. Tuttavia il convenuto, con un'azione ex fide bona, avrebbe potuto opporre, senza bisogno
di exceptio, che l'impegno per cui l'altra parte pretendeva adempimento gli era stato estorto con la minaccia;
oppure, una volta adempiuto, la vittima di metus poteva con la stessa azione pretendere la restituzione della
prestazione. Il pretore introdusse poi l'exceptio metus: in virt di essa chi avesse compiuto un negozio per
timore, convenuto per l'adempimento, sarebbe stato assolto essa era utile per azioni di stretto diritto e
reali, comunque non di buona fede. L'exceptio era espressa impersonalmente, senza riferimento all'autore
del metus, e perci poteva essere opposta anche a persona diversa dall'autore della violenza (per questo
tale exceptio fu detta exceptio in rem scripta). L'autore del negozio viziato poteva anche darvi esecuzione
prima di essere chiamato in giudizio, tramite diversi rimedi pretori actio quod metus causa: penale,
arbitraria, la pena entro l'anno era del quadruplo del valore del pregiudizio arrecato (dopo l'anno del
simplum). Poteva essere esercitata contro l'autore del metus, ma anche contro terzi che si erano
avvantaggiati in dipendenza del metus; poteva poi essere esercitata come noxalis contro l'avente potest ma
non contro gli eredi dell'autore della violenza. In alternativa giovava la in integrum restitutio propter
metum, in cui gli effetti del negozio compiuto sotto minaccia venivano ignorati.
I giureconsulti dissero 'condicionalis' il negozio soggetto a condizione, 'puro' quello senza; i Romani
conobbero soprattutto la condizione sospensiva e quando palavano di condicio si riferivano a questa.
Gli actus legitimi: sono i negozi che non tolleravano l'aggiunta di condizioni, le quali ne avrebbero
comportato la nullit. Erano actus legitimi la mancipatio, l'acceptilatio, la cretio, la in iure cessio e la
manumissio vindicta erano tutti compiuti mediante pronuncia di certa verba, tali da risultare logicamente
incompatibili con un rinvio degli effetti loro propri. Uguale regime dunque avevano gli atti che si compivano
attraverso procedure che comportavano l'impiego di tali atti (es. adozione, emancipatio, coemptio).
Condicio iuris: gli effetti di taluni atti erano subordinati al verificarsi di certi eventi (es. la dotis dictio era
efficace solo col matrimonio, il legato sola con l'efficacia del testamento e quindi la morte del testatore).
Specificare tale condicio sarebbe stato superfluo. Non erano propriamente condizioni negoziali.
Condizioni in praesens vel in praeteritum conlatae: facevano dipendere gli effetti del negozio da eventi attuali
o passati, non futuri e neanche incerti. Non erano propriamente condizioni negoziali.
Condizioni impossibili: l'evento dedotto in condizione poteva essere materialmente o giuridicamente
impossibile, dunque la conseguenza avrebbe dovuto essere l'invalidit del negozio, che non avrebbe mai
potuto produrre effetti; questa fu infatti la soluzione per i negozi inter vivos. Per i negozi mortis causa invece i
sabiniani affermarono validit ed efficacia al negozio pure se con condizione impossibile, dovendosi questa
considerare come non apposta (pro non scripta).
Condizioni illecite: l'elemento dedotto in condizione poteva essere illecito. Ci causava nullit dei negozi che
davano luogo a iudicia bonae fidei; invece, nel caso della stipulatio con condizione illecita, essa rimase
dapprima valida ed efficace in seguito per venne denegata dal pretore l'actio ex stipulatu, oppure venne
concessa contro tale actio l'exceptio doli del promittente; il passaggio successivo fu la nullit della stipulatio
con condizione illecita e quindi l'invalidit iure civili; analoga evoluzione si riscontra per i negozi mortis causa.
Condizioni positive e negative: subordinano gli effetti del negozio al verificarsi (positive) o al non verificarsi
(negative) dell'evento.
Condizioni potestative, casuali e miste:
In quelle potestative l'avveramento dipende da un atto volontario di persona interessata; in quelle casuali
dipende dal caso o dalla volont di terzi, in quelle miste dipende dalla volont di persona interessata e dal
caso o dalla volont di terzi. Fu considerato nullo il negozio con condizione potestativa il cui avveramento
fosse stato rimesso alla mera volont della persona che vi aveva interesse contrario (si ritenne che non
fosse seriamente voluto). Le condizioni potestative possono anche essere negative = avveramento rimesso
alla circostanza che la persona che trarrebbe vantaggio dal negozio non adotti in futuro un certo
comportamento. Il problema si pone quando la condizione non contempla alcun termine perch, per essere
certi che si verifichi, bisogna in tal caso attendere la morte dell'interessato, il quale potrebbe farla mancare
sino all'ultimo istante di vita il negozio dunque non produrrebbe effetti durante la vita dell'interessato.
Condicio pendet
La condizione pende quando non si ancora verificata ed incerto se si verificher. Intanto il negozio non
produce effetti, n si sa se li produrr. Il debitore che aveva adempiuto la prestazione in pendenza della
condizione, avrebbe potuto pretenderne la restituzione. Durante la pendenza il negozio comunque esiste ed
valido, e d luogo a un'aspettativa (spes) ci sono alcune conseguenze giuridiche di ci: es. se durante
questa condizione muore uno dei soggetti del rapporto esso, se derivava da un negozio inter vivos, si
trasmetteva agli eredi. Il pretore intervenne in materia di rapporti condizionali per l'ipotesi di legati con effetti
obbligatori soggetti a condizione, e impose all'erede di prestare ai legatari una stipulatio detta cautio
legatorum servandorum causa = con essa prometteva che i legati avrebbero avuto esecuzione anche una
volta verificata la condizione.
Condicio deficit
La condizione viene a mancare e il negozio destinato a restare senza effetti: pu essere considerato nullo.
Condicio extitit
La condizione si verifica, il negozio comincer a produrre effetti, che decorreranno dal momento
dell'avveramento della condizione (ex nunc). Era un caso eccezionale invece che all'avveramento della
condizione si attribuissero effetti retroattivi (ex tunc). Poteva accadere che la parte che aveva interesse
contrario all'avveramento della condizione lo impedisse deliberatamente: in tal cado la condizione si
considerava come gi verificata.
Condizioni risolutive: il fatto che nelle fonti per condizione si intenda la condizione sospensiva dipende dal
fatto che non sarebbe stato congeniale alla mentalit romana che effetti giuridici potessero cessare
automaticamente per il fatto in s di un evento passato e voluto da privati con efficacia risolutiva.
Quando l'inserzione di una condizione risolutiva riguardava uno degli actus legitimi (es. trasferimento di
propriet, istituzioni d'erede, atti di liberazione dei servi), sia atto che condizione erano nulli; quando si
trattava di un negozio diverso ma per cui la condizione risolutiva era comunque impensabile, essa era
considerata come non apposta. La condizione risolutiva fu riconosciuta valida ed efficace nella costituzione
di usufrutto e in qualche altro caso (negozi detti ad condicionem).
I giuristi ammisero inoltre che, a lato del negozio, si potessero concludere patti risolutivi sospensivamente
condizionati, che prevedessero la risoluzione degli effetti del negozio al verificarsi di una condizione
sospensiva, cosicch il negozio nel suo complesso risultasse essere con condizione risolutiva. Un patto
risolutivo efficace in virt di exceptio poteva essere quello aggiunto a una stipulatio, col quale fosse stato
convenuto che essa non avesse pi effetti al verificarsi di una certa condizione: essa per il ius civile sarebbe
stata del tutto valida e pura se il pretore non avesse dato l'exceptio pacti conventi contro l'azione dello
stipulante esercitata dopo l'avveramento della condizione.
Termine: un altro elemento accidentale del negozio giuridico e consiste in una clausola che prevede un
avvenimento futuro e certo (si verificher sicuramente) dal quale si fanno dipendere gli effetti del negozio; il
termine pu anche indicare direttamente l'evento contemplato nella clausola. Le fonti romane definiscono il
termine dies poteva essere una data del calendario (un evento che si sa avverr di certo e si sa anche
quando) o un evento che avverr di certo ma non si sa quando (es. morte).
termine iniziale (dies a quo, negozio ex die), se il negozio non produce effetti fino alla scadenza in
cui si verifica levento
termine finale (dies ad quem, negozio ad diem), se il negozio produce immediatamente effetti, i quali
cessano alla scadenza
Alcuni negozi non tollerano lapposizione di termini, i quali comportano la nullit dellatto (actus legitimi); in
altri negozi il termine iniziale era ammesso, quello finale no (es. istituzione d'erede, traditio, stipulatio). Nella
stipulatio per il pretore da rilevanza al termine finale concedendo lexceptio pacti conventi, o l'exceptio doli,
contro lo stipulante che agisce dopo la scadenza del termine.
Prima della scadenza i negozi con termini iniziali non producono gli effetti tipici. Scaduto il termine iniziale il
negozio comincia a produrre i suoi effetti automaticamente (ipso iure), con decorrenza dal momento della
scadenza. Nei negozi con termine finale gli effetti gi prodotti cessano alla scadenza, con decorrenza dalla
scadenza stessa e ipso iure.
Imputazione degli effetti negoziali e rappresentanza
Gli effetti principali del negozio giuridico si imputano di solito in via diretta ed esclusiva alle parti del negozio.
Il nuntius (messaggero) un semplice portavoce, che riferisce solo quanto stato invitato a riferire. Egli
dunque non pu essere definito come autore del negozio perch non dichiara una volont propria; colui che
invece si avvale del nuntius non pu essere considerato terzo estraneo al negozio perch ne egli stesso
l'autore gli effetti dell'atto si imputano a lui e non al nuntius. I negozi formali e solenni non potevano
essere compiuti tramite nuntius, perch esigevano la presenza delle parti. I contratti consensuali e i patti
potevano invece essere conclusi tramite nuntius.
Diverso il caso della rappresentanza organica: i rappresentanti legali, ossia persone fisiche che
concludono negozi come organi di collettivit a cui riconosciuta soggettivit giuridica (corporazioni, come
civitates e collegia), esprimono una volont propria e dunque gli effetti dell'atto si producono in capo all'ente.
Tali rappresentanti non agiscono come soggetti autonomi ma come organi di un altro soggetto che, per sua
natura, non potrebbe operare nel mondo giuridico. La rappresentanza organica riguarda anche i negozi
conclusi da soggetti alieni iuris: questi negozi sono validi ed efficaci, ma ad acquistare sempre lavente
potest (non i soggetti alieni iuris come schiavi o filii familias, i quali sono organi di acquisto del dominus).
Responsabilit adiettizia: gli effetti principali del negozio si imputano talvolta direttamente sia agli autori del
negozio sia ai terzi; se in determinate circostanze le obbligazioni con atto lecito vengono assunte da un alieni
iuris, ne vincolato lui stesso ma anche lavente potest.
Rappresentanza in senso proprio (o diretta): fenomeno per cui gli effetti del negozio si imputano direttamente
ed esclusivamente ad un terzo, quindi non al dichiarante. dunque un fenomeno per cui un soggetto
autonomo, giuridicamente capace (rappresentante), conclude un negozio esprimendo una propria volont in
nome e per conto di un altro soggetto (rappresentato), con effetti in via immediata diretta ed esclusiva in
capo al rappresentato. Possiamo distinguere
rappresentanza volontaria: il rappresentato conferisce con atto volontario i poteri al rappresentante
rappresentanza legale: gli altri casi (per esempio gli effetti dei negozi compiuti dal tutore per conto
del pupillo si imputano direttamente ed esclusivamente al pupillo stesso)
E' chiaro dunque perch non rientrano nello schema moderno della rappresentanza nuntius, rappresentanza
organica e rappresentanza adiettizia: il nuntius non un rappresentante perch non esprime una volont
propria. Non vi rientra la rappresentanza organica perch a concludere il negozio non un soggetto
autonomo, neanche la responsabilit adiettizia perch in essa gli effetti negoziali si imputano sia al
dichiarante sia a un terzo.
I Romani per tendenzialmente evitarono di far s che si potessero imputare effetti negoziali direttamente a
terzi secondo lo schema della rappresentanza: l'esclusione della rappresentanza poteva essere dovuta
all'individualismo romano (per cui non si volevano intromissioni negli affari altrui), al carattere formale dei
negozi di ius civile (che pretendevano la presenza delle parti direttamente coinvolte nell'atto) e anche al fatto
che la societ romana pi antica non avvertiva il bisogno di un istituto come la rappresentanza (in quanto,
per soddisfare le esigenze che essa poteva soddisfare, bastavano i figli e gli schiavi che acquistavano
all'avente potest).
Rappresentanza indiretta: espediente a cui si faceva ricorso tra estranei; consiste nella conclusione di un
negozio per conto altrui ma in nome proprio, con effetti che si imputano al dichiarante, il quale poi deve
trasferire al terzo (per conto del quale aveva concluso il negozio) i diritti acquistati; dal canto suo, il terzo ha il
dovere di addossarsi gli obblighi assunti in nome proprio dal dichiarante. In realt non si tratta di una vera
rappresentanza perch gli atti del negozio non si imputano all'interessato n direttamente n
immediatamente, ma si imputano tramite la mediazione di chi partecipa al negozio e di seguito a idonei atti di
trasferimento. La cosiddetta rappresentanza indiretta fu molto usata per mandati, gestione di affari altrui etc.
Deroghe all'esclusione della rappresentanza: come gi detto, tendenzialmente i romani escludevano il
principio della rappresentanza diretta. Tuttavia, in alcuni casi essa venne ammessa.
caso del curator furiosi, poich le XII tavole avevano riconosciuto al curator la legittimazione ad
alienare i beni del furiosus. Questo potere fu poi limitato in et classica perch al curator furiosi fu
imposto il divieto di alienare fondi rustici e suburbani
caso del possesso la legittimazione ad acquistare e trasferire il possesso con effetti diretti in capo
ai proprio amministrati fu riconosciuta sin da et arcaica al tutor impuberis, ai curatores furiosi e
prodigi, al curatore del minore di 25 anni; dall'et preclassica, anche al procurator omnium bonorum
(figura di amministratore generale cui il pater familias affidava l'amministrazione del patrimonio).
In et classica questa legittimazione fu poi estesa al procurator nominato di volta in volta per singoli
negozi (procurator unius rei). Sempre in et classica si giunse poi ad ammettere che ogni persona
libera, agendo a nome di un terzo, potesse acquistargli il possesso, persino a sua insaputa.
L'importanza di questo sta in questo: la propriet delle res nec mancipi si trasferiva per traditio, la
quale era una consegna che doveva comportare il trasferimento del possesso. Dunque ammettere la
trasmissione del possesso per mezzo di un procuratore, tutore etc., volle dire ammettere che tramite
essi si trasferisse anche la propriet delle res nec mancipi dopo che in et postclassica
scomparvero i negozi solenni e venne meno dunque la distinzione tra res mancipi e res nec mancipi,
avvenne automaticamente anche il riconoscimento del fatto che la propriet di qualsiasi cosa
potesse trasferirsi attraverso rappresentanti.
Patti e contratti in favore di terzi: erano vietati, pena la nullit le parti non potevano convenire che, dal
negozio obbligatorio che compivano, nascessero crediti a favore di terzi estranei al negozio. Questa regola
fu espressa in et repubblicana con riferimento alla stipulatio (nessuno pu stipulare in favore di altro).
Infatti da una stipulatio fatta a favore di un terzo, secondo la regola, non nasceva n un'azione a favore dello
stipulante (in quanto non aveva interesse che il promittente adempisse a un terzo), n un'azione a favore del
terzo (perch non aveva partecipato alla stipulatio) si negava cos che un terzo potesse agire
direttamente contro il promittente, e quindi che il negozio obbligatorio avesse direttamente effetti in capo a
un terzo. In et classica avanzata, ci fu tuttavia una deroga al divieto di patti e contratti a favore di terzi, con
la concessione di actiones utiles e in factum a terzi in materia di donazioni (es. donazione con modus, per
cui al terzo si diede un'actio utilis contro il donatario per l'adempimento del modus), deposito, dote e pegno.
Sostituti processuali nel processo formulare una delle due parti, anzich presentarsi in giudizio
personalmente, poteva farsi sostituire da qualcuno fin dall'inizio della lite.
cognitor: sostituto processuale nominato direttamente dalla persone che desiderava farsi sostituire
nel processo, con pronunzia orale e solenne rivolta direttamente allavversario. Il cognitor poteva
partecipare al giudizio sia nel ruolo di attore sia di convenuto, e vi partecipava nomine alieno (in
nome altrui). Egli contestava la lite (litis contestatio) con l'avversario, ma non era legittimato in ordine
alla situazione giuridica per cui litigava nell'intentio della formula che esprimeva la pretesa
dell'attore dunque figurava il nome del dominus litis, mentre il nome del cognitor figurava solo nella
condemnatio della formula (in quanto era in suo favore/danno che il giudice pronunciava la
sentenza). La formula adottata era quindi con trasposizione di soggetti: il giudice accertava il diritto o
dovere in capo al dominus litis e pronunciava la condanna a favore o contro il cognitor.
Gli effetti preclusivi della litis contestatio si producono direttamente nei confronti del dominus litis,
cos come gli effetti conservativi (una volta contestata una lite con il cognitor, non poteva essere
ripetuta dal dominus litis n contro di lui; una volta emanata la sentenza di condanna, lactio iudicati
sarebbe spettata direttamente al dominus litis o contro di lui)
procurator ad litem: era nominato informalmente, anche in assenza dellavversario. Anche qui la
formula con trasposizione di soggetti; tuttavia in questo caso litis contestatio e sentenza non hanno
effetto nei confronti nel dominus litis (non ci sono n gli effetti preclusivi n gli effetti conservativi).
All'actio iudicati legittimato lo stesso procurator. Lavversario che sostiene la lite nel ruolo di
convenuto solitamente pretende che il procurator presti la cautio ratam rem dominum habiturum
(promessa fatta con stipulatio che il dominus litis ratifichi liniziativa del procurator, non riproponendo
lazione); lavversario attore pretende dal procurator la cautio iudicatum solvi, promettendo che
leventuale sentenza di condanna sarebbe stata comunque adempiuta.
Gi nel corso dell'et classica la figura del procurator fu assimilata a quella del cognitor; nelle fonti
giustinianee infatti non v' pi traccia del cognitor
il tutore dell'impubere, i curatores furiosi, prodifi e adulescentis, il defensor, il filius familias.
Status libertatis
Essere uomini liberi era la prima condizione per godere di capacit giuridica a Roma. Liberi si nasceva o si
diventava: nascevano liberi i nati da madre libera, lo diventavano gli schiavi liberati i primi erano detti
ingenui, i secondi liberti.
La schiavit un istituto molto antico del diritto romano, sicuramente gi presente all'epoca delle XII tavole.
Tuttavia, la diffusione su larga scala cominci con il succedersi delle guerre vittoriose romane e la
conseguente cattura di moltissimi prigionieri di guerra, che venivano ridotti in servit. La schiavit istituto
del ius civile in quanto lo schiavo era oggetto di dominium ex iure Quiritium (era res mancipi); tuttavia per,
essendo essa presente in tutti i popoli antichi, pu anche essere considerata di ius gentium.
Schiavi si nasceva o si diventava: nascevano schiavi i nati da madre schiava, diventavano schiavi coloro che
erano soggetti a cattura da parte dei nemici, per captivitas (prigionia) il prigioniero diventava schiavo, e
unautorit pubblica provvedeva alla vendita in modo che i nuovi schiavi venissero acquistati da privati
romani. Anche i Romani catturati erano fatti schiavi dagli altri popoli: essendo per che i romani non
volevano che chi avesse goduto della cittadinanza romana fosse schiavo in patria, introdussero un istituto
detto ius postliminii = il cittadino romano catturavo e divenuto schiavo del nemico avrebbe riacquistato libert
e cittadinanza una volta tornato in patria, e sarebbe stato reintegrato nella posizione giuridica personale e
patrimoniale precedente alla cattura. A conseguenza di ci, i rapporti giuridici in capo al civis che viveva in
schiavit in terra straniera furono considerati in stato di pendenza (in pendenti), stato che sarebbe venuto
meno col ritorno in patria o con la morte (per l'amministrazione dei beni del captivus, il magistrato nominava
un curator). Il romano captivus morto in prigionia era considerato come morto al momento della cattura,
ossia l'ultimo suo istante da libero, per cui si procedeva alla successione ereditaria o ex testamento.
Potevano per esserci altre cause di schiavit (oltre a preda bellica e nascita da madre schiava):
nell'et arcaica il debitore insolvente poteva essere venduto come schiavo fuori Roma
fino all'et repubblicana potevano essere venduti come schiavi i cives Romani disertori, incensi (che
si erano sottratti agli obblighi del censo), infrequentes (sottratti alla leva militare)
il fur manifestus (ladro colto in flagrante) era fatto fustigare e diventava schiavo del derubato
diventavano schiavi i condannati a morte e i condannati ai lavori forzati in miniera
poteva tornare ad essere schiavo il liberto ingrato (revocatio in servitutem)
diventava schiavo l'uomo libero che, simulandosi servo, si era fatto vendere come schiavo per
dividere il prezzo col venditore
la donna libera che intratteneva rapporti sessuali ripetuti con uno schiavo altrui diventava schiava
dello stesso padrone
in et postclassica fu consentita e regolamentata la vendita di figli neonati, che sarebbero diventati
schiavi del compratore; i genitori avevano la possibilit di riscatto per restituire al figlio la libert.
Giustiniano limit la facolt di vendita dei genitori ai soli casi di estrema indigenza.
Condizione sociale dei servi
Nella Roma arcaica le condizioni degli schiavi non erano molto dure, in quanto essi erano pochi in rapporto
al resto della popolazione: la citt era ancora piccola, e le famiglie ricche possedevano soltanto uno schiavo
(o al limite pochissimi). Gli schiavi inoltre provenivano perlopi da popolazioni italiche culturalmente affini ai
romani. Per questo motivo essi si integravano bene nella famiglia, collaborando con il dominus nelle
faccende della casa. Per, con l'espansione territoriale e la crescita economica di Roma, il rapporto tra
schiavi e padroni cambi molto: a seguito delle molte guerre di conquista, furono sempre di pi i prigionieri
ridotti in schiavit, e spesso le famiglie avevano anche centinaia di servi ai loro comandi. Tali servi inoltre
erano in gran parte provenienti da paesi extra-italici, dove c'erano popolazioni molto diverse da quella
romana. Per questo motivo le loro condizioni peggiorarono parecchio: essi erano impiegati nei lavori pi duri
e faticosi (miniere o grandi campi) e le donne sfruttate come prostitute, e ad alcuni tra i pi colti erano affidati
compiti di maestri, segretari, amministratori etc.
Durante il Basso Impero si ridusse molto il reclutamento di servi tramite preda bellica; si diffuse la dottrina
cristiana che, come gi quella stoica aveva iniziato a fare, incoraggiava i padroni a liberare gli schiavi o a
migliorare le loro condizioni di vita. La schiavit tuttavia non fu mai abolita nel mondo romano.
Condizione giuridica dei servi
Le condizioni giuridiche dei servi riflettono le loro condizioni di vita. Agli inizi la loro posizione giuridica era
simile a quella dei filii familias (senonch i servi, con la morte del dominus, restavano servi sotto il dominium
degli eredi; i filii invece diventavano sui iuris). Gaio nelle Istituzioni (dove c'era la distinzione tra personae,
actiones e res) faceva rientrare i servi, in quanto esseri umani, nella categoria delle personae; tuttavia essi,
in quanto possibili oggetti di propriet o di altri diritto soggettivi, erano visti anche come cose (res mancipi).
Gli schiavi non erano giuridicamente capaci; le unioni tra schiavo e schiava non avevano rilievo per il diritto,
cos come irrilevanti erano i vincoli tra genitori e figli il dominus aveva il potere di separare le famiglie
servili che di fatto si costituivano. Con riferimento invece al diritto criminale invece il servo era giuridicamente
capace = poteva essere testimone e poteva essere perseguito e punito per un comportamento illecito.
Gli schiavi erano inoltre soggetti alieni iuris in quanto sottoposti alla potest del proprietario, che esercitava
su di loro anche il potere assoluto di vita o di morte (ius vitae ac necis).
Ci furono dei temperamenti introdotti nella visione dei servi come cose:
si arriv con Giustiniano a riconoscere rilievo giuridico alle famiglie servili
si consider locus religiosus un pezzo di terra in cui fosse sepolto qualcuno, sia schiavo che servo
principio per cui anche l'offesa al servo costituiva iniuria
una legge stabil che fosse punita in sede criminale l'uccisione di un servo altrui
una legge ai tempi del principato viet l'esposizione ingiustificata dei servi alle belve per gli spettacoli
un editto dell'imperatore Claudio stabil che il servo infermo abbandonato dal padrone fosse libero
l'uccisione o il maltrattamento ingiustificato dei servi non fu pi tollerato
Sin dagli inizi per fu data rilevanza giuridica a certi comportamenti degli schiavi: il principio di massima fu
che i servi potessero migliorare la posizione giuridico-patrimoniale del dominus ma non peggiorarla. Al servo
pertanto, sebbene privo di capacit giuridica perch alieni iuris, si riconobbe capacit di agire gi dall'et
arcaica era presente il principio per cui i servi fungevano da organi d'acquisto del dominus, dunque potevano
partecipare validamente a negozi che comportasse lacquisto di diritti soggettivi (acquisto che si verificava in
capo al proprietario del servo) lo schiavo poteva essere mancipio accipiens per esempio, ma non
mancipio dans.
Le azioni nossali
Gli atti del servo non potevano peggiorare la posizione del dominus. Tuttavia nel diritto arcaico esisteva la
regola per cui, contro il servo altrui responsabile di delicta, la vittima poteva esercitare la vendetta
direttamente, impossessandosene o applicandogli la pena corporale stabilita, a meno che il dominus
pagasse lui stesso la pena pecuniaria per salvare lo schiavo. Questa regola diede luogo al regime della
azioni nossali (che denunzia una sorta di riconoscimento della responsabilit penale del servo).
Il peculio e le obbligazioni naturali
Per quanto riguarda gli atti leciti di disposizione e i negozi di assunzione di debiti, se compiuti da schiavi,
avrebbero dovuto essere inefficaci: il servo non aveva nulla di cui poter disporre, non poteva obbligare se
stesso in quanto giuridicamente incapace, non poteva peggiorare la posizione del dominus e quindi nessun
negozio da lui compiuto poteva generare obligatio a carico del dominus stesso. Per gi in et arcaica c'era
la prassi di concedere ai servi una somma di denaro o altri beni, detti peculio, guadagnati con il lavoro o con
altre attivit commerciali. Il proprietario del peculio restava il dominus, ma si ammise presto che gli schiavi
potessero trasferire il possesso delle res peculiares (e anche la propriet nel caso di res nec mancipi), salvo
poi la facolt del dominus di revocare il peculio in ogni momento (ademptio peculii).
I servi dotati di peculio potevano trafficare con esso con i terzi e potevano anche spenderlo, facendo cos
onore agli impegni assunti. Questo port al riconoscimento che i servi potessero adempiere agli obblighi
assunti con atto lecito, port alla negazione del diritto del dominus di pretendere dal terzo la restituzione di
quanto lo schiavo gli avesse dato e infine port al riconoscimento che il servo potesse assumere obbligazioni
naturali (non civili). Queste ultime erano obblighi assunti con atto lecito dai servi, ma al cui adempimento non
potevano essere costretti dal terzo. Le obbligazioni naturali non davano luogo ad actiones (a differenza delle
obbligazioni civili) e il principale effetto era la soluti retentio, per cui il creditore, pur non potendo costringere il
servo ad adempiere, avrebbe potuto trattenere quanto ricevuto in adempimento.
Le azioni adiettizie
Con la crescita economica romana fu sempre pi utile poter usare i servi nella gestione degli affari del
dominus. Era per necessario che i terzi potessero essere certi del fatto che il servo facesse onore ai propri
impegni, e per ci non bastava l'esistenza di un peculio (in quanto con esso i terzi potevano contare solo su
uno spontaneo adempimento dello schiavo) ma servivano strumenti giudiziari in grado di garantire
l'adempimento. Su questo intervenne il pretore, con riferimento per soltanto a quelle situazioni in cui il
dominus si fosse assunto la responsabilit di certe operazioni finanziarie compiute dai servi in questi casi
il pretore nell'editto stabil che i terzi (creditori di un servo altrui) avrebbero potuto disporre di actiones contro
il dominus. Tali azioni furono dette actiones adiecticiae qualitatis (azione adiettizie), per le quali alla
responsabilit naturale del servo si aggiungeva la responsabilit del dominus, sanzionata da actio.
Azioni adiettizie contro il dominus erano le seguenti, tutte con trasposizione di soggetti (nell'intentio della
formula era indicato il servo come debitore, nella condemnatio figurava invece il nome del dominus):
actio quod iussu presupponeva che limpegno del servo nei confronti del terzo fosse stato
assunto di seguito ad unautorizzazione, dal dominus rivolta al terzo, di negoziare col servo,
assumendone il dominus ogni rischio (periculum). Il dominus risponde dellintero debito.
actio exercitoria presupponeva che il proprietario dello schiavo fosse un exercitor navis (un
armatore), il quale poteva affidare la gestione e lamministrazione della nave ad un proprio schiavo,
preponendolo ad essa quale magister navis. In questo caso, per i debiti contratti dal servo, contro il
dominus si dava ai creditori questa actio exercitoria
actio institoria il dominus poteva preporre il servo ad un settore di attivit economica quale institor
(direttore, sorvegliante): il dominus rispondeva dei debiti contratti dal servo e contro di lui i terzi si
potevano avvalere di questa actio.
actio de peculio et de in rem verso nella formula esistono due taxationes. Una era de peculio
(presupponeva che il servo avesse un peculio, e in tal caso la responsabilit del dominus per i debiti
assunti dal servo verso terzi non andava oltre lammontare del peculio stesso) e una de in rem verso
(presupponeva un arricchimento del dominus e per essa il dominus, non essendoci un peculio,
rispondeva dei debiti del servo nei limiti del suo arricchimento grazie all'obbligazione assunta dal
servo).
Dunque l'actio de peculio et de in rem verso, per quanto riguarda la taxatio de peculio, esigeva che
si procedesse alla stima del peculio. Il peculio veniva calcolato al netto dei debiti naturali che il servo
aveva verso il proprio padrone. Il padrone era dunque considerato come un creditore privilegiato,
mentre i terzi creditori venivano soddisfatti man mano finch il peculio era esaurito
actio tributoria ( l'unica a non essere con trasposizione di soggetti) presupponeva anche essa la
concessione di un peculio. Ulteriori presupposti erano che il servo avesse compiuto negozi e
assunto obbligazioni in ordine a beni peculiari affidatigli dal dominus per commerciarne; che i terzi
creditori, avendo fondate ragioni di temere un dissesto finanziario del servo, si fossero rivolti al
pretore e questi avesse invitato il dominus a procedere alla ripartizione dell'importo delle merci
peculiari tra i creditori (attribuendo loro, se le merci non bastavano, una quota proporzionale al
credito di ciascuno, e partecipando egli stesso alla ripartizione proporzionale sullo stesso piano degli
altri creditori) si realizzava una par condicio dei terzi creditori tra di loro e anche dei terzi creditori
con il dominus. Quindi l'actio tributoria poteva essere esperita contro il dominus da parte dei creditori
che lamentassero di aver avuto un quota minore rispetto a quella loro dovuta.
familias, che cadevano sotto il mancipium del mancipio accipiens in et arcaica la mancipatio dei figli
avveniva come vendita (cosa consentita dal costume); in et preclassica questo venne meno, ma si continu
a usare la mancipatio sei figli per l'adoptio, l'emancipatio (due casi in cui il passaggio sotto il mancipium era
temporaneo, strumentale, veniva meno dopo poco) e la dazione a nossa (forte mancipium sul figlio).
Le persone in causa mancipi potevano vivere in matrimonio ed avere figli legittimi, ma non avevano capacit
giuridica per i rapporti patrimoniali ed erano qualificati alieni iuris, soggetti al mancipium (non potevano avere
diritti soggettivi, potest o doveri giuridici). Morta la persona che esercitava su di essi il mancipium non
diventavano sui iuris (questo non vale per i figli) ma cadevano sotto il mancipium dellerede. Erano liberati
dalla soggezione del mancipium e diventavano sui iuris solo con la manumissio (come i servi). I filii familias
dati a nossa dovevano essere liberati dal detentore una volta che avessero scontato il loro debito.
Altre situazioni di dipendenza personale
Ci furono diverse altre situazioni di dipendenza personale, che per non comportavano privazione della
capacit giuridica:
addicti = debitori insolventi addicti dal magistrato al creditore; essi, pure se imprigionati e di fatto
alla merc dei creditori, restavano persone libere, sui iuris e cives romani. La loro condizione di
addicti cessava con la solutio
nexi = anche essi sono persone libere. Il nextum sar abolito
clientes = gente umile che si metteva volontariamente sotto la protezione (fides) di un patrono.
Scomparvero in et repubblicana, erano liberi e giuridicamente capaci
auctorati = persone libere e giuridicamente capaci che, tramite uno speciale giuramento, si
assoggettavano dietro compenso al lanista (impresario) per prestazioni rischiose e infamanti per
esempio come gladiatori per gli spettacoli del circo
redemptus ab hostibus = cittadino romano che aveva perduto la libert a seguito di una cattura ed
era poi tornato in patria perch un redemptor ne aveva pagato il riscatto una costituzione
imperiale stabil che il redemptor avrebbe potuto trattenere presso s il redemptus fino a che gli
avesse rimborsato il prezzo del riscatto. Fu visto alla stregua di un oggetto di pegno e quindi si parl
di ius pignoris
Il colonato
Altra situazione di dipendenza personale, non comporta privazione della capacit giuridica. I coloni erano
persone libere di umile condizione, piccoli affittuari di terre oppure liberi lavoratori giornalieri dei campi che
dietro compenso di obbligavano a un lavoro subordinato (locatio operarum). Dopo la grande crisi dell'impero
romano, visto che il numero degli schiavi era molto diminuito e che costavano di pi della manodopera
libera, i coloni furono vincolati alla terra che coltivavano, subirono grandi limitazioni della capacit giuridica e
furono fortemente assoggettati al potere dei proprietari della terra (che possono esercitare atti di coercizione
fisica). Oltre a ci essi non potevano neanche essere distaccati dalla terra (furono detti servi della terra)
potevano essere alienati assieme al fondo, i loro beni furono considerati quasi un peculio servile. Avevano
anche una limitata libert matrimoniale perch erano disapprovati i matrimoni tra coloni e persone di altro
ceto la posizione dei coloni ibrida (n servi n liberi).
Status civitatis
Il possesso dello status civitatis significava il possesso della civitas romana (e presupponeva lo stato di
libert), dunque era una delle condizioni necessarie per la piena capacit di diritto privato, in quanto solo ai
cives si poteva applicare il ius civile in senso stretto (proprio ed esclusivo dei romani).
Cittadini romani si nasceva o si diventava: nascevano cives i nati da padre cittadino purch procreati in
matrimonio legittimo (iustae nuptiae), oppure i nati fuori da matrimonio legittimo da madre cittadina. Per
diventare cives c'erano invece diversi modi:
gli schiavi liberati diventavano cittadini romani
i Latini prisci trasferiti a Roma stabilmente e iscritti in una delle trib diventavano cives per il ius
migrandi;
i Latini Iuniani, dopo che si sposavano, avevano un figlio e il figlio compiva 1 anno, potevano
chiedere al pretore (avendo cura di presentare 7 testimoni che attestassero le condizioni necessarie)
di diventare cittadini romani insieme a figlio e moglie (anniculi causae probatio)
un altro modo di diventare cittadini romani la erroris causa probatio, che prese piede per effetto di
costituzioni imperiali e senatoconsulti: se due persone conviventi ma senza connubium (perch una
di loro non cittadino) hanno dei figli, ammesso che il coniuge cittadino avesse ignorato la non
cittadinanza dell'altro al momento delle nozze, il coniuge non cittadino sarebbe diventato cittadino
romano (cosi come i figli gi nati)
si diventava cittadini anche per concessione dello Stato romano agli alleati italici (socii) alla fine
della guerra sociale al tempo di Silla, e anche nel 212 d.C., con la constitutio Antoniniana a tutti gli
abitanti liberi dell'Impero.
Perdita della cittadinanza romana: perdevano la cittadinanza i cives ridotti in stato di schiavit, quelli che si
erano stabiliti in colonie di nuove istituzione (chiamati Latini coloniarii), quelli che, liberamente o per sfuggire
alla pena capitale, avessero scelto lesilio presso altro stato sovrano legato a Roma da trattato, e infine i
cives che per i crimini commessi avessero subito condanna allesilio (deportatio).
Peregrini = persone libere non cives. Per i rapporti privati seguivano il diritto proprio della loro collettivit,
oppure il ius gentium (specialmente per i rapporti con i romani). A volte venivano loro concessi ius commerci
(capacit di alienare e acquistare con mancipatio) e, meno spesso, ius connubii (o connubium, ossia la
capacit di contrarre matrimonio legittimo con cittadini romani). Una categoria privilegiata dei peregrini erano
i Latini i Latini priscii erano cittadini delle citt laziali vincolate a Roma da antica alleanza e formalmente
sovrane. A parte il ius migrandi, i Latini prisci mantenevano le loro istituzioni, godevano del ius commercii e
del ius connubii, possono ricevere per testamento da cittadini romani. Ai Latini priscii furono assimilato i
Latini coloniarii, ossia colore che si stabilivano nelle colonie fondate da Roma perdendo cos la cittadinanza
d'origine. Ai coloniarii furono in parte assimilati i Latini Iuniani = schiavi liberati nelle forme pretorie oppure
minori di 30 anni manomessi senza le garanzie stabilite dalla lex Aelia Sentia. La loro condizione non era del
tutto come quella dei Latini coloniarii: i Latini Iuniani non avevano proprie istituzioni privatistiche d'origine,
avevano ius commercii e facevano parte del ius gentium ma non avevano connubium n potevano
acquistare per testamento: i loro beni alla morte andavano all'antico proprietario iure peculii (come se fosse il
peculio di un servo) i Latini Iuniani vivevano come liberi e morivano come servi.
Il gradino pi basso della gerarchia dei peregrini erano i peregrini dediticii, cio membri di collettivit
straniere arrese a Roma senza condizioni, allinterno delle quali il vincitore aveva abrogato ogni ordinamento
nazionale; erano soggetti solo al ius gentium e non avevano alcuna capacit di diritto privato nazionale la
lex Aelia assimil ai dediticii i manomessi di condotta turpe (dediticii Aeliani).
Con la concessione della cittadinanza romana ai socii italici (inizi I secolo a.C.) divennero cives Romani
anche i Latini priscii e i Latini coloniarii dei territori italici. Con la costituzione di Caracalla la cittadinanza fu
estesa a tutti gli abitanti liberi dell'impero (tranne Latini Iuniani e peregrini dediticii). Con Giustiniano la
cittadinanza fu ampliato a tutti gli abitanti liberi dell'impero senza eccezioni.
Status familiae
Per avere piena capacit giuridica, oltre a essere liberi e cittadini romani, occorreva anche avere lo status
familiae di persona sui iuris = persona non soggetta ad alcun tipo potest (che sia dominium, mancipium,
manus, patria potestas). La persona alieni iuris al contrario sottoposta a potest: dominium per gli schiavi,
mancipium per le persone in causa mancipii, patria potestas per i filii familias, manus per le donne per le
quali avesse avuto luogo una conventio in manum.
Familia un termine con diversi significati; la familias cui ci si riferisce parlando di status familiae la familia
proprio iure dicta = gruppo unitario composto da una sola persona sui iuris (libera e cittadina romana) e, se
quella di sesso maschile, anche dai filii e dalle donne in manu (anch'essi liberi e cittadini romani)
assoggettati alla sua potest. La familia in questo senso istituzione del ius civile in senso stretto.
Le persone sui iuris potevano esserlo indipendentemente dallet o dal sesso. Tuttavia solo i patres familias
(sui iuris maschi) potevano avere filii sotto la propria potestas o esercitare la manus su una donna. La donna
sui iuris era invece l'unica componente della propria familia (non poteva avere alcuna potest), dunque era
familiae suae et caput et finis. Anche un cittadino romano maschio sui iuris poteva non avere persone sotto
la sua potest (caso del nato postumo o del bimbo al quale fosse morto il padre). Il presupposto della familia
era il matrimonio.
Il matrimonio legittimo (iustae nuptiae)
Esso era il presupposto per la costituzione di una familia proprio iure dicta. Al giorno d'oggi il matrimonio
un negozio giuridico che dura fino alla morte di un coniuge o fino all'annullamento/scioglimento; invece il
matrimonio romano consisteva nella convivenza stabile di due persone di sesso diverso con la volont
costante di vivere in unione monogamica come marito e moglie (volont che detta affectio maritalis).
Senza questa affectio non si aveva matrimonio ma concubinato il matrimonio cessava quindi per
l'impossibilit materiale di continuare la convivenza, oppure per la separazione dei coniugi in quanto venuta
meno l'affectio maritalis (divortium). Non era richiesto alcun rito n per la costituzione n per l'annullamento;
il matrimonio fu sempre visto con grande rispetto dai romani. Al matrimonio poteva accompagnarsi la
conventio in manum, a seguito della quale la moglie cadeva in manu al marito = la moglie passava dalla sua
famiglia d'origine a quella del marito e perdeva iure civili i legami con i parenti originari. La conventio in
manum poteva anche non avvenire, e la moglie cos non mutava status (restava sotto il suo pater familias
oppure sui iuris) e restava estranea alla nuova famiglia. Si parl in quest'ultimo caso di matrimonio sine
manu, nel caso di conventio invece di matrimonio cum manu. All'inizio erano quasi tutti cum manu, mentre
poi essi scomparvero nell'epoca successiva al principato.
Condizioni giuridiche per l'esistenza del matrimonio legittimo
connubium: attitudine a vivere in matrimonio legittimo con l'altro coniuge (una sorta di capacit
civile). Il connubium esisteva tra i cittadini romani di regola. Il divieto di connubium tra patrizi e plebei
fu rimosso dalla lex Canuleia del 445 a.C. Il connubium era di solito concesso anche ai Latini priscii.
Quando fu estesa la cittadinanza a tutti gli abitanti dell'impero il connubium perse significato.
Connesso al connubium il divieto di matrimonio tra parenti in linea retta fu sempre vietato senza
limiti di grado, in linea collaterale fu prima vietato entro il sesto grado, poi entro il quarto, poi entro il
terzo. CI fu una deroga per permettere a Claudio di sposare Agrippina (si consent il matrimonio con
la figlia del fratello). I matrimoni tra gli affini (parenti dell'altro coniuge) erano proibiti in linea retta in
et classica, poi in et postclassica furono vietati in linea collaterale entro il secondo grado.
Altri divieti al connubium furono: con Augusto si viet il matrimonio tra ingenui e donne di cattiva
reputazione (prostitute etc), oltre che tra senatori e liberte/donne di teatro.
et pubere (et in cui si ha capacit di generare) per le femmine 12 anni, per i maschi 14 anni.
una capacit naturale necessaria per l'esistenza del matrimonio, la cui finalit procreare
consenso: il matrimonio si costituiva quando tra gli sposi si stabiliva la convivenza con affectio
maritalis. Quando gli sposi (o anche uno solo dei due) erano filii familias, serviva il consenso dei due
patres.
Il lutto vedovile: vietato alla vedova un nuovo matrimonio prima del decorso del tempus lugendi, dieci mesi
dalla morte del marito (in et postclassica un anno), per evitare dubbi sulla paternit di eventuali nati dopo il
precedente matrimonio. La violazione del lutto vedovile non comprometteva l'esistenza del nuovo
matrimonio legittimo, ma comportava sanzioni esse erano dapprima di carattere sacrale, poi un editto
pretorio stabil l'infamia (sia per la vedova sia per chi avesse responsabilit sul suo matrimonio prematuro),
la perdita dei lasciti del suo primo marito e infine la perdita della capacit di acquisto mortis causa da terzi.
Struttura del matrimonio romano
In presenza di affectio maritalis, l'inizio della convivenza segnava il momento in cui il matrimonio si costituiva.
Per il mantenimento, la convivenza non doveva venire interrotta: essa perdurava finch perdurava in
entrambi i coniugi l'affectio maritalis. Il matrimonio romano era strettamente monogamico, dunque per
stabilire un nuovo matrimonio bisognava sciogliere quello precedente (altrimenti il secondo matrimonio non
era esistente e il bigamo incorreva nell'infamia). Come provare l'esistenza dell'affectio maritalis? Essa si
desumeva per esempio 1) dal fatto che si erano svolti riti e festeggiamenti per le nozze (es. deductio in
domum mariti, rito per cui la donna era portata simbolicamente dentro casa del marito), 2) dalla preesistenza
di sponsali, 3) dalla costituzione della dote, 4) in et cristiana dall'avvenuta benedizione in chiesa.
Effetti matrimonio
1) solo i figli nati da iustae nuptiae sono figli legittimi e cadono sotto la patria potestas del padre
2) la donna acquista la dignit sociale e giuridica del marito (honor matrimonii)
3) il marito ha l'actio iniurarum per le offese arrecate alla moglie
4) i coniugi sono esonerati dal dovere di testimoniare uno contro l'altro
5) nasce un dovere reciproco di fedelt fra i coniugi. Linfedelt della moglie configurata come
adulterio, per il quale la donna pu essere uccisa dal marito fin dall'et arcaica
6) tra marito e moglie nascono reciproche aspettative successorie
7) sono vietate le donazioni fra coniugi, pena la nullit
8) viene esclusa lazione penale di furto fra marito e moglie, ma viene data l'actio rerum amotarum (rei
persecutoria e non infamante) per le cose che la moglie avesse sottratto al marito in vista del
divorzio. Il marito ha sempre il beneficium competentiae contro ogni azione contrattuale della moglie.
Le azioni giudiziarie tra marito e moglie possono riguardare anche fatti accaduti durante il
matrimonio, ma possono essere esercitate solo una volta sciolto.
Scioglimento del matrimonio
Il matrimonio si scioglieva quando tra i coniugi veniva meno il connubium, quindi con la perdita della libert o
della cittadinanza di uno dei due coniugi, con la sua captivitas, esilio o deportazione. Esso poteva sciogliersi
ovviamente anche per la morte di uno dei due coniugi, oppure quando veniva meno l'affectio maritalis e si
interrompeva la convivenza (divortium o, se unilaterale, ripudium). Non erano richieste formalit per lo
scioglimento; era uso pronunciare certe formule in caso di ripudio o compiere gesti simbolici, ma non erano
essenziali. Nel caso per del matrimonio cum manu bisogna specificare che, per estinguere la manus sulla
moglie, bisognava ricorrere a dei negozi formali (ma riguardavano la manus, non il matrimonio in s).
Il divorzio determinava lo scioglimento del matrimonio qualunque ne fosse la causa, ma il ripudio della
moglie senza gravi motivi era colpito da sanzioni patrimoniali; le cause valide di ripudio erano per esempio
adulterio, veneficio della prole, sottrazione delle chiavi della cantina. In et repubblicana invece contro i
divorzi ingiustificati interveniva il censore.
In et postclassica, per influsso del Cristianesimo, cambi il regime classico del divorzio (fu ostacolato ma
non abolito). Innanzitutto, nessun ostacolo si oppose al divorzio per mutuo consenso; il ripudio venne
ritenuto lecito solo nei casi di divortium bona gratia, in presenza di motivi ritenuti validi e non imputabili ad
alcuno dei coniugi (vita claustrale di un coniuge, impotenza, scomparsa, deportazione...). Il divorzio venne
poi anche consentito in ipotesi di comportamento gravemente colpevole dellaltro coniuge (adulterio moglie,
concubinato marito, essersi macchiati di gravi crimina). In ogni altra ipotesi il ripudio sarebbe stato illecito
perch sine causa: il matrimonio si sarebbe sciolto comunque, ma il coniuge che aveva voluto il divorzio era
colpito da sanzioni varie, dalla perdita della dote alla deportatio in insulam. Si richiese poi che la volont di
divorziare venisse manifestata per iscritto e notificata al coniuge mediante linvio di un libellus repudii, o
manifestata dinanzi a testimoni, altrimenti il matrimonio restava valido. Questo segna il progressivo
allontanamento dall'idea di matrimonio come fatto in s della convivenza, e l'avvicinamento alla concezione
di matrimonio come vincolo giuridico che pu durare a prescindere dalla volont.
Il matrimonio dapprima si poteva sciogliere anche per l'intervento del pater familias della donna che
sottraesse la figlia alla casa coniugale (solo nel caso di matrimonio sine manu); in seguito ci fu vietato.
La dote
La dote (dos) consisteva in una o pi cose o diritti che la moglie (dote adventicia) o il suo pater familias (dote
profecticia) o un terzo conferivano al marito; il termini poteva anche indicare una possibile causa di negozi
astratti, potendo essi venir impiegati dotis causa (per la costituzione di dote). La funzione originaria della
dote era di compensare (nei matrimoni cum manu) la figlia delle aspettative ereditarie che perdeva rispetto
alla famiglia d'origine; per i giuristi classici invece essa rappresentava un contributo per il marito per
sostenere i pesi del matrimonio (giovava direttamente al marito, indirettamente alla moglie). Visto che, sciolto
il matrimonio, la dote andava restituita alla moglie, essa aveva anche la funzione di mantenimento della
moglie se vedova/divorziata.
I metodi di costituzione della dote erano:
datio dotis, ossia il trasferimento di propriet in favore del marito; pertanto l'espressione datio dotis
indica un effetto reale (non un negozio), in quanto essa una forma reale di costituzione della dote.
Si realizzava tramite mancipatio, in iure cessio o traditio (dove la dote era causa esterna, dunque il
negozio era dotis causa)
promissio dotis, ossia una stipulatio compiuta dotis causa. Era dunque un negozio giuridico che si
effettuava in favore del marito, il quale era stipulante (e pertanto creditore). La promissio dotis
quindi una forma obbligatoria di costituzione della dote dopo il matrimonio, per l'adempimento, il
marito poteva far ricorso all'actio ex stipulatu; per di fronte ad essa il promittente avrebbe potuto
invocare il beneficium competentiae.
dotis dictio, negozio solenne esclusivo della dote e dunque causale, che prevede la pronunzia di
certa verba da parte del solo costituente. L'effetto era soltanto obbligatorio, il marito sarebbe
diventato creditore e avrebbe avuto unactio in personam di ius civile per ladempimento.
La dote poteva essere costituita prima del matrimonio oppure durante il matrimonio. Se costituita prima, dotis
dictio e promissio dotis si intendevano compiute sotto condizione sospensiva che il matrimonio avesse luogo
(se dunque il marito agiva prima del matrimonio o a matrimonio mancato, l'azione era respinta). La datio
dotis invece produceva immediatamente i suoi effetti (salvo la condictio per cui, in caso di assenza di
matrimonio, fosse venuta meno la causa della datio).
Poich la dote avveniva con datio, promissio o dictio, il marito diventava titolare dei beni e diritti dotali, ma in
ambito sociale la dote era considerata res della donna (da qui l'obbligo per il marito di restituire la dote dopo
lo scioglimento del matrimonio). Agli inizi dell'et classica la lex Iulia de fundo dotali viet al marito di alienare
beni immobili dotali senza il consenso della moglie, pena la nullit dellatto. I giuristi classici espressero l'idea
per cui, se da un lato titolare dei beni dotali era il marito, dall'altro la dote apparteneva alla moglie. Il marito,
una volta sciolto il matrimonio, aveva lobbligo di restituire la dote: spesso egli prometteva tramite stipulatio al
costituente la restituzione (da qui l'actio ex stipulante contro il marito che non restituisse la dote). Dall'et
repubblicana si riconobbe alla moglie o al suo pater familias il diritto alla restituzione della dote, perseguibile
con l'actio rei uxoriae strutturata con formula in ius: la formula era con oportere, e quindi in personam e in
ius; il giudice era invitato a tener conto di ci che sar pi buono e pi equo (per questo l'azione
considerata inclusa nell'elenco dei iudicia bonae fidei); l'azione presupponeva che il matrimonio fosse stato
sine manu, ed era esperibile solo una volta sciolto il matrimonio; l'esercizio dell'azione spettava alla moglie o
al suo pater familias; l'azione non si trasmetteva agli eredi (questo dimostra come il diritto alla restituzione
della dote fosse un diritto personale della moglie, ed eventualmente del suo pater familias). Se il marito, per
suo dolo o colpa, avesse comportato un danneggiamento della dote ne era anche responsabile a fronte
dell'actio rei uxoriae. Egli per godeva del beneficium competentiae, quindi avrebbe potuto restituire la dote
a rate; in certi casi avrebbe anche potuto avvalersi di retentiones trattenendo parte della dote:
retentio propter liberos, con la quale si riconosceva al marito un contributo per mantenimento ed
educazione dei figli rimasti a suo carico (se il divorzio era dipeso da una colpa della moglie o se il
suo pater familias aveva voluto lo scioglimento del matrimonio): il contributo era di 1/6 per ciascun
figlio, non oltre per la met della dote
retentio propter mores, la quale sanzionava la cattiva condotta della moglie (solo se il matrimonio si
era sciolto per motivi a lei imputabili): 1/6 0ppure 1/8 della dote a seconda della gravit
retentio propter res donatas, la quale spettava al marito qualunque fosse la causa della fine del
matrimonio; l'importo corrispondeva a quanto il marito aveva donato alla moglie durante le nozze (rif.
divieto di donazione tra coniugi)
retentio propter res amotas, la quale spettava al marito in misura pari al corrispettivo di quanto la
moglie avesse sottratto dalla casa del marito in vista del divorzio
retentio propter impensas, la quale riguardava le spesa che il marito aveva erogato sui beni dotali
(spettava al marito qualunque fosse stata la causa di scioglimento del matrimonio) le spese
necessarie che aveva sostenuto il marito erano quelle che evitavano il deterioramento dei beni
(spese totalmente recuperate dal marito), le spese utili erano quelle che miglioravano la redditivit
dei beni (il marito le recuperava solo su autorizzazione della moglie) e le spese voluttuarie erano
quelle di mero abbellimento (non recuperate dal marito).
Le prime due avevano carattere etico e potevano essere opposte dal solo marito, le altre erano di natura
patrimoniale (quindi il diritto di opporle si trasmetteva agli eredi).
Con Giustiniano
1. scomparve la dotis dictio, mentre la datio, venute meno mancipatio e in iure cessio, si realizzava
comunque con la traditio dotis causa. Per la promissio i verba della stipulatio non furono pi
necessari (sufficiente la forma scritta)
2. si stabil l'obbligo giuridico del pater di dotare la figlia, e si affermo ancora di pi l'appartenenza della
dote alla moglie (il diritto di lei fu detto naturale dominium). A tutela del suo diritto, la moglie ebbe
un'actio in rem e si rese assoluto il divieto del marito di alienare immobili dotali (neanche col
consenso della moglie). Si stabil che la moglie avesse ipoteca generale sui beni del marito per
consentire il mantenimento della donna dopo la fine del matrimonio.
3. La dote, sciolto il matrimonio, a volte doveva essere volta a favore dei figli la dote passava ai figli
se la fine del matrimonio era dipeso da morte della moglie o divorzio determinato da un
comportamento colpevole di lei (il marito ne manteneva il godimento).
4. Fu abolito il sistema delle retentiones (anche se il marito poteva avvalersi di altri strumenti per fare le
stesse cose); il marito mantenne il beneficium competentiae
5. Fu soppressa l'actio rei uxoriae e fu sostituita con un'actio ex stipulatu, la quale prescindeva dalla
circostanza se ne fosse stata stipulata la restituzione: la stipulatio infatti poteva mancare e si
presumeva che fosse stata fatta ad essa fu esteso il regime dei iudicia bonae fidei (a differenza
dell'actio ex stipulatu effettivamente basata su stipulatio)
I filii familias
Erano liberi e cittadini romani, ma alieni iuris sottoposti alla patria potestas, e dunque dapprima privi di
capacit giuridica. Figli di famiglia si era per nascita o per adozione (da et preclassica anche per
legittimazione). Nascevano figli di famiglia i nati da un matrimonio legittimo, i quali cadevano sotto la patria
potestas del padre (se era sui iuris) o dell'avo paterno (se il padre era alieni iuris o se il padre moriva prima
della nascita). Il figlio nato postumo, ossia dopo la morte del proprio padre naturale che fosse sui iuris,
diventava direttamente sui iuris. Si diventava figli di famiglia per adozione; esistevano due tipi di adozione:
1. adrogatio era l'adozione di un sui iuris, il quale cessava di essere tale e cadeva sotto la patria
potestas dell'adrogante cos da entrare nella sua familia come filius familias. Anche le persone libere
che erano sotto la potest dell'adrogato cadevano sotto la patria potestas dell'adrogante, il quale
diventava titolare dei beni e dei diritti trasmissibili dell'adrogato (successione universale inter vivos); i
debiti precedentemente contratti dall'adrogato invece si estinguevano (anche se il pretore diede ai
creditori dell'adrogato un'actio utilis rescissa capitis deminutione, per la quale il giudice avrebbe
giudicato come se l'adrogatio non vi fosse stata). L'adrogatio era un negozio solenne con la
partecipazione dei comitia curiata (assemblea popolare di 30 curie), i quali per l'occasione erano
presieduti da un pontifex. Egli, avendo gi compiuto le indagini necessarie, interrogava (rogabat) i
soggetti interessati sulle rispettive volont di adrogare ed essere adrogato. A risposta positiva,
rivolgeva rogatio al popolo, il quale dava il proprio consenso per perfezionare l'atto. Le donne erano
escluse dai comizi, quindi non potevano essere adrogate n potevano adrogare (anche perch non
avrebbero potuto esercitare patria potestas sull'adrogato). In teoria l'adrogato poteva anche essere
beni acquistati in relazione al servizio militare); questa facolt fu estesa anche ai veterani, ossia i filii
dimessi dalla militia. Presto si ammise che il filius potesse disporre di questi beni, oltre che mortis
causa, anche inter vivos a titolo oneroso o gratuito. Il pater familias non poteva avocare a s quei
beni. Dunque, a differenza del peculio ordinario che restava del padre, il peculio castrense venne
considerato appartenente al filius: il filius cos pot anche contrarre crediti/debiti con il proprio pater e
con lui litigare in giudizio. La patria potestas mantenne significato in caso di morte del filius senza
testamento, poich il peculio castrense sarebbe andato al padre iure peculii (come se fosse peculio
ordinario).
peculio quasi castrense in et postclassica il regime del peculio castrense si estesa anche ai
guadagni, ai beni e ai diritti acquistati dal filius con i proventi ricavati dallesercizio di funzioni civili a
servizio dello Stato, dallesercizio di attivit forensi e del sacerdozio
bona adventicia in et postclassica il figlio ottenne la propriet dei beni provenienti da
successione materna (bona materna), poi anche dei beni provenienti comunque dal lato materno
(bona materna generis). Con Giustiniano di tutti i beni in ogni modo acquistati dal filius purch non
provenienti dal padre. Il loro proprietario era il filius, ma lamministrazione e il godimento di tali beni,
cosiddetti bona adventicia, spettava comunque al pater familias (che non li poteva alienare)
questa facolt del pater detta usufrutto legale. Il figlio poi poteva amministrarli e goderne
personalmente quando diventava sui iuris.
figli (come una sorella). Dunque gli stessi procedimenti per l'estinzione della patria potestas e per il
conseguimento della condizione sui iuris riguardavano anche la moglie in manu; per, per la cessazione
della manus, c' un ulteriore negozio detto diffarreatio (l'opposto della confarreatio).
Parentela il vincolo tra pi componenti della stessa familia proprio iure dicta era l'agnatio, una sorta di
parentela civile per cui non era necessario il vincolo di sangue (di solito esso c'era ma poteva anche non
esserci: non c'era tra pater e figlio adottivo, o tra pater e moglie in manu). Con la morte del pater familias, la
familia si divideva in tante nuove familiae quanti erano i nuovi soggetti sui iuris, ma i legami di agnatio non
venivano meno: si parla in tal caso di familia communi iure, ossia composta dell'insieme di persone libere
che sarebbero state sotto la potestas dello stesso pater familias se fosse stato ancora in vita. L'agnatio era
una parentela esclusivamente in linea maschile e riguardava solo i cives. Il vincolo di agnatio si estingueva
per effetto di emancipatio, datio in adoptionem, coemptio di una filia, conventio in manum, diffarreatio e
adrogatio. Si estingueva dunque anche per perdita della cittadinanza e della libert. La cognatio invece era
la parentela di sangue sia in linea maschile sia in linea femminile (non sempre cognatio e agnatio
coincidevano). La cognatio nel diritto di Giustiniano aveva gli stessi effetti giuridici dellagnatio, mentre prima
aveva meno rilievo giuridico.
La parentela, sia cognatio che agnatio, poteva essere in linea retta (ascendenti e discendenti tra loro, come
genitori-figli, nonni-nipoti) o collaterale (un ascendente in comune, come fratelli-sorelle, cugini tra loro).
Assumeva anche valore il grado di parentela per stabilirlo in linea retta si tiene conto delle generazioni
(genitori e figli di primo grado, nonni e nipoti di secondo grado); anche per stabilirlo in linea collaterale si
calcolano le generazioni, risalendo all'ascendente comune e poi discendendo al parente in relazione al quale
si vuole stabilire il grado (fratelli-sorelle di primo grado, zii-nipoti di terzo).
Affinit (adfinitas) legame che univa un coniuge con i parenti agnati e cognati dell'altro coniuge. Anche
essa poteva essere in linea retta o in linea collaterale, a secondo che il rapporto di parentela dell'altro
coniuge fosse in linea retta o collaterale; allo stesso modo per i gradi si guarda il grado di parentela dell'altro
(affini in linea retta di primo grado sono i suoceri rispetto a generi e nuore, affini in linea collaterale di
secondo grado ciascun coniuge con i fratelli e sorelle dellaltro coniuge).
Gli alimenti mezzi di sostentamento tra agnati e tra cognati. Dapprima non era pensabile che, in assenza
della costituzione di un'obbligazione su pretese alimentari da parte di due privati, un parente potesse
pretendere di essere sostentato dall'altro. Per, col progressivo riconoscimento di capacit giuridica e di
stare in giudizio ai figli, con il rilievo giuridico assunto dalla cognatio, si introdusse l'idea di sanzionare
pretese alimentari tra parenti stretti (I secondo d.C.): si afferm un reciproco dovere alimentare tra genitori e
figli (presto esteso a altri parenti in linea retta), a prescindere dal vincolo potestativo (quindi anche solo sulla
base di cognatio).
La capitis deminutio
Essa consiste nel mutamento del precedente status (familiae, civitatis o libertatis) per cui si spezzano i
precedenti vincoli di agnatio. Per questo esiste una tripartizione
Perdita status libertatis capitis deminutio maxima (es. libero che diventa schiavo)
Perdita status civitatis capitis deminutio media (es. cittadino che perde la cittadinanza)
Mutamento status familiae capitis deminutio minima (es. adrogatio, adoptio, emancipatio,
conventio in manum, diffarreatio)
Un effetto era per esempio che il testamento diveniva invalido se il testatore subiva capitis deminutio.
Limitazioni alla capacit giuridica
Non sempre alle persone libere, cittadine romane e sui iuris era assicurata capacit giuridica assoluta.
liberti e coloni avevano capacit giuridica limitata, tra patrizi e plebei fino ad un certo momento non
v'era connubium; inoltre, limitazioni varie alla capacit giuridica riguardarono appartenenti alla classe
senatoria, decuriones o curiales (componenti delle curie), membri di alcune corporazioni, magistrati
e militari, celibi, orbi (persone senza figli). Limitazioni pi gravi colpirono pagani, ebrei, eretici,
manichei e apostati (quasi privi di capacit giuridica).
Disistima sociale: colpiva le persone per comportamenti riprovevoli loro imputabili, per lesercizio di
determinate attivit o per la condanna subita in certi giudizi (es. persone dedite a mestieri turpi,
condannate per crimina, condannate in azioni famosae, debitori inadempienti). Un caso importante
quello di colui che, dopo aver fatto da testimone in un negozio per aes et libram, avesse rifiutato di
rendere testimonianza era detto improbus e intestabilis, quindi era reso incapace di fare e
ricevere testimonianza (quindi incapace anche di fare mancipatio e testamento).
Infamia e ignominia: comportavano gravi incapacit di diritto pubblico in conseguenza a
comportamenti riprovevoli soldati ignominiosi espulsi dall'esercito, bigami, responsabili di un
prematuro matrimonio della vedova (prima del compimento del lutto vedovile), persone a mestieri
turpi (prostitute, gladiatori), persone condannate in certi iudicia publica, persone condannate per
certe actiones dette infamanti o famosae (actio de dolo, actio furti etc.), debitori insolventi.
Gli infami avevano il divieto di postulare pro aliis (proporre istanze giudiziare nellinteresse altrui),
nominare cognitores e procuratores ad litem nellinteresse altrui
limitazioni per le donne: per il diritto pubblico era loro negata qualsiasi capacit. Per il diritto
privato, la maggiore limitazione era il fatto non potessero avere patria potestas (solo maschile):
questo era causa di una struttura famigliare patriarcale, del riconoscimento di agnatio solo in linea
maschile e dell'impossibilit per una donna di adrogare e adottare. Le donne non potevano
nemmeno essere tutori o curatori. Inoltre si fece divieto alle donne di postulare pro aliis, intercedere
pro aliis (assumere obbligazioni nell'interesse altrui) e di rappresentare altri in giudizio. Fu anche
stabilito che le donne non potessero essere istituite eredi in testamento da parte di cittadini ricchi
(divieto che venne meno durante il principato).
La capacit di agire
La capacit di agire l'idoneit ad operare direttamente nel mondo del diritto, dunque a compiere
personalmente atti giuridici, ed riconosciuta alle persone intellettualmente capaci. Essa era riconosciuta
anche agli alieni iuris per certi aspetti: i servi e i filii familias acquistavano all'avente potest e trasferivano la
propriet delle res peculiari. Per capire chi ha capacit di agire si guarda et e sanit mentale.
Capacit di agire con riferimento all'et: puberi e impuberi per quanto riguarda l'et, c' una distinzione tra
impuberi (coloro che non hanno raggiunto la capacit fisiologica di generare) e puberi (coloro che hanno
capacit di generare). Per le femmine 12 anni, per i maschi prima secondo l'ispezione corporale, poi 14 anni.
Gli impuberi si possono poi distinguere in infantes (fanciulli fino ai 7 anni, non ancora in grado di un eloquio
ragionevole) e infantia maiores (impuberi oltre i 7 anni). Ai puberi si riconosceva capacit di agire,
pienamente se maschi, meno se femmine; essa era negata del tutto agli infantes, riconosciuta in parte agli
infantia maiores (possono compiere solo negozi che comportano lacquisto di un diritto, non atti di
alienazione o atti dispositivi).
La tutela degli impuberi gli impuberi sui iuris erano soggetti a tutela, esercitata dal tutore sul pupillo (tutela
impuberis), la quale era istituto di ius civile. Essa poteva essere di tre tipi:
tutela legitima: le XII Tavolo chiamavano lagnatus proximus (agnato di grado pi vicino) come tutore
dell'impubere. Poteva essere legitima anche la tutela del patrono sul liberto o del parens
manumissor sull'emancipato impubere
tutela testamentaria: il pater familias, temendo di morire prima che il figlio raggiungesse la pubert,
poteva provvedere a nominare un tutore con la tutoris datio testamentaria
tutela dativa: il pretore aveva il potere di nominare, su istanza della madre o di altri congiunti, un
tutore allimpubere sui iuris che non ne avesse uno
La tutela riservato ai maschi (solo da et postclassica a volte anche donne) ha valore potestativo e
protettivo: il tutore esercita un potere nellinteresse della familia per la buona conservazione del patrimonio
familiare e al contempo assicura al pupillo assistenza e protezione.
Dapprima la tutela legitima poteva essere ceduta e dunque poteva essere oggetto di vindicatio (in quanto
colui che era chiamato ad essa, ossia l'agnatus proximus, era anche l'erede dell'impubere se fosse
premorto); il tutore testamentario invece poteva rinunciare alla tutela. Con la tutela dativa si neg la
possibilit di sottrarsi al compito di tutore, salvo valide excusationes (motivi di interesse pubblico per
esempio) per presentare queste excusationes si ricorreva ad un processo, al quale in et classica fu
affiancato anche un altro processo con le stesse finalit ma extra ordinem, la potionis nominatio (il tutore
stabilito poteva cos sottrarsi all'incarico indicando un altro tutore). La tutela cessava poi con il
raggiungimento dellet pubere del pupillo.
Poteri del tutore: il principale era l'auctoritas, per cui il tutore era legittimato ad intervenire negli atti negoziali
del pupillo infantia maiores interponendo la sua dichiarazione di volont integrativa alla volont del pupillo.
Dopodich il tutore aveva il potere di gestione autonoma del patrimonio pupillare, il potere di acquistare e
trasferire il possesso nellinteresse del pupillo con effetti imputati direttamente allimpubere a ci fu posto
un limite con l'oratio Severi, che pose il divieto al tutore di alienare fondi rustici e suburbani appartenenti al
pupillo (rimase al tutore il potere di alienare beni di scarso valore)
Responsabilit del tutore: cessata la tutela, il tutore doveva rendere conto della gestione tutelare. Esisteva
l'actio rationibus distrahendis, un'azione penale data allex pupillo contro lex tutore per gli abusi compiuti
dolosamente a danno del patrimonio pupillare (era un'azione in duplum, cio la pena era il doppio del valore
delle cose sottratte al pupillo). In et preclassica fu anche riconosciuta l'actio tutelae, azione reipersecutoria
data all'ex pupillo contro l'ex tutore: era un giudizio di buona fede, un'actio la cui intentio esprimeva un
oportere ex fide bona essa era infamante e comportava che il tutore fosse obbligato a trasferire gli
acquisti fatti a nome proprio e nellinteresse del pupillo, e a rispondere di pregiudizi patrimoniali a danno del
pupillo a dolo o colpa del tutore stesso. C'era poi l'actio tutelae contraria (non infamante), che spettava al
tutore contro il pupillo per il rimborso delle spese connesse alla gestione tutelare. Per la tutela legitima e
dativa esisteva inoltre la cautio rem pupilli salvam fore, ossia una stipulatio con cui il tutore, all'inizio della
tutela, prometteva che avrebbe indennizzato il pupillo di ogni danno patrimoniale derivatogli dal una scorretta
amministrazione della tutela.
La cura minoris per i minori di 25 anni
Con la crescita dell'economia si avvert il pericolo legato al fatto che dei giovani, appena puberi, potessero
obbligarsi, alienare beni, affrancare servi etc., col rischio che altri approfittassero della loro inesperienza.
Dunque nel 200 a.C. una lex Laetoria istitu lactio legis Laetoriae contro quanti, negoziando con un minore
di 25 anni pubere e sui iuris, lavessero raggirato: era penale, infamante, spettava a ogni cittadino (era una
delle actiones populares), la pena era pecuniaria e scomparve in et postclassica.
Nell'ultima repubblica pretore propose ulteriori rimedi in favore del minore che avesse compiuto negozi a lui
pregiudizievoli: lexceptio legis Laetoriae se il negozio non ha ancora avuto esecuzione, la in integrum
restitutio propter aetatem a negozio eseguito (che dava al minore gli strumenti per vanificare gli effetti del
negozio) questi due rimedi non presupponevano necessariamente che il minore fosse stato raggirato, ma
bastava che nel negozio avesse subito un pregiudizio patrimoniale.
Dall'et repubblicana fu nominato dal pretore un curatore per l'adolescente, con il compito di assisterlo nella
gestione degli affari e di prestare il proprio consenso (curator minoris). Il consenso del curatore non era
necessario per la validit degli atti del minore, ma rappresentava per i terzi una garanzia perch al minore
poi sarebbe stato impossibile invocare la propria inesperienza per vanificare gli effetti dell'atto. Il curator
poteva anche gestire direttamente il patrimonio dell'adolescente; gli effetti dei negozi in tal caso erano in
capo al curatore, salvo poi trasferirli al ragazzo.
Il rapporto tra il curator e il minore rientrava nella negotiorum gestio, con ricorso alle actiones negotiorum
gestorum tra le due parti (diretta se a favore dell'amministrato, contraria se a favore del curatore).
La venia aetatis: secondo essa, a partire da et classica, il minore di 25 anni pot amministrare liberamente
il proprio patrimonio e gestire liberamente i propri affari (come se non fosse un minore), senza assistenza di
un curatore e senza per poter invocare i rimedi pretori in favore degli adolescenti. Costantino stabil che a
beneficiare della venia aetatis potessero essere i maschi di almeno 20 anni e le femmine di almeno 18.
Capacit di agire con riferimento alla sanit mentale: furiosi e prodigi
La capacit di agire negata ai furiosi (infermi di mente, senza capacit di intendere e di volere) e ai prodigi
(incapaci di amministrare i propri beni per inettitudine pratica, con tendenza allo sperpero): ai furiosi era per
riconosciuta la capacit di agire nei momenti di lucidit oppure con la guarigione, mentre i prodigi potevano
compiere soltanto quei negozi per loro vantaggiosi (d'acquisto). Queste due categorie di persone, se sui
iuris, erano soggette a cura era l'agnatus proximus che rientrava nella figura del curator furiosi o del
curator prodigi (cura legitima); quando questo mancava, allora era il magistrato a nominare un curator (cura
honoraria). I compiti del curator furiosi riguardavano sia la persona sia il patrimonio (poteva anche alienare
cose), quelli del curator prodigi solo il patrimonio. Per eventuali responsabilit e crediti dei curatori c'erano le
azioni negotiorum gestorum (dirette o contraria a seconda di chi agiva).
Sordi, muti e altri soggetti colpiti da certe malattie croniche invalidanti erano capaci di agire per il diritto, ma
impediti ad operare nel mondo del diritto nomina curatori speciali.
La tutela mulieris
A Roma c'era una grande differenza tra la condizione giuridica e la condizione sociale della donna; dal lato
giuridico essa era nettamente subordinata all'uomo, dal lato sociale godeva di grande considerazione e
dignit (anche se non era vista comunque al pari dell'uomo). In et repubblicana pare ci fosse
partecipazione della donna alla vita pubblica (anche se era incapace per diritto pubblico), con anche delle
manifestazioni pubbliche femminili.
Le donne sui iuris e puberi erano dapprima soggetto alla tutela mulieris; dunque, una volta liberate dalla
patria potestas, passavano subito sotto la tutela del tutor mulieris. La donna impubere sui iuris invece era
soggette alla tutela impuberis fino a quando, raggiunti i 12 anni, passava a quella mulieris. Questo tipo di
tutela poteva essere legitima (agnatus proximus), testamentaria (persona designata dal pater) o dativa
(persona designata dal pretore). Il tutor mulieris non gestiva il patrimonio della donna, i suoi compiti erano
soltanto di assistenza e controllo della gestione del patrimonio. Quindi la donna pubere e sui iuris poteva
compiere da sola negozi, matrimoni, trasferimenti del possesso, ma non poteva compiere atti di disposizione
n assumere obbligazioni (per essi il tutor doveva interporre l'auctoritas). Dall'ultima et repubblicana la
tutela mulieris perse significato. Gi da prima si era ammesso che nel testamento il pater familias potesse
dare alla figlia un tutore scelto da lei stessa, ossia per il quale ella avesse fatto optio tutoris si parlava
dunque di tutor optivus. Lo stesso effetto la donna pot ottenere pi tardi con la coemptio fiduciaria tutelae
evitandae causa: la donna faceva coemptio di se stessa a una persona di fiducia, che l'acquistava in manu
per poi manciparla alla persona che la donna voleva come tutore; quest'ultima persona poi la manometteva
e diventava cosi parens manumissor, cio tutore legittimo (detto tutore fiduciario). La coemptio fiduciaria era
usata anche per permettere alle donne di fare testamento (coemptio fiduciaria testamenti faciendi gratia),
cosa che non fu pi necessaria quando un senatoconsulto al tempo di Adriano concesse alle donne di fare
testamento con l'auctoritas del tutore. Al tempo di Augusto, la lex Iulia et Papia Poppaea stabil che le donne
con 3 figli (se ingenue) o 4 figli (se liberte), avessero il ius liberorum = diritto per cui erano esonerate dalla
tutela e avevano piena capacit di agire. Nel 410 d.C. il ius liberorum fu dato a tutte le donne in quanto ormai
esse potevano scegliersi il tutore e avevano anche la possibilit di costringerlo a dare l'auctoritas (quindi la
tutela mulieris ormai non aveva pi significato).
individuabili per l'appartenenza a un genus, una categoria. Le cose di specie sono cose perfettamente
individuate di cui ognuna costituisce una specie. La distinzione rilevante per quanto riguarda le
obbligazioni.
Cose consumabili e cose inconsumabili
Le cose consumabili sono dette cose che si consumano con l'uso, e quindi suscettibili di una sola
utilizzazione (quando si utilizzano se ne distrugge l'essenza, nel caso delle merci alimentari, o le si aliena,
nel caso del denaro). Le cose che consentono invece un uso continuato sono dette inconsumabili. E'
importante la distinzione perch alcuni diritti o contratti (usufrutto, uso, comodato) potevano avere a oggetto
solo cose inconsumabili.
Cose divisibili e cose indivisibili
Le cose divisibili sono quelle suscettibili di divisione materiale senza perire e senza apprezzabile pregiudizio
economico, le altre sono indivisibili. Questo rilevanti ai fini della divisione di cose comuni.
Cose semplici, composte e collettive
Le cose semplici costituiscono una unit naturale (es. schiavo, trave, pietra); le cose composte sono quelle
costituite da pi cose semplici tra loro unite artificialmente ma riconoscibili (es. edificio, nave); le cose
collettive sono pi cose semplici non congiunte ma considerate collettivamente (es. gregge, biblioteca).
Pertinenze e partes
Il nostro codice civile definisce le pertinenze come cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un'altra cosa; il concetto di pertinenza nasce nel Medioevo e dunque non nel diritto romano.
Secondo le fonti romane la pars (parte) che segue giuridicamente la sorte della cosa cui appartiene, ma
l'idea di pars non corrisponde a quella di pertinenza. Per pars si intendeva una porzione di materia concepita
non come indipendente ma come elemento di una cosa s che questa senza di essa non sarebbe stata
integra. Le cose che non erano partes invece mantenevano la propria autonomia, come per esempio gli
attrezzi per coltivare un fondo: l'alienazione o il legato di un fondo non si estendevano ad essi.
I frutti
I frutti (fructus) sono stati distinti dagli interpreti in frutti naturali (parti staccate dalla cosa che ne costituiscono
il reddito normale) e frutti civili (corrispettivo che si ottiene concedendo la cosa ad altri in godimento). I
romani consideravano propriamente frutti solo quelli naturali, cio i prodotti delle piante e degli animali, i
quali diventavano effettivamente frutti quando separati dalla cosa madre (prima ne erano partes). Fu invece
oggetto di disputa la questione se i parti della schiava fossero o meno frutti gi in et repubblicana
quando emerse la questione prevalse l'idea che non lo fossero. Erano invece frutti le attivit lavorative degli
schiavi (operae servorum).
I diritti reali
I diritti soggettivi patrimoniali (cio suscettibili di valutazione economica) si dividono in diritti reali e diritti di
credito (da cui deriva la classificazione di negozi a effetti reali e negozi a effetti obbligatori).
I diritti reali sono i diritti soggettivi su una cosa a carattere assoluto, opponibili a tutti i membri della collettivit
(erga omnes); dunque tutti i consociati devono evitare comportamenti che siano in contrasto con tale diritto.
Al contrario i diritti di credito (parte attiva dell'obbligazione) sono diritti patrimoniali relativi per cui, a fronte di
uno o pi creditori, stanno uno o pi debitori; i debitori devono adempiere ad una prestazione, che pu
anche consistere in un comportamento positivo in favore dei creditori. Dunque la differenza questa: i diritti
reali hanno carattere assoluto e dal lato passivo un contenuto sempre negativo, mentre i diritti di credito
hanno carattere relativo e dal lato passivo un contenuto che pu essere positivo.
Il diritto reale per eccellenza la propriet: essa attribuisce al titolare un potere potenzialmente illimitato al
godimento e alla disposizione del bene che ne oggetto. Su una stessa cosa, oltre al diritto reale, possono
gravare anche i cosiddetti diritti reali limitati, o diritti su cosa altrui essi vengono classificati in diritti reali di
godimento (attribuiscono al titolare facolt di godimento pi o meno limitate sulla cosa altrui) o di garanzia
(conferiscono al titolare il diritto di soddisfare un proprio credito rivalendosi su una cosa altrui in caso di
inadempimento del debitore). Nei diritti reali limitati il carattere reale emerge perch nulla vieta al proprietario
di compiere atti di disposizione in ordine alla cosa, che saranno validi anche in presenza di diritti reali limitati.
Per esempio, se la cosa gravata da usufrutto, l'alienazione di essa da parte del nudo proprietario valida e
l'acquirente acquister solo la nuda propriet, mentre l'usufrutto continuer a gravare sulla cosa e sar
opponibile al nuovo proprietario l'usufrutto in quanto diritto reale un diritto sulla cosa, non un diritto
rispetto al quale obbligato solo il nudo proprietario.
I romani operarono in modo netto la distinzione tra actiones in rem e actiones in personam; inoltre definirono
obligatio ogni rapporto sottostante alle actiones in personam. Quanto alle actiones in rem, i diritti a ciascuna
di esse sottostanti appaiono gi definiti con un nome proprio: dominium in relazione alla rei vindicatio,
usufrutto in relazione alla vindicatio usus fructus, servit in relazione alle vindicationes servitutis. Manca per
una rappresentazione unitaria e dal punto di vista sostanziale (non processuale) di tutti i diritti soggettivi
tutelati da azioni reali manca l'idea esplicita del diritto reale. Inoltre, per il diritto romano, i diritti reali erano
tipici e il loro numero fu sempre contenuto per non nuocere alla libera circolazione dei beni con l'imposizione
di troppi vincoli alla propriet privata quale il moltiplicarsi dei diritti reali avrebbe comportato.
Propriet
La propriet un diritto soggettivo reale per cui al proprietario si riconosce sulla cosa che ne oggetto una
signoria generale. Le facolt astratte del proprietario sono moltissime, e rientrano nell'idea del godimento e
della disponibilit pieni ed esclusivi del bene oggetto di propriet. Queste facolt possono in concreto subire
limitazioni, di cui quelle imposte dall'ordinamento giuridico sono dette limitazioni legali; esistono per anche
limitazioni volontarie ad opera del proprietario, per effetto della costituzione sulla cosa di diritti reali limitati a
favore di altri; le facolt di godimento del proprietario tornano piene quando vien meno la causa delle
limitazioni concetto di elasticit della propriet (si comprime e si espande).
Il diritto di propriet una spettanza, non necessariamente una signoria attuale sulla cosa, ma piuttosto un
diritto al godimento e alla disposizione: tale diritto prescinde dall'effettivo esercizio, non si perde per il fatto in
s che non venga esercitato, ma sussiste sin quando non si verifichi un fatto che ne determini lestinzione
(es.usucapione) questo significa che il proprietario in genere anche possessore della cosa, ma pu non
esserlo e restarne il proprietario (in quanto mantiene il diritto al possesso). Il possesso invece uno stato di
fatto inscindibile dall'effettivo esercizio, e questo lo differenzia dalla propriet.
Il concetto di propriet era dapprima reso con l'idea semplice di appartenenza la cosa mia e, per dire che
era un potere legittimamente costituito, si aggiungevano le parole ex iure Quiritium. Nella tarda et
repubblicana la propriet fu indicata con l'espressione dominium ex iure Quiritium (dominio quiritario), e con
il termine dominus fu indicato il proprietario; l'uso dei termini proprietas e proprietarius invece pi tardo (et
classica). L'idea di appartenenza rimase anche in presenza della nuova terminologia. La res in diritto romano
fu considerata un tutt'uno con il diritto di propriet sulla res stessa, proprio per l'identificazione tra la cosa
mia e la cosa di mia propriet per questo il diritto di propriet incluso tra le res corporales.
Il dominium quiritario era un istituto del ius civile e poteva spettare solo ai cittadini romani (propriet civile); si
parlava per di dominium anche per la cosiddetta propriet pretoria (diverso regime). Ai peregrini per si
dava la possibilit di acquistare una situazione dominicale in virt dei modi di acquisto iuris gentium della
propriet (occupatio, traditio etc.); se avessero avuto ius commercii, anche con mancipatio non avrebbero
per acquistato la propriet civile ma un potere analogo detto propriet peregrina.
La propriet civile poteva avere come oggetto, se si trattava di immobili, solo quelli in suolo italico; invece il
potere dei privati sui fondi provinciali (qualificato possessio), corrispondeva in sostanza al potere del
dominus ed era detta propriet provinciale. Con Giustiniano, la propriet provinciale fu assimilata a quella
civile e furono soppresse le differenze tra propriet civile e pretoria.
Il dominium ex iure Quiritium
L'espressione ex iure Quiritium indicava il fatto che l'affermazione la cosa mia trovava fondamento nel
nucleo pi antico del ius civile, dunque titolari del dominium erano solo i cives. L'oggetto del dominium erano
invece le cose corporali (per gli immobili solo quelli in suolo italico o con ius italicum). Sembra che i
giureconsulti romani vedessero il dominium ex iure Quiritium come un potere assoluto e illimitato, come
diritto di usare e abusare della cosa propria (ius utendi et abutendi re sua). sicuramente vero che per lungo
tempo la propriet civile fu esente da tributi grazie al dominium ex iure Quiritium; solo con Diocleziano furono
messe delle imposte sui beni immobili il dominium sui beni immobili era assoluto, si estendeva sia in
altezza che in profondit: il proprietario di un fondo dunque aveva diritto anche al sottosuolo (diritto di
sfruttare cave e miniere) e, secondo il principio superficies solo cedit (la superficie accede al suolo) era
proprietario anche di tutto quanto era incorporato al suolo (piante, edifici). Ciononostante al dominium
quiritario furono imposte delle limitazioni legali (date dall'ordinamento), nell'interesse della collettivit e per la
pacifica convivenza. Alcuni limiti sono:
riguardo al godimento divieto di costruire oltre un certo limite di altezza; divieto di demolire edifici
urbani per speculare sui materiali ricavati; obbligo, per i proprietari di fondi sulla riva di un fiume, di
consentire l'uso delle rive per la navigazione; obbligo, per i proprietari di fondi vicini a una via
pubblica, di consentire il passaggio attraverso i propri fondi in caso di impraticabilit della via; divieto
di seppellire cadaveri entro le mura della citt o a meno di 60 piedi dal fondo del vicino
contro il cattivo uso del patrimonio, con riguardo agli schiavi disposizioni imperiali per reprimere
maltrattamenti ingiustificati
riguardo alla disposizione della cosa (facolt di disporne) divieto di consecratio della res litigiosa
(cosa oggetto di controversia per la propriet); divieto di alienare res litigiosae da parte del litigante
proprietario non possessore; divieto di alienazione da parte di un possessore in vista di una lite
futura al fine di sottrarsi ad essa; imposizione al privato di vendere la cosa propria allo Stato per
ragioni di pubblica necessit/utilit (emptio ad invito); possibilit di confisca (ablazione del diritto di
propriet allo Stato senza corrispettivo) come sanzione nell'ambito del diritto criminale
riguardo ai rapporti di vicinanza (vedi dopo)
Regolazione dei rapporti di vicinanza e altre limitazioni al dominium
Dapprima a Roma la propriet di immobili era collettiva; la propriet privata immobiliare ebbe origine
probabilmente da assegnazioni statali a privati di terre gi collettive. Queste terre erano considerate all'inizio
di pertinenza del populus Romanus e come tali ager publicus, e venivano lasciate in godimento esclusivo a
privati (dapprima grazie a provvedimenti che ne consentivano l'occupazione nei limiti delle possibilit di
sfruttamento, poi grazie a concessioni individuali). Si trattava di concessioni revocabili, ma al contempo altre
parti di ager publicus cominciarono a venire assegnate in modo definitivo a privati (come propriet ex iure
Quiritium) tramite il rito della limitatio rito con connotazioni sacrali che si svolgeva con un magistrato e un
agrimensore per stabilire i confini, durante il quale si tracciavano sul suolo linee parallele e perpendicolari
che delimitavano gli appezzamenti. Attorno a ciascun appezzamento si lasciava uno spazio di almeno 5 piedi
detto limes, che non era di propriet di nessuno n poteva essere usucapito; tra aedes (edifici) di diversi
proprietari veniva lasciato un ambitus libero (stessa cosa del limes) questi assicuravano accesso
indipendente a ogni proprietario e riducevano al minimo le interferenze tra vicini.
La limitatio cess di essere indispensabile da et repubblicana, quando si stabilirono il pi possibile confini
naturali; nacque cos la possibilit di agri arcifinii, cio fondi direttamente confinanti, e di edifici non separati
dall'ambitus si cerc comunque di assicurare ad ogni proprietario un accesso indipendente. Se, nel caso
di fondi rustici, per cause naturali non si scorgevano pi i confini e sorgeva controversia, si procedeva
all'actio finium regundorum (regolamento dei confini): nelle legis actiones si agiva con una legis actio
specifica, nel processo formulare era usata una formula con adiudicatio anche la pronunzia del giudice
era detta adiudicatio, ed aveva efficacia costitutiva (considerata un modo d'acquisto della propriet).
Essendo che tra vicini rimaneva il potenziale problema di interferenza reciproca, si stabil che alcune di
queste interferenze dovessero essere tollerate (si tratta di un'altra forma di limitazione legale del dominium):
il dominus di un fondo rustico doveva tollerare che rami di alberi del vicino sporgessero sul proprio
terreno al altezza superiore ai 15 piedi
il proprietario doveva consentire a giorni alterni l'ingresso del vicino sul proprio fondo per consentirgli
di raccogliere i frutti caduti dai suoi alberi
il proprietario di un edificio doveva tollerare il rigonfiamento del muro altrui dentro la propria
costruzione (fino a un massimo di mezzo piede)
bisognava tollerare le immissioni di fumo, acqua etc, provenienti dall'immobile del vicino, purch
dipendenti dall'uso normale e corretto che il vicino stesse facendo del suo fondo
In relazione ai rapporti di vicinanza, esistevano l'actio aquae pluviae arcendae e la cautio damni infecti, due
strumenti diretti contro i vicini nel caso in cui provocassero sovrabbondanza di acqua o danni di altro tipo al
fondo altrui, a causa di uno scorretto utilizzo del fondo. Tuttavia, nel diritto romano non furono mai vietati i
cosiddetti atti emulativi, comportamenti del proprietario di un fondo nellesercizio di un proprio diritto ma
senza trarne vantaggio, compiuti solo per nuocere al vicino infatti il criterio generale era qui suo iure utitur
neminem ledit (chi esercita un proprio diritto non lede nessuno).
occupazione modo d'acquisto a titolo originario della propriet civile, definito iuris gentium e
naturalis, fondato sulla naturalis ratio. Consisteva nella presa di possesso di cose che non
appartenevano a nessuno, cio res nullius (animali selvatici, cose trovate in riva al mare, cose
sottratte al nemico in guerra, isola emersa dal mare, alveo abbandonato dal fiume, isola formatasi
nel letto del fiume). Per quanto riguarda le cose abbandonate (res derelictae), se erano res mancipi
il proprietario manteneva su di loro il dominio quiritario finch un eventuale occupante ne fosse
diventato proprietario per usucapione; se erano invece res nec mancipi, la propriet si estingueva
con l'abbandono e quindi diventavano res nullius (potevano essere acquistate per occupazione). Per
quanto riguarda invece il tesoro (denaro e preziosi rimasti sepolti in un fondo da epoca remota),
esso spettava dapprima al proprietario del fondo dove era stato trovato. Adriano in seguito stabil
per che, se rinvenuto da persona diversa dal proprietario del fondo, met del tesoro spettava al
dominus fundi e met a chi lo aveva scoperto
acquisto dei frutti i frutti naturali, con la separazione dalla cosa madre, conseguivano
l'autonomia. La propriet su di essi si acquistava a titolo originario: il proprietario della cosa madre li
faceva suoi con la separazione. Se per il bene fruttifero era posseduto da un terzo in buona fede,
era costui ad acquistarne i frutti con la separazione. L'usufruttuario invece faceva suoi i frutti con la
perceptio, cio una volta preso il possesso di essi; allo stesso modo anche il conduttore che aveva il
godimento di un bene fruttifero (anche se il suo non era considerato acquisto a titolo originario). I
nati da madre schiava, anche se non considerati frutti, cadevano in propriet del proprietario della
schiava
accessione fenomeni (di ius gentium) accomunati dalla circostanza per cui una cosa corporale
subisce un incremento, un arricchimento, per l'aggiunta di un'altra cosa che non appartiene allo
stesso proprietario. La cosa aggiunte detta accessoria, la cosa arricchita detta principale; il
proprietario della cosa principale subisce un vantaggi anche se non possessore o se ignaro. Un
significato in senso pi stretto e tecnico di accessione questo: essa la congiunzione di due cose
di proprietari diversi, unione organica se ha luogo per compenetrazione di corpi in modo che la
cosa accessoria diventi un tutt'uno con la principale. Le due cose unite sono diverse per qualit, una
di esse detta principale in quanto determina la funzione del tutto. Questa unione giuridicamente
inseparabile, e il proprietario della cosa principale diventa dominus anche di quella accessoria. Si
tratta di un acquisto a titolo originario poich prescinde dal consenso del dominus della cosa
accessoria, a vantaggio del proprietario della cosa principale.
A) unione organica la vera e propria accessione, pu essere unione di mobile/immobile (es.
satio = semina effettuata con sementi proprie su terreno altrui; implantatio = impianto di alberi propri
su terreno altrui. La cosa principale il terreno) oppure di mobile/mobile es. tinctura (il colore
accedeva alla stoffa), scriptura (l'inchiostro accedeva alla pergamena), ferruminatio (due oggetti
metallici si uniscono e si compenetrano). In questi casi a chi perdeva la propriet della cosa
accessoria ma aveva il possesso del terreno si dava un'exceptio doli contro la rei vindicatio dell'altro;
se l'altro non avesse indennizzato l'ex proprietario della cosa accessoria, la rivendica sarebbe stata
respinta. Nel caso contrario all'ex proprietario della cosa accessoria si dava un'actio in factum per
l'indennizzo.
B) unione separabile quando due cose si univano non in maniera organica ma in modo
separabile, il proprietario della cosa accessoria conservava su di essa la propriet ma non poteva
farla valere durante l'unione (poteva provocare la separazione con l'actio ad exhibendum). Il
dominus della cosa principale invece estendeva il suo dominio durante l'unione, ma era proprietario
della res nel suo complesso, non delle singole parti. Esempi di unione separabile sono: le accessioni
lignee (ruota unita al carro), le accessioni metalliche (non con la tecnica della ferruminatio ma della
plumbatura, che comportava l'uso di un metallo diverso come mastice)
C) inaedificatio costruzione di un edificio con materiale appartenente ad una persona diversa dal
proprietario del suolo. Si trattava di un'unione separabile ma con regime giuridico a s, e non era
un'unione organica perch nel mondo antico i materiali di costruzione non perdevano la loro identit.
In questo caso si fa riferimento al principio superficies solo cedit, per cui dunque il proprietario del
suolo diveniva anche proprietario dell'edificio considerato nel suo complesso (non necessariamente
dei singoli materiali che lo componevano). Si distinguono due ipotesi.
Nel caso di costruzione su terreno proprio con materiali altrui, il proprietario del suolo non avrebbe
acquistato la propriet dei singoli materiali di costruzione (ma solo dell'edificio complessivo). Finch
durava la costruzione, il proprietario dei materiali non poteva rivendicarli (diritto di propriet
quiescente); avrebbe potuto una volta demolito l'edificio, ma non poteva pretendere la demolizione.
Questo principio aveva la ratio di evitare che gli edifici venissero il dominus fundi non poteva
usucapire i materiali; avvenuta la demolizione il proprietario dei materiali poteva pretenderne la
restituzione con rei vindicatio. Durante lunione il proprietario dei materiali ha lactio de tigno iuncto,
penale e in duplum, per i materiali rubati.
Nel caso invece di costruzione su terreno altrui con materiale propri, poich al costruttore non si
dava lactio de tigno iuncto, e il proprietario dei materiali manteneva la propriet quiescente su di
essi solo se all'atto della costruzione era in buona fede (non sapeva dell'alienit del suolo).
D) incrementi fluviali nel caso dell'alveus derelictus (alveo abbandonato dal fiume, ossia quando il
fiume cambiava corso abbandonando il suo letto) il diritto dei proprietari dei fondi che si trovavano
sulle sponde del fiume si estendeva fino alla linea mediana dell'alveo. Nel caso di insula in flumine
nata (terra affiorata in mezzo al fiume), essa diventava di propriet dei proprietari dei fondi sulle rive,
con confine segnato ancora dalla linea mediana del fiume. Altri casi di incrementi fluviali sono i
seguenti. L'alluvio era l'incremento graduale di un fondo per l'aggiungersi di particelle di terra
trasportate dalla corrente e provenienti da un altro fondo (il dominus del fondo che si arricchiva ne
diventava proprietario); la crusta lapsa era l'esportazione non graduale, per forze naturali, di una
porzione consistente di terra da un fondo, con conseguente incremento di un altro fondo (se tale
esportazione era provocata dalla corrente fluviale, si parlava di avulsio) se tale porzione di terra si
univa al nuovo fondo, il proprietario di tale fondo acquistava la propriet del tutto. Incrementi fluviali e
crusta lapsa per non sono vere e proprie accessioni (le cose unite erano della stessa qualit)
specificazione trasformazione di una cosa altrui sino a farla diventare un'altra cosa, che appare
nuova e diversa (es. uva che diventa vino). Per i proculiani lo specificatore acquistava la propriet
della res nova, per i sabiniani invece il proprietario della materia ne manteneva la propriet anche
dopo la specificazione. In et classica si decise per una soluzione intermedia: se la specificazione
era reversibile, il proprietario della materia ne manteneva la propriet; se non era reversibile, lo
specificatore acquisiva la res nova
confusione mescolanza inscindibile di corpi liquidi o solidi, generalmente dava luogo a
compropriet se i proprietari delle cose mescolate erano diversi
commistione mescolanza scindibile di corpi solidi, generalmente dava luogo a compropriet se i
proprietari delle cose mescolate erano diversi. Un'eccezione era la commistione di denaro, poich
acquistava a titolo originario la propriet del denaro altrui chi lo confondeva col proprio (salvo furto)
Modi d'acquisto a titolo derivativo: mancipatio, in iure cessio, traditio, legato per vindicationem,
adiudicatio, litis aestimatio
mancipatio e in iure cessio in esse, aveva ruolo attivo solo chi acquistava. Importanza
fondamentale affinch si possa parlare di acquisto a titolo derivato aveva il principio per cui doveva
esistere il dominium in capo al mancipio dans e al cedens (dovevano essere effettivamente
proprietari per poter trasferire la propriet). Questi due negozi trasferivano la propriet ma ogni res
veniva acquistata dal mancipio accipiens e dal cessionario con i pesi reali su di essa gravanti e con
le servit attive ad essa spettanti; inoltre, comportavano il passaggio di possesso solo per i beni
mobili, per i beni immobili si richiede la traditio
traditio era un negozio bilaterale a titolo derivativo che si compiva con la consegna di una cosa,
era di iuris gentium e aveva come oggetto beni mobili o immobili. Essa trasferiva il possesso
(riguardava solo res corporales), e in certi casi anche la propriet (vedi dopo).
La traditio era fondamentalmente una consegna, ma non necessariamente materiale: era necessario
per che il tradens facesse acquistare all'accipiens la disponibilit della cosa. Per esempio, la
traditio di una catasta di legna poteva essere fatta anche se l'accipiens vi metteva un custode; la
traditio di merci conservate in un magazzino si realizzava con la consegna delle chiavi del
magazzino si parla in questi caso di traditio symbolica. C'era anche la cosiddetta traditio longa
manu, che riguardava la consegna di un fondo con lindicazione dei confini dallalienante
allacquirente e la dichiarazione di voler trasferire limmobile. C'era poi la traditio brevi manu: quando
una persona deteneva una cosa a nome di un'altra, e quest'altra voleva trasferire la cosa al
detentore, la consegna si realizzava per il semplice fatto che le parti si erano accordate in modo che
il detentore avrebbe continuato a tenere la cosa ma a nome proprio (il detentore diventava
possessore). Viceversa, nel caso di costituto possessorio, l'alienante che teneva la cosa conveniva
con l'acquirente che avrebbe continuato a tenere la cosa che stava vendendo (es. in affitto) presso
di s ma a nome dell'acquirente stesso (il possessore cessava di possedere e cominciava a
detenere per un altro) il costituto possessorio vanificava gli effetti della traditio riducendola al solo
consenso, dunque non riguardava molti casi.
La consegna poteva aver luogo per vari motivi. Quando essa era a scopo di custodia (deposito), di
prestito d'uso (comodato), di locazione, chi riceveva la cosa ne acquistava la detenzione. La
consegna poi poteva essere a titolo di pegno, sequestro, precario, vendita, donazione, dote, e in
questi casi l'accipiens acquistava il possesso. Non ogni consegna era dunque considerata una
traditio traditio in senso proprio solo la consegna che comportava passaggio del possesso a
favore dell'accipiens: essa era quindi, innanzitutto, un atto di trasferimento del possesso. La traditio
per poteva anche comportare un trasferimento della propriet civile per fare questo innanzitutto
doveva riguardare cose suscettibili al dominio quiritario e doveva essere in favore di persone capaci
di esserne titolari (cives); dopodich era necessario anche che l'alienante fosse egli stesso il
proprietario della cosa, o comunque legittimato ad alienarla, e che si trattasse di una res nec
mancipi. Era inoltre richiesta la volont concorde di tradens e accipiens di trasferire il possesso in
nome proprio, in modo che l'accipiens iniziasse a tenere la cosa come propria (uti dominus); questo
atteggiamento si risolveva poi nella volont del tradens di trasmettere, e in quella dell'accipiens di
acquistare, il dominium ex iure Quiritium. Con riferimento al passaggio di propriet, esisteva la iusta
causa traditionis = ragione oggettiva per cui si procedeva a traditio e che giustificava lacquisto della
propriet (iusta perch riconosciuta dall'ordinamento giuridico). Erano giuste cause la causa
vendendi, causa donandi, causa solvendi, la causa dotis, la causa credendi la causa era indice di
volere effettivamente trasferire la propriet, anche se tale iusta causa non era di per s necessaria ai
fini della traditio, la quale non era un negozio causale ma astratto
legato per vindicationem atto mortis causa, era modo di acquisto a titolo derivativo e
particolare. Si trattava di una disposizione testamentaria con la quale il testatore attribuiva
direttamente una cosa propria a un terzo, detto legatario. Costui acquistava sulla cosa legata la
propriet civile una volta che, morto il testatore, il legato fosse divenuto efficace
adiudicatio pronunzia del giudice formulare nei giudizi divisori e nell'azione per il regolamento dei
confini (traeva fondamento dall'omonima parte delle formule di tali giudizi). Con essa il giudice dei
giudizi divisori assegnava a ciascuna delle parti (o anche a una sola), una o pi res tra quelle
comuni oggetto della divisioni. I comproprietari di quote ideali cessavano di essere tali, diventando
proprietari esclusivi di beni determinati. Nelle azioni per il regolamento dei confini, essi con
l'adiudicatio erano fissati in maniera incontrovertibile. L'adiudicatio era costitutiva, ritenuta un modo
di acquisto della propriet
litis aestimatio condanna pecuniaria pronunziata dal giudice del processo formulare: il
possessore, convenuto dal proprietario con la rei vindicatio, anzich restituire la cosa poteva subire
questa condanna in denaro, il cui importo era in base al valore della cosa rivendicata. Offrendosi di
pagare la litis aestimatio il convenuto manteneva il possesso della cosa rivendicata e ne diventava
proprietario ex iure Quiritium se era una res nec mancipi. Delle res mancipi il convenuto acquistava
invece la propriet pretoria (possesso valido ai fini dellusucapione).
Usucapione
Il concetto di usucapione trova fondamento nella legge delle XII Tavole, in cui si parlava di usus e si stabiliva
che esso potesse essere di uno e due anni. La giurisprudenza elabor questo concetto fino ad arrivare a
quello di usucapione, il quale era un istituito di ius civile (quindi riservato ai cives) e comportava l'acquisto del
dominium ex iure Quiritium. I requisiti per l'usucapione sono i seguenti:
erano usucapibili le cose suscettibili di dominium ex iure Quiritium e che fossero res habiles, cio
idonee ad essere usucapite. Non erano habiles le res furtivae (lex Atinia) o le res vi possessae (lex
Plautia et Iulia de vi). Il divieto di usucapire queste res non riguardava solo i ladri o coloro che
avevano compiuto la violenza, ma anche ogni altro possessore di tali cose (pure se in buona fede):
questo perch col furto o con l'impossessamento violenta la cosa era come macchiata da un vizio
oggettivo che la seguiva presso qualunque possessore (a meno che tornasse al proprietario)
possessio il possesso di chi teneva la cosa come propria (uti dominus) era necessario per
l'usucapione (infatti fino a et classica non si poteva usucapire una res incorporales perch non
suscettibile al possesso)
tempus le XII tavole stabilivano, al fine dell'acquisto della propriet per usucapione, che il
possesso dovesse durare due anni (beni immobili) o un anno (altre cose, tra cui beni mobili ma
anche la donna per l'acquisto della manus). Il possesso doveva per essere protratto in modo
continuo e senza interruzioni. Si aveva interruzione (usurpatio) ogni volta che il possessore perdeva
il possesso anche solo per un istante, e dunque si ricominciava da capo a calcolare il tempo. Il
tempus usucapionis non veniva per interrotto n con l'esercizio della rivendica n con la morte del
possessore (secondo il principio della successio possessionis l'usucapione poteva essere portato a
termine dall'erede). Secondo l'accessio possessionis invece il compratore poteva sommare il suo
possesso a quello del dante causa in modo da terminare lusucapione iniziata dal venditore
bona fides convinzione del possessore di non recare ad altri, col proprio possesso, un ingiusto
pregiudizio. una buona fede soggettiva, diversa da quella oggettiva dei iudicia bonae fidei. Pi
spesso la buona fede era la convinzione del possessore di essere egli stesso il dominus ex iure
Quiritium. Essa doveva sussistere al tempo dellacquisto del possesso, se veniva meno dopo
lusucapione si compiva ugualmente
titulus o iusta causa ragione oggettiva alla base dellacquisto del possesso tale da giustificare
lacquisto della propriet per effetto del possesso continuato per il tempo stabilito. I titoli per
l'usucapione erano molti, di solito indicati con la preposizione pro; poteva trattarsi di un negozio
giuridico causale (compravendita nel titolo pro emptore), di una mera causa negoziale (donazione o
dote nei titoli pro donato e pro dote), di un provvedimento magistratuale o giudiziale. Il titolo pi
frequente quello pro emptore, cio il titolo che ricorreva quando il venditore consegnava al
compratore la cosa venduta, ma lo faceva o senza esserne il proprietario oppure con semplice
traditio di una res mancipi: il compratore non acquistava cosi la propriet della cosa ma solo il
possesso pro emptore. Invece i titoli pro donato e pro dote riguardavano la donazione reale e la
datio dotis: se l'atto non era idoneo al trasferimento della propriet (essendo stata fatta solo traditio e
non anche mancipatio o in iure cessio) o se il donante/costituente non erano proprietari della cosa, il
donatario e il marito acquistavano solo il possesso pro donato e pro dote (non anche la propriet).
Nel caso del legatario che prendeva possesso della cosa legatagli per vindicationem dal un testatore
non proprietario, egli non acquista propriet ma possesso pro legato. Se l'atto di trasferimento di una
cosa effettuato dal debitore (per adempiere a un'obbligazione verso il creditore nata da stipulatio o
legato per damnationem) non era idoneo al passaggio di propriet o il debitore non era proprietario,
il creditore non acquistava propriet ma possesso pro soluto. Un altro titolo era quello pro derelicto:
riguardava le res mancipi derelictae e le res nec mancipi derelictae a non domino, e in questi casi
l'occupante non acquistava la propriet ma il possesso pro derelicto. La regola era che, ai fini
dell'usucapione, il titolo dovesse essere effettivamente esistente e valido non era efficace dunque
il titolo putativo, ossia quello erroneamente ritenuto esistente.
l'acquisto della propriet per usucapione da parte del possessore la fa perdere al proprietario non
possessore per non usus
con la derelictio si perdeva la propriet sulle res nec mancipi
confisca o emptio ab invito (vendita bene allo Stato per pubblica utilit)
La rei vindicatio
La rei vindicatio (rivendica) era lo strumento giudiziario fondamentale in difesa del dominium ex iure
Quiritium. Essa era il prototipo delle actiones in rem e spettava al proprietario non possessore contro il
possessore non proprietario, con l'obiettivo di far acquistare al dominus anche il possesso. Nell'ambito delle
legis actiones, per essa si ricorreva alla legis actio sacramenti in rem; dalla prima et preclassica si utilizzo
l'agere in rem per sponsionem, e in seguito prevalse l'agere per formulam petitoriam (rivendica formulare).
1. nella legis actio sacramenti in rem si svolgeva la prima fase in iure, dove le due parti affermavano di
essere proprietari della cosa; dopodich il magistrato assegnava il possesso provvisorio a una delle
due parti e intervenivano i garanti (a garanzia di restituzione in caso di soccombenza). La seconda
fase poi si svolgeva apud iudicem, dove le parti dovevano dare la prova della propriet; infine il
giudice riconosceva uno o l'altro come proprietario
2. nell'agere in rem per sponsionem era presa in considerazione solo l'appartenenza della cosa
all'attore. Si afferm il principio del commodum possessionis: il magistrato non procedeva ad
assegnazione provvisoria del possesso e il convenuto, che possedeva la cosa prima del giudizio,
continuava a possederla anche durante la lite (salvo promettere di restituirla in caso di
soccombenza). Dunque l'onere della prova di essere proprietario spettava solo all'attore, e il giudice
si pronunciava solo sull'appartenenza o meno della cosa all'attore
3. nella rivendica formulare di mantennero sostanzialmente immutate le regole dell'agere in rem per
sponsionem. La formula-tipo prevedeva: iudicis nominatio, intentio, clausola restitutoria,
condemnatio. Secondo questa formula si nominava dapprima un giudice, il quale era tenuto a
verificare se l'attore fosse o meno il proprietario. Se non lo era, assolveva il convenuto; se lo era,
invitava il convenuto a restituire la cosa se il convenuto restituiva, il giudice lo assolveva,
altrimenti lo condannava a pagare una pena pari al valore della cosa. Il valore della cosa (litis
aestimatio) era stabilito dall'attore mediante giuramento, quindi era una cosa arbitraria: in genere
dunque il convenuto preferiva restituire che pagare.
L'onere della prova
Lonere della prova era a carico dellattore. Provare di essere proprietari non era semplice in quanto, ogni
qualvolta si invocava un modo di acquisto derivativo, bisognava innanzitutto provare di aver acquistato
grazie ad un adeguato negozio traslativo di propriet, ma anche di aver acquistato dal vero proprietario; e
quindi andava provato che anch'egli in precedenza avesse acquistato da un vero proprietario, e cos via. Per
la sua difficolt si parl di probatio diabolica. Veniva in aiuto l'usucapione: bastava che l'attore dimostrasse di
aver posseduto la cosa (o che un precedente proprietario l'avesse posseduta) in buona fede e con iusta
causa per il tempo necessario per usucapirla. Il principio della successio possessionis e quello dellaccessio
possessionis rendevano pi agevole la prova dellattore.
Le spese e il ius retentionis
Poteva accadere che il convenuto possessore, prima della lite, avesse erogato sulla cosa certe spese
(impensae). Per questo al convenuto fu data l'exceptio doli, ai fini del rimborso, in quanto si reputava iniquo il
comportamento dell'attore che insistesse nellazione senza prima aver rimborsato le spese necessarie (se
senza di esse la cosa sarebbe perita o deteriorata) o utili (se hanno migliorato la redditivit della cosa). Il
possessore di mala fede non aveva per diritto ad alcun rimborso.
Il convenuto che avesse opposto lexceptio tempestivamente e non avesse recuperato le spese, sarebbe
stato assolto e avrebbe trattenuto la cosa riconoscimento, per le spese erogate, di un ius retentionis. Per
quanto riguarda le spese voluttuarie sostenute per la cosa (meramente estetiche), esse restavano a carico
del possessore, salvo il ius tollendi (diritto di portare via gli oggetti) per le cose che potessero essere portate
via senza danneggiare il bene rivendicato (e a condizione che non fossero cose che erano state acquistate
dal rivendicante per accensione). Talvolta, se per l'attore era gravoso rimborsare delle spese utili rilevanti,
veniva data al convenuto facolt di tollere talune cose (ma non ius tollendi).
La legittimazione passiva
Nella formula della rei vindicatio non compariva alcuna indicazione su chi fosse passivamente legittimato ad
essa, cio su chi fosse convenibile in giudizio, dunque poteva anche essere chiamato a restituire un bene
qualcuno che non era nelle condizioni di restituire (perch non possessore). La giurisprudenza intervenne
con un principio che risulta dalla clausola costitutoria: ad essere convenibile con la rei vindicatio poteva
essere solo il possessore (dapprima intendendo il possessore ad interdicta, poi in et classica chiunque
tenesse la cosa e ne avesse la facultas restituendi: cos si ammise la rivendica anche contro alcuni
detentori). In et classica si ammise anche che fosse da condannare qui liti se optulit = non possessore che,
consapevole di non possedere, avesse dolosamente accettato di rem defendere facendosi credere
possessore.
La responsabilit del convenuto
Il convenuto, per evitare la condanna pecuniaria, avrebbe dovuto restituire la cosa oggetto della lite; riguardo
ai frutti che questa cosa aveva prodotto prima della lite, egli non era tenuto a restituirli. Era invece tenuto a
restituire, insieme alla cosa, i frutti percepiti dopo la litis contestatio questo perch egli doveva restituire la
cosa cum causa rei, cio doveva porre l'attore nelle condizioni di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato se
la cosa gli fosse stata restituita gi al tempo della litis contestatio. Il convenuto non era rispondeva di nessun
evento accaduto prima della litis contestatio: non era responsabile se la cosa fosse perita o danneggiata
prima (non in sede di rivendica almeno). Era invece responsabile di perimento/danneggiamento/perdita del
possesso post litem contestatem purch dipendenti da suo dolo o colpa, quindi in questi casi avrebbe dovuto
risarcite l'attore; al contrario, il convenuto non rispondeva di questi eventi neanche dopo la litis contestatio se
essi erano dipesi da forza maggiore o caso fortuito la ratio che essi si sarebbero verificati comunque
anche se lui avesse restituito la cosa gi al tempo della litis contestatio. Poich la cosa andava restituita cum
causa rei, nel caso in cui il convenuto avesse usucapito dopo la litis contestatio, egli per evitare la condanna
pecuniaria era tenuto a consegnare la cosa e a compiere un atto di trasferimento della propriet idoneo.
Il convenuto che non avesse restituito avrebbe infine subito condanna pecuniaria, la litis aestimatio, di
importo pari al valore della cosa; in tal caso per, pagando, avrebbe mantenuto il possesso della cosa.
azioni negatorie (o negativae) esse erano l'actio negatoria servitutis (di servit) e l'actio negatoria
usus fructus (di usufrutto). Si trattava di azioni civili in rem, con clausola restitutoria, che spettavano al
dominus possessore contro quanti esercitassero illegittimamente sulla cosa servit e usufrutto. L'attore
doveva solo provare di essere il proprietario, il convenuto doveva dimostrare di avere diritto alla servit o
all'usufrutto
actio aquae pluviae arcendae actio in personam volta a proteggere i proprietari dei fondi rustici dalla
sovrabbondanza di acque. Questa actio si dava al proprietario di un fondo rustico contro il proprietario
del fondo vicino, nel caso in cui quest'ultimo avesse realizzato opere che avevano alterato lo scorrere
naturale dell'acqua piovana, con la conseguenza che essa confluiva oltre misura nel fondo dell'attore. Al
tempo delle legis actiones, si usava la legis actio per iudicis arbitrive postulationem; col processo
formulare si adott una formula con clausola restitutoria per evitare la condanna il convenuto avrebbe
dovuto rimettere le cose come stavano prima. Se invece l'autore dell'opera fosse stato un terzo, l'onere
del convenuto era soltanto di patientam praestare, in modo che fosse l'attore a sue spese a rimettere le
cose come stavano prima. In caso di alienazione del fondo da parte del convenibile, il suo acquirente (e
anche tutti i successivi) sarebbe rimasto esposto al pericolo che il vicino esercitasse l'actio aquae
pluviae arcendae contro di lui, almeno finch la situazione precedente non fosse stata ripristinata si
parla per questo di obligatio propter rem = obligatio perch era un'actio in personam e si estingueva con
l'adempimento di una prestazione, propter rem perch seguiva il fondo su cui gravava
cautio damni infecti (per il danno temuto) la cautio era una stipulatio imposta dal pretore in modo che
nascesse, a carico di chi la prestava, una obligatio iuris civilis sanzionata dall'actio ex stipulatu. Con la
cautio damni infecti il proprietario del fondo da cui si temeva un sanno prometteva al proprietario del
fondo minacciato che, se il danno si fosse verificato, glielo avrebbe risarcito. Si ricorreva a questa cautio
quando c'era il timore che un edificio fosse in condizioni di precaria stabilit e che, crollando, avrebbe
recato danno al fondo del vicino; per la cautio era esercitabile anche quando il timore dipendeva da un
altro vizio di un fondo che minacciava quello del vicino.
Il pretore sanzionava il vicino che rifiutasse di prestare la cautio con una missio in possessionem, in
modo che il proprietario del fondo minacciato avesse libero accesso all'immobile di costui (si trattava
per di detenzione utile ai fini di sorveglianza e protezione, non di possesso). Se il vicino, nonostante la
missio, si fosse rifiutato ancora di prestare la cautio, il pretore avrebbe concesso al minacciato una
seconda missio in possessionem: essa non era revocabile e conferiva al proprietario del fondo
minacciato (il missus) il possesso ad usucapionem, per il quale egli avrebbe acquistato la propriet del
fondo del vicino per usucapione dopo due anni
operis novi nuntiatio (denunzia di nuova opera) un istituto del ius civile. Era l'intimazione alla quale
ricorreva l'interessato quando sul fondo del vicino erano in corso opere di costruzione o demolizione
ritenute lesive di un proprio diritto (es. se il proprietario del fondo vicino gravato da servit di non
sopraelevare iniziava a costruire dove non avrebbe dovuto). L'intimato era vincolato cos a sospendere
lesecuzione dellopera; se la avesse continuata, il pretore avrebbe emesso contro di lui linterdictum
demolitorium, per cui lintimato sarebbe stato tenuto a demolire quanto avesse costruito dopo la nuntiatio
(o a costruire quanto avesse demolito). Gli effetti sospensivi della nuntiatio cessavano (quindi l'intimato
non era pi obbligato a non proseguire l'opera) con la morte dell'intimante, con l'alienazione del proprio
fondo da parte dell'intimante, dopo un anno dalla nuntiatio, se l'intimato prometteva con stipulatio che
avrebbe rimosso l'opera se fosse risultata illegittima, oppure infine se il pretore pronunciava remissio
interdictum quod vi aut clam con esso il proprietario di un fondo poteva ottenere la rimozione della
costruzione che taluno avesse realizzato sul suo fondo vi (nonostante il suo divieto) o clam
(clandestinamente, senza chiedere autorizzazione, nella convinzione che sarebbe stata negata)
actio finium regundorum: utilizzata se, per alterazione dello stato dei luoghi dipendente da forze naturali,
non si scorgessero pi i confini tra due fondi rustici e sorgesse una controversia a riguardo. Formula con
adiudicatio, la pronunzia del giudice ha efficacia costitutiva nel ristabilire i confini (vedi prima)
praesentes (se possessore e proprietario vivevano nella stessa citt) e 20 anni inter absentes (se la citt era
diversa). Un'altra differenza con l'usucapione era che l'esercizio dell'actio in rem interrompeva il decorso del
termine necessario per la longi temporis praescriptio.
La compropriet
Fenomeno per cui pi soggetti sono riconosciuti titolari del diritto di propriet in ordine allo stesso bene.
Consortium ercto non cito (dominio non diviso): prima manifestazione di compropriet., al tempo di Gaio gi
scomparsa. Si costituiva automaticamente alla morte del pater familias tra pi heredes sui (discendenti
soggetti allimmediata potestas del defunto) o anche tramite legis actio fra estranei. Ciascun consorte
poteva, senza il concorso degli altri, sia gestire e fruire delle cose comuni sia alienarle, dunque disporne per
lintero con effetti verso tutti gli appartenenti al consortium (salvo la possibilit di un consorte di intervenire e
interporre veto: ius prohibendi). Per la divisione del consortium familiare (tra heredes sui) si usava l' actio
familiae erciscundae; per la divisione di beni comuni tra estranei si usava l'actio communi dividundo.
Il consortium scomparve verso la fine dell'et repubblicana.
La compropriet o comunione nasce prima della scomparsa del consortium e si sviluppa durante il
principato e con Giustiniano. La comunione poteva essere:
volontaria: pi persone, in vista di una societ che si costituiva tra loro, compravano in comune certi
beni oppure ne mettevano in comune altri gi di propriet di uno o dell'altro dei soci. In quest'ultimo
caso, per esempio si procedeva attraverso la societas omnium bonorum, con il sistema della
transitus legalis (solo per res nec mancipi) = il semplice accordo determinava il trasferimento ai
consoci della propriet dei beni reali promessi dal socio alla societas. In altri casi si poteva
procedere a in iure cessio (res mancipi) o traditio
incidentale: la comunione dei beni si determinava indipendentemente dalla volont dei contitolari
(es. per legato per vindicationem in favore di pi persone in ordine alla stessa res).
Ciascun partecipante (socius) titolare di una quota ideale del bene (pars pro indiviso), ossia di una frazione
del diritto di propriet: in questo la compropriet diverge dal consortium, perch ogni socius non era titolare
per l'intero. Di conseguenza ogni comproprietario poteva alienare la propria quota senza il consenso degli
altri, non l'intero; poteva costituirvi pegno e usufrutto (ma non servit prediali), partecipava alle spese nella
misura corrispondente alla propria quota e nella stessa misura faceva suoi i frutti, e rispondeva dei danni che
la cosa comune provocava ai terzi pro quota.
Un punto comune con il consortium invece era la regola relativa alla gestione della cosa comune: ogni
comproprietario poteva operare da solo anche senza il consenso degli altri, salvo quando si trattava di
innovazioni, caso in cui i contitolari avevano ius prohibendi (solo con Giustiniano si stabil che fosse
necessario il consenso preventivo di tutti).
Ius adcrescendi (diritto di accrescimento) se un socius rinunciava alla sua quota, questa si accresceva
agli altri, a ciascuno in proporzione della misura del suo diritto sulla cosa comune. Manifestazione del ius
adcrescendi era anche la manumissio del servo comune: la manomissione da parte di uno dei socii non
rendeva lo schiavo libero, ma dava luogo ad accrescimento in favore degli altri comproprietari. Lo schiavo
diventava libero solo se tutti i socii compiono latto di affrancazione (nel consortium invece era libero subito).
Tutela giudiziaria il comproprietario, per la tutela del suo diritto sul bene comune, era legittimato a
esercitare pro parte la rei vindicatio. Per quanto riguarda le servit sul fondo comune, essendo esse
indivisibili, il comproprietario doveva agire in solidum (per l'intero) e poi imputare agli altri comproprietari le
somme riscosse in caso di condanna all'avversario. I terzi, per pretese riguardanti servit sul fondo in
compropriet, avrebbero esercitato l'actio in solidum contro un solo comproprietario, il quale poi avrebbe
imputato pro quota agli altri comproprietari le somme pagate in caso di condanna l'azione non poteva poi
essere ripetuta contro gli altri comproprietari (per il principio che vietava la ripetibilit dell'actio de eadem re).
Actio communi dividundo
Per la divisione dei beni in comune si poteva procedere per accordi oppure in via giudiziale. Nel primo caso
per esempio un comproprietario avrebbe potuto rinunciare alla propria quota e l'altro avrebbe poi diviso in
due l'intero e ne avrebbe trasferito met al primo. Tuttavia, il rimedio proprio per la divisione era l'actio
communi dividundo in essa non v'era n attore n convenuto (parti non differenziate). Nelle legis actiones
si usava la legis actio per iudicis arbitrive postulationem, mentre nel processo formulare si adott una
formula con adiudicatio: il giudice cos aggiudicava a ciascuna delle parti la propriet esclusiva di porzioni
della cosa comune (o, se si trattava di una cosa indivisibile, a una sola parte). Siccome poteva accadere che
la divisione non rispettasse esattamente le quote di ciascuno, furono stabiliti conguagli in denaro: per questo
nella formula c'era anche la condemnatio. Con l'actio divisoria un contitolare poteva essere condannato al
pagamento di quelle preastationes cui era tenuto per il rapporto di comunione, e ad altro contitolare erano
attribuiti i corrispondenti crediti la communio era quindi possibile fonte di obbligazioni. Per danni alla cosa
comune, ciascun comproprietario era responsabile verso gli altri per dolo e colpa. Per conteggi e saldi
bisognava attendere la divisione giudiziale. Nel diritto giustinianeo si ammette la possibilit di esercitare
lactio communi dividundo solo per esigere dagli altri contitolari il dovuto in relazione alla gestione della cosa
comune, senza dover contemporaneamente procedere alla divisione.
Le servit prediali
Sono diritti soggettivi di natura reale per cui il proprietario di un fondo pu pretendere dal proprietario di un
fondo vicino un comportamento determinato di tolleranza o di omissione (tollerare o non fare). Riguardano
solo beni immobili, spettano al proprietario in quanto tale di un fondo e gravano sul proprietario in quanto tale
del fondo vicino. La servit dunque segue i due fondi (detti dominante e servente), non le persone, e non
alienabile separatamente dai fondi. Il carattere reale delle servit detta doppia realit, perch riguarda sia
lato passivo che lato attivo (la servit grava su una res ed a favore di una res) la servit un rapporto
tra fondi. Chiaramente i due fondi devono appartenere a due persone diverse e quindi si qualificano come
diritti reali di godimento su cosa altrui: esse si costituiscono per l'utilit di un altro fondo, utilit che deve
riguardare il fondo dominante e non il suo attuale proprietario i fondi devono quindi essere vicini, perch
altrimenti la servit potrebbe essere utile al proprietario ma non lo sarebbe al fondo dominante. Per questo si
neg l'usufrutto di servit, in quanto l'usufrutto non poteva durare oltre la vita dell'usufruttuario.
Nella massima servitus in facendo consistere nequit (la servit non pu consistere in un fare) emerge il
principio per cui il dovere giuridico corrispondente al diritto soggettivo del titolare deve avere contenuto
negativo il proprietario del fondo servente pu essere tenuto a non facere (non fare) o a pati (tollerare),
mai a facere. Considerando invece il lato attivo del rapporto (fondo dominante), esistono servit positive (per
il cui esercizio il proprietario del fondo dominante dovr tenere un comportamento attivo, corrisponde un pati
del fondo servente) e servit negative (il cui esercizio non comporta in s alcuna attivit, vi corrisponde un
non facere del fondo servente). Le servit sono indivisibili, dunque si costituivano solo per l'intero (in caso
di compropriet, l'atto costitutivo doveva essere compiuto da tutti).
Il concetto di servit non risale alle origini del diritto romano, anche perch finch c'era il sistema dei limes e
dell'ambitus le necessit di stabilire tra due fondi servizi l'uno a carico dell'altro erano minime. In seguito,
intorno al IV-III secolo a.C., si stabil che un proprietario in quanto tale potesse passare attraverso il fondo
del vicino per arrivare al proprio: il passaggio a piedi fu detto iter, quello con carri e animali fu detto actus.
Inoltre poco dopo si riconobbe giuridicamente la facolt di far passare attraverso il fondo del vicino l'acqua
destinata al proprio fondo (aquae ductus). Dapprima iter, actus e aquae ductus furono concepite come entit
materiali, mentre nell'ultima et repubblicana si inizi a parlare di iura praediorum (diritti dei fondi), e poco
pi tardi di servitutes (rientranti tra le res incorporales).
Le servit sono inoltre tipiche: mancava una concezione unitaria di servitutes, quindi si riconobbero singole
figure, anche se l'elenco si and allungando e anche se il regime giuridico dei singoli tipi si mantenne
uniforme. Un temperamento alla tipicit fu il modus servitutis, che precisava le modalit di esercizio delle
servit. In et repubblicana si distinse poi tra servit rustiche (res mancipi relative a fondi rustici) e servit
urbane (res nec mancipi relative a edifici).
Le servit erano riconosciute giuridicamente nell'ambito del ius civile, quindi riguardavano solo i fondi italici
in quanto erano gli unici suscettibili di dominium ex iure Quiritium.
Servitutes personarum con Giustiniano il termine servitutes si estese anche a usufrutto e uso, che furono
dette servit personali (mentre le servit prediali erano quelle tra fondi). Mentre le servit prediali
riguardavano solo beni immobili, le personali riguardavano anche i beni mobili. La servit personale sar
bandita dal codice napoleonico.
I modi di costituzione delle servit prediali
tramite negozi ad effetti reali si costituivano con mancipatio le servit rustiche, con in iure cessio
le servit sia rustiche sia urbane
tramite pactio et stipulatio sui fondi provinciali non erano costituibili servitutes, in quanto di ius
civile. Per si sent l'esigenza di istituire servizi corrispondenti ad esse, e per questo si fece ricorso a
patti accompagnati da stipulatio, dove i patti avevano effetti reali. Cos si dava luogo a situazioni
corrispondenti a quelle delle servitutes, tutelate per con azioni in factum (e non in ius). In et
postclassica non fu pi distinto tra fondi provinciali e italici, quindi per entrambi si poterono costituire
servitutes vere e proprie
tramite exceptio (o deductio) servitutis quando il proprietario di due fondi, nell'alienarne uno
tramite mancipatio, dichiarava in forza di una lex mancipii (in accordo con l'acquirente) di costituire
una determinata servit tra i due fondi. Da et postclassica, scomparsa la mancipatio e sostituita
dalla traditio, si riconobbero gli effetti dell'exceptio servitutis nell'ambito della traditio
tramite adiudicatio il giudice dei giudizi divisori poteva costituire servit tra fondi che, con la
divisione, venivano assegnati a comproprietari diversi
tramite legato per vindicationem il legatario doveva essere proprietario di un fondo (che sarebbe
diventato dominante), mentre l'altro fondo (servente) doveva appartenere al testatore, dal quale poi
si trasmetteva all'erede o a un altro legatario per vindicationem. La servit si costituiva cos alla
morte del testatore, quando il legato diventava efficace.
Le servit non si potevano invece costituire per traditio, in quanto esse erano res incorporales non
suscettibili di possesso; per questi motivi, esse non avrebbero potuto costituirsi neanche per usucapione.
Tuttavia, una lex Scribonia del I secolo a.C. vietava l'usucapione delle servit, lasciando quindi intendere che
prima alcune di esse fossero usucapibili questo si capisce se si considera che all'inizio iter, actus e aquae
ductus erano considerati come entit materiali, quindi anche come possibili oggetti di possesso e usucapio.
Una volta che poi le servit furono qualificate come res incorporales, l'usucapione fu negato. Esso
ricomparve come modo di costituzione delle servit con Giustiniano, in quanto estese alle servit la
longissimi temporis praescriptio (una specie di usucapione).
L'usufrutto
Esso era un diritto soggettivo reale di godimento su cosa altrui. Il titolare era l'usufruttuario, il proprietario
della cosa gravata il nudo proprietario. L'usufrutto era il diritto dell'usufruttuario di usare e percepire i frutti di
una cosa altrui (uti e frui), senza alterarne la destinazione economica. L'usufrutto venne riconosciuto come
diritto autonomo in seguito alla diffusione dei matrimoni sine manu in essi, con la morte del pater familias,
da un lato c'era il rischio che la moglie sui iuris cadesse nellindigenza, dall'altro cera il timore che i beni da
lei acquistati ex testamento andassero alla famiglia originaria di lei e non ai figli (che nel matrimonio sine
manu non sono iure civili eredi legittimi della madre). Per evitare questo si diffuse la prassi per cui il
testatore, mediante legato, dava alla moglie lusus fructus (godimento) di certi beni patrimoniali, in modo che
poi essi passassero agli eredi (sebbene temporaneamente tenuti dalla donna). Nell'ultima et repubblicana
l'usufrutto fu poi inteso come diritto reale su cosa altrui e qualificato ius (classificato quindi tra le res
incorporales) il suo riconoscimento e la sua tutela con vindicatio furono nell'ambito del ius civile, e poco
dopo esso fu esteso anche ai negozi inter vivos (oltre che per legato). L'usufrutto, in quanto diritto reale,
seguiva la cosa presso qualsiasi proprietario: il nudo proprietario poteva quindi alienare la cosa gravata da
usufrutto, ma l'acquirente avrebbe acquistato soltanto la nuda propriet. Inoltre l'usufrutto riguardava una
cosa altrui, quindi su un bene non gravato da usufrutto il proprietario era pieno proprietario (non nudo
proprietario+usufruttuario). Durante l'et postclassica, per la volgarizzazione del diritto, il concetto classico di
usufrutto si intorbid ed esso venne considerato quasi come una propriet temporanea. Con Giustiniano si
torn alla concezione classica, e l'usufrutto fu qualificato come servit personale insieme all'usus.
L'usufrutto poteva avere ad oggetto cose mobili e immobili (solo fondi italici), res mancipi e nec mancipi,
purch fossero res incorporales, inconsumabili e fruttifere (suscettibili di produrre reddito, quindi sia beni che
dessero frutti naturali, sia per esempio schiavi). L'usufruttuario poteva usare la cosa e percepirne i frutti, i
quali diventavano suoi soltanto al momento dell'effettiva perceptio (prima di essa i frutti erano del nudo
proprietario). I parti della schiava non erano considerati frutti; gli acquisti dei servi andavano allusufruttuario
solo se dipendevano da un suo esborso o dallattivit lavorativa dello schiavo, altrimenti andavano al nudo
proprietario. L'usufruttuario aveva il dovere di curare a proprie spese la manutenzione della cosa, quindi
doveva evitare che essa si deteriorasse/perisse; egli inoltre godeva della cosa cos com'era al momento
della costituzione dell'usufrutto, dunque non poteva mutarne l'essenza o la destinazione. A garanzia
dell'adempimento dei suoi obblighi si imponeva all'usufruttuario la cautio fructuaria, ossia una stipulatio
pretoria con cui egli prometteva al nudo proprietario la restituzione del bene una volta estinto lusufrutto e
luso della cosa con criteri di correttezza (criteri del bonus vir). La cautio era imposta dal nudo proprietario
quando lusufrutto si costituiva con atto inter vivos; se esso si costituiva con legato per vindicationem, il
pretore imponeva la cautio e denegava al legatario di usufrutto la vindicatio usus fructus finch non prestava
la cautio al nudo proprietario.
L'usufrutto aveva carattere personale, cio era legato alla persona dell'usufruttuario, non trasmissibile a
eredi, non alienabile. L'usufruttuario poteva per cederne l'esercizio ad un cessionario, consentendogli di uti
frui, pur rimanendo per titolare del diritto e responsabile verso il nudo proprietario (l'usufrutto si sarebbe
comunque estinto con la morte dell'usufruttuario). L'usufrutto, essendo personale, aveva durata limitata al
pi alla morte dell'usufruttuario; si pose quindi il problema se potesse costituirsi in favore di persone
giuridiche tipo le civitates alla fine si decise per una risposta affermativa, perch da un lato la civitates
avrebbe anche potuto cessare di esistere (facendo finire l'usufrutto), dall'altro si stabil che comunque
l'usufrutto per persone giuridiche sarebbe cessato dopo 100 anni dalla costituzione.
I modi di costituzione dell'usufrutto
legato per vindicationem
in iure cessio: modellata sulla vindicatio usus fructus, il cessionario afferma il suo diritto di usare e
percepire i frutti di una res
adiudicatio nelle azioni divisorie, se il giudice lo reputa opportuno in sede di attribuzione delle quote
pactio et stipulatio
deductio: quando chi acquistava la cosa alienata, d'accordo con l'alienante, aggiungeva
all'affermazione di appartenenza le parole dedotto l'usufrutto in tal modo egli acquistava la nuda
propriet e si formava usufrutto a favore dell'alienante
con Giustiniano anche con longi temporis praescriptio
L'usufrutto non si costituiva invece n con traditio perch era res incorporales (non suscettibile di possesso),
n con mancipatio in quanto res nec mancipi.
I modi di estinzione dell'usufrutto
morte dell'usufruttuario o capitis deminutio
avveramento di una condizione risolutiva o scadenza del termine finale (se contenuti nell'atto
costitutivo)
trasformazione della cosa (mutatio rei) che la faceva apparire diversa, con anche diversa
destinazione economica l'usufruttuario aveva l'usufrutto della cosa cosi com'era
rinunzia (tramite in iure cessio in et classica, tramite pactio in seguito)
consolidazione, quando cio l'usufruttuario acquistava la propriet o il proprietario acquistava
l'usufrutto
non usus e longi temporis praescriptio il non usus si compiva in 1 anno (beni mobili) o 2 anni
(immobili); la praescriptio in 10 o 20 anni
Con l'estinzione dell'usufrutto, la propriet che con esso si era compressa (tanto da escludere il proprietario
dal godimento della cosa) tornava ad espandersi: questo manifestazione dell'elasticit della propriet. Una
volta estinto l'usufrutto, il bene doveva essere restituito al proprietario egli, se necessario, aveva un'actio
ex stipulatu a conseguenza della cautio fructuaria. Tale actio assicurava una maggiore tutela al proprietario
perch in essa l'usufruttuario (o i suoi eredi) era responsabile per ogni pregiudizio che la cosa avesse subito
durante l'usufrutto a causa di un comportamento non da bonus vir.
Tutela giudiziaria dell'usufrutto
All'usufruttuario impedito nell'esercizio del proprio diritto si dava la vindicatio usus fructus, poi detta actio
confessoria, che ha struttura simile alla vindicatio servitutis. Essa era esperibile sia contro il nudo proprietario
sia contro terzi.
Il diritto di superficie
Secondo il principio superficie solo cedit (la superficie accede al suolo), il proprietario di un suolo era
necessariamente anche proprietario di tutto ci che al suolo era incorporato. Tuttavia, gi in et classica, si
diffuse l'uso di dare in concessione la superficie separatamente dal suolo mediante contratto di
compravendita (emptio venditio) o di locazione (locatio conductio) in tal modo il superficiario conseguiva il
godimento della superficies (per esempio dell'edificio che era stato costruito sul suolo); nel caso di vendita il
superficiario pagava un pretium come corrispettivo, in caso di locazione si obbligava al pagamento di una
merces (canone periodico detto solarium). Il superficiario per non diventava proprietario della superficie,
quindi non si contravveniva al principio superficies solo cedit: egli infatti acquistava solo un diritto al
godimento, quindi anche nel caso di vendita il venditore era semplicemente tenuto ad assicurare al
compratore il godimento della cosa (senza traslazione di propriet) i contratti avevano solo effetti
obbligatori, quindi il superficiario diveniva creditore e il suo diritto di credito era tutelato con un'actio ex
contractu contro il concedente, e mai contro terzi (quindi nemmeno contro eventuali aventi causa a titolo
particolare del concedente). Su questo intervenne il pretore dando al superficiario un interdictum de
superficiebus contro turbative al godimento anche provenienti da terzi, e pi tardi un'azione reale in factum,
esperibile contro chiunque tenesse il godimento della superficie al suo posto (erga omnes). Quest'ultima era
di maggiore tutela dell'interdictum in quanto ad essa era passivamente legittimato chiunque avesse
conseguito il godimento della superficie. Con la concessione dell'actio in rem, il diritto del superficiario si
configurava come diritto reale limitato di godimento su cosa altrui sebbene egli era sostanzialmente
proprietario, non acquistava formalmente la propriet quindi si mantenne il principio superficies solo cedit.
Nel corso dell'et classica la posizione del superficiario si consolid: fu riconosciuto il diritto di vendere la
superficie con effetti reali, di convenirla in pegno e, iure praetorio, di costituire su essa usufrutto e servit.
Agri vectigales
Erano porzioni di ager publicus che i censori erano soliti dare in concessione ai privati (possessores) dietro
pagamento di un corrispettivo periodico fisso detto vectigal. I possessores erano tutelati con interdica contro
turbative e spossessamenti. In et repubblicana anche i municipia cominciarono a dare in concessione terre
(col principato le concessioni riguardarono solo le terre municipali). Tali concessioni venivano realizzate
tramite locationes; prima era a breve termine (5 anni), poi a lungo termine (100 anni) e infine generalmente
perpetue (erano comunque revocabili per il mancato pagamento del canone). L'ager vectigalis era alienabile
inter vivos con traditio e anche trasmissibile agli eredi. Alla fine I secolo a.C., fu concessa dal pretore ai
possessores un'azione reale in factum per il recupero del possesso, esperibile contro qualunque
possessore. Il ius in agro vectigalii fu configurato come diritto reale iure praetorio; esso era sostanzialmente
un diritto reale di godimento su cosa altrui, dove il dominium restava al populus Romanus o al municipium. In
et classica i poteri dei possessores si ampliarono: poteva disporre dell'ager vectigalis per legato, costituirlo
in pegno, gravarlo iure praetorio di usufrutto/servit, esercitare su di esso alcune azioni spettanti al dominus.
Enfiteusi
In et postclassica non si parl pi di agri vectigales ma si svilupparono altri tipi di concessione di terre
pubbliche, spesso assimilati al dominium, e chiamati ius perpetuum e ius emphyteuticum il loro regime fu
unificato dall'imperatore Zenone e esteso alle terre private, e si parl a riguardo di enfiteusi (un tertium
genus contrattuale). Giustiniano poi stabil un regime pi articolato e l'enfiteusi fu considerata un diritto reale
di godimento su cosa altrui: poteva riguardare sia terre private che pubbliche. L'enfiteuta era tenuto al
pagamento di un canone annuo e al miglioramento del fondo; poteva alienare il fondo se lo comunicava al
concedente, il quale aveva diritto di prelazione = poteva pretendere di essere preferito a parit di condizioni,
mentre se permetteva l'alienazione a terzi, aveva comunque diritto al 2% del prezzo di vendita.
Estinzione dell'enfiteusi:
mancato pagamento del canone o dellimposta fondiaria per oltre 3 anni
alienazione del fondo a terzi effettuata senza chiedere al concedente
confusione (proprietario = enfiteuta)
Pegno e ipoteca
Sono diritti reali su cosa altrui di garanza (non di godimento) = diritti reali su una res che si costituiscono in
funzione della realizzazione di un credito e che attribuiscono al titolare-creditore, quando il debitore non
adempie, la facolt di rivalersi sulla cosa (generalmente vendendola per soddisfare il proprio credito col
ricavato) sono quindi garanzie reali dei crediti o delle obbligazioni.
La specie pi antica di garanzia reale delle obbligazioni era la fiducia cum creditore (non una garanzia su
cosa altrui); essa comportava l'acquisto da parte del creditore della propriet della cosa che si dava in
garanzia, con l'obbligo di trasferirla al fiduciante una volta soddisfatto il credito. La fiducia comportava l'uso
della mancipatio, quindi riguardava le res mancipi. Dunque probabilmente all'inizio si ricorreva al pegno per
costituire in garanzia una res nec mancipi (solo in seguito anche per res mancipi).
La genesi del pegno
La pratica del pignus ebbe inizio nel III secolo a.C., come consegna di una cosa ad un creditore affinch la
tenesse fin quando il credito fosse stato soddisfatto; era dunque un pegno manuale per cui si parlava di
datio pignoris. Il tal caso il creditore non acquistava la propriet della cosa, quindi il termine datio non
significava ancora trasferimento di propriet ma soltanto consegna. La datio pignoris in origine riguardava
soltanto res mobili nec mancipi, ma presto l'applicazione fu estesa anche alle res nec mancipi e agli
immobili. Nel II secolo a.C., si ricorse alla conventio pignoris, per la quale non aveva luogo consegna ma
solo patto tra creditore e debitore: una cosa del debitore veniva costituita in pegno ma restava al debitore,
con l'intesa che il creditore potesse impossessarsene in caso di inadempimento (ma avrebbe dovuto poi
restituirla all'estinzione del debito). Vi si faceva ricorso per esempio per le locazioni di fondi rustici, in cui a
garanzia del canone locativo si costituivano in pegno gli invecta et illata (attrezzi di lavoro, schiavi etc),
oppure per le locazioni di case, in cui si costituivano in pegno gli arredamenti. In seguito la conventio
pignoris si us per ogni tipo di credito, ed ebbe a oggetto tutte le cose (mancipi o non, mobili o non).
Il creditore pignoratizio godeva di tutela giudiziaria dapprima con gli interdetti uti possidetis, utrubi e de vi, gli
stessi a difesa del possesso, dunque egli fu riconosciuto possessore ai fini della difesa. Con la datio pignoris
il creditore acquistava il possesso e la difesa possessoria immediatamente all'atto della datio, con la
conventio pignoris poteva acquistarlo quando si verificava l'inadempimento. Il primo intervento pretorio nella
tutela si ebbe con l'interdictum Salvianum, che riguardava la conventio pignoris di invecta et illata, ed era
concesso al locatore di un fondo rustico contro il conduttore del fondo che non pagasse il canone il
locatore cos poteva prendere possesso degli invecta et illata convenuti in pegno. Fu invece concesso
l'interdictum de migrando riguardo alle res portate nella casa in locazione: esso fu dato al conduttore contro il
locatore che gli impedisse di portare via dallalloggio le cose che vi aveva immesso, e presupponeva un
regolare pagamento del canone e che le res non fossero state convenute in pegno.
Un altro rimedio pretorio fu l'actio Serviana era in factum e in rem, esperibile da parte del creditore
pignoratizio contro l'attuale possessore della cosa pignorata (sia il debitore stesso sia un terzo), diretta al
conseguimento del possesso. Essa fu anche detta vindicatio pignoris, actio pigneraticia (in rem) o actio
hypothecaria. Questa azione, a differenza dell'interdictum Salvianum, giovava anche al creditore pignoratizio
che aveva acquistato e poi perduto il possesso (sia che il pegno fosse stato costituito con datio sia con
conventio). Con l'introduzione dell'actio Serviana, che era in rem, il pegno si configur come diritto reale di
garanzia sulla cosa altrui; con essa il creditore era pi tutelato rispetto agli interdetti, perch l'azione reale
seguiva la cosa presso qualsiasi possessore (il creditore quindi era tutelato anche se il debitore la alienava o
se ne perdeva in altro modo il possesso).
Datio pignoris e conventio pignoris, o hypotheca
La datio pignoris si costituiva con una consegna (traditio), con cui il creditore pignoratizio acquistava
immediatamente il possesso della res pignerata; egli era poi tenuto a restituire la cosa quando fosse stato
soddisfatto il debito questo obbligo fu qualificato obligatio perch la datio pignoris fu inclusa tra i contratti
reali. Invece la conventio pignoris era solo un accordo, un patto con effetti reali: il creditore non diventava
subito possessore, ma acquistava il diritto al possesso in caso di inadempimento. Per questi motivi datio
pignoris e conventio pignoris erano due cose diverse, ma tuttavia per altri aspetti esse furono trattate
insieme dai giuristi romani e ne fu stabilito un regime unitario. Per, si adott per indicare la conventio la
parola hypotheca. Il pegno poi si costituiva generalmente su cose corporali, ma fu ammesso anche su
servit, usufrutto, crediti, superficie, ager vectigalis, cose future e anche su tutto il patrimonio; fu ammesso
anche il pegno del pegno (subpignus). Il pegno era validamente costituito da chi aveva la cosa in bonis,
ovvero sia dal proprietario quiritario sia dal proprietario pretorio. Il creditore pignoratizio che teneva la cosa
presso di s poteva avere il possesso utile per la difesa possessoria interdettale, ma il possesso ad
usucapionem rimaneva al debitore e quindi il creditore non aveva il godimento n luso della cosa (se avesse
usato la cosa, avrebbe commesso furtum usus). Il creditore, se il debito non veniva adempiuto, poteva
trattenere la cosa fino allestinzione.
Patto commissorio e ius vendendi
Dall'ultima et repubblicana si riconobbero validi e efficaci, se aggiunti all'atto costitutivo del pegno, sia il
patto commissorio sia il ius vendendi. Il patto commissorio era il patto per cui il creditore, se il debitore era
inadempiente, acquistava in propriet il bene pignorato; esso fu vietato poi da Costantino perch troppo
gravoso per il debitore. Il ius vendendi invece era il patto per cui si dava al creditore facolt di vendere la
cosa facendone traditio al compratore, che ne avrebbe acquistato la propriet quiritaria solo se essa era res
nec mancipi (se era invece res mancipi avrebbe acquistato solo il possesso ad usucapionem e la propriet
pretoria, perch il creditore non poteva vendere la cosa n tramite mancipatio n in iure cessio). Il ius
vendendi fu molto applicato e a fine et classica divenne elemento naturale del pegno (si ritenne tacitamente
implicito nel negozio). Con il ricavato della vendita il creditore soddisfaceva il suo debito, e se mai doveva
restituire al debitore quanto fosse avanzato (superfluum o hyperocha). Se il creditore non trovava
compratori, aveva il diritto di acquistare la propriet del pegno dopo aver fatto istanza all'imperatore.
Inoltre, la stessa cosa poteva essere convenuta in pegno a pi creditori, in tempi diversi e per obbligazioni
diverse si stabilivano precedenze tra i creditori secondo il criterio prior in tempore, potior in iue (ossia
prevaleva il creditore in favore del quale lipoteca era stata convenuta prima). Ai creditori di grado inferiore si
dava per il ius offerenti; offrendo di pagare quando dovuto al creditore di rango superiore, il creditore di
grado inferiore gli subentrava nel rango.
Modi di estinzione del pegno
adempimento del credito garantito
perimento della cosa ad oggetto di pegno
confusione (quando il creditore pignoratizio diventava anche il proprietario)
vendita in esecuzione del ius vendendi
inadempimento in forza del patto commissorio (sino a Costantino)
Il possesso
Il possesso consiste nell'esercizio di fatto di un diritto soggettivo reale, uno stato di fatto che dura finch
dura il suo esercizio (si perde il possesso se si smette di esercitarlo); per questo si distingue dal diritto
soggettivo per esempio di propriet, che spetta al proprietario anche se non lo esercita. Per aversi possesso,
oltre alla disponibilit materiale della cosa, deve esserci anche l'animus rem sibi habendi (intenzione di
tenere la cosa per s) o meglio l'animus domini (intenzione di tenere la cosa come propria). Dunque ha il
possesso colui che si comporta come se fosse il proprietario, tenendo la cosa come propria possessore
il proprietario che tiene la cosa come propria, possessore il non proprietario convinto che la cosa che tiene
gli appartenga (in buona fede), possessore il ladro (in mala fede). Non sono invece possessori i servi e i filii
familias (i possessori dei beni da essi tenuti erano i padroni e i pater familias), ma neanche coloni e inquilini
(i quali tenevano aedes/fondi rustici con contratti di locazione, dunque i possessores erano i locatori),
depositari, comodatari, missi in possessionem, usufruttuari questi soggetti erano solo detentori. Il
possesso quindi si distingue dalla detenzione perch in essa manca l'animus. Per indicare la detenzione a
volte si parlava di detinere, pi spesso di in possessione esse, ma soprattutto di naturalis possessio (una
possessio naturale, quindi priva degli effetti giuridici propri del possesso).
La genesi del possesso
L'idea di possesso nacque a Roma con la concessione dellager publicus ai privati, detti possessores (il cui
potere fu qualificato possessio). Il pretore diede tutela ai possessores con gli interdicta, di cui il pi antico era
l'interdictum uti possidetis; tale tutela fu poi estesa anche a coloro che avevano l'usus di un immobile ai fini
dellusucapione, e poi anche ai precaristi, ai creditori pignoratizi, ai sequestratari e a tutti quanti tenessero
come propria una cosa mobile o un fondo uti domini. Inoltre, furono poi introdotti altri interdicta.
La difesa del possesso
Gli interdetti furono classificati in:
1. interdicta adipiscendae possessionis (per l'acquisto del possesso) non tutelavano i possessori
ma miravano all'acquisto del possesso ex novo
2. interdicta retinendae possessionis (per la conservazione del possesso) erano proibitori, in
quanto contenevano l'ordine del magistrato vim fieri veto (vieto che sia fatta violenza). Il pi antico
era l'interdictum uti possidetis, riguardante gli immobili, con cui si vietava a entrambi i contendenti di
usare la violenza per modificare la situazione di possesso del contendente: era un interdictum
duplex poich riguardava entrambe le parti. Era parte integrante dell'interdictum l'exceptio vitiosae
possessionis, secondo la quale prevaleva la parte che possedesse la cosa senza vizi rispetto
all'altro litigante (ossia nec vi nec clam nec precario, in modo non violento, non clandestino e non per
concessione precaria si parla di possessio iusta). Quindi colui che avesse acquistato il possesso
della cosa con violenza o clandestinamente godeva della tutela con interdictum, ma non contro la
persona cui aveva tolto il possesso; allo stesso modo il precarista non era tutelato contro il
concedente. L'interdictum uti possidetis classificato tra quelli per la conservazione del possesso in
quanto poteva essere utile al possessore giusto per porre fine a turbative.
Struttura analoga aveva l'interdictum utrubi, che per riguardava i beni mobili: riguardava entrambe
le parti e tutelava il possessore nec vi nec clam nec precario rispetto all'avversario. A differenza
dell'altro interdetto per esso tutelava non tanto il possessore attuale, quanto piuttosto il litigante che
aveva avuto possessio iusta rispetto all'avversario per il maggior tempo durante l'ultimo anno.
3. interdita reciperandae possessionis (per il recupero del possesso) l'interdictum uti possidetis
assumeva anche funzione recuperatoria del possesso quando qualcuno lo utilizzava per recuperare
il possesso presso un possessor iniustus (cio colui che possedeva la cosa con vizi). Allo stesso
modo poteva avere questa funzione anche l'interdictum utrubi. Per il recupero del possesso in favore
del possessore che avesse subito spossessamento violento c'era l'interdictum de vi (o de vi
cottidiana); esso era simplex, non duplex. Anch'esso conteneva l'exceptio vitiosae possessionis e
quindi era dato soltanto al gi possessor iustus rispetto all'avversario: il possessor iustus
spossessato vi aut clam poteva recuperare il possesso anche senza l'interdictum, pure facendo
ricorso alla violenza. L'interdictum de vi doveva essere esercitato non oltre l'anno dallo
spossessamento e non era trasmissibile agli eredi.
Fu poi introdotto anche l'interdictum de vi armata, simile al precedente tranne per il fatto che questo
presupponeva uno spossessamento avvenuto con l'impiego di una banda armata. Essendo un caso
grave, fu dato al possessor pure se iniustus (mancava quindi l'exceptio vitiosae possessionis).
Possesso e propriet: Il possesso uno stato di fatto che prescinde dal corrispondente stato di diritto, e in
questo si differenzia dalla propriet. Il possessore uti dominus era protetto sia che fosse effettivamente
proprietario della cosa posseduta, sia che non lo fosse; era protetto sia contro terzi, sia contro lo stesso
proprietario se era lui a violare il possesso. La questione di propriet andava decisa in sede di rivendica;
quindi il dominus non possessore, per avere il possesso della cosa propria, doveva ricorrere alla rivendica.
Se avesse sottratto vi aut clam la cosa al possessore, avrebbe dovuto innanzitutto ripristinare lo stato di fatto
quo ante, e se necessario vi era costretti con gli interdetti essi avevano quindi funzione di mantenere la
pace e l'ordine sociale (ne cives ad arma veniant = che i cittadini non vengano alle armi).
Possesso ad usucapionem e possessio ad interdicta
Lusucapione riguardava solo i possessori di res uti domini (coloro che tenevano la cosa come propria, con
animus domini) che, se non erano gi proprietari, lo diventavano con il decorso dellusucapione. Essi
possedevano di norma sia ad interdicta sia ad usucapionem. La possessio ad usucapionem era diversa dalla
possessio ad interdicta era differente la matrice e anche la ratio; infatti mentre la difesa del possesso
(interdicta) garantiva l'esigenza di pace sociale, l'usucapione soddisfaceva l'esigenza di troncare possibili
dubbi sul titolare del dominium e permetteva di garantire anche coloro che curavano i propri affari (al posto di
chi li trascurava). Dunque non tutti i possessori interdittali potevano usucapire, e non tutti i possessori ad
usucapionem avevano tutela interdittale. I detentori non possedevano neanche ad usucapionem, ma per
altre situazioni si riconosceva sulla stessa cosa il possesso ad usucapionem per un soggetto e il possesso
ad interdicta per un altro per esempio al debitore pignoratizio e al precario dans (caso del pegno e del
precario) si riconosceva il possesso ai fini dell'usucapione nonostante non tenessero materialmente la cosa;
al creditore e al precarista si riconosceva invece il possesso ai fini della tutela interdittale. Nel caso invece
del sequestro, non si riconosceva il possesso ad usucapionem n ai deponenti n al sequestratario, mentre
il possesso ad interdicta era riconosciuto solo al sequestratario. Inoltre la possessio ad usucapionem era
tutelata all'occorrenza con azione Publiciana, ed era qualificata come possessio civilis (contrapposta alla
possessio naturalis per indicare la detenzione).
Acquisto, conservazione e perdita del possesso
Secondo il diritto romano il possesso non poteva prescindere da due elementi base: il corpore possidere
(effettiva possibilit di disporre della cosa, di averne il controllo) e l'animus possidendi (intenzione di tenere la
cosa per s, in maniera indipendente). Si pu dire con riferimento a ci che il possesso di una res si
acquistava nel momento in cui qualcuno, con l'animus, aveva la possibilit di disporne; il possesso poi si
conservava mantenendo questa possibilit e senza far venir meno l'animus; si perdeva infine quando
venivano meno la possibilit di disporre della cosa e/o l'animus. L'animus possidendi per (anche se spesso
corrispondeva alla volont di tenere la cosa come propria) non fu concepito come animus domini il
concetto di animus possidendi era infatti pi ampio, era l'intenzione di avere la cosa per s, nel proprio
interesse, a proprio nome e in maniera indipendente: avevano tale animus anche i creditori pignoratizi, i
sequestratari, i precaristi (soggetti che non tenevano il bene uti dominus, quindi non avevano animus
domini). L'animus inoltre era rilevante se manifestato in maniera apprezzabile, dunque si riteneva venuto
meno se si manifestava allo stesso modo di non voler pi tenere la cosa per s.
Il possesso si acquistava e si trasmetteva mediante traditio (o per occupatio e adprehensio di res derelictae),
mentre poi si perdeva per effetto di derelictio. Si poteva poi acquistare/trasmettere per mezzo di
rappresentanti (procuratores, tutoli, curatori), schiavi o filii familias. Il possesso si acquistava anche se la
traditio non avveniva con consegna materiale, purch la cosa fosse messa a disposizione di chi ne prendeva
possesso; allo stesso modo si conservava il possesso se si continua a disporre della cosa, o perch si
poteva ottenerne immediatamente la restituzione (es.deposito) o perch se ne conservava il controllo il
possessore di un fondo che ne uscisse con l'intento di ritornarvi manteneva il possesso, cos come lo
manteneva il possessore di pascoli stagionali utilizzabili solo in certi momenti dell'anno. Allo stesso modo un
pater familias conservava il possesso sulle cose tenute da schiavi e filii.
Infine, nessuno poteva mutare a se stesso la causa del possesso: chi aveva iniziato a tenere una cosa in
forza di un titolo, non poteva pretendere di possederla ad altro titolo per avere mutato da s il proprio
animus: non aveva effetto linterversione del possesso senza intervento di altra persona. Dunque il
depositario che teneva una res non poteva pretendere di essere diventato possessore uti dominus per il fatto
di aver mutato animus, cio di aver ad un certo punto concepito l'intenzione di tenere la cosa come propria
(avrebbe dovuto intervenire un'altra persona per ottenere questo risultato, per esempio il deponente che gli
poteva vendere o alienare la cosa).
Oggetto del possesso
Il possesso riguardava solo le res corporales, in quanto esso fu concepito materialmente. Dunque per i
Romani non si possedeva un ius sulla res, ma si possedeva la res stessa infatti il diritto di propriet non
era visto come ius ma si identificava con la cosa che ne era oggetto. Per questo motivo coloro che
esercitavano usufrutto e servit non erano possessores, in quanto si trattava di iura e dunque di res
incorporales (il possesso restava al nudo proprietario in caso di usufrutto e al proprietario del fondo servente
in caso di servit).
Quasi possessio e possessio iuris
Coloro che esercitavano usufrutto e servit non erano ritenuti possessori e dunque non avevano la difesa
interdittale contro turbamenti e molestie. Su questo intervenne il pretore, concedendo in via utile a coloro che
esercitavano usufrutto su immobili gli interdetti uti possidetis e de vi (non in via diretta, ossia si estesero tali
interdetti a situazioni analoghe a quelle per cui erano previsti). Al contempo concesse a coloro che
esercitavano servit gli interdetti de itinere actuque privato, de rivis e de cloacis. Non erano interdetti
possessori per, a seguito della loro concessione, gli esercitanti usufrutto o servit furono detti quasi
possessores (riferimento a una situazione accostabile al possesso normale).
Negli scritti dei classici a volte vengono usate impropriamente le espressioni possessio usus fructus e
possessio servitutis, senza per attribuirvi valore tecnico; i giuristi bizantini per attribuirono accezione
tecnica a tali espressioni, cosicch si deline l'idea di un possesso dei diritti (possessio iuris). Da qui, con
Giustiniano, si arriv ad ammettere anche l'usucapione di usufrutto e servit.
Possesso e superficie
I superficiari e coloro che di fatto godevano della superficie non furono mai detti possessores; il pretore infatti
concesse loto l'interdictum de superficiebus, che aveva struttura e funzioni simili a quelle dell'uti possidetis.
Per in tarda et classica fu concesso a coloro che, tenendo la superficie, ne erano stati espulsi,
l'interdictum de vi. Tuttavia, l'interdictum uti possidetis rimase negato e il godimento di fatto della superficie
non comport ma acquisto del diritto per usucapione.
comportamento. Il debitore promittente dunque era tenuto ad una prestazione futura ed era egli stesso
responsabile e perseguibile in caso di inadempimento. Cos, la struttura del rapporto della sponsio si and
estendendo anche ad altri atti leciti per cui si parl di obligatio. Il fenomeno poi interess anche gli atti illeciti:
la pena pecuniaria nata come riscatto fu considerata come una prestazione, alla quale il debitore era tenuto
nei confronti del creditore; dunque, almeno a partire dal principato, il termine obligatio fu utilizzato anche in
relazione a rapporti che avevano la causa in atti illeciti. Tuttavia, atti illeciti e leciti erano comunque differenti
e i loro regimi giuridici rimasero diversi molti dei principi stabiliti per le obbligazioni continuarono a
riguardare solo le obbligazioni da atto lecito. Agli inizi, quando l'esecuzione per la responsabilit di debiti si
effettuava tramite legis actio per manu iniectionem, il responsabile era esposto al rischio
dellassoggettamento personale al potere del creditore a seguito di addictio del magistrato. Con labolizione
delle legis actiones lesecuzione personale rimase, ma gli addicti vennero trattati con minore rigore in
alternativa all'esecuzione personale il pretore stabil che si potesse procedere ad esecuzione patrimoniale
(bonorum venditio). Dunque l'obligatio, che prima era un vincolo potenziale che coinvolgeva materialmente
la persona del debitore, si and configurando come vincolo relativo al suo patrimonio.
Riguardo alla storia dell'obligatio si pu anche notare che il termine obligatio, composto da ob e ligatio,
rimanda ancora al vincolo materiale cui erano costretti in origine i nexti e i responsabili di illeciti; allo stesso
modo anche l'uso dei termini solvere e solutio per indicare l'estinzione dell'obbligazione rimanda ai vincoli, in
origine spesso consistenti in catene, che venivano poi materialmente sciolti alla soddisfazione del debito o al
pagamento della poena.
Obbligazioni civili e obbligazioni onorarie
Per indicare il vincolo giuridico nascente dalla sponsio si parl di oportere, con riferimento alla necessit per
l'obbligato di adempiere la prestazione: il punto di vista quello del convenuto-debitore gravato da un
obbligo nei confronti dell'avversario-creditore. L'oportere non era qualificato ex iure Quiritium, ma nelle azioni
in personam il vincolo di oportere si accompagnava ad un vincolo di ius civile. A partire da et preclassica il
pretore inizi a concedere delle actiones in factum e in personam, nelle cui formule si descrivevano
circostanze di fatto (non c'era un intentio con oportere). Le actiones in factum si contrapposero alle
cosiddette actiones in ius, le quali esprimevano un oportere nell'intentio (il ius al quale si faceva riferimento
era il ius civile). All'inizio la qualifica di obligatio fu riservata soltanto ai rapporti sottostanti alle actiones in
personam in ius; per i rapporti di diritto onorario, sottostanti ad actiones in personam in factum, non si parl
di obligatio ma di actione teneri. In et classica la terminologia fu estesa anche ai rapporti di diritto onorario,
e si incominci a parlare di obbligazioni onorarie (mentre le altre, per contrapposizione, furono dette
obbligazioni civili).
Obbligazioni naturali
Esse sono rapporti non sanzionati da azioni, e sono dette naturali proprio per indicare che si trattava di
obbligazioni pi di fatto che di diritto. Quindi le vere e proprie obbligazioni furono dette obbligazioni civili, non
pi perch fondate sul ius civile ma in quanto sanzionate da azioni. Il debitore dunque con le obbligazioni
naturali poteva non essere costretto all'adempimento: questo tipo di obbligazioni sorgeva soprattutto in
merito ai debiti da atto lecito assunti dagli schiavi in favore di una persona diversa dal dominus, ma anche
assunti in favore di estranei da parte di filiae familias, donne in manu e personae in causa mancipi. Si
inclusero poi tra le obbligazioni naturali anche crediti/debiti da atto lecito tra un alieni iuris e la persona che
esercitava potest su di lui, e infine anche le obbligazioni assunte dal pupillo senza l'auctoritas del tutore.
L'effetto dell'obligatio naturalis era la soluti retentio = se il debito fosse stato adempiuto spontaneamente, il
creditore poteva trattenere quanto ricevuto (retentio del solutum); questo perch contro il creditore non era
proponibile la condictio indebiti. Lobbligazione naturale poteva anche essere oggetto di novazione, poteva
essere valutabile ai fini della compensazione e per essa potevano essere costituite garanzie reali e
personali. Ad un certo punto si cominci anche a parlare di obligationes naturalis in situazioni nelle quali, pur
mancando un negozio in grado di produrre obbligazioni, si ravvis l'esistenza di doveri morali da prendere in
considerazione vi si attribu pertanto solo la solutio retentio. Esempi: sentenza che assolveva il debitore
ingiustamente, l'obbligazione non adempiuta ed estinta per effetto della litis contestatio etc.
I contenuti della prestazione
dare fu inteso nel senso tecnico di trasferire la propriet o costituire un altro diritto reale; era
quindi ritenuto inadempiente il debitore di dare che avesse trasferito la cosa senza esserne il
proprietario. Ai fini dell'adempimento dell'obbligazione di dare si richiese anche che il creditore
acquistasse il possesso della cosa che gli era dovuta. Di norma in questo tipo di obbligazione le
formule erano con intentio certa
facere comprendeva ogni comportamento diverso dal dare, sia che si trattasse di un'attivit
materiale sia del compimento di un negozio giuridico. Vi rientrava anche il non facere, in quanto
anche l'astensione da certi comportamenti era possibile oggetto di prestazione. Le formule delle
obbligazioni di facere avevano demonstratio e intentio incerta
praestare non molto chiaro dalle fonti, ma sembra indicare qualunque possibile oggetto di
prestazione. Praestare derivava da praes, cio un garante che si assumeva la responsabilit di un
comportamento altrui; in et classica non si faceva ormai pi ricorso ai praedes, ma i giuristi classici
parlavano di praestare con riferimento a prestazioni attinenti a rapporti obbligatori di garanzia.
prestazione (es. obbligazione di costituire una servit o il diritto di usus). Ovviamente le obbligazioni
indivisibili non potevano essere adempiute parzialmente, quindi si applic ad esse il regime delle
obbligazioni solidali elettive (quando la prestazione era dovuto da pi persone o a pi persone).
Obbligazioni alternative
Erano obbligazioni con due o pi prestazioni, ciascuna alternativa rispetto all'altra, dunque il debitore si
liberava dell'obbligazione con l'adempimento di una delle prestazioni previste. Questo tipo di obbligazione
poteva nascere da stipulatio, legato per damnationem o compravendita (es. prometti di dare a me o il servo
Stico oppure dieci?. Normalmente la scelta (electio) tra le due prestazioni spettava al debitore, il quale
poteva cambiarla fino al momento dell'adempimento (ius variandi). Eccezionalmente la scelta poteva essere
concessa al creditore (se specificato nell'atto costitutivo), e in tal caso poteva essere cambiata solo fino al
momento dell'azione contro il debitore inadempiente; quando poi il creditore faceva la sua scelta,
l'obbligazione cessava di essere alternativa e diventava semplice, con una sola prestazione = fenomeno
della concentrazione. Tale fenomeno si verificava anche quando una delle prestazioni diventava impossibile.
Faceva eccezione il caso in cui l'impossibilit sopravvenuta fosse imputabile al debitore: in tal caso il
creditore manteneva facolt di scelta tra la prestazione possibile e la stima di quella impossibile.
Obbligazioni generiche
Sono obbligazioni in cui la prestazione ha ad oggetto cose individuabili per l'appartenenza ad una categoria
(genus). Quando invece la prestazione ha ad oggetto cose determinate, individuate nella specie, detta
specifica. Di solito erano generiche le obbligazioni di cose fungibili; poteva anche accadere che alcune cose
fungibili venissero considerate nella loro individualit, dunque le obbligazioni di cui erano oggetto erano viste
come specifiche; ma poteva altres accadere che cose infungibili venivano in considerazione per
l'appartenenza a un genus, e non per se stesse, dunque si parlava di obbligazioni generiche anche per esse.
Quando le obbligazioni generiche derivavano da fonti per le quali chi aveva ricevuto cose fungibili avrebbe
dovuto restituire l'equivalente, le cose restituite dovevano essere della stessa quantit e qualit di quelle
ricevute. Allo stesso modo in caso di obbligazioni pecuniarie. Nel caso invece di obbligazioni generiche
nascenti da stipulatio o legato per damnationem, era necessario indicare con determinatezza l'oggetto della
prestazione (genere di appartenenza, quantit e qualit), pena la nullit del negozio; alla indeterminatezza si
poteva rimediare interpretando la volont negoziale.
Il genus dell'oggetto dell'obbligazione poteva esse pi o meno ampio; quando esso era pi ristretto, si
potevano notare certi aspetti di somiglianza tra le obbligazioni generiche e quelle alternative la facolt di
scelta era infatti di norma data al debitore, ma se specificato poteva anche essere concessa al creditore.
Riguardo all'oggetto della scelta, dapprima non si diedero limitazioni se il genus comprendeva cose di
varia qualit, il debitore poteva scegliere la peggiore e il creditore poteva scegliere la migliore (quando a lui
spettava la scelta). In seguito si conferm il principio per cui andassero scelte cose di media qualit.
Una regola propria delle obbligazioni generiche che genus non perit (il genus non pu perire); quando il
genus ampio questo vero, quando invece ristretto possibile che l'obbligazione si estingua per il
perimento dell'oggetto della prestazione (purch tale perimento non fosse imputabile al debitore).
Inadempimento e responsabilit; impossibilit sopravvenuta della prestazione imputabile al debitore
Il creditore ha diritto alla prestazione; il debitore che non adempie, se l'inadempimento a lui imputabile,
incorre in responsabilit contrattuale (contrapposta alla responsabilit extra contrattuale, dipendente dalla
commissione di un atto illecito extracontrattuale, es. delictum). L'inadempimento poteva dipendere da
impossibilit sopravvenuta delle prestazione imputabile al debitore (per esempio perimento della cosa
oggetto di prestazione). Le circostanze in cui si riteneva che l'impossibilit fosse imputabile al debitore erano
le seguenti (criteri di imputazione):
nelle obbligazioni sanzionate da azioni in ius di stretto diritto (actio ex stipulatu, actio ex testamento,
condictio), il debitore rispondeva per l'impossibilit se essa derivava da un suo comportamento
positivo e cosciente (factum debitoris), non importava se voluto o non. Il debitore non era
responsabile in origine se l'impossibilit derivava da una sua omissione
quando il debitore teneva a proprio vantaggio una cosa altrui, con lobbligo poi di restituirla,
rispondeva per custodia. Il debitore era liberato solo se la prestazione diventava impossibile per
caso fortuito o cause di forza maggiore; in ogni altra ipotesi egli era responsabile (responsabilit
oggettiva, prescindeva da colpa del debitore)
il depositario rispondeva solo per dolo (inteso come volontariet dellevento dannoso provocato da
comportamento volontario), perch teneva la cosa non a proprio vantaggio, ma a vantaggio del
deponente. Commetteva quindi dolo il depositario che volontariamente provocava il perimento della
cosa depositata
nell'ambito di iudicia bonae fidei, si poteva valutare in base al tipo di rapporto obbligatorio. In
conformit ai criteri della buona fede, si ritenne giusto che il debitore rispondesse dellimpossibilit
sopravvenuta della prestazione sulla base del criterio di custodia. In altri casi il grado di
responsabilit del debitore era limitato al dolo o alla colpa, dove per colpa si intendeva il
comportamento negligente o imprudente.
Negli scritti classici si trovano diverse gradazioni di culpa la culpa lata era la colpa grave, nella quale
incorreva il debitore che non intende quel che tutti intendono; essa, quanto agli effetti, era equiparata al
dolo. V'era poi la culpa levis (o culpa in abstracto), nella quale incorreva la persona che non adoperava la
diligentia propria delluomo medio. Contrapposta ad essa era la culpa in concreto, ossia quella di chi non
curava le cose altrui come le proprie. Al criterio della colpa si assimilarono i criteri del factum debitoris e della
custodia il regime di responsabilit per inadempimento era dunque riferito essenzialmente a dolo e colpa.
Ai criteri di imputazione dellinadempimento si poteva derogare, nelle obbligazioni da contratto, con patto
contrario con apposito patto si pot estendere la responsabilit di ogni debitore alla forza maggiore,
estendere la responsabilit del depositario alla culpa o alla custodia e quindi limitare al dolo solo la
responsabilit del comodatario (era nullo il patto di esonero dal dolo).
Il periculum = rischio dipendente da un evento pregiudizievole per taluno e non imputabile a nessuno (n a
lui n ad altri). Quando si trattava di perimento, la perdita patrimoniale che ne seguiva era di norma a carico
del proprietario della cosa perita. Nelle obbligazioni il periculum era il rischio per l'impossibilit sopravvenuta
della prestazione a causa di forza maggiore, ed era solitamente a carico del creditore (perch lui subiva la
perdita patrimoniale). Questo non valeva se il debitore se ne assumeva espressamente la responsabilit o
se il debitore era in mora.
La perpetuatio obligationis = se la prestazione era divenuta impossibile per causa imputabile al debitore (o
durante la mora del debitore), l'obbligazione non si estingueva ma si perpetuava come se la res non fosse
perita. Si trattava dunque di una finzione giuridica. Questo principio fu introdotto in quanto, in caso estremo
di inadempimento del debitore (a cui l'inadempimento fosse imputabile), il creditore poteva agire in giudizio
per l'accertamento del credito e la condanna dell'avversario, sia che la prestazione fosse possibile o meno:
se essa non lo era pi, il creditore avrebbe perseguito l'equivalente pecuniario della prestazione (aestimatio).
Bisognava per permettere in qualche modo al giudice di considerare ancora obbligato il convenuto,
nonostante la cosa oggetto di prestazione fosse perita; a questo provvedettero i giuristi repubblicani
(veteres) con la perpetuatio obligationis.
La mora
Il ritardo colpevole nell'adempimento della prestazione dava luogo a mora; il ritardo poteva essere imputabile
sia al debitore (mora solvendi) sia al creditore (mora accipiendi):
la mora del debitore il debitore cadeva in mora quando non adempiva il proprio debito
consapevolmente e senza giustificazione. In et classica, data la prassi per cui il creditore invitava il
debitore ad adempiere (interpellatio) cos che egli fosse sicuramente consapevole del proprio debito,
si afferm il principio per cui di norma il debitore cadeva in mora dal momento dell'interpellatio (mora
ex persona). L'interpellatio era superflua quando il negozio costitutivo dell'obbligazione aveva
termine iniziale e il dies scadeva, oppure quando si trattava di obbligazioni da atto illecito: il ladro
cadeva in mora automaticamente gi dal momento del furto (il ladro sempre in mora).
La situazione del debitore moroso era pi grave di quella del debitore normale, in quanto egli era
responsabile per il perimento/deterioramento/impossibilit della prestazione = il periculum era quindi
sempre a suo carico, e valeva sempre la perpetuatio obligationis. A volte per si ammise che il
debitore moroso fosse liberato se avesse provato che, anche se la prestazione fosse stata eseguita,
la cosa sarebbe perita comunque. Un altro principio stabil che il debitore moroso dovesse
corrispondere al creditore anche i frutti della cosa dovuta (o gli interessi in caso di debiti pecuniari) a
parte dal momento della caduta in mora. Le conseguenze della mora venivano meno quando il
debitore offriva di eseguire la prestazione = purgare/emendare moram. Dal canto suo il creditore non
poteva rifiutare la prestazione offerta, se no cadeva in mora
la mora del creditore se il debitore si offriva di adempiere e il creditore non accettava, quest'ultimo
cadeva in mora. Il creditore in mora non incorreva in responsabilit, per veniva alleggerita la
posizione del debitore, la cui responsabilit non poteva pi andare oltre il dolo. Questo principio fu
applicato anche alle obbligazioni di genere e a quelle pecuniarie: se il debitore offriva di pagare
specificando le cose che offriva in pagamento, il creditore rifiutava e poi queste cose perivano (non
per dolo del debitore), il debitore stesso era liberato. Inoltre per le obbligazioni pecuniarie si stabil
che, se il debitore avesse depositato in luogo pubblico la pecunia non accettata dal creditore (dopo
averla obsignata per renderla riconoscibile), sarebbe cessato il decorso di eventuali interessi;
Diocleziano stabil invece che in questo caso il debitore sarebbe proprio stato liberato dal debito.
La mora accipiendi cessava quando il creditore manifestava la disponibilit a ricevere la prestazione.
Le fonti delle obbligazioni = atti/fatti giuridici che danno luogo a obbligazioni, dette causae
1. Sebbene le causae obligationum fossero tipiche, i giuristi romani le raggrupparono dapprima in due
categorie: contractus (atti leciti) e delicta (o maleficio, atti illeciti). Il termine contractus utilizzato
spesso nelle fonti anche in altri significati, ma in questo contesto furono cos detti gli atti produttivi di
obbligazioni in cui si potesse notare un accordo fra le parti (conventio) diretto a far nascere
obbligazioni i contratti erano dunque negozi giuridici con effetti obbligatori e almeno bilaterali.
2. Tuttavia ad un certo punto il giurista Gaio not che la solutio indebiti, purch atto lecito fonte di
obbligazione, non poteva essere qualificata come contractus secondo la solutio indebiti, il falso
creditore avrebbe dovuto restituire quanto ricevuto indebitamente; essa non era un contratto perch
l'intento del falso debitore che eseguiva la prestazione non dovuta era di estinguere un'obbligazione,
non di costituirla (mancava la conventio). Dunque lo stesso Gaio propose una tripartizione delle
fonti, secondo cui le obbligazioni nascevano da contractus, da delicta o da variae causarum figurae
(tra le quali rientravano le causae che non erano n contratti n delitti, come solutio indebiti,
negotiorum gestio, tutela e legato; ma vi rientrarono anche certi illeciti non cos gravi da essere
classificati delitti)
3. In et postclassica si arriv addirittura a una quadripartizione delle fonti: ogni obbligazione sorgeva
aut ex contractu aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio per contractus si
intesero i negozi almeno bilaterali fonti di obbligazioni, per delitti si intesero la maggior parte degli atti
illeciti che davano luogo a obbligazioni; per quasi ex contractu si intesero gli atti leciti distinti dai
contratti per mancanza di conventio, e infine per quasi ex maleficio si intesero atti illeciti non dolosi (i
meno gravi).
I contratti
Sono quei negozi giuridici almeno bilaterali con effetti obbligatori, produttivi dellobbligazione concordemente
voluta dalle due parti (sono soltanto fonti di obbligazioni, mentre gli effetti reali si riconoscono a negozi
giuridici non qualificati come contratti). I contratti erano tipici, dunque in numero definito, ciascuno con
proprio regime giuridico e ciascuno con proprie actiones sanzionatorie. Uno dei correttivi di questa tipicit fu
la stipulatio, che era tipica ma solo per la forma, non per i contenuti (che potevano essere vari). A partire
dall'et classica inoltre si diede efficacia a patti aggiunti ai contratti sanzionati da azioni di buona fede
(dunque si pot modificare il contenuto di tali contratti, limitandone la tipicit) e si riconobbero nuove figure di
contratti come i contratti innominati. In et postclassica la tipicit si affievol ancora.
I contratti si distinguono in:
contratti unilaterali contratti dai quali sorgono obbligazioni a carico di una parte soltanto (es.
stipulatio e mutuo, dove l'obbligazione era solo a carico di promittente e mutuatario)
contratti bilaterali contratti dai quali sorgono obbligazioni a carico di entrambe le parti (es.
compravendita e locazione: una parte non avrebbe potuto pretendere dall'altra l'adempimento se
non avesse a sua volta adempiuto). Si dice anche che questi sono contratti sinallagmatici, o con
prestazioni corrispettive
contratti bilaterali imperfetti contratti in cui una delle parti sempre e comunque obbligata, l'altra
solo eventualmente. Ad esempio nel deposito e nel comodato, il depositario e il comodatario
rimanevano comunque obbligati, mentre era solo un'eventualit che sorgessero obbligazioni per il
rimborso spese e il risarcimento danni a carico dell'altra parte.
Discorso a parte va fatto per la societas, che era un contratto bilaterale oppure (se i soci erano pi di due)
era anche contratto e negozio plurilaterale contratto plurilaterale perch nascevano obbligazioni a carico
di tutte le parti contraenti, negozio plurilaterale perch vi convergevano pi manifestazioni di volont. Nella
societas le obbligazioni assunte da ciascuna delle parti aspiravano tutte al medesimo scopo sociale.
Un'altra classificazione dei contratti la seguente, elaborata da Gaio:
contratti consensuali bastava che fosse manifestato il consenso per produrre gli effetti
obbligatori (il consenso era necessario e sufficiente) e dunque, finch non avesse avuto inizio
l'esecuzione, essi si scioglievano semplicemente per mutuo dissenso. Erano consensuali
compravendita, locazione, societ e mandato
contratti reali gli effetti obbligatori si producevano con la consegna di una cosa. Il consenso non
poteva mancare, ma non bastava: occorreva che venisse fatta consegna con traditio, a volte con
passaggio di propriet (es. mutuo), a volte con passaggio soltanto di possesso (pegno e deposito in
sequestre). Altre volte poi chi riceveva acquistava soltanto la detenzione (es. deposito/comodato).
Tra i contratti reali si include anche la fiducia, pur non essendolo propriamente. Accostabili ai
contratti reali, per certi versi, erano i contratti innominati (affinch avesse luogo l'obbligazione
servivano consenso e relativa espressione del consenso nel dare o nel facere di una delle parti)
contratti verbali il consenso doveva esserci ma l'obbligazione nasceva verbis, ossia con la
pronuncia di parole determinate (certa verba)
contratti letterali anche qui il consenso era necessario, ma l'obbligazione nasceva litteris, ossia
tramite la materiale registrazione per iscritto di certe operazioni nei cosiddetti nomina transscripticia.
(per questo contratto bilaterale imperfetto). Il deposito inoltre era di ius civile perch sanzionato
dall'actio depositi in ius (riguardo agli effetti), ma riguardo alla fruibilit esso era di ius gentium.
La restituzione a carico del depositario riguardava la cosa stessa ricevuta in deposito: se essa periva
o si deteriorava per motivi a lui imputabili, il depositario doveva risponderne nell'actio depositi. La
sua responsabilit era per solo per dolo, perch il contratto era gratuito e quindi solo nell'interesse
del deponente; con Giustiniano la responsabilit fu estesa anche alla culpa lata (che fu equiparata al
dolo). Se convenuto con l'actio directa, il depositario poteva opporre l'exceptio doli per chiedere il
risarcimento di spese o danni (stesso fine dell'actio contraria), col risultato di poter trattenere la cosa
se il deponente non avesse risarcito (retentio); se invece il depositario veniva convenuto con l'actio
depositi in ius ex fide bona, poteva chiedere di compensare le pretese del deponente con i propri
controcrediti per spese e danni (compensatio) Giustiniano viet la retentio, quindi obblig il
depositario a restituire la cosa salvo in caso di actio contraria.
Il sequestro (o deposito in sequestre) si poteva considerare un tipo speciale di deposito: quando
c'era controversia tra due o pi persone sull'appartenenza di una cosa, esse potevano affidare la
cosa a un terzo (sequestratario) affinch la custodisse, con l'intesa che l'avrebbe restituita a quello
che fosse stato riconosciuto proprietario. Il sequestratario non acquistava la semplice detenzione
come nel normale deposito, ma acquistava la possessio ad interdicta. Per la restituzione si dava ai
deponenti l'actio sequestrataria, in factum. Per le spese e i danni il sequestratario aveva la stessa
tutela del depositario. Si parlava invece di deposito irregolare nel caso in cui venisse affidata ad
altri pecunia numerata (denaro contato, non individuato nella species), che l'accipiente, divenuto
proprietario, poteva mescolare con il proprio denaro contante e utilizzare. A richiesta doveva poi
restituire lequivalente il deposito irregolare sembra rientrare nello schema del mutuo, ma in realt
ne differisce perch qui l'iniziativa era del deponente e la causa era la custodia del denaro (mentre
nel mutuo l'iniziativa era del mutuatario e la causa era un prestito di consumo).
3. comodato contratto reale bilaterale imperfetto, per cui una parte (comodante) consegnava
allaltra (comodatario) una cosa mobile, con limpegno del comodatario di restituire poi la stessa
cosa; si trattava di un prestito d'uso gratuito, nell'interesse del comodatario, che avrebbe fatto uso
della cosa senza dovere al comodante alcun compenso. Il comodatario acquistava solo la
detenzione della cosa e poteva fare di essa soltanto l'uso proprio, perch altrimenti avrebbe
commesso furto. In caso di perimento o deterioramento della cosa, il comodatario rispondeva per
custodia (criterio di responsabilit rigoroso perch il contratto era nell'interesse del solo
comodatario) la responsabilit per custodia si trasform in responsabilit per colpa. Il comodato
ebbe lo stesso sviluppo del deposito: privo di protezione giuridica in origine, poi in et repubblicana il
pretore diede un'actio commodati in factum (in simplum) e in et classica vi si affianc un'actio
commodati in ius ex fide bona, entrambe a favore del comodante per la restituzione della cosa. In
et classica fu per introdotto anche un iudicium contrarium commodati in favore del comodatario
per spese e danni, e inoltre egli pot anche avvalersi in alternativa di retentio e compensatio
4. pegno contratto reale bilaterale imperfetto. Abbiamo gi visto il pegno come diritto reale di
garanzia, come potere che si costituiva sulla cosa a favore del creditore pignoratizio. Qui invece
parliamo del pegno come il rapporto obbligatorio che, per effetto della datio pignoris, si istituiva tra
chi dava la cosa in pegno (oppignorante solitamente il debitore) e il creditore che la riceveva. Se
l'oppignorante era appunto il debitore, i ruoli si invertivano: chi riceveva la cosa in pegno (dunque era
creditore pignoratizio rispetto al credito) assumeva la veste di debitore perch, estinto il credito,
avrebbe dovuto restituire la res pignerata. Il debitore pignoratizio assumeva invece il ruolo di
creditore perch avrebbe potuto pretendere la restituzione della cosa. Con riguardo alle obbligazioni,
ci si riferisce alla datio pignoris (e non alla conventio pignoris) il pegno-contratto un contratto
reale per cui l'oppignorante, a garanzia di un debito, consegnava la cosa al creditore con l'intesa
che, estinto il debito, la cosa sarebbe stata restituita. Il creditore pignoratizio acquistava sulla cosa la
possessio ad interdicta, ma non poteva utilizzarla. In et repubblicana il pretore diede
all'oppignorante, per la restituzione della res pignori data, l'actio pigneraticia in personam e in factum
(detta anche actio directa) contro il creditore che, avendo ricevuto la cosa in pegno a garanzia del
credito, poi non l'avesse restituita una volta estinto il credito. [Questa actio era diversa dall'actio
pigneraticia in rem, o actio Serviana, data a tutela del diritto reale di pegno (vedi prima)] In et
classica fu poi dato il iudicium contrarium pigneraticium in personam e in factum, in favore del
creditore pignoratizio e contro l'oppignorante per eventuali spese necessarie e danni. Al creditore
pignoratizio fu anche data l'exceptio doli contro un'eventuale actio directa dell'oppignorante, con il
possibile risultato della retentio. Nel caso di perimento/deterioramento della cosa data in pegno, il
creditore pignoratizio aveva responsabilit sia di culpa sia di custodia.
Il pegno-contratto era anche bilaterale imperfetto perch l'obbligo dell'oppignorante di risarcire spese
o danno era solo eventuale
5. fiducia una parte (fiduciante) trasferiva allaltra (fiduciario) la propriet di una res mancipi
mediante mancipatio o in iure cessio, col patto che il fiduciario ritrasferisse la stessa cosa in
propriet al fiduciante; questo patto era detto pactum fiduciae. La fiducia, prima dell'introduzione
pretoria della tutela processuale di deposito/pegno/comodato, permetteva di ottenere lo stesso
risultato. Se e quando la cosa dovesse tornare al fiduciante dipendeva dalla causa negoziale,
dunque si trattava di un negozio fiduciario. La fiducia poteva essere 1. cum creditore, quando il
passaggio di propriet era a garanzia di un credito del fiduciario, quindi il creditore-fiduciario avrebbe
dovuto ritrasferire al fiduciante la propriet della res solo dopo l'avvenuta restituzione, 2. cum amico,
quando la causa poteva essere la custodia o forse anche un prestito d'uso, quindi il fiduciario
avrebbe ritrasferito la propriet all'altra parte di fronte a semplice richiesta.
La fiducia era un atto lecito, un negozio giuridico bilaterale imperfetto e fonte di obbligazioni; tuttavia,
dato che la consegna della cosa poteva mancare eppure l'obbligazione sorgeva comunque, la
fiducia un contratto reale molto singolare (fu inclusa dai moderni romanisti tra i contratti poich,
anche se poteva mancare la consegna, non poteva mai mancare l'atto di traslazione del dominio).
Visto che per la fiducia si utilizzavano mancipatio e in iure cessio, sappiamo che non era necessario
che si attuasse anche la consegna della cosa: mancipante e cedente fiduciae causae avrebbero
potuto mantenere il possesso e avrebbero potuto riacquistare anche la propriet col decorso del
tempo tramite usureceptio = una specie di usucapione che per si compiva sempre in un anno e
non richiedeva iusta causa. L'usureceptio si poteva evitare se, nel caso di fiducia cum creditore, il
fiduciario lasciava la cosa presso l'altra parte a titolo di locazione o precario al fiduciante sarebbe
mancata la possessio uti dominus necessaria ai fini dell'usucapione e quindi dell'usureceptio.
Per tutelare il fiduciante non possessore in et antica bastava la fides, la cui rottura per i cittadini
Romani era un comportamento tanto grave e riprovevole che difficilmente sarebbe avvenuto. Col
processo formulare invece si diede al fiduciante un'actio fiduciae per riacquistare propriet e
possesso, un'azione in personam, reipersecutoria e infamante; la sua formula faceva riferimento a
criteri di lealt e correttezza, alla stregua di iudicia bonae fidei. La responsabilit del fiduciario era
per culpa, ma egli poteva opporre exceptio doli (con conseguente retentio) nel caso di proprie
contropretese per spese necessarie e danni; egli aveva poi anche un'actio fiduciae contraria.
Nella fiducia cum creditore la garanzia era assicurata per il fatto in s che il creditore-fiduciario
acquistasse la propriet (quindi all'occorrenza avrebbe potuto rivendicare la cosa come dominus),
ma si diffuse anche la prassi di attribuire al fiduciario il ius vendendi (inadempiente il debitore, il
creditore-fiduciario poteva soddisfare il proprio credito vendendo la cosa e restituendo al fiduciante
l'eventuale superfluum). La fiducia scomparve in et postclassica insieme a mancipatio e in iure
cessio.
ALCUNI CONTRATTI VERBALI
1. stipulatio la stipulatio aveva innumerevoli applicazioni, grazie al suo carattere astratto e al fatto
che era un contratto tipico soltanto nella forma e non nei contenuti (che potevano essere moltissimi).
Essa era un negozio giuridico bilaterale per cui il consenso doveva essere espresso tramite certa
verba, secondo lo schema di interrogazione dello stipulante e congrua risposta del promittente (vedi
prima). Dapprima, quando si trattava di sponsio (per l'utilizzo del verbo spondeo), era un istituto del
ius civile; in seguito, quando fu estesa ai peregrini, la stipulatio divenne di ius civile per gli effetti e di
ius gentium per la fruibilit. In origine inoltre la stipulatio aveva effetto solo se venivano rispettate
tutte le formalit, in seguito invece si inizi ad esigere anche il consenso (pena la nullit). Come
negozio la stipulatio era bilaterale, ma come contratto era unilaterale: nasceva obbligazione solo a
carico del promittente. Inoltre, a parte la congruit di domanda e risposta, l'atto richiedeva anche
presenza di entrambe le parti, risposta entro un tempo breve (unitas actus).
L'interrogazione dello stipulante poteva essere formulata in modo che l'altra parte promettesse di
adempiere o allo stipulante stesso o a un terzo, chiamato adiectus solutionis causa (aggiunto ai fini
dell'adempimento): il promittente avrebbe cos potuto scegliere se adempiere allo stipulante o
all'adiectus. Esisteva poi anche un'altra figura, l'adstipulator = era un secondo stipulante che, su
incarico del primo, vi si affiancava e rivolgeva anche lui al promittente la richiesta di compiere in suo
favore la stessa prestazione gi promessa all'altro; in tal caso, con la risposta positiva del
promittente, nascevano due stipulationes con lo stesso oggetto e due creditori. Per, per il
fenomeno della solidariet elettiva il promittente era liberato con una prestazione soltanto, in favore
di uno dei due. Questo principio si us per eludere la regola ab heredis persona obligatio incipere
non potest (vedi prima), perch la promessa di adempiere dopo la morte dello stipulante sarebbe
stata valida verso l'adstipulator, che poi avrebbe trasmesso quanto percepito agli eredi dello
stipulante. Allo stesso modo, al promittente potevano affiancarsi degli adpromissores, che
promettevano di prestare quanto gi promesso allo stesso stipulante da altro promittente; c'erano
cos pi stipulationes, con uguale oggetto e pi debitori lo scopo era di garanzia perch
adpromissores facevano da garanti (satisdatio).
Contro il debitore inadempiente il creditore aveva un'actio ex stipulatu. Nell'ambito delle legis
actiones, per essa si agiva con legis actio per iudicis postulationem, legis actio per condictionem o
anche legis actio sacramenti in personam. Nel processo formulare invece la formula, nel caso di
stipulazioni aventi a oggetto un certum (soprattutto stipulazioni di dare), era come quella della
condictio; se le stipulazioni avevano ad oggetto un incertum (perlopi stipulazioni di facere), la
formula era con demonstratio e intentio incerta. In et repubblicana, sebbene la stipulatio fosse un
atto orale, si us attestarne il compimento con documenti scritti detti instrumenta, che avevano solo
valore probatorio (le formalit orali erano ancora necessarie); in et postclassica si riconobbe invece
efficacia al documento in s, sia che l'atto orale fosse avvenuto o meno. Nel 472 l'imperatore Leone
dispose che la stipulatio si potesse compiere con qualsivoglia verba, quindi il consenso poteva
essere manifestato liberamente (stipulatio assimilata ai pacta). Giustiniano accolse la costituzione di
Leone, conferm l'appartenenza della stipulatio ai contratti verbali e conferm validit al documento
scritto; egli inoltre stabil che i verba della stipulatio dovessero presumersi pronunziati salvo prova
che le parti non fossero nella stessa citt durante la redazione del documento
2. dotis dictio e promissio iurata liberti erano altri contratti verbali, che per si compivano uno
loquente, ossia con verba pronunciati solo dalla parte che si obbligava; era per necessario il
consenso dell'altra parte (marito o patrono). Quindi in effetti erano negozi bilaterali, detti contractus
per gli effetti obbligatori, e qualificati contratti unilaterali perch solo una parte si obbligava.
CONTRATTI LETTERALI
Nomina transscripticia in et preclassica e classica riguardava i cives Romani, non sempre i peregrini.
Si trattava dell'operazione contabile che il pater familias eseguiva nel codex accepti et expensi (libro di
contabilit domestica nel quale venivano separatamente registrate entrate ed uscite). Gaio distingueva tra:
transscriptio a re in personam: il pater familias gi creditore di una somma di denaro, in accordo
col proprio debitore, registrava nel codex accepti quanto gli era dovuto come se l'avesse incassato
(acceptum ferre); al tempo stesso registrava nel codex expensi la stessa somma come se l'avesse
data a mutuo allo stesso debitore (expensum ferre) si estingueva cos il credito nascente da un
altro titolo e si costituiva un'obligatio litteris
transscriptio a persona in personam: il pater familias, avendone avuto delega da un proprio
debitore e dintesa con un terzo (indicatogli dal debitore stesso), segnava nel codex accepti la
somma che quello gli doveva come se l'avesse incassata, e registrava poi nel codex expensi la
stessa somma come se lavesse data a mutuo al terzo (expensi latio) anche qui si estingueva il
credito verso il debitore e nasceva un'obligatio litteris a carico del terzo.
Aveva luogo cos una sorta di novazione. Le registrazioni del pater familias erano comunque fittizie, perch
in realt non c'era alcun movimento di denaro. Le due parti dovevano essere d'accordo, ma non era
necessario che l'intesa fosse contestuale alla scrittura: si poteva costituire l'obligatio litteris anche tra assenti.
Inoltre si pensa che nel codex accepti et expensi del debitore si registrassero operazioni contabili contrarie e
simmetriche rispetto a quelle registrate dal creditore. Visto che, nei nomina transscripticia, dalla scrittura
nasceva obligatio con alla base un accordo e per la quale si agiva con un'actio civile, Gaio li incluse tra i
contratti erano unilaterali perch l'obbligazione sorgeva a carico di una sola parte. Il creditore aveva poi
un'actio certae creditae pecuniae per la tutela.
Tra i contratti letterali si possono includere anche chirographa e syngraphae = dichiarazioni scritte in cui
una parte riconosceva un proprio debito oppure prometteva una prestazione.
CONTRATTI CONSENSUALI
1. Compravendita nel diritto romano si era parlato di emere e vendere in relazione alla mancipatio, con
cui in origine si realizzava lo scambio di una cosa dietro corrispettivo in metallo (prezzo); con l'introduzione
della moneta coniata la mancipatio divenne imaginaria venditio (negozio astratto). In questo momento si
arriv al riconoscimento giuridico della compravendita consensuale (empio venditio), ossia il contratto
espresso con cui una parte (venditore) si obbligava a fare conseguire all'altra (compratore) il pacifico
godimento di una cosa, e il compratore si obbligava poi a pagare al venditore un corrispettivo in denaro nella
misura convenuta (pretium). Quindi in questo momento comprare e vendere non signific pi procedere ad
uno scambio, ma accordarsi su esso: gli atti dello scambio erano dunque solo atti esecutivi di una
compravendita gi compiuta con l'accordo. La compravendita fa qualificata contractus, dove le obbligazioni
nascevano per il solo consenso; a obbligarsi erano entrambe le parti, dunque il contratto era bilaterale. La
compravendita consensuale inoltre era un negozio iuris gentium per la fruibilit, iuris civili per le azioni da cui
era sanzionata (actiones in ius ex fide bona). Quanto al rapporto con la mancipatio, si pu dire che la
compravendita poteva essere una delle sue cause = mancipatio venditionis causa come atto esecutivo
dell'obbligo assunto dal venditore con l'emptio venditio.
Il consenso: poteva essere manifestato liberamente, anche tacitamente, mediante nuntius o per lettera.
Eventualmente, come conferma del consenso prestato, il compratore poteva versare una somma di denaro
(arrha) al venditore contestualmente alla conclusione del contratto; l'arrha sarebbe poi stata inclusa nel
prezzo essa aveva valore penitenziale poich se il potenziale compratore avesse deciso di non comprare,
avrebbe perso la caparra; se il potenziale venditore avesse deciso di non vendere pi, avrebbe dovuto
restituire il doppio. Si us anche redigere documenti scritti detti instrumenta per provare l'accordo concluso,
documenti che da et postclassica furono ritenuti necessari per la compravendita di immobili.
L'oggetto della vendita: era detto merce (merx). Generalmente si trattava di cose corporali, mancipi o nec
mancipi, mobili o immobili. Si poteva per anche vendere l'eredit (singoli cespiti di un'eredit gi esistente),
una superficie, il ius in agro vectigali, oltre a servit (da costituire), usufrutto o crediti. Era nulla la vendita di
res extra commercium; era invece valida la vendita di un uomo libero, a patto che almeno il compratore
fosse stato convinto che si trattasse di un servo. La vendita poteva avere persino ad oggetto cose future, e a
riguardo si distingueva tra:
emptio rei speratae, una vendita con condizione sospensiva = essa avrebbe avuto i suoi effetti solo
se le cose vendute fossero venute ad esistenza, e in tal caso il prezzo sarebbe stato commisurato
alla quantit (es. vendita di frutti che matureranno)
emptio spei, ossia la vendita di una speranza = era una vendita aleatoria, non condizionata, poich il
compratore avrebbe dovuto comunque pagare un prezzo concordato (es. il pescatore vende a un
certo prezzo al compratore tutto quanto sar nella rete una volta tirata su, quindi potenzialmente
anche nulla).
Il prezzo: doveva essere espresso in denaro (pecunia numerata), in modo da distinguerlo dalla cosa venduta
e da distinguere il compratore dal venditore. Esso era in misura concordata tra le parti. Solo con Diocleziano
nacque poi il principio per cui il prezzo dovesse essere anche giusto, cio corrispondente al valore di
mercato della cosa venduta: se cos non era, il venditore poteva ottenere la rescissione della vendita il
prezzo non era giusto se inferiore alla met del valore della cosa (laesio ultra dimidium). Il compratore
poteva evitare la rescissione pagando la differenza.
Le obbligazioni del compratore: era tenuto alla numeratio pecuniae, cio a versare denaro contante nella
misura stabilit trasferendone la propriet al venditore mediante traditio. Inoltre, se ritardava il pagamento
del prezzo oltre il termine stabilito o oltre la consegna della cosa, era tenuto all'esborso di interessi in misura
stabilita dal giudice ex fide bona. Contro il compratore inadempiente si dava al venditore l'actio venditi, che
era in ius ex fide bona. Il periculum inoltre era a carico del compratore (perch si ritenne come se,
perfezionato il contratto, il venditore avesse acquisito la merce nel proprio patrimonio, dunque il rischio non
poteva che essere a suo carico).
Le obbligazioni del venditore: era tenuto a far conseguire al compratore il pacifico godimento della merx,
anche detto habere licere. Nella vendita di res corporales, il venditore doveva fare traditio della cosa venduta
trasferendone il pieno possesso (vacuam possessionem tradere), ma non era invece tenuto a trasferire la
propriet. Di solito il venditore era anche dominus della cosa, dunque ne trasferiva il dominio, ma non era
necessario: si poteva assumere un'obbligazione di dare rem (trasferire propriet) con stipulatio, ma non con
la sola vendita. La spiegazione di ci era il fatto che alla compravendita erano ammessi anche i peregrini,
che per erano esclusi dal dominium ex iure Quiritium. Inoltre, normalmente il venditore adempiva ai suoi
obblighi contestualmente alla vendita; poteva per accadere che la merce perisse prima, e in tal caso egli
sarebbe stato responsabile per custodia (con Giustiniano per dolo e colpa). Contro il venditore inadempiente
si dava al creditore l'actio empti di buona fede.
L'evizione nel caso in cui il compratore acquistasse il possesso da un venditore non proprietario (che per
gli garantiva l'habere licere e non era quindi tenuto ad altro), il compratore stesso diveniva proprietario pro
emptore; avrebbe poi acquistato la propriet della cosa venduta per usucapione. Se per, prima del
compimento dell'usucapione, egli veniva chiamato in giudizio con la rei vindicatio da un terzo che poi
risultava essere il vero proprietario della cosa, si verificava evizione. Dell'evizione il venditore era
responsabile. Egli era comunque responsabile anche se vendeva consapevolmente una cosa non propria a
un compratore ignaro, in quanto cos agiva con dolo. Una responsabilit del venditore per evizione poteva
per esempio derivare dalla mancipatio il venditore non proprietario di res mancipi che ne avesse fatto
anche mancipatio (non solo traditio) al mancipio accipiens, era poi tenuto a assistere in giudizio il mancipio
accipiens nel caso in cui fosse stato convenuto da un terzo. Si parl a questo riguardo di obligatio
auctoritatis o di auctoritas, e il venditore fu detto auctor. Se il venditore non assisteva il mancipio accipiens, o
se l'assistenza non andava a buon fine, egli doveva pagare il doppio del prezzo (perseguito con l'actio
auctoritatis da parte del mancipio accipiens). Il venditore (mancipio dans) era tenuto a prestare auctoritas
solo entro 1 o 2 anni (beni mobili o immobili), dopodich egli veniva esonerato dall'obbligo: questo perch
entro quei termini, corrispondenti a quelli dell'usucapione, il mancipio accipiens sarebbe comunque diventato
proprietario per usucapione (se non lo era diventato per mancipatio). Tutto ci avveniva se il venditore
faceva mancipatio, ma egli comunque non era tenuto a farla; per tutelarsi comunque contro l'evizione, anche
in assenza di mancipatio, si diffuse la prassi della stipulatio duplae = con essa il venditore prometteva al
compratore di pagare il doppio del prezzo in caso di evizione. Addirittura in et classica il venditore fu
obbligato a prestare tale stipulatio. In seguito fu direttamente concessa al compratore l'actio empti contro il
venditore in caso di evizione. Il venditore poteva anche essere per esonerato dalla responsabilit per
evizione con il pactum de non praestanda evictione.
I vizi occulti = vizi o difetti materiali della cosa non manifesti al compratore all'atto della vendita.
Riguardo a tali vizi, la responsabilit del venditore non discendeva direttamente dalla vendita. Si diede infatti
al compratore l'actio empti contro il venditore in dolo (nel caso in cui questi avesse taciuto i vizi della cosa o
ne avesse dichiarato l'assenza, oppure avesse dichiarato qualit della cosa inesistenti). Inoltre il venditore
era solito promettere con stipulatio che la cosa venduta avesse certe qualit e non avesse certi vizi, dunque
nel caso contrario era responsabile anche se non in dolo (actio ex stipulatu). Esisteva poi anche l' actio de
modo agri spettava al compratore contro il venditore di un fondo che ne avesse fatto mancipatio
precisandone l'estensione; se essa poi risultava inferiore il mancipio accipiens avrebbe perseguito il doppio
del minor valore del fondo. Grande importanza in materia di vizi avevano gli edili curuli, magistrati cui era
affidata la cura annonae e che esercitavano quindi vigilanza sui mercati; essi avevano ius edicendi e
emanarono editti soprattutto riguardo ai vizi di schiavi e animali oggetti di compravendita. Fecero cos
obbligo al venditore di schiavi e animali di dichiarare all'atto della vendita i vizi da cui erano affetti. Il
compratore poteva esercitare contro il venditore che avesse taciuto dei vizi un'actio rehdibitoria (entro sei
mesi dalla vendita, con cui riotteneva il prezzo previa restituzione del servo o animale) o un actio quanti
minoris/aestimatoria (entro un anno, recuperava il minor valore di schiavo o animale). In seguito ci fu
esteso a qualunque oggetto di vendita, non solo schiavi e animali.
Patti aggiunti, cio patti coi quali si derogava al regime tipico di ogni contratto. Nella compravendita:
a) patto commissorio in favore del venditore, prevedeva che la vendita si considerasse come non
avvenuta se il compratore non pagava il prezzo entro il termine stabilito
b) in diem addictio in favore del venditore, prevedeva che la vendita si considerasse come non avvenuta
se il venditore riceveva migliore offerta entro il termine stabilito
c)pactum displicentiae in favore del compratore, prevedeva che la vendita si considerasse come non
avvenuta se il compratore dichiarava entro il termine di non trovare la cosa di suo gradimento.
Tali patti furono all'inizio visti alla stregua di condizioni sospensive; da et classica invece furono visti come
patti che prevedevano la risoluzione della vendita una volta verificata la condizione. Per cui la vendita, nel
suo complesso, risultava soggetta a condizione risolutiva
2. Locazione contratto consensuale e bilaterale per cui, con lesplicita previsione di un corrispettivo
(mercede, merces), il locatore si impegna a mettere a disposizione del conduttore, per un periodo di tempo
limitato e con uno scopo preciso, una cosa (mobile o immobile) e il conduttore si impegna a prenderla in
consegna per poi restituirla una volta scaduto il termine convenuto o raggiunto lo scopo previsto.
La locazione, o locati conductio, racchiudeva in s i due concetti di locare rem (collocare temporaneamente
presso altri una cosa mettendola a sua disposizione) e di conducere rem (prendere la cosa in consegna con
l'impegno di restituirla e pagando un corrispettivo). Sotto lo schema della locatio conductio furono collocate
varie situazioni: locazione odierna, affitto, appalto, trasporto di cose, affidamento di indumenti a un
lavandaio/rammentatore, affidamento di oro a un orefice per ricavare un anello, affidamento di un servo per
istruirlo etc. Lo scopo della locatio era espresso di solito con un gerundivo (per esempio locare servum
docendum). Le obbligazioni reciproche delle parti coinvolte nella locatio erano sanzionate dalle azioni in
personam in ius e di buona fede: l'actio locati in favore del locatore, l'actio conducti in favore del conduttore.
La locazione era iuris gentium per la fruibilit e iuris civilis per gli effetti.
Sebbene la locazione fosse un fenomeno dal carattere unitario, possiamo fare una tripartizione:
locatio rei locazione di cose, mobili o immobili, che si concludeva con l'intesa che il conduttore
usasse della cosa locata e ne traesse anche i frutti, pagando la mercede. I conduttori erano chiamati
inquilini se oggetto della locazione erano immobili urbani, coloni se oggetto della locazione erano
fondi rustici. Il locatore aveva l'obbligo di consegnare la cosa idonea all'uso convenuto ed esente da
vizi non dichiarati, e di assicurarne al conduttore il godimento. Il conduttore dal canto suo assumeva
l'obbligo di pagare la mercede, mantenere la cosa nelle condizioni in cui gli era stata consegnata e
restituirla poi alla scadenza; egli per non acquistava il possesso ma solo la detenzione della cosa.
Per il perimento/deterioramento il conduttore rispondeva per custodia; il locatore invece era
responsabile per mancato/ridotto godimento della res (a meno che esso dipendesse da casus o vis
maior) in ogni caso il conduttore era liberato dalla mercede e quindi il periculum era del locatore.
locatio operis il locatore si obbligava a consegnare al conduttore una cosa, mentre il conduttore
si obbligava a compiere, autonomamente ma nell'interesse del locatore, una certa attivit in ordine
alla cosa stessa, cos da raggiungere il risultato convenuto e poi restituirla al locatore. La mercede
veniva pagata in questo caso dal locatore. In questa categoria rientrano varie fattispecie, come il
trasporto o la custodia di merci, ma anche altre con riferimento alle quali si parla di opus locare:
erano tali per cui il conduttore assumeva l'impegno di trasformare la cosa che gli veniva consegnata
in modo da restituire poi al locatore un opus perfectum (es. consegna ad un orefice di oro per
ricavarne un anello). Il conduttore acquistava solo la detenzione della res locata ed era responsabile
per custodia in caso di perimento/deterioramento; egli rispondeva anche per la cattiva esecuzione
dell'opera (imperitia, equiparata alla colpa). Nel caso di impossibilit della prestazione per caso o
forza maggiore, il convenuto era liberato e il periculum era a carico del locatore.
Si stabil un regime speciale riguardo alle merci trasportate per mare: se, per difficolt della
navigazione, si era costretti a gettare in mare parte delle merci locate per il trasporto, il rischio
sarebbe dovuto essere a carico dei locatori delle merci perdute. Per la lex Rhodia de iactu stabil
invece che il rischio sarebbe stato ripartito proporzionalmente tra tutti i locatori delle merci che erano
state imbarcate i locatori delle merci perdute avrebbero recuperato con l'actio locati dal
trasportatore una percentuale del valore delle merci perdute, e perci il trasportatore con l'actio
conducti avrebbe avuto regresso verso i locatori delle merci che si erano salvate
locatio operarum un uomo libero assumeva limpegno di mettere la propria attivit lavorativa
alle dipendenze di altra persona, la quale si obbligava a pagare, come corrispettivo, una certa
mercede. Il periculum era a carico del datore di lavoro (cio il conduttore), il quale doveva pagare la
mercede anche se il lavoratore (locatore) non prestava le suo opere (per causa a lui non imputabile).
Fino all'et classica i lavoratori liberi erano pochi, perch erano soprattutto i servi a lavorare (il lavoro
dell'uomo libero aveva scarsa considerazione sociale); le uniche attivit lavorative nell'interesse di
terzi ritenute degne degli uomini liberi erano le artes liberales, quindi i servizi di avvocati e
agrimensori, che non furono mai oggetto di locazione.
La locazione in et postclassica fu applicata molto meno; la posizione dei coloni fu assimilata a quella del
lavoratori dei campi che locavano le proprie operae, e tutti costoro caddero in condizioni di rigida dipendenza
dal proprietario terriero (al di fuori della logica contrattuale). Con Giustiniano si torn ai principi classici.
3. Societ contratto consensuale plurilaterale, per cui due o pi persone (socii) convengono di mettere in
comune beni e/o attivit di lavoro, al fine di conseguire un lucro per tutti, previa divisione di profitti e perdite.
Era di ius gentium in quanto aperta a cives e peregrini. I giuristi parlavano di societas anche riguardo al
consortium ercto non cito, che non era assolutamente un contratto e che poi scomparve. Il tipo pi antico di
societas era la societas omnium bonorum, in cui i soci convenivano di mettere in comune tutti i loro beni,
presenti e futuri. Altri tipi di societ erano la societ in cui si conveniva di mettere in comune i futuri acquisti
dei soci (societ questuarie), oppure un singolo bene, oppure singoli beni, oppure di svolgere insieme affari
di un certo tipo. Spesso si conveniva di mettere in comune beni e di svolgere attivit nell'interesse comune;
oppure poteva anche accadere che un socio assumesse impegni solo in ordine a beni, un altro solo in ordine
ad attivit. Nella societ le parti si obbligavano tramite il semplice consenso, ma era necessario che questo
consenso permanesse nel tempo (affectio societatis). La societ si poteva sciogliere cos:
reciproco dissenso
recesso unilaterale (uno dei soci voleva recedere dal contratto)
esaurimento dello scopo
impossibilit sopravvenuta di raggiungere lo scopo
morte o capitis deminutio di un socio
procedura esecutiva per insolvenza con bonorum venditio di anche solo un socio
Dal contratto nascevano le seguenti obbligazioni: obbligazioni relative al conferimento dei beni e allo
svolgimento di attivit nell'interesse comune, obbligazioni di dividere profitti e perdite (in parti uguali o
secondo gli accordi). Era valido il patto per cui un socio avrebbe partecipato ai profitti e non alle perdite,
mentre era nullo il patto per cui un socio avrebbe partecipato solo alle perdite ( societ leonina). Le
obbligazioni erano sanzionate dall'actio pro socio, per la quale si poteva anche procedere a compensatio
(grazie alla natura di buona fede dell'azione), azione che era esperita per il risarcimento dei danni provocati
dal recesso doloso o intempestivo. Il socio rispondeva per l'inadempimento per dolo o per colpa, a volte
anche per custodia; il criterio generale era per quello della culpa in concreto. Visto che tra soci si stabiliva
una sorta di fraternitas, che comportava fiducia reciproca, la condanna dell'actio pro socio era infamante
(poich il comportamento del socio contro cui era diretta era giudicato con grande severit); sempre in virt
della fraternitas per il convenuto godeva di beneficium competentiae, per cui l'eventuale condanna
pecuniaria non avrebbe potuto superare le sue possibilit economiche.
La societas romana non dava luogo alla costituzione di un patrimonio autonomo distinto da quello personale
dei soci, n la societas assumeva rilevanza esterna verso i terzi. Per debiti contratti coi terzi nell'interesse
comune ciascun socio rispondeva direttamente egli stesso e col proprio patrimonio; al tempo stesso per i
crediti era data azione solo al socio che aveva partecipato al negozio di acquisto. Per limitare la
responsabilit verso i terzi nell'esercizio di attivit commerciale, si inizi a svolgere tale attivit per mezzo di
schiavi forniti di peculio: in tal modo la responsabilit dei domini non sarebbe andata oltre il valore del
peculio stesso.
4. Mandato contratto consensuale bilaterale imperfetto per cui una parte (mandante) conferiva un
incarico a un'altra parte (mandatario), il quale si impegnava a eseguirlo gratuitamente. Al mandatario non era
dovuto alcun compenso, in quanto se fosse stato previsto il rapporto sarebbe rientrato nella locatio operis; il
consenso tra le due parti inoltre poteva essere espresso liberamente. L'incarico dato dal mandante poteva
avere ad oggetto sia la conclusione di negozi giuridici, sia comportamenti di mero fatto. Poteva poi trattarsi di
mandato nell'interesse soltanto del mandante (mea gratia) o nell'interesse di terzi (aliena gratia), ma mai
nell'interesse del mandatario. Il mandatario aveva l'obbligo sempre e comunque di eseguire fedelmente
l'incarico e trasferire al mandante beni, diritti e crediti acquistati in relazione al mandato; il mandante, dal
canto suo, aveva l'obbligo di rimborsare al mandatario le spese, di risarcire danni e di sollevarlo da debiti
assunti, ma solo eventualmente nel caso che queste condizioni vi fossero. Per questo il contratto era
bilaterale imperfetto. Il mandatario non era rappresentante diretto del mandante sistema della
rappresentanza indiretta. Il riconoscimento giuridico del mandato risale alla prima et preclassica, quando fu
data al mandante contro il mandatario l'actio mandati in ius ex fide bona (o actio mandati directa): essa era
infamante perch il mandatario aveva violato la fiducia che l'altro aveva in lui. Fu data anche un'azione al
mandatario, l'actio mandati contraria. Per eventuali pregiudizi derivati al mandante dall'inadempimento del
mandatario, quest'ultimo rispondeva per dolo. Spesso per le parti procedevano a compensazione visto
che le actiones mandati erano iudicia bonae fidei, il giudice della prima azione esercitata da una delle parti
avrebbe potuto tener conto delle contropretese del convenuto, e condannarlo a pagare la differenza il tra
valore pecuniario preteso dall'attore e l'aestimatio delle contropretese.
Il mandato si estingueva per:
rinunzia da parte del mandatario quando l'esecuzione del mandato non era ancora iniziata
morte di una delle due parti quando l'esecuzione del mandato non era ancora iniziata
revoca del mandante anche ad esecuzione gi iniziata
compimento dell'incarico da parte del mandatario
reciproco dissenso delle due parti
I CONTRATTI INNOMINATI
Abbiamo visto che a volte venivano applicate convenzioni e patti ai contratti; chiaramente, riconoscere ad
essi effetti obbligatori in tutti i casi avrebbe significato negare la tipicit contrattuale. Fu per riconosciuto
valore obbligatorio alle convenzioni atipiche, cio quelle non definite con un nomen nell'editto pretorio sui
contratti tali convenzioni furono dette contratti innominati, e si trattava di negotia (affari, convenzioni) per
cui ognuna delle parti era onerata o di un dare o di un facere: il valore obbligatorio non era riconosciuto al
patto in s, ma alla prestazione che una parte effettuava affinch l'altra eseguisse la controprestazione (do ut
des, do perch tu dia). In base a questo i contratti innominati vennero accostati a quelli reali, e furono
considerati unilaterali. Fu il pretore a dare efficacia ai contratti innominati, con la concessione di un' actio in
factum decretalis diretta alla controprestazione. Inoltre in et classica si afferm il principio per cui la parte
che avesse fatto la prestazione avrebbe potuto avanzare la pretesa alla controprestazione tramite un'actio
praescriptis verbis (azione in personam e in ius, in cui lintentio esprimeva lobbligo alla controprestazione del
convenuto con il verbo oportere ed era preceduta da praescriptio) questa actio era stata, pi che
un'azione tipica, un modo di procedere: infatti i classici parlarono anche di agere praescriptis verbis. Invece
con Giustiniano essa fu vista come azione tipica di buona fede, quindi se ne estese l'applicazione e divenne
una sorta di actio generalis (buona per ogni convenzione capace di costituire obbligazioni).
Prima dell'actio praescriptis verbis, i negozi del tipo do ut des avevano comunque tutela la parte che
aveva compiuto la datio infatti poteva ricorrere alla condictio ob causam datorum per ripetere (cio
richiedere) quanto prestato se la controprestazione fosse mancata. Nel caso poi in cui non si potesse
ricorrere a condictio perch non era stata fatta la datio, soccorreva l'actio de dolo. Una volta poi subentrata
l'azione contrattuale per la controprestazione, l'actio de dolo non fu pi usata mentre la condictio rimase.
Esempi di contratti innominati
donazione modale (gi trattata)
transazione (vedi pi avanti)
permuta contratto do ut des in cui leffetto obbligatorio si produceva solo con la datio, e
unobbligazione nasceva dunque solo a carico di chi, avendo ricevuto una cosa, fosse tenuto a
darne unaltra secondo quanto convenuto tra le parti
aestimatum una parte dava all'altra una cosa stabilendone il valore, e l'accipiente assumeva cos
l'obbligo o di restituire il ricavato nei limiti della stima dopo aver venduto la cosa, o di restituire la
cosa stessa
I PATTI
I pacta (o pacta conventa, o conventiones) erano accordi comunque manifestati tra due persone, dunque
bilaterali. Soltanto nel caso di alcune di queste convenzioni fu per riconosciuta efficacia obbligatoria
all'accordo in s, e si parl per esse di contratti consensuali. Rimanevano fuori i nuda pacta, accordi
manifestati in qualsiasi forma che non rientravano nello schema di alcun contratto tipico: fu loro negata
efficacia costitutiva di obbligazioni e furono tutelati con eccezioni. Gi le XII Tavole riconoscevano effetti
giuridici al semplice pactum con riguardo al furto e al membrum ruptum, per cui si riconosceva all'accordo tra
offeso e offensore l'efficacia di escludere la pena del taglione (il pactum estingueva ipso iure le azioni furti e
iniuriarum). In et repubblicana fu per importante l'editto pretorio de pactis, con cui il pretore promise tutela
ai nudi patti (purch senza dolo n contrari a leggi) ma limitatamente: non con actiones ma con l' exceptio
pacti conventi. In tal modo, escludendo che i nuda pacta dessero luogo ad azioni, si escludeva anche che
dessero luogo ad obbligazioni principio per cui il nudo patto non genera obbligazione ma genera
eccezione. Per dare luogo ad obbligazione, il nudo patto doveva essere fatto nella forma della stipulatio.
Sebbene non furono riconosciuti effetti obbligatori, a certi patti furono riconosciuti effetti reali: in materia di
pegno e per la costituzione di servit e usufrutto.
I patti aggiunti (pacta adiecta) ai contratti tutelati da iudicia bonae fidei, essendo naturale che bisognasse per
buona fede mantenere gli impegni assunti, l'exceptio pacti conventi fu ritenuta superflua. Questi patti aggiunti
potevano essere distinti tra:
pacta adiecta in continenti contestuali alla conclusione del contratto, erano parte integrante del
contratto stesso e quindi potevano integrarne/modificarne il contenuto tipico. Per la loro attuazione
poteva essere proposta la stessa azione di buona fede propria del contratto cui il patto inerisce
pacta adiecta ex intervallo successivi alla conclusione del contratto
Si parl poi di patti pretori con riferimento a constitutum e recepta = ebbero tutela pretoria, emergeva pi
l'assunzione di un impegno rispetto alla conventio, ma era comunque necessario anche il consenso del
soggetto che traeva vantaggio dall'impegno assunto:
il constitutum debiti era la promessa informale di adempiere un precedente debito (proprio o altrui)
entro il termine precisato. Alla scadenza del termine del constitutum il creditore avrebbe potuto
esercitare l'actio de pecunia constituta (in factum). Il creditore avrebbe potuto anche agire in base
alla precedente obbligazione e non in base al constitutum, ma non prima del termine fissato in esso.
Il receptum arbitrii era l'assunzione, da parte di un arbiter designato, del compito di decidere la
controversia che gli interessati gli sottoponevano. Se l'arbitro, dopo aver accettato, rifiutava senza
motivo di decidere, il pretore lo pressava con minacce, multe etc.
il receptum argentarii era l'impegno informale da parte del banchiere di pagare il debito del cliente (il
creditore aveva un'actio recepticia)
recepta nautarum, cauponum, stabulariorum con essi l'armatore della nave/l'albergatore/il gestore
di una stazione per il cambio dei cavalli con annessa locanda si assumevano la responsabilit per
furti o danneggiamenti delle le cose che passeggeri e avventori recavano con s.
Importante era anche il giuramento volontario, che poteva avvenire in varie circostanze: il creditore giurava
di sibi dare oportere dopo che il debitore gli avesse deferito giuramento; oppure il creditore giurava dopo
che, avendo egli deferito il giuramento al debitore, questi gli avesse a sua volta riferito il giuramento; oppure
ancora il creditore dichiarava di esser pronto a giurare, e il debitore gli faceva remissio. In questi casi al
creditore era data l'actio in factum ex iureiurando, in cui il giudice avrebbe accertato l'avvenuto giuramento e
sulla sua base avrebbe se mai condannato il convenuto.
Da et postclassica di riconobbe che alcune convenzioni potessero dare luogo ad azioni, e per questo tali
patti furono detti pacta legitima: esse erano la promessa di dote, la promessa di donazione e il
compromissum = patto extragiudiziale con cui due parti convenivano di rimettere all'arbitrato di un terzo la
decisione di una controversia. Al compromissum i classici davano rilevanza giuridica indiretta mediante lo
scambio tra le due parti di stipulazioni penali, con cui ciascuna parte prometteva all'altra una pena pecuniaria
se non si fosse adeguata alla decisione dell'arbitro. Giustiniano diede invece efficacia al patto in s (senza
stipulazioni penali), e diede alla parte vincente un'actio in factum per l'esecuzione della decisione arbitrale.
Con Giustiniano la stipulatio e i semplici patti diventarono di fatto la stessa cosa, e perse significato il
principio formale per cui dal nudo patto non nasceva obbligazione di fatto ogni accordo lecito poteva
avere ormai effetti obbligatori.
Le obligationes quasi ex contractu (atti leciti non contrattuali per mancanza di conventio)
Gestione di affari altrui (negotiorum gestio): gestione di affari altrui senza mandato, intrapresa
dal gestore con la convinzione che si trattasse di affari altrui e almeno iniziata utilmente (non
importava in questo senso se lesito della gestione fosse stato utile o no per il gerito). A questo tipo
di gestione si riconobbero effetti obbligatori in et repubblicana, e furono introdotte l'actio negotiorum
gestorum diretta (a favore del gerito) e contraria (a favore del gestore) azioni di buona fede.
L'obbligazione del gestore era di portare a termine l'affare intrapreso e di trasferire al gerito beni e
diritti che aveva ricavato dalla gestione; egli aveva dapprima responsabilit per dolo, poi per colpa.
L'obbligazione del gerito era di assumere le responsabilit assunte dal gestore, ed eventualmente
rimborsare spese e danni derivati dalla gestione. Il sistema era della rappresentanza indiretta.
Gestione della tutela impuberum: cessata la tutela, il tutore dellimpubere doveva rendere conto
allex pupillo per acquisti/perdite derivati dalla gestione tutelare. Lex pupillo doveva a sua volta
rimborsare allex tutore spese o perdite e sollevarlo dai debiti assunti per la gestione. Le due
obbligazioni erano sanzionate dall'actio tutelae diretta (contro il tutore) e dall'actio tutelae contraria
(contro il pupillo). L'actio diretta era infamante e il tutore rispondeva per culpa in concreto
communio incidens (compropriet incidentale) e coeredit: si procedeva in entrambi al pareggio
dei conti in sede di divisione, quindi nell'actio communi dividundo (comproprietari) o nell'actio
familiae erciscundae (coeredi). In entrambi i casi la responsabilit era per culpa in concreto
legati e fedecommessi con effetti obbligatori (legati per damnationem e sinendi modo): erano
disposizioni testamentarie che davano luogo a un vincolo obbligatorio tra erede (debitore) e legatario
(creditore). L'obbligazione sorgeva per volont del testatore e quindi prescindeva dall'accordo tra le
parti; essa nasceva solo quando il testamento acquistava efficacia, quindi alla morte del testatore. In
particolare nel legato per damnationem il testatore, con certa verba, onerava l'erede di compiere una
prestazione di dare o facere in favore del legatario. Nel legato sinendi modo invece il testatore
poneva a carico dell'erede un obbligo di non facere, cos da permettere al legatario di appropriarsi di
qualcosa appartenente all'erede (o una cosa ereditaria o personale). I due legati obbligatori furono
sanzionati dall'actio ex testamento, in personam, in ius e di stretto diritto, con formula diversa a
seconda che il legato fosse di dare o di facere. In et postclassica il legato sinendi modo scomparve,
e con Giustiniano si riconobbero effetti obbligatori a tutti i tipi di legato.
Si possono accostare ai legati i fedecommessi, ossia disposizioni di ultima volont in favore di terzi,
che il testatore rimetteva alla fides dellerede o del legatario per lesecuzione. Essi furono tutelati per
la prima volta con Augusto in sede di cognitio extra ordinem, quando fu concessa la petitio
fideicommissi al fedecommissario (il giudice doveva giudicare con criteri di equit)
solutio indebiti (pagamento di indebito): esecuzione di una prestazione non dovuta. Il pagamento
di indebito era fonte di obbligazione quando un soggetto (solvens) eseguiva una datio, cio un
trasferimento di propriet, nell'erronea convinzione di poterlo fare; dal canto suo l'accipiens riceveva
la prestazione inconsapevole che essa non fosse dovuta. Dunque l'accipiens aveva l'obbligazione di
ritrasferire al solvens quanto ricevuto indebitamente, oppure l'equivalente in caso di cose fungibili
(applicazione della condictio). Se il solvens non avesse compiuto la datio per errore, si parlava di
donazione; se l'accipiens non era in buona fede (cio sapeva che la prestazione non era dovuta)
commetteva furto. La condictio utilizzata in questo caso era detta specificamente condictio indebiti.
Applicazioni non contrattuali della condictio e arricchimento ingiustificato; altre fonti di obbligazioni
datio ob rem, per cui all'autore di una prestazione del tipo do ut des si dava la condictio (detta ob
causam datorum oppure causa data causa non secuta) contro l'accipiens che non avesse a sua
volta effettuato la controprestazione
datio per causa illecita, per cui all'autore della datio si dava contro l'accipiens la condictio ob turpem
ve iniustam causam
la datio ob dotem, per cui al costituente la dote si dava la condictio, in caso di annullamento delle
nozze, contro il mancato marito
la donazione reale mortis causa, per cui si dava la condictio al donante contro il donatario, una volta
che il donante fosse sopravvissuto al donatario
In questi casi l'accipiens aveva sempre un'obligatio alla restituzione da atto lecito non contrattuale, con tutela
giudiziaria mediante condictio. La condictio presupponeva una datio per una causa rivelatasi poi inesistente,
illecita, non pi realizzata o venuta a mancare, dunque non si ravvisava nell'accipiens alcuna ragione per
trattenere la cosa se non fosse stata data la condictio, l'accipiens avrebbe realizzato un ingiustificato
arricchimento ai danni di chi aveva fatto la datio. Fu per questo che si stabil che nessuno doveva potersi
avvantaggiare ingiustificatamente a danno di altri.
Nell'intentio della condictio era stabilito, a carico del convenuto, un dare oportere di quanto era stato oggetto
della datio; la condictio era dunque un'actio con intentio certa. In qualche caso eccezionale fu per ammessa
anche una condictio incerti (pretese volte a facere, che era un incertum per definizione). Con Giustiniano si
estese l'applicazione della condictio, che divenne strumento proprio contro ogni ingiustificato arricchimento.
I delitti
Anche i delicta, o maleficia, furono ritenuti fonti di obbligazioni. Essi erano comportamenti volontari che
l'ordinamento riprovava, ognuno con proprie connotazioni e proprio regime giuridico (erano tipici, non c'era
uno schema generale), tutti per rientranti nella definizione di atti illeciti extracontrattuali (per distinguerli
dagli inadempimenti delle obbligazioni). L'obligatio nascente da delitto era un vincolo giuridico esistente tra
offensore ed offeso, per cui luno era tenuto verso laltro al pagamento di una pena pecuniaria, ed
perseguibile con azione penale. Le azioni penali riguardavano dapprima solo fattispecie del ius civile, ma poi
il pretore concesse anche azioni penali in factum; in ogni caso di continu a riservare la qualifica di delicta
agli illeciti civili = furto, rapina, damnum iniuria datum e iniuria. Il criterio generale fu quello del dolo: il delitto
si imputava al suo autore quando esso era commesso col deliberato proposito di provocare alloffeso il
pregiudizio che gliene era derivato. Molte volte per il dolo era in re ipsa, ossia implicito nel comportamento
dell'offensore. In materia di damnum iniuria datum si arriv a parlare di colpa, e si imput il danneggiamento
anche a colore che l'avessero provocato per negligenza o imprudenza, non solo per dolo.
Distinti dai delicta erano i crimina, comportamenti pi direttamente lesivi degli interessi della comunit, pi
gravemente riprovati, repressi nellambito di iudicia publica e sanzionati con pene pi gravi eseguite
dall'organo pubblico. I delicta invece erano repressi con pena privata nel processo privato. Col tempo per
molti tra i delicta vennero puniti anche con pene pubbliche in giudizi pubblici, e con Giustiniano rimasero
pochi delitti (quelli non dolosi) non perseguibili anche nell'ambito della giurisdizione criminale.
Il furto
La nozione originaria del furto era quella di sottrazione illecita di una cosa mobile altrui (amotio rei). Tuttavia
nel tempo seguente alle XII Tavole, per l'esigenza di punire anche certi illeciti che non erano contemplati da
nessun precetto, l'antica nozione di furto fu ampliata: fu ritenuto furto qualunque comportamento doloso
volontario che, non integrando gli estremi di altri delitti, provocasse ad altri una perdita o uno svantaggio
relativo ad una cosa mobile o immobile era furto quindi anche l'istigazione del servo altrui alla fuga, la
complicit nella fuga del servo altrui, occupazione dolosa del fondo altrui. Prima della legge Aquilia, per la
quale il materiale danneggiamento doloso di cose altrui e l'acceptilatio dolosa del credito da parte
dell'adstipulator rientrarono tra i damnum iniuria datum, anch'essi erano considerati furto. In et repubblicana
fu ridimensionata l'ampiezza della nozione di furto, ma non si torn all'idea originaria dell'amotio rei (rimase
pi ampia). Sotto l'aspetto oggettivo, per configurare il furto (se le fattispecie non rientravano in altri delicta),
si ritenne sufficiente la contrectatio rei = contatto fisico con la cosa pur senza la materiale sottrazione. Sotto
l'aspetto soggettivo si richiese la contrectatio fraudulosa: la contrectatio cio doveva avere luogo contro la
volont del proprietario della cosa, oppure doveva essere compiuta per conseguire un lucro, oppure l'autore
di essa doveva avere l'intenzione di commettere furto.
I genera furtorum
La distinzione di base dei generi del furto la seguente:
furtum manifestum = furto commesso dal ladro preso, catturato dal derubato sul fatto
furtum nec manifestum = ogni furto non manifesto
Gaio per aggiunse nelle Institutiones anche:
furtum conceptum = rispondeva di esso la persona presso la quale era ritrovata la cosa rubata
furtum oblatum = rispondeva di esso colui che aveva collocato la cosa rubata presso un'altra
persona (dove poi la cosa era stato rinvenuta) per non farla rinvenire presso di s
furtum prohibitum = rispondeva di esso chi aveva impedito la ricerca della cosa rubata
In et postclassica questi ultimi quattro generi perdettero significato
Le sanzioni
contro il ladro responsabile di furtum manifestum, le XII Tavole stabilirono sanzioni molto pesanti: se
il ladro era una persona libera veniva fustigato e poi addictus dal magistrato al derubato
(diventandone servo); se il ladro era uno schiavo non appartenente al derubato, veniva fustigato e
poi precipitato da una rupe. Se il furto fosse stato commesso di notte o se il fur avesse tentato di
difendersi con le armi, il derubato avrebbe potuto ucciderlo. Gi da et preclassica per queste
misure furono sostituite dall'actio furti manifesti, un'azione penale pretoria per cui il derubato poteva
perseguire il quadruplo del valore della cosa rubata: contro il ladro se era sui iuris, contro l'avente
potest (e in via nossale) se era alieni iuris
contro il ladro responsabile di furtum nec manifestum, le XII Tavole stabilirono una pena pecuniaria
pari al doppio del valore della cosa rubata. Questa misura fu mantenuta anche dal pretore e
perseguita con l'actio furti nec manifesti
per furtum conceptum e oblatum la pena era del triplo, per furtum prohibitum del quadruplo
Le actiones furti (manifesti o non) erano infamanti e ad esse era attivamente legittimato il derubato, o
comunque la persona che avesse giuridicamente interesse che la cosa non venisse rubata solitamente si
trattava del proprietario, ma in caso di furto al comodatario era questi ad avere interesse (perch era
responsabile per custodia verso il comodante, mentre il comodante non aveva interesse perch poteva
rivalersi sul comodatario). L'actio furti mantenne sempre natura penale, ma accanto ad essa si dava anche
la condictio ex causa furtiva (gi dal tempo delle legis actiones) con l'actio penale si perseguiva una pena
pecuniaria, con la condictio si perseguiva la restituzione della cosa; le due azione si potevano cumulare. Nel
caso di furto di cosa comodata, il comodante agiva con la condictio, il comodatario con lactio furti
(cumulabili). Alla condictio ex causa furtiva era ammesso il proprietario della cosa rubata (applicazione
singolare della condictio in quanto non presupponeva una datio ne era diretta a una datio, questo
probabilmente perch la condictio contro il ladro esisteva gi prima dell'accezione tecnica di datio e si
mantenne dopo). Al proprietario si dava questa particolare condictio nonostante potesse gi ricorrere alla rei
vindicatio per odio furum (odio del ladro), che era cos possibile soggetto a pi azioni; ma si dava anche per
dare garanzia maggiore al derubato (che poteva scegliere se ricorrere all'una o all'altra).
La rapina
Essa la sottrazione di cose altrui commessa con la violenza (bona vi rapta). Di fronte alla grave situazione
dell'ordine pubblico, turbato da frequenti scorrerie di bande di schiavi con ruberie e saccheggi (spesso
organizzate dai padroni), nel 76 a.C., il pretore Lucullo diede alle vittime l'actio vi bonorum raptorum essa
era esperita entro l'anno per il quadruplo del valore delle cose rubate e dei danni, dopo l'anno per il simplum.
L'azione era data alle vittime contro i proprietari delle bande di schiavi, gli organizzatori di attruppamenti di
uomini, gli istigatori delle violenze e anche le persone libere che avessero direttamente commesso la rapina.
L'actio vi bonorum raptorum era penale e infamante in et classica; con Giustiniano invece si qualific come
mista (insieme reipersecutoria e penale) perch nella condanna al quadruplo si distinsero un simplum
(corrispondente al valore delle cose asportate) e un triplum (a titolo di pena).
La rapina fu considerata da Gaio come delitto a s, quindi rientrante tra gli illeciti civili anche se sanzionata
da un'actio di natura pretoria.
Il damnum iniuria datum
In et postdecemvirale i danneggiamenti dolosi di cose altrui e l'acceptilatio dolosa del credito da parte
dell'adstipulator erano stati fatti rientrare nel delitto di furto. Nel III secolo a.C., con la lex Aquilia de damno
essi furono riconosciuti come delitti a s. Tale legge era articolata in tre capitoli:
1 capitolo riguardava l'uccisione iniuria di schiavi e pecudes altrui (quadrupedi da gregge o armento). La
pena era del simplum nel maggior valore che schiavi/pecudes avevano nell'anno precedente all'uccisione
2 capitolo riguardava l'adstipulator che, in frode allo stipulante, avesse estinto il credito mediante
acceptilatio. La pena era del simplum nell'importo del credito estinto
3 capitolo riguardava il ferimento di schiavi e pecudes, l'uccisione o il ferimento di animali non pecudes,
la distruzione o il semplice danneggiamento di cose inanimate appartenenti ad altri. La pena era del simplum
nel maggior valore di schiavi, animali e cose inanimate nei 30 giorni precedenti l'evento dannoso.
Il secondo capitolo cadde in desuetudine in et preclassica e non fu pi considerato (quando il rapporto tra
adstipulator e creditore fu incluso nel mandato), mentre per il primo e il terzo si parl di damnum iniuria
datum. Contro l'autore del danno fu data al proprietario delle cose perite o danneggiate l' actio legis Aquiliae,
penale e in ius; per il pretore, tramite actiones utiles, estese la tutela aquiliana anche a usufruttuari,
comodatari, possessori di buona fede, creditori pignoratizi, usuari e coloni.
L'actio legis Aquiliae era penale e si dava anche in via nossale, non era passivamente trasmissibile contro gli
eredi e si poteva cumulare con altre azioni; essa era in simplum, e l'autore del danno rispondere anche per
culpa levissima pur essendo penale, essa aveva tuttavia una sostanziale funzione reipersecutoria. Con
Giustiniano si stabil addirittura che l'actio legis Aquiliae era reipersecutoria se il danno era stato provocato
nel momento di maggior valore della res nell'ultimo anno o mese, era invece mista se la cosa avesse
perduto valore nell'ultimo anno o mese (in quanto si considerava a titolo di pena la parte di condanna che
superava il valore del bene nel momento dell'evento dannoso).
La legge Aquilia puniva il damnum iniuria datum , cio il danno ingiusto, causato da un comportamento
negligente (il termine iniuria aveva valenza soggettiva, prima inteso come dolo e poi come culpa). Dal punto
di vista oggettivo il danno previsto dalla legge Aquilia era il danno recato a una cosa altrui (uccidere, ferire,
bruciare, infrangere, rompere), dunque il damnum corpore corpori datum = danno prodotto direttamente
dalla forza muscolare dellagente allintegrit fisica della cosa. In proposito per intervenne il pretore,
concedendo azioni utili e in factum per singoli casi di damnum non corpore datum (es. mediante omissione)
o per casi di danno a cose senza lesione materiale di esse. Con Giustiniano poi si diede un'actio in factum a
copertura di ogni caso di danno a cose che non fosse gi stato previsto dalla legge Aquilia e dal pretore.
L'iniuria
Innanzitutto, la legge delle XII Tavole disponeva diverse pene per i vari casi di lesioni o violenze fisiche
dolose e ingiuste a persone:
per il membrum ruptum, ossia la lesione fisica con perdita definitiva della funzionalit di un organo,
era data la pena del taglione (cui l'autore poteva sottrarsi accordandosi con la vittima su una
composizione pecuniaria)
per l'os fractum, ossia la frattura di un osso senza per perdita della funzionalit dellorgano, la pena
era di 300 assi nel caso di un libero, 150 assi nel caso di un servo;
per lesioni e violenze fisiche minori la pena era di 25 assi
Presto per il taglione apparve come rimedio rozzo e incivile, dunque la pena pecuniaria divenne la regola.
Nello stesso tempo per, con la svalutazione della moneta in et preclassica, le pene pecuniarie apparvero
irrisorie. Nel II secolo a.C., il pretore arriv a considerare unitariamente gli atti dolosi e ingiusti di violenza
fisica alle persone (atti considerati iniuria) e istitu per essi l'actio iniuriarum aestimatoria per la persecuzione
di una pena pecuniaria da stabilire in base all'entit dell'offesa: il giudice doveva decidere la pena con criteri
di equit, in base a ci che gli appariva buono ed equo per la delicatezza della questione, la decisione era
spesso affidata ai recuperatores. L'actio iniuriarum era penale e infamante, aveva carattere personalissimo e
dunque era intrasmissibile agli eredi sia dal lato passivo sia dal lato attivo. Inoltre essa era solitamente con
taxatio, ossia i giudici non potevano superare un certo limite nel stabilire la pena; nei casi pi gravi (iniuriae
atroces), il pretore indicava invece nella formula un minimo di condanna. Per l'aspetto soggettivo, si richiese
il dolo dell'offensore (che di solito per era in re ipsa) e a volte anche la specifica intenzione di recare iniuria
(animus iniuriandi). Successivi interventi pretori riguardarono offese morali e non fisiche, le quali in et
classica furono poi qualificate iniuria; dovevano comunque essere atti ingiusti, contra ius.
Con Giustiniano si ebbe concorso tra actio iniuriarum e iudicium publicum criminale.
L'actio de pauperie (altro illecito extracontrattuale)
Oltre a furto, rapina etc. c'erano anche altri illeciti extracontrattuali per i quali vengono in considerazione le
azioni civili e le azioni pretorie. Uno di questi era l'actio de pauperie essa era gi prevista dalle XII Tavole
e faceva riferimento ai danni prodotti da comportamenti spontanei e innaturali dei pecudes. Questa azione
spettava al danneggiato contro il proprietario degli animali, il quale poteva o risarcire il danno o dare a nossa
l'animale trasferendone la propriet all'attore. L'attore legittimato era la persona che aveva interesse che il
danno non si fosse verificato (normalmente il dominus, ma anche un'altra persona). L'actio era nossale ma
non penale, in quanto non riguardava n atti illeciti di soggetti a potest (es. schiavi) n comportamenti
volontari infatti i comportamenti delle pecudes non potevano essere detti volontari. Di conseguenza a ci,
la responsabilit del proprietario delle pecudes era una responsabilit oggettiva, senza colpa: essa cadeva
sul dominus degli animali per il fatto in s di esserne il dominus. Si diceva infatti che colui il quale gode di un
vantaggio, deve anche subirne gli svantaggi.
2. effusum vel deiectum con lo sviluppo edilizio della citt, con la diffusione dell'uso di costruire
edifici a pi piani, il pretore diede un'azione contro danni a persone e cose provocati da oggetti
lanciati/versati o lasciati cadere dall'alto sulla via pubblica. L'azione era in factum e contro l'habitator:
essa era in duplum per danni a cose, in pena fissa per la morte di un uomo libero, nell'importo
stabilito dal giudice secondo equit per il ferimento dell'uomo libero
3. positum aut suspensum fu concessa un'azione anche contro l'habitator della casa sul cui tetto
o cornicione fosse stata appoggiata o posata una cosa che, cadendo, avrebbe potuto provocare
danni ai passanti. L'azione era in factum, popularis e con pena fissa, e fu data a prescindere
dall'evento dannoso per il solo fatto della situazione di pericolo
4. actiones adversus nautas, caupones, stabularios per furti e danneggiamenti a passeggeri e
avventori che si verificavano sulle navi, nelle locande o nelle stazioni per il cambio dei cavalli con
annessa locanda, il pretore diede un'azione penale in factum e in duplum rispettivamente contro
armatori, albergatori e gestori.
L'obbligazione nasceva a carico di habitator, dominus, armatore, albergatore e gestore in quanto tali, sia che
l'evento dannoso, il furto o la situazione di pericolo fossero loro imputabili o meno responsabilit
oggettiva, senza colpa.
acceptilatio: il termine viene da acceptum ferre (considerare come ricevuto), consisteva in una
domanda e in una congrua risposta positiva il debitore chiedeva Hai ricevuto quel che ti ho
promesso? e il creditore rispondeva di s. L'acceptilatio era simmetrica e contraria rispetto alla
stipulatio, in quanto con essa si estingueva un'obbligazione nata verbis (con la stipulatio invece la si
costituiva verbis). L'acceptilatio era istituto di ius gentium quanto alla fruibilit, mentre era di ius civile
quando agli effetti (ipso iure); essa era un actus legitimus, quindi non tollerava l'aggiunta di termini o
condizioni. In et arcaica, accanto all'adempimento, era necessaria l'acceptilatio per le obbligazioni
nate verbis; in seguito l'acceptilatio fu mantenuta per estinguere l'obbligazione a prescindere
dall'effettivo adempimento anch'essa fu detta imaginaria solutio e divenne negozio astratto. Fu
molto impiegata durante il principato, dato il largo uso della stipulatio; in questo periodo l'acceptilatio
nulla per vizi di forma o nulla perch riferita a obbligazioni non nate verbis fu trattata alla stregua dei
pacta svincolata da formalismi e quindi utilizzabile per ogni obligatio. Anche l'acceptilatio litteris
(non solo quella verbis) sembra essere stata impiegata per la remissione di debiti
pactum de non petendo: con esso il creditore si impegnava formalmente a non pretendere
l'adempimento della prestazione, con un semplice patto. L'obbligazione non si estingueva ipso iure
ma il debitore, convenuto per l'adempimento, poteva opporre validamente l'exceptio pacti conventi
(come nei nuda pacta). Il patto era idoneo a estinguere ipso iure le azioni penali furti e iniuriarum.
La transazione: era una specifica causa di negozi astratti e insieme un particolare caso di applicazione del
pactum de non petendo. Essa presupponeva una lite in corso o una prospettiva di lite futura, e per mettervi
fine le due parti pattuivano reciproche attribuzioni e rinunzie per le attribuzioni (se non vi si procedeva
immediatamente con mancipatio, traditio etc.) si assumeva l'impegno mediante stipulatio; per le rinunzie
bastava il pactum transactionis che poteva, all'occorrenza, essere validamente opposto. Nel tardo diritto
romano per lattuazione si diede alla parte interessata lactio praescriptis verbis.
La novazione: sostituzione di unobbligazione con unaltra per cui la prima si estingueva ipso iure e al suo
posto sorgeva la nuova. Si verificava per effetto di una stipulatio che, avendo ad oggetto la stessa
prestazione, facesse espresso riferimento al rapporto obbligatorio che con essa si voleva estinguere (si
estinguevano anche eventuali garanzie personali e reali e si interrompeva il corso di eventuali interessi).
Esempio di novazione oggettiva: il compratore Caio doveva a Tizio 10000 sesterzi per una compravendita.
Tizio chiedeva a Caio prometti di darmi i 10000 sesterzi che mi devi in virt della compravendita tra noi
intercorsa, e Caio prometteva si estingueva il debito di Caio di pagare il prezzo della vendita, e ne
nasceva uno nuovo dello stesso importo per effetto della stipulatio.
I requisiti della novazione per i classici erano:
idem debitum = l'oggetto doveva essere sempre la stessa prestazione
aliquid novi = la nuova obbligazione doveva presentare qualcosa di nuovo rispetto alla vecchia. In
relazione a ci, la novazione poteva essere oggettiva (se l'elemento nuovo era la causa, oppure
condizioni, termini, garanzie personali) oppure soggettiva (l'elemento nuovo riguardava o la persona del
creditore oppure quella del debitore)
animus novandi = intenzione delle parti di procedere a novazione
Giustiniano neg la necessit dell'idem debitum.
Un caso particolare di novazione oggettiva era la stipulatio Aquiliana in ununica stipulatio si deduceva
in maniera generica il corrispettivo pecuniario di ogni debito/obbligo del promittente verso lo stipulante in
modo che, compiuta la stipulatio, il promittente fosse tenuto verso lo stipulante ad una sola prestazione = era
una prestazione pecuniaria, incerta nell'ammontare, la cui obbligazione avrebbe potuto essere estinta con
una sola acceptilatio. La stipulatio Aquiliana era utile per compiere transazioni pi comode e evitare
controversie future.
Delegatio promittendi: la delegatio era un'autorizzazione unilaterale e informale, con cui si introduceva
l'elemento nuovo della persona del debitore/creditore in una novazione soggettiva. La delegatio promittendi
poteva essere:
attiva = il creditore (delegante) invitava il debitore (delegato) a promettere con stipulatio ad un terzo
(delegatario) quello che lo stesso debitore doveva al delegante. In pratica il terzo delegatario
chiedeva al delegato prometti di dare a me quel che devi al delegante Tizio?, e il delegato
prometteva. Cos si estingueva per novazione l'obbligazione tra delegante e delegato e se ne
costituiva una nuova, per effetto della stipulatio e con lo stesso oggetto, tra delegato e delegatario.
Era cos mutata la persona del creditore.
passiva (o expromissio) = il delegante era il debitore, il delegato era un terzo, il delegatario era il
creditore: su invito del debitore il terzo prometteva al creditore ci che il debitore doveva al creditore
stesso (il delegato chiedeva prometti di dare a me quel che a me deve il delegante Tizio?). Si
estingueva cos per novazione l'obbligazione tra delegante e delegatario e se ne costituiva una
nuova tra delegatario e il terzo delegato. Cambiava cos la persona del debitore.
Ci doveva essere una causa, per esempio una causa donandi (nella delegatio attiva il delegante donava al
delegatario, in quella passiva il delegato donava al delegante). Alla delegatio attiva si ricorreva anche
quando il delegante, creditore del delegato, era a sua volta debitore del delegatario: al posto di due
obbligazioni se ne costituiva una sola tra delegato e delegatario.
Oltre alla delegatio promittendi c'era anche la delegatio solvendi: il creditore delegante invitava il debitore
delegato a pagare un terzo delegatario (non a promettere). Una volta effettuata la solutio si estingueva il
debito del delegato nei confronti del delegante. Probabilmente avevano effetto novativo anche la
transscriptio a re in personam e la transscriptio a persona in personam.
Litis contestatio e sentenza in et repubblicana fu attribuito alla litis contestatio del processo formulare
l'effetto di estinguere la stessa obbligazione per cui il creditore aveva proposto l'azione. Questo
probabilmente dovuto al fatto che la litis contestatio delle azioni civili in personam aveva effetto preclusivo
ipso iure, ossia il creditore non poteva pi agire un'altra volta: questo effetto fu collegato all'effetto estintivo
per cui, non potendo tornare a agire, il suo credito era estinto. Il giudice per avrebbe dovuto comunque
condannare il convenuto riconosciuto debitore, in quanto egli non era liberato dal vincolo, anche se
l'obbligazione si era estinta per effetto della litis contestatio: non era pi tenuto al vincolo originario, ma ad un
altro di natura processuale detto condemnari oportere. Quest'ultimo si estingueva con la sentenza di
condanna, dando luogo ad obligatio iudicati. Per effetto della litis contestatio si aveva quindi una sorta di
novazione, e poi se ne aveva un'altra per effetto della sentenza di condanna.
La compensazione: fenomeno per cui, se il creditore era anche debitore del proprio debitore, crediti e debiti
reciproci si estinguevano nella misura in cui concorrevano. Se Tizio era creditore di Caio per 100 e gli
doveva a sua volta altri 100, le due obbligazioni si estinguevano per l'intero; se Tizio era creditore di Caio per
100 e gli doveva 50, il credito di Caio si estingueva e rimaneva quello di Tizio per la differenza. Si
distingueva inoltre tra:
compensazione legale: l'estinzione aveva luogo automaticamente, per il fatto in s che venivano a
coesistere tra le stesse persone crediti e debiti reciproci. Questo tipo di compensazione era
sconosciuto fino a Giustiniano.
compensazione giudiziale: l'estinzione si verificava per effetto della sentenza del giudice, che
valutava i controcrediti del convenuto rispetto alle pretese creditorie attrici. La compensazione
giudiziale fu introdotta nell'et repubblicana, poich prima ad ogni obligatio corrispondeva un'actio
tipica (i giudizi per crediti e debiti erano separati) a questo principio dell'actio tipica si derog
innanzitutto nei iudicia bonae fidei, poich non era conforme a buona fede chiedere l'adempimento
di una prestazione se non si era a sua volta adempiuta la propria. In questi iudicia infatti il giudice
doveva condannare il convenuto in ci che il convenuto stesso doveva all'attore secondo criteri di
buona fede, quindi fu data al giudice facolt di tener conto dei controcrediti del convenuto e di
procedere a compensazione. In tal modo il credito minore si sarebbe estinto per effetto della
sentenza del giudice (ope iudicis). Affinch ci avvenisse per si richiedeva che i due crediti fossero
ex eadem causa (dipendessero dalla stessa causa, dallo stesso rapporto), mentre non occorreva
lomogeneit dei crediti perch la condanna nel processo formulare era sempre espressa in denaro
(quindi sia che fossero crediti di denaro o di cose, erano ridotti al comune denominatore pecuniario).
Un'altra deroga per cui si ammise compensazione riguard gli argentarii (banchieri): costoro
avevano strumenti di riscontro contabile, dunque l'onere (se erano al contempo debitori e creditori
dei propri clienti) di agire contro i clienti cum compensazione = dovevano calcolare preliminarmente
il saldo per cui restavano creditori, che doveva essere indicato nell'intentio della formula (se
indicavano un importo maggiore perdevano la lite); il credito del cliente si estingueva cosi per effetto
della sentenza del giudice. In questo caso i crediti dovevano essere omogenei, di cose fungibili, e
potevano non derivare ex eadem causa. Un'altra deroga il caso del bonorum emptor, che aveva
l'obbligo di agire cum deductione contro i debitori del fatto quando essi erano a loro volta creditori
dello stesso. Il credito del convenuto era indicato nella condemnatio, quindi era compito del giudice
fare l'operazione contabile. Il giudice poteva cos compensare crediti non omogenei, anche non ex
eadem causa. Il bonorum emptor doveva agire cum deductione per ragioni di equit: infatti egli era
tenuto a pagare i debiti del fallito in percentuale, ma se non avesse agito cum deductione contro i
debitori del fallito a loro volta creditori, avrebbe nei loro confronti esatto l'intero e pagato solo in
percentuale.
La compensazione presupponeva che i crediti contrapposti fossero scaduti, quindi esigibili, e che ad essi
non fosse normalmente opponibile exceptio. Il convenuto poteva, nei iudicia stricta, opporre in
compensazione i propri controcrediti alle pretese del creditore mediante exceptio doli. Con Giustiniano si
stabil che la compensazione, quando i crediti contrapposti erano di facile accertabilit, avesse luogo ipso
iure comunque; ipso iure con Giustiniano voleva dire d'ufficio, quindi anche se il convenuto non avesse
opposto exceptio. Per questo si pu dire che in et giustinianea la compensazione divenne modo di
estinzione automatico, che scattava dal momento in cui si verificava la coesistenza di crediti e debiti
reciproci. La compensazione legale riconosciuta nel Corpus iuris non presupponeva l'omogeneit dei crediti
(anche perch spesso la condanna era in ipsam rem), ma in un certo senso addirittura la escludeva (perch
ammetteva compensazione nelle azioni reali e la vietava nel deposito).
Altri modi di estinzione delle obbligazioni:
contrarius consensus e recesso unilaterale i contratti consensuali, se non ne era iniziata
l'esecuzione, si scioglievano per reciproco dissenso (contrarius consensus); societ e mandato
anche per recesso unilaterale. Al contempo dunque si estinguevano ipso iure anche le relative
obbligazioni. Societ e mandato si scioglievano pure se aveva avuto inizio l'esecuzione per mutuo
dissenso tra i soci, recesso unilaterale di un socio o revoca del mandato: si estinguevano solo le
obbligazioni in funzione dell'ulteriore attuazione, non quelle precedenti (es. non si estinguevano
quelle relative al rimborso delle spese gi sostenute). Il mandato si estingueva anche per
completamento dell'incarico, la societ anche per ragioni dovute allo scopo sociale, alla capitis
deminutio o alla bonorum venditio subite da un socio
la morte bisogna considerare due casi, le obbligazioni da atti leciti e quelle da atti illeciti.
1. la morte non comportava estinzione dell'obbligazione da atto lecito e sanzionata da azioni
reipersecutorie: crediti e debiti si trasmettevano agli eredi. Questo principio in origine non riguardava
i debiti: non era applicabile ai nexti o agli addicti dall'avversario dopo una legis actio per manus
iniectionem, in quanto era impensabile che gli eredi fossero allo stesso modo assoggettati. Per in
tal modo gli eredi avrebbero avuto un evidente vantaggio economico in seguito all'inadempimento
del loro dante causa, dunque si stabil (pur lasciando all'esecuzione carattere personale) che fossero
trasmessi agli eredi non solo i crediti, ma anche i debiti inerenti ad azioni non penali questo
avvenne in et preclassica quando, con la bonorum venditio, l'obbligazione fu pensata come vincolo
di carattere patrimoniale. Comunque, ancora in et classica,le obbligazioni di garanzia di sponsores
e fidepromissores si estinguevano con la morte del garante. Nella societas consensuale, la morte di
un socio comportava scioglimento della societ e estinzione di crediti/debiti ad essa ricondotti; nel
mandato, la morte di uno o dell'altro prima dell'esecuzione dell'incarico estingueva l'obbligazione.
Anche le obbligazioni da locatio operarum si estinguevano con la morte del conduttore. In caso di
dote, la morte del pater familias o della moglie comportava l'estinzione del credito a carico per marito
per la restituzione della dote.
2. Per le obbligazioni da atto illecito sanzionate da azioni penali, una volta morto l'autore dell'illecito,
l'azione penale non era esperibile contro gli eredi e quindi si estingueva la relativa responsabilit.
Per l'aspetto attivo le azioni penali si trasmettevano agli eredi del creditore, quindi la sua morte non
estingueva l'obbligazione (tranne nelle azioni vindictam spirantes)
adrogatio e conventio in manum di donne sui iuris si estinguevano ipso iure i debiti contratti
dall'adrogato e dalla donna precedentemente (per il fatto che non potevano peggiorare la condizione
dell'avente potest), anche se i creditori avevano l'actio utilis ficticia. Le obbligazioni per delitti
commessi da adrogato o dalla donna invece non si estinguevano
confusio quando la persona del debitore e del creditore confluivano nella stessa persona
l'obbligazione si estingueva ipso iure
impossibilit sopravvenuta della prestazione se non imputabile al debitore, l'obbligazione si
estingueva ipso iure
decorso del tempo le azioni penali in factum non potevano essere esercitate oltre l'anno dalla
commissione dell'illecito; decorso un anno, le obbligazioni si estinguevano ipso iure (salvo alcune
perseguite in un multiplo, per cui oltre l'anno erano ancora perseguibili nella misura del simplum).
Una lex Furia de sponsu stabil che, col decorso di un biennio all'assunzione della garanzia,
sponsores e fidepromissores erano liberati. Per la regola generale riguardo alle azioni in personam
era la perpetuit = i crediti potevano essere fatti valere senza limiti di tempo. Per nel 424 Teodosio
II istitu una praescriptio triginta annorum, opponibile ad ogni azione dopo 30 anni di inerzia del
titolare: trascorsi 30 anni dal momento in cui il creditore avrebbe potuto fare valere il suo credito,
l'obbligazione si estingueva in via di eccezione (ope exceptionis)
concursus causarum se il creditore di una cosa determinata (species), dopo che l'obbligazione
era sorta, acquistava la stessa cosa ad un altro titolo, dapprima l'obbligazione si estingueva ipso
iure. Giuliano per intervenne col principio per cui l'obbligazione si estingueva solo se le due causae
(quella in base a cui la res era dovuta e quella in base a cui la res era acquistata dal creditore) erano
entrambe lucrative, senza oneri pecuniari per il creditore (concursus causarum lucrativarum).
Esempio: l'obbligazione si estingueva se Tizio, legatario per damnationem di una certa cosa,
acquistava da un terzo la stessa cosa per donazione (le due causae erano entrambe lucrative).
Lobbligazione non si estingueva invece se Tizio, legatario per damnationem di una certa cosa,
lacquistava comprandola (la causa vendendi era una causa onerosa, non lucrativa).
obbligazioni solidali cumulative la prestazione era dovuta tante volte quanti erano i creditori o i
debitori. Il caso di obbligazione solidale cumulativa attiva ricorreva per i legati per damnationem,
quando una stessa cosa era legata dal testatore a pi persone: l'erede avrebbe dovuto prestare, e
ogni legatario avrebbe potuto pretendere la cosa per l'intero, senza che la prestazione fatta in favore
di uno liberasse l'erede rispetto a tutti gli altri. Nel caso di illeciti sanzionati da azioni penali (es.
delicta), si dava il caso di obbligazione solidale cumulativa passiva: la vittima dell'illecito poteva
pretendere l'intera poena da ognuno degli offensori, e il pagamento da parte di uno non liberava gli
altri (tutti potevano essere convenuti con l'azione penale). In caso di iniuria la solidariet cumulativa
era anche attiva poich, se qualcuno commetteva iniuria verso pi persone, tutte potevano esigere
l'intera poena senza che il pagamento di uno degli offesi liberasse l'offensore rispetto agli altri. Il
principio del cumulo delle azioni penali sub molte deroghe in et postclassica
obbligazioni solidali elettive la prestazione era dovuta una volta soltanto, quindi con
l'adempimento nei confronti di un creditore o da parte di un debitore essa si estingueva per tutti. Si
chiamano cos perch, nelle passive, il creditore doveva scegliere (electio) il debitore al quale
conveniva chiedere l'adempimento. La solidariet elettiva derivava innanzitutto da alcune
applicazioni della stipulatio. Nel caso di solidariet attiva, alla domanda rivolta da pi stipulanti (uno
dopo l'altro) a un promittente, egli dava un'unica risposta positiva, impegnandosi a eseguire una
stessa prestazione. Nel caso di solidariet passiva, alla domanda dello stipulante di assumere
l'impegno a una stessa prestazione rivolta a pi promittenti, essi rispondevano insieme
positivamente. Bisognava poi ricorrere a due stipulatio nel caso in cui interveniva un adstipulator
(solidariet attiva) o nel caso di intervento di garanti (solidariet passiva).
La solidariet elettiva poteva poi derivare anche da altri contratti (non solo stipulatio): obbligazioni
indivisibili con pluralit di creditori o debitori, legato per damnationem nel caso in cui il testatore
avesse dato all'erede l'obbligo di compiere la stessa prestazione in favore dell'uno o dell'altro dei
legatari, o anche da legato per damnationem ma nel caso in cui il testatore avesse posto a carico di
pi coeredi l'obbligo di compiere la stessa prestazione a un legatario. Obbligazioni solidali elettive
possono poi derivare da: furto di cosa comune, commissione di un delictum da parte di un servo
comune, contutela.
Estinzione delle obbligazioni solidali elettive per tutti i concreditori/condebitori:
- adempimento della prestazione (solutio)
- acceptilatio
- novazione
- impossibilit sopravvenuta della prestazione non imputabile al debitore (s. attiva) o a nessuno dei
condebitori (s. passiva)
- pactum de non petendo, se esso era in rem (quando il creditore o il concreditore assumeva
l'impegno che la prestazione non sarebbe stata richiesta)
Estinzione delle solidariet elettive solo per il condebitore/concreditore cui il fatto estintivo si riferiva:
- confusio
- capitis deminutio
- pactum de non petendo, se esso era in personam (quando il concreditore specificava che egli non
avrebbe richiesto la prestazione, oppure il creditore specificava che la prestazione non sarebbe stata
richiesta al condebitore con cui stringeva il patto)
Nel caso dell'effetto istintivo della litis contestatio, il regime giuridico in et classica era diverso in
base a che si trattasse di iudicia stricta o iudicia bonae fidei; nel primo caso, l'azione si estingueva
nei confronti di tutti in questo caso, dopo la litis contestatio, non si poteva proporre la stessa
azione contro un altro condebitore o da parte di un altro condebitore perch essa sarebbe stata de
eadem re (quindi nel caso di solidariet passiva bisognava aver cura di scegliere il debitore che
fosse nelle condizioni economiche di adempiere). Nel caso invece dei iudicia bonae fidei, il criterio di
buona fede comportava la sussistenza dell'obbligazione a carico dei condebitori non ancora
convenuti in giudizio, fino a che il creditore non fosse stato soddisfatto(e viceversa per solidariet
attiva); quindi con la litis contestatio si deduceva in giudizio solo il rapporto tra le parti.
Giustiniano invece estese la soluzione per i iudicia bonae fidei a tutte le obbligazioni solidali elettive.
Rivalsa e regresso: contro il concreditore che aveva esatto la prestazione, gli altri concreditori non
avevano specifiche azioni di rivalsa per pretendere che il ricavato venisse diviso tra tutti. Allo stesso
modo il condebitore che aveva compiuto la prestazione non aveva specifica azione di regresso
contro gli altri condebitori per il rimborso di parte di quanto pagato (in modo che il sacrificio
economico fosse di tutti). Solitamente per gli stessi fini potevano essere perseguiti con le azioni che
sanzionavano il rapporto interno tra concreditori e condebitori: per esempio l'actio divisoria tra i
comproprietari o l'actio pro socio tra i soci. Inoltre il rapporto interno tra concreditori poteva essere
tale per cui la prestazione spettava solo ad uno di essi, per esempio nel caso di creditore e
adstipulator: entrambi erano creditori in solidum nei confronti del debitore, per nel loro rapporto
interno la prestazione spettava tutta al creditore principale (cui l'adstipulator doveva versare il
ricavato). Lo stesso, dal punto di vista passivo, nei rapporti tra garanti e debitore principale.
Stipulazioni di garanzia
la pi antica era la sponsio, che si compiva verbis e quindi garantiva solo le obbligazioni nate
verbis. Doveva essere prestata subito dopo la promissio del debitore principale: lo sponsor (garante)
interveniva con adpromissor e si impegnava alla stessa prestazione appena promessa dal debitore.
La sponsio era riservata ai cives Romani; l'obbligazione assunta dallo sponsor si estingueva con la
sua morte. Una lex Publilia stabil che lo sponsor, contro il debitore che entro 6 mesi non gli avesse
rimborsato quanto egli aveva dato al creditore, avrebbe potuto procedere per legis actio per manus
iniectionem; in seguito con actio depensi (un'azione di regresso) nel simplum se il convenuto
ammetteva il debito, nel duplum se non ammetteva
fidepromissio era una stipulatio con l'utilizzo del verbo fidepromittere. Aveva lo stesso regime
giuridico della sponsio, tranne per il fatto che era fruibile anche dai peregrini e che ad essa non fu
estesa l'actio depensi.
La lex Furia de sponsu, con riferimento a sponsiones e fidepromissiones prestate in territorio italico, stabil
che dopo due anni dall'assunzione della garanzia i garanti ne fossero liberati. Nel caso di pi sponsores o
fidepromissores dispose che la prestazione si potesse dividere tra essi in parti uguali (beneficium divisionis)
fideiussio era una stipulatio con l'utilizzo del verbo fideiubere, era accessibile anche ai peregrini.
Ad essa non si estesero le disposizioni delle leges Publilia e Furia, e inoltre le obbligazioni ex
fideiussione passava agli eredi anche dal lato passivo. Con la fideiussio potevano essere garantite
tutte le obbligazioni, non solo quelle contratte verbis; la fideiussio poteva essere prestata a distanza
di giorni dall'obbligazione principale e anche in luogo diverso (questa possibilit fu estesa anche a
sponsio e fidepromissio in et classica). Sebbene il beneficium divisionis non si applic alla
fideiussio, in et classica Adriano eman un provvedimento per cui la prestazione si pot dividere
anche fra pi fideiussori dello stesso credito. La fideiussio ebbe pi larga diffusione delle altre due in
et classica perch fruibile a cives e non cives, perch l'obbligazione del fideiussore durava senza
limiti di tempo e si trasmetteva agli eredi, e infine perch con essa potevano essere garantite
obbligazioni contratte in qualsiasi modo (non solo verbis)
Con queste tre figure di stipulazioni di garanzia si costituiva, tra debitore principale+garanti e creditore, un
vincolo col regime della solidariet elettiva passiva = debitore e garanti erano tenuti in solidum verso il
creditore. La posizione del garante era per diversa rispetto a quella del debitore principale: la stipulazione di
garanzia era infatti accessoria, cio presupponeva l'esistenza dell'obbligazione principale. Erano quindi nulle
le stipulazioni di garanzia prestate per importi superiori a quelli del debito principale. Lestinzione
dellobbligazione principale comportava necessariamente lestinzione delle obbligazioni di garanzia, ma non
era vero necessariamente il contrario: l'obbligazione principale si estingueva solo se quella di garanzia si era
estinta in virt di un fatto che investiva l'intero rapporto = per effetto di solutio, acceptilatio, novazione,
pactum de non petendo in rem, litis contestatio*; l'obbligazione principale invece non si estingueva se quella
di garanzia si estingueva per confusione, capitis deminutio, pactum de non petendo in personam.
* Abbiamo visto che per effetto della litis contestatio, anche fatta verso un garante, l'obbligazione si
estingueva per tutti; sappiamo che le obbligazioni solidali elettive passive, nel caso di iudicia stricta, si
estinguevano in virt della litis contestatio compiuta con un condebitore l'actio ex stipulatu che nasceva
dalle stipulazioni di garanzia era appunto di stretto diritto. Il creditore quindi avrebbe potuto agire una volta
sola, o contro il debitore o contro un garante, e con la litis contestatio si aveva effetto estintivo per tutti. Per
questo il creditore doveva scegliere con cura colui contro il quale proporre l'azione, debitore o garante, che
doveva essere il pi solvibile. In relazione alla litis contestatio, si faceva anche ricorso alla fideiussio
indemnitatis, con cui il garante si obbligava a pagare niente pi di quanto il creditore non fosse riuscito ad
avere dal debitore: la litis contestatio contro il debitore non precludeva cos l'azione contro il garante.
Nel caso di pi garanti, mentre il debitore principale era obbligato ad adempiere la prestazione per l'intero, i
garanti godevano di beneficium divisionis per cui ciascuno era tenuto solo per una parte (deroga al principio
proprio della solidariet passiva). Quanto ai rapporti debitore-garanti, il sacrificio economico della
prestazione in ultimo avrebbe dovuto essere sopportato solo dal debitore principale: il garante adempiente
doveva avere la possibilit di agire in via di regresso contro il debitore principale per recuperare quanto
prestato al creditore. L'unica azione volta a ci fu per l'actio depensi, valida solo per la sponsio. Nel caso di
fidepromissio e fideiussio non c'erano specifiche azioni, ma il rapporto con il debitore principale venne
inquadrato nel mandato fu data l'actio mandati contraria con funzione di azione di regresso.
Allo stesso fine in et classica (per debiti in denaro) si procedeva cos: al garante che fosse pronto a pagare
prima della litis contestatio il creditore, nell'esigere la prestazione, cedeva contestualmente l'azione contro il
debitore principale nominando il garante curator/procurator in rem suam (beneficium cedendarum actionum).
Per il pagamento che si effettuava non fu considerato come solutio (perch se no l'obbligazione si sarebbe
estinta insieme all'azione ceduta), ma come pagamento di un prezzo per la vendita del credito.
Con Giustiniano scomparvero sponsio e fidepromissio, rimanendo solo la fideiussio; si stabil inoltre che la
litis contestatio non potesse avere effetti estintivi dell'obbligazione e che il beneficium cedendarum actionum
fosse una spettanza del garante. Giustiniano introdusse il beneficium excussionis (o ordinis), per cui il
creditore principale avrebbe dovuto prima agire contro il debitore principale, rivolgendosi poi ai garanti solo
se egli non fosse stato in grado di adempiere.
Mandato di credito: esso aveva funzione di garanzia delle obbligazioni da mutuo. Il garante (mandante) dava
incarico al futuro creditore (mandatario) di dare una certa quantit di denaro in mutuo a un terzo si
costituiva cos un mandato di credito (mandatum pecuniae credendae), in cui al creditore che aveva dato il
denaro a mutuo spettava sia lactio certae creditae pecuniae contro il debitore, sia lactio mandati contraria
contro il mandante: le due actiones che erano cumulabili, l'esercizio di una non precludeva quello dell'altra.
Tuttavia, una volta che il debitore avesse adempiuto, l'actio mandati contraria non aveva pi significato
perch il creditore-mandatario aveva gi recuperato le spese; invece il pagamento da parte del mandantegarante non liberava il debitore il mandante-garante avrebbe potuto subordinare il pagamento alla
cessione dell'azione contro il debitore cos da poter poi agire contro di lui in via di regresso (il garante
godeva quindi del beneficium cedendarum actionum).
Nel caso di pi mandanti di uno stesso credito, ciascuno era tenuto in solidum verso il creditore; la solutio da
parte di uno liberava tutti; per lesercizio dellazione contro uno non avrebbe impedito al creditore di ripetere
lazione contro gli altri fino alla completa soddisfazione. Se da un lato il mandato di credito doveva per forza
precedere l'atto costitutivo dell'obbligazione per cui si prestava garanzia, e il suo campo di applicazione era
limitato al mutuo, dall'altro lato esso comportava vantaggi: le azioni del creditore si potevano cumulare finch
il debito non fosse stato pagato, i garanti avevano beneficium cedendarum actionum, non era necessaria la
presenza delle parti (il mandato di credito poteva anche essere fatto per nuntium o per epistulam.
Con Giustiniano si uniform la normativa della fideiussio a quella del mandato di credito = il beneficium
divisionis fu esteso anche ad esso (nel caso di pi mandatores), cos come il beneficium excussionis.
Quando invece si trattava di donazioni in obligando non vietate dalla lex Cincia, il donante, convenuto dal
donatario con l'actio ex stipulatu per l'adempimento della promessa, avrebbe avuto beneficium
competentiae. Inoltre, le ragioni che avevano portato alla lex Cincia in et classica erano state superate,
quindi si cerc di ridurre la portata della legge si stabil che, con la morte del donante, la donazione
diventasse comunque irrevocabile (non potevano pi essere utili n l'exceptio legis Cinciae n altri rimedi);
questo perch si presumeva che il donante, non essendosi avvalso il vita dei possibili mezzi per la revoca
della donazione, avesse mostrato di perseverare nella volont di donare. Quindi capiamo che le donazioni a
volte erano revocabili e a volte non lo erano:
donazioni imperfectae = ancora revocabili
donazioni perfectae = non pi revocabili (quelle non vietate, oppure quelle vietate ma eseguite
comunque e non pi revocabili)
Ad un certo punto si riconobbe per la revocabilit della donazione del patrono al liberto per ingratitudine del
donatario, anche se perfectae. In et postclassica la regola di revocabilit per ingratitudine si afferm in
termini generali, e inoltre fu ammessa la revocabilit per sopravvenienza di figli al donante (solo per se
questi era patrono del donatario).
La riforma di Costantino (323) e la legislazione di Giustiniano
Costantino qualific la donazione come tipico negozio causale (contractus), e riconobbe ad essa effetto
traslativo della propriet. Pretese per la forma scritta, la consegna della cosa in presenza dei vicini e la
registrazione presso un ufficio pubblico, pena la nullit la donazione che rispettava questi requisiti fu detta
perfetta, e quindi non revocabile. Il divieto della lex Cincia fu superato ed essa perdette significato. La
riforma di Costantino volle tutelare gli interessi del fisco, poich era chiaro chi doveva sopportare gli oneri
fiscali inerenti al bene donato.
Giustiniano da un lato mantenne la donazione come negozio tipico causale, ma dall'altro pretese che fosse
fatta traditio per il passaggio della propriet (come in et classica). Egli inoltre parl di donazione anche per
atti volti ad altro che al trasferimento della propriet (es. stipulatio, acceptilatio etc.), e diede efficacia alle
donazioni obbligatorie pure se realizzate mediante semplice patto. La donazione quindi si configur con
Giustiniano talora come negozio tipico causale, talora solo come possibile causa di traditio, stipulatio e altri
negozio astratti. L'imperatore mantenne poi i requisiti di forma scritta e registrazione solo se la donazione
aveva importo rilevante.
La donazione tra coniugi
Con la diffusione dei matrimoni sine manu si afferm il principio, derivante dai mores, che vietava le
donazioni tra marito e moglie, pena la nullit dell'atto. Infatti in questo tipo di matrimoni, visto che marito e
moglie non appartenevano alla stessa familia, una donazione tra coniugi avrebbe comportato spostamenti
patrimoniali da una famiglia all'altra. Con l'imposizione di questo divieto si persegu lo scopo di tutelare gli
interessi della famiglia, ma anche lo scopo di mantenere gli equilibri patrimoniali tra le grandi famiglie di
rilievo politico e sociale a Roma. L'idea di donazione di questo principio era diversa da quella normale: si
consider donazione ogni atto che comportasse impoverimento di un coniuge (depauperatio) e conseguente
arricchimento dell'altro (locupletatio) dal divieto furono per esclusi i doni di modico valore, specie se in
occasione di particolari ricorrenze, e i beni di consumo e utilizzo quotidiano. Furono inoltre consentite la
donatio mortis causa e divortii causa (compiuta in vista del divorzio), perch esse avevano effetti definitivi
una volta sciolto il matrimonio. Inoltre il coniuge donante poteva disporre per testamento, in favore dell'altro
coniuge, di quanto gli aveva donato in vita da questa prassi prese spunto un senatoconsulto detto oratio
Antonini: esso conferm le donazioni tra coniugi non revocate in vita dal donante, per le quali quindi lo
stesso donante avesse mostrato in vita di non mutare voluntatem.
Il divieto delle donazioni tra coniugi non venne mai meno nel diritto romano.
La donatio mortis causa
Essa la prassi per cui taluno, ritenendosi in imminente pericolo di vita (per ragioni di salute) o accingendosi
ad affrontare gravi rischi, donava una cosa propria al donatario, trasferendone la propriet la causa
donandi si combinava cos con la causa mortis. Se il donante fosse guarito o sopravvissuto, egli avrebbe
potuto pretendere con la condictio il ritrasferimento di quanto donato (perch era venuta meno la causa per
la quale si era proceduto all'atto di alienazione) l'idea del donante era quindi quella di preferire se stesso
al donatario, ma di preferire il donatario ai propri eredi. Lo stesso regime giuridico si adott anche per
l'ipotesi di donazione reale, qualificata mortis causa ed effettuata a prescindere da pericoli imminenti, nella
previsione soltanto che il donante morisse prima del donatario; premorto invece il donatario, il donante
avrebbe avuto contro gli eredi la condictio per la ripetizione del bene donato.
La donatio mortis causa poteva essere realizzata anche con l'aggiunta di una condizione sospensiva all'atto
traslativo della propriet, cosicch essa passasse al donatario al momento della morte del donante. Venuta
meno la condizione il donante, ancora proprietario, poteva riacquistare il possesso con la rei vindicatio.
Questo riguard solo donazioni di res nec mancipi, per cui bastava la traditio (perch per donare res mancipi
servivano mancipatio e in iure cessio, che non tolleravano condizioni sospensive in quanto actus legitimi).
Il risultato pratico che la donatio mortis causa faceva raggiungere era come quello dei legati, per questo
Giustiniano ne proclamer la parificazione rimasero per alcune differenze ineliminabili, come il fatto che
nella donatio mortis causa partecipavano sia il disponente sia il beneficiato.
accettazione tempestiva non fosse imputabile al chiamato all'eredit. Con Giustiniano addirittura fu data agli
eredi del chiamato la possibilit di acquistare l'eredit in sua vece (transmissio Iustiniana).
Se, almeno fino a tutta l'et classica, la delazione era intrasmissibile mortis causa, a maggior ragione lo era
inter vivos una specie di eccezione era la in iure cessio hereditatis = in iure cessio con cui l'erede
volontario ab intestato, prima di accettare, cedeva ad altri l'eredit che gli era stata deferita; in tal modo il
cessionario acquistava automaticamente la qualit di erede e l'eredit. Se questa in iure cessio era invece
compiuta dopo l'accettazione, trasmetteva solo i corpora hereditaria (mentre i crediti si estinguevano e i
debiti restavano del cedente); se era compiuta dall'erede testamentario volontario non aveva effetto. La in
iure cessio hereditatis divenne desueta in et postclassica.
Ereditando ed eredi: capacit
Innanzitutto, ereditando ed eredi dovevano necessariamente avere capacit giuridica per trasmettere o
acquistare diritti e doveri: dovevano essere quindi persone libere, cittadine romane e sui iuris. Alla
successione ereditaria potevano anche essere chiamati nascituri (postumi) purch gi concepiti al momento
della morte dell'ereditando: essi diventavano eredi con il fatto della nascita. I postumi dovevano essere
postumi sui, ossia dapprima solo figli legittimi concepiti ma non ancora nati; in seguito con l'espressione
postumi sui si indicarono anche i nipoti concepiti e non ancora nati a cui fosse premorto il padre, che quindi
alla nascita sarebbero caduti sotto la potestas del testatore se fosse stato ancora vivo; ancora dopo la lex
Iunia Vellaea si rifer anche ai discendenti in potestate nati quando il testatore era ancora vivo ma aveva gi
fatto testamento, e ai nipoti nati prima della perfezione del testamento ai quali fosse morto il padre.
Nella successione ab intestato la capacit giuridica in capo allereditando doveva sussistere al tempo della
morte, mentre quella in capo agli eredi doveva sussistere al tempo della delazione (per gli eredi volontari
doveva sussistere ininterrottamente anche fino al tempo dellaccettazione).
Nella successione testamentaria invece si parla di:
testamenti factio attiva, ad indicare la capacit di fare testamento. Essa richiedeva da un lato
capacit giuridica, che doveva sussistere ininterrottamente con la consapevolezza del testatore dal
tempo della perfezione del testamento fino al momento della morte. Dall'altro lato richiedeva anche
capacit di agire, che era necessaria solo al tempo della perfezione del testamento
testamenti factio passiva, ad indicare la capacit di acquistare come eredi in forza di testamento.
Essa presupponeva capacit giuridica, che doveva sussistere sia al tempo della perfezione del
testamento sia al tempo della delazione testamentaria; per gli eredi volontari, doveva sussistere
anche al tempo dell'accettazione.
Queste regole non riguardavano n i filii familias soggetti alla potestas del testatore n i servi manomessi nel
testamento: essi infatti potevano essere validamente istituiti eredi anche se non avevano capacit giuridica
al momento della perfezione del testamento (avrebbero poi acquistato capacit giuridica alla morte
dell'ereditando). Inoltre nulla vietava listituzione ad erede di filii e schiavi altrui, poich con laccettazione
(dietro iussum dell'avente potest) questi non acquistavano a se stessi ma allavente potest: per decidere
se la loro istituzione come eredi era valida si faceva riferimento alla testamenti factio dell'avente potest.
Nel caso di incapacit giuridica dell'ereditando al tempo della morte, non c'erano posizioni giuridiche da
trasmettere e quindi non aveva luogo alcuna successione; se si trattava di successione testamentaria e se il
de cuius non aveva capacit giuridica o d'agire al tempo della perfezione del testamento, esso era nullo e si
apriva la successione ab intestato. Coloro che erano privi di capacit giuridica non venivano chiamati
all'eredit con delazione (n testamentaria n ad intestato); se per un incapace veniva istituito erede, al suo
posto era chiamato leventuale substitutus se questi non c'era, i casi erano: o si trattava di un erede per
quota, e dunque la sua quota si accresceva ai coeredi testamentari, oppure se era un erede per l'intero (o se
tutti gli eredi erano incapaci), si apriva la successione ab intestato.
La capacitas
Il concetto di capacitas fu introdotto da Ottaviano Augusto, che propose due leggi per la sua politica di
incremento demografico: la lex Iulia de maritandis ordinibus (18 a.C.) e la lex Papia Poppaea (9 d.C.). Gi i
classici per unirono le due leggi in un unico provvedimento, la lex Iulia et Papia Poppaea. Essa era riferita
ai caelibes (persone non sposate ma in et matrimoniale) e agli orbi (persone sposate ma senza figli), ai
quali si neg la capacit di acquistare per testamento a meno che non fossero parenti in linea retta del
testatore incapacit totale per i celibi, per la met di quanto disposto in loro favore per gli orbi. La
capacitas era richiesta soltanto alla morte del testatore e, nel caso dei caelibes, poteva essere conseguita
nei cento giorni successivi. Ci che non veniva acquistato dai non capaces si accresceva in favore dei
coeredi discendenti o ascendenti del testatore; se mancavano, quanto non acquistato diventava caducum e
veniva devoluto in primo luogo ai coeredi con figli, poi ai legatari con figli, altrimenti all'erario (da et classica
sostituito col fisco). Per la persecuzione dei caduca da parte dell'erario/fisco c'era la caducorum vindicatio, e
il processo per essa era quello della cognitio extra ordinem. In seguito il regime dei caduca fu esteso a altri
casi di mancato acquisto ereditario, ma ne restarono sempre fuori le disposizioni testamentarie nulle ab
intestato e quelle in favore dei parenti in linea retta (secondo il ius antiquum, cio precedente alle leggi
augustee). Nel III secolo, fallito l'obiettivo di incremento demografico, Caracalla sfrutto le leggi augustee per
incrementare il patrimonio pubblico: abol i privilegi di coeredi e legatari con figli e stabil che il caducum
andasse al fisco. Le disposizioni delle leggi augustee furono poi abrogate da Giustiniano.
L'indegnit a succedere
Il comportamento di coloro che si ritennero indigni a subentrare al defunto iure hereditario era sanzionato
con l'indegnit a succedere. Gli indegni non furono ritenuti incapaci di acquistare iure hereditario, ma quello
che acquistavano veniva rivendicato extra ordine dall'erario del popolo Romano (o dal fisco pi tardi) gli
eredi restavano comunque tali anche dopo l'azione dell'erario/fisco, ma il pretore denegava le azioni a favore
o contro gli eredi indegni. Indegni a succedere erano per esempio l'uccisore dell'ereditando, l'erede che
sollevava controversia sullo status dell'ereditando, colui che impediva all'ereditando di testare, colui che
impugnava il testamento etc.
Eredi necessari e eredi volontari
1. heredes necessarii = persone che diventavano automaticamente e necessariamente eredi con la
morte dell'ereditando, senza che occorresse atto di accettazione e senza possibilit di rinunciare
all'eredit. Essi erano i sui (soggetti a patria potestas/manus dell'ereditando) gli schiavi liberati e
istituiti eredi nel testamento; poteva trattarsi sia di eredi ab intestato sia di eredi testamentari. Poich
la patria potestas e la manus erano prerogative maschili, solo i maschi potevano avere heredes sui.
Il particolare regime di acquisto dell'eredit per i sui era dovuto al fatto che essi, mentre il pater
familias era ancora vivo, dividevano con lui il patrimonio e ne fruivano (furono detti anche heredes
domestici, quodammodo domini dei suoi beni). L'acquisto della qualit di erede comportava
l'acquisto dell'attivo ereditario (crediti e beni) ma anche del passivo (debiti) poteva darsi che i
debiti superassero l'attivo, e quindi che l'eredit fosse damnosa. Avrebbe quindi potuto derivare ai
sui una situazione debitoria tale da dover subire la bonorum venditio, con conseguente proscriptio e
infamia. In et repubblicana su questo intervenne il pretore, concedendo il beneficium abstinendi ai
sui che non avessero fatto nessun atto di gestione dell'eredit (o nessun atto che dimostrasse la
volont di mantenerla). Grazie a tale beneficium l'erede suus, pur restando erede, non avrebbe
patito la proscriptio a suo nome: essa sarebbe stata a nome del defunto e ne avrebbe reso
ignominiosa la memoria. Spesso, per paura di ci, l'ereditando nel testamento manometteva e al
contempo istituiva erede uno schiavo, cosicch questi sarebbe diventato heres necessario ma non
suus: egli non avrebbe quindi goduto del beneficium abstinendi (anche se avrebbe ottenuto la
separatio bonorum, cos da limitare la bonorum venditio al patrimonio ereditario mantenendo quanto
aveva acquistato dopo la morte del padrone)
2. heredes voluntarii = coloro che venivano chiamati all'eredit sia ab intestato sia ex testamento, ma
senza essere eredi necessari. Essi furono anche detti heredes extranei, perch non appartenenti
alla familia proprio iure dicta dell'ereditando al tempo della sua morte (anche se potevano essere
parenti dell'ereditando, per esempio agnati di grado pi vicino). Gli eredi volontari acquistavano
l'eredit dopo averla accettata, non automaticamente.
L'accettazione (o adizione, aditio): essa poteva essere espressa mediante cretio oppure poteva
essere tacita, mediante pro herede gestio. La cretio era uno degli actus legitimi, aveva carattere
formale e prevedeva la pronuncia di certa verba; ebbe origine nella successione testamentaria, dove
il testatore usava apporre all'istituzione d'erede la condizione che l'istituito accettasse entro un certo
termine e accettasse con cretio in tal caso l'accettazione tardiva o in forma diversa dalla cretio era
senza effetti (il ricorso alla cretio era necessario solo se imposto dal testatore, se no si poteva
scegliere). La pro herede gestio invece era un'accettazione tacita, in quanto avveniva tramite atti di
gestione del patrimonio del defunto o comunque atti che rendevano evidente la volont di accettare
(detti atti concludenti); la pro herede gestio si verificava anche se il chiamato all'eredit accettava
informalmente. La cretio cadde in desuetudine in et postclassica. L'accettazione dell'eredit non
tollerava n termini n condizioni, doveva essere effettuata personalmente e non poteva essere
compiuta prima della delazione n prima della morte dell'ereditando; l'erede volontario, salvo nel
caso in cui il testatore stabiliva un termine (vedi prima), poteva accettare quando voleva il pretore
intervenne col ius deliberandi: al chiamato che non aveva ancora deciso se accettare o meno
l'eredit, il pretore dava un termine di 100 giorni per decidere, alla scadenza del quale era
considerato rinunciante.
La rinunzia (o ripudio): il chiamato all'eredit era considerato rinunziante se avesse fatto trascorrere
il tempus ad deliberandum, ma avrebbe anche potuto espressamente rinunciare all'eredit. Per il
ripudio non servivano formalit, ma esso andava fatto senza condizioni n termini.
L'eredit giacente e l'eredit deserta: in assenza di eredi necessari, finch gli eredi volontari non
avessero accettato l'eredit, essa era considerata eredit giacente (hereditas iacet) con
conseguente possibile usucapio pro herede da parte di terzi. Durante la giacenza il pretore avrebbe
potuto nominare un curatore. Se poi gli eredi volontari avessero ripudiato tale eredit, essa andava
deserta i creditori avrebbero potuto procedere cos sul patrimonio del defunto a bonorum venditio,
con conseguente infamia per la memoria del defunto.
L'acquisto ereditario: semel heres semper heres
Quando eredi necessari o volontari diventavano effettivamente heredes, acquistavano l'hereditas. La qualit
di heres si radicava cos nella persona dell'erede per via del principio una volta erede, erede per sempre,
quindi non poteva essere ceduta.
Fusione dei patrimoni di ereditando ed eredi; rimedi
Con la successione ereditaria il patrimonio del de cuius di fondeva con quello personale degli eredi, ognuno
dei quali rispondeva a proprio nome anche dei debiti dell'ereditando. In caso di hereditas damnosa, gli eredi
sarebbero stati responsabili oltre il limite dell'attivo ereditario. Se l'eredit fosse andata deserta, i creditori
ereditari avrebbero agito sul patrimonio del defunto con la bonorum venditio: essa per comportava infami
per il defunto, disonore per gli eredi e non era del tutto conveniente per i creditori, quindi si escogitarono
degli espedienti:
pactum ut minus solvatur: prima di accettare, i chiamati alleredit convenivano con i creditori
ereditari che, una volta divenuti eredi, avrebbero pagato solo una percentuale dei debiti del defunto.
Se fossero stati convenuti per un importo maggiore avrebbero opposto lexceptio pacti conventi
aditio mandato creditorum: i chiamati accettavano leredit ma dietro mandato dei creditori ereditari.
Se fossero stati costretti a pagare oltre lattivo ereditario, avrebbero potuto rivalersi contro i creditori
mandanti con lactio mandati contraria
beneficium inventarii (introdotto da Giustiniano): a vantaggio del chiamato alleredit che, non
avendo ancora accettato, entro un mese dalla notizia della delazione avesse iniziato linventario
delleredit (descrizione esatta dei cespiti ereditari) l'erede in tal modo era considerato accettante
ma era responsabile non oltre l'attivo dell'eredit.
Era per possibile che non fosse l'hereditas ad essere damnosa, ma che fosse l'erede volontario ad essere
gravato da debiti in misura tale da non riuscire a soddisfarli col proprio patrimonio personale. In tal caso i
creditori ereditari sarebbero stati interessati a salvare il patrimonio ereditario, per non avere pregiudizi dalla
fusione dei due patrimoni il pretore quindi impose all'erede (diventato heres suspectus) di prestare ai
creditori delle garanzie, in particolare una satisdatio; se egli si rifiutava si procedeva a bonorum venditio, e il
pretore emetteva un decreto di separatio bonorum in modo che la bonorum venditio per i debiti dellerede
riguardasse solo i suoi beni personali, non quelli ereditari: cos i creditori del de cuius avrebbero potuto
soddisfarsi interamente sui beni ereditari.
L'hereditas
L'hereditas fu qualificata universitas, ossia complesso unitariamente considerato di corpora (beni in
propriet) e iura (crediti e debiti), e come tale possibile oggetto di bonorum venditio e di specifica azione
giudiziaria (hereditas petitio). L'hereditas poteva subire incrementi e perdite rimanendo uguale a se stessa, e
prima che gli eredi volontari la accettassero aveva propria autonoma considerazione (fenomeni dell'eredit
giacente, della in iure cessio hereditatis, dell'usucapione pro herede). I Romani concepirono l'hereditas
anche come ius spettante agli heredes, un ius successionis classificato tra le res incorporales. L'hereditas
comprendeva le situazioni soggettive trasmissibili che facevano capo al defunto, quindi propriet, crediti e
debiti; furono poi riconosciuti come diritti reali e inclusi nell'hereditas anche superficie, ius in agro vectigali,
enfiteusi e operae servorum. Non passavano invece agli eredi usufrutto e diritti affini, potest familiari, tutela
e curatela (in quanto si estinguevano con la morte del titolare). Sebbene il possesso si acquistava
normalmente grazie alla realizzazione della disponibilit materiale di una cosa e all'animus possidendi, pare
che gli eredi necessari fossero trattati automaticamente quali possessores delle cose gi in possesso del de
cuius (mentre invece gli eredi volontari dovevano per fare un atto di presa di possesso). Gli eredi, una volta
divenuti possessores, erano considerati continuatori del possesso dell'ereditando e nella sua stessa
situazione possessoria (successio possessionis).
Infine, all'ereditando potevano anche far capo situazioni che non si estinguevano con la sua morte, ma che
si trasmettevano ai pi stretti familiari sia che fossero eredi sia che non lo fossero; si tratta dei sacra
familiaria (riti inerenti al culto delle divinit domestiche), del ius sepulcri (diritto di seppellire in un sepolcro
chiunque il fondatore ritenesse) e del patronato. Ad un certo punto per si stabil che ai sacra familiaria
dovessero provvedere gli eredi, per la preoccupazione che tali riti venissero abbandonati in mancanza di
discendenti; inoltre si ammise che il ius sepolcri potesse spettare anche agli eredi, se ad esso veniva
impressa la natura di sepolcro ereditario (anzich familiare).
La hereditatis petitio
Essa era l'azione specifica a tutela dell'hereditas, quindi spettante agli eredes; all'inizio era detta vindicatio
hereditatis, poi in et repubblicana il nome fu mutato. Nell'ambito delle legis actiones si procedeva tramite
legis actio sacramenti in rem come nella rei vindicatio, con la differenza che la solenne dichiarazione di
appartenenza delle parti era riferita all'intera eredit (non a un solo bene); al posto dell'eredit era
simbolicamente presente in iure una cosa ereditaria, e a giudicare erano i centumviri. Dalla prima et
preclassica, accanto alla legis actio, fu usato anche l'agere in rem per sponsionem. Con l'avvento del
processo formulare si pot agire con la formula petitoria, molto simile a quella per la rei vindicatio ma con la
differenza che nell'intentio si indicava tutta l'hereditas era un'actio in rem simile a quella per la rei
vindicatio. Quando alla legittimazione attiva, l'hereditas petitio spettava all'erede civile; quanto all'onere della
prova, esso spettava a entrambi i contendenti nell'ambito delle legis actiones, mentre nell'agere in rem per
sponsionem e nel processo formulare era solo l'attore a dover provare di essere erede. Il regime delle spese
per cui il convenuto poteva pretendere il rimborso, e la sentenza, erano analoghi a quelli in materia di
rivendica. Regime speciale ebbero invece legittimazione passiva e responsabilit del convenuto:
legittimazione passiva: l'azione competeva contro il possessore di cose ereditarie, purch
possessore pro herede (che assumeva di essere erede) o pro possessore (chi non adduceva alcun
titolo o causa al proprio possesso, per cui alla domanda a che titolo possiedi? rispondeva
posseggo perch posseggo). Lhereditas petitio in et classica fu ammessa anche contro colui che
avesse accettato di hereditatem difendere per distogliere lattore dal vero legittimato (contro qui liti
se optulit), e anche contro il possessor pro herede o il possessor pro possessore che avesse
cessato dolosamente di possedere prima della litis contestatio
responsabilit del convenuto: il convenuto, sia in buona che in mala fede, oltre a restituire i frutti
maturati dopo la litis contestatio e a rispondere del suo comportamento doloso e colposo
successivo allistituzione del giudizio, doveva anche restituire i frutti precedenti alla lite (essi
accrescevano l'eredit), le res acquistate con denaro ereditario e i pretia delle cose ereditarie
vendute il convenuto doveva restituire ogni cosa di cui si fosse arricchito in relazione al possesso
e alla disposizione di cose ereditarie.
La coeredit
In et arcaica tra coeredi sui si costituiva il consortium ercto non cito, mentre tra coeredi estranei si costituiva
la coeredit; una volta scomparso il consortium, tra eredi si costituiva la comunione di eredit (o coeredit). Il
regime giuridico era simile a quello della compropriet, anche se l'oggetto era pi complesso (trattandosi ora
di eredit come universitas, quindi di complesso unitario non necessariamente definito nelle sue
componenti); ogni erede comunque era titolare di una quota ideale, e aveva diritti e doveri analoghi a quelli
del comproprietario sul bene comune. Anche la coeredit fu considerata possibile fonte di obbligazioni.
Alcune peculiarit della coeredit emergono nei seguenti due aspetti:
ius adcrescendi (diritto di accrescimento) = diritto per cui uno o pi contitolari, ognuno in
proporzione alla sua quota, in determinate circostanze acquistavano automaticamente la quota di
altro contitolare. Laccrescimento presupponeva che uno dei chiamati alleredit, per incapacit,
rinunzia o altro, non diventasse coerede: l'accrescimento si verificava in favore degli altri chiamati
alla stessa eredit. Era impensabile invece che avvenisse accrescimento perch uno dei coeredi
aveva cessato di esserlo, in quanto la qualit di heres era definitiva. L'accrescimento si verificava
automaticamente ipso iure e necessariamente, quindi i coeredi non potevano non acquisire la parte
che si accresceva (con vantaggi e oneri). Nel caso di heredes necessarii, poich essi acquistavano
necessariamente l'eredit gi dal momento della delazione, non era possibile che avesse luogo
accrescimento per mancato acquisto di una quota da parte di un erede necessario. Nella
successione testamentaria, si derogava al ius adcrescendi: 1. quando trovava applicazione la
legislazione caducaria, 2. quando il testatore provvedeva alla nomina di un substitutus, 3. quando il
testatore istituiva congiuntamente pi eredi per la stessa quota
divisione dell'eredit dalla divisione innanzitutto erano esclusi crediti e debiti ereditari, perch
essi erano imputati direttamente ai coeredi in proporzione della quota spettante ad ognuno. Le
obbligazioni trasmissibili attive e passive che facevano capo al defunto seguivano il regime delle
obbligazioni parziarie (se divisibili) oppure il regime delle obbligazioni solidali elettive (se indivisibili).
L'azione per la divisione dell'eredit era l'actio familiae erciscundae, fondata nelle XII Tavole, per la
quale si procedeva dapprima con legis actio per iudicis arbitrive postulationem, poi per formulas. La
formula di questa actio era con adiudicatio: il giudice quindi procedeva alla distribuzione dei cespiti
ereditari divisi in tanti lotti quante erano le quote ereditarie, e poi mediante adiudicatio li aggiudicava
ai partecipanti alla divisione con effetti costitutivi di propriet. Ad eventuali conguagli e al
regolamento dei conti tra eredi il giudice provvedeva mediante condemnationes la comunione
ereditaria era per questo classificata tra le fonti di obbligazioni. Il giudice dellazione doveva per
tener conto di circostanze molteplici, come la volont dell'ereditando espressa nella divisio parentis
inter liberos, dei modus imposti a taluni eredi, delle praeceptiones spettanti ai singoli coeredi
sullasse ereditario prima di procedere alla divisione etc. Nei rapporti tra coeredi poteva anche
emergere una questione di collazione (vedi dopo).
praetorio gli altri) si sottoline per che il bonorum possessor succedeva loco heredis, cio in luogo
dell'erede = formale distinzione e sostanziale equiparazione.
Per questi motivi alla bonorum possessio si applic in sostanza il regime dell'hereditas riguardo alla
capacit, alla capacitas ex lege Iulia et Papia Poppaea, indegnit, comunione, accrescimento e divisione; vi
furono invece notevoli differenze in relazione a delazione e acquisto:
delazione: mentre per il ius civile c'era la delazione testamentaria e quella legittima, per il diritto
pretorio c'erano una bonorum possessio secundum tabulas (secondo il testamento), una bonorum
possessio sine tabulis (senza il testamento) e una bonorum possessio contra tabulas (contro il
testamento). Inoltre, in virt di una clausola edittale detta edictum successorium, la delazione aveva
luogo secondo criteri diversi da quelli di ius civile i successibili erano chiamati alla bonorum
possessio per categorie (come nel ius civile), ma la delazione aveva una durata limitata nel tempo:
agli appartenenti di ogni categoria era dato un termine entro cui chiedere di essere ammessi alla
bonorum possessio, dunque se lasciavano decorrere questo termine l'istanza era loro preclusa e
venivano chiamati gli appartenenti alla categoria seguente. In presenza di un testamento, la prima
categoria considerata era quella degli eredi testamentari; se lasciavano decorrere il termine, la
seconda categoria considerata era quella degli eredi ab intestato secondo l'ordine edittale. Il tempo
per l'istanza di bonorum possessio era solitamente di un anno per i figli/genitori dell'ereditando, di
cento giorni per gli altri
acquisto: mentre per il ius civile c'erano eredi volontari e necessari, i chiamati alla successione
pretoria erano tutti volontari si poteva diventare bonorum possessor solo a seguito di agnitio
bonorum possessionis, mai automaticamente. Il procedimento iniziava con un'istanza degli
interessati (petitio) e si concludeva con la concessione del pretore (datio). Mentre l'accettazione
dell'hereditas andava fatta personalmente, la petitio della bonorum possessio poteva essere
compiuta tramite rappresentanti (mandatario o negotiorum gestor).
In et postclassica venne meno la figura del pretore e fu abolito il processo formulare, dunque perdette
significato la contrapposizione ius civile ius praetorio; si continu a distinguere tra heredes e bonorum
possessores, ma di fatto le due figure furono quasi assimilate. Con Giustiniano si arriv all'equiparazione di
trattamento giuridico tra heredes e bonorum possessores.
La collazione (collatio)
Essa un istituto distinto nelle due seguenti specie:
collatio bonorum fu introdotta dal pretore solo per la bonorum possessio ab intestato (sine
tabulis e contra tabulas), alla quale erano chiamati innanzitutto i liberi = sia i sui sia i figli emancipati.
Mentre gli acquisti compiuti dai sui in vita del pater familias andavano all'avente potest, quelli
compiuti dai figli emancipati erano loro propri morto il padre, gli acquisti dei sui rientravano nella
massa ereditaria e venivano divisi tra sui ed emancipati, mentre quelli degli emancipati no. Questo
non era equo, dunque il pretore intervenne imponendo ai figli emancipati la collatio bonorum, in
modo che del loro patrimonio si avvantaggiassero in uguale misura anche i sui che avessero
conseguito la bonorum possessio. Per la collatio bonorum, l'emancipato era tenuto a prestare tante
cautiones (o stipulationes praetorie) de conferendis bonis quanti erano i sui che ne avevano diritto:
ad ogni suus l'emancipato prometteva la quota dovuta dei suoi beni personali, detratto il passivo.
L'emancipato avrebbe anche potuto evitare di obbligarsi con cautio e trasferire immediatamente i
beni che era tenuto a conferire (collatio re); comunque i beni oggetto di collazione non rientravano
nella massa ereditaria e quindi non venivano considerati nel giudizio divisorio. L'emancipato inoltre
poteva procedere alla collatio bonorum prima di diventare bonorum possessor; ma se non avesse
fatto tale collazione neanche dopo, non avrebbe potuto utilizzare i rimedi giudiziari a lui spettanti
quale bonorum possessor
collatio dotis fu introdotta dal pretore riguardo alla figlia cui il padre avesse costituito dote, e alla
quale sarebbero stati restituiti i beni dotali una volta sciolto il matrimonio: di questi beni dunque, pur
provenienti dal patrimonio paterno, si sarebbe avvantaggiata solo la figlia e non anche gli altri eredi.
La figlia ancora in potestate al momento della morte del pater familias sarebbe diventata sui iuris,
dunque avrebbe partecipato alla successione tra i sui: essendo questo un esito non equo, in quanto
la figlia era avvantaggiata per i beni dotali, il pretore intervenne diede la collatio dotis a carico
della figlia che chiedeva la bonorum possessio sine tabulis o contra tabulas, cosi da assicurare
parit di trattamento tra fratelli e sorelle. La collatio dotis si attuava tramite cautiones la figlia
prometteva con stipulatio di trasferire agli altri discendenti dell'ereditando una quota dei beni dotali,
una volta che essi le fossero stati restituiti.
Durante il Basso Impero il regime classico della collatio sub vari mutamenti. Si estese la capacit di diritto
dei filii familias, tanto che gli emancipati perdettero la loro posizione di privilegio che avevano prima sui filii
l'onere della collazione arriv a non presupporre pi la bonorum possessio: tale onere fu messo a carico dei
discendenti, emancipati o non, e i beni da conferire rimasero quelli costituiti in dote o donati propter nuptias.
Collatio bonorum e collatio dotis perdettero quindi le connotazioni classiche e confluirono in un unico istituto,
la collatio descendentium. Del regime classico furono mantenuti il modo di attuazione e il riferimento della
collazione alla sola successione legittima; sar poi Giustiniano ad estendere l'onere della collazione alla
successione testamentaria.
LA SUCCESSIONE UNIVERSALE AB INTESTATO
Vediamo ora la successione universale mortis causa con riguardo alla successione ab intestato. Sappiamo
che la successione ex testamento presupponeva un testamento valido ed efficace, quindi se questo
mancava si apriva la successione ab intestato. Essa quindi aveva luogo anche in presenza di un testamento
valido ma inefficace per la mancata accettazione degli eredi volontari che vi erano stati istituiti; in questo
caso gli eredi ab intestato sarebbero stati chiamati all'eredit dal momento in cui veniva raggiunta certezza
che non sarebbero succeduti gli eredi ex testamento. Anche nella bonorum possessio era lo stesso: trascorsi
inutilmente i termini per l'agnitio della bonorum possessio secundum tabulas, alla bonorum possessio sine
tabulis erano chiamati i successibili pretori ab intestato. Inoltre nella bonorum possessio sine tabulis
potevano anche esserci delazioni successive, poich il diritto onorario ammetteva successio graduum e
successio ordinum.
legitimi = rientravano in questa classe i successibili ab intestato iure civili (sui, agnati e gentiles;
anche se i sui erano gi chiamati tra i liberi). Le regole in questo caso erano le stesse del ius civile
cognati = parenti di sangue in linea maschile o femminile, non oltre il sesto grado. I primi a venire
alla successione erano i parenti di grado pi vicino all'ereditando, ma se costoro non avanzavano
entro i termini l'istanza di bonorum possessio succedevano i parenti di grado via via pi lontano
nella classe dei cognati era ammessa la successio graduum. Tra pi cognati di pari gradi
l'attribuzione delle quote aveva luogo per capita
vir et uxor = marito e moglie reciprocamente, indipendentemente dalla manus
Dunque ogni soggetto presente nella successione ab intestato era presente anche nella successione
pretoria, mentre non era vero il contrario (perch il diritto pretorio teneva conto in pi anche della cognatio e
del vincolo coniugale in s).
Secondo l'edictum successorium, gli appartenenti ad una classe erano chiamati alla successione in due casi:
sia quando non c'erano successibili nella classe precedente, sia quando essi c'erano ma avevano fatto
trascorrere inutilmente i termini per l'agnitio della bonorum possessio. Quindi nell'ambito della bonorum
possessio sine tabulis erano ammessi sia successio graduum (nella classe dei cognati) sia successio
ordinum. Per si riconobbe che i chiamati che avessero fatto scorrere inutilmente il tempus, potessero
chiedere ancora la bonorum possessio sine tabulis se rientravano anche nella classe successiva: questo era
il caso dei sui (appartenenti sia alla classe dei liberi sia a quella dei legitimi e, se nati da matrimonio
legittimo, anche alla classe dei cognati) o del fratello agnatus (sia tra i legitimi che tra i cognati).
Successione del patrono e del parens manumissor: si conferm il ius civile ammettendoli alla bonorum
possessio sine tabulis come eredi civili, nella classe dei legitimi.
Non miglior molto nel diritto pretorio la reciproca posizione successoria di madre e figli, che erano chiamati
a succedere tra loro nella classe dei legitimi solo se stretti da vincoli di agnatio, quindi solo se la madre
aveva sposato il padre cum manu; in caso invece di matrimonio sine manu, madre e figli sarebbero stati
chiamati alla successione reciproca solo nella terza classe (cognati). A migliorare le cose provvidero due
senatoconsulti, il primo emanato sotto Adriano e il secondo sotto Marco Aurelio:
senatoconsulto Tertulliano stabil che la madre succedesse ab intestato al proprio figlio, solo
per se dotata di ius liberorum (donne ingenue con tre figli, liberte con 4 figli); alla madre per erano
preferiti i figli del defunto e i loro discendenti, oltre al padre e al fratello legati da vincoli di agnatio
senatoconsulto Orfiziano stabil che i figli, anche se illegittimi, succedessero alla propria madre
a preferenza di chiunque
L'eredit vacante
Quando nessun erede o bonorum possessor acquistava leredit, i creditori del defunto avevano via libera
per procedere ad esecuzione patrimoniale sui beni ereditari. Per il caso di mancanza o inerzia dei creditori
ereditari, la lex Iulia de maritandis ordinibus stabil che l'eredit vacante andasse all'erario (poi al fisco).
Da et postclassica invece, nei beni vacanti non subentrava pi il fisco ma piuttosto subentravano comunit
e organismi dei quali il defunto faceva parte (unit militare, curia, corporazioni, chiese, monasteri etc.).
Invece nel caso in cui l'eredit andava deserta e veniva destinata alla bonorum venditio, trovava
applicazione il novus casus successionis = i servi manomessi nel testamento, su loro istanza, avrebbero
ottenuto l'addictio dei beni del testatore (addictio bonorum libertatium conservandarum causa) le
manumissioni testamentarie avrebbero cos avuto efficacia.
LA SUCCESSIONE UNIVERSALE CON TESTAMENTO
Il testamento
La chiamata alleredit o alla bonorum possessio poteva avere luogo in forza di testamento (la delazione
testamentaria prevaleva su quella ab intestato). Il testamento era un atto unilaterale, mortis causa,
personale, revocabile sino allultimo istante di vita, con il quale un soggetto (testatore) disponeva delle
proprie sostanze per il tempo dopo la propria morte. Il testamento poteva contenere pi negozi (istituzione
d'erede, legati, manumissioni etc.), ma listituzione di erede non poteva mai mancare, pena la nullit dellatto.
La successione pi antica era quella ab intestato, ma comunque il testamento fu giuridicamente riconosciuto
a Roma sin da et remota; l'uso di testare inoltre ebbe presto cos grande diffusione che da un lato fu
considerato conforto per la morte, dall'altro fu ritenuta una sciagura morire senza aver fatto testamento.
Il termine testamentum viene da testes, testimoni infatti tra le formalit richieste v'era la presenza di
testimoni.
Il testamento civile
La prima forma riconosciuta di testamento fu quella del testamento calatis comitiis = atto formale che si
compiva oralmente dinanzi ai comitia curiata (che si riunivano due volte l'anno e facevano da testimoni), nel
quale il testatore dichiarava solennemente le proprie volont. Esso scomparve tra l'et arcaica e quella
preclassica. In seguito comparve anche il testamentum in procinctu = fu introdotto in favore dei militari per
permettere loro di testare, con la pronuncia di parole solenni, davanti all'esercito romano in armi pronto alla
battaglia (che aveva funzione di testimonianza); questo tipo di testamento scomparve in et repubblicana.
Furono poi introdotti prima la mancipatio familiae, e poi il testamentum per aes et libram, che
consentivano a coloro che fossero in imminente pericolo di vita di fare testamento pi comodamente: infatti i
tempi e le circostanze dei due tipi di testamento originari erano abbastanza scomodi. Inoltre, con questi due
nuovi metodi poterono testare anche le donne (che non potevano partecipare ai comizi o all'esercito).
La mancipatio familiae era un negozio fiduciario: il testatore trasferiva il proprio patrimonio (detto familia) ad
un amicus, ossia una persona di fiducia detta familiae emptor nonostante la gratuit dell'atto. Al contempo il
mancipio dans affidava al familiae emptor l'incarico di trasferire, subito dopo la morte dello stesso mancipio
dans, i singoli cespiti alle persone da lui indicate. Ad un certo punto la mancipatio familiae sub una grande
trasformazione e divenne testamentum per aes et libram in esso il testatore faceva mancipatio della
familia al familiae emptor, il quale nell'affermazione di appartenenza a s recitava una formula complessa in
cui traspariva la natura fittizia di tale affermazione; infine il testatore manifestava con certa verba le sue
ultime volont, in quella che fu detta nuncupatio per esigenze di segretezza si permise presto che con la
nuncupatio il testatore limitasse ad enunciare la propria volont di testare; avrebbe poi fatto rinvio a ci che
era scritto nelle tavolette cerate che recava con s per quanto riguardava le disposizioni testamentarie e i
loro destinatari. Dunque il testamento per aes et libram poteva essere compiuto o con nuncupatio totalmente
orale, oppure con nuncupatio di rinvio (cos che il contenuto dell'atto fosse tutto nel documento scritto);
l'importante era che venisse fatta la mancipatio. Al testamento per aes et libram si richiedeva la presenza di
5 testimoni, un libripens e del familiae emptor; inoltre, nel caso di nuncupatio di rinvio, le tabulae venivano
chiuse e sigillate dai testimoni, dal libripens e dal familiae emptor. Mentre nella mancipatio familiae il familiae
emptor acquistava immediatamente il patrimonio del mancipio dans (con l'obbligo poi di trasferirlo alle
persone indicate), nel testamentum per aes et libram l'intervento del familiae emptor era solo per formalit:
egli infatti non acquistava nulla neanche temporaneamente, e l'atto non produceva alcun effetto fino alla
morte del testatore: avvenuta questo, il testamento librale dava luogo direttamente alla delazione ereditaria,
e i designati diventavano eredi iure civili.
Il testamento pretorio
L'editto pretorio prevedeva anche una bonorum possessio secundum tabulas (le tabulae erano le tavolette
cerate dove il testatore scriveva le volont testamentarie), che prevaleva sulla successione ab intestato. Per
tale bonorum possessio il pretore esigeva un documento scritto, chiuso e sigillato mediante il contrassegno
(signum) di 7 testimoni (ad un certo punto fu richiesta anche la loro firma, adscriptio) non erano quindi
richiesti riti o formalit orali.
Si deve notare per che il testamento librale visto prima poteva anche essere valido iure pretorio, in quanto
di fatto anche in esso c'erano 7 testimoni (5+libripens+familiae emptor) e si imponevano i loro sigilli.
Il testamento in et postclassica: Costantino soppresse, con riferimento al testamento librale, la necessit di
mancipatio e nuncupatio; richiese solo la presenza di testimoni il testamento civile fu cos assimilato a
quello pretorio, tranne per il numero di testimoni (5 per il civile, 7 per il pretorio). Sar poi Teodosio II a
stabilire un regime unitario e definitivo, che fu poi mantenuto da Giustiniano = il testamento doveva
consistere in un documento scritto che il testatore presentava a 7 testimoni, dinanzi ai quali aggiungeva poi
la sua firma. I testimoni firmavano e sigillavano infine il testamento.
Durante l'et postclassica si continu a riconoscere validit al testamento privato orale dinanzi a testimoni;
ad esso si affiancarono anche forme pubbliche, come il testamentum apud acta (davanti a pubblico ufficiale),
il testamentum principi oblatum (volont affidate all'imperatore per iscritto). Importante fu poi il testamentum
militis, una forma testamentaria risalente a una temporanea concessione di Giulio Cesare ai militari (che
divenne definitiva con Traiano) ai militari si consent di testare liberamente, senza formalit, in quanto
erano una classe non colta e non sempre formata da Romani,ma che veniva privilegiata per interesse
politico. Il privilegio durava fino alla fine del servizio militare, e il testamento perdeva efficacia dopo un anno
dalla cessazione del servizio. Gli eredi istituiti in un testamento militare acquistavano l'hereditas e potevano
anche chiedere la bonorum possessio secundum tabulas; inoltre non valeva il principio di incompatibilit tra
delazione ex testamento e delazione ab intestato, i militari potevano fare un testamento per i beni militari e
un testamento per gli altri, e infine l'istituzione di erede poteva essere ad tempus e con condizione risolutiva
(deroga al principio per cui un erede resta sempre tale).
Invalidit, inefficacia e revoca del testamento
Il testamento era innanzitutto inefficace quando nessuno degli eredi in esso istituiti acquistava ex testamento
eredit o bonorum possessio. Per quanto riguarda l'invalidit del testamento, le cause potevano essere
varie: l'invalidit era immediata per un vizio a s dell'atto (inosservanza o difetto delle formalit prescritte,
incapacit del testatore), mentre era mediata nel caso di un vizio attinenti all'istituzione di erede (difetto di
forma nell'istituzione, incapacit degli eredi istituiti). Queste erano cause che rendevano invalido tutto il
testamento, non solo singole disposizioni. L'invalidit era generalmente totale, eccezionalmente solo
parziale. Un testamento inizialmente valido poteva essere colpito da invalidit anche dopo la perfezione per:
sopravvenuta incapacit o del testatore o degli eredi istituiti
sopravvenienza di un filius precisamente qui si intende la sopravvenienza di un suus, che
poteva essere un discendente naturale del testatore, un figlio adottivo, una donna su cui il testatore
avesse acquistato la manus o un postumo suus. Riguardo ai discendenti naturali si parl di invalidit
sopravvenuta del testamento agnatione postumi; in relazione invece a figli adottivi e moglie in manu
si parl di invalidit sopravvenuta quasi agnatione postumi. Con riferimento ai discendenti naturali
per il principio non era applicato se il discendente sopravvenuto fosse stato contemplato nel
testamento o per essere istituito erede o per essere diseredato
revoca il testamento era un atto di ultima volont, dunque la volont espressa in esso poteva
essere mutata fino all'ultimo istante di vita: esso era un atto revocabile liberamente dal testatore.
Iure civili il testamento si poteva revocare solo con un nuovo testamento; questo principio continu a
valere anche per il testamento librale esso restava valido anche se il testatore manifestava la
volont di revocarlo senza fare nuovo testamento, e poi anche se il testatore rompeva i sigilli e
cancellava le disposizioni, o se distruggeva le tavolette cerate. Esso infatti era concepito comunque
come atto orale perch si compiva in forza di mancipatio e nuncupatio.
Iure praetorio le cose erano diverse: fu mantenuto il principio per cui un nuovo testamento revocava
il precedente, ma il testamento fu considerato come atto in cui scrittura e sigilli erano elementi
essenziali. Se quindi il testatore distruggeva il documento o rompeva i sigilli, il testamento era
considerato revocato. Giustiniano and oltre e diede efficacia alla pronunzia orale del testatore di
revocare il testamento, resa davanti a un organo pubblico o a tre testimoni.
Per invalidit e revoca i Romani usavano una terminologia specifica: testamentum non iure factum
(testamento nullo per difetto di forma), inritum (testamento invalido per capitis deminutio del testatore, o
testamento inefficace per mancato acquisto degli eredi istituiti), ruptum (testamento revocato o invalidato
agnatione postumi), nullius momenti o inutiliter factum (testamento invalido per mancata osservanza della
regola per cui i sui dovevano essere o istituiti eredi o diseredati).
correttivo: quando gli eredi erano pi di uno, la certa res era s ritenuta inesistente per salvare l'istituzione
d'erede, ma in sede di divisione bisognava tenerne conto nel distribuire agli eredi l'asse ereditario.
Condizioni e termini: l'istituzione di erede poteva anche essere subordinata dal testatore all'avveramento di
una condizione sospensiva, mentre non poteva mai essere subordinata alla scadenza di termini o
all'avveramento di condizione risolutiva. Infatti il termine iniziale era escluso per motivi di opportunit, il
termine finale e la condizione risolutiva erano esclusi perch la qualit di erede non si poteva perdere.
Sempre per in virt del favor testamenti, se termini e condizione risolutiva erano apposti, essi si
consideravano come non aggiunti e il testamento era comunque valido.
La sostituzione volgare (substitutio vulgaris): essa poteva riguardare ogni istituzione di erede, chiunque
fosse l'istituito. Era sostanzialmente una sorta di istituzione d'erede sotto condizione sospensiva: il testatore
prima faceva l'istituzione normale, poi ne istituiva un altro per l'ipotesi in cui il primo fosse premorto al
disponente, non avesse accettato l'eredit oppure la sua istituzione non avesse comunque avuto effetti. La
seconda istituzione era dunque detto sostituzione, e la persona chiamata all'eredit con essa era detta
sostituto. In tal senso si parl di eredi di primo o di secondo grado. Nel caso di pi sostituzioni l'una dopo
l'altra, potevano esserci anche eredi di terzo, quarto, quinto.. grado.
La sostituzione pupillare: essa presupponeva che il testatore istituisse erede un proprio discendente
impubere soggetto alla sua immediata potestas, e consisteva nellistituzione di un altro erede nel caso in cui
il pupillo fosse morto ancora impubere (quindi nellimpossibilit di testare). Il testatore sostanzialmente
nominava un erede al proprio erede, quindi faceva di fatto testamento al proprio figlio, in deroga al principio
per cui il testamento era un atto personalissimo. Inoltre ad un certo punto si stabil che, se la sostituzione
pupillare riguardava il nascituro e veniva a mancate l'evento nascita, essa veniva a valere come sostituzione
volgare.
minima, oppure con l'exheredatio potevano essere del tutto esclusi dall'eredit. Quindi da un lato la garanzia
per liberi e sui era minima, dall'altro non v'era nessuna garanzia per madri/figli reciprocamente o per fratelli e
sorelle. L'unico stretto congiunto a cui si assicurava una sostanziale aspettativa successoria era il padre nei
confronti del figlio emancipato, per la sua qualit di parens manumissor. La lacuna del sistema fu colmata
dalla querela inofficiosi testamenti, un rimedio grazie a cui si fece in modo di includere i parenti stretti del
testatore nel testamento, salvo gravi motivi. La querela ebbe origine da un espediente retorico: si osserv
che soltanto un infermo di mente poteva arrivare ad escludere dalla successione senza un valido motivo i
parenti pi stretti, violando l'elementare dovere di affetto verso i familiari vicini i testamenti che
escludevano i familiari erano detti inofficiosi. Questo era un espediente difensivo al quale si diede corso,
cosicch si arriv a dichiarare nulli i testamenti inofficiosi per infermit mentale del testatore (col risultato che
venivano chiamati all'eredit gli eredi ab intestato): per parlare di questa prassi giudiziaria i giuristi parlavano
di testamento redatto quasi a demente. Queste origini dell'istituto spiegano perch la querela appare come
una speciale petizione di eredit con la quale il querelante perseguiva la sua quota ab intestato.
Dunque la querela era un rimedio contro un testamento in s valido, rimedio che aveva esito positivo solo se
il querelante senza un plausibile motivo fosse stato diseredato o preterito, o istituito erede in una quota
minima. I soggetti attivamente legittimati all'esercizio della querela erano in primo luogo i figli del testatore
(sui o no), poi i genitori, i fratelli e le sorelle. Dalla querela era escluso il legittimato che per avesse in
qualche modo dato seguito alla volont testamentaria, cos come era escluso il congiunto che avesse
ricevuto dal testatore almeno un quarto di quanto gli sarebbe spettato ab intestato (portio debita).
Passivamente legittimati erano gli eredi testamentari: la querela doveva essere esercitata entro 5 anni
dall'adizione dell'eredit da parte dell'erede istituito.
Con Giustiniano invece si afferm il principio per cui era ammesso alla querela soltanto il congiunto che non
avesse ricevuto nulla dal testatore; chi aveva ricevuto qualcosa di importo inferiore alla portio debita era
escluso dalla querela e ammesso all'actio ad implendam legitimam per l'integrazione della portio debita.
Giustiniano inoltre stabil per figli e genitori la necessit di essere istituiti eredi: per diseredarli non sarebbe
per pi servita l'exheredatio, ma l'esclusione dall'eredit avrebbe dovuto essere esplicitamente motivata (i
motivi validi erano tassativamente indicati).
I legati
Si trattava di disposizioni a titolo particolare che potevano essere contenute nel testamento; mediante legati
il testatore, con intento di liberalit e in forma imperativa, attribuiva singoli beni o singoli diritti soggettivi alle
persone da lui indicate, sottraendoli cos agli eredi. Il riconoscimento dei legati non avvenne insieme a quello
del testamento, in quanto dapprima esso poteva contenere solo istituzioni di erede solo in seguito la
giurisprudenza invoc a fondamento un precetto delle XII Tavole in cui si dava efficacia al legare. Col
riconoscimento di valore giuridico ai legati si afferm a Roma il costume di disporne con larghezza in favore
di parenti ed amici.
Quattuor genera legatorum
legato per vindicationem aveva effetti reali ed era pertanto traslativo di propriet o costitutivo di
servit/usufrutto. Il beneficiario (legatario) avrebbe quindi potuto ricorrere alla rei vindicatio, alla
vindicatio servitutis o alla vindicatio usus fructus in caso di necessit. Il legato per vindicationem
doveva quindi avere ad oggetto beni propri del testatore, e per esso era prescritto l'uso delle parole
do lego, accompagnate dall'indicazione dell'oggetto e del destinatario. Nel legato per vindicationem
si fece rientrare il legatum optionis = legato riguardante pi res, tutte appartenenti al testatore, tra le
quali al legatario si dava facolt di scelta (optio), effettuata poi con pronuncia solenne.
legato per damnationem aveva effetti obbligatori, con esso il testatore poneva a carico
dell'erede l'obbligo di compiere una prestazione determinata di dare o facere in favore della persona
indicata. Cos si costituiva un'obligatio sanzionata dall'actio ex testamento; il testatore doveva
disporre il legato con le parole heres meus damnas esto (pi indicazione oggetto e legatario).
Questo tipo di legato poteva avere ad oggetto anche cose dell'erede o di terzi, non solo del testatore
(perch non aveva effetti reali ma obbligatori). Una specie del legato per damnationem era anche il
legatum partitionis = si attuava mediante delle cessioni di quote di singoli beni ereditari da parte
dell'erede al legatario, e poi reciproche stipulazioni tra erede e legatario relativamente a quote di
crediti e debiti ereditari (con Giustiniano questo legatum perdette significato)
legato sinendi modo aveva effetti obbligatori, anche esso era sanzionato con l'actio ex
testamento e doveva essere disposto con le parole heres meus damnas esto: ad esse per andava
aggiunta l'imposizione all'erede di consentire (sinere) che il legatario facesse qualcosa, ad esempio
che prendesse possesso di una cosa determinata appartenente al testatore o all'erede. Con la presa
di possesso il legatario acquistava dapprima la propriet su res nec mancipi, il possesso ad
usucapionem su res mancipi; in seguito per prevalse l'idea che l'erede fosse tenuto in ogni caso a
trasferire al legatario la propriet (assimilazione del legato sinendi modo a quello per damnationem)
legato per praeceptionem esigeva l'impiego dell'imperativo praecipito, preceduto dal nome del
legatario e dall'indicazione dell'oggetto. Era un legato di propriet e quindi poteva avere ad oggetto
solo cose proprie del testatore. Dapprima poteva essere disposto solo in favore di un coerede, che
cos avrebbe percepito l'oggetto oltre la quota spettatagli; avrebbe avuto attuazione in virt di
adiudicatio ad opera del giudice dell'actio familiae erciscundae. I giuristi proculiani per affermarono
che il legato per praeceptionem fosse da considerare alla stregua di quello per vindicationem, e che
quindi potesse essere disposto anche in favore di persona diversa dal coerede.
Oggetto di legato poi poteva essere la dote (legatum dotis) che il marito avrebbe dovuto restituire alla
moglie; ma di legatum dotis si poteva anche parlare con riguardo al caso di legato costitutivo di dote
(disposto per damnationem in favore del marito, anche se fu considerata direttamente beneficiaria la moglie).
Interpretazione: soprattutto in materia di legati, le questioni di interpretazione della volont negoziale erano
molto numerose. Erano frequenti infatti errori del disponente nell'indicazione dell'oggetto legato, della
persona del legatario o altro: l'orientamento di base fu quello di dar corso, per quanto possibile, all'effettiva
volont del testatore.
Gli elementi accidentali: anche i legati potevano essere disposti con l'aggiunta di condizioni, termini e modi
Il momento dell'acquisto
Il legato era efficace dal momento in cui l'erede onerato acquistava l'eredit (momento della morte del
testatore se l'onerato heres suus, momento dell'accettazione se l'onerato erede volontario). Il legato non
avrebbe avuto alcuna efficacia se ad essere onerato fosse stato un erede volontario che non adiva l'eredit,
mentre avrebbe necessariamente avuto efficacia se l'onerato fosse stato un heres suus. Poteva inoltre
accadere che il legatario morisse dopo la morte dell'ereditando ma prima dell'adizione da parte dell'erede
volontario: in tal caso il legato non aveva effetti perch il legatario non avrebbe potuto trasmettere ai propri
eredi una semplice aspettativa a queste conseguenze della tarda accettazione, che erano pregiudizievoli
per il legatario e i suoi eredi, pose rimedio la giurisprudenza: si afferm il principio per cui, se l'onerato
avesse adito, il legatario avrebbe acquistato diritto al lascito e l'avrebbe trasmesso ai suoi eredi sin dal dies
cedens (giorno della morte del testatore). Con la lex Iulia et Papia Poppaea il termine fu spostato a partire
dal giorno dell'apertura del testamento (Giustiniano poi torn al criterio precedente).
Fu invece detto dies veniens il giorno a partire dal quale, avendo il legato acquistato efficacia, il legatario
avrebbe potuto far valere il suo diritto: corrispondeva di solito con l'adizione dell'eredit da parte dell'onerato.
Una volta che il legato obbligatorio (sinendi modo o per damnationem) diventava efficace, il legatario
acquistava immediatamente il credito relativo; nel caso invece di legato con effetti reali, prevalse la dottrina
dei sabiniani, per i quali l'acquisto era immediato ma il legatario avrebbe anche potuto rinunciare. Nei legati
con effetti reali inoltre, se per esempio un legatario rinunciava, tra pi collegatari aveva luogo accrescimento.
Invalidit, inefficacia e revocabile
Innanzitutto, secondo la regula Catoniana, il legato invalido al tempo della composizione del testamento
restava invalido pure se la causa dell'invalidit cessava prima della morte del testatore: si neg quindi la
convalida di un legato inizialmente nullo (ad eccezione del legato con condizione sospensiva e dei legati per
cui il dies cedens non fosse quello della morte del testatore).
Il legato inoltre poteva essere revocato dal testatore in vari modi: con la revoca del testamento in cui era
contenuto oppure con l'uso nel testamento stesso di espressioni contrarie a quelle usate per il legato (non
lego, non do); da et postclassica, anche con espressioni qualsiasi purch tali da denunciare la volont di
revoca. Per fin dalla prima et classica era stata riconosciuta efficacia iure praetorio alla revoca del legato
liberamente manifestata dal testatore dopo la perfezione del testamento, pure se manifestata tacitamente
il legato in tal modo sarebbe stato valido iure civili, ma l'erede aveva l'exceptio doli contro il legatario che
agiva in giudizio contra voluntatem testantis.
I limiti alla libert di disporre mediante legati
Ad un certo punto la pratica di disporre legati si diffuse talmente tanto che poteva accadere che il testatore
esaurisse in legati l'attivo ereditario, e che quindi agi eredi non restasse nulla. Per evitare questo ci fu un
intervento legislativo repubblicano: la lex Furia testamentaria (II secolo a.C.) stabil in 1000 assi il valore
massimo di ogni legato. In seguito la lex Voconia (169 a.C.) stabil che limporto di ciascun legato non
potesse superare quanto sarebbe poi rimasto agli eredi. Ma l'intervento decisivo fu quello della lex Falcidia
(40 a.C.), la quale stabil che il testatore potesse disporre in legati per un massimo di 3/4 della sua eredit
(calcolata al tempo della morte dellereditando), in modo che agli eredi restasse almeno un quarto dell'attivo
(detto quarta Falcidia).
tutoris datio = con essa il testatore nominava un tutore, impuberis o mulieris, ad un proprio
discendente immediatamente soggetto alla sua potest. Il tutore designato doveva avere la
testamenti factio
divisio parentis inter liberos = con essa il padre divideva tra i figli che sarebbero stati sui eredi singoli
cespiti ereditari; a darvi attuazione provvedeva il giudice dell'actio familiae erciscundae
adsignatio libertorum = con essa il pater familias, anzich lasciare che i diritti di patronato si
trasmettessero ai figli indivisamente, assegnava separatamente a ciascuno di essi le spettanze
relative ai singoli liberti.
Sia manumissio che tutoris datio potevano essere disposte con condizione sospensiva e termine iniziale; la
tutoris datio poteva avere anche condizione risolutiva e termine finale. I servi manomessi sotto condizione
sospensiva o termine iniziale, durante la pendenza della condizione o prima della scadenza dal termine,
erano nella condizione di statuliberi = l'adempimento fittizio della condizione per essi aveva luogo sia se
l'erede ne ostacolava l'avveramento, sia se l'adempimento non dipendeva dallo statuliber. Una volta efficaci,
sia manumissione che tutoris datio erano automaticamente attributive di libert e potest, senza bisogno di
alcuna accettazione. Anche esse, come i legati, nello stesso testamento potevano venire adottate e poi
revocate (es. l'alienazione da parte del testatore del servo manomesso in testamento comportava la revoca
della manumissio). Manumissioni e tutoris datio inoltre potevano anche essere disposte in codicilli, non solo
in testamenti.
I fedecommessi
Per aggirare gli ostacoli del regime dei legati, si diffuse l'uso del testatore di raccomandare informalmente
agli eredi o ai legatari di compiere una determinata prestazione in favore della persona indicata, rimettendosi
per l'adempimento alla sola fides degli eredi e dei legatari stessi (fidei committere): si parl a questo
proposito di fedecommessi. Augusto rese i fedecommessi vincolanti, legittimando il beneficiato
(fedecommissario) a proporre la petitio fideicommissi secondo un rito processuale extra ordinem. Inoltre i
fedecommessi avevano effetto obbligatorio, e in sede di petitio fideicommissi il giudice giudicava secondo
criteri di equit e libera ricerca della volont del testatore. La forma del fedecommesso era libera (purch la
volont del disponente fosse chiara), tranne per il fatto che andava disposto in forma precativa e non
imperativa; la lingua adottata poteva essere qualsiasi, il fedecommesso poteva essere disposto sia in un
testamento sia in un codicillo, anche oralmente. Ovviamente anche la forma per la revoca era libera, infatti
essa poteva essere espressa oppure tacita (tramite comportamento incompatibile con la volont di
mantenere il lascito) il fedecommesso era dunque revocabile nuda voluntate.
L'efficacia era subordinata all'acquisto dell'onerato, ma il fedecommissario avrebbe trasmesso ai suoi eredi il
diritto al lascito sin dal dies cedens (morte del disponente). La testamenti factio era richiesta nel disponente,
non nel fedecommissario: per questo si poteva onerare di fedecommessi persone a cui non si poteva legare
I fedecommessi di libert: le prestazioni possibili oggetto di fedecommesso erano come quelle dei legati.
Per con fedecommesso si poteva anche obbligare l'onerato a manomettere uno schiavo = manumissio
fedecommissaria, o fedecommesso di libert. Lo schiavo da manomettere avrebbe potuto appartenere al
disponente, all'onerato o ad un terzo: in quest'ultimo caso, l'onerato era obbligato ad acquistarlo e poi
manometterlo. Il fedecommesso non aveva effetti se il proprietario dello schiavo si rifiutava di venderlo o ne
pretendeva un prezzo eccessivo.
Sostituzione fedecommissaria: anche in materia di fedecommessi era possibile la sostituzione volgare vista
per i legati; tuttavia era anche possibile che il disponente indicasse un sostituto che acquistasse, anzich al
posto della persona indicata per prima, dopo di lei (cosiddetta sostituzione fedecommissaria). Questo poteva
accadere per esempio alla scadenza di un termine, all'avveramento di una condizione o dopo la morte del
primo fedecommissario questi avrebbe dovuto conservare il bene oggetto del lascito e poi farlo pervenire
al sostituto. Inoltre l'ereditando poteva anche disporre ulteriori sostituti, in modo che dopo il primo ce ne
fosse un secondo, dopo quello un terzo e cos via. Un particolare caso di sostituzione fedecommissaria era
quello del fedecommesso di famiglia: lonorato del fedecommesso ed eventualmente dopo di lui il sostituto,
tutti appartenenti alla famiglia del disponente, avrebbero dovuto trasmettere alla loro morte il bene oggetto
del fedecommesso ad altro membro della stessa famiglia.
Il senatoconsulto Pegasiano e l'equiparazione di legati e fedecommessi
Il senatoconsulto Pegasiano (69/79 d.C.) estese ai fedecommessi sia i divieti di capere per caelibes e orbi
della lex Iulia et Papia sia la norma della legge Falcidia che riserva agli eredi almeno dellattivo ereditario.
Nel corso dell'et classica si estesero alcuni precetti dei legati anche ai fedecommessi, e viceversa: i due
istituti cominciarono ad avvicinarsi e con Giustiniano se ne stabil l'equiparazione = fusione delle regole di
fedecommessi e legati, con prevalenza delle prime in caso di conflitto.
Fedecommessi particolari e universali
I fedecommessi particolari di cui s' detto fin qui erano quelli che avevano come oggetto prestazioni
analoghe a quelle dei legati, ed era ad essi che l'equiparazione di Giustiniano fece riferimento. Per esisteva
anche un altro tipo di fedecommesso, il fedecommesso universale = disposizione di ultima volont che
faceva carico all'erede di trasmettere ad altri, dopo averla acquistata, l'intera eredit o una sua quota.
Sostanzialmente quindi l'erede avrebbe dovuto trasferire al fedecommissario la qualit di erede, la quale
per era intrasmissibile: l'erede dunque avrebbe trasferito i corpora hereditaria, mentre per i crediti/debiti le
parti provvedevano con reciproche stipulazioni in modo che, alla fine, a doverli esigere/pagare fosse il
fedecommissario. Le cose cambiarono con il senatoconsulto Trebelliano (56 d.C.): una volta che l'erede
avesse fato al fedecommissario atto (pure se non formale) di restituzione dell'eredit, il fedecommissario era
ammesso all'esercizio in via utile e a nome proprio delle azioni spettanti all'erede. I creditori ereditari quindi,
anche essi in via utile, erano ammessi ad agire contro il fedecommissario.
Il senatoconsulto Pegasiano abrog poi molte delle disposizioni del Trebelliano, ripristinando il sistema
precedente delle reciproche stipulazioni. Giustiniano poi da un lato conferm l'applicabilit ai fedecommessi
della quarta Falcidia, dall'altro ridiede vigore generale al senatoconsulto Trebelliano.
I codicilli
Dal tempo di Augusto si affiancarono ai testamenti; anche essi erano idonei a contenere pi disposizioni
mortis causa. I codicilli erano un documento scritto (spesso una lettera) che non richiedeva alcuna formalit
per la sua perfezione. I codicilli potevano essere:
confermati = ad essi era fatto riferimento nel testamento, o per ratificarli (se precedenti) o per
preannunciarli (se il testatore prevedeva che vi avrebbe fatto ricorso in seguito). Potevano contenere
qualsiasi disposizione che era possibile inserire in un testamento, ad eccezione dell'istituzione
d'erede e della exheredatio. Erano considerati parte integrante del testamento e ne seguivano le
sorti, tranne per il fatto che essi avevano comunque valore come codicilli non confermati in caso di
testamento invalido o inefficace
non confermati = ad essi non era fatto nessun riferimento nel testamento. Potevano contenere solo
fedecommessi ed erano validi anche se disposti a carico dell'erede ab intestato.
In et postclassica, quanto alla forma, si oscur la differenza tra testamento scritto e codicilli; quanto invece
al contenuto, perdette significato la distinzione tra codicilli confermati o non.