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PARTE GENERALE
il PRETORE è eletto dai rappresentanti della comunità nei comitia centuriata, egli
presentava le leggi; svolgeva una funzione di magistrato giusdicente, individuando le
norme ma non è un esperto.
la GIURISPRUDENZA (i giuristi del diritto, sono teorici del diritto che svolgono
operazione creativa) i quali hanno un ruolo interpretativo fondamentale. Il loro ruolo
tecnico si basava sull’indirizzare i giudici, i magistrati e gli stessi avvocati. Anche loro sono
dei privati cittadini e non hanno un ruolo pubblico.
Il diritto nasce a Roma perché per la prima volta assistiamo alla formulazione del concetto di
SCIENZA GIURIDICA:
processo di formulazione delle norme che deriva da una attività interpretativa: essa si consta
di uno scontro di orientamenti ed opinioni controversiali da cui derivano le formule da applicare ai
casi concreti. È quindi dalle opere giurisprudenziali che nasce il diritto (non si parte quindi dal
catalogo delle fonti), si garantisce quindi obiettività (capacità di adattarsi al caso concreto).
Il problema però si rinviene nella confusione del diritto: nasce l’esigenza di ordinare il sapere che ci
porta al sistema che abbiamo ereditato (creato da Giustiniano).
Il diritto Romano diviene compilativo e codificato.
Le Istituzioni di Gaio rappresentano il fondamento storico e tecnico del diritto privato: si presenta
la disciplina partendo dal caso concreto, anche se parliamo di una disamina teorica; tra le fonti
proposte rileva l’attività dei giuristi di età classica, ovvero i loro pareri, interpretati e raccolti nei
digesta: essi ci riportano cosa accade in giudizio e come viene disciplinato.
LA COMPILAZIONE
Editto: l’atto legislativo di costituzione imperiale contenente norme di carattere generale
con valenza erga omnes (comunità tutta).
Editto del pretore: raccoglie le formule elaborate per procedere e risolvere casi nel
processo per formulas. Esso è espressione del potere di autoregolamentazione del pretore.
L’attività del pretore e l’elaborazione teorica del giurista rappresentano la massima espressione e
al contempo i confini del diritto giurisprudenziale (gli editti sono l’oggetto dell’attività
interpretativa).
Iniziamo a parlare di “Res Pubblica” in cui il potere è delegato ai magistrati e non più al singolo
uomo: si passa dalle concessioni al riconoscimento dei diritti – conseguentemente anche alla
rivendicazione degli stessi, che scatenerà quindi conflitti che giungono alla restaurazione della
Monarchia. Parliamo di un modello di distribuzione del potere, il principato, di difficile gestione
con confini non ben definiti (in aggiunta, la figura dell’uomo solo a comando assume una
definizione pessima): ciò porta ad un declino che si esprime maggiormente nel concetto di crisi
dell’autorità, svuotata dei propri poteri.
Questa crisi si risvolta anche nell’elaborazione del diritto si vive un forte appiattimento della
giustizia: la magistratura era completamente assente ed i giuristi si piegavano alle correnti. Quella
giurisprudenza creativa che aveva formulato lo ius controversum comincia ad inaridirsi e a
ripiegarsi su se stessa, avendo come priorità quella di sopravvivere:
il principale obiettivo è quello di tramandare e conservare il diritto.
In questa fase di crisi, Giustiniano quindi ha gioco facile nell’operazione di catalogare il diritto
romano. In questo momento di forte instabilità politica, il diritto ha bisogno di norme ben
delineate.
Con Giustiniano arriviamo a parlare di scienza giuridica, con la formazione del Corpus Iuris Civilis.
La compilazione di Giustiniano si forma di:
FONDAMENTI ROMANISTICI DEL DIRITTO EUROPEO
(!) Abbiamo un diritto, quindi, che col tempo tende ad un ordine, o meglio tende ad essere
sistema.
Quindi, quello che Gaio ci trasmette nelle sue istituzioni è un diritto sistematico, un dettato
normativo che parte da un catalogo fonti. Ci definiamo eredi di un sistema come quello Romano
pur non cogliendone la realtà giurisprudenziale: il diritto in questi termini, più ordinato e meno
creativo, e ciò che ci ha garantito maggiore sicurezza e certezza del diritto.
La sfida dei nostri anni è quella di ricostruire il diritto romano, spogliato dall’influenza giustinianea.
Nei fondamenti abbiamo una perfetta corrispondenza tra il nostro ordinamento e il diritto romano
per ciò che riguarda gli istituiti, i contratti, le obbligazioni (non si parla di una terminologia
perfettamente corrispondente: es. negotium, la teoria del negozio giuridico l’abbiamo estrapolata
dagli studi moderni, i Romani sicuro non l’avevano, anzi per negotium si intende proprio il luogo
dove si svolgevano gli scambi commerciali).
- nel Territorio, fin dalle origini c’è un tentativo di definizione dei confini, sempre più evanescenti
con l’espansione.
FONTI
FONDAMENTI ROMANISTICI DEL DIRITTO EUROPEO
Nei testi si interveniva con chiarimenti, spiegazioni e semplificazioni: queste aggiunte venivano
chiamate glosse (interventi chiarificatori su alcuni passaggi).
In una fase successiva, le glosse sono state sostituite dai commenti, fondate su una prospettiva
soggettiva più ampia cioè su una maggiore partecipazione.
La comparazione delle fonti è atto dovuto per non incorrere in alterazioni testuali e seguire un
analisi del fenomeno quanto più critica possibile del fenomeno ne fa analizzare le mutazioni e
conseguentemente permette la modifica della norma.
Un analisi approfondita degli istituti si muove su tre binari dell’enciclopedia del diritto:
- diritto romano,
- diritto intermedio, in cui confluiscono le elaborazioni dei glossatori e commentatori, formanti il
diritto comune (Ius Comune): si tratta di un diritto applicabile aldilà dei confini e dell’appartenenza,
sulla base della ‘naturalis ratio’.
- diritto moderno.
Le diverse modalità di ricezione del diritto romano hanno configurato diverse scuole di pensiero, e
conseguentemente anche diversi approcci alla codificazione (stabilità).
Nella codificazione (elemento per ‘riunificare’) è prevalso:
- il concetto di una società in continuo cambiamento che aveva esigenze rinnovate per
categorie sociali nuove (come è accaduto a Roma, liberalismo politico ed economico);
- l’esigenza è la volontà di rendersi autonomi dallo spirito cristiano, che aveva stravolto
l’Impero Romano e aveva informato scelte di tipo tecnico.
CODIFICAZIONI IN EUROPA
In Italia (1865, 1942…) arriviamo ad una codificazione che risponde all’esigenza di unità e alla
necessità di certezza del diritto. I settori sono stati allargati rispetto a quelli istituiti da Gaio
(limitato a Red ed Actiones): la scelta di unificazione, e non diversificazione, ha quindi portato allo
stravolgimento dell’assetto conosciuto (tenuto conto della storia passata, sanguinosa e sacrificata).
La Germania è arrivata alle codificazioni tardi: si dubitava della possibilità di poter esprimere il
senso di giustizia della popolazione: era preferita un attenzione maggiore alla casistica.
La Spagna anche è arrivata alla codificazione tardi perché la nobiltà della società spagnola
voleva difendere i propri privilegi e ha contrastato in ogni modo questa scelta.
Gli istituti (es. promessa unilaterale; proprietà…) assumono una qualificazione diversa in ogni
ordinamento: i confini sono evanescenti ed è importante cercare di unificare le discipline, ed è ciò
che prova a fare la giurisprudenza (apertura alla casistica per recepire le diverse e complesse
visioni).
Abbiamo due ambiti in cui il diritto si scontra con una realtà nuova: sviluppo del digitale e
intelligente artificiale.
ARTICOLO Capogrossi-Colognesi.
La sottovalutazione del concetto di identità ci impedisce di interpretare correttamente le fonti.
FONDAMENTI ROMANISTICI DEL DIRITTO EUROPEO
Storicamente, il potere politico si basava sulle scelte giuridiche dell’ordinamento, le cui modifiche e
quindi l’introduzione di nuovi istituti si basava su delle scelte economiche.
L’errore di valutazione critica, sia dello storico che conseguentemente del giurista, sta
nell’appiattire il passato sul presente: viene meno l’obbligo di obiettività che deriva dallo studio
del passato.
Tra gli studiosi, il romanista ha abbandonato il passato per giungere a valutazioni fattuali delle
manifestazioni odierne; tuttavia, il presente non si può assurgere a canone interpretativo.
Collegandoci agli scontri moderni, ci si è dimenticati del radicato concetto di identità, o meglio non
è più comprensibile, perché si sono strumentalizzati i valori del passato e li si sono banalizzati,
svuotandoli completamente del loro significato. La guerra nasce da una travisata interpretazione
della realtà ma soprattutto del passato: la difesa dell’identità è un esigenza di ogni comunità (nel
caso di specie, Capogrossi ci dice che abbiamo dimenticato una storia che aveva posto Mosca come
terza Roma - quasi come designata a conservare una tradizione – alla quale però l’Occidente ha
applicato una pressione insostenibile, portando alla guerra.
ANALISI ISTITUTI
La visione liberale ha una corrispondenza nella gestione degli istituti: eredità diritto moderno.
!!! L’indirizzo che viene assunto dal nostro ordinamento è la soggezione del soggetto alla legge,
funzionale alla garanzia della libertà. Per comprendere le nostre basi l’analisi interpretativa del
diritto romano è strettamente collegata all’interpretazione dei principi costitutivi della Res
Pubblica.
La proprietà, nel diritto romano, assume una connotazione del singolo: attraverso detto istituto
si sottolinea l’importanza dell’identità e della libertà, elementi che necessitano di tutela. Andava
garantito un diritto basilare ed un approccio re-centristico; quindi, che dava priorità all’elemento
fattuale non soddisfaceva più l’esigenza di gestire la pressante configurazione dell’elemento
statuale.
Il ‘contrarre’ qui espresso presuppone una visione diversa: si ingloba il concetto di bilateralità.
L’intervento giurisprudenziale deve fornire soluzioni alle questioni di giustizia poste dalla
collettività, in un ottica di unificazione: si inizia a parlare di diritto oggettivo, raccolte le fonti
abbiamo definizioni standard degli istituti. La differenza tra diritto pubblico e privato, definita in
primis da Ulpiano, entra in crisi nella misura in cui anche il privato effettua interventi gestionali
(basti pensare anche alle problematiche moderne riguardanti anche l’utilizzo dell’intelligenza
artificiale).
Sostanzialmente il diritto pubblico è quello che attiene alla condizione e alla gestione dello Stato
romano; consiste nella connotazione del sacro, del sacerdozio (primi giuristi) e delle magistrature:
Ius e Fas in stretta interrelazione (basti pensare alla formalità e sacralità di alcuni riti).
parte un diritto proprio (diritto civile) ed un diritto comune a tutti gli uomini. (…)”. Il diritto inteso
come civile perché proprio della città, diritto delle genti (che si basa principalmente sui costumi).
Ciò che ha spinto alla codificazione è stata l’esigenza compilativa e organizzazione del sapere.
L’impero inizia con Diocleziano, la sua struttura non è importante: è la demolizione del potere
politico. La parola costituzione non nasce in ambito giuridico: c’è un significato che sta fuori,
‘insieme di qualcosa’ (…). A Roma non c’è costituzione scritta.
La forma di governo a Roma è mutevole nel tempo: cominciamo con un potere assoluto
monarchico, passiamo alla repubblica e poi torniamo al potere assoluto.
Questo ritorno al passato deve essere compreso: il cittadino consapevole conosce il passato.
A Roma possiamo sicuramente parlare di una rappresentanza della comunità (in base al censo,
comitia centuriata; ed anche i meno abbienti), ma non sicuramente nell’idea concepita dalla
modernità.
La spinta organizzatrice di Roma nasce dal conflitto della convivenza sociale: la soluzione alla
discussione politico-sociale è la gestione della cosa pubblica, Res Pubblica; l’esperienza giuridica
romana è quella vicino alle esigenze del soggetto, del cittadino.
Popolo colto significa popolo informato ai valori umani e dei fondamenti alla base di un diritto
giusto:
il diritto nasce a Roma con una partecipazione, non c’è sicuramente il concetto di rappresentanza
come la intendiamo noi, ma ci sono le basi per parlare di democrazia (patto sociale).
La comunità a Roma è intesa come unione concreta degli interessi della comunità (visione
verticistica dall’età imperiale): distribuzione dei poteri equilibrati. Ed è proprio la separazione dei
poteri un problema significativo: l’amministrazione della giustizia era strumentalizzata dalla
politica.
L’attività Ius Dicere (introduzione processo e formulazione norme applicabili) è appannaggio del
pretore: prospettiva che a noi moderni sorprende perché egli ha questa funzione, ma si tratta di un
magistrato maggiore che collaborava anche con il console = il rischio è ottenere una gestione non
equilibrata.
Compresa questa differenza, non si considera la produzione legislativa essenziale alla diffusione
del principio, ma del dato: i criteri valoriali vanno oltre il diritto, avvicinandosi alla moralità (singolo
in relazione alla comunità). L’assenza di una codificazione, dunque non risulta essere un problema.
Il diritto romano è quindi un diritto di principi che si basa su fondamenti universali che
rispecchiano un senso di consapevolezza del concetto di giustizia e di equilibrio, derivante dalla
comunità, o meglio dal sentire dell’essere vivente.
Ciò lo avvicina moltissimo al diritto attuale: è difficile, infatti, che un precetto di diritto romano
possa essere desueto e non richiamato nella contemporaneità (es. l’idea ragionata dei rapporti
relativi era inevitabile arrivasse fino ad oggi).
Le fonti, dunque, sono funzionali a comprendere come la norma si configuri norma di tutela: il
diritto nasce dal procedimento, dalle azioni. Le partizioni dell’ordinamento sono molteplici:
lo Ius Civile in età Repubblicana;
lo Ius Gentium, fondamento dei contratti che si basano sul consenso (es. compravendita,
locazione, mandato, societas…);
lo Ius Honorarium, sicuramente a livello di procedura, iurisdictio del Pretore; Papiniano lo
ritiene introdotto per la pubblica utilità: esso interviene per colmare le lacune del diritto civile
(anche attraverso strumenti di fictio iuris), modificandolo o specificando/aggiungendo norme.
lo Ius Controversum (controversialità del diritto civile), elaborazione di valutazione dei casi
in cui c’è contrasto tra attore e convenuto, è dalla contrapposizione di interessi che si elaborano
gli elementi di formazione delle leggi; è il fondamento della futura scienza giuridica.
FONTI.
L’ordinamento così come strutturato, che fa riferimento a determinate partizioni del diritto, attento
alle esigenze del cittadino e dello straniero si basa su delle fonti e ciò è possibile dirlo perché si
arriva in età classica ad una catalogazione di esse.
Il primo ad essere valutato è Gaio, il quale ci illustra che il complesso del popolo romano risulta
dalle leggi (dalle costituzioni, dagli editti - da coloro che hanno il potere di informare il popolo, …).
Leggi, in età repubblicana vengono poste all’accettazione dalla comunità che viene coinvolta
senza poterle modificare; in età classica la legge segue un iter formativo che è espressione del
potere militare e autoritativo. Comandare, permettere, vietare e permettere: questo secondo
Modestino è il ruolo della legge (quando patrizi e plebei sono in unità).
FONDAMENTI ROMANISTICI DEL DIRITTO EUROPEO
Plebiscita – strettamente collegati alle leggi regie, avevano efficacia soltanto per i Plebei; con la
Legge Ortensia, si iniziò ad avere una osservazione alla stregua della legge stessa per tutta la
comunità: essi si distinguono, infatti dalle leggi regie, per la formazione ma non per l’efficacia.
Senatus consulta, il senato interveniva per attività consultiva. In età classica acquisisce una
posizione diversa, meno centrale (assumono un ruolo di facciata, si svuotano del potere).
Responsa dei giuristi, l’attività creativa del giurista viene un po meno nell’età classica (età
Repubblicana massimo sviluppo poi codificazione).
Essi rappresentano la nascita e la tutela della scienza del giusto, Ulpiano ci dice che la
giurisprudenza è la conoscenza delle cose divine e umane.
Secondo Gaio sono le decisioni ed i pareri di coloro ai quali è permesso creare diritto.
Uno dei problemi è scegliere il parere da seguire: diverse sono le regole in caso ci sia concordanza
di idee o meno, sostanzialmente però è utile seguire l’interpretazione favorevole al tempo.
Epistola o Decreto dell’Imperatore, assumono valore di legge (il suo potere deriva dalla legge).
CATEGORIE GIURIDICHE:
Si ha un fase in iure che prospetta l'intervento del pretore che, in particolare nel processo per
formulas, è libero di dialogare con le parti le quali, superano il formalismo e si liberano dai vincoli
instaurati col processo per legis actiones (es. sono tollerate le imprecisioni nell'esposizione).
L'impostazione tipica del diritto romano può tuttavia essere recuperata attraverso una visione
giurisprudenziale della produzione del diritto; c'è una tendenza ad adeguarsi a questa visione,
ciò: - snellirebbe la procedura: si parla di degiurisdizionalizzazione del processo: si da spazio alla
figura del privato (singolo non dotato di alcuna autorità) e restituendo al giudice un ruolo più
creativo nell'ottica delle funzioni.
- ci consentirebbe di avvicinarsi ad una realtà diversa portata avanti ad esempio dal diritto
anglosassone: dal processo romano abbiamo recuperato la propensione all'analisi del caso che ci
riconcilia col diritto giurisprudenziale.
Inoltre, a Roma il giudice aveva un ruolo molto discrezionale tanto che poteva pronunciare il non
liquet, allo stesso modo, il magistrato poteva procedere alla denegatio actionis: entrambi, quindi,
potevano prendere le distanza dall'atto a cui erano chiamati.
Nel processo per formulas: le pretese di attore e convenuto venivano enunciate attraverso le
formule: un esempio di elemento della formula è l'intentio con cui l'attore esprimeva la propria
posizione e chiedeva la tutela del proprio diritto.
Nel processo romano c'è una fase di mediazione nonché procedure extra-giuridiche miranti alla
composizione e alla risoluzione della questione che potremmo riportare nel nostro ordinamento.
Gli INTERDETTI erano degli ordini diretti ai soggetti da parte del pretore che potevano essere
proibitori o restitutori, si basano sulla sua discrezionalità e sulla sua capacità di gestire in modo
libero il processo: si saltava la fase esecutiva snellendo le procedure.
C'è un problema di gestione del concetto di capacità: per i romani bisognava individuare dei
requisiti per l'attribuzione della capacità d'agire e della capacità giuridica.
La capacità d'agire presupponeva il sesso maschile, l'età e dei requisiti fisici; la donna non era
totalmente esclusa perché era assistita da specifici tutori e curatori (individuati dunque i soggetti
con capacità, in via residuale si individuavano i soggetti a capacità limitata).
La capacità giuridica si basava sull'esistenza, sull'appartenenza alla specie umana.
Il diritto romano concepisce anche la possibilità di individuare il ruolo di società ed associazioni: ciò
comportava la definizione del singolo estremamente precisa.
Rapporti familiari
La struttura familiare è un organizzazione nucleare come fondamento della repubblica: dal punto
di vista giuridico è un assetto ordinato, regolato da disposizione che garantivano stabilità, e assurge
quindi a simbolo di forza della civiltà romana. Il frammentarsi a livello tecnico della famiglia ha
comportato conseguenze anche a livello sociale: più si allarga meno è forte giuridicamente.
L’organizzazione della famiglia, ma più in generale il potere del pater si basa sugli istituti della
potestas e della mancipio. L’atto della nascita aveva carattere fondamentale per l’attribuzione dello
status, della sua condizione, qualificazione chiara della soggettività: in ottica di status libertatis,
prioritario è lo status del padre.
Negozio giuridico
L’attività negoziale è individuata nelle forme come atto negoziale (ambito vasto che riguarda atti
bilaterali o unilaterali come il testamento, il quale può essere un applicazione della mancipatio):
dalla struttura ricaviamo la causa, dalle circostanze la volontà.
Inizialmente il contrarre presuppone uno scambio verbale molto formale, con gli istituti di sponsio
e stipulatio. Successivamente, evolve progressivamente verso forme più libere, procedendo per
concepta verba.
Elemento su cui si basa l’accordo: conventio; non c’è contratto o obbligazione che non si basa su di
essa. Il concetto centrale è quello di consenso: condividere finalità sulla base di un intento che può
essere diverso, al fine di un obiettivo comune, rispondente alle esigenze della comunità: è un
obbligazione reciproca (consegna del bene corrisposto a compenso).
La distinzione a cui abbiamo accennato relativamente alle res viene meno uniformando l’istituto
della vendita; ciò porta ad un forte sviluppo economico.
FONDAMENTI ROMANISTICI DEL DIRITTO EUROPEO
A Roma non c’è una teoria generale del negozio giuridico, il nostro ordinamento la sviluppa per
rispondere a sempre più pressanti esigenze di coordinamento.
Obbligazioni
Gaio definisce le obbligazioni in riferimento alle partizioni dell’ordinamento (obbligazioni civili o
obbligazioni pretorie). A dare però una definizione sarà poi Giustiniano.
Il trasferimento delle proprietà di un bene può avvenire tramite traditio (res nec mancipi) o
mancipatio (res mancipi); la consegna, ovvero il trasferimento materiale, segna l’effettività del
passaggio.
La contrattazione esalta la vincolatività del trasferimento (elemento molto consistente); c’è un
ulteriore riferimento è ai modi: forma scritta, verbale, materiale.
EVOLUZIONE STORICA
Il diritto romano, in sé, non ci lascia alcuna definizione di proprietà: l’origine dell’istituto è molto
articolata e la sua configurazione non è affatto immediata: è più un fatto sociale, riconosciuto dalla
comunità, al quale il diritto poi attribuisce i suoi tratti essenziali. Nell’età tardo-repubblicana la
proprietà raggiunge una propria identità (soprattutto in ambito giudiziario). Oggigiorno vi è la
necessità di velocizzare la circolazione dei beni, mantenendo però inalterate le garanzie.
Il dominium ha vissuto una evoluzione notevole, seguendo il cambio della società, e arriva a
definirsi come sommatoria dell’esercizio di potestà diverse, avendo origine nel mancipium (es.
potestà familiare; potestà reali per servi e cose …); col tempo il dominium poi diventa espressione
del potere dei cittadini e supera la distinzione tra res mancipi e res nec mancipi.
In base ad alcuni requisiti si stabiliva la qualificazione della proprietà. La proprietà è regolata:
- dallo Ius Civile, dominium ex iure quiritium e azioni processuali rivolte al cittadino.
- dallo Ius Honorarium, proprietà pretoria. In bonis habere (…).
La visione dualistica confluisce poi in unità in età classica.
Nello Ius Civile è contenuto il riferimento alla possessio civilis o ad usucapionem. È in questo caso
un possesso che ha garantito un uso ripetuto nel tempo, finalizzato all’acquisto della proprietà.
Nella situazione di fatto, nel diritto pretorio, possono instaurarsi una serie di fictio iuris, per
colmare gli elementi mancanti affinché si arrivi alla proprietà: in altre parole si permette
l’acquisizione del bene anche se non è decorso il tempo necessario (ad es. per usucapire).
Il possesso ha a che vedere con l’organizzazione pacifica della comunità, seguendo le regole che si
è data e si è imposta di rispettare: le situazioni possessorie assolvono ad una funzione di garanzia,
volte a risolvere i conflitti relativi alla materiale disponibilità delle cose, all’esercizio di poteri di
fatto (da ricordare quindi è l’origine definitoria della possessio come res facti). La sottrazione del
bene si rappresenta come il turbamento di un fatto che sembrava scontato, essendo la
disposizione del bene un diritto riconosciuto ed attribuito dalla comunità.
POSSESSIO
Della possessio non c’è una definizione. Il termine deriva probabilmente da una esigenza di
sottolineare l’insistenza fisica del soggetto sulla cosa, quindi deriverebbe da ‘potis’, sedere.
Nel commento di Paolo il possesso è inteso come immagine della proprietà, una sua proiezione: il
dominium inizia con il naturale possesso delle cose.
La possessio è espressione di una signoria (di fatto) su una res (non di diritto).
Il problema sta nell’introdurre in diritto un concetto che non ha regolamentazione.
Altra funzione della possessio è quella della tutela della situazione di fatto, finalizzata a non
acquistare la proprietà, ma alla semplice tutela della nostra situazione di fatto, del possesso del
bene (possessio ad interdicta). Ove non può intervenire il processo, interviene l’interdetto:
procedura immediata e snella che va al di là delle complicanze procedurali vista l’urgenza di
risolvere il caso su quella situazione di fatto. Il possesso va valutato anche in termine di perdita, di
conservazione.
Il disporre del bene non corrisponde necessariamente alla legittimità del possesso riconosciuto
dalla comunità (un bene sottratto, il ladro sicuramente ha la volontà di possederlo, ma non si può
affermare che si esprime una propria concezione psicologica, non c’è animus pur essendoci
volontà). L’animus, quindi è una condizione psicologica che si esprime sul corpus, ma non sempre
si può esplicare concretamente, va individuata e verificata di volta in volta.
Per acquisire valenza un mutamento della situazione possessoria deve essere caratterizzato da
una manifestazione in maniera chiara del cambio di interesse, mostrare in modo inequivocabile
la condizione psicologica del possessore. Dal punto di vista soggettivo per i romani l’espressione
dell’intento di possedere va al di là della materialità e del proprio comportamento.
La giurisprudenza ha dimostrato che le vicende della possessio non sono sempre determinate da
una parallela presenza del corpus e dell’animus, considerando che nel tempo il primo elemento
può anche venire meno (si mantiene la volontà di essere possessore ma materialmente non si ha la
disponibilità del bene, cosa che non era accettata in età preclassica). I tempi hanno richiesto
questa evoluzione della possessio: l’originaria disciplina consente di far possedere ad altri che
agiscono in nome mio ma devono essere necessariamente sottoposti (es. servo, figlio, liberi in
mancipio…).
FONDAMENTI ROMANISTICI DEL DIRITTO EUROPEO
In età post-classica, si allarga la possibilità anche agli estranei, prevedendo anche la possibilità di
possedere anche attraverso un procuratore.
In realtà per individuare la signoria di fatto della possessio, la res facti non è da verificare se ci sia
buona o cattiva fede.
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Possesso alieno-nominem: è un possesso generale che indentifica possesso specifico a nome di
altri.
Possesso anomalo quando ci sono situazioni particolari: si ha in disponibilità un bene senza
volontà. Un esempio che possiamo fare è quando in sede processuale, nella contesa di un bene
quando il convenuto non accetta le posizioni di chi lo accusa, l’oggetto è affidato ad un terzo
affinché si custodisca in attesa della decisione (es. altre situazioni sono deposito o credito
pignoratizio).