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Istituzioni Diritto Romano - Manfredini

Istituzioni di diritto romano (Università degli Studi di Ferrara)

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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

PERIODI DELL’IMPERO ROMANO


ETA’ REGIA (754 AC – 510 AC) monarchia più assemblea
ETA’ REPUBBLICANA (510 AC -27 AC) assemblea e comizi, magistrati e pretori, senato
ETA’ DEL PRINCIPATO (27 AC – 285 DC) Ottaviano il primo princeps e il senato
ETA’ DEL DOMINATO (285 DC – 565 DC) Diocleziano, Costantino, Giustiniano
SECONDA PERIODIZZAZIONE
ETA’ ARCAICA (754 AC – 367 AC) diritto chiuso e di stampo agricolo pastorale
ETA’ PRECLASSICA (367 AC – 27 AC) si crea il pretore urbano
ETA’ CLASSICA (27 AC – 285 DC) Da Augusto a Diocleziano, Caracalla nel 212 estende
la cittadinanza romana anche alle provincie
ETA’ POSTCLASSICA (285 DC – 565 DC) influenza del cristianesimo, Giustiniano chiude
il periodo.

fonti del diritto privato (fatto giuridico che in un dato periodo storico è stato giudicato
idoneo a produrre norme vincolanti)
Diritto Privato (diritto tripartito):
1) Diritto Civile (proprio degli abitanti di una data città)
a) Scritto: costituito da legge, senatoconsulti, costituzioni imperiali, editti,
responsi dei giuristi e dei magistrati. Schema classificatorio già noto ai
giuristi classici ma privo di prospettiva storica, ricalca una concezione detta
“leggicentrica”
b) Non Scritto: fondamentalmente trattasi di consuetudine, i “costumi durevoli
comprovati dal consenso degli utenti imitano la legge” da Giuliano: la
consuetudine ha la stessa sostanza della legge, ne prende il posto quando
questa manca ad essa non può opporsi ma solo concorrerne alla
abrogazione in forma di desuetudine.
2) Diritto delle Genti (obbedisce ad esigenze di natura ma è proprio solo della razza
umana, è custodito presso tutti i popoli, ne fanno parte istituti come la schiavitù e
tutti i contratti come la compravendita)
3) Diritto Naturale (la natura insegna a tutti gli esseri viventi indistintamente, destinato
all’immutabilità e, per definizione, aequum et bonum)
FONTI IN EPOCA ARCAICA
a) Mos e interpretatio prudentium
Costumanze, abitudini tramandate di padre in figlio, sistema “sorto da sé, come la
lingua”, regole rivelate dai giuristi, i prudentes della giurisprudenza. In quest’epoca i
detentori ufficiali di questo sapere erano i sacerdoti. Comandi e sanzioni
appartenevano indistintamente alla sfera di fas (religione) e ius (diritto). I pontefici
interpretavano il diritto, la loro interpretazione non era semplice spiegazione (letterale,
analogica, restrittiva...) ma propriamente costitutiva di norma, creativa di atti giuridici. Il
diritto è dominato da un rigido formalismo orale, gli effetti giuridici dipendono dalle
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formule degli atti e da come vengono pronunciate, l’obbligazione sorge per la forza
creatrice delle parole solenni.
b) Lex
Non si trattava di leggi proposte dal re e votate dal popolo ma di provvedimenti del re
ricevuti dal popolo. Il potere “deliberativo” fu riconosciuto al popolo solo verso la fine
dell’età monarchica se non nella metà del V secolo. In questo periodo si colloca anche
la stesura della legge delle XII tavole. Essa costituì la scrittura e quindi
l’ufficializzazione del diritto non scritto esistente.

FONTI IN EPOCA PRECLASSICA

a) Ius
Continuavano ad essere in vigore gli antichi mores. Si riscontrano notevoli novità in
campo di Diritto Civile:
 Laicizzazione del diritto: sul finire del IV secolo nasce l’esigenza di tenere separata
la sfera religioso-sacrale da quella giuridica. Si spezza la credenza monolitica ai
segni divini e l’uso spregiudicato della religione come strumento di governo, di
conseguenza:
 Monopolio del sapere giuridico: passa in mano a dei laici, comuni cittadini esperti
in diritto che indirizzano la loro attività secondo 2 direttrici: a) danno pareri e
consulenze su casi pratici sottoposti dai cittadini e b) studiano il diritto e lo
elaborano scientificamente, iniziano un’attività di riflessione teorica sistematica.

b) Lex
Le leggi aumentano di numero, colmano vuoti normativi sorti da nuove esigenze
sociali, alcune limitano diritti soggettivi patrimoniali, in ogni caso si spingono fino al
punto di dettare limiti ma non prevedono conseguenze quando questi siano superati. Si
tratta, secondo una tarda riflessione, di leges imperfectae o minus quae perfectae. Ciò
esprime una inferiorità della lex rispetto al ius.

c) Praetor
viene istituita nel 367 una nuova magistratura: quella del pretore urbano col compito
di risolvere le controversie nate fra privati. Questa funzione inizia a svolgersi per mezzo
dell’editto: il pretore entrante pubblicava un elenco dei mezzi giuridici che intendeva
accordare ai privati interessati con valenza annua a tutela di interessi già riconosciuti
dallo ius civile (actionis in ius conceptae),di interessi non ancora protetti (actionem in
factum, utiles ad exemplum) o in antitesi con lo ius civile (actiones ficticiae,
exceptiones). Il pretore successivo poi modificava, aggiungeva, tagliava a
seconda delle mutate esigenze sociali. In questo modo lo ius civile è a) aiutato,
riconosciuto b) integrato, completato nelle sue lacune normative per situazioni
giuridiche soggettive nuove e c) corretto, aggiornato. A seguito della tendenza diffusa
di alcuni pretori di “navigare a vista” valutando caso per caso fu emanata nel 67 a.C. la
lex Cornelia che induceva i pretori ad attenersi almeno alle proprie prescrizioni annuali.

d) Ius gentium
Nell’età dell’espansionismo emergono nuove esigenze giuridiche da parte di stranieri o
non cittadini romani, a questi furono concessi istituti quali la stipulatio o la traditio. in
questo caso parliamo di ius gentium con riferimento particolare a quella parte del
diritto alla quale hanno accesso gli stranieri.

e) Aequitas et fides
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Alcuni valori morali assumono rilevanza giuridica, si tratta di:


 Aequitas: uguaglianza, diventa ricerca costante, tensione continua di tutte le
fonti del diritto “ius est ars boni et aequi”
 Fides: fedeltà alla parola data, si tratta di un valore centrale e profondamente
radicato nella cultura romana antica, è buona opinione supporre che numerose
figure fossero in origine semplici accordi ignorati dallo ius la quale forza
vincolante era proprio nella fides.
FONTI EPOCA CLASSICA
Dopo la fiorente legislazione di età Augustea decadono le assemblee popolari come
metodo di produzione delle leggi

a) Responsa prudentium
I giuristi in quest’età rappresentano i veri protagonisti dell’intero fenomeno giuridico:
 Con Augusto nasce la figura del giurista autorizzato all’attività rispondente, i
responsi vincolano le decisioni del giudice, i giuristi entrano a far parte
ufficialmente delle fonti di diritto.
 Prendono parte stabilmente al consiglio del principe e riescono ad indirizzare
la politica legislativa dell’impero collaborando così al raccordo tra fonti di
produzione.
 Svolgono una massiccia attività scrittoria riportando per iscritto leggi,
senatoconsulti, editti del pretore, raccolte di casi veri, fittizi e tipizzati,
trattazioni e manuali di istituzione.

b) Senatoconsulti
In questo periodo, forse per bilanciare la caduta del peso politico di questo importante
organo costituzionale, le deliberazioni del senato assumono una forza normativa più
accentuata. Con la progressiva affermazione dell’assolutismo del princeps i
senatoconsulti finiranno per diventare semplici prese d’atto di decisioni di quest’ultimo.

c) Costituzioni imperiali
Si tratta di atti emanati dal principe legislatore principalmente in forma di:
 Epistole e rescritti: lettere di risposta ai quesiti inoltrati da figure istituzionali
(governatori delle province...) o da privati. In quest’ultimo caso il principe risolve
la situazione sul punto di diritto, presupponendo che i fatti riportati
corrispondano alla realtà, i responsi hanno valore di precedenti, si applicano
cioè a tutti i casi analoghi.
 Editti: sotto Adriano il giurista Giuliano viene incaricato di redigere un testo
definitivo dell’editto, si pone nel silenzio una delle più alte voci del diritto romano
e si blocca quel processo di continua evoluzione di questo mezzo ma allo stesso
tempo inizia il processo di integrazione fra diritto civile e pretorio.

FONTI EPOCA POSTCLASSICA


a) Leges
L’assolutismo che caratterizza questo periodo determina che l’imperatore sia l’unica
fonte del diritto e il solo interprete delle norme. Le costituzioni imperiali assumono il
rango di fonti primarie. Teodosio II promuove la raccolta delle leggi generali emanate
da Costantino in poi nel Codice Teodosiano.

b) Iura

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Il diritto privato si mantiene legiferato dalle cosiddette Iura (principalmente responsi di


giuristi classici) ma l’imperatore interviene comunque in questo campo al fine imporre il
suo assolutismo: nel 426 la cosiddetta legge delle citazioni (Valentiniano III) limita a 5 i
giuristi le cui sentenze possono essere prodotte in tribunale (Gaio, Pampiniano,
Paolo, Ulpiano e Modestino)

c) Consuetudo
Mantiene il suo carattere di fonte secondaria in quanto non può vincere la ratio e la lex
(non può andare contro i principi generali del diritto e della legge scritta) e colma le
lacune di quest’ultima.

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Nozione di Diritto:
in senso OGGETTIVO: complesso delle norme giuridiche (norma di principale derivazione
statale che ha come fine ultimo la conservazione dello Stato e delle
sua autorità e provvista di una sanzione per i trasgressori) a seconda
del suo campo di applicazione si distingue in:
1) PUBBLICO: rivolto allo Stato ed alla sua organizzazione
2) PRIVATO: rivolto all’utilità dei singoli, tripartito:
a) Delle genti
b) Civile
c) Naturale
3) SINGOLARE: va contro la ragione ma è stato introdotto per
necessità. La ragione esige norme generali ed uguali
trattamenti quindi un diritto di portata generale, l’utilità invece
impone delle differenze per persone o categorie.

in senso SOGGETTIVO: il potere (la pretesa) che un soggetto ha di esigere un certo


comportamento da parte di altri. A seconda dei soggetti sui quali
ricade questo obbligo si distingue in:
1) ASSOLUTO: erga omnes di fronte a tutti, il potere è quello di
pretendere da tutti i consociati un comportamento negativo, di
non interferenza con il godimento di questo diritto
2) RELATIVO: di fronte ad una determinata persona alla quale è
richiesto un preciso comportamento

Nozione di fatto e atto giuridico:


dicesi di qualsiasi avvenimento dal quale verificarsi deriva un effetto giuridico, può trattarsi
FATTO) di un accadimento NATURALE quale la morte (istituzione di eredi) o la nascita
(acquisizione di capacità giuridica) o
ATTO) di un atto VOLONTARIO distinguibile in atto: illecito o lecito (si distingue il
negozio giuridico che si definisce come la manifestazione della volontà diretta a
raggiungere determinati effetti che l’ordinamento riconosce o garantisce). I negozi giuridici
si distinguono in:
a) A effetti reali: idonei a costituire diritti reali (mancipatio, in iure cessio, traditio…)
b) A effetti obbligatori: costituiscono obbligazioni, debiti e crediti (stipulatio o contratti
in genere)

Nozione di soggetto di diritto e capacità giuridica:


un soggetto di diritto è un’entità fisica alla quale è riconosciuta la titolarità di diritti ed
obblighi ovvero la capacità giuridica, intesa appunto come la capacità di essere titolari di
diritti ed obblighi.
I soggetti di diritto in dottrina sono detti persone e si distinguono in:
a) Persone fisiche: individui o persone giuridiche
b) Enti
A differenza di ciò che accade oggi dove un individuo nasce e acquista da subito piena
capacità giuridica, in epoca romana un individuo giuridicamente pienamente capace
doveva possedere 3 status:
1) Status libertatis
2) Status civitatis
3) Status familiae

Doveva essere libero cittadino non sottoposto a potestà altrui (alieni iuris) ma sui iuris.
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Condizione principale per l’acquisizione di diritti era la nascita: i figli nati da


 UNIONE LEGITTIMA acquistano lo status del padre al momento del concepimento
 UNIONE ILLEGITTIMA acquistano lo status della madre al momento del parto (a
seguito della legge Minicia stabilì che nasceva straniero il figlio illegittimo di almeno
un genitore straniero).
In sostanza nasce libero chi è generato tramite unione legittima da due genitori liberi o da
unione illegittima da una madre libera.
In ogni caso lo status non è immutabile, la capacità può subire cambiamenti in termini di
perdita o minorazione. Questo fenomeno è detto
Capitis deminutio
a) Maxima (il soggetto perde la libertà: implicitamente la cittadinanza –condanna a
morte, ai lavori forzati a vita-)
b) Media (il soggetto perde la sola cittadinanza –condanne penali come la
deportazione o i lavori forzati di minor gravità-)
c) Minima (variazione nello stato di famiglia – alieni iuris o sui iuris transitano ad
un’altra famiglia, rispettivamente si parla di adoptio o adrogatio-)
Inoltre, era riconosciuta capacità giuridica anche alle corporazioni:
a) di diritto pubblico (populus romanus, municipiae, coloniae)
b) di diritto privato (corpora e universitates)
le corporazioni erano molto diffuse nel mondo romano, oltre a quelle dei mestieri vi erano
quelle di mutua assistenza e a scopo religioso.

Per capacità di agire invece si intende propriamente l’attitudine a compiere atti giuridici,
tra cui gli atti di disposizione del proprio patrimonio. La piena capacità di agire è
riconosciuta ai soggetti pienamente capaci giuridicamente (liberi, cittadini e sui iuris) che
siano al tempo stesso maschi puberi e non infermi di mente.
Il soggetto impubere maschio (fino a 14 anni) e femmina (fino a 12 anni) per compiere
molti atti necessita dell’autorizzazione del tutore. Il soggetto femminile poi ancorché dotato
di piena capacità giuridica, pubere e sano di mente necessita comunque di un tutore,
diverso da quello degli impuberi, che ne autorizzi gli atti più importanti. Il soggetto insano
mentalmente (furiosus o prodigus) si avvale delle decisioni di un curatore che agisce al
posto suo. Situazione particolare è quella dei soggetti con limitata capacità giuridica come
i figli di famiglia (alieni iuris) o i soggetti privi di capacità giuridica come i servi che possono
concludere negozi o compiere atti patrimoniali i cui effetti ricadano in capo agli aventi
potestà solo quando questi ne ricavino un vantaggio.

Sistema negoziale romano


Dall’epoca arcaica fino all’età preclassica è caratterizzato da un rigido formalismo orale.
La volontà negoziale è tramandata “cum certis et solemnibus verbis”. Si rintracciano 3
schemi negoziali fondamentali:
1) Gesta per aes et libram
2) In iure cessio
3) Stipulatio

1. Gesta per aes et libram


Atti che hanno in comune la pesatura di metallo (rame o bronzo) compiuta da un pesatore
(libripens) con una bilancia (libra). In un primo momento, quando la merce di scambio è
costituita dal metallo, la pesatura è effettiva, in seguito, con la diffusione della moneta
coniata, questa diventerà simbolica. Si collocano in questo sfondo atti come

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a) Mancipatio b) Nexum e c) Solutio per aes et libram


a) Mancipatio
Vendita delle cosiddette res mancipi (costituiscono un catalogo chiuso: fondi italici,
schiavi e animali da soma o da carico). Si svolge alla presenza di numero 5
testimoni (maschi e puberi), di un pesatore e di una bilancia.
Il venditore (mancipio dans) porta con sé il bene (o una parte simbolica di esso se
questo è ingombrante o immobile).
Il compratore (mancipio accipiens) pronuncia le parole solenni e offre in cambio il
prezzo.
L’effetto prodotto è quello dell’immediato trasferimento della proprietà anche se non
vi è stato il trasferimento del possesso. L’atto che ha effetti reali, produce un diritto
assoluto. Con l’introduzione della moneta la pesatura diviene simbolica e l’atto
perde il suo carattere di vendita per assolvere alle necessità di trasmissione della
proprietà qualora non ci sia una richiesta di corrispettivo (donazione, costituzione di
dote...).
Lo schema di vendita immaginaria della mancipatio dopo l’avvento della moneta ha
ispirato alcuni negozi fra cui:

 Coemptio
Produce l’acquisto della manus sulla moglie ma anche il particolare di tipo di
mancipium sui figli altrui o, in generale, sui sottoposti soggetti a manus in
capo a soggetti diversi dal pater familias di appartenenza. È impossibile
stabilire se la vendita fosse vera e propria o solo simbolica ma è buona
opinione credere che la vendita di soggetti non in stato di schiavitù fosse
assai diffusa in età arcaica. Nella legge delle XII tavole si stabiliva che un
figlio venduto 3 volte dal padre fosse libero, solo in seguito i giuristi hanno
costruito l’istituto della Emancipatio.
 Mancipatio familiae et testamentum per aes et libram
Un ereditario mancipava i suoi beni ad un fiduciario e gli indicava come
disporre di essi dopo la sua morte, il fiduciario assolve alla funzione
importantissima di consentire la piena realizzazione della volontà
dell’ereditario dopo la sua morte.

b) Nexum
Arcaico atto per aes et libram, le parti sono costituite da chi presta e da chi riceve
un prestito, il metallo pesato costituisce l’oggetto del prestito.
L’atto produce effetti obbligatori, chi riceve ha un debito e chi cede ha un credito. La
diffusione della moneta ha verosimilmente decretato la scomparsa di questo tipo di
negozio.
c) Solutio per aes et libram
Un creditore dichiara di pagare e avviene la pesatura del metallo corrispondente al
valore del debito. Non si tratta di un atto costitutivo né di obbligazioni né di diritti
reali ma di un atto estintivo di debito o obbligazione (derivata da sentenza passata
in giudicato o da istituzione di legato per damnationem in sede testamentaria ad
esempio).

2. In iure cessio

Presuppone un cedente e un cessionario, assolve al trasferimento di proprietà di alcuni tipi


di cose, si svolge davanti al magistrato.
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Il cessionario proclama (sempre con formule precise) la proprietà del bene.


Il cedente, interrogato dal Magistrato, acconsente o tace.
Un ulteriore impiego aveva luogo nella cosiddetta manumissio vindicta, con la quale si
concedeva la libertà ad uno schiavo. Un pubblico personaggio, detto adsertor libertatis,
proclama la libertà dello schiavo, il padrone interrogato dal Magistrato acconsente.

3. Stipulatio
La struttura è quella della domanda e della risposta. Chi fa la domanda è il futuro
creditore chi risponde alla domanda è il futuro debitore, si tratta pertanto di un atto ad
effetti obbligatori tutelato da a. in personam (a. ex stipulatio). Tra i negozi con identico
schema si ricordano:
 Sponsali
Il fidanzamento si ufficializzava con un accordo tra i genitori degli sposi che
si impegnavano a pagare in caso di mancato mantenimento una penale.
Queste obbligazioni erano sanzionate con l’a. ex sponsu.
 Acceptilatio
Negozio in forma dialogica estintivo di debito derivato da stipulatio.

Aspetto interessante è il cosiddetto fenomeno dell’economia dei mezzi giuridici: gli antichi
romani per affrontare le nuove esigenze negoziali tendono ad adattare schemi antichi,
segno di una forte propensione alla conservazione dell’esistente, all’osservanza della
tradizione.

L’espansionismo porta con sé un forte mutamento nella mentalità romana e una


consecutiva apertura mentale rinnovando esigenze di praticità e razionalità.

Il sistema negoziale, meccanico e poco fluido venne presto in odio e inizia una rivoluzione
che vede come protagonisti la figura del pretore, la giurisprudenza e la pratica.

Il Pretore riconosce il testamento per aes et libram anche se vi sono vizi di forma
purché vi sia un documento suggellato da numero 7 testimoni (nasce il cosiddetto
testamento pretorio).
Riconosce protezione al soggetto che abbia acquistato il possesso ma non la
proprietà di un bene tramite traditio e risolve la sua situazione di precarietà
a) Con l’ a. publiciana : nel caso in cui fosse spossessato e dovesse recuperare
il bene
b) Con l’ exceptio rei venditae in caso il proprietario rivendicasse il possesso del
bene
Il pretore reagisce all’astrattezza, mancipatio, in iure cessio e traditio erano atti astratti,
ovvero la causa del negozio non era specificata, ma emergeva dalla struttura dell’atto,
questo tipo di negozio era efficace anche se la causa veniva meno o era illecita. In ambito
di stipulazione ad esempio se un padre prometteva a titolo di dote un fondo al
fidanzato della figlia questo, qualora il matrimonio non si facesse, poteva comunque
reclamare il fondo anche se la causa era venuta meno. Il pretore soccorre il malcapitato
genitore e ritenendo ingiusto l’adempimento all’obbligazione gli concedeva
 Exceptio doli qualora fosse chiamato in giudizio tramite a. ex stipulatu
 Condicio qualora volesse ripetere il bene ceduto

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Il giurista Giuliano in seguito suggerirà di considerare la promessa di dote come sottoposta


ad una condizione sospensiva tacita di matrimonio in modo da evitare speculazioni
ingiuste.
Comincia a farsi strada nella concezione romana giuridica l’idea della bona fides nella
valutazione degli impegni assunti dalle parti.

Il processo di svuotamento delle forme orali è da imputarsi all’avvento della scrittura e in


particolare alla compilazione delle parti di documenti probatori o instrumentum, con
funzioni di tutela di fronte a future contestazioni. Giustiniano in seguito presumerà la
compresenza delle parti in sede di stesura di un atto scritto.
A questo punto la decadenza del formalismo orale è segnata. La in iure cessio è poco
praticata ai tempi di Gaio e, decade la mancipatio ma solo Giustiniano abolirà la
distinzione fra cose mancipi e cose nec mancipi.

A questo punto però si afferma il formalismo della scrittura.


Questo nuovo strumento fa il suo ingresso nel panorama negoziale con funzione
integrativa, probatoria ma già nell’ultima età preclassica viene imposta come forma ad
substantiam per alcuni (ancora pochi) atti.
Si afferma, da Augusto, la scrittura per i codicilli (disposizioni di ultima volontà) e
soprattutto per i fedecommessi (disposizioni fiduciarie espresse sotto forma di preghiera).
Con Costantino l’atto di donazione deve avvenire in forma scritta e alla presenza di
testimoni
In materia di forma degli atti il principio adottato da Giustiniano è binario, a parte per gli atti
ove sia ad substantiam la forma scritta o richiesta la solennità orale. Le parti possono
optare per la forma scritta oppure no.

Si definisce il negozio giuridico come la manifestazione o dichiarazione di volontà diretta a


modificare, estinguere costituire rapporti giuridici. Il problema che viene posto ora
concerne una eventuale difformità tra dichiarazione e volontà.

In età antica, caratterizzata giuridicamente da un forte formalismo, la mancata o erronea


recitazione delle formule faceva si che l’atto non producesse gli effetti voluti o non li
producesse affatto (formalismo esterno); allo stesso tempo ininfluente doveva apparire la
non corrispondenza tra dichiarato e voluto (formalismo interno). Risale solo al periodo
dell’espansionismo il successivo cambiamento del rapporto fra dichiarazione e volontà:
prevalse l’idea che in caso di difformità dovesse prevalere la volontà rispetto alla
precedente dichiarazione, anche negli atti formali.

Casi di divergenza consapevole tra dichiarazione e realtà

Negozi conclusi per gioco: nulli perché non sorretti da volontà alcuna.
Simulazione assoluta: si mostra di volere un negozio ma in realtà non se ne vuole alcuno,
nel caso di una donazione simulata manca l’intenzione di donare.
Simulazione relativa: si mostra di volere un certo negozio ma in realtà se ne vuole un altro,
il negozio simulato è nullo (manca di volontà) mentre quello dissimulato è
valido a patto che esso non sia contro la legge.
Riserva mentale: negozio concluso fra 2 parti, una nella sua mente assegna alle parole
pronunciate dalla controparte significati e limiti sconosciuti a questa.
Il negozio è valido e prevale la forma della controparte e dei terzi.

Vizi della volontà


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In questi casi la volontà negoziale è correttamente dichiarata ma questa non è una volontà
spontanea, bensì indotta da a) errore b) violenza o c) dolo.

a) Errore
Consiste per chi lo compie in una errata rappresentazione della realtà e la sua
volontà negoziale si fonda su questa realtà. “si soccorrono coloro che errano, non
gli sciocchi” (Digesto Giustinianeo), solo gli errori “scusabili” producono la
nullità dell’atto e non quelli frutto di stoltezza. Fra questi, si distinguono:
 Error in corpore: fraintendimento sull’oggetto del negozio (tizio è convinto
di comprare un fondo e conclude il negozio Caio in realtà se riferiva ad un
altro).
 Error in negotio: fraintendimento sul negozio stipulato (Tizio è convinto di
concludere un contratto di donazione, ma Caio gli chiede un prezzo in
cambio poiché in realtà sta concludendo una vendita).
 Error in persona: fraintendimento della persona in capo alla quale ho
concluso il negozio o istituito un’eredità. (istituisco Tizio erede confondendolo
con Caio).
 Error in nomine: oggetti del negozio o dell’istituzione di eredità chiamati con
un altro nome ma ciononostante identificabili, quest’errore non è rilevante
giuridicamente.
 Error in substantia: fraintendimento della materia dell’oggetto del negozio
(Caio compra un oggetto d’ottone convinto che sia d’oro).
 Error in qualitate: fraintendimento riguardante il materiale dell’oggetto del
negozio e la sua qualità. (Caio compra un oggetto d’oro convinto che sia di
pregiata qualità e così non è)
 Falsa demonstratio: descrizione errata dell’oggetto del negozio, irrilevante a
patto che ne sia possibile l’ identificazione.
 Falsa causa (istituisco erede Tizio, convinto che egli sia stato il maestro di
mio figlio, ma così non è).
 Error in quantitate (in sede di contratto di locazione credo che il prezzo sia
10 in realtà è di 5 –privo di effetti- in sede di contratto di locazione credo che
il prezzo sia 5 invece è di 10 –nullità dell’atto-).
Le tipologie elencate finora riguardano solo errori di fatto, ovvero quegli errori che non
nuocciono a chi li compie, poiché comportano tendenzialmente la nullità dell’atto.
Nuocciono a chi li compie invece i cosiddetti errori di diritto, che riguardano cioè la
disciplina giuridica “nuoce l’ignoranza del diritto ma non l’ignoranza dei fatti” da questa
rigida massima sono esenti minori, donne (per la cosiddetta levitas animi) rustici e
soldati (per la poca attitudine ad intendere le leggi o per la scarsa opportunità di
conoscerla).
b) Violenza morale o “metus”
La violenza che può viziare la volontà contrattuale può essere di 2 tipi a) fisica o b) morale
a) Quando qualcuno ad esempio afferra la mano della controparte e lo costringe a
firmare, apporre un sigillo, sottoscrivere una dichiarazione. Per paradosso questo
caso non figura nelle fonti romane almeno finché non si diffuse la scrittura, da
questo momento i romani trattarono il caso come casa della nullità assoluta
dell’atto, per mancanza totale di volontà dichiarata della vittima.

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b) Propriamente ‘metus’ quando chi dichiara una volontà negoziale lo fa poiché ha


subito una minaccia, ha paura. In tarda età repubblicana il pretore attento interprete
delle mutate esigenze giuridiche e sociali, magari dopo aver concesso un rimedio
ad isolati tentativi sentenziò in un suo editto “io non ratificherò ciò che sarà stato
fatto per timore”. Di fronte ai primi casi di estorsione, il pretore sentenziò che l’unica
causa fosse la paura di un male. Per “metus” si intende la paura di un grande male
in un uomo non vacuo bensì fermo. In questi casi il pretore concede alcune
soluzioni:
1) Actio metus causa: la vittima ha già dato il bene in questione, gli spetta un
risarcimento pari al quadruplo del valore della cosa al momento della
consegna. L’azione è penale rivolta all’offensore (quindi in personam) che
può con clausola restitutoria o arbitraria liberarsi dell’obbligazione di risarcire
riconsegnando il bene. L’azione era valevole anche contro un eventuale
terzo che non avesse commesso violenza in prima persona ma traesse
vantaggio dal bene in questione.
2) Exceptio metus: la vittima non ha ancora dato il bene ed è citata in giudizio
per l’adempimento (a. empti), può eccepire la violenza ed essere mandato
assolto.
Nella dialettica tra ius civile e ius pretorio si realizza la moderna categoria del negozio
annullabile cioè che nasce invalido ma produce effetti fino a quando chi vi ha interesse
impugna l’atto e il giudice ne provoca l’annullamento.
3) Restitutio in integrum: la vittima è reintegrata nello stato in cui si trovava
prima della datio o del compimento dell’atto (rinuncia dell’eredità sotto
minaccia, reintegrazione della vittima ad agire e recuperare i beni come se
fosse erede; rinuncia ala proprietà sotto minaccia, reintegrazione della
vittima a proprietario e successivamente azione per la rivendica del
possesso) anche in questo caso era possibile agire contro un terzo no
responsabile della violenza ma che stava beneficiando del bene in
questione.

c) Dolo (‘dolus malus’)


Propriamente si intende il raggiro di una parte nei confronti dell’altra al fine di indurla in
errore. L’errore non è spontaneo ma indotto dalla frode. In linea di massima se l’errore
indotto è fra gli errori che provocano la nullità dell’atto (error in persona, in corpore..)
anche questo ne causerà la nullità, ma vi sono casi in cui un errore che non è
giuridicamente rilevante lo diventi se provocato da dolo altrui. Il pretore interviene in
favore di coloro che siano caduti in errore compiendo un negozio quando raggirati
dall’altro, poiché per il diritto civile questi negozi erano perfettamente validi con espedienti
come:
1) Actio de dolo: la vittima ha già compiuto la prestazione, l’attore del raggiro è
condannato penalmente a risarcire la vittima in danaro, se poi restituisce il bene
in questione il processo non va oltre.
2) Exceptio doli: la vittima non ha ancora compiuto la prestazione ed è chiamata
in giudizio, se prova la fondatezza del raggiro subito è assolto. In particolare
questo espediente ideato dal pretore si rivela particolarmente malleabile e
diventa uno degli strumenti più utilizzati in correctio iuris civilis.
Elementi essenziali, naturali ed accidentali
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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

Sono detti elementi essenziali quegli elementi del negozio mancando i quali l’atto
sarebbe nullo: volontà e manifestazione, causa (quando richiesta) e forma (quando
richiesta)
Sono detti elementi accidentali quegli elementi la cui presenza dipende solo dall’accordo
delle parti e non è vincolante ai fini della validità dell’atto: a) condizione b) termine e c)
modo
a) Condicio
Clausola contrattuale che tipicamente fa dipendere gli effetti di un atto
dall’avversarsi di un avvenimento futuro ed oggettivamente incerto. Si distingue in:
1) Condizione sospensiva: sospende gli effetti dell’atto i quali si produrranno
solo all’avverarsi della situazione stabilita. Classificabile in:
 Potestative: l’avverarsi dipende dalla volontà di una delle parti
 Casuali: l’avverarsi dipende dal caso o dalla volontà di un terzo
 Miste: l’avverarsi dipende sia dalla volontà di una delle parti sia dal
caso
Un’ulteriore classificazione è quella fra condizioni:
 Positive: l’avverarsi dipende da un “accadimento”
(Particolare rilevanza ha il caso della condizione potestativa
negativa, in casi particolari gli effetti si avveravano solo alla morte del
beneficiario con la conseguenza che il bene non gli sarebbe mai
stato disponibile. Con la cosiddetta Cautio Muciana si aggirava
questo problema consegnando il bene all’interessato nell’immediato
e facendo promettere a questo di riconsegnarlo qualora fosse venuto
meno alla condizione.)
 Negative: l’avverarsi dipende da un “non accadimento”
O ancora (produttrici della nullità dell’atto): illecite o turpi e impossibili
Categoria a sé stante è quella delle cosiddette condizioni improprie: che
possono essere inconsciamente certe e quindi produttrici di effetti
nell’immediato o inconsciamente impossibili quindi causa della nullità
dell’atto.
2) Condizione risolutiva: gli effetti dell’atto sono validi fino all’avverarsi della
situazione stabilita.

Esistono atti detti actus legitimi i quali non ammettono la condizione, il loro elenco è
impreciso e assai controverso, ma è buona opinione ritenere coincidessero con gli atti di
trasmissione della proprietà (mancipatio, traditio, in iure cessio).
L’atto sottoposto a conditio pendent è valido, esiste ma inefficace, l’obbligo di dare il diritto
a ricevere sono latenti:
la condizione si avvera (conditio extat), l’atto è valido ex nunc, e non ex tunc
(conclusione)
la condizione non si avvera (conditio deficit), l’atto è come se fosse mai concluso.

b) Dies (termine)
Clausola per la quale gli effetti di un atto dipendono dal verificarsi futuro ma certo di
un avvenimento. Si distinguono termini

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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

1) Sospensivi (a quo): giuridicamente più rilevante e tutelato, chi paga bene


(ovvero prima dello scadere del termine) non può ripetere in quanto il termine
non da incertezza di avvenimento.
2) Risolutivi (ad quem)

Esistono atti che non ammettono termine.


Si pone il problema di identificazione del termine quando questo non è espresso
sotto forma di data e può essere confuso con la condizione. La tradizione degli studi
in questo campo ha individuato 4 casi; 2 di termine improprio (a) e 2 di termine
proprio(b):
a) 1)Incerto il se, certo il quando (quando mia figlia compirà 15 anni…)
2)Incerto il se, incerto il quando (quando Tizio sposerà Gaia…)
b) 1)Certo il se, certo il quando (il 15 di marzo…)
2)Certo il se, incerto il quando (il giorno della morte di Tizio…)

c) Modus (modo)
Impone al beneficiario di un atto di liberalità (atto che porta un vantaggio al
destinatario senza corrispettivo in cambio) un determinato comportamento. Si dice che
il modus ordina ma non subordina, cioè il modo obbliga il beneficiario ad adempiere
alla richiesta ma non sospende gli effetti dell’atto. Per rendere cogente il modo gli
antichi romani non hanno istituito una regola generale ma hanno inventato soluzioni
caso per caso.
Rappresentanza
Fenomeno per cui la volontà negoziale sia prestata da persona (rappresentante) diversa
da quella nella cui sfera sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto (rappresentato).
Questo processo può essere disposto dalla legge (curator, tutor) o frutto di un semplice
accordo fra individui (mandatum, negotiorum gestio). Si distingue fra:
a) Rappresentanza diretta: il rappresentante agisce per nome oltre che per conto del
rappresentato, gli effetti dell’atto si producono direttamente nella sfera del
rappresentato.
b) Rappresentanza indiretta:il rappresentante agisce per conto del rappresentato ma
in proprio nome, gli effetti dell’atto si producono nella sua sfera per cui si renderà
necessario un ulteriore trasferimento al rappresentato sanzionato con l’a. mandati o
con l’a. negotiorum gestiorum.
In linea generale i Romani applicano la rappresentanza indiretta, ma esistono eccezioni
dove, per azione del pretore o naturale sviluppo dello ius civilis è riscontrabile qualcosa
che si approssima alla rappresentanza diretta. Alcuni casi:
a) Procuratore di tutti i beni
Gestore dell’intera attività patrimoniale di un dominus o di parte di essa sotto
mandato di quest’ultimo, perciò non va confuso con il falsus procurator che si
ingerisce spontaneamente della gestione di un patrimonio. Egli opera di norma
come rappresentante indiretto, fa acquisire direttamente solo la proprietà delle
cose nec mancipi e il possesso con traditio.
b) Tutore degli impuberi
Si configura anch’esso come rappresentante indiretto del pupillo, direttamente
acquista a questo solo la proprietà delle cose nec mancipi.
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c) Rappresentanza diretta introdotta dal pretore nel processo


Esistono anche figure di rappresentanti processuali che partecipano ad un
processo in qualità di convenuti o attori (cognitor e procurator ad litem, diversi per
costituzione ma pari circa gli effetti) e nei confronti dei quali viene pronunciata la
sentenza. A questo punto il pretore accorda al rappresentato l’ a. iudicati che fa si
che questo possa esigere in prima persona il pagamento della condanna da parte
del convenuto soccombente. Si crea così di fatto una rappresentanza diretta: il
rappresentato riscuote direttamente ciò che è stato riconosciuto al suo
rappresentante.
d) Azione istitutoria ed esercitoria del terzo creditore
Un exercitor prepone ad un’attività di sua proprietà un institutor. L’institutor
contrae un debito con un terzo, quest’ultimo può, con l’a. exercitoria concessagli dal
pretore, riscuotere sia dall’institutor che dall’ exercitor.
e) Figli di famiglia, servi e azioni di responsabilità aggiunta.
I figli sottoposti alla manus del pater erano soggetti a limitata capacità giuridica, gli
schiavi invece non ne avevano nessuna. Tuttavia per mezzo di questi soggetti, gli
aventi potestà potevano acquistare. Regola generale è che i sottoposti potessero
compiere atti vantaggiosi per i loro aventi potestà. Tuttavia l’actio exercitoria era
comunque valida così come i debiti contratti dai sottoposti che avessero un peculio
in libera administratio.
f) Prestito di danaro per conto di altri
È regola generale che chi è proprietario del danaro prestato posa ripetere i soldi
anche se assente al momento del prestito o ignorante del prestito.

Invalidità
Questo concetto esprime il fatto che il negozio non ha valore perché è nullo o
annullabile.
Un negozio nullo nasce morto, senza effetti. Chiunque vi abbia interesse può far valere la
nullità e la pronunzia del giudice in questo campo è meramente dichiarativa.
Un negozio annullabile è un negozio che nasce vivo, che produce i suoi effetti fino a
quando chi ne ha interesse non impugna l’atto di fronte ad un giudice che ne dichiara la
nullità, la sua è un’azione costitutiva.
Un negozio inefficace è propriamente un negozio che non produce effetti, il concetto
rimanda a quello di negozio nullo e di negozio annullabile qualora ne sia stata dichiarata la
nullità.
L’inefficacia nulla ha a che vedere con l’invalidità, è un negozio inefficace quello sottoposto
a condizione sospensiva o a termine iniziale ad esempio o ancora il testamento, inefficace
fino alla morte del testatore.
In diritto romano non esiste un concetto di annullabilità dell’atto teorizzato, ma nella
dialettica tra le due sfere normative: quella del diritto vero e proprio e quella dell’equità alla
quale si ispira l’attività del pretore, poteva darsi il caso che un atto perfettamente valido ed
efficace fosse posto nel nulla dal pretore perché ritenuto iniquo servendosi di exceptio,
restituito in integrum, denegatio actionis, azioni penali.

Persone nel diritto romano


I romani non conoscono il concetto moderno di persona come soggetto di diritto, il termine
indica soltanto la persona fisica. Le persone si dividono innanzitutto tra liberi e servi.
1) Liberi

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Lo status libertatis è condizione necessaria per la soggettività giuridica. Si è liberi


per nascita se si nasce da nozze legittime da genitori liberi o se si nasce da nozze
illegittime e la madre è di condizione libera al momento del parto. Il favor libertatis,
introdotto in seguito, rende libero il bambino che sia nato da una madre che sia
stata libera per un qualche momento durante la gravidanza. La libertà però si può
acquisire anche dopo la nascita, coloro che diventano liberi dopo essere stati
schiavi sono detti liberti, coloro che nascono liberi sono detti ingenui.
2) Servi
Non soggetti di diritto ma res mancipi, oggetti di diritti. Solo per il diritto naturale
sono uomini, per il diritto civile sono sottoposti ad un dominus ed alla sua potestas
esercitata come ius vitae ac necis. Questo status conoscerà gradualmente
condizioni più umane con la creazione di numerosi istituti giuridici a tutela degli
schiavi.

Le cause della schiavitù sono molteplici:


 Nascita
 Capitis deminutio maxima causata da:
 Pena capitale
 Condanna ai lavori forzati a vita
 Prigionia di guerra: riguarda anche i cittadini romani che sono fatti
prigionieri all’estero, essi perdono ogni diritto al momento della cattura,
vengono reintegrati nella loro condizione precedente solo se rientrano in
patria (postliminium). In seguito per consentire la successione ereditaria al
prigioniero di guerra morto in stato di schiavitù fu introdotta la fictio che ne
simulava la morte al momento della cattura.
 Senatoconsulti o costituzioni imperiali: SC. Claudiano che sancisce lo
stato di schiavitù per la ingenua che sia stata diffidata 3 volte da una
relazione con uno schiavo.

L’attività patrimoniale dello schiavo


Essendo considerato un oggetto e non un soggetto di diritti non ha né diritti né
obblighi, tuttavia di fatto compiono atti giuridici gli effetti dei quali non possono
ricadere su di loro ma eventualmente sul loro dominus. Gaio dice ‘attraverso i servi
la condizione del padrone può essere migliorata e non peggiorata’, gli effetti
dell’atto si producono nella sfera del padrone solo se vantaggiosi. Particolare è la
situazione del servo dato in usufrutto: gli effetti dell’atto da lui concluso si producono
nella sfera dell’usufruttuario e non del proprietario.
Con l’espansionismo poi sempre più frequentemente gli schiavi sono preposti ad
attività commerciali o come capitani di navi, diventano institutor per conto
dell’exercitor. Nascono le azioni di cui si è già parlato in tema di “rappresentanza” al
fine di riscuotere direttamente dal dominus.
In parallelo si diffonde l’uso di concedere agli schiavi dei beni in libera administratio.
Il cosiddetto ‘peculio’ può essere concessione del dominus o frutto dei risparmi del
servo che non ne detiene ne la titolarità ne il punto di diritto, ma la disposizione. Il
pretore concede l’a. de peculio ai creditori di uno schiavo provvisto di peculio
direttamente nei confronti del padrone che abbia espressamente autorizzato il
servo. Il complesso di azioni che responsabilizzano civilmente il padrone di uno
schiavo responsabile naturalmente prende il nome di “azioni di responsabilità
aggiunta”.

I delitti commessi dagli schiavi


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In materia di delicta si sviluppa nella concezione romana l’obbligazione per


l’offensore di pagare una pena pecuniaria (che ha appunto carattere di pena e non
di risarcimento!) nei confronti dell’offeso. Se il delitto è commesso da uno schiavo
o, in generale da un sottoposto a potestas, superato il momento della vendetta
(esercitabile illimitatamente), si fissa la regola che l’obbligazione sorga in capo al
suo padrone. Egli può liberarsene a) pagando la cifra imposta o b) con noxae
deditio un istituto che permette di emancipare lo schiavo e consegnarlo all’offeso
(questa pratica cade in disuso per i figli a seguito di un editto di Giustiniano). La
noxae deditio non libera il padrone qualora egli sia consapevole del delitto.
L’obbligazione inoltre è in capo al proprietario dello schiavo al momento dell’azione
in giudizio e non al momento della commissione del delitto.

3) Liberti
Lo schiavo che acquista la libertà. Questo passaggio è possibile anzitutto attraverso
manomissioni. Si considerano di seguito le 3 tipologie delle cosiddette
manomissioni civili che attribuiscono la cittadinanza oltre che la libertà.
1) Manumissio censu: il padrone iscrive il servo nelle liste dei cittadini in occasione
del censimento.
2) Manumissio testamentu: il padrone dispone la libertà del servo nel suo
testamento, con efficacia per dopo la morte. Per Giustiniano, uno schiavo
istituito erede è implicitamente liberato.
3) Manumissio vindicta: davanti ad un magistrato un pubblico assertore proclama
la libertà del servo nelle forme della ‘in iure cessio’, il padrone non controbatte o
acconsente. In età giustinianea questo istituto non dovrà più obbligatoriamente
svolgersi in iure ma si riduce ad una dichiarazione informale del padrone anche
in sede diversa da un tribunale.
Esistono poi le cosiddette manomissioni pretorie, dichiarazioni del padrone
rilasciate senza solennità come la manumissio inter amicus (pronunciata in una
conversazione fra amici) o la manumissio per epistulum (pronunciata in uno
scritto epistolare).
Questo tipo di manomissioni, almeno in un primo momento non hanno alcuna
rilevanza di attribuzione né della cittadinanza né della libertà. Lo schiavo può
comportarsi come libero ma non è riconosciuto tale giuridicamente. Il primo passo
per la ufficializzazione di queste forme è stato fatto dal pretore che ad esempio si
opponeva al padrone che volesse vindicare in servitutem lo schiavo liberato
informalmente. La lex Norbana poi gli riconobbe lo status di latinii coloniarii (non
cittadini) che morivano schiavi in quanto i loro beni tornavano al padrone. Solo in
età Giustinianea queste manomissioni furono pienamente ufficializzate.
Compaiono poi nuovi tipi di manomissione tipici della nuova religione cristiana: a
partire da Costantino si diffonde la m. in sacrosanctis eclesiis ove il padrone
dichiara informalmente di liberare lo schiavo dinnanzi alla comunità cristiana e al
vescovo, mentre ai chierici era consentito liberare gli schiavi con semplici
dichiarazioni di volontà. Ancora si ammette che basti stracciare dinnanzi a testimoni
i documenti comprovanti lo stato servile del sottoposto.

I liberti dopo la manomissione acquistano di norma, cittadinanza e libertà e, con


esse il riconoscimento di una certa capacità giuridica. Nonostante ciò non sono
ingenui e, in quanto tali subiscono minorazioni in diritto pubblico e privato.
Augusto introduce il “diritto degli anelli d’oro” che permette ai liberti con questo
status di ricoprire cariche pubbliche.

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Viene introdotta la “restituzione dei natali” che equipara liberti e ingenui, Giustiniano
in seguito riconoscerà il diritto degli anelli d’oro a tutti i liberti.
Ma la più forte minorazione deriva dal diritto di patronato, che l’ex padrone
esercita nei confronti dell’ex schiavo. Questi è tenuto all’ossequio nei confronti del
padrone (tra l’altro non può citarlo in giudizio senza approvazione magistratuale), il
venir meno all’ossequio può spingere il padrone ad una accusatio ingrati liberti che
comporta la revoca della libertà. Inoltre i liberti sono tenuti alle operae, giornate
lavorative da prestarsi durante l’anno, possono essere officiales o artificiales e sono
promesse dallo schiavo prima della liberazione tramite giuramento o dopo tramite
stipulazione, l’inadempimento è sanzionato attraverso a.operarum. Al padrone del
liberto spetta la metà dei beni testamentari se quest’ultimo muore senza figli eredi,
a patto che egli non muova al liberto accuse capitali, pena la perdita della suddetta
pretesa testamentaria. Il rapporto di patronato si estingue alla morte del liberto,
i suoi figli nascono ingenui.
Si delinea nella legislazione una sempre più accentuata tendenza al favor libertatis,
ma mai neanche in epoca cristiana viene messa in discussione la schiavitù come
istituto.

Gaio distingue ancora tra persone sui iuris e alieni iuris. In un quadro di familia proprio
iure (famiglia in senso stretto, piccola, distinta dalla famiglia allargata) si distinguono:

soggetto sui iuris: pater familias

soggetti alieni iuris: a) figli (sottoposti alla patria potestas)


b) moglie (sottoposta alla manus)
c) persone libere (sottoposte al mancipium)
d) schiavi (sottoposte al dominium indifferentemente dalle cose)
a) Patria potestas
Si acquista solo sui figli legittimi, il contenuto di questo potere si esprime ius vitae
ac necis e quanto più si va indietro nel tempo tanto più questa espressione va
interpretata alla lettera (diritto di uccidere i figli se deformi, di venderli, di giustiziarli
di dare il consenso per le nozze o il fidanzamento). Via via lo Stato sottrae poteri al
padre, questi non può più giustiziare i figli per colpe gravi a meno che non si tratti di
una figlia colta in flagranza di adulterio. Nel tardo antico poi l’istituto di vita e morte
pare passato, ma solo in età cristiana l’infanticidio viene sanzionato.
La potestas si perde con la morte, per capitis deminutio maxima e media a
seguito della prigionia o della condanna o per capitis deminutio minima quando
un pater familias con la sua discendenza passa sotto la potestas di un altro pater
(adrogatio).
Inoltre per datio in adotionem: una pratica complicata che prevedeva 3
mancipazioni di un figlio ad un fiduciario e una successiva in iure cessio al padre
adottivo o per emancipatio.

b) Manus
Consiste nel potere del pater familias sulla moglie e sulle mogli dei figli. Non
discende meccanicamente dal matrimonio ma ha luogo mediante

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1) Coemptio: vendita prima reale poi immaginaria della donna, ricalca la struttura
della mancipatio
2) Confarreatio: cerimonia solenne religiosa in cui in momento centrale è
caratterizzato da offerte a Giove e dal consumo di una focaccia di farro.
3) Usus: autentica usucapione di cosa mobile, scaturiva dalla convivenza
ininterrotta per un anno, alla donna bastava uscire di casa per 3 notti
consecutive per interromperla
c) Mancipium
Potere esercitato dal pater su soggetti liberi, appartenenti ad altre famiglie che sono
caduti sotto la sua potestà per causa di vendita o a titolo di dazione a nossa,
perché avevano commesso un delitto. La loro situazione è di forte minorazione.

Esistono poi soggetti sui iuris che non sono necessariamente adulti, capi di un nucleo
familiare ma semplicemente bambini, emancipati o orfani del padre. Nel primo caso il
padre mantiene il tutorato sul figlio. Per ovvie ragioni questi soggetti hanno piena capacità
giuridica ma limitata capacità di agire.

Tutela degli impuberi


impubere è il bambino maschio che non abbia ancora 14 anni e femmina che non ne
abbia ancora 12.
L’istituto del tutorato si crea
a) Tramite dichiarazione testamentaria del padre (tutela testamentaria)
b) In assenza di assegnazione testamentaria, a favore dell’agnato più prossimo (tutela
legittima)
c) In assenza di assegnazione testamentaria, a partire dal 210 a.C. a favore di un
cittadino assegnato dal magistrato (tutela dativa)
La figura del tutore ha poteri enormi sul pupillo, non è concepita tanto per la protezione di
quest’ultimo quanto per la gestione del suo patrimonio. Si tratta di una funzione
esclusivamente maschile (eccezionalmente nell’ultimo periodo il tutorato era assegnato
alle madri vedove).
Circa la gestione del patrimonio:
 il pupillo non può compiere nessun atto fino al settimo anno di età
 egli può, da solo, dopo i 7 anni compiere atti di acquisto
 gli atti che comportano obbligazioni possono essere conclusi solo su autorizzazione
del tutore (auctoritas)
 è considerato rappresentante diretto nell’acquisto di cose nec mancipi e del
possesso
 è considerato rappresentante indiretto nei rapporti che generano crediti e debiti
i tutori sospettati di sottrarre beni pupillari sono puniti con l’ a. suspecti tutoris. Nei secoli
questo istituto grazie ad una fitta rete di azioni assume le sembianze di un istituto posto a
tutela dell’infanzia degli orfani di padre piuttosto che di un diritto agnatizio sul patrimonio
del pupillo.

Tutela delle donne puberi


La tutela mulierum è un istituto assai antico che trova le sue fondamenta nell’idea che la
donna fosse incapace di amministrare il suo patrimonio per la sua levitas animi, fragilità,
perciò dopo il compimento dei 12 anni al tutore degli impuberi subentrava un tutore
vitalizio. Essa può compiere atti ordinari altrimenti necessita dell’autorizzazione del tutore.
Il tutore poteva essere
a) l’agnato prossimo (tutela legittima)
b) designato nel testamento del padre (tutela testamentaria)
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c) attribuito dal magistrato (tutela dativa)


inizia ben presto un processo di svuotamento dell’istituto: Augusto accorda l’esenzione dal
tutorato alla donna che abbia partorito almeno 3 figli se ingenua e 4 se liberta, in età
costantiniana l’istituto scompare e la donna è giuridicamente capace al pari di un uomo.

Tutela dei minori di 25 anni


Istituto posto a tutela dei soli maschi puberi e usciti dalla tutela. Nasce con l’ampliamento
dei traffici commerciali e con le crescenti esigenze sociali. Il primo passo è compiuto dalla
lex Laetoria che stabilisce una sanzione pecuniaria per chi abbia concluso un negozio con
un minore di 25 anni raggirandolo o ingannandolo. Va specificato che si tratta di una legge
meno che perfetta poiché non influisce sulla validità del negozio stesso. Successivamente
il pretore concede una restituito in integrum o un’eccezione qualora il minore sia citato in
giudizio per un mancato adempimento. Per la duplice esigenza di tutelare i minori di 25
anni ed assicurare la controparte si sviluppa l’idea di affiancare un curator al soggetto,
inizialmente non obbligatorio, poi diventa obbligatorio (Marco Aurelio) ma scelto dal minore
salvo in alcuni casi in cui è imposto dal magistrato.

Tutela del furiosus e del prodigus


Per disposizione delle XII tavole il pazzo e lo scialacquatore sono sottoposti a tutela
agnatizia. In seguito per il pazzo si ammettono curatori testamentari o magistratuale .
Allo scialacquatore è assegnato un curatore dopo che è stato interdetto dal magistrato alla
fruizione dei suoi beni, gli è consentito esclusivamente compiere atti vantaggiosi.

Capacità patrimoniali dei figli


Questi soggetti se maschi hanno piena capacità giuridica sul piano del diritto pubblico ma
non su quello del diritto privato. Per i figli vale ciò che si è detto sugli schiavi, essi possono
solo migliorare la condizione del padre e non peggiorarla concludendo un negozio. Almeno
in origine le loro obbligazioni erano considerate naturali, ovvero la controparte poteva
riscuotere solo per spontaneo adempimento e non poteva citare in giudizio. I debiti
acquisiti dai figli in qualità di insitutores o magistri navis si producono nella sfera dei padri
(a. institutoria e exercitoria).
In età repubblicana si fa strada il principio secondo il quale i figli di famiglia possono
contrarre le cosiddette obbligazioni civili. Il creditore può far convenire in giudizio il figlio e
questi può stare a processo ed essere condannato in situazioni particolari poi egli può
agire in giudizio in suo nome e non in nome del pater.
In età augustea poi è riconosciuta piena disposizione (alienazione, testamento,
contrazione di obbligazioni civili) ai figli sul peculio castrense (l’insieme dei beni acquisiti
in qualità di milite, stipendio, bottino di guerra). Costantino poi fa un successivo passo
cercando di equiparare i peculi castrensi con tutti i beni acquisiti in generale per
un’occupazione privata del figlio di famiglia (avvocato, funzionario di palazzo,
ecclesiastico…), si tratta di peculi detti quasi castrensi, inoltre sottrae alla disponibilità del
pater quei beni lasciati al figlio dalla madre (bona materna).

La moglie in manus del marito


Dopo il corretto processo di assunzione della manus sulla moglie questa, se era sui iuris
perdeva il suo status e il suo eventuale patrimonio che veniva acquisito dal marito, mentre
se era alieni iuris soggetta per esempio alla potestas di un pater perdeva ogni legame
anche successorio con la famiglia precedente per subentrare come soggetto, sempre
alieni iuris, nella famiglia del marito. Esistono diversi modi per liberarsi della manus del
marito:
a) se questa si è costituita per mezzo di confarreatio, con un atto detto: difarreatio
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b) se questa si è costituita per mezzo di coemptio, con una remancipatio del marito al
padre della donna
c) con la morte del marito

Il matrimonio
Da Giustiniano, “il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna, consorzio di tutta la
vita,comunione di diritto divino ed umano”, questa definizione è contestualizzata solo in
età arcaica dove prevalgono costumi austeri e un forte senso del sacro. La legislazione
successiva fonda l’istituto del matrimonio principalmente sul consenso. Il consenso ad
essere marito e moglie è detto “affectio maritalis”, quest’elemento è talmente
indispensabile che almeno fino al’età post classica esso non doveva essere solo iniziale
ma duraturo, tant’è che la sua interruzione scioglieva quasi ipso iure il matrimonio. Fin da
epoca antichissima poi il fine ultimo del matrimonio è la procreazione, che diventa
esigenza statuale e propaganda demografica. Esistevano cerimonie e pubblici riti ma
questi non erano in alcun modo essenziali ne alla validità dell’istituto ne alla prova.
In età postclassica non cambiano motivazioni ne concezioni del matrimonio nonostante
l’avvento del cristianesimo, tuttavia il legislatore tardo imperiale impone delle solemnitates
matrimoniorum,determinate forme di celebrazione ad substantiam o ad probationem che
certificavano il matrimonio.
Il matrimonio romano è sempre caratterizzato dalla monogamia e dalla esogamia (fuori
dalla tribù di consanguinei). Fino all’età preclassica avanzata è un istituto cum manu,
poi diventa sine manu, la donna sposata mantiene la sua condizione iniziale precedente al
matrimonio.
Perché il matrimonio sia valido sono richiesti i seguenti requisiti:
a) età pubere degli sposi
b) assenso eventuale dell’avente potestà, consenso esplicito del maschio, tacito
assenso o mancata opposizione della femmina
c) connubio: capacità di contrarre matrimonio secondo diritto civile, esso manca nei
confronti di stranieri, schiavi, parenti e affini
e il rispetto dei seguenti divieti:
a) vietati i matrimoni fra individui con legami di parentela, in linea retta all’infinito, in
linea collaterale fino al sesto grado compreso (in età del principato la situazione è
profondamente mutata, sono concessi i rapporti tra zio e nipote figlia di fratello per
consentire il matrimonio tra Claudio e Agrippina)
b) vietati i matrimoni tra tutore e pupilla di competenza fino al rendiconto
c) vietati i matrimoni tra soggetti di rango senatorio e liberte
d) vietati i matrimoni tra ingenui e donne abbiette
e) vietate le nozze riparatrici in caso di ratto (a partire da Costantino)
molti di questi divieti sono destinati a decadere, gli imperatori post classici erano
consapevoli che questa fitta rete di divieti era la causa principale del concubinato e della
filiazione naturale, Giustiniano aprì nei confronti dei matrimoni fra liberte e senatori, tra
ingenui e malfamate e favorisce la legittimazione dei figli per conseguente matrimonio.
La legislazione matrimoniale augustea era volta poi ad incentivare le nozze tra i ceti più
alti e ad incrementare le nascite (punti c) e d)).
Era fatto obbligo a tutti gli uomini di sposarsi fra i 25 e i 60 anni e a tutte le donne fra 20
e 50 anni, quest’obbligo non poteva essere coercito, perciò si introdussero delle limitazioni
in fatto di lasciti: i celibi eredi potevano incassare solo se si sposavano entro giorni 100,
gli orbi invece incassavano solo la metà del lascito.
Ciò che non poteva essere acquistato passava ai coeredi con figli, ai legatari, ai
fedecommissari e infine allo Stato.
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Il matrimonio si scioglie:
a) con la morte di uno degli sposi
b) a seguito di prigionia (se il prigioniero ritorna il suo matrimonio non risorge per la
legge del postliminio ma il consenso deve rinnovarsi
c) per capitis deminutio maxima e media (condanna ai lavori forzati a vita e
deportazione)
Giustiniano ritarda lo scioglimento del matrimonio nei casi b) e c) di 5 anni.

Esistevano casi in cui lo scioglimento del matrimonio non era dettato dalle cause
precedentemente elencate ma dalla volontà di entrambi i coniugi (divortium) o per volontà
unilaterale (repudium). Alcune norme risalenti all’epoca di Romolo conferiscono al marito e
solo a lui la capacità di ripudiare la moglie per adulterio, per procurato aborto o per
possesso delle chiavi della cantina; il divorzio era dunque in origine innanzitutto una rarità
e una prerogativa esclusivamente maschile.
Solo con l’evoluzione sociale e la conseguente apertura mentale il divorzio divenne una
possibilità reale, si diffusero forme di divorzio orale (pronunciato davanti a testimoni) e
scritto.
In età tardo imperiale poi la concezione cristiana del matrimonio come legame
indissolubile genera una legislazione assai severa: Costantino riprendendo i codici di
Romolo introduce il concetto di divorzio illecito che non rispettasse alcune condizioni
particolari come la colpa dell’altro coniuge (somministratore di veleni, assassino, violatore
di sepolcri o adultero), si mantengono leciti i divorzi consensuali.
Tuttavia i divorzi illeciti erano comunque praticabili, dato che in questo caso gli effetti erano
validi, si subivano solo pene pecuniarie o più avanti la deportazione o l’internamento in un
convento. Si succedono nei secoli leggi che amplino o restringano le liste delle cause
colpevoli di divorzio.
Giustiniano poi stila un preciso elenco dove classifica i matrimoni (e quindi i divorzi) in 4
tipologie differenti:
a) quelli che si sciolgono per consenso comune
b) quelli che si sciolgono per una occasione ragionevole e son detti bona gratia
c) quelli che si sciolgono per una causa giusta
d) quelli che si sciolgono senza causa
nel primo caso a) il divorzio è lecito; nel secondo caso b) si fa riferimento a cause
incolpevoli quali la prigionia, la monacazione l’impotenza e il divorzio è lecito; nel terzo
caso c) il divorzio è lecito, ci si riferisce ai comportamenti colpevoli dell’altro coniuge che
Giustiniano elenca e classifica in
7 comportamenti femminili
1) attentato all’imperatore
2) attentato alla vita del coniuge
3) adulterio
4) andare al banchetto con altri uomini contro la volontà del marito
5) andare al bagno con altri uomini contro la volontà del marito
6) andare a spettacoli pubblici senza la volontà del marito
7) andare ad abitare da terzi che non siano i genitori
5 comportamenti maschili:
1) tradimento contro lo stato
2) attentato alla vita della moglie
3) tentativo di prostituzione
4) falsa accusa di adulterio

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5) ripetuto ed ostentato tradimento sotto lo stesso tetto ed anche fuori


nel quarto caso d) il divorzio è illecito ma efficace, comporta come si è visto gravi pene per
il ripudiante.
Il matrimonio produce effetti che sono personali e patrimoniali. Come si è notato nel
matrimonio romano uomo e donna non sono posti in posizione di parità; si sviluppò nel
tempo una tendenza che potremmo definire un vero e proprio favor mulieris volta a
migliorare la posizione della donna che trova il suo più sensibile interprete in Giustiniano.
Fra gli effetti di carattere personale si distingue la manus, come sappiamo è condizione
necessaria per la costituzione del legame del matrimonio ma non discende
automaticamente da esso. La moglie viene posta in condizione di agnata al pari dei figli di
un pater familias.
Nella concezione antica l’uomo non incorreva in accuse di adulterio a patto che
frequentasse donne di basso rango, veniva accusato invece se frequentava ingenue o
oneste. Fra marito e moglie inoltre non potevano intentarsi azioni infamanti quali quelle di
furto o d’ingiurie.

La dote
Complesso di beni che la moglie per dovere sociale portava al marito, poteva consistere in
cose mobili e immobili o addirittura in diritti (come usufrutto e credito). Poteva essere
acquisita secondo dotis datio -il costituente trasferiva la proprietà con i mezzi acconci
(macipatio, in iure cessio, traditio)- o promessa secondo dotis promitio – attraverso
stipulatio o dotis dictio (un atto solenne pronunciato solo dal promittente)-. Quanto alla
proprietà della dote, il marito era inizialmente unico proprietario e non aveva l’obbligo di
restituire in caso di scioglimento del matrimonio. In seguito prevalse una moderazione per
cui il marito era sì proprietario e percepiva i frutti del bene, ma era tenuto ad alienare il
bene solo sotto consenso della moglie ma soprattutto è imposto l’obbligo di restituzione
qualora il matrimonio si sciolga.
La dote contesa spetta alla moglie se essa è viva (quindi il matrimonio si è sciolto per
divorzio o capitis deminutio) o del padre di lei (se la donna è morta) qualora si tratti di dos
profecticia. Se invece si tratta di dos adventicia la dote spetta alla moglie in caso di
divorzio o morte del marito, in caso di morte della moglie spetta al marito. Una dos gravata
da clausola restitutoria in caso di scioglimento del matrimonio poteva essere reclamata
con a. ex stipulatu dal costituente e prende il nome di dos recepticia.

Inoltre esiste un complesso regime di trattenute (retentiones) che il marito può chiedere ed
ottenere in base all’equità. Ad esempio può trattenerne una parte per provvedere alle
esigenze dei figli (retentio propter liberos) o per i cattivi costumi della moglie (retentio
propter mores). Le ritenzioni però furono abolite da Giustiniano.
A questo punto mancipatio e in iure cessio sono ormai negozi desueti, la dote si
costituisce solo con traditio. L’azione per la restituzione inoltre diventa l’ a. de dote, essa
non si fonda più su un contratto vero ma su un contratto fittizio, il marito perde la proprietà
(che rimane ai costituenti) e diventa semplice usufruttuario. Il progressivo indebolimento
dei poteri del marito è presupposto per un progressivo tendere alla parità dei rapporti tra
uomo e donna.

Significativamente si afferma in età postclassica un nuovo istituto speculare rispetto alla


dote: la donazione nuziale. Si trattava in una specie di ‘controdote’ che il marito
consegnava alla moglie (differente sia per nome che per sostanza) prima delle nozze.
Essa come la dote aveva lo scopo di contribuire al matrimonio e inoltre faceva da garanzia

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in caso di una morte prematura del marito. Giustiniano in seguito ammetterà che questa
sia costituita anche durante il matrimonio o in condizioni particolari, dopo di esso.

Diritti delle cose


Gaio, nelle sue istituzioni opera una prima distinzione utile per l’impalcatura sistematica
della materia:
 res corporales : propriamente le cose tangibili, che si possono toccare e possono
essere oggetto di consegna, quindi di possesso, di usucapione e di proprietà
 res incorporales : propriamente i diritti stessi
in secondo luogo, ammesso che il concetto giuridico di res è quello di “bene”, è possibile
una ulteriore divisione in:
 res in patrimonio: ovvero quella cose che possono entrare nel patrimonio privato;
fra queste si distinguono:
 res privatae (res in commercio, res extra commercium)
 res extra patrimonium: ovvero quelle cose che non possono entrare nel
patrimonio privato, fra queste poi, si distinguono:
 res religiosae
 res sanctae dette anche res divini iuris
 res sacrae

 res communes omnium

una ulteriore divisione giuridicamente rilevante è quella fra


 res mancipi da Gaio: sono le cose che possono essere oggetto di mancipium,
esse costituiscono un catalogo chiuso formato da fondi situati su suolo italico,
schiavi ed animali da tiro e da soma.
 res nec mancipi
la divisione sottintende ad una diversa modalità di acquisizione della proprietà a titolo
derivativo: le cose mancipi possono essere acquistate inizialmente solo per mancipatio
(poi anche con in iure cessio) mentre le cose nec mancipi sono oggetto di semplice
consegna corporale (traditio) o al limite di in iure cessio. Questa tradizionale distinzione
distingueva inizialmente le cose più preziose da quelle meno preziose chiaramente in un
ambito strettamente agricolo e pastorale; tuttavia essa perdura nel tempo anche dopo il
notevole sviluppo socio-economico anche se progressivamente svuotata del suo
significato. A questo processo ha contribuito anche la cosiddetta proprietà pretoria
ovvero il riconoscimento che veniva accordato dal pretore alla proprietà delle cose
mancipi acquistata con traditio.

rilevante in materia di usufrutto è la distinzione fra:


 cose consumabili
 cose inconsumabili
in materia di mutuo invece la distinzione fra:
 cose fungibili
 cose infungibili

cose di genere: appartenenti ad una categoria più o meno ampia


cose di specie: specifiche, individuate sovente col loro nome proprio

cose divisibili: la cui partizione non ne distrugge l’utilità economica


cose indivisibili: se divise si distruggono
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cose semplici: contenute in un solo spirito, che costituiscono una unità naturale
cose composte: constano di parti tra loro contingenti, coerenti
cose complesse: constano di parti tra loro distanti ma interdipendenti

cose mobili: non inerenti al suolo


cose immobili: inerenti al suolo

Fra i diritti reali, ovvero quelli che conferiscono un immediato potere sulla cosa e sono
validi erga omnes, primo fra tutti viene il diritto di proprietà. Va specificato che i romani
non conoscevano un solo tipo di proprietà ma ne distinguevano 3 diversi:

a) proprietà civile
b) proprietà pretoria
c) proprietà provinciale

a) così detta perché solo il cittadino la può avere, ha come oggetto tutte le cose mobili e
delle cose immobili solo quelle situate sul suolo italico
b) si riferisce a quei beni di cui si è solo possessori, la proprietà viene assicurata dal
pretore
c) avente come oggetto i fondi provinciali ottenuti tramite pagamento di una imposta
a partire dal periodo classico inizia il processo di unificazione della proprietà che si avvia a
tornare unica sotto il nome di dominium.

La proprietà civile
La proprietà civile come qualsiasi dritto patrimoniale era riconosciuta solo ed
esclusivamente ai soggetti sui iuris, schiavi e figli di famiglia potevano essere strumenti di
acquisto solo in condizioni particolari. Sembra che in età antica il pater familias avesse
potere illimitato sulle cose mobili, mentre gli immobili erano considerati “beni di famiglia” e
quindi gli erano indisponibili, i figli ne erano comproprietari.
Le riflessioni giuridiche medievali definiscono il potere del pater sul fondo come un
dominio “esteso fino alle stelle e profondo fino agli inferi” a sottolineare metaforicamente la
proprietà di tutto ciò che era sopra e sotto il fondo indistintamente, gli studiosi inoltre
definiscono il dominium come diritto di usare il fondo, percepirne i frutti abusarne fino ad
arrivare a distruggerlo attribuendo a questo istituto il carattere dell’abutendi tipico
dell’usufrutto.
Con il tempo non sono mancati i vincoli imposti al dominio, soprattutto fondiario. Tali limiti
concernevano innanzitutto gli edifici (altezza, distanze manutenzione): già nella XII tavole
si imponevano distanze di sicurezza fra case (norme sovente infranta poiché era costume
diffuso costruire edifici in aderenza o addirittura con pareti in comune), Augusto vietò che
si costruissero in vicinanza alle pubbliche vie abitazioni che superassero l’altezza di metri
20 e successivamente Zenone innalzò il limite fino a 100 piedi. Esistevano inoltre limiti
concernenti i terreni, sempre le XII tavole imponevano ai proprietari la manutenzione delle
strade e le misure standard con le quali queste dovevano essere tracciate. Si ricordano
espropriazioni per pubblica utilità, condotte secondo l’istituto dell’emptio ab invito
(compravendita con venditore non consenziente).
In generale si compressero assai le facoltà del proprietario “sul suo è lecito fare nei limiti in
cui non ci si immetta nell’altrui” in termini di rumori, fumi, vapori, odori, schegge...
nell’applicazione concreta non tutte le immissioni erano considerate illecite ma solo quelle
che non derivassero da uso normale e proprio della cosa. Gaio tuttavia sembra esprimersi
in maniera opposta “non è considerato agire in dolo chi agisca in esercizio di un suo
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diritto” questo principio preso alla lettera costituirebbe una chiara autorizzazione a fare ciò
che vogliamo nel’esercizio di un diritto fino ad abusarne e nuocere ad altri, tuttavia va
preso in considerazione assieme ad altri di orientamento opposto come “non dobbiamo
usare male il nostro diritto” o “non dobbiamo cedere alle malizie”. La coesistenza di questi
principi, spesso diametralmente opposti o in contrasto fra loro doveva portare nella pratica
a soluzioni diverse anche per casi analoghi.

Modi di acquisto della proprietà civile


La classificazione elaborata dalla dottrina moderna pone l’accento sul fatto che il diritto
sorga ex novo o sia trasmesso da un alienante. Si sono individuati i seguenti modi di
acquisto della proprietà a titolo originario: a) occupazione b) specificazione c)
accessione d) fruttificazione e) confusione o commistione f) aggiudicazione g) stima della
lite.

a) Occupazione
Si diventa proprietario per presa di possesso di un bene e intenzione di tenerlo
come proprio. Riguarda poche cose, distinguibili in:
 Cose di nessuno e cose del nemico “ciò che prima era di nessuno lo si
lascia per ragion naturale all’occupante” sono cose di nessuno gli animali
selvatici (o quelli domestici che avessero perso l’abitudine di tornare al luogo
di origine, restava sotto la proprietà dell’occupante finché non usciva dalla
vista o era impossibile riprenderlo), le cose trovate sulla spiaggia (escluse le
cose gettate da una nave in pericolo di naufragio), infine le isole nate nel
mare (se non ci sono fondi rivieraschi di proprietà, in tal caso si applicano le
regole dell’accessione)
 Cose abbandonate da non confondersi con le cose perse, secondo i
Sabiniani la cosa cessa di essere del proprietario nell’stante in cui egli
l’abbandona (il ladro con intenzione di lucro non commette furto) secondo i
Proculeiani cessa di essere del proprietario quando un altro se ne
impossessava (il ladro con intenzione di lucro commette furto). Chi si
impossessa di una cosa abbandonata ma non dal vero proprietario ne
diventa proprietario per usucapione avvalendosi di titolo pro derelicto.
Disciplina particolare è poi quella del ritrovamento di un tesoro (vecchio
deposito di monete di cui nulla si sapeva e che al momento non aveva
proprietario): Giustiniano riprende Adriano e sancisce che se ritrovo un
tesoro nel mio fondo questo è mio, se lo ritrova un estraneo nel mio fondo è
per metà mio e per metà del ritrovatore ma è interamente mio se gli ho
commissionato la ricerca.
b) Specificazione
Un soggetto interviene sulla materia prima di un proprietario spontaneamente,
senza riceverne incarico, e ne trae una nova species . i Sabiniani sostenevano che
essa era del proprietario della materia prima, i Proculeiani che essa era dello
specificatore. Prevalse un criterio intermedio: se la cosa era riconducibile al suo
stato iniziale era del proprietario della materia prima, altrimenti era dello
specificatore
c) Accessione
Termine generale che si riferisce a diversi fenomeni accomunati dal fatto che un
proprietario acquista un bene accessorio che diventa parte integrante del suo
patrimonio iniziale. Non in tutti i casi la proprietà sulla cosa accessoria è
definitivamente perduta. Si distinguono accessioni immobiliari (la cosa principale
è un immobile) e accessioni mobiliari (entrambe le cose sono mobili).
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 Accessioni immobiliari fra cui gli incrementi fluviali (i proprietari dei fondi
rivieraschi guadagnano la proprietà di nuovi territori formatisi sul fiume a
patto che i fondi siano sotto riva), la seminagione in fondo proprio con semi
altrui o la piantagione con piante altrui (per il principio di superficies solo
cedit il proprietario acquista la proprietà delle piante dopo l’immissione delle
radici di queste), l’edificazione con materiali propri su suolo altrui (l’edificio è
del proprietario del fondo, si possono reclamare i materiali solo dopo che
l’edificio sarà crollato; l’edificatore può farsi risarcire a patto che sia nel
possesso dell’edificio rivendicato e non sappia che il suolo è altrui) e
l’edificazione su suolo proprio con materiali altrui (la proprietà dell’edificio è
del proprietario del fondo, il proprietario dei materiali li può reclamare solo al
crollo dell’edificio)
 Accessioni mobiliari per semplificare: proprietario della tavola dipinta è il
pittore e non il proprietario della tavola, esso può reclamarne la proprietà
solo se paga al pittore l’esercizio dell’attività esplicata
d) Fruttificazione
i frutti vengono acquistati a titolo originario dalla semplice separazione di questi
dalla cosa madre dai proprietari possessori di quest’ultima. Fra i possessori non
proprietari si distinguono possessori di buona fede, essi diventano proprietari dei
frutti fino a quando non sono citati in giudizio per la restituzione, a questo punto
devono restituire solo i frutti percepiti dopo la contestazione; possessori di malafede
non acquistano e devono restituire tutti i frutti; usufruttuari acquistano la proprietà
dei frutti quando ne prendono possesso fisicamente così come il conduttore
e) f) g) Confusione, Aggiudicazione, Stima della lite
brevemente, la confusione si ha quando determinati oggetti quali vino, olio
appartenenti a proprietari diversi si mescolano: la proprietà della cosa unica è del
proprietario che ha dato maggiore apporto. L’aggiudicazione è la divisione di un
bene del quale i nuovi proprietari acquistano la proprietà in relazione alla loro quota.
Nella stima della lite il giudice privato fa acquistare la proprietà dietro pagamento.
La proprietà può essere trasmessa da un soggetto proprietario in capo ad un altro, in tal
caso l’accipiente acquista la proprietà a titolo derivativo presupposto che il trasmittente sia
effettivamente proprietario.

Si analizzano di seguito i principali modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo:


a) Mancipatio b) in iure cessio c) traditio
a) Mancipatio
In origine si trattava di un atto per rame e bilancia che si svolgeva alla presenza di 5
testimoni. Il mancipio dans trasferiva al mancipio accipiens la proprietà di
determinate cose o la potestà su un sottoposto, questi pronunciava le parole
solenni afferrando la cosa. Col tempo il mancipio dans diventa un alienante che non
trasferisce la proprietà necessariamente per caso di vendita ma anche per causa di
donazione, costituzione di dote eccetera; allo stesso modo il mancipio accipiens
non acquisisce più per sola venditionis causa. Questo istituto si trasforma in vendita
immaginaria poiché non cambia la conformazione formale dell’atto ma la pesatura,
e quindi il prezzo diventano fittizi; vi si fa ricorso quando un donatore voglia passare
la proprietà ad altra persona, quando un padre voglia costituire la dote per il marito
della figlia e anche in caso di vendita vera e propria, il pagamento avviene in altra
sede o è già avvenuto e in ogni caso è distaccato dalla mancipatio. Questa
trasformazione avviene verosimilmente nel II, I secolo della repubblica
parallelamente alla nascita e al perfezionamento del contratto di emptio venditio
che fa sorgere l’obbligazione vera e propria in capo al compratore.
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In questo assetto evoluto la mancipatio diventa atto per il trasferimento della


proprietà di cose mancipi , tuttavia si conservano alcune regole antiche: 1) permane
la garanzia dell’evizione per il mancipio accipiens –se un terzo agisce in rivendica
del bene ottenuto reclamandone la proprietà il mancipio dans deve assistere nel
processo- 2) il mancipio dans deve garantire la veridicità di ciò che è stato
sostenuto in eventuali dichiarazioni aggiuntive 3) la proprietà è effettivamente
trasferita dopo il pagamento, così accadeva anche per traditio e in iure cessio 4) in
fatto di immobili non era necessario il trasferimento del possesso, in questo modo si
poteva trasferire il nudo diritto anche se altri mantenevano il possesso della cosa.
Subivano limitazioni nella conclusione di questo negozio i non cives e i soggetti in
potestà, come si è visto questi ultimi potevano acquistare per gli aventi potestà.
Anche la mancipatio si avvia in età classica allo svuotamento della sua effettività.
Primo fattore di svuotamento è stato l’uso di redigere un documento probatorio che
divenne ben presto costitutivo, libripens e pesatore diventano ben presto semplici
teste insieme ai 5 testimoni tradizionali.
Giustiniano cancella la differenza fra res mancipi e nec mancipi e sostituisce
definitivamente questo negozio con la traditio.

b) In iure cessio
Si tratta di un negozio riservato ai soli cives, avveniva davanti al pretore a Roma e
davanti al governatore nelle province. Come per la mancipatio la causa non è
condizione necessaria per la validità dell’atto, è infatti astratto e riguardava cose
mancipi e non mancipi.
In questo caso però i sottoposti a potestà non potevano acquistare per gli aventi
potestà, inoltre come per la mancipatio era inessenziale il trasferimento del
possesso. Il decadimento di quest’istituto deve essere stato relativamente rapido, in
quanto come sostiene Gaio si poteva fare ciò che davanti al giudice si faceva
tramite in iure cessio anche fra amici più agevolmente.

c) Traditio
Si attua col trasferimento del possesso, riguarda in origine le sole cose nec mancipi
poi anche i fondi provinciali, inoltre è concesso anche agli stranieri essendo diritto
delle genti. Il momento di più ampia applicazione è raggiunto al decadimento di
mancipatio ed in iure cessio, a questo punto la traditio viene utilizzata per il
trasferimento di tutte le cose: mancipi e non.
Hanno ovviamente piena capacità di compiere l’atto i soggetti sui iuris, mentre è
concesso l’acquisto per conto di aventi potestà da parte dei soggetti alieni iuris,
questi ultimi poi solo se autorizzati e titolari di un peculio in libera amministrazione
possono alienare i beni del pater.
Si distinguono degli elementi essenziali alla validità del negozio:
1) Il cedente deve essere dominus (per il principio per il quale nessun può
trasmettere un diritto che non ha)
2) Almeno inizialmente la traditio deve avere come oggetto res nec mancipi e
res corporales
3) Deve esistere l’intenzione di ricevere e di cedere rispettivamente da parte
dell’acquirente e del cedente
4) Almeno in linea di principio la traditio deve essere corporale
5) Deve accompagnarsi ad una giusta causa
Per corporalità si intende in questo caso la consegna materiale della cosa, con
passaggio dalla mano del cedente a quella dell’acquirente. Nonostante questa
massima spesso la consegna materiale era difficile o praticamente impossibile da
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attuare, sono sorte quindi forme di consegna incorporali e simboliche. Si


ricordano:
1) Traditio clavium (consegna delle chiavi ad esempio di un magazzino che
trasferisce la proprietà delle cose contenute in esso)
2) Traditio per chartam (traditio dei documenti di proprietà di uno schiavo
trasferiva la proprietà dello schiavo stesso)
3) Traditio longa manu (la cosa in oggetto viene indicata ad esempio da un’altura)
4) Missio in vacuam possessionem (conclusa una vendita il venditore autorizza il
compratore a prendere possesso del bene
5) Traditio brevi manu (usufrutto- concessione da parte del tradente all’accipiente
che detiene il bene ad esmpio come usufruttuario)
6) Constitutum possessiorium (nuda proprietà - il tradente cede la proprietà del
bene ma lo trattiene ad esempio a titolo di usufruttuario)
Ben presto la traditio divenne mezzo per i sotterfugi e raggiri. Ad esempio venivano
redatti documenti probatori che attestavano la consegna anche se in realtà la
consegna non c’era stata, o veniva costituito un diritto di usufrutto di pochi giorni per
applicare la disciplina del costituto possessorio e trasmettere la proprietà senza la
consegna

Altro requisito è quello della volontà. Questo principio fondamentale si traduce nell’
animus transferendi dominii e adquirendi dominii .
Quanto alla giusta causa, Paolo è perentorio nel sottolineare la necessarietà di
questo requisito “una nuda consegna non trasferisce mai la proprietà se non l’abbia
preceduta una vendita o altra causa giusta” se la traditio avviene per causa di
vendita, mutuo, locazione, costituzione di dote o adempimento di obbligazione di
dare la proprietà passa poiché queste sono giuste cause.

Si ricordano inoltre fra i modi di acquisto della proprietà a) Usucapione e b)


Donazione

a) Usucapione
Da Ulpiano: “l’usucapione è l’acquisto del dominio attraverso il possesso continuato
di un anno o di due, a seconda che si tratti di cose mobili o immobili”. La ratio di
questo istituto è innanzitutto quella di garantire “la fine del timore e del rischio delle
liti” per chi ad esempio avesse acquistato in buona fede la proprietà di un bene da
colui che aveva creduto di essere proprietario ma proprietario non era, oltre alla
“certezza dei domini”. Si impediva la cosiddetta probatio diabolica, ovvero la ricerca
di attestazioni che provassero che la cronologia dei trasferimenti di proprietà fin dal
principio si era svolta senza difetti, non vi erano anelli deboli nella catena che
invalidassero gli acquisti successivi. Se il trasmittente è un non dominus infatti è
trasferito soltanto il possesso, in questo consiste il difetto di cui i parla. In questo
modo si trasferiva il possesso in capo ad un altro soggetto, ma la proprietà,
volutamente o inconsciamente, rimaneva al proprietario originale. Si creava
l’incresciosa divaricazione fra chi sembra proprietario e non lo sembra più poiché
ha trasferito il possesso del bene.
Già le XII tavole categorizzarono questa disciplina col nome di usus, disponevano
l’acquisto della proprietà sui fondi e su tutte le altre cose rispettivamente in 2 e un
anno; inoltre si parla di usus anche per l’acquisto della manus sulla moglie a meno
che questa non lo interrompesse standosene 3 notti fuori casa.
Esistono però particolari categorie di cose che non possono essere usucapite: oltre
alle cose rubate, quelle sottratte con la violenza. I ladri ne i possessori a causa di
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violenza non usucapiscono in quanto nella loro presa di possesso manca il requisito
della bona fides, allo stesso modo i successivi acquirenti anche se di buona fede e
inconsapevoli. Se poi occupo un fondo non posso usucapirlo in quanto agisco in
mala fede, diversamente un eventuale accipiente può usucapire poiché ha ricevuto
un fondo ne furtivo ne ottenuto con la violenza.
Come si è notato la bona fides ha un ruolo fondamentale, anche chi abbia
acquistato da un non proprietario deve essere convinto di agire nel giusto senza
ledere il diritto di altri
Il possesso con intenzione di tenere la cosa per sé deve essere materiale ed
ininterrotto. La perdita di possesso è causa di interruzione nel conteggio del tempo
necessario ad usucapire.
Proprio per quest’ultima necessità fino ad un certo punto è stato possibile usucapire
solo cose corporali poiché solo su queste è possibile esercitare un possesso
materiale, corporale appunto.
Ovviamente anche il tempus è importante ai fini dell’usucapione, fino dall’età molto
avanzata si usucapisce solo al trascorrere di uno o due anni. Questo intervallo
temporale è indirizzato a vantaggio del proprietario, gli si lascia il tempo di
realizzare che qualcun altro si stava impossessando del suo bene per usucapione
ed eventualmente di agire. Proprio a questo proposito Giustiniano eleva il limite per
usucapire a 3 anni per i beni mobili e addirittura a 10 o 20 anni per beni immobili a
seconda che il proprietario fosse vicino o lontano. Si ricordino inoltre regole della
successio possessionis (possibilità di cumulare il conteggio di un precedente
possessore dopo aver acquistato il bene in questione a titolo di erede) e dell’
accessio possessionis (possibilità di cumulare il proprio conteggio con quello del
proprio dante causa a titolo particolare).
A partire da una certa epoca poi si esige che il possesso sia pervenuto
all’usucapiente da una circostanza oggettivamente giustificata che prende il nome
di titulus. Il titulus deve essere efficace, valido e reale, esistente. L’usucapione era
un istituto proprio dei cittadini, essi potevano usucapire fondi situati in suolo italico e
altre cose, diverse dai fondi anche in provincia, viceversa i peregrini non potevano
usucapire né in provincia né tantomeno in suolo italico.
La prassi diede luogo in provincia ad un istituto simile all’usucapione chiamato longi
temportis praescriptio,in sostanza un possessore che possedesse un bene, mobile
o immobile che fosse, da un certo periodo di tempo e rispondesse a certi requisiti
poteva agire vittoriosamente in rivendica verso il proprietario con una eccezione
appunto “di lungo possesso”. Erano comunque considerevoli le differenze con
l’usucapione, ma le vicende fondiarie del tardo impero portarono i due istituti ad un
progressivo avvicinamento.

Modi di perdita della proprietà


Si perde la proprietà di un bene quando:
a) Lo si trasferisce ad altri (mancipatio, in iure cessio, traditio)
b) Altri lo acquistano per accessione, specificazione, usucapione o altro
c) Il bene si distrugge
d) Si abbandona la cosa (per i Sabiniani nell’istante immediato dell’abbandono, per i
Proculeiani quando altri se ne impossessano)

La difesa della proprietà

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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

L’azione che spetta ad un legittimo proprietario contro colui che possiede il bene
indebitamente prende il nome di “Rei Vindicatio” , questa azione si colloca all’interno dei
tre fondamentali tipi di processo che si avvicendano nel diritto romano dall’età arcaica fino
a Giustiniano presentando caratteristiche pecuniarie:

a) Legis actio sacramento in rem (legis actiones)


Utilizzata per la rivendica, I contendenti si recavano in iure e davano luogo ad un
dibattito nel quale rivendicavano la proprietà pronunciando parole solenni e
toccando il bene con una bacchetta. Il giudice ascoltava le rivendicazioni e
decideva chi dovesse essere possessore e chi, avendo perso per non aver dato
prova della appartenenza del bene, è condannato a pagare una cifra in danaro.

b) Agere per spontionem (legis actiones)


1) A seguito di una sponsio il legittimo proprietario si fa promettere dal possessore
contro il quale agisce in rivendica una somma di 25 sesterzi qualora riuscisse a
provare il suo diritto, 2) con una successiva cautio invece chi si dichiarava
proprietario prometteva di restituire il bene in questione e i suoi eventuali frutti.

c) Agere per formulam petitoriam (formulae)


Anche qui 2 fasi, una davanti al magistrato, l’altra davanti al giudice. L’azione spetta
a chi si afferma legittimo proprietario e chiama in giudizio il proprietario al momento
della contestazione della lite -anche se questo abbandona dolosamente il bene per
evitare il processo o si finge possessore per depistare l’attore- ; il convenuto accetta
di difendersi e promette di pagare l’eventuale somma della condanna e di astenersi
da comportamenti dolosi, per gli immobili poi esso è tenuto a consegnarne il
possesso all’attore. Quest’ultimo deve dimostrare il suo diritto di proprietà di fronte
al giudice anche provando che la cronologia delle proprietà precedenti è priva di vizi
(in questo lo aiuta l’usucapione che lo pone al riparo da eventuali illeciti precedenti).
1) La possibilità di restituzione è accordata al convenuto quando l’attore abbia
dimostrato le sue ragioni in forza delle quali egli è legittimo proprietario. Se il
convenuto restituisce il procedimento è CHIUSO, tuttavia egli è sottoposto a
determinati oneri: deve mettere l’attore nella condizione in cui egli era nel
momento della litis contestatio, il possessore di buona fede deve restituire i frutti
effettivamente percepiti durante la litis contestatio, il possessore di malafede
deve restituirli tutti fino dall’impossessamento.
2) Si incorreva alla condanna penale per mancata restituzione. Se questa era
dolosa la stima presa in considerazione era quella fatta dall’attore confermata
dal iusirandum in litem. Il pagamento della lite consentiva al convenuto
l’acquisto della cosa.

d) Cognitio extra ordinem


Sono considerevoli le innovazioni introdotte nel regime della rivendica.
Anzitutto la condanna, essa non è più pecuniaria ma “sulla cosa stessa”, il
convenuto è condannato a restituire o per propria volontà o attraverso la forza
pubblica (manu militari) .
Inoltre si ricorda la legge Valentiniana che imponeva al possessore di mala fede di
restituire tutti i frutti percepiti nella misura del doppio

Altra azione concessa al proprietario per la rivendica del suo diritto è l’actio finium
regundorum, è un’azione divisoria con formula contenente adiudicatio e condemnatio.

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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

Riguarda inizialmente solo le controversie fra privati in fatto di confini, il giudice decide chi
ne traccia di nuovi o li ristabilisce personalmente.

Il proprietario poi, respinge gli atti di coloro che rivendicano un diritto di servitù e di
usufrutto su un suo bene servendosi di actiones negatorie: azioni in rem per mezzo delle
quali, davanti al giudice, il proprietario da prova del suo diritto di proprietà, mentre
l'avversario (colui che rivendica il diritto di usufrutto o servitù) deve provare l’esistenza del
suo diritto. Se il giudice si convince della ragione del proprietario l’avversario può restituire
(una restituzione particolare suggellata da cautio de amplius non turbando prestata con
stipulazione) o subire una pena pecuniaria la cui stima è affidata all’attore.

L’azione di allontanamento delle acque piovane invece è concessa dal proprietario di


un fondo che abbia subito un danno causato dalla deviazione o dal turbamento del
normale decorso dell’acqua piovana da parte del proprietario di un fondo vicino. È
un’azione in personam che condanna il convenuto all’abbattimento dell’opera causa del
danno o al pagamento della pena anche in questo caso stabilita dall’attore.

Ancora la cautio damni effecti è concessa al proprietario che tema un pericolo


proveniente da un bene pericolante. Se il proprietario del fondo pericolante rifiuta la
cauzione allora, secondo procedure diverse a seconda dei casi, il proprietario del bene in
pericolo ottiene dal pretore un primo decreto attributivo di detenzione che lo autorizza al
controllo dei luoghi, che in caso di insistenza del proprietario del bene pericolante può
diventare titolo di usucapione per mezzo di un secondo decreto.

Proprietà pretoria, proprietà provinciale e proprietà unificata


Proprietà pretoria
a) Il diritto di proprietà accordato dal pretore al soggetto che abbia ricevuto a titolo di
donazione, vendita, costituzione di dote o adempimento di obbligazione un bene
tramite traditio. La mancanza dell’atto solenne fa sì che l’accipiente acquisti solo il
possesso del bene e non la proprietà che rimane in capo al trasmittente. Il pretore
accorda nel suo editto 2 rimedi:
1) Actio Publiciana:mira a consentire al possessore di recuperare il possesso perso, il
pretore attua la fictio espediente giuridico molto utilizzato e finge che il possessore
abbia usucapito considerandolo alla stregua di un proprietario e permettendogli di
rivendicare e recuperare il possesso.
2) Eccezione: principalmente si neutralizza l’azione avanzata dal nudo proprietario di
rivendica del bene in questione
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b) Il diritto di protezione è la possibilità per colui che abbia acquistato da un non


proprietario di usucapire il bene. Se concorrono tutti i requisiti può avviarsi ad
usucapire, se perde il possesso gli è accordata l’a. Publiciana a patto che
l’espropriatore non sia il legittimo proprietario che agisce per giusto dominio.
c) Protezione e garanzie per un’altra figura di possessore a titolo di usucapione: chi
acquista il possesso a titolo ufficiale (si ricordino bonorum possessorum che acquista
beni ereditari in forza di un provvedimento pretorio, bonorum emptor che riceve beni
all’asta da un debitore insolvente o chi ha acquistato un bene pagando la stima della
lite a seguito di un processo perso). Sono contemplate in caso di perdita del possesso
o rivendica da parte del proprietario civile oltre alla a. Publiciana altre azioni
parzialmente fittizie
Tutti questi possessori imperfetti di cui si parla devono necessariamente presentare i
requisiti ad usucapire. Questo loro stato successivo alla concessione della proprietà a
titolo pretorio è transitivo, con l’attuazione dell’usucapione essi diventano proprietari per
diritto civile. Con la scomparsa di in iure cessio e mancipatio e la progressiva
assimilazione di res mancipi e nec mancipi decade anche il primo caso a) allo stesso
modo del caso c) con la tendenza ad intendere l’atto magistratuale come trasmissivo di
proprietà oltre che di possesso.

Proprietà provinciale
Si crea con le nuove esigenze giuridiche nate con l’espansionismo e il formarsi delle
province che dividono territorialmente in due l’impero romano: da un lato l’Italia e gli Italici,
dall’altra le province e i peregrini.
Come si è detto in Italia, è possibile la proprietà fondiaria e anzi i fondi italici sono
annoverato tra le res mancipi. in provincia i fondi si trasmettono con traditio e Gaio
provocatoriamente afferma che “i fondi provinciali appartengono al popolo romano o a
Cesare e a noi pare che deteniamo solo il possesso o l’usufrutto”. Effettivamente si
affermò la concezione che le province appartenessero prima al populus romanus e poi,
nell’età del principato, anche al Princeps.
I peregrini che acquistino il possesso di un fondo non possono riceverne la proprietà in
quanto questa esiste in capo a soggetti pubblici e questi ne concedono l’amministrazione
perpetua dietro al pagamento di un canone detto stipendium . Questi possono
rivendicarne il possesso qualora ne siano espropriati da un terzo tramite un’azione
dell’editto del Governatore modellata sulla base della rei vindicatio.

Proprietà unificata
Nel tardo impero si compie il processo dei 3 tipi di proprietà visti (civile, pretoria e
provinciale). Il risultato è un profilo di proprietà che non può dirsi sorta ex novo che prende
il nome di dominium o proprietas. Tra i più importanti fattori di unificazione ci sono stati:
a) Il tributo sui fondi italici imposto da Aureliano che fa perdere il suo privilegio al
suolo italico e lo colloca alla stregua di quelli extraitalici, cade con ciò il presupposto
di un diritto civile fondiario distinto da quello del restante impero
b) La decadenza delle res mancipi che causa l’inconsistenza della proprietà pretoria
che soccorreva i proprietari di res mancipi che avessero acquistato il possesso per
traditio

La comunione di proprietà
Normalmente titolare del diritto di proprietà è un unico individuo. Può tuttavia capitare che
siano due o più persone contitolari del diritto non ciascuna per l’intero.

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Questa situazione è descritta col termine di communio (anche per diritti diversi dalla
proprietà come l’usufrutto), mentre i contitolari del diritto prendono il nome di socii o
domini.

Il concetto sul quale si fonda questo antico istituto è quello della pars pro indiviso che
esprime parti ideali, non materiali nelle quali si divide un bene comune a più proprietari.
Possiamo assimilare il moderno concetto di quota: la divisione in parti aritmetiche del
diritto, essa può essere venduta, acquistata concessa in usufrutto e abbandonata, in tal
caso poi accresce le quote degli altri comproprietari, inoltre costituisce il parametro per la
distribuzione dei frutti e delle spese comuni.

Al riguardo della costituzione della communio si parla di:


a) Comunione incidentale: posta in essere da casi di coeredità, co-legato, confusione
e commistione.
b) Comunione volontaria: posta in essere quando due o più persone decidono di fare
un contratto di società più precisamente detto societas omnium bonorum (contratto
consensuale che si costituisce col semplice accordo delle parti e nell’immediato
senza formale traditio, che “si considera avvenuta tacitamente”)

Riguardo poi al godimento della cosa comune è plausibile che fossero ammessi atti di
ordinario godimento nei limiti in cui questi non nuocessero agli atti dei comproprietari. Per
ciò che concerneva gli atti innovativi (costruzione su suolo comune ad esempio) o il socio
aveva il consenso di tutti (tacito o espresso) o la sua pretesa poteva essere paralizzata
anche dal dissenso di uno solo a patto che tale dissenso fosse espresso prima della
conclusione dell’atto. Si noti che non esiste il principio per cui delibere prese anche a
maggioranza siano imposte sulla minoranza. Esistevano tuttavia atti che un socio poteva
compiere liberamente come quelli necessari alla conservazione del bene in comunione o
al suo sfruttamento.

Va segnalato che le servitù essendo indivisibili non sono costituibili sul fondo comune o
per quote e tutti i contitolari devono partecipare agli atti costitutivi. Perciò:
L’azione in difesa della servitù si esercita per mano di un solo proprietario che agisce in
solidum
Allo stesso modo l’azione che respinge la servitù può essere diretta ad uno solo dei
comproprietari
È altresì impedita l’estinzione della servitù per confusione nel caso in cui un
proprietario di un fondo con diritto di servitù su un altro diventi proprietario di quest’ultimo o
viceversa.
In caso di manomissione di un servo comune, l’atto deve essere compiuto da tutti i
condomini, la manomissione di un solo socio comporterebbe non l’estinzione del diritto
sullo schiavo ma l’accrescersi delle quote degli altri soci. Se poi sono due in totale e uno
solo manomette, l’altro diviene proprietario esclusivo (Giustiniano poi ammette per il
favor libertatis che la manomissione di un solo socio sancisca la libertà dello schiavo ma il
socio manomittente deve pagare agli altri il valore della loro quota).
La difesa della cosa comune ammette tutti i mezzi legali necessari alla difesa della cosa
propria, alcuni sono esercitabili pro parte, altri in solidum.

Tuttavia la communio è considerata uno stato transitorio dai romani il cui sbocco naturale
era la divisione del bene. Dividere la cosa significava attribuire proprietà solitaria a
ciascun socio su una parte materiale del bene proporzionalmente alla quota o pars pro
indiviso.
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Le fonti tacciono sulle modalità di divisione ma tuttavia è buona opinione credere che
fossero possibili sia una divisione extragiudiziaria che una divisione giudiziaria.
La divisione extragiudiziaria di un fondo avveniva per derelicto della quota da parte di un
comproprietario e acquisizione della titolarità dell’altro. Quest’ultimo, diviso materialmente
il bene, trasferiva tramite apposito atto (mancipatio, in iure cessio, traditio) la proprietà
della parte divisa all’altro.
La divisione giudiziaria invece si compiva attraverso 2 azioni: azione di divisione dei
beni di famiglia e l’azione di divisione della cosa comune, quest’ultima introdotta
successivamente per consentire la divisione di beni la cui communio non derivasse da
testamento.
I soci si recavano dal pretore e richiedevano formula e relativo arbitrio, l’adiudicatio
contenuta nella formula conferiva all’arbitro facoltà di dividere fisicamente il bene e
attribuire le proprietà alle parti. L’aggiudicazione è annoverata per ciò tra i modi di
acquisizione della proprietà a titolo originario.
Se la cosa era indivisibile, l’arbitro aggiudicava la proprietà ad una sola parte
condannandola a pagare i conguagli; questo potere di condanna si espandeva inoltre
qualora fossero emersi conflitti riguardo all’attribuzione delle parti.

Le servitù prediali
La servitù prediale è il peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro appartenente a
diverso proprietario. L’istituto (di diritto civile) costituisce quindi un fondo dominante e uno
servente e un diritto reale su cosa altrui ovvero di godimento.
In antico come odiernamente non esiste una tipologia astratta e generale di servitù ma
singole servitù a contenuto tipicamente individuato. Queste le principali tipologie:
a) Servitù rustiche: servitù di passaggio su suolo altrui, in antico se ne distinguevano
3 tipologie (iter, actus, via – passaggio di persone, conduzione di veicoli e giumenti,
passaggio e conduzione) nonostante siano cose incorporali sono annoverate tra le
res mancipi)
b) Servitù urbane: servitù che ineriscono agli edifici, si ricordano quella di non
sopraelevazione o quella che da diritto che il vicino non ostacoli il passaggio di luce
o la vista.
Un’ulteriore classificazione, non romana ma ugualmente utile, è quella fra servitù
positive e negative.
Le prime consistono in un fare del proprietario del fondo dominante e si identificano con
quelle rustiche, le seconde invece precisano un non fare del proprietario del fondo
servente.

Si esaminino i principi fondamentali di quest’istituto:


1) Il fondo dominante e quello servente non possono avere stesso proprietario (nemini
res sua servitù)
2) I fondi devono essere attigui
3) Il fondo servente deve prestare utilità al fondo dominante e non a quella privata del
suo proprietario
4) La servitù deve essere duratura, non è possibile costituire servitù a termine
5) La servitù è una qualità del fondo, ad esso inerisce e con esso deambula
6) Può godere della servitù solo il proprietario del fondo dominante, o coloro che da lui
sono legittimati. Non può essere costituito diritto di godimento sulla servitù stessa
7) Il proprietario del fondo servente non può essere costretto ad un fare, ma solo a
rinunciare ad una sua prerogativa (esclusa la s.oneris ferendi con la quale si
imponeva al proprietari del fondo di mantenere in buono stato le colonne o i muri
dell’edificio servente dove poggiava l’edificio dominante)
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8) Le servitù sono indivisibili

Fra i modi di costituzione si distinguono quelli di diritto civile e quelli di diritto


onorario.

Modi di costituzione di diritto civile


Deductio dalla mancipatio e dalla in iure cessio: in sede di negozio alienante ed accipiente
dichiarano solennemente di voler costituire una servitù.
Legato ad effetti reali: una delle due parti lega all’altra il diritto di passare sul proprio fondo.

Modi di costituzione di diritto onorario


Patti confermati da stipulazioni penali: costituiti in ambito provinciale sul fondamento di
editti dei governatori, erano istituti analoghi alle servitù in territorio italico
Quasi traditio vel patientia servitutis: costituite dalla semplice tolleranza del proprietario del
fondo servente che trovavano protezione grazie al pretore

In età giustinianea poi tra i metodi generali di costituzione possiamo aggiungere anche
l’usucapione. L’usucapione di servitù non era consentita in quanto l’usucapione si basava
sul possesso di cose materiali, le servitù non sono materiali e quindi non usucapibili,
tuttavia si affaccia in dottrina la concezione nuova di quasi possesso e possesso dei diritti.
“dove non si rinvengano prove di servitù, colui che senza uso di violenza o clandestinità
ne ha fatto uso, si consideri come se la servitù fosse stata costituita in iure” da Ulpiano.

Fra i modi di estinzione invece di distinguono:

La rinuncia da esprimersi solennemente con in iure cessio o adattamento dell’ a.


negatoria.
La confusione quando cioè il fondo servente e quello dominante finiscono per
appartenere allo stesso proprietario
Il non uso protratto per il tempo di usucapione degli immobili
L’usucapio libertatis per servitù negative quando il proprietario del fondo servente
compie l’atto dal quale è diffidato e il proprietario del fondo dominante non agisce per tutto
il tempo di usucapione degli immobili.
Il perire o la distruzione del fondo dominante o di quello servente, tuttavia non vale per
gli edifici, sull’edificio ricostruito graverà la servitù precedente.
In età giustinianea poi si ammette la costituzione di servitù a termine. Sottoposte cioè a
termine iniziale o a condizione risolutiva.

Chi reclamasse un diritto di servitù poteva servirsi della vindicatio servitutis o a.


confessoria quest’actio in rem si presentava con formula arbitraria o restitutoria, in caso di
condanna del convenuto questo era invitato dal giudice a “restituire” cioè a consentire
l’attuazione della servitù e inoltre a promettere la non interferenza con la fruizione di
questo diritto (cautio de amplius non turbando). Le servitù pretorie invece erano protette
da a. publiciana o a. utilis.

L’usufrutto
Paolo definisce l’usufrutto come “il diritto di usare e percepire i frutti di cosa altrui salvo la
sostanza della cosa stessa”, si tratta di un diritto reale, di godimento, su cosa altrui. In
diritto romano è protetto con actio in rem. Questo diritto è in antico strettamente legato alla
persona che lo detiene e al suo status.

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Si tratta di un diritto a termine, il cui limite è la morte dell’usufruttuario o 100 anni, se


costituito a favore di persona giuridica. Questo diritto può avere ad oggetto solo cose
inconsumabili in modo da consentire al termine l’utilizzo del proprietario. L’usufruttuario
ha l’uso della cosa cioè la sua disposizione materiale, tuttavia è detentore e non
possessore. Se poi il bene produce naturalmente frutti egli ne diventa proprietario con la
presa di possesso.
Fra i vincoli dell’usufruttuario vi è:
 quello di mantenere il bene nello stato nel quale lo ha ricevuto e
 di provvedere alle spese per il mantenimento, senza nemmeno apportare
miglioramenti.
A garanzia della buona conduzione si sviluppò l’idea di concludere una stipulazione tra
proprietario ed usufruttuario in cui quest’ultimo si impegnava a comportarsi come bonus
vir nell’esercizio del suo diritto. Questa stipulazione si chiama cautio fructuaria e deve
essere rafforzata da garanti, è inoltre condizione necessaria per l’esercizio del diritto.
Dall’altro lato il nudo proprietario poteva al termine dell’usufrutto RIPRENDERE (NON
ripetere) il bene indifferentemente con a. ex stipulatu (cautio fructuaria) o rei vindicatio.

Fra i modi di costituzione dell’usufrutto si distinguono:


in diritto civile
in iure cessio
deduzione dalla mancipatio o dalla in iure cessio (l’alienante mantiene il possesso del
bene in usufrutto)
legato ad effetti reali
aggiudicazione
usucapione (ammessa solo in diritto giustinianeo)

in diritto onorario
patti confermati con la patientia o quasi traditio

fra i modi di estinzione invece, si distinguono:


morte dell’usufruttuario
capitis deminutio
scadenza del termine o rinuncia (attraverso in iure cessio)
consolidazione (acquisto della proprietà da parte dell’usufruttuario)
non uso (per 1 anno consecutivo per cose mobili per 2 anni consecutivi per cose immobili
in età classica)
distruzione del bene o incommerciabilità di questo.

All’usufruttuario è concessa la difesa del suo diritto per mezzo di un’actio in rem detta
vindicatio usus fructus esercitabile contro chiunque, non solo il proprietario, gli impedisca
il godimento pieno del suo diritto.

Un senatoconsulto di età imperiale ha poi disciplinato il caso di un legato ad usufrutto


avente come oggetto beni consumabili, quelle cose cioè che non ammetterebbero
l’usufrutto perché con l’uso si consumano e non possono tornare al proprietario. Si è
imposto che il suddetto usufruttuario debba prestare la cosiddetta cautio fructuaria ovvero
al termine restituire il tantundem o tanto denaro quanto ne era stato fatto stima per quel
bene.

La superficie

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Superficiario è colui che è proprietario di un bene posto su suolo altrui, così da dover
prestare un canone. Esiste il principio di superficie solo cedit mantenuto nella
compilazione giustinianea per cui il proprietario del fondo è proprietario di tutto ciò che c’è
sopra.
Il canone che chi costruisce un edificio su suolo altrui deve versare per fruire dell’edificio è
detto solarium.
La nascita di questo istituto è da ricondurre a quando nel diritto pubblico ad alcuni privati
era concesso di aprire botteghe su suolo pubblico di goderne per se e di trasmetterne il
godimento. Il rapporto tra proprietario del fondo e superficiario appare costruito, con
sensibili differenze, come locazione o vendita.
Inizialmente un eventuale nuovo proprietario non doveva necessariamente riconoscer tale
diritto al superficiario, e questo inoltre non aveva mezzi di difesa di fronte alle turbative di
terzi o del proprietario stesso.
Di qui parte un ulteriore sviluppo nel diritto pretorio:
Il pretore accorda al superficiario delle azioni in rem come l’actio de superficie per la
rivendica del possesso del bene qualora egli ne fosse spogliato, azione da esercitare erga
omnes e quindi anche contro il proprietario del fondo.
A questo punto il diritto del superficiario è un diritto reale su suolo altrui a patto che egli
continui a pagare il canone.

L’enfiteusi
Questo termine indica il diritto del privato enfiteuta che ottiene la concessione
tendenzialmente perpetua di terre pubbliche e private dietro il pagamento di un canone.
Già in età classica erano date in concessione terre agricole di proprietà dei municipi a
titolo perpetuo, trasmissibili ma sempre dietro il pagamento di un canone, detto all’epoca
vectigal. Il dibattito si concentrò attorno alla diversa considerazione di quest’atto, da un
lato se lo si considerava come locazione il perire del bene sarebbe ricaduto nella sfera del
cedente, dall’altro se lo si considerava come vendita la responsabilità sarebbe stata del
compratore.
Il diritto sui fondi vettigali si configurò come diritto reale, opponibile erga omnes protetto da
a. in rem.
Intervenne a fare chiarezza una legge dell’imperatore Zenone (mantenuta nel codice
giustinianeo) che affermava che il contratto costituente l’enfiteusi non è né una locazione
né una vendita ma possiede una propria conceptio e definitio. Si redige per iscritto e i suoi
rapporti di rischio sono sanciti dall’accordo delle parti e non sono intrinsechi al contratto
stesso.
Se le parti non si pronunciano
il rischio è per intero del dominus concedente (come locazione) per la distruzione totale
del bene
il rischio è per intero dell’enfiteuta (come vendita) per il deterioramento del bene
sono lasciati altresì ai patti tra le parti le questioni riguardanti
 la decadenza del diritto per mancato pagamento del canone
 se le alienazioni possano avvenire all’oscuro o meno del dominus
Se nulla si è convenuto in sede di contratto
 il diritto decade per mancato pagamento del canone per anni 3 o per la mancata
consegna delle ricevute di pagamento per lo stesso periodo
 l’enfiteuta non può alienare in assenza del dominus

Il pegno e l’ipoteca
Siamo nell’ambito delle garanzie. Un creditore può esigere dal suo debitore, in protezione
del proprio credito, delle garanzie personali (fideiussione ad esempio che gli consente in
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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

caso di inadempimento di poter riscuotere ad un terzo) o delle garanzie reali che in caso
di inadempimento gli consentono di soddisfarsi su di un bene in sostituzione.
Proprio in materia di garanzie reali si collocano il pegno e l’ipoteca,
il termine pegno indica la consegna materiale del bene in capo al creditore
il termine ipoteca indica la semplice trasmissione del nudo diritto in capo al creditore
senza il trasferimento effettivo del possesso.
Si parla rispettivamente di pegno dato e pegno convenuto

Pegno dato: a garanzia di un’obbligazione il garante (può essere diverso dal debitore)
consegna un bene di sua proprietà al creditore. La consegna trasferisce il possesso del
bene e crea un diritto reale per il creditore. Il contratto produce in capo al creditore
possessore pignoratizio l’obbligo di restituire il bene al garante quando il debitore
adempia. In caso di mancata restituzione il debitore può agire con a. pigneraticia in
personam

Pegno convenuto o ipoteca: in sede di consegna del bene pignorato si stabilisce che
questo rimanga in possesso del debitore tramite semplice accordo tra le parti. Il pretore
protegge l’accordo concedendo al creditore il recupero del bene in caso di inadempimento.
Si crea quindi in capo al creditore un diritto reale su cosa altrui esigibile erga omnes.
Si pensa che questo secondo istituto sia nato dall’esigenza reale di locatori di fondi rustici
che, non potendo pagare la mercede locativa e non potendo neanche consegnare a titolo
di pegno i soli beni che possedevano quali gli attrezzi da lavoro, in quanto si sarebbero
autocondannati all’inadempimento non potendo più sfruttare il fondo, avrebbero applicato
un primo caso di pegno convenuto che di fatto rinviava al momento dell’inadempimento la
consegna della cosa. Il pretore poi avrebbe completato la configurazione di quest’istituto
concedendo azioni di rivendica per il locatario.

Inizialmente potevano esser oggetto di pegno esclusivamente le cose nec mancipi e


mobili, successivamente si ammette che sia pignorata qualsiasi cosa a patto che sia di
proprietà del costituente pignorante. A partire dall’età classica poi è ammesso di convenire
in pegno diritti reali di godimento, crediti o addirittura la titolarità di un pegno (pegno del
pegno o subpignus).

I poteri del creditore pignoratizio sull’oggetto di pegno sono limitati.


Egli ne guadagna il possesso ma è interdetto all’uso del bene.
Deve inoltre prestare diligenza esatta nella conservazione del bene, pena l’impossibilità di
riscuotere.
Non può inoltre percepire eventuali frutti del bene a meno che, in sede di contratto, non
stipuli un accordo di antìcresi che gli permetta di trattenerli a titolo di interesse.

Se il debitore non adempie al creditore pignoratizio è concessa:


Lex commissoria che produce l’immediato passaggio di proprietà del bene dal debitore al
creditore pignoratizio
Ius vendendi ovvero il diritto di vendere il bene dato in pegno e trattenerne il guadagno. Il
creditore in qualita di rappresentante poteva vendere e tradere ma non mancipare o in
iure cedere (un eventuale compratore se il bene era mancipi ne acquistava la sola
proprietà pretoria). Tuttavia sul ricavato della vendita si tratteneva l’ammontare del
superfluum, assicurato al debitore con a. pigreaticia in personam.

Fra i metodi di costituzione del pegno oltre alla semplice volontà delle parti si ricordano
pegni imposti dalla legge quali:
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 pegni costituiti tacitamente (mutuo per ristrutturazione di edificio, l’edificio è


ipotecato in favore del mutuante)
 pegno legale (costituito dalla legge quello del pupillo su tutti i beni del tutore o
quello della moglie sui beni del marito per la restituzione della dote)
 pegno giudiziale (un condannato ad obbligazione non adempie ed è costretto manu
militari a rispondere matrimonialmente con pegno in ragione del giudicato)

Condizione fisiologica dell’estinzione di pegno è l’adempimento all’obbligazione, tuttavia


si possono aggiungere la distruzione del bene, la confusione e la remissione (il creditore
rinuncia al diritto tramite exceptio pacti conventi).

In materia di pegno convenuto un creditore poteva costituire su uno stesso bene più debiti
appartenenti a debitori differenti. In quanto alla soddisfazione si applicava la norma del
“primo nel tempo più forte nel diritto” (prior tempore potior iure)che favoriva chi avesse
costituito il pegno per primo.

Il possesso
Non si confonda il possesso con la proprietà.
Il caso più frequente è quello del proprietario che sia contemporaneamente possessore di
un bene (acquisto la proprietà di un bene da un legittimo proprietario che me lo consegna),
non di rado tuttavia vi sono casi possessori non proprietari, si ricordano:
Il possessore che crede di essere proprietario ma non lo è poiché ha ricevuto il bene da un
non domino o con atto irrituale. Il suo possesso con determinati requisiti fonda l’acquisto di
proprietà per usucapione.
Il possessore che, in quanto creditore, ha ricevuto il possesso di un bene a titolo di pegno.
Il possessore che si è impadronito furtivamente di un bene, privando il proprietario del
possesso.

Nel pensiero dei giuristi classici due situazioni appaiono nitidamente diversificate nel
contesto di possesso:
anzitutto la detenzione fra i soggetti detentori si ricordano: il depositario (in forza di un
contratto, ha disposizione del bene a titolo di custode) il comodatario (al quale perviene
un bene in uso in forza di un contratto di comodato), il conduttore o locatario (acquista il
diritto di utilizzare una cosa e percepirne i frutti dietro il pagamento di una mercede
locativa) l’usufruttuario (che può mantenere lo stesso diritto per tutta la vita).
Tutti questi soggetti sono accomunati dall’assenza di animus possidenti nei confronti del
bene. Non hanno l’intenzione di trattenere con sé il bene in forza del contratto che li lega
al proprietario. Un cambiamento dell’animus li farebbe incorrere in un furto.
Nei casi di detenzione il dante causa mantiene il possesso e lo esercita “per intermediario”
(per intermediazione del detentore).

Una posizione a sé stante è quella occupata dal possesso di buona fede un possesso
con giusta causa che porta all’usucapione. Il possessore di buona fede percepisce i frutti.
Tuttavia la necessità di protezione è diversa da quella del comune possessio: in questo
caso si vuole garantire la certezza della titolarità del dominio.

La dottrina ha poi individuato 3 casi di possesso anomalo:


1) creditore pignoratizio
2) precarista (ha ricevuto in concessione delle terre e deve restituirle ad nutum)
3) sequestratario (ha ricevuto il possesso di un bene conteso)

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alla base vi sono dei contratti che sanciscono la restituzione del bene, dovrebbe essere
assente animus possidendi, tuttavia si parla di possesso.

La protezione del diritto di possesso è nata dall’esigenza di garantire la pace sociale.


L’ordinamento invita chi deve agire in rivendica del possesso di un bene ad iniziare un
regolare processo, in modo da evitare una guerra tutti contro tutti.
La protezione del possessore si attua con degli interdetti sotto forma di ordini ovvero
“forme e concezioni di parole con le quali il pretore comandava che fosse fatto qualcosa o
che non fosse fatto qualcosa”.
Gli interdetti si dividono i 3 categorie a seconda che permettano l’acquisto ex novo del
possesso (adipiscendae possessionis), che ne permettano la conservazione (retinendae
possessionis) o che ne permettano il recupero (reciperendae possessionis).

Interdetti per la conservazione del possesso


Il possessore di un bene immobile che riceva molestie da un vicino che ne turbino il
normale esercizio del possesso può rivolgersi al pretore che con un interdetto invita
entrambe le parti a non turbare il possesso altrui.
Il possesso è confermato solo se privo di vizi nei confronti dell’avversario, se possiede
clandestinamente, violentemente o per concessione precaria è consentito l’uso della forza
per il recupero del possesso.
Il possessore di un bene mobile che riceva le molestie sopra descritte invece ottiene un
interdetto del pretore che assegna il possesso del bene conteso alla parte che abbia avuto
possesso più a lungo nell’anno senza vizi nei confronti della controparte. È tutelato anche
il ladro che abbia posseduto più a lungo del derubato a patto che questi non sia
l’avversario ma un terzo.

Interdetti per il recupero del possesso


Un soggetto che abbia subito lo spoglio di un bene immobile da parte di un altro può
ottenere un interdetto che lo reintegri al possesso a meno che l’avversario non dimostri
che questi possedeva con i vizi sopra citati nei suoi confronti. Se poi lo spoglio è stato
effettuato a mano armata, il cacciato viene reintegrato al possesso anche se possedeva
viziosamente nei confronti dell’autore dello spoglio. L’espropriazione violenta da parte del
proprietario è punita in età giustinianea con la perdita della proprietà.
In generale:
 Nei casi di turbative è protetto il possessore se giusto e privo di vizi in assoluto o
nei confronti dell’avversario.
 Mentre è protetto il possessore spogliato anche se ingiusto e vizioso quando lo
spoglio sia avvenuto a mano armata o per violenza.

Requisiti del possesso


Per poter possedere è necessaria capacità giuridica patrimoniale e capacità di agire,
pertanto possono possedere soltanto i soggetti sui iuris che non siano infanti o furiosi.
I sottoposti non possono essere possessori, essi sono esclusivamente mezzi di acquisto e
conservazione dei beni per conto di aventi potestà.
Oggetto del possesso sono esclusivamente cose corporali e commerciabili.

Disposizione materiale della cosa


Intenzione di tenerla come propria
Sono elementi necessari all’acquisto del possesso
Acquisto (a) conservazione (b) e perdita (c) del possesso

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a) da Paolo “acquistiamo possesso con il nostro corpo ed il nostro animo, non con
l’uno soltanto o l’altro, l’animo deve essere nostro, il corpo o nostro o altrui” in
riferimento ai casi in cui tramite espressa o tacita autorizzazione si acquisti per
mezzo di figli, servi, procuratori, curatori , tutori o estranei autorizzati.
b) presuppone la compresenza dei 2 elementi necessari, tuttavia il possessore può
esercitare il suo diritto per intermediari, mantenendo cioè il solo animo del
possessore (usufruttuario, detentore, comodatario...)
c) si collega casisticamente ad eventi come l’abbandono, la consegna ad altri, eventi
fortuiti come lo smarrimento o il naufragio.

Il quasi possesso
Da Teofilo “possesso è tenere una cosa corporale, quasi possesso è l’uso di una cosa
incorporale”.
Chi esercitava un diritto di usufrutto o di servitù non era considerato possessore, questo
diritto rimaneva in capo al nudo proprietario o al proprietario del fondo servente. Ciò
impediva di usucapire questi diritti.
Tuttavia si manifestò l’esigenza di garantire la protezione a chi fosse turbato nell’esercizio
dei suoi diritti di servitù o usufrutto, a questo proposito si estese la protezione possessoria
e si concessero alcuni interdetti a chi esercitava determinate servitù.
Già nelle interpretazioni dei giuristi bizantini prende forma una concezione del tutto nuova
per la quale è possessore non solo chi ha una cosa corporale ma anche chi esercita un
diritto di usufrutto o servitù.
Si parla perciò di quasi possessio o possessio iuris.

OBBLIGAZIONI
Il concetto moderno è quello di legame giuridico tra due soggetti in forza del quale uno
(debitore) è tenuto a compiere all’ altro (creditore) una prestazione e, se non la compie ne
è responsabile.
Esistono
Soggetto attivo (creditore) con diritto di credito
Soggetto passivo (debitore) con dovere di prestazione
Questa definizione ha senso solo se esiste un soggetto in rapporto al quale sorge
l’obbligazione, il diritto di credito infatti rientra nella categoria moderna di diritto relativo
In forza di un’obbligazione il debitore è tenuto a pagare o a compiere una prestazione a
favore del debitore, la definizione di obligatio fornita da Paolo però va oltre, il debitore è
costretto ad un dare, ad un facere o ad un preastare .

Dare ovvero trasferire la proprietà di una cosa, l’impegno in sede di stipulatio perciò non
comporta il solo trasferimento del possesso (se non faccio mancipatio di una cosa mancipi
il mio debito non si estingue fino a che il creditore non ha usucapito)

Facere indica in senso ampio l’assunzione di una prestazione di servizio, rientra in questa
categoria anche il non facere nelle sue configurazioni di omissione, lasciar fare, astenersi
dal fare...
Praestare indica di solito un obbligo accessorio degli altri due che insorge qualora vi sia
un’inadempienza dolosa di cosa avuta in deposito o un trasporto non diligente. Si può
assimilare al termine “garantire” o “rispondere di”.

Verosimilmente la prima forma di obbligazione fu quella “di garanzia”: in sede di


stipulazione la formula era “mi prometti che mi SIA dato 100?” il verbo al passivo

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presuppone che l’obbligazione sorga in capo ad un terzo garante di adempimento, il


debitore è in questa fase estraneo al rapporto.

Fonti dell’obbligazione
Con riferimento agli atti ad effetti obbligatori si è parlato
di atti bilaterali (basati sull’accordo delle volontà) come la stipulazione, il mutuo, il
deposito, la vendita, la locazione, il mandato...
di atti non bilaterali (non riconducibili all’accordo costitutivo) come il pagamento di
indebito, il legato obbligatorio, la gestione di affari altrui senza incarico...
di atti illeciti produttivi di obbligazione come il pagamento all’offeso a titolo di pena, il
furto, la rapina, il danno, l’ingiuria ma anche i vizi di violenza e di dolo.
Questi singoli atti a partire almeno dalle XII tavole hanno posto in essere il fenomeno delle
obbligazioni.
Gaio nelle sue istituzioni scrive che la più elevata divisione delle obbligazioni è la seguente
“tutte le obbligazioni o sorgono da contratto o da delitto”
Le obbligazioni che sorgono da contratto poi sono di quattro tipi
“o contratte con una cosa o con delle parole o con le lettere o con il consenso”
Mentre le obbligazioni che sorgono da un delitto sono di un solo genere

La grande novità è quella di ricondurre le obbligazioni a due concetti generali


Contractus designava ogni atto lecito produttivo di obbligazione (bilaterali, unilaterali, che
producevano obbligazioni reciproche o solo per una delle parti). Gaio tornerà su questo
punto affermando una nozione di contratto che racchiude i soli atti bilaterali, cioè un
accordo costitutivo.
Delictus

Una ulteriore posizione è quella occupata sempre da Gaio nelle res cottidianae o aurea
“le obbligazioni nascono o da contratto o da maleficio o da varie figure di cause”
Le varie figure di cause comprendono casi che non derivano né da contratti né da delitti,
vi sono inclusi tutti gli atti leciti che non possono essere intesi come contratti dato che con
contratto si designano i soli atti bilaterali, mentre fra gli atti illeciti quelli che derivano da
un’azione di terzi ma ricadono sotto la responsabilità di un estraneo ai fatti (il proprietario
di una casa dalla quale sono stati lanciati oggetti che hanno danneggiato un privato, il
comandante di una nave nella quale i passeggeri sono stati derubati)

L’edificio sistematico delle fonti si definisce nella compilazione giustinianea.


“le obbligazioni sorgono da contratto o da quasi contratto, da delitto o da quasi
delitto”
I quasi contratti sono tutti quegli atti leciti, non bilaterali costitutivi di obligatio
I quasi delitti sono invece tutti gli atti illeciti e produttivi di obbligazione diversi da quelli
che rientrano nelle categorie di furto, rapina, danno e ingiuria.

La summa divisione che si legge nelle istituzioni imperiali distingue tra


Obbligazioni civili nascenti dalla legge
Obbligazioni onorarie costituite dal pretore in forza della sua giurisdizione.
Tuttavia questa divisione era già presente in epoca classica come testimoniato da
Modestino, ultimo giurista dell’età dei severi.
Si noti che la riflessione giuridica ha sempre assegnato grande importanza al pretore nella
storia delle obbligazioni e nello sviluppo delle cause, tant’è che molti studiosi moderni
definirono le obbligazioni onorarie come un mondo a sé stante, concettualmente separato
e propriamente fatto da actinoae teneri essere tenuti all’azione.
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Nei passi analizzati inoltre emerge la categoria delle obbligazioni costituite dalla legge,
essa racchiude tutte le obbligazioni che non siano sorte da contratti, quasi contratti, delitti
o quasi delitti bensì dalla legge stessa che impone doveri e concede azioni in caso di
inadempienza.
Si ricordano l’obligatio iudicati (obbligo di pagare la condanna) la pollicitatio (obbligo di
compiere un’opera in favore della comunità) il prestito di alimenti e la costituzione di dote
fra gli obblighi scaturiti da rapporti familiari.

Nozione romana di contratto


La legislazione italiana al riguardo definisce un contratto come l’accordo tra due o più parti
per costituire, regolare od estinguere un rapporto giuridico patrimoniale. Questa
definizione è coerente col principio della autonomia contrattuale, ovvero la possibilità per i
privati di creare nuovi tipi di contratti e di vederli riconosciuti col solo limite che questi
perseguano interessi meritevoli di tutela (art. 1321,1322 c.c.)
La nozione romana di contratto che più si avvicina a quella odierna è quella di età
classica.
Nelle testimonianze di età repubblicana un contratto indica semplicemente l’esistenza di
un vincolo.

Nozione di Labeone e della scuola Sabiniana


Per Labeone, noto giurista di età augustea, è contratto un qualsiasi accordo di scambio, a
prestazioni corrispettive come una vendita o una locazione.
Gaio che nelle sue istituzioni ricalca una posizione già espressa dalla scuola Sabiniana
afferma invece che è contratto un qualsiasi atto lecito produttivo di obbligazione,
unilaterale o bilaterale che sia, salvo poi tornare sui suoi passi e restringere il termine
contractus ai soli atti bilaterali produttivi di obbligazioni.

Nozione di Ulpiano fatta propria dai Giustinianei


Un contratto è un accordo costitutivo di obbligazioni, siano esse reciproche o unilaterali
In diritto romano, a differenza di quello moderno, non ogni accordo è contratto. Esistono i
contratti, singole figure tipiche. Esiste tuttavia un principio di tipicità contrattuale per cui
un accordo diventa produttivo di obbligazioni, cioè efficace, solo quando si incanala
all’interno di quelle forme giuridiche che l’ordinamento ha disciplinato e selezionato.
Un semplice accordo è detto “nudo” fino a quando esso non si incanala nell’istituto
giuridico della stipulazione, a quel punto si dice “vestito” ed è produttivo di obbligazione.
In diritto romano è contratto il solo accordo volto a costituire obbligazioni.
Anche alla base di mancipatio in iure cessio e traditio vi è un accordo essenziale ai fini
della validità dell’atto, tuttavia gli accordi che si incanalano in queste forme non sono
contratti.
ATTI AD EFFETTI REALI E AD EFFETTI OBBLIGATORI SONO SEPARATI: il contractus
appartiene solo alla sfera delle obbligazioni.
Questa rigida tipicità contrattuale è superata progressivamente nella pratica: i cosiddetti
contratti innominati troveranno riconoscimento in diritto pretorio e civile.
Una legge dell’imperatore Leone poi supera parzialmente l’astrattezza di alcuni accordi
consentendo di ricondurre a stipulazione un qualsiasi accordo unilaterale.

CONTRATTI TIPICI
Dalle trattazioni scolastiche sia di Gaio che di Giustiniano si evince un catalogo chiuso di
contratti organizzati in un sistema già compiutamente formato e non incline ad
allargamenti. Con buona probabilità tutti questi contratti hanno avuto riconoscimento nel
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diritto civile e sono stati rafforzati da tutele pretorie. In quanto alle azioni esercitabili, tutte
in personam, si può distinguere tra in ius conceptae e in factum conceptae accordate dal
pretore.
In senso moderno sono bilaterali quei contratti in forza dei quali l’obbligazione sorge per
entrambe le parti, sono unilaterali quei contratti in forza dei quali l’obbligazione sorge per
una sola parte mentre sono bilaterali imperfetti quei contratti in forza dei quali
normalmente sorge obbligo per una sola delle parti ma in certe situazioni può sorgere
anche per l’altra (deposito, comodato).
Gaio nella sua opera res cottidianae o aurea individua quattro metodi principali per
contrarre un’obbligazione:
1. con la consegna di una cosa
2. con la pronuncia di parole
3. con la scrittura
4. attraverso semplice consenso
la concezione è che l’accordo sia elemento necessario ma non sufficiente nei casi di
contratti reali (serve la consegna della cosa), verbali (serve la pronuncia), scritti (serve la
scrittura), mentre è condizione necessaria e sufficiente per i contratti consensuali.

Contratti reali
Contratti che si perfezionano con la consegna di una cosa. A seconda dei casi si
trasferisce il possesso, la proprietà o la semplice detenzione. Si distinguono, nella
trattazione giustinianea e gaiana nelle res cottidiane,
mutuo
comodato
deposito
pegno (dato)
fiducia
a) Mutuo
Consiste nella dazione di una cosa fungibile affinché sia consumata dal mutuatario
e questi restituisca altrettanto al mutuante. Alla base del contratto c’è un accordo
ma questo diventa contratto solo con la datio del bene.
Elementi cogenti del mutuo quindi sono accordo e dazione.
La datio è la consegna di cose fungibili e l’obbligazione che sorge è quella della
restituzione di un tantundem al mutuante, si tratta di un contratto unilaterale poiché
l’obbligazione sorge in capo ad una sola parte.
Nella pratica era uso comune farsi promettere con stipulazione degli interessi
(usurae), questo accordo però era estraneo al mutuo e non ne snaturava il suo
carattere gratuito.
Al mutuante erano concesse azioni a tutela del suo credito: la condicio certae
pecuniea e la c. certae rei a seconda del contenuto del mutuo.
La tendenziale gratuità di questo mutuo era assente nei casi di prestito marittimo
ovvero qualora si prestasse denaro per finanziare un’attività marittima o si affidasse
denaro da trasportare per mare: dati i forti rischi i mutuatari esigevano alti tassi di
interesse.
Non erano azionabili i mutui fatti a figli di famiglia o a pupilli senza l’autorizzazione
del tutore a causa di un SC Macedoniano che aveva dichiarato questo divieto
sembra dopo la vicenda di un figlio scapestrato che aveva ucciso il padre al fine di
ereditare e poter pagare i debiti contratti.
b) Comodato
Consiste nella dazione di un bene inconsumabile con l’intenzione che sia restituito.
Si tratta di un contratto reale, definibile come bilaterale imperfetto, di norma
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l’obbligazione sorge solo in capo al comodatario ma se l’oggetto del comodato gli


provoca dei danni il comodante è chiamato al risarcimento.
Il comodatario risponde di tutti i danni arrecati alla cosa a causa di una errata
diligenza, è libero da responsabilità solo qualora questi derivino da cause di forza
maggiore (elevata responsabilità a causa del carattere tendenzialmente gratuito del
comodato, il solo vantaggio è quello che sorge in capo al comodatario). Se poi il
comodatario eccede con l’uso della cosa questo risponde per a. furti e non con
azione contrattuale, questo a causa della concezione romana di furto d’uso.
È eccezionalmente ammesso il comodato di cose consumabili qualora queste siano
date per pompa (processione trionfale) o ostentazione.
c) Deposito
Consiste nella consegna di una cosa ad un depositario perché la custodisca e la
restituisca a richiesta. Anche questo contratto è imperfettamente bilaterale, allo
stesso modo del comodato se la cosa produce danno l’obbligazione di risarcire è
del depositante, altrimenti sorge in capo al solo depositario.
Il contratto è essenzialmente gratuito, il depositario non riceve di norma un
compenso per il servizio reso, per ciò la sua responsabilità è limitata: risponde
personalmente solo per dolo. Se il depositario utilizza la cosa risponde di furto.
L’azione sanzionatoria delle obbligazioni è l’a. depositi diretta e contraria anch’essa
derivante da azione pretoria e civile di buona fede.
Fra i casi particolari di deposito si ricordano:
 deposito irregolare: si tratta del deposito bancario, quando si depositava
denaro in contanti ad un banchiere in realtà si configurava come mutuo
poiché a questo era trasferita la proprietà del denaro ed era tenuto a
restituire il tantundem.
 deposito per sequestro: si riferisce al caso in cui sia depositata a carico di un
soggetto una cosa attualmente in lite, contesa tra due parti.
 Deposito necessario o miserabile: il caso in cui il deposito avvenga in
circostanze calamitose per il deponente, se il depositario non restituisce
risponde in duplum e non in simplum.
d) Pegno
Si rinvia a quanto trattato in precedenza.
La consegna del bene a garanzia dell’adempimento all’obbligazione perfeziona un
contratto inoltre, fa sorgere in capo al creditore l’obbligo di restituire
all’adempimento, sanzionato con a. pigneraticia
e) Fiducia
Contratto caduto in desuetudine già in età giustinianea e frammentariamente
riportato nelle istituzioni di Gaio. La fiducia è tanto l’oggetto del contratto quanto il
suo substrato, si definisce come quel contratto in forza del quale un fiduciante
consegna la proprietà del bene ad un fiduciario con la promessa di quest’ultimo di
riconsegnare il bene qualora venga meno lo scopo del trasferimento. Si delineano 2
scopi principali per cui si attendeva a questo atto:
 f. cum creditore lo scopo è la garanzia, di un debitore ad esempio,
dell’adempienza di un’obbligazione
 f. cum amico lo scopo è la più sicura conservazione del bene
eventuali inadempienze sono punite con l’a.fiduciae che lascia grave discrezionalità
al giudice come se si trattasse di un giudizio di buona fede (considerazione
adottata da Gaio).
Riguarda questo contratto anche un particolare tipo di usucapione: l’usureceptio
per mezzo della quale il debitore che avesse trasferito la proprietà ad un fiduciario
ma avesse mantenuto il possesso di un bene ne sarebbe ritornato proprietario. Se
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si tratta di fiducia con un creditore, il riacquisto della proprietà avviene solo dopo il
pagamento del debito.

Contratti verbali
Obbligazioni che si contraggono verbis, attraverso la pronuncia di parole determinate.
Questa categoria è dominata dal genere della stipulatio.
a) Stipulatio
lo schema per questo negozio come sappiamo era quello della domanda e
risposta: lo stipulante (futuro creditore) chiedeva al promittente (futuro debitore)
la prestazione, questo rispondeva utilizzando, almeno fino in età abbastanza
avanzata, lo stesso verbo. Giustiniano ammette che si utilizzi un verbo diverso, a
patto che la risposta sia comunque congrua. Con l’allargamento degli scambi
questo contratto fu accessibile anche ai peregrini, inoltre si ammise che la
stipulazione si concludesse anche in greco o altra lingua o addirittura che le parti
parlassero lingue diverse, purché si comprendessero e la risposta fosse congrua.
La stipulazione nasce come negozio astratto ma col tempo l’astrattezza si supera
per mezzo dell’exceptio doli, mentre è causale quella stipulazione che contenga già
nelle parole dello stipulante la cosiddetta dotis causa.
La stipulazione può essere pura, sottoposta a termine o sottoposta a condizione.
Il promittente che rispondesse con risposta immediata e congrua si impegnava a
compiere la prestazione espressa nella domanda, egli rispondeva in caso di
inadempienza per mezzo di actio ex stipulatu o condicio.
Questo istituto così duttile, adattabile cioè ad ogni forma di contenuto obbligatorio,
ha trovato larghissima diffusione nel corso della storia romana, inoltre ha permesso
il superamento della tipicità contrattuale, il numerus clausus dei contratti e la non
azionabilità dei patti.
Si è sempre configurato come contratto unilaterale, produttivo di obbligazioni per il
solo promittente a meno che non si concludessero due stipulazioni successive dette
stipulatio e restipulatio.

Soggetti della stipulazione


Stipulante (creditore) e promittente (debitore).
I requisiti di capacità sono i seguenti:
stipulano efficacemente i padri di famiglia, i loro sottoposti (e il credito si produce in
capo ai loro aventi potestà), ma questi non possono promettere né per se né per gli
aventi potestà, fatta eccezione dei maschi che si possono civilmente obbligare.
Pupilli e donne possono stipulare ma non possono promettere se non con
l’autorizzazione del tutore.
Sono nulle le stipulazioni concluse dai sordi dai muti e dai pazzi.

Promessa a favore di terzi o del fatto di un terzo


Non ha interesse giuridicamente apprezzabile la stipulazione fatta per conto di terzi
“alteri stipulari nemo potest”, non si può farsi promettere da un soggetto che, ad
esempio, che dia 100 a Tizio, a meno che Tizio non sia l’avente potestà dello
stipulante. In tal caso Tizio non è considerato estraneo ai fatti e il contratto produce
obbligazione, è efficace.
Tuttavia esiste una casistica di eccezioni per cui ci si può far promettere una
dazione ad un terzo:
è il caso del tutore che ceda la gestione del patrimonio pupillare ad un co-tutore e
possa efficacemente farsi promettere la buona gestione del patrimonio da questi ,
prevalse la regola secondo la quale: “colui che si è fatto promettere una
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prestazione a favore di un terzo, stipula validamente se e solo se ha un interesse a


che la prestazione sia eseguita”.
Quanto alla promessa per fatto di un terzo essa non è produttiva di obbligazioni né
per lo stipulante né tantomeno per il terzo, a meno che il promittente non abbia
promesso una penale.

Promessa di adempiere ad un aggiunto ai fini dell’adempimento


È valida la stipulazione del tipo “prometti di dare 100 a me o a Seio?” Seio non è
creditore ma semplice aggiunto, il credito si produce interamente in capo allo
stipulante. Il debitore si libera pagando o lo stipulante o Seio anche contro a volontà
di questo.

Pluralità di Stipulanti
Obbligazioni solidali un promittente promette a più stipulanti la stessa
prestazione. Il contratto si produce mediante più interrogazioni degli stipulanti e
un’unica risposta dell’unico promittente.
L’obbligazione che si produce sorge in capo al promittente, gli stipulanti sono tutti
creditori per l’intero ma, in questo caso si parla di solidarietà attiva elettiva poiché
il debitore si libera pagando l’intero ad uno solo degli stipulanti a sua scelta.

Pluralità di Promittenti
Obbligazioni solidali più promittenti promettono ad un solo stipulante la stessa
prestazione. Il contratto si produce mediante l’interrogazione di ciascun promittente
da parte dell’unico stipulante.
L’obbligazione si produce in capo a tutti i promittenti per l’intero, in questo caso si
parla di solidarietà passiva elettiva poiché il pagamento di uno solo dei debitori
libera tutti gli altri ed estingue il debito (parliamo di solidarietà passiva cumulativa
nei casi di obbligazioni da delitto dove ogni creditore deve adempiere per l’intero).
Queste applicazioni speciali hanno favorito il riconoscimento di solidarietà attiva,
passiva ed elettiva anche in altri contratti atteso che una delle due parti sia formata
da più individui.

Quando ad esempio i compratori erano più di uno sorgeva il dubbio se


l’obbligazione di pagare fosse solidale elettiva (uno dei due dovesse pagare per
l’intero) o parziaria (il venditore dovesse riscuotere da ogni compratore la sua parte
del prezzo), per questa decisione si richiamava alla volontà delle parti in sede di
conclusione del contratto espressa in forma di patto.
Altra osservazione è che la solidarietà qualora fosse derivata da accordi tutelati
da azioni di stretto diritto desse luogo ad azioni cosiddette correali: il creditore
che agisca contro uno fra i suoi debitori inadempienti e non trovi soddisfazione non
può agire contro gli altri, l’unico rapporto obbligatorio si esaurisce con la litis
contesatio. Diversamente nel caso di solidarietà derivata da accordi tutelati da
azioni di buona fede il creditore può agire contro tutti i suoi debitori fino alla sua
completa soddisfazione perché si considerano tante obbligazioni quanti sono i
codebitori.

Adstipulator
Uno stipulante poteva utilizzare un altro soggetto che stipulasse lo stesso che
avesse stipulato lui.
La situazione è quella di una doppia stipulazione compiuta fra due stipulanti ed un
solo promittente.
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“prometti di darmi 100?” “prometti di dare lo stesso a me?”


La figura del costipulante non è quella di semplice abilitato a ricevere il pagamento
ma di vero e proprio creditore abilitato anche ad agire contro il creditore
inadempiente. Il creditore per le regole della solidarietà elettiva si liberava
dell’obbligazione pagando ad uno solo degli stipulanti.
È buona opinione credere che questa figura sia nata dall’esigenza di eludere quel
principio per cui nessuna obbligazione può avere inizio dalla persona dell’erede, e
permettere così che fosse dato all’erede dopo la morte dello stipulante.
A: Prometti di darmi 100?
B: Prometti di dare a me lo stesso dopo la sua morte?
Dopo un giudizio di mandato poi l’erede avrebbe potuto farsi restituire 100 dal
costipulante.

Sponsor, fidempromissor, fideiussor


Si parla in generale di adpromissio per identificare un soggetto che affianca
promittente per garantire la parola di questo al creditore.
Questa stipulazione di garanzia ha assunto da una parte la forma della sponsio o
della fidepromissio e dall’altra quella della fideiussio.
In età antica si applicava la sponsio fra cittadini romani e la fidepromissio con o tra
stranieri, questo istituto si sviluppava attraverso una doppia stipulazione, la prima
rivolta al promittente e la seconda dello stesso rivolta al garante.
In capo al garante nasceva un’obbligazione passiva elettiva che dava al creditore
facoltà di riscuotere a suo piacimento dall’uno o dall’altro. Sponsio e fidepromissio
riguardavano solo ed esclusivamente le obbligazioni sorte da stipulazione, avevano
efficacia solo biennale e non si estendevano agli eredi (a seguito di una Lex Furia).

La fideiussio invece nasce dall’esigenza di risolvere le carenze di sponsio e


fidepromissio e il loro limitato campo di applicazione.
Questa doveva funzionare da un punto di vista formale come le altre stipulazioni di
garanzia con la differenza che si potevano garantire anche quelle obbligazioni non
derivanti da stipulatio a patto che esse fossero sorte contestualmente alla
fideiussione, inoltre si prestava anche alla garanzia di obbligazioni non ancora sorte
o sorte in passato.
Tuttavia in questo caso il fideiussore doveva rispondere di eventuali inadempimenti
o cattivi adempimenti del debitore principale poiché si impegnava per “ciò che il
debitore principale deve” e non per “lo stesso”. L’obbligazione di garanzia era in
questi casi perpetua (si estingueva cioè all’estinzione del debito principale) e si
trasmetteva agli eredi.
Storicamente quest’ampia applicabilità ha designato l’ascesa della fideiussione in
contrasto a fidepromissio e sponsio. Giustiniano accoglierà solo la fideiussione.
L’obbligazione assunta dal fideiussore è, a detta di Gaio e Giustiniano, una
accessione di quella principale e come tale, in essa non può esserci più che in
quella principale. Ne deriva che in primo luogo deve essere valida l’obbligazione
principale perché sia valida la fideiussione ; inoltre il fideiussore doveva impegnarsi
non in peius (a dovere di più) ma solo in melius (in modo da dover meno) e anche
in modo da non dovere sotto condizione o termine se l’obbligazione principale era
pura. Ovviamente l’estinzione dell’obbligazione principale estingueva quella di
garanzia.
Vi era altresì l’esigenza di superare la solidarietà passiva elettiva in modo di
consentire ad un debitore di dividere con i codebitori ciò che aveva pagato e ai
cocreditori di riscuotere la loro parte dal creditore che aveva riscosso il debito.
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Nella fideiussione il superamento della solidarietà passiva si attua grazie a tre


benefici concessi:
1) Beneficium divisionis : introdotto dall’imperatore Adriano, se i fideiussori erano
più di uno il debito si divideva fra coloro che erano in grado di adempiere,
ciascuno non era più tenuto in solido. Al fine poi di favorire l’azione nei confronti
del creditore da parte del fideiussore si diffuse la tendenza a considerare
l’accordo come mandato o negotiorum gestiorum in modo da far disporre il
fideiussore delle azioni contemplate per agire in regresso.
2) Beneficium cedendarum actionum: il creditore cede l’azione di cui dispone
contro il creditore principale al fideiussore quando questo si disponga a pagare il
debito pecuniario. La somma data si considerava come prezzo per la vendita
del credito e non come adempimento, in modo che il creditore principale fosse in
qualche modo azionabile anche per un debito già estinto (dal fideiussore).
3) Beneficius excussionis o ordinis : qualora il fideiussore fosse citato in giudizio
per inadempimento prima del debitore principale poteva pretendere che prima di
lui venisse escusso quest’ultimo.

Oggetti della stipulazione


I giuristi, al fine di individuare l’azione da applicare in caso di inadempimento, hanno
diviso le stipulazioni in certe ed incerte
Certe sono le promesse che hanno ad oggetto un dare in forma di denaro (10
aurei...), una cosa di specie precisata nella sua individualità (il fondo Capenate...), o
una cosa di genere purché individuata nella quantità e nell’appartenenza ad una
sottocategoria ristretta (100 anfore di ottimo vino Toscano...).
Incerte sono le promesse che hanno per oggetto un facere o un non facere.
Questa principale divisione era utile soprattutto ai giudici quando si trattava di
quantificare, in sede di condanna per adempimento di un fare, la pena da infliggere.
L’oggetto della stipulazione doveva essere sufficientemente determinato o
determinabile, le promesse non determinabili erano nulle in quanto il giudice non
avrebbe potuto stabilire se la prestazione era stata compiuta adeguatamente. Allo
stesso modo erano nulle le promesse che avessero ad oggetto cose indisponibili o
non commerciabili, in quanto l’oggetto della stipulazione doveva esser inoltre
possibile. In ultimo poi l’oggetto doveva essere lecito: non valevano promesse di
uccidere o di compiere sacrilegio.

Stipulazioni alternative o con facoltà alternativa


Si aveva stipulazione alternativa ad oggetto multiplo quando erano dedotti nella
promessa due o più oggetti tra i quali doveva effettuarsi la scelta del promittente
(qualora non fosse specificato) o dello stipulante se fosse specificato.
Diversa era la stipulazione con facoltà alternativa, essa creava obbligazione per un
solo oggetto, ma attribuiva al promittente la facoltà di liberarsi anche consegnando
un bene diverso da quello stabilito in precedenza.
La differenza è principalmente che nel primo caso l’obbligazione si estingueva nei
confronti del bene indisponibile e si produceva nei confronti dell’altro o degli altri
tutti dedotti in obbligazione; nel secondo caso l’oggetto in obbligazione è unico, la
facoltà connessa al debitore non riguardava l’obbligazione ma la sua esecuzione,
talché se l’oggetto diventava indisponibile l’obbligazione si estingueva ed era
impossibile rimpiazzarlo.

Classificazione delle stipulazioni

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Accanto alle stipulazioni convenzionali vi sono le stipulazioni pretorie che


comprendono le stipulazioni edilizie, giudiziali e comuni o miste. Le prime sono
quelle tra privati, le seconde quelle che provengono dall’ufficio del pretore o degli
edili, le terze sono imposte dai giudici e le quarte sono comuni tanto ai pretori
quanto ai giudici.
Quando pretori edili o giudici imponevano una stipulazione e una parte o entrambe
si rifiutavano talvolta l’atto era dato per concluso altre volte si ricorreva a mezzi di
coazione quali la denegatio actionis o la pignoris capio.

Applicazioni particolari della stipulazione: stipulazione penale e novazione.

Stipulazione penale
Lo stipulante si fa promettere dal promittente una penale in denaro in caso il
promittente non faccia o faccia qualcosa o altri facciano o non facciano qualcosa.
L’oggetto della promessa era la somma di denaro. L’avverarsi della condizione
sanciva l’obbligo del promittente di dare la somma, inadempienze eventuale
sanzionata con a. ex stipulatu.
Il patto poteva svilupparsi con struttura
Unica quando un’unica stipulazione poneva in essere obbligazione principale ed
eventuale pena.
Duplice quando le due parti erano già legate da un precedente negozio primario e
la pena fosse posta in essere da una seconda stipulazione.
La pena, oltre ad una chiara funzione esortativa dell’adempimento, faceva da prova
per l’id quod interest dell’attore e rendeva il valore della stipulazione certo.
Era valida la penale aggiunta alla stipulazione per conto di terzi, poiché non si
guardava al risultato che si voleva ottenere (che sarebbe stato invalido per
mancanza di interesse dello stipulante) ma alla prestazione della penale.
Allo stesso modo si rendevano cogenti le promesse di un fatto di un terzo, i patti
dotali più bizzarri e l’accordo di deferire la controversia ad un arbitro e di accettare il
suo giudizio.

Novazione
È detto novazione quel fenomeno per cui una obbligazione si trasferisce in un’altra,
ne è assorbita, e si estingue solo quando la seconda, mantenendo lo stesso
contenuto economico, presenti tuttavia qualcosa di nuovo.
Elementi fondante della novazione sono l’idem debitum (stesso oggetto, contenuto
economico, prestazione) e l’aliquid novi.
La prima obbligazione poteva trarre origine da qualsiasi causa, mentre la seconda
doveva obbligatoriamente scaturire da stipulazione.
Quando poi due soggetti sono legati da stipulazione può aversi novazione se
riformulano la stipulazione aggiungendo o togliendo termine, condizione o garanti.
In materia di aggiunta di condizioni Servio, sostenne che la seconda stipulazione
con aggiunta di condizione estinguesse immediatamente l’obbligazione precedente,
il mancato avverarsi della condizione avrebbe sancito l’estinzione della seconda
obbligazione e determinato quindi l’impossibilità totale di agire per il creditore.
Gaio, in accordo con Giustiniano, sostenne che l’effetto estintivo sulla prima
obbligazione si producesse solo all’avverarsi della condizione.
Si parla in questi casi di novazione oggettiva.

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I casi di novazione soggettiva riguardano invece quelle obbligazioni nelle quali


cambia la persona dello stipulante o del creditore. Questo passaggio avveniva
tramite delegatio.
Si noti la delegatio promittenti, essa può essere:
d.p. attiva che si verificava quando il creditore (delegante) autorizzava il debitore
(delegato)a promettere con stipulazione ad un terzo estraneo (delegatario)
*NON CHIARO*

d.p. passiva o expromissio che si verificava quando il debitore (delegante)


autorizzava un terzo (delegato) a promettere al suo creditore (delegatario) ciò che
egli gli doveva.
La delegatio solvendi invece si verificava quando il creditore autorizzava il
debitore a pagare ciò che gli doveva ad un terzo.

Come si è visto la stipulazione novatoria poteva ottenere elementi nuovi soggettivi


e/o oggettivi.
“ciò che tu hai promesso a Tizio, prometti di dare a me alle idi di marzo?”
Tuttavia rimane sempre il dubbio se in una costruzione del genere sia sottinteso
l’animus novandi e si debba stipulare quindi una novazione, o no, e ciò
comporterebbe l’accumulo dei debiti delle due stipulazioni.

Le innovazioni introdotte in età giustinianea sono state principalmente 2:


1) Non essenzialità dell’idem debitum. Già presente nel diritto pretorio, si
ammette che sia considerata estinta la vecchia obbligazione anche se la
seconda contiene un oggetto del tutto diverso.
2) Dichiarazione espressa dell’animus novandi. Si aveva cumulo per tutte le
stipulazioni successive alla prima dove non fosse esplicitamente dichiarata la
volontà di novare.

Un posto a sé stante in questo contesto occupa la stipulazione aquiliana.


Il giurista Aquilio Gallo propose che ad un rapporto o ad una serie di rapporti
preesistenti si sostituiva il loro equivalente pecuniario, la loro stima in denaro.
Questa stipulazione era vista come un modo di estinzione delle obbligazioni ma non
come una novazione.
Questo accordo estingueva tutto il complesso di rapporti patrimoniali che il debitore
aveva col creditore e ad essi si sostituiva l’obbligo di pagare una somma di denaro.
Con l’acceptilatio si produceva l’atto estintivo.

Contratti letterali
Titolo trascritto
Riportato da Gaio quale esempio di contratto letterale che si applicava ai cittadini.
Fondamentalmente trascrizioni dei debiti sui registri di un padre di famiglia dove
figuravano la parte delle entrate e la parte delle uscite. Questa trascrizione poteva essere
da cosa a persona o da persona a persona.
Nel primo caso il pater, creditore di Tizio, trascriveva il suo debito come riscosso nella
parte delle entrate e in seguito nella parte delle uscite. Se dopo il primo passaggio il debito
di Tizio si era estinto, il secondo passaggio costituisce a carico dello stesso una obligatio
litteris.
Nel secondo caso oltre a debitore e creditore vi era un terzo. L’obbligazione veniva
ugualmente trascritta nella parte delle entrate ma al momento di riscriverla nelle uscite la
si registrava come a carico del terzo. L’obbligatio litteris sorgeva a carico del terzo.
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L’obbligazione era costituita dalla scrittura.

Contratti consensuali
si tratta di contratti che si perfezionano con il semplice accordo, perciò sono contratti che
possono concludersi anche fra assenti tramite consegna del consenso per lettera o
messaggero. Si ricordano tra questi contratti la compravendita, la locazione, conduzione,
la società e il mandato.
Per compravendita e locazione valeva il principio della interdipendenza delle prestazioni,
una parte poteva chiedere l’adempimento solo quando aveva già compiuto la prestazione.
Ciascuno doveva all’altra parte solo ciò che era buono ed equo, questi contratti erano
protetti da azioni di buona fede ed erano accessibili agli stranieri.

Compravendita
Contratto in forza del quale una parte si impegnava a consegnare una cosa all’altra, che
era tenuta a pagare un prezzo. Merce e prezzo erano gli elementi fondamentali e il loro
scambio costituiva la causa del contratto.
Per la precisione il momento perfezionativo era considerato quello in cui si raggiungeva
l’accordo sul prezzo.

a) Merce
Oggetto di vendita potevano essere tutte le cose corporali in commercio. Dall’età
tarda poi per quanto riguarda la vendita di cose incorporali furono ammesse le
vendite di eredità, di diritti di superficie ed enfiteusi e dei crediti. L’oggetto della
vendita poi poteva consistere anche in una cosa non ancora venuta in essere cioè
futura.
Nella tradizione si distinguono 2 tipi di vendita futura:
1) Vendita della speranza: il rischio ricade completamente sul compratore
2) Vendita sperata: il compratore compra solo se la cosa futura è posta in essere.
Era inoltre invalida la vendita di cose altrui, poiché il venditore aveva sola facoltà di
trasferire il possesso e non la proprietà.

b) Prezzo
Il prezzo doveva essere corrisposto in moneta. Tuttavia si affermarono due
orientamenti opposti: i Sabiniani che sostenevano che si potesse ammettere anche
la dazione di cosa contro cosa ovvero la permuta e i Proculeiani che invece
sostenevano che in tal modo si sarebbe confuso quale fosse la merce e quale il
prezzo e ciascun bene sarebbe stato illogicamente prezzo e merce, e sostenevano
invece che il prezzo dovesse coincidere esclusivamente in denaro.
L’affermazione dell’opinione proculeiana favorì la configurazione autonoma
acquisita dalla permutatio.
Il prezzo doveva essere certo (cioè determinato)
vero (prezzo irrisorio o assente avrebbe trasformato la vendita
in donazione)
è assente nella cultura giuridica l’idea del prezzo giusto, in qualche modo
corrispondente al valore oggettivo del bene. La regola introdotta da Diocleziano
introduce a questa caratteristica definendo che il prezzo non doveva essere
inferiore alla metà del giusto, altrimenti il venditore poteva rescindere

Fra gli obblighi del venditore si ricordano:


1) Trasferimento del possesso: il venditore doveva garantire il pacifico godimento del
bene al compratore, ciò non comportava un dare in rem ma un trasferimento del
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semplice possesso. Il solo tradere possessionem di cosa nec mancipi trasferiva


immediatamente la proprietà in capo al compratore.
2) Garanzia per evizione: non esistevano in principio rimedi per il possessore che
fosse stato evitto da un terzo che avesse agito vittoriosamente per la proprietà della
cosa prima che il possessore potesse usucapirla. Nel contratto di compravendita
tuttavia si poteva fare una stipulazione penale di garanzia che impegnava il
venditore a pagare una cifra pari o superiore al valore del bene in caso di evizione
del compratore.
3) Garanzia per i vizi occulti: rispondeva di eventuali vizi materiali o morali (schiavo
ladro o profanatore di tombe) del bene il venditore con mezzi che hanno lo stesso
metodo di costituzione della garanzia per evizione in sede di stipulazione.
Giustiniano poi concesse azioni specifiche per i vizi occulti nella vendita di schiavi
o animali:
 A. aestimatoria entro l’anno il compratore può chiedere ed ottenere la
riduzione del prezzo del bene viziato
 A. redibitoria entro 6 mesi dalla vendita il compratore può chiedere indietro il
prezzo e restituire il bene.
4) Obbligo di purgari dolo: il compratore era protetto da eventuali frodi come quella
del compratore che tacesse l’esistenza di diritti reali di un terzo sulla cosa venduta
e concludesse comunque la vendita. Quest’obbligo è stato imposto dai giuristi.

L’unico obbligo del compratore è invece quello di pagare il prezzo.


Egli non era proprietario ne poteva far valere la garanzia di protezione fintanto che non
avesse pagato, nel caso poi in cui il pagamento fosse stato differito e a cosa invece
immediatamente consegnata il compratore era tenuto al pagamento degli interessi a
compenso dei frutti prodotti dalla cosa.
Valeva inoltre il principio periculum est emptoris secondo cui il compratore che aveva
pagato e differito la consegna non poteva ripetere il pagamento e il compratore che non
aveva pagato era tenuto a farlo se a cosa fosse perita in possesso del venditore per causa
di forza maggiore, questi però era tenuto a prestare diligente custodia del bene.

Le azioni accordate erano:


Per il venditore l’a. venditi che sanzionava gli obblighi del compratore.
Per il compratore l’a. empti.
Le azioni erano di buona fede come tutte quelle che accompagnano i contratti
consensuali, al giudice è accordata larga discrezionalità nel valutare i casi più secondo
l’equità che lo stretto diritto.

Tra le numerose convenzioni o patti che si accompagnavano ad una vendita si ricordano:


la lex commissoria che non considerava una cosa come venduta se il compratore non
aveva pagato entro il termine prestabilito. Tale patto funzionava come una condizione
risolutiva che consentiva al venditore di ripetere il bene o chiedere il pagamento del
prezzo come se il contratto non si fosse concluso.
L’ in diem addictio per mezzo della quale una cosa si considerava venduta solo se al
venditore non fosse pervenuta una migliore offerta, anche qui la condizione migliore aveva
funzione di condizione risolutiva.
Factum disciplicentie a favore del compratore che ammetteva la restituzione del bene in
caso di mancato piacimento del compratore.

I romani hanno conosciuto due tipi di arre: (caparre)

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1) Confirmatorie servivano da riprova della conclusione del negozio e del fatto che il
bene era slegato da quel contratto e dalla sua esecuzione.
2) Penitenziali garantivano la conclusione del bene, il compratore dava un bene al
venditore, se questo voleva rescindere doveva restituire il doppio, se era il
compratore a rescindere perdeva il bene.

Locazione conduzione
È materia dibattuta se i 3 tipi di conduzione (locatio rei, locatio operis, locatio operarum)
possano costituire una nozione unica.

Locatio rei
Corrispondente alla nostra locazione di cosa. Contratto in forza del quale una parte si
obbliga a dare in godimento un bene ad un’altra e questa si obbliga a pagare un
corrispettivo detto mercede e a restituire la cosa al termine, bilaterale perfetto e che si
perfeziona con il consenso espresso.
Oggetto della locazione poteva essere qualsiasi cosa mobile o immobile.
La mercede doveva essere espressa in denaro (prevalse l’idea che la mercede
corrisposta diversa dal denaro configurasse un contratto innominato), certa e non
simbolica.
Al locatore era imposto l’obbligo di dare la cosa in godimento e garantirne tale privilegio al
locatore (egli doveva risarcire, prevedere alla manutenzione, limitarsi a non riscuotere la
mercede o rimborsare spese utili e necessarie). Vigeva inoltre il principio di emptio tollit
locatio (opposto al nostro art. 1598 c.c.) che consentiva al locatore di alienare il bene ma
lo obbligava a risarcire il conduttore.
Al conduttore era imposto di pagare la mercede e consegnare la cosa in buono stato, egli
era esentato solo per casi forza maggiore o caso fortuito.
Da questo contratto derivavano azioni di buona fede: a. conducti per il conduttore e l’a.
locati per il proprietario.

Locatio operis
Questa figura contrattuale comprende i moderni contratti:
 d’opera il locatore consegna una cosa al conduttore perché questi vi intervenga al
fine di ottenere un risultato
 di trasporto il locatore consegna una cosa al conduttore perché questo la trasporti
fino alla meta stabilita
 d’appalto il locatore consegna una cosa al conduttore e questi la utilizza per creare
una nuova opera
al locatore in questi casi erano richieste competenze tecniche e professionali, egli
rispondeva per imperizia allo stesso modo di una colpa, inoltre era tenuto a pagare la
mercede.

Locatio operarum
Il moderno contratto di lavoro. Il locatore era colui che prestava la sua attività lavorativa il
conduttore colui che la utilizzava. Tuttavia non si deve pensare ad una situazione simile a
quella moderna, tutelata da garanzie sindacali, il mercenarius “affittava se stesso e le
proprie opere” e dipendeva completamente dal conduttore. Non di rado si verificava la
situazione del liber homo bona fide serviens che a stento si distingueva dagli schiavi. Al
conduttore datore di lavoro erano assicurate trattenute sulla mercede in caso di recesso
unilaterale o malattia del locatore, tuttavia aveva l’obbligo di pagare la mercede

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Molte figure, talvolta di elevato rilievo sociale, non hanno trovato collocamento in queste 3
categorie, gli studiosi oggi parlano di locazioni irregolari:
1) Agri vectigales concessione perpetua di fondi pubblici, finché veniva pagato il
canone essa era irrevocabile e trasmissibile inter vivo e mortis causa, alcuni la
classificavano come locazione altri come vendita.
2) Opera compiuta con materiale del conduttore definitivamente classificata come
vendita, segna la differenza tra questa vendita e la locatio operis, caratterizzata
dalla presenza di almeno un elemento fornito dal locatore.
3) Opere dei gladiatori che erano dati per 20 danari se uscivano indenni dal
combattimento e per 1000 se ne uscivano morti o mutilati. La sostanziosa
differenza di prezzo è giustificata dal fatto che il primo caso era da intendersi come
locazione poiché il gladiatore tornava fruibile mentre il secondo come vendita
proprio perché il proprietario perdeva la fruibilità del gladiatore.
4) Opere intellettuali compiute da medici, avvocati e professionisti in genere erano
considerate talmente elevate da non potersi classificare come gli altri mestieri. Le
prestazioni erano pagate attraverso donazioni dei clienti dette honoraria. I medici
erano responsabili verso i pazienti schiavi con a. legis Aquiliae o ex locato, quali
conduttori di opera, mentre verso i pazienti liberi con a. in factum.
5) Lex Rhodia de iactu trattava del trasporto marittimo di merci affidato da più
caricatori ad un capitano. Il contratto che legava il capitano ai caricatori era quello di
locatio operis. Se il pericolo di un naufragio rendeva necessario il getto di merci in
mare, si applicava una norma di diritto internazionale che ripartiva
proporzionalmente il risarcimento tra tutti i caricatori.

Società
Contratto per mezzo di cui due persone convenivano di mettere insieme cose e opere per
il raggiungimento di un obiettivo economico comune. Derivato dal diritto delle genti, di
buona fede e si contraeva con il solo consenso.
Se ne distinguevano 2 tipi: a) società di tutti i beni e b) società di qualche negozio
a) Tipologia generale, i soci conferivano tutte le sostanze attuali e tutti gli acquisti futuri
conseguiti a qualsiasi titolo. Si suole affiancare a questo contratto la società di tutti i
guadagni nella quale rientravano tutti i guadagni derivanti dalle attività ma non le
cosiddette risorse di fortuna che restavano di proprietà dei singoli soci.
b) Tipologia particolare. Riguardava ed era costituita in vista di un espletamento
industriale e commerciale si ricordano la politio società fra un proprietario di un
fondo ed un esperto agronomo ad esempio; la società dei banchieri, dei mercanti di
schiavi e degli appaltatori delle pubbliche imprese.
Il consenso ha un ruolo speciale ed importantissimo in questo contratto, anzitutto esso
deve essere continuativo ai fini dell’esistenza del contratto stesso che si scioglie in caso di
recesso unilaterale e in secondo luogo attua il cosiddetto transitus legalis dei beni, cioè
l’acquisto della comproprietà dei beni senza atti specifici.
Tuttavia questo contratto non costituisce una nuova persona giuridica, debiti e crediti
vengono assunti dai singoli soci che li pongono in essere (“il socio del mio socio non è mio
socio” Ulpiano).
La ripartizione di profitti e guadagni era affidata all’accordo delle parti, in assenza di ciò
si applicava il criterio delle parti uguali. Era nulla la cosiddetta società leonina che
attribuiva ad un socio solo le perdite e non i profitti.
Fra gli obblighi dei soci vi era solo quello di svolgere le attività e gli adempimenti stabiliti
dal contratto. Il rimedio accordato ai consoci contro un consocio inadempiente era l’ a.pro
socio che come soluzione estrema portava allo scioglimento della società.
I metodi di estinzione della società dice Ulpiano derivano
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Dalle persone
Dalle cose
Dalla volontà
Dall’azione
Si distingue ulteriormente tra comunione volontaria e comunione incidentale, nel primo
caso come si è esaminato, la comunione di un bene deriva dalla volontà delle parti, nel
secondo caso essa è conseguenza di eredità o legato.

Mandato
Contratto in forza del quale una parte (mandatario) si assumeva l’incarico di gestire un
affare o compiere un servizio assegnatogli dall’altra parte (mandante). Si tratta di un
contratto che si è perfezionato col consenso, bilaterale imperfetto poiché gli obblighi del
mandante sono solo eventuali. Da Paolo “il contratto è di mandato solo se gratuito, esso
trae origine dal dovere e dalla amicizia. Se c’è corrispettivo il contratto è di locazione”.
Oggetto del mandato poteva essere qualsiasi tipo di attività compresa la conclusione di
negozi giuridici ma escluse quelle azioni contrarie al buon costume e illecite. Dal punto di
vista dell’interesse si distinguevano cinque tipi di mandato:
il mandato nell’interesse del mandante
il mandato nell’interesse congiunto di mandante e mandatario
il mandato nell’interesse di un terzo
il mandato nell’interesse del mandante e di un terzo
il mandato nell’interesse del mandatario e di un terzo
era nullo il mandato ad esclusivo interesse del mandatario.
Il mandatario non poteva esorbitare dal mandato, se lo faceva il mandante poteva agire
nei suoi confronti per l’adempimento nei limiti del mandato.
L’unico obbligo del mandatario era quello di compiere l’azione concordata e di non
eccedere dai limiti del mandato. Egli era rappresentante indiretto del mandante ed era
tenuto a trasferire la proprietà del bene acquistato a quest’ultimo.
Gli obblighi del mandante erano, come si è detto solo gli eventuali rimborsi di spese o
risarcimenti di danni arrecati al mandatario. Queste obbligazioni erano sanzionate da
un’actio mandati diretta in favore del mandante, contraria in favore del mandatario.
L’incarico di prestare denaro ad un terzo prende il nome di mandato di credito. In questo
caso se il mandatario non dava il denaro era tenuto con l’a. mandati, se invece non si
vedeva restituita la somma dal terzo egli poteva agire con a. mandati contraria contro il
mandante.

Contratti innominati
La tradizionale catalogazione dei contratti in reali, verbali, letterali e consensuali non lascia
spazio a quelle tipologie di contratti frutto dell’evoluzione storica e delle mutate esigenze
sociali e della prassi. Il settore più sofferente era quello delle convenzioni volte a realizzare
scambi di beni e servizi (dare-fare, dare-dare): questi accordi non erano supportati da
azioni che garantissero la controprestazione o che risarcissero eventuali danni arrecati.
a. La scuola dei Sabiniani fu propensa alla cosiddetta “economia giuridica”,
inquadrava le nuove convenzioni a prestazioni corrispettive nell’ambito dei contratti
già esistenti in modo da utilizzare le azioni di questi per tutelare le prime.
Si è già trattato della permutatio scambio di cosa contro cosa che veniva assimilata
dai Sabiniani ad una vendita con prezzo consistente in un altro bene.
Particolarmente problematica fu la collocazione del contratto estimatorio che poteva
avvicinarsi secondo il dibattito alla vendita, alla locazione di cosa o di opere o al
mandato.

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b. Labeone, la cui opinione era seguita anche dai Proculeiani, invece sosteneva che
ogni scambio corrispettivo dovesse considerarsi contratto e come tale essere
tutelato da azioni.
c. Aristone e Mauriciano invece presero un’altra posizione. Dovevano considerarsi
produttivi quei contratti che anche se non rientravano in quelli tipici possedevano
comunque una causa sussistente, causa che doveva essere intesa come “una delle
prestazioni già eseguite”. Secondo Giuliano, il pretore avrebbe dovuto concedere
contro la parte inadempiente un’actio in factum , mentre secondo Giuliano l’azione
da utilizzare era civile poiché si configurava un contratto che realizzava quello
scambio definito col termine greco synallagma.
Questa concezione prevalse sulle altre e si vennero a configurare contratti che
erano posti in essere solo quando una parte aveva già compiuto una prestazione.
La convenzione diventava contratto e produceva obbligazione della
controprestazione.
Il risultato fu l’allargamento del catalogo dei contratti tipici e l’avvicinamento ad una
concezione unitaria di contratto e di azione generale per un inadempimento.
La classificazione delle “convenzioni innominate” di Paolo individua 4 tipologie:
do ut des
do ut facias
facio ut des
facio ut facias

Fra i rimedi processuali si distinguono i seguenti:


1) Colui che aveva eseguito la prestazione a fronte dell’inadempimento della
controparte poteva scegliere se rescindere il contratto. Se l’obbligazione consisteva
in un dare egli disponeva della condicio, se l’obbligazione consisteva in un fare egli
disponeva dell’a. de dolo grazie alla quale otteneva una somma di denaro.
2) Oppure agire per l’adempimento o il risarcimento dei danni mediante l’a.
praescriptis verbis
3) Recuperare il bene dato, anche senza ingiustificato ritardo della controparte, tramite
condicio ex poenitentia per concessione di Giustiniano
I contratti innominati hanno trovato un generale riconoscimento nel diritto civile per merito
se vogliamo della giurisprudenza. Tuttavia questa ricostruzione è dibattuta e altri
sostengono che abbiano trovato riconoscimento prima di tutto per merito del pretore.
È certo che questi abbia risposto alla domanda di tutela proveniente dalla prassi nei casi di
inadempienza, accordando azioni caso per caso. Alcune figure hanno subito un processo
di tipizzazione che le ha portate ad assumere un proprio nomen iuris e una propria
considerazione.
Si ricordano:
a) Permutatio: scambio di cosa contro cosa, il pretore aveva concesso un’a. in factum
(precedente o concomitante all’a. praesciptoris verbis riconosciuta dopo
l’inquadramento come contratto autonomo) a garanzia di chi avesse subito
un’evizione.
b) Aestimatum (contratto estimatorio): incarico di vendere una cosa ad un prezzo non
inferiore al valore, il pretore aveva concesso a. aestimatoria.
c) Inspicendum dare: dare una cosa perché se ne valutino le qualità, anche qui si
concessero a. praescriptis verbis.
d) Precarium: concessione temporanea a colui che chiede con preghiere, l’a.
praescriptis verbis concessa in questo caso non era civile.
e) Transactio: rinuncia delle pretese di due parti in controversia quando l’esito della lite
è incerto, l’a. praescriptis verbis concessa in questo caso era detta utilis e civilis.
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Si considerano di seguito delle convenzioni che come i contratti innominati hanno trovato
riscontro nelle azioni concesse dal pretore ma non sono mai entrate a far parte, almeno
nelle sistematizzazioni dei giuristi, dei contratti.
Fra i patti pretori e i patti legittimi si ricordano:

a) Rafforzato: patto in forza del quale si promette lo stesso dovuto da una precedente
obbligazione, poteva essere di due tipi: constitutum debitii proprii e constitutum
debitii alieni
b) Recepta: convenzioni in forza delle quali qualcuno si assumeva un onere:
 Receptum arbitrii: un privato si assumeva la funzione di svolgere un arbitrato
 Receptum argentarii: un banchiere si assumeva di fare un pagamento
perché lo aveva incaricato il suo cliente
 Si ricordano inoltre i recepta dei capitani di navi, degli osti e degli stallieri
c) Pacta legittima: muniti di azione dalle costituzioni imperiali, si tratta della
convenzione di dote e della convenzione di donazione.

Quasi contratti
Categoria che abbraccia i fatti giuridici produttivi di obbligazione che in quanto fatti leciti si
avvicinano alla categoria dei contratti, e in quanto non riconducibili allo schema del
negozio giuridico bilaterale costitutivo se ne allontanano.

1) Pagamento di indebito
Contratto per la concezione gaiana del termine. Se un soggetto credendosi debitore
aveva effettuato un pagamento ad un altro che si credeva creditore sorgeva, per
questo, l’obbligazione alla restituzione. Quest’obbligo era sanzionato dalla solita
azione di ripetizione che prendeva il nome di condicio indebiti. Se il presunto
creditore effettuava il pagamento consapevole che nulla doveva, costituiva una
donazione e non sorgeva nell’accipiente l’obbligo della restituzione; se al contrario
l’accipiente accettava il pagamento consapevole che nulla gli era dovuto egli
commetteva furto.
2) Gestione di affari altrui
La gestione di affari altrui senza esserne stati incaricati produceva il sorgere di
obbligazioni da un lato verso il gestore e dall’altro verso il gerito. Queste
obbligazioni erano sanzionate dall’actio negotiorum gestorum di buona fede diretta
verso il gestore e contraria verso il gerito. Il gestore era colui che interveniva con
animus gerendi cioè con l’intenzione di obbligare il gerito e non per semplice
benevolenza, egli aveva l’obbligo di condurre una gestione utile e di trasferire quindi
gli effetti in capo al dominus gerito. Ricadeva al carico del gestore la conduzione
con diligentia anche se egli non avrebbe tratto vantaggio dall’affare,in questo modo
ci si rapportava con ciò che il gerito avrebbe fatto in quel caso determinato.
3) Arricchimento ingiustificato (sine causa)
Oltre al pagamento di indebito le figure principali che causavano un “iniquo
arricchimento di qualcuno ad ingiusto demerito di un altro) erano:
 Dazione di cosa senza causa
 Dazione di una cosa per una causa che non si è realizzata
 Dazione di una cosa per una causa che poi ha cessato di esistere
 Dazione di una cosa per uno scopo illecito (“in pari causa turpitudinis melior
est condicio possidentis”)

Adempimento, inadempimento mora e risarcimento


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Adempimento
“adempie colui che fa ciò che ha promesso” definizione generale di Ulpiano.
L’adempimento poteva essere fatto benissimo, bene, mediocremente, male. In linea
generale il debitore doveva usare diligentia ordinaria o media.
Nei contratti ove il debitore non ricavasse vantaggio egli era tenuto solo a tenere un
comportamento non consapevolmente volto a danneggiare il creditore.
Quando la parte ricavava utilità era richiesta diligenza esatta o esattissima (prevedeva di
prestare particolare cura alla cosa e di evitare danni causati anche da terzi).

Inadempimento
Poteva essere di diverse specie: omissione parziale o totale della prestazione, distruzione
o danneggiamento del bene, cattiva esecuzione dell’opera, ritardo.
L’inadempimento produceva un danno al creditore, il debitore rispondeva solo se il danno
era causato da un comportamento a lui imputabile. L’impossibilità ad adempiere poteva
dipendere da una causa giuridica o naturale, in questi casi si considera l’obbligazione
estinta, viceversa l’obbligazione perpetuava se l’impossibilità derivava per fatto del
debitore. Differenti erano i criteri di imputazione di tale responsabilità:
 Dolus malus: il debitore rispondeva solo se l’inadempimento era dipeso da dolo
(depositario che avesse ucciso il cavallo su cui doveva vigilare, ma non depositario
che non poteva restituire poiché il cavallo era deceduto per caso fortuito)
 Custodia: il debitore che traeva vantaggio aveva una responsabilità maggiore
(comodatario che aveva lasciato aperto l’uscio di casa e si era fatto rubare il bene;
ma non depositario a cui il bene fosse stato sottratto con la forza o distrutto per
causa di forza maggiore).
 Culpa: in generale si definisce come imprudenza, negligenza, imperizia.
“si ha colpa quando non si prevede ciò che sarebbe stato previsto da una persona
diligente” in particolare:
culpa in abstracto si giudicava il comportamento rapportandolo ad un criterio
astratto di diligenza
culpa media si giudicava il comportamento rapportandolo a quello tenuto dall’uomo
medio (pater familias)
culpa levis si giudicava il comportamento rapportandolo a quello tenuto dall’uomo
valente
culpa lata si giudicava il comportamento rapportandolo a quello tenuto da tutti i
soggetti
culpa in concreto si giudicava il comportamento rapportandolo a quello tenuto dallo
stesso soggetto nei confronti delle sue cose.

Mora
Il termine riguarda l’inadempimento del debitore di un debito immediatamente esigibile,
cioè non sottoposto a termine o condizione sospensiva. Si sottolineano i seguenti aspetti :
1) Perpetuatio obligationis: al fine di permettere al giudice di pronunciarsi verso una
condanna nel processo formulare la situazione del debitore moroso era identica a
quella del debitore non in mora (dal punto di vista dell’impossibilità di adempiere per
fatto a lui imputabile). Si applicava la finzione grazie alla quale l’obbligazione si
intendeva perpetuata.
2) Purgatio morae: il debitore poteva adempiere fino alla sentenza di condanna per
inadempienza, al creditore non era consentito di rifiutare l’adempimento tardivo
tranne in situazioni particolari.

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3) Usurae e fructus: al debitore moroso era imposto l’obbligo di corrispondere


eventuali interessi e frutti se l’obbligazione derivava da fedecommesso o fosse
protetta da azioni di buona fede.

Risarcimento
L’inadempimento di cui il debitore era responsabile generava l’obbligo di risarcire il danno
al creditore. Il creditore agiva sia quando domandava la prestazione perché ancora
possibile, sia quando non restava che la via risarcitoria.
Si distinguono i meccanismi processuali applicati sia in processo formulare sia in
cognitio extra ordinem :
a) Nel processo formulare
L’obbligazione del debitore si estingueva alla litis contestatio. Da quel momento egli
non era obbligato in forza di un accordo ma in forza della litis contestatio. Alla
condanna eventuale poi egli era obbligato dal giudicato.
Essendo la condanna pecuniaria ad essa corrispondeva un risarcimento pecuniario,
nel determinarne l’ammontare si seguivano principalmente due criteri:
uno oggettivo, il giudice valutava il valore del bene in oggetto, stabiliva l’estimatio
rei
l’altro soggettivo, il giudice valutava l’ammontare del danno subito dal creditore
che poteva essere maggiore ma anche minore del valore effettivo della cosa, si
stabiliva l’id quod interest.
b) Nella cognitio extra ordinem
Era ammessa la condanna in forma specifica, il giudice poteva condannare
l’imputato alla restituzione del bene o al compimento della prestazione. Qualora la
prestazione fosse divenuta impossibile per fatto imputabile al debitore il giudice
poteva condannarlo ad una pena a sua discrezione.

Delitti e quasi delitti


Fra le fonti delle obbligazioni si distinguono anche atti illeciti quali i delitti e i quasi delitti.
Il catalogo dei delitti è strettamente limitato a quattro figure: furto, rapina, danno e ingiuria.
Il catalogo dei quasi-delitti individua quattro casi in cui un soggetto è tenuto “non
propriamente per maleficio” ma “quasi per maleficio”:
1. giudice che abbia fatto sua a lite;
2. proprietario di abitazione dalla quale è stato lanciato qualcosa che abbia provocato
danni a terzi;
3. colui che tiene sospeso qualcosa che cadendo può nuocere;
4. l’esercente di una nave, di un’osteria o di uno stallaggio che risponde per furti e
frodi commesse a danno dei clienti.
Superata una iniziale fase in cui assumeva primo piano la vendetta, si è arrivati a
concepire questi illeciti privati come produttivi di obbligazioni in capo all’offensore di
corrispondere somme in denaro a titolo di pena, con scopo afflittivo.
Questo intento si perseguiva con actio poenalis (diretta appunto a far comminare una
pena) contrapposta a actio rei persecutoria (diretta al risarcimento).

Caratteristiche delle azioni penali


Possibilità di dazione a nossa) Se l’illecito era compiuto da un sottoposto, la vittima
agiva contro l’avente potestà. L’azione era esperita con clausola particolare che
permetteva a questi di liberarsi con la consegna dello schiavo a nossa o dando il figlio in
mancipio.

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Intrasmissibilità) dal lato passivo, l’offeso poteva agire contro l’offensore e non contro i
suoi eredi. La responsabilità penale è strettamente personale. L’intrasmissibilità attiva
divenne ben presto solo un’eccezione per poche azioni.
Cumulabilità) intesa in due sensi, nel primo si intende che spesso l’azione penale
concorre insieme a quella rei persecutoria e l’esercizio dell’una consuma l’altra; nell’altro
si intende che l’obbligazione da delitto è solidale cumulativa, l’offeso può richiedere
l’intera pena a tutti gli offensori.
Termini di prescrizione) sono imprescrittibili le azioni penali derivanti dai quattro delitti
(come tutte le azioni in ius conceptae) mentre si prescrivono di norma entro un anno le
azioni penali di origine pretoria (a. doli, a. metus...).

Furto e rapina
Per i Romani rientravano nella nozione di furto (oltre alla sottrazione di una cosa altrui)
molti comportamenti:
1) L’atto di chi aveva una cosa in nome di altri e cominciava a possederla in nome
proprio senza autorizzazione
2) L’atto del depositario o del comodatario che usava la cosa oltre i limiti convenuti
3) La ricettazione
4) L’accettazione di un pagamento indebito con consapevolezza che è indebito
Il furto richiedeva il dolo. Poteva avere ad oggetto solo cose mobili.
Nelle XII tavole la sanzione del furto è variegata: si va dalla possibilità di uccidere il ladro
notturno e quello diurno se si difende a mano armata, alla possibilità di trattenere come
addictus il ladro colto in flagranza.
Il pretore introdusse una pena pecuniaria del quadruplo per il ladro flagrante e del doppio
per il ladro non flagrante.
L’a. furti comminava una pena pecuniaria ed era infamante. Aveva una legittimazione
assai ampia, era concessa, oltre che al proprietario possessore, al possessore di buona
fede, all’usufruttuario e a tutti quei detentori responsabili per custodia (locatario e
comodante).
La condicio ex causa furtiva mirava invece a recuperare la cosa o ad ottenerne un
risarcimento pecuniario, era prerogativa assoluta del proprietario e si esperiva in
personam contro il ladro.
La rei vindicatio, accordata sempre al proprietario, era meno vantaggiosa in quanto non
si poteva esperire contro il ladro che non fosse più in possesso della cosa poiché ad
esempio questa fosse andata distrutta per forza maggiore o causa fortuita.

La rapina si differenziava poiché era un furto qualificato dall’uso della violenza in banda o
col supplemento di armi. Il pretore concesse azioni penali in quadruplum se esercitate
entro l’anno, altrimenti in simplum .

Danno
Nella legge delle XII tavole è assicurata la tutela, attraverso azione privata, di taluni casi di
danneggiamento specifici. La lex aquilia de damno iniura dato avvia il cammino verso
una configurazione unitaria della responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.).
Questa legge era articolata in 3 capi, si analizzano il primo e il terzo.
I) Contemplava l’uccisione di uno schiavo o di un animale “pecudes”
Il provocare la morte di una di queste cose di rilevante valore patrimoniale
comportava una pena pecuniaria pari al valore più alto che il bene avesse
registrato nel corso dell’anno.
II) Contemplava una previsione generale di danno.
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“se qualcuno fa un danno ad un altro, sia obbligato a dare al proprietario una


somma pari al valore più alto della cosa negli ultimi 30 gg”.
Per danno fatto ad un altro si intendeva un pregiudizio di natura patrimoniale, le lex Aquilia
tutelava la proprietà.
Il danno doveva essere arrecato iniuria, senza giustificazione, non era causato iniuria il
danno arrecato per difendere sé o le proprie cose.
Il danno si esercitava con un’azione fisica direttamente sul bene (corpore corpori illatum).
Il danno doveva essere conseguenza di comportamento attivo e non omissivo.
Era necessario che intercorresse tra azione ed evento dannoso un nesso di casualità
immediato e visibile.
L’azione accordata è la a. legis Aquiliae, penale e in ius.
Era diversa se si agiva contro un convenuto che negava i fatti o contro un convenuto che
ammetteva la colpa. Nel primo caso si procedeva ad attestare la colpa, in seguito si
effettuava la stima e la si moltiplicava per il doppio secondo il principio della
“litiscrescenza”, nel secondo caso si procedeva semplicemente alla stima del danno.

Su consiglio dei giuristi e per necessità sociale il pretore ha concesso azioni utili ed in
factum anche per i casi di danni causati da omissione o con assenza di lesione
corporale.
Alle persone libere che avevano subito una lesione fu concessa un’applicazione della
legge aquiliana (che era prerogativa dei proprietari di beni) come se questi fossero
proprietari del proprio corpo e in particolare della parte lesionata.
Altro principio importante introdotto è quello dell’id quod actoris interest nella valutazione
del danno (es. schiavo erede ucciso prima del trasferimento, in sede di aestimatio oltre al
valore dello schiavo sarebbe stato riconosciuto il valore dell’eredità al padrone).
La responsabilità era personale a patto che non ci fosse una giustificazione al danno,
successivamente solo in presenza di una colpa si era responsabili (furono esentati dalla
responsabilità i pazzi e gli infanti)
Damnum iniuria datum – damnum culpa datum
Nella colpa erano poi compresi il dolo (la volontà e la coscienza di causare danno) e la
colpa (il comportamento tenuto non è conforme alla diligenza media ed ha prodotto
danno).
L’a. Aquiliana finì in età Giustiniana per assumere carattere misto: spesso l’ammontare
della condanna superava il valore del bene, l’eccedenza -dice Giustiniano- doveva
intendersi come pena.

Ingiuria
È il delitto che concerneva le lesioni personali.
Se non si raggiungeva un accordo transattivo nelle XII tavole si applicava la “legge del
taglione”. Il pretore intervenne concedendo l’a. iniuram aestimatoria e valutando caso per
caso la pena piuttosto che applicare sanzioni fisse.
L’azione più significativa del pretore fu quella di concedere gli stessi rimedi anche per le
“cosiddette lesioni morali” come la diffamazione e l’insulto. I giuristi ne estesero
ulteriormente il campo d’applicazione, in tutti i casi era necessario agire con animus
iniurandi (dolo).

Metodi di estinzione delle obbligazioni


Fra i fatti estintivi principali si ricordano: pagamento, compensazione, novazione, concorso
di cause, remissione di debito, impossibilità sopravvenuta, contrario consenso, recesso
unilaterale, morte e diminuzione della capacità giuridica.
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Tradizionalmente si suddividono i metodi di estinzione a seconda che operino ipso iure o


ope exceptionis rispettivamente quando un’obbligazione si estingueva sul piano del
diritto civile e quando anche se non era estinta per lo ius civile, il pretore concedeva
eccezioni che neutralizzavano la pretesa.

a) pagamento
metodo di estinzione dell’obbligazione fisiologico. Il debitore compiva la prestazione
con un atto detto solutio. In età antica l’estinzione non si compiva col semplice
pagamento ma dovevano seguire atti solenni (si ricordano la solutio per aes et
libram, che estingueva forse obbligazioni da nexum; l’acceptilatio che estingueva
obbligazioni orali o scritte) che ben presto però diventarono imaginaria solutio
poiché avevano solo valore simbolico.
La solutio era estintiva se:
 il debitore pagava nelle mani del creditore o di un suo rappresentante
 il debitore effettuava il pagamento di persona o lo effettuava un suo
rappresentante anche se a sua insaputa o senza il suo consenso.
 Il debitore pagava l’esatta somma del dovuto (il creditore poteva accordarsi e
richiedere qualcosa di diverso, si parla di datio in solutio –i Sabiniani
ritenevano che fosse una soluzione ipso iure mentre secondo i Proculeiani la
pretesa continuava nel diritto civile a era paralizzata dal pretore per exceprio
doli-)
La prestazione si eseguiva (a patto che non vi fossero diversi accordi) nel luogo del
domicilio del debitore.
La prestazione era compiuta nel suo intero a meno che il creditore non accettasse
un adempimento parziale.
b) compensazione
si sommano debiti reciproci fra due parti ed inevitabilmente si considera estinto
quello minore, l’altra parte è debitrice per il rimanente.
Inizialmente la compensazione era possibile solo se accordata dal giudice (si parla
di compensazione giudiziale), inoltre era concessa solo per giudizi di buona fede e
a patto che i debiti reciproci derivassero dalla stessa causa. (Tizio con a. mandati
reclama la somma di denaro che ha incaricato Caio di riscuotere, Caio dichiara di
aver sostenuto delle spese per la stessa somma).
Pare che questo espediente fu esteso anche ai giudizi di stretto diritto, con crediti e
debiti non omogenei e non derivanti dalla stessa causa. Il pretore aveva inoltre
stabilito che un banchiere che pretendesse il pagamento di un debito da parte di un
cliente dovesse sottrarre da tale debito un eventuale credito che il cliente avesse
nei confronti della banca, allo stesso modo imponeva compensazione nell’esigenza
di credito del bonorum emptor. La completa versatilità di questo espediente fu
attuata da Giustiniano.
c) novazione
(già trattata)
d) concorso di cause
È il caso del debitore che abbia comunque ottenuto l’oggetto del suo credito ma per
altra via, per un’altra causa.
La obbligazione si considera estinta solo se entrambe le cause sono lucrative.
Se almeno una causa è onerosa il debitore deve corrispondere una somma di
denaro proporzionale al valore del bene.
e) Remissione del debito

Per il diritto civile


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L’annullamento del debito per clemenza del creditore non estingueva l’obbligazione
ipso iure a meno che non si ricorresse alla solutio per aes et libram o
all’acceptilatio. Il creditore dichiarava di aver ricevuto un pagamento fittizio, che non
c’era stato.

Per il diritto pretorio


Senza atto solenne l’obbligazione sussisteva e il creditore pentito poteva agire in
giudizio per l’adempimento. Il pretore valorizzando il patto di non avanzare pretese
accordava al debitore exceptio pacti ottenendo di fatto l’estinzione ope exceptionis.
f) contrario consenso e recesso unilaterale
i contratti consensuali si costituivano col consenso e si scioglievano col semplice
dissenso a patto che non vi fosse stato alcun inizio di adempimento: il negozio
doveva essere intatto. Il recesso era unilaterale quando il negozio si scioglieva per
volontà di una sola parte.
g) impossibilità sopravvenuta, confusione, morte, capitis deminutio, litis contestatio
l’impossibilità sopravvenuta è estintiva solo se non imputabile al debitore e a patto
che egli non sia moroso. Impossibilità giuridica era quella nel caso di confusione
delle parti (Tizio debitore di Caio era divenuto erede di quest’ultimo).la morte
estingueva pochissime obbligazioni in quanto queste potevano protrarsi nei
confronti degli eredi, escluse quelle penali, quelle fiduciarie di società e mandato
perché legate ad aspetti strettamente personali.

Garanzia e trasmissione delle obbligazioni


Si tratta di un accostamento contingente.
Riepilogando ciò che già è stato detto sulle garanzie:
un creditore per tutelare il proprio credito poteva costituire garanzie personali o reali,
rispettivamente quando, in caso di inadempimento, poteva indirizzare la richiesta ad un
garante che si affianca al debitore o soddisfarsi su un altro bene.
Si ricordano fra le garanzie reali, fiducia cum creditore, pignus e hypoteca
mentre fra le garanzie personali, sponsio, fidepromissio e fideiussio
in ambito di garanzie personali si noti come in età arcaica il garante sia l’obligatus,
successivamente sia obbligato solidamente col debitore fino a diventare un debitore
accessorio, subordinato.
L’obbligazione in capo al garante era subordinata rispetto a quella principale non solo nel
senso che l’invalidità o l’estinzione della prima portavano all’invalidità o all’estinzione della
seconda, ma anche nel senso che il garante poteva essere escusso solo dopo il debitore.
Il creditore oltre agli istituti già elencati poteva far ricorso ad altri rimedi che contribuivano a
cautelarlo, si ricordano la stipulazione penale, le arre (non solo in materia di
compravendita), il giuramento oltre all’intercessio (assunzione di obbligazione per conto di
altri) inizialmente vietata alle donne.
In materia di trasmissione delle obbligazioni
in linea di principio il rapporto obbligatorio valeva solo nei confronti delle parti contraenti
(inefficace la promessa a favore di terzo o del fatto di un terzo), tuttavia vi erano vistose
eccezioni in caso di trasmissione mortis causa per successione universale o, seppure
parziale, inter vivos.
Con la diffusione del credito si evidenzia l’esigenza di trasmettere crediti a titolo di
donazione o spesso di dote. Si ricorreva principalmente a due espedienti:
1) delegazione
si effettuava una novazione soggettiva con cambiamento del creditore. Con la
forma della stipulazione il creditore domandava al debitore se egli avesse restituito
al nuovo creditore quando doveva a lui. Non si trattava di cessione in quanto con la
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novazione il debito precedente si era estinto, malgrado questo “difetto” il risultato


ottenuto era lo stesso.
2) cessione delle azioni
tramite rappresentanza processuale: il creditore che intendesse cedere il suo
credito faceva agire in processo il nuovo creditore come procurator o cognitor in
rem suam, (nella domanda figurava il nome del creditore cedente mentre la
condanna era espressa in favore del nuovo creditore). Solo dopo la litis contestatio
il cedente non poteva agire di persona, perciò il nuovo creditore manteneva un
certa ambiguità fino a quel momento.
L’imperatore Antonino Pio concesse all’acquirente di un’eredità di poter usufruire di
tutte le azioni che sarebbero spettate all’erede originale.
Nel 422 l’imperatore Onorio, a fronte di una pratica assai diffusa, vietò di affidare i
propri crediti a personaggi potenti ed intimidatori (potentes).

Obbligazioni naturali
a) erano obbligazioni naturali tutte quelle nascenti dalle fonti delle obbligazioni e, come
tali, considerate normali. Potevano essere garantite, novate ed opposte in
compensazione ma producevano degli effetti minori, in considerazione del fatto che
erano concluse da soggetti parzialmente o totalmente incapaci di obbligarsi, che
avevano subito capitis deminutio o erano sotto potestà altrui.
b) Gli effetti “anormali” erano i seguenti. Anzitutto queste obbligazioni non erano
azionabili ovvero il creditore non poteva esigere l’adempimento o chiedere i danni per
l’inadempimento. Allo stesso modo il debitore non poteva ripetere ciò che aveva
consegnato. Il termine “naturale” è affibbiato a queste obbligazioni particolari poiché
pur mancando la cogenza giuridica civile il debitore era tenuto ad adempiere per
senso etico naturale, non tanto spontaneamente quanto per ius naturale.
c) Erano considerate naturali le obbligazioni contratte dagli schiavi verso i padroni e
successivamente anche verso gli estranei oltre a quelle contratte dai figli di famiglia ad
esempio in deroga al SC Macedoniano. Altro caso quello del pupillo che avesse
concluso un contratto svantaggioso senza l’autorizzazione del tutore.
d) Col tempo l’obbligo naturale (morale?) sorgeva anche in capo a chi fosse stato assolto
con una sentenza ingiusta. Iniziarono ad essere considerati impegni naturali quelli
presi tramite semplice patto, l’obbligo del padre di dotare la figlia eccetera.
Obbligazioni naturali erano perciò quei doveri morali e sociali in genere (art 2034 c.c.)

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Nozioni introduttive sul processo


Processo pubblico
Sanziona atti intesi come lesivi della collettività, dell’ordine giuridico, della stabilità e della
sicurezza dello Stato.
Processo civile
Complesso di atti che, con l’intervento di un organo giudiziario, il privato compie per
ottenere l’accertamento, la costituzione o la difesa di un diritto soggettivo, per lo più
patrimoniale. In diritto romano è più corretta la denominazione di processo privato.

Processo privato
Il processo privato può essere di cognizione o di esecuzione.
Pervenuti al fatto che Tizio deve 100 a Caio si conclude il processo di cognizione. Nel
momento in cui Caio non adempie e lo si induce coercitivamente all’adempimento inizia il
processo di esecuzione.
Esso si instaura attraverso l’azione. L’azione è il mezzo per far valere i propri diritti
attraverso il processo.
Esistevano “le” azioni che come i contratti, le servitù e i delitti costituivano un catalogo di
rimedi processuali ciascuno con un proprio nomen iuris .
Al pretore era accordata la possibilità di negare le azioni in forza dell’equità (denegatio
actionis), i diritti soggettivi non avevano cogenza se non in termine di azioni.

I termini del processo


Agere (actor, actio)
Modus agenti tipo di procedura
Causa agendi il caso per cui è consentito agire
Iudicium fase del processo che si svolgeva davanti al giudice (tanto nel processo per
legis actiones quanto in quello per formulas si svolgevano due fasi una davanti al giudice,
l’altra davanti al magistrato)
Arbitrium o recuperatio se la decisione era attribuita rispettivamente ad un arbiter o ad
un collegio di recuperatori.
Giurisdizione indica la funzione svolta dal magistrato di promuovere un giudizio o
nominare un iudex

Gaio individua due tipi di processo privato detti comunemente processo delle azioni di
legge e processo formulare.
Le azioni che usavano gli antichi erano dette azioni di legge poiché “vuoi perché erano
state introdotte da leggi, o accomodate ad esse, erano osservate come se fossero leggi”.
Gaio individua 5 modi per agire secondo legge:
con il sacramento
per richiesta di un giudice
per intimazione
per il “mettere le mani addosso”
per presa di un pegno
il processo per azioni di legge è quindi identificabile non come unitario ma consistente in
cinque differenti procedure che avevano in comune il fatto di essere disciplinate da legge.
Le azioni dei privati (che erano molteplici e differenti) erano solo proposte giudizialmente
con le cinque legis actiones, non si confondano perciò i due generi.
Delle cinque azioni di legge
3 erano cognitive cioè volte ad accertare il fondamento della pretesa
2 erano esecutive cioè volte alla soddisfazione della pretesa qualora il debitore fosse
inadempiente, consentivano infatti di impadronirsi del debitore o di un suo bene.
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Le 3 azioni cognitive si svolgevano in due fasi:


1) In iure davanti al magistrato, veniva presentata la legis actio
2) Apud iudicem davanti al giudice privato o all’arbitro che sentenzia torto o ragione
in base alle prove
L’eccessivo rigore di questa forma di processo venne presto in odio agli antichi, le azioni di
legge furono abrogate e divennero prerogative solo per due cause (danno temuto e
giudizio centumvirale), furono sostituite dal processo formulare.

Di pari passo coi profondi cambiamenti costituzionali apportati con l’avvento del principe si
fa strada un nuovo modo di esercitare la giustizia: la cognitio extra ordinem.
Straordinaria poiché si differenziava sia dal processo formulare che da quello che restava
delle azioni di legge, cognitio poiché essa si svolgeva unitariamente.
Essa si svolgeva in una unica fase davanti al principe o al magistrato o davanti ad un
funzionario imperiale in ogni caso davanti ad un rappresentante dello Stato,
l’estromissione del giudice è da configurarsi in un assetto statale sempre più autoritario.
Queste autorevoli figure gestivano l’iter processuale fino alla conclusione.
Questo percorso “straordinario” prese il sopravvento sulle sentenze dell’ordo a causa
della sua maggiore snellezza, efficienza e rapidità.

Azioni di legge
1) Legis actio sacramento
Si traduce il termine sacramento con “scommessa”. In età antica però sacramento
si traduceva con “giuramento”. Gaio definisce quest’azione come generale poiché
si applicava in assenza di azioni specifiche e periculosa poiché chi rivendicava
falsamente perdeva l’intera somma scommessa prestata. Se ne distinguono due tipi
a) in rem e b) in personam
a) In rem
Si applicava per la tutela di diritti assoluti (proprietà, eredità, servitù e libertà).
Si svolgeva in 2 fasi: le due parti si recavano davanti al magistrato col bene
conteso, entrambi pronunciavano le frasi solenni e si dichiaravano proprietari. Il
magistrato assegnava il possesso provvisorio ad una delle parti a scelta e gli
ordinava di prestare dei garanti a garanzia della restituzione del bene e dei frutti.
Entrambi i litiganti pagavano la scommessa. Davanti al giudice si svolgeva la
seconda fase: il giudice valutava le prove e si pronunciava su quale delle due
scommesse fosse giusta e quale ingiusta decretando di fatto chi fosse il
legittimo proprietario.
Se tale era dichiarato il possessore interinale egli manteneva il bene, altrimenti
era costretto a restituire. Se non lo faceva la responsabilità ricadeva sui garanti.
La poena sacramenti era fissa: di 50 assi se il valore del bene era inferiore a
100 assi; di 500 assi se il valore era superiore o uguale a 100 assi
b) In personam
Si applicava per sanzionare qualsiasi obbligazione. Anche in questo caso ci
sono due fasi: una in iure che consisteva in un rapido dialogo in cui l’attore
dichiarava di posseder un credito sulla base di una determinata causa. Il
creditore se ammetteva, confessava altrimenti sollecitava l’attore alla sfida in
sacramentum. la controversia si stabiliva a questo punto in iudicio, dove il
giudice decideva la sostanza della lite. Il creditore soccombente doveva pagare
entro 30 gg o andava incontro all’esecuzione penale.
2) Legis per richiesta del giudice o dell’arbitro
a) Per iudicis
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Azione destinata a sanzionare debiti discendenti da sponsio-stipulatio. Non


contemplava alcuna pena perciò non è detta pericolosa. Il giudizio sfociava o
nell’assoluzione del convenuto o nella condanna di questo corrispondente al
credito riconosciuto.
b) Per arbitri
Riguardano principalmente le divisioni in caso di comunioni di beni derivante da
eredità, era perciò richiesta la figura di un arbiter piuttosto che di un iudex per il
fatto che non vi era un vero e proprio contenzioso ma si trattava piuttosto di
applicare attitudini tecniche (divisione fisica dei territori, costituzione di servitù...)
3) Legis per intimazione
Perseguiva di fatto lo stesso obiettivo della postulatio iudicis senza che fosse però
specificata la causa dell’obbligazione, quindi riguardava le obbligazioni non
discendenti da sponsio che trovavano un rimedio non periculoso.

Regole comuni delle a. di legge cognitive


Il convenuto era obbligato a presentarsi in giudizio tramite in ius vocatio (parole solenni
davanti a testimoni), se non lo faceva, veniva trascinato con la forza.
Era esso a carico dell’attore il fornire un eventuale mezzo di trasporto se il convenuto era
malato o infermo.
La procedura in iudicio doveva aver luogo dove parti e giudici avessero convenuto, se
non vi era stato accordo specifico si svolgeva nel foro e nel comizio prima di mezzogiorno.

4) Legis per “mettere le mani addosso”


Azione che assicurava al creditore l’adempimento del debitore che non eseguisse
spontaneamente. Legge esecutiva ispirata all’esecuzione personale.
Il creditore poteva esercitare l’azione solo se munito di un titolo esecutivo quali una
sentenza di condanna o una confessione equivalente. Successivamente si ammise
la manus iniectio anche per quei negozi che notoriamente creavano obbligazioni
senza bisogno del giudicato.
Contemplava che il creditore portasse davanti al giudice anche fisicamente con
l’uso della forza il debitore inadempiente e pronunciasse parole solenni che
identificassero l’entità del debito.
Il debitore non aveva possibilità di controbattere, gli fu successivamente concessa
ma a patto che pagasse il doppio se fosse stato comunque condannato.
Se non si difendeva con successo o non poteva pagare egli era di fatto
“incarcerato” presso il debitore e a costui era asservito. Passati 60 gg il debitore
poteva essere ucciso o venduto come schiavo all’estero
5) Legis per presa di un pegno
Questa discussa procedura consisteva in un pignoramento di un bene di altri con la
possibilità di trattenerlo finché non era pagata una certa somma di denaro. Essa
sarebbe stata introdotta da certi usi militari, accordati per lo più a soldati e poi
estesa anche ai civili dalle XII tavole. Avveniva fuori dal tribunale (extra ius), in
assenza della controparte e del magistrato, inoltre, poteva avere luogo anche nei
giorni nefasti quando non si poteva lege agere.

Processo formulare
Ad ogni azione corrispondevano formule tipo. Di seguito si elencano tutti i tipi di azioni
seguendo la classificazione delle Istituzioni imperiali.

La somma divisione è quella tra azioni in rem e azioni in personam

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In rem sono tutte quelle azioni utili al recupero di un bene già nostro, che tutelano diritti
reali anche limitati.
Sono azioni in rem la rei vindicatio, la vindicatio usufructus, la vindicatio servitutis... dette
vindicationes
In personam invece sono tutte quelle azioni che permettevano di perseguire una cosa che
non era ancora nostra, in poche parole sanzionavano obbligazioni. Dette condictiones

Altra divisione è quella possibile tra azioni civili e azioni pretorie.


Civili sono tutte quelle azioni che traggono origine da leggi o dal diritto civile
Pretorie quelle derivanti dalla giurisdizione pretoria, si ricordano tutte le azioni fittizie che
consentiva il pretore per fingere usucapioni o proprietà che in realtà non si erano poste in
essere. Si ricordano l’a. de pecunia (promessa di pagare per se o per altri senza apposita
stipulazione) o l’a. peculio (accordata contro padri o padroni nei limiti del peculio per le
obbligazioni contratte da figli o sottoposti)
Secondo la struttura della formula potevano essere:
1. In factum conceptae (l’attore esponeva la pretesa non in termini di diritto ma
riportando un fatto)
2. Ficticiae (a. Publiciana)
3. Con trasposizione di soggetti
Le azioni del pretore erano spesso definite “utili” in quanto anche se non spettavano
all’attore gli erano concesse dal pretore per “ragioni di utilità”

Si distinguono inoltre azioni reipersecutorie, penali e miste.


Reipersecutorie sono le azioni con le quali l’attore chiede un bene, con esse egli otteneva
un adempimento tardivo o un risarcimento per l’inadempimento, possono essere sia in
rem che in personam.
Penali sono tutte quelle azioni che perseguono una pena, somma di denaro dovuta
all’offeso dal committente di un illecito privato, erano tutte azioni in personam civili o
pretorie.
Miste erano tutte quelle azioni che prevedendo un raddoppiamento della condanna se il
convenuto negava (litiscrecenza) venivano intese come per metà penali e per metà
reipersecutorie. Si ricordano l’a. Aquiliae, a. iudicati... la prima era mista quando la
condanna era doppia ma anche quando il valore più alto del bene nell’anno era maggiore
del valore del bene al momento della condanna.

Ulteriore è a distinzione tra azioni di stretto diritto e azioni di buona fede.


di stretto diritto sono le azioni nell’attuazione delle quali al giudice è imposto di attenersi
strettamente alla formula, si ricordano l’a. ex stipulatu e l’a.certae creditae pecuniae .
di buona fede sono le azioni nell’attuazione delle quali l’attore rimetteva alla discrezionalità
del giudice la determinazione della sua pretesa. Il giudice giudicava secondo il criterio
dell’equo e del giusto, in buona fede. In questi giudizi era ammessa la compensazione e
l’eccezione era implicita. Non si confondano questi patti con quelli in cui il giudice si
trovava a valutare elementi difficilmente monetizzabili come l’offesa all’onore, chiamati
actiones in bonum et aequum conceptae.

Esistevano poi azioni arbitrarie, che rimandavano al giudice la facoltà di stabilire il modo
più consono di soddisfare l’attore. Si ricordano l’a. Publiciana, l’a. Serviana...

Eccezioni

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Principale mezzo di cui si servivano i pretori per affermare le esigenze di equità nei
processi in particolare in opposizione alle ristrettezze del diritto civile a favore dei
convenuti.
Nel processo formulare l’eccezione si manifesta in una clausola formulare in forza della
quale il convenuto faceva valere delle circostanze, che lo mandavano assolto se
dimostrate, anche se la pretesa dell’attore era fondata per ius civile. L’eccezione operava
come condizione negativa della condanna.
Si parlava di eccezioni perentorie o dilatorie a seconda che fossero rispettivamente
sempre opponibili o solo per un certo periodo. Nella procedura extra ordinem si tradussero
in domande che la parte avanzava e che il giudice ammetteva per il contrasto della
controparte.

Struttura della formula


La formula era uno scritto, redatto in iure con la collaborazione del magistrato e destinato
al giudice. Esso definiva i termini della controversia, era redatto secondo formule precise
contenute nell’Editto.
La formula tipo, che si apriva con la nomina del giudice (“Tizio sia giudice”), era la
seguente:
“se pare che Numerio Negidio debba a Aulo Agerio tot., il giudice condanni Numerio
Negidio a favore di Aulo Agerio; se non pare lo assolva”
La formula si costituiva principalmente di 6 parti
1) Intentio
Descriveva la pretesa dell’attore poteva essere
 Certa (oggetto della domanda cosa specifica o somma determinata)
 Incerta (determinazione dell’oggetto della pretesa rimandata al giudice)
In quest’ultimo caso l’intentio era preceduta da
2) Demonstratio
Indicava la causa del rapporto giuridico
3) Condemnatio
Imponeva al giudice di condannare o assolvere, non mancava mai se non nei
processi pregiudiziali. Poteva essere
 Certa (nella formula era già indicata una somma precisa)
 Incerta (entità della condanna rimandata al giudice che assegnava:
 Valore oggettivo
 Valore soggettivo)
(interesse)
4) Adjudicatio
Propria dei giudizi divisori, al giudice era consentita la divisione del bene in
questione e l’assegnazione delle porzioni alle parti.
5) Exceptio
6) Clausola arbitraria

Fasi del processo


a) Chiamata in giudizio
L’attore poteva obbligare l’avversario a comparire in giudizio davanti al giudice
nell’immediato oppure si faceva promettere la comparsa con una stipulazione
penale. In entrambi i casi l’attore doveva manifestare l’azione con la quale
intendeva agire ed esibire copia dei documenti sui quali si fondava la pretesa.
b) Fase in iure

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Davanti al magistrato iniziavano le richieste al pretore. L’attore chiedeva la


concezione della formula corrispondente all’azione da lui invocata e il convenuto
premeva per la negazione dell’azione o per l’inserimento di un’eccezione.
Il magistrato nominava il giudice e redigeva la formula. Se il convenuto confessava
in sede in iure, il processo era concluso se essa concerneva un debito di denaro e
aveva immediato valore esecutivo, per le altre cose poi si proseguiva il processo
per arrivare ad una stima del bene.
c) Litis contestatio
L’attore leggeva la formula e il convenuto ne accettava il contenuto. La litis
contestatio di fatto deduceva in giudizio la lite e la sottometteva al giudice. Fra gli
effetti si distinguono:
 effetto estintivo: la l.c. estingueva qualsiasi rapporto giuridico preesistente
anche se oggetto della lite, nasceva una nuova obbligazione che legava il
condannato in forza di una condanna. Quest’effetto si produce anche per
obbligazioni solidali elettive, col risultato che il creditore non potesse più
agire nei confronti di eventuali codebitori. Il debitore poteva adempiere anche
dopo la condanna e il suo pagamento non era considerato come di “indebito”
poiché il termine ultimo era la condanna (opinione dei sabiniani)
 effetto preclusivo: un processo condotto fino alla litis contestatio non vi può
essere ricondotto per una seconda volta.
 effetto cristallizzante: si consideravano cogenti gli estremi, i diritti validi al
momento della l.c., eventuali fatti sopravvenuti come la perdita della
legittimazione successivi alla l.c. non erano considerati.
d) Fase in iudicio
Aveva luogo oralmente, non era richiesta la presenza di tutte e due le parti ma non
è escluso che se una sola si presentava essa vinceva la causa, indipendentemente
da ogni valutazione.
Ciascuna parte doveva provare ciò che aveva sostenuto nella formula: l’attore nella
institutio o nella demonstratio e il convenuto nell’eventuale eccezione. Valeva il
principio dispositivo secondo il quale il giudice valutava esclusivamente secondo
le prove fornite e rendeva la sentenza sulla base di queste.
Vigeva il principio della libertà delle prove che avevano di fronte al giudice tutte pari
dignità. Al giudice incombeva l’obbligo di riconoscere le norme vigenti applicabili
(iura novit curia), la sentenza si pronunciava oralmente e poteva essere di
condanna o assoluzione del convenuto. Il giudice poteva altresì affermare che la
cosa non gli era chiara.
La sanzione era sempre pecuniaria e la stima della lite teneva conto di diversi
elementi a seconda del tipo di condanna previsto dalla formula e delle azioni
accordate.
Ovviamente dalla sentenza discendeva l’obbligazione di pagare.
e) Actio iudicati ed esecuzione patrimoniale
Il condannato aveva 30 gg per pagare come ai tempi delle azioni di legge, se dopo
questa scadenza non pagava, il creditore poter fare ricorso alla sopravvissuta
(seppure con meno intensità) manus iniectio che assicurava un’esecuzione sulla
persona del debitore.
Si fece largo un’azione concessa dal pretore che consentiva al creditore di riportare
di fronte ad un giudice il debitore inadempiente “recidivo”: l’actio iudicati. In ius il
convenuto poteva negare che vi fosse stata la condanna o confessare, nel primo
caso se non provava o era condannato pagava in duplum (litiscrescenza). In ogni
caso si poteva aprire un processo esecutivo per mezzo del quale il creditore
chiedeva al magistrato istanza per immettersi nel patrimonio personale del debitore.
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Iniziava una procedura di vendita all’asta dei beni “confiscati” e la consecutiva


vendita al miglior offerente. Il “bonorum emptor”, l’acquirente dei beni all’asta era
successore universale del debitore.
L’infamia e l’esecuzione personale potevano essere evitati, per concessione di
bonorum cessio, dal debitore se egli cedeva spontaneamente i suoi beni.

Mezzi processuali complementari del processo formulare


Numerosi furono i rimedi che il pretore, il cui diritto sta attraversando la sua più fiorente
stagione, accordò come rimedi processuali, destinati ad attuare, colmare ma anche
disapplicare il diritto civile. In quest’ambito processuale ci si riferisce ad istituti quali gli
interdicta, la in integrum restituito e la missio in possessionem.

Interdicta
Erano ordini, emanati dal pretore, coi quali si vietavano determinati comportamenti. Erano
di norma sollecitati da un privato e diretti contro un privato. Si distinguevano
a) Interdica prohibitoria:
b) Interdica exhibitoria
c) Interdica restitutoria
gli ordini venivano emanati su istanza di un privato alla presenza dell’interessato al quale
doveva essere diretto, il giudice dopo una sommaria ricostruzione degli estremi, emanava
l’ordine.
Se il destinatario ammetteva la colpa ed accettava l’ordine si raggiungeva un pacifico
accordo, se il destinatario resisteva partiva un procedimento volto ad attestare la
fondatezza della richiesta che si articolava per lo più in stipulazioni reciproche. La parte
vincente otteneva i mezzi necessari per realizzare l’ordine del magistrato. Esistevano
tuttavia interdetti rivolti ad entrambi i contendenti.
Come le azioni anche gli interdicta sono tipici, esistevano però concessioni temporanee di
interdetti al di fuori di ogni previsione edittale.

In integrum restitutio
Concessione volta al ripristino, di colui a cui era concessa, alla situazione giuridica
precedente alla conclusione dell’atto i risultati del quale erano giudicati iniqui dal pretore.

Stipulationes praetorie o cautiones


Il pretore imponeva delle stipulazioni fra le parti tendendo ad assicurare protezione
giuridica alla parte più debole. Il mancato adempimento era punito con l’a. ex stipulatu.
Lo strumento cui il pretore faceva ricorso per indurre la stipulazione era la minaccia di una
missio in possessionem.

Missio in possessionem
Con decreto il pretore poteva disporre un’immissione nel possesso di un bene
appartenente ad una parte o dell’intero patrimonio di altro soggetto. Assolvevano a diversi
scopi quali la custodia dei beni o la pressione per l’assolvimento di un’obbligazione o
entrambi. In caso di indefensio (debitore non presente o non collaborante) il pretore
poteva agire in due modi a seconda che si trattasse di azioni personali o reali: nel primo
caso poteva minacciare l’esecuzione personale o patrimoniale; nel secondo caso poteva
trasferire il possesso in favore dell’attore con due diverse azioni a seconda che si trattasse
di beni mobili o immobili.

Cognizione straordinaria

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Con l’indebolimento progressivo del pretore si affermano nuove figure di giudici


straordinari: oltre al princeps, i pretori fidecommissari e i pretori tutelari, i prefetti e i
governatori delle province imperiali. Nella nuova procedura si evidenziano i seguenti
caratteri salienti:
1) Unitarietà del procedimento. L’intero procedimento dall’iscrizione della causa alla
sentenza si svolgeva di fronte al giudice, accedeva raramente che magistrati e
funzionari delegassero la causa ad un iudex pedaneus (detto così perché non
sedeva in cattedra ma stava in piedi sulla pedana appunto).
2) Ufficialità del procedimento. Magistrati e funzionari una volta investiti della causa
esercitavano poteri di indagine molto ampi, comunque circoscritti alle richieste delle
parti. La citazione in giudizio del convenuto inoltre non era più prerogativa del
privato ma spesso la citazione poteva essere un atto redatto sì dall’attore, ma
comprovato dall’autorità, oppure sollecitata dall’attore era l’autorità stessa a citare
in giudizio il convenuto, ricorrendo anche ad editti se risultava irreperibile.
3) Procedibilità contumaciale. Si ammetteva che il processo avesse luogo anche
con l’assenza non giustificata di una parte, che era detta contumace. A seguito
dell’assenza dalla prima udienza il convenuto era richiamato per 4 volte a giudizio,
se non si presentava entro questo termine il processo aveva inizio senza di lui. Non
era scontato che egli fosse condannato in sua assenza, mentre se a mancare era
l’attore il procedimento non poteva proseguire ma poteva comunque essere
riproposto una seconda volta.
4) Appellabilità della sentenza. Potevano essere appellate le sentenze della cognitio
ma anche dell’ordo, l’appello era rivolto ufficialmente al principe che, non di rado,
delegava a suoi rappresentanti autoritari. La sentenza appellata poteva essere
confermata, riformata o cassata. In ogni caso diventava definitiva ed irripetibile.
5) Specificità della condanna. La condanna non è più necessariamente una somma
di denaro ma è in ipsia rem: corrisponde cioè alla richiesta dell’attore che fosse
stata dedotta in giudizio.
6) Esecutività forzata. La condanna alla consegna di beni era garantita in caso di
inadempienza con l’uso della forza pubblica (manu militari). Quando non era
possibile e per le condanne in danaro si faceva ricorso al pignoramento dei beni
introdotto da Antonino Pio.
In sintesi con la cognitio extra ordinem si è compiuto quel processo di unificazione del
diritto: non si distingue più, sul piano tecnico e processuale, la provenienza del diritto.

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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

Successione
Concetto che nel suo sviluppo storico-dogmatico ha acquisito accezioni storico giuridiche
ben precise:
a) Successione universale: subentrare nella interezza dei rapporti giuridici
patrimoniali che furono di un altro soggetto
b) Successione particolare: subentrare in un bene determinato, in un rapporto
giuridico specifico al posto del titolare precedente
Questo fenomeno poteva avere luogo in forza di un atto fra vivi o a causa di morte (inter
vivos e mortis causa). Si fissa l’attenzione sulla successione universale tra vivi.
I casi più noti di successione universale fra vivi erano:
1) Bonorum emptor
2) Adrogatio del padre di famiglia
3) Manus della donna sui iuris
4) Servili amore bacchata
In tutti questi casi si parlava di successione a titolo universale, il bonorum emptor
subentrava nell’intero patrimonio del fallito, così come l’adrogante nel patrimonio
dell’adrogato eccetera...

Nella successione per causa di morte la persona alla quale si succedeva era il defunto
o de cuius.
Chi succedeva era l’erede o, come si vedrà, bonorum possessor.
L’erede succedeva al defunto non solo nel dominio dei beni ma anche in ogni suo diritto a
patto che fosse trasmissibile, poteva perciò acquisire beni corporali ma anche rapporti
obbligatori come crediti e debiti (hereditas damnosa).
Il pretore nella sua attività non potendo utilizzare liberamente i concetti di eredità e di
erede ha istituito concetti paralleli quali la bonorum possessio e il bonorum possessor.
Alla successione ereditaria si era chiamati, ‘vocati’. Ma chi chiamava all’eredità?
La legge e il testamento rispettivamente per intestati hereditas e testamentaria hereditas.
Esistevano criteri di precedenza fra le due cause dette ‘di delazione’, anzitutto quello
della incompatibilità delle vocazioni: qualora fosse stato istituito un erede per una parte
dell’eredità, la rimanenza non andava agli eredi legittimi bensì all’istituito; allo stesso modo
se un coerede rinunciava alla sua parte questa andava ad accrescere quelle degli altri
coeredi.
Altro principio regolante è quello della priorità della vocazione testamentaria su quella
legittima. Si ricorreva alla successione legittima solo quando nulla era stato specificato in
sede testamentaria.

Successione secondo testamento


Era radicato nella cultura romana un forte rispetto dei morti e della volontà di questi, in
questo contesto il testamento assume la funzione di “giustiziere” attraverso il quale il
defunto puniva o premiava persone con le quali era stato in rapporti cattivi o ottimi quando
egli era in vita.
Tutto ciò si tradusse in un principio di diritto, religiosamente custodito, come quello del
favor testamenti e nella prevalenza della successione testamentaria su quella senza
testamento.

L’etimologia della parola testamento (da testatio mentis cioè ‘attestazione di ultima
volontà’), vera o falsa che sia, rende l’idea di quest’apparato come atto predisposto
affinché l’ultima volontà di un soggetto potesse essere raccolta ed attuata preservandola il
più possibile dalle falsificazioni.

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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

In età molto remota vigevano due forme di testamento: a) a comizi convocati e b)


procinto applicate l’una in tempo di pace e l’altra in tempo di guerra in un ambito
tipicamente rurale dove guerra e pace si intervallavano senza posa.
a) Dinnanzi alle assemblee popolari, convocate con buona probabilità un paio di volte
l’anno il testatore doveva dichiarare le proprie volontà postume. Pare però che
questo modo di testare non fosse altro che un adrogatio per mezzo della quale un
pater familias verosimilmente senza figli né possibili eredi chiedeva il permesso di
ricevere nella sua potestà un soggetto sui iuris.
b) Il testatore dettava le sue volontà dinnanzi al popolo in armi. Questa estrema
pubblicità ne assicurava il rispetto assoluto.
In età remota poi sorse un terzo tipo di testamento che, a differenza dei primi due, fu
particolarmente longevo: il testamento per rame e bilancia.
Nel suo sviluppo si distinguono 3 momenti:
1) mancipatio familiae: vendita fiduciaria per mezzo di mancipatio ad una persona di
fiducia alla quale era dato mandato di trasferire a persone determinate singoli beni (legati).
2) nuncupativo: cioè orale, di fronte a 5 testimoni ed un libripens il testatore vendeva il
patrimonio ad un fiduciario con parole solenni dichiarava gli eredi ed altre eventuali
disposizioni.
3) nuncupativo di rinvio: il testatore esibiva un documento scritto dove erano contenute le
sue volontà, a queste rimandava durante la pronuncia della forma orale, i testimoni
sigillavano le tavolette.

Successivamente con la diffusione della scrittura e l’affievolimento del formalismo orale il


pretore si avviò a concedere validità a tutti quelle successioni ereditarie che fossero state
redatte con difetti formali: il testamento pretorio.
Si dispose ad accordare il possesso dei beni ereditari a coloro che risultassero scritti eredi
in un documento sigillato da 7 testimoni, anche se ad esempio era mancato il rito della
finta vendita o il fiduciario non aveva pronunciato la formula esatta e il testatore la sua
formula nuncupatoria (orale).

In età tardo antica mutano le esigenze sociali e l’istituto del testamento necessita di
maggiore capacità. Il testamento ordinario diviene così il cosiddetto testamento tripartito.
Appariva come la sintesi fra testamento per rame e bilancia (per la presenza dei
testimoni), testamento pretorio (per il sigillo dei sette testimoni) e delle costituzioni
imperiali che imposero la sottoscrizione dei testimoni.
Questo testamento era definitivamente scritto, il testatore consegnava il documento chiuso
(scritto di suo pugno o da un terzo) ai testimoni i quali sigillavano e sottoscrivevano tutti
nello stesso giorno. Emerge il requisito dell’unitas actus.

Nel basso impero poi fanno la loro comparsa forme di testamento pubblico.
Il testatore consegnava all’imperatore il suo testamento con preghiere e questo veniva
verosimilmente conservato negli archivi.

Testamenti speciali
Privilegio di determinate categorie di persone dettato dalla condizione in cui versavano e
dal merito di considerazione per motivi di interesse generale o strettamente umanitario.
a) Testamenti militari
I soldati sul punto di andare in battaglia o sull’infuriare del combattimento potevano
redigere le loro ultime volontà senza alcuna esigenza di forma compreso il numero
dei testimoni e la loro presenza. Traiano rese necessario che il soldato chiamasse a
sé dei testimoni al fine di tutelarlo da facili manipolazioni delle sue parole.
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L’assenza totale di testimoni rimase ammessa soltanto quando egli scriveva le sue
ultime volontà.
Troviamo giustificazione di questa superficialità nell’imperitia in quanto ad affari vili
del soldato e nella situazione di continuo pericolo di vita nella quale si trovava.
b) Testamento in tempo di peste
Si rinunciava al requisito della unitas actus, i testimoni potevano partecipare alla
spicciolata per evitare contagi.
c) Testamento dei rustici
Giustiniano giustifica in qualche modo l’ignoranza di questa categoria, egli da forza
di legge alle antiche consuetudini testamentarie delle campagne.
d) Testamento dei ciechi e dei sordomuti
Ai ciechi era accordata la possibilità di redigere il testo scritto del testamento
dettando ad un notaio o ad un altro testimone (concessione di Giustino).
Ai sordomuti invece era accordata possibilità di fare testamento solo se erano in
quella situazione per cause di malattia o incidente, comunque non per nascita, in tal
caso Giustiniano dichiarò che non c’era nulla da fare.
Osservando nell’insieme in particolare tutti quei testamenti risalenti all’epoca in cui ci si
allontanava dal formalismo orale si nota la volontà crescente di permettere a tutti di fare
testamento, di dare protezione e cogenza allo stesso tempo a tutti quei testamenti redatti
senza formalismo che facilmente si esponevano alle frodi ed alle falsificazioni.

Soggetti con capacità testamentaria


a) Soggetti sui iuris, liberi, cittadini
Fondamentalmente erano questi i soggetti abilitati alla stesura del testamento
senza troppe restrizioni. Erano esclusi i soggetti, liberi o schiavi sottoposti a potestà
altrui (si permise ai figli di famiglia di disporre per testamento dei beni acquistati
durante la carriera militare). Secondo la regola ‘Catoniana’ un soggetto manteneva
il suo status per tutto l’iter testamentario, un legato invalido al momento della
stesura era considerato tale anche nel momento della morte del testatore.
Soggetti senza capacità testamentaria
a) Impuberi, furiosi (tranne che negli intervalli di lucidità), prodigi (ai quali era stato
interdetto l’uso del patrimonio), sordomuti dalla nascita.
b) Incapaci per causa di pena (chi si fosse sottratto all’obbligo di prestare
testimonianza)
c) Prigionieri di guerra (si ricordi la legge Cornelia della finzione)
Casi particolari
a) Testamento dei suicidi
Dovevano considerarsi infermi e quindi incapaci o no?
L’ultima volontà di un suicida doveva essere eseguita esclusivamente se questi nel
momento della redazione del documento era sano di mente e si era tolto la vita non
perché tormentato dalla coscienza di aver commesso qualche crimine ma per
teadium vitae.
b) Testamento delle donne
Ovviamente puberi e sui iuris, era riconosciuto loro questo diritto solo sotto
autorizzazione del tutore. Il pretore spesso concedeva la proprietà dei beni agli
eredi testamentari contro quelli intestati anche se non c’era stata autorizzazione del
tutore a patto che il tutore non fosse proprio l’agnate più prossimo che come tutore
aveva autorizzato o meno la prestazione.

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Oltre al formalismo esterno ed alle capacità testamentarie bisogna considerare il


formalismo interno.
Colui che faceva testamento non poteva ignorare certe persone legate ad esso da un
vincolo potestativo, a meno che non li diseredasse nominativamente. Questo
procedimento era volto ad introdurre una garanzia nei confronti degli eredi di sangue.
Soggetti non ignorabili in sede testamentaria
Innanzitutto coloro che con la morte del testatore sarebbero diventati sui iuris, potevano
non essere istituiti eredi ma solo se venivano diseredati (nominativamente se si trattava di
figlio maschio).
Allo stesso modo si consideravano anche eventuali discendenti che fossero nati dopo la
morte del testatore.
Diseredazione
Essa produceva di conseguenza anche l’esclusione dalla ‘legittima’ era resa possibile solo
per giuste cause di ingratitudine da menzionarsi espressamente nel testamento e
comunque in conformità alla legge (erano 14).
Si ricavano, dalla novella 115 dell’imperatore Giustiniano le seguenti disposizioni:
1) Ascendenti e discendenti avevano diritto all’istituzione di erede e non solo alla
legittima.
2) Essi potevano essere diseredati solo se comparivano nel testamento le cause di
ingratitudine previste dalla legge.
3) Se le cause non erano state inserite ed erano stati diseredati, se la causa non
sussiste, non è legalmente prevista o provata essi subentrano al testamento senza
annullarlo.
4) Se erano istituiti per una porzione inferiore alla legittima potevano pretendere il
completamento.
Un testamento poteva contemplare diverse disposizioni ma doveva contenere l’istituzione
di erede.
L’erede è “il successore universale dell’intera situazione giuridica patrimoniale, attiva o
passiva”, se mancava questa parte o un erede non avesse potuto acquisire la proprietà in
forza di quest’istituto l’intero atto era invalido. L’istituzione doveva essere eseguita con
formalità verbale almeno fino ad un certo punto e doveva essere la prima disposizione del
testamento.
Gli eredi dovevano essere:
certi: ovvero persone determinate, ancorché incerti erano ammessi gli eredi postumi sui,
ovvero parenti che dovevano ancora nascere.
Capaci di ricevere per testamento, alcune restrizioni riguardavano le donne e gli sposati
senza figli mentre erano incapaci di ricevere stranieri, apolidi, condannati alla
deportazione e i celibi che non si sposassero rapidamente.
Gli eredi potevano essere:
liberi
schiavi. Si ricorda l’istituzione di erede del proprio servo con clausola di manomissione, il
servo era libero, ma spesso quest’istituzione mirava non tanto ad un favor libertatis nei
confronti del servo né tantomeno era frutto della benevolenza del padrone bensì era un
espediente per salvare il proprio nome e girare al servo debiti infamanti.
Le eredità potevano essere sottoposte a termine esclusivamente sospensivo. Non
potevano essere sottoposti a termine né iniziale né finale e neanche a condizione
risolutiva per il principio del “quando uno è erede lo è sempre”.
L’asse ereditario è l’intero patrimonio del defunto. Un singolo erede è detto ex asse poiché
acquistava l’intero patrimonio.
Nel caso in cui vi fossero più eredi essi ereditavano ognuno la stessa parte di asse
equamente diviso, se nel testamento non era indicato diversamente.
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Il patrimonio veniva diviso in once, ciascun erede poteva essere istituito per once quindi
secondo quote ben precise.
La istituzione ex re certa non era ammessa (tranne nel testamento militare) ma era
comunque tollerata, apprendiamo da Ulpiano che questa si considerava come non
espressa ma veniva considerata in sede di distribuzione dell’asse.
Si verificavano casi in cui la quota ereditaria effettiva era maggiore di quella attribuita dal
testatore, a causa ad esempio, del rifiuto di un coerede quando la sua quota andava ad
accrescere proporzionalmente quelle degli altri coeredi. Se poi l’attribuzione di quella parte
era stata effettuata dal testatore nominando dei congiunti questi avevano la precedenza in
caso di un congiunto rifiutante sui coeredi.
Le sostituzioni
a) Volgare. Il testatore poteva istituire più gradi di eredi, in questo caso subentrava
all’erede che non volesse o potesse accettare quello di grado successivo
b) Pupillare. Si assegnava un erede al proprio figlio (istituito erede) qualora egli
non avesse potuto ricevere l’eredità ad esempio perché morto prima della
pubertà.
c) Quasi pupillare. Sul modello della sostituzione pupillare Giustiniano accordò ai
genitori di figli mentecatti la possibilità di sostituire ad essi qualcuno che avrebbe
consegnato l’eredità ad eventuali discendenti dei figli o fratelli sani di mente. Se
ciò non accadeva, tale istituzione era destinata ad invalidarsi.
Cause di invalidità del testamento
Potevano essere diverse e provocavano effetti diversi.
a) T. ingiusto
Era ingiusto il testamento fatto da soggetto non capace di disposizioni
testamentarie o senza rispettare il formalismo interno ed esterno (manca
l’istituzione di erede, non è riportata la diseredazione del non istituito). Come tale
esso era invalido e trascinava con sé eventuali disposizioni.
b) T. rotto
Era rotto il testamento che nasceva valido ma si invalidava successivamente per
cause diverse. Se nasceva un postumo o veniva adottato un figlio, se il testatore
cambiava idea (“la volontà umana è ambulatoria fino alla morte”) o per redazione di
un secondo testamento che invalidava il primo.
Questo testamento era invalido globalmente e solo il pretore talvolta poteva
accordarne la validità per casi molto particolari.
c) T. irrito
Anche questo testamento nasceva valido e si invalidava successivamente. Si
diceva irrito il testamento redatto da un soggetto pienamente capace al momento
della stesura ma che aveva perso la sua capacità (per capitis deminutio ad
esempio). Anche in questo caso il pretore ne concedeva la validità solo nel caso in
cui queste cause fossero temporanee.
Querela di testamento inofficioso
Numerosi dovevano essere i casi in cui i padri diseredavano i figli, tant’è che al volgere
della repubblica fu consentito ai figli ai quali era stato impedito di diventare eredi con
ingiuste diseredazioni di querelare davanti ad un tribunale composto da 100 uomini questi
testamenti. Nacque la querela inofficiosi testamenti, strumento processuale che
consentiva di impugnare i testamenti ritenuti iniqui allo scopo di ottenerne la rescissione.
L’azione era consentita ai parenti stretti che fossero stati ingiustamente esclusi.
Col tempo questo concetto si legò sempre di più a quello di ‘legitima’, una parte del
patrimonio ereditario che doveva essere riservata a determinate persone (non ingrate) e
della quale il testatore non poteva disporre.
Gli aventi diritto a questa quota erano i discendenti, gli ascendenti, i fratelli e sorelle.
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Erano ammessi alla querela e potevano averne esito vittorioso tutti i soggetti, escluso per
cause ingiuste.
Alcune cause di esclusione giusta erano:
il figlio che si era avviato all’arte gladiatoria senza consenso del padre, la figlia che
conduceva vita turpe...
quando il processo era dichiarato inofficioso questo era rescisso cadevano tutte le
disposizioni e si procedeva con la successione ab intestato.
Qualità e classificazione degli eredi
Gli eredi secondo la sistematica classica si dividono in 1) necessari, 2) suoi e necessari, 3)
estranei o volontari.
1) Necessari
Erano i servi propri. In antico essi dovevano essere istituiti con clausola liberatoria,
mentre Giustiniano ammise che bastava la semplice istituzione. Erano spesso
soggetti all’espediente ereditario fortemente passivo, con il quale i padroni si
salvavano dall’infamia. Essi rispondevano oltre l’ereditario coi loro beni degli
incommoda ereditati. Fu concesso il beneficio della separazione dal pretore che
gli permetteva di pagare ma solo nei limiti di ciò che avessero acquisito per eredità
attiva senza intaccare i propri beni. *ORA BENEFICIO D’INVENTARIO*
2) Suoi e necessari
Erano i discendenti del testatore: figli, figlie, nipoti... erano anche i domini della
casa, eredi domestici e, come si vedrà erano i primi ad essere chiamati in caso di
mancato testamento. Al pari dei servi erano eredi volenti o nolenti, non potevano
rifiutare. Il pretore concesse la facoltà di non immischiarsi nei beni ereditari sicché i
creditori potevano rifarsi solo sull’eredità e in nome dell’ereditando.
3) Estranei o volontari
Erano tutti quelli non collocabili nelle categorie sopra: figli emancipati, figli della
moglie in mancipio, amici e conoscenti. Essi, a differenza degli altri, non
diventavano eredi nel momento dell’istituzione bensì solo quando accettavano.
Sempre al contrario degli altri potevano ripudiare l’eredità. Potevano acquistare tutti
coloro che erano capaci di fare testamento ma anche coloro che non potendo fare
testamento potevano solo accettare da altri, i quali ne avrebbero compiuto
l’accettazione. Anche a questi eredi il pretore concesse dei privilegi: il cosiddetto ius
deliberandi consentiva a questi soggetti di soppesare per del tempo la convenienza
o meno dell’accettare l’eredità. Giustiniano poi introdusse il beneficio d’inventario
che permetteva di immettersi in affari ereditari escludendo la responsabilità illimitata
per i debiti che ne derivavano.

Il principio della separazione dei beni di cui si è già accennato era accordato anche ai
creditori dell’eredità che potevano ottenere tramite provvedimento giudiziale anzitutto il
soddisfacimento dei loro crediti dall’eredità e in secondo luogo che la rimanenza fosse
consegnata ai creditori dell’erede.

Modi di acquisto dell’eredità


L’eredità in attesa di essere accettata dagli eredi estranei o volontari era detta ‘giacente’.
In età classica i modi di accettazione erano due:
1) Dichiarazione espressa e solenne (cretio): pronunciata con formula precisa,
spesso era imposta dallo stesso testatore che per accelerare la pratica vi inseriva
un termine utile per l’accettazione (100 gg)
2) Manifestazione tacita: il chiamato all’eredità (senza cretio imposta) accettava
comportandosi da erede, vendendo o locando i beni ed usufruendone come un
proprietario. Sullo sfondo di queste azioni doveva esserci un’intenzione: non si
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comportava da erede chi usufruiva dei beni in eredità perché erroneamente


credeva fossero suoi.
3) nell’ultimo periodo alla cretio subentrò un’altra forma di dichiarazione detta aditio
non più solenne

Collazione dei beni


Era detto di quell’obbligo che avevano alcuni eredi nei confronti dei coeredi di mettere a
disposizione parte del proprio patrimonio per ristabilire una disparità in atto.
Era il caso del figlio emancipato, egli dal momento che era diventato sui iuris aveva
acquisito un patrimonio, doveva perciò metterlo a disposizione dei fratelli in mancipio che
per ragione opposta non lo avevano potuto acquisire.

La rinuncia doveva avvenire espressamente ma senza nessuna prescrizione formale.


Legato
A differenza dell’eredità che è una successione giuridica patrimoniale complessiva attiva e
passiva, il legato è una successione a titolo particolare.
La differenza principale, almeno in età antica, con i fidecommessi sta nel fatto che mentre
questi ultimi erano espressi in forma di preghiera e contenuti nei codicilli, i legati erano
costituiti nel testamento in forma imperativa.
I legati erano di 4 tipi a) per vindicationem b) per damnationem c) sinendi modo d) per
praeceptionem
a) per rivendicazione
diventava con l’adizione dell’eredità istantaneamente proprietario (per i Sabiniani
anche a sua insaputa, per i Proculeiani se lo avesse voluto). Oggetto del legato
dovevano essere le sole cose del testatore altrimenti il legato era inefficace, questo
almeno fino ad un SC che consentiva di considerare il legato, in questo caso, come
per damnationem e quindi di esercitare diritti su cosa altrui.
b) per obbligazione
Creava l’obbligo nell’erede di trasmettere la proprietà del bene in oggetto in capo ad
un legatario. Si produceva l’effetto immediato della trasmissione della proprietà
salvo l’obbligo di trasferirla. Questo tipo di legato produceva un diritto di credito nel
legatario. Si spiega come oggetto del legato potesse essere anche un bene non del
testatore, se il bene poi era di un terzo e non dell’erede questi doveva procurarselo,
anche pagandone una stima pecuniaria al proprietario.
c) per obbligazione di permettere
Creava in capo all’erede l’obbligo di consentire al legatario di prendere possesso di
un bene o del testatore o dell’erede stesso. Si creò il dubbio se quest’ultimo
dovesse anche compiere l’atto di trasmissione adeguato o semplicemente non
interferire con la volontà dell’erede.
d) per precapienza
consentiva al legatario di ‘prendere prima’, di prelevare una cosa. I Sabiniani
sostenevano che questo legato dovesse essere assegnato come extra ad un erede
già istituito, mentre Giuliano ed altri sostenevano che potesse essere una
concessione a sé stante, assegnata anche in favore di un non istituito ricorrendo
ad un SC Neroniano. SC che i Proculeiani dello stesso avviso consideravano
inutile, fingendo che nella formula mancasse il prae si riconduceva la concessione
ad un legato per vindicationem.
Giustiniano, dichiarato nemico delle subtilitates dei giuristi romani, emanò una riforma che
impose stessa natura a tutti i legati. Azzerata la distinzione fra legati ad effetti reali e legati
ad effetti obbligatori il legatario poteva difendere il suo diritto indifferentemente con
l’azione personale e l’azione reale.
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Di due anni successiva è invece la riforma che equiparò formalmente legati e


fidecommessi. Così simili dal punto di vista degli effetti, che videro decadere le loro
differenze con la caduta delle forme solenni.

Oggetto del legato


Dovevano essere cose in commercio.
Potevano essere oltre a cose presenti, cose future (i figli della schiava, degli animali, il
vino prodotto dal fondo...).
Se il bene legato era gravato da ipoteca o pegno, il legato poteva esigere dall’erede che
ne fosse liberata, al contrario se il bene legato periva non per fatto dell’erede, questi non
era tenuto ad alcuna stima nei confronti del legatario.
Oggetto di legati potevano essere, oltre a beni, comportamenti imposti all’erede nei
confronti del legato.

I legati potevano essere costituiti ‘puri’ o sottoposti a condizione, termine e onere.


Figura particolare di legato sottoposto a condizione è il legato di pena: l’obiettivo non era
quello di arrecare vantaggio all’erede ma in qualche modo di obbligare questo a fare o non
fare qualcosa per mezzo del legatario. “il mio erede dia 10 aurei al legatario se avrà
alienato il servo Stico”
Questo tipo di legato è stato vietato fino ad una costituzione di Giustiniano che lo
permetteva a patto che non si prescrivesse al testatore di fare qualcosa di illecito o
impossibile.

Anche il diritto di accrescimento con l’unificazione dei diversi tipi di legato venne a
semplificarsi.
Anzitutto quando era istituito un solo legatario e questo non si presentava, il legato cadeva
ed andava ad accorparsi all’eredità. Se poi un bene era legato a più persone in modo
congiunto o disgiunto e uno dei colegatari non si presentava la sua parte accresceva
quelle degli altri proporzionalmente.

Potevano ricevere per legato quelle persone capaci di ricevere per testamento.
Poteva essere lasciato un legato anche ad un coerede, la situazione era differente se ciò
avveniva per praeceptionem (il legatario aveva una riduzione della sua quota ereditaria) o
con altri tipi di legato (non erano imposte riduzioni).
La persona del legatario doveva essere certa e conosciuta dal testatore, erano nulli i
legati istituiti in favore di persone incerte ma non quelli in favore di persone limitatamente
incerte.

Potevano essere gravati di legato esclusivamente gli eredi.


Quanto all’efficacia del legato essa era strettamente legata all’acquisto della proprietà
degli eredi. Al contrario degli eredi necessari quelli volontari dovevano accettare l’eredità.
Nel primo caso i legati acquistavano cogenza nell’immediato, con gli eredi; nel secondo
caso invece rimanevano nel nulla fintanto che l’erede non avesse accettato. Per ovviare a
questo problema già in antico fu creata la dottrina del dies veniens e dies cedens. Di fatto
il legato era deferito al legatario tendenzialmente alla morte del testatore (a meno di
condizioni o termini).
La revoca del legato doveva essere espressa, in antico, con parole contrarie a quelle
usate per il legato, in seguito si ammise che le parole esprimessero semplicemente in
modo chiaro la volontà del testatore. Si diffuse la tendenza a considerare cogente revoche
implicite: non ufficializzate, come quando il testatore distruggeva o vendeva il bene in
oggetto. Era persino consentito all’erede di paralizzare per ‘dolo’ la richiesta del legatario
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qualora fossero sorte tra testatore e legatario comprovate forti inimicizie o il testatore
avesse manifestato la sua volontà contraria.

Esisteva, nelle XII tavole una norma che permetteva al pater familias di fare quanti legati
volesse, col risultato che spesso all’attivo dell’erede non rimanevano beni e questo
rifiutava l’eredità.
A protezione dell’erede furono emanate molte norme, che spesso si rivelarono inutili, fino
alla legge Falcidia: di fatto questa norma imponeva di non legare più dei ¾
dell’ammontare ereditario e garantiva, anche se ciò non fosse stato rispettato, almeno ¼
del patrimonio all’erede. L’ammontare era calcolato al netto di debiti, schiavi manomessi
eccetera... e sulla base del valore del patrimonio al momento della morte e rimaneva tale
anche se si accresceva.

Fedecommesso
Si parla di fedecommesso universale quando, in forza di questo titolo si lasciava l’intero
ammontare ereditario. Si parla di fedecommesso particolare quando in forza di questo
titolo si lasciavano beni particolari.
Pare che l’istituto tragga le sue origini dalla impossibilità di un terzo incapace di essere
istituito erede facendo affidamento sulla buona fede di un soggetto capace che
trasmettesse i beni.

Il fedecommesso universale:
il testatore gli si rivolgeva con preghiere. Egli trasferiva dapprima la proprietà dei beni
materiali tramite vendita, poi, in caso di fedecommissione di diritti di debito e credito, si
concludevano delle stipulazioni a contenuto determinato con cui si prometteva di trasferire
gli effetti dei diritti in capo al fedecommissario.
Il SC Trebelliano fece in modo che fossero accordate al fedecommissario tutte le azioni
per e contro l’erede.
Il SC Pegasiano dispose una quota di riserva in favore dell’erede, se questi non adiva al
fedecommesso spontaneamente poteva esservi costretto e perdeva la quota.
Il fedecommesso di norma gravava sull’erede, ma poteva accadere che fosse lo stesso
fedecommesso istituito a dover restituire la sua quota ad un altro.
Il fedecommesso universale o particolare doveva essere espresso in forma scritta
(testamento o codicilli) o, se espresso in forma orale doveva essere suggellato da 5
testimoni.

Il fedecommesso particolare:
poteva gravare sull’erede universale, sul fedecommesso universale ma anche sul
legatario.

Di interesse particolare è il fedecommesso di libertà. Un testatore poteva liberare


direttamente uno schiavo a condizione che lo schiavo fosse suo al momento della stesura
del documento e al momento della sua morte. La libertà fedecommissaria si aveva
quando un testatore pregava il fedecommesso di liberare uno schiavo suo, del
fedecommesso stesso o di un terzo. In quest’ultimo caso il fedecommesso incaricato era
tenuto ad acquistare lo schiavo e a liberarlo. La differenza principale con la libertà diretta
era che quella fedecommissaria produceva l’acquisto dei diritti di patronato nei fiduciari.
Il fedecommesso di famiglia si aveva nel caso particolare in cui si istituisse erede un
parente prossimo (es. fratello) e lo si pregasse di non alienare un bene (es. la casa) ma di
lasciarla in famiglia. Se questo alienava o lasciava in eredità la casa ad un estraneo i
parenti stretti potevano invocare il fedecommesso. Il caso è da ricondurre a quello di un
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onorato il quale sia tenuto a restituire un bene dopo la sua morte. Nei casi ordinari questo
tipo di onorato riguardava persone certe, nel caso descritto i destinatari erano persone
incerte limitate al nucleo familiare.
L’efficacia del fedecommesso era obbligatoria simile a quella del legato per
damnationem, obbligo sanzionato extra ordinem che portava alla condanna in ipsia rem.

I codicilli sono definiti da Giustiniano come l’espressione meno solenne del testamento
per le ultime volontà. In antico essi erano solo scritti, si sviluppò poi una forma
nuncupativa.
Si impose tuttavia una distinzione fra codicilli confermati e non.
I codicilli dovevano essere confermati nel testamento, in questi era possibile lasciare
legati, fedecommessi, tutori e donazioni.
Se i codicilli non erano confermati, potevano solo istituire fedecommessi e donazioni.
La nascita di questa pratica è da ricondursi alla necessità di chi, non trovandosi a Roma,
doveva comunque dare cogenza alle sue ultime volontà.

Linee e gradi di parentela


Famiglia ristretta era l’insieme di quelle persone sottoposte per natura e per diritto alla
potestà di un padre di famiglia. Il vincolo che legava questi soggetti era detto agnatio, esso
prescindeva ai legami di sangue.
La famiglia communi iure era la famiglia allargata, derivata dalla morte del pater familias
e dalla formazione di tanti nuclei familiari quanti erano i sottoposti.
Sono agnati i discendenti da un capostipite maschio, attraverso altri maschi. Non i parenti
in linea femminile.
Sono cognati i parenti legati tramite vincolo di sangue, molti cognati erano
contemporaneamente anche agnati.
L’affinità è invece la relazione che passa tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge.
Agnatio e cognatio potevano essere in linea retta o in linea collaterale.
Sono in linea retta tutti quei gradi di parentela discendenti da uno stipite comune
(ascendenti e discendenti). Sono in linea collaterale le relazioni fra persone congiunte
obliquamente (fratelli, sorelle, zii, nipoti di zii, cugini...). come ad oggi nel calcolo del grado
di parentela in linea retta si contavano le generazioni che intercorrevano fra i due soggetti
da analizzare.

Successione senza testamento “ab intestato”


Qualora non fosse stato fatto testamento, il testamento seppur redatto era invalido o era
divenuto invalido, o ancora chi era stato istituito erede non voleva o non poteva accettare
l’eredità si apriva la successione “ab intestato”. Le categorie dei successibili sono state
disciplinate col tempo sia dallo ius cvile sia dallo ius pretorio con l’introduzione della
bonorum possessio sine tabulis.
1) Successione degli eredi ‘suoi’
a) ‘sui’
I sui eredi costituivano il primo ordine di successibili, se uno moriva intestato,
venivano chiamate a succedergli quelle persone che gli erano in potestà: figli,
anche adottivi, moglie in manus, nipoti e pronipoti (a condizione che il loro pater
avesse cessato di essere in potestà con la morte del testatore). I sui
succedevano per stirpi e sempre per stirpi a loro erano accordate quote diverse
dell’eredità. Essi erano eredi ipso iure, non avevano facoltà di rifiutare,
verosimilmente diventavano eredi anche gli impuberi (qualora sui), i pazzi senza
autorizzazione del curatore e le donne senza autorizzazione del tutore.
b) Il figlio emancipato e il figlio dato in adozione
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La disciplina antica non riconosce alcun diritto di successione al figlio


emancipato. Il pretore mosso da esigenze di equità accordò a questo soggetto il
bonorum possessio quale discendente sicché questi non era erede per diritto
civile ma lo era per quello pretorio. Ai figli dati in adozione accordò la bonorum
possessio quale cognato e successivamente anche Giustiniano intervenne
concedendo aspettative successorie al figlio dato in adozione e anche a quello
adottato da un ascendente.
c) I nipoti
In antico erano da considerarsi eredi i discendenti di secondo grado legati in
linea retta maschile. Prima il pretore poi Giustiniano accordarono a questa figura
la piena aspettativa successoria.
2) Successione degli agnati
a) Agnato prossimo
Già le XII tavole prevedevano che in caso di mancanza di eredi sui il patrimonio
andasse agli agnati prossimi, ovvero i discendenti in linea retta per mezzo di
maschi. Questi a differenza degli eredi sui erano volontari, avevano facoltà di
rifiutare l’eredità. Ovviamente non erano chiamati tutti insieme, o l’eredità si
sarebbe frammentata infinitamente ma avevano priorità gli agnati di grado più
prossimo. Era altresì vietata la successio graduum ovvero il subentrare
dell’agnato ulteriore in caso di rifiuto dell’agnato prossimo, ostacolo aggirato
tramite in iure cessio hereditas, vendita dell’eredità e del titolo di erede
all’agnato ulteriore.
b) Agnate
Giustiniano, aperto nemico delle sottigliezze dei giuristi delle generazioni
successive, al fine di tutelare le agnate estromesse ingiustamente (escluse le
sorelle che come agnate di secondo grado collaterale erano sempre ammesse),
riapplicò nella sua interezza una norma al riguardo contenuta nelle XII tavole. Di
fatto si ponevano tutti gli agnati in parità di grado sullo stesso piano senza
distinzioni di sesso, sicché una zia non sarebbe stata estromessa in favore di
uno zio. In questa direzione si erano mossi i pretori precedentemente
concedendo bonorum possessio ma Giustiniano ritenne il tentativo insufficiente.
c) SC Tertulliano
Consentiva alla madre sposata con matrimonio libero di succedere al figlio
defunto seppure preceduta da: 1) discendenti maschi del figlio 2) parens
manumissor 3) fratelli consanguinei del figlio. Uno spiraglio fu introdotto dal
pretore, ma ancora una volta Giustiniano considerò l’intervento insufficiente.
d) SC Orifiziano
Stabilì semplicemente che i figli fossero i primi chiamati nel caso della morte
della madre anche se sposata con matrimonio libero. Essi altrimenti avrebbero
dovuto essere preceduti dagli agnati della donna.
3) Successione dei cognati
a) Successione dei gentili
In antico seguivano agli agnati i ‘gentili’ ovvero la discendenza sempre in linea
maschile di coloro che portavano lo stesso nome. La rilevanza giuridica di
questa categoria fu breve: con la concessione della bonorum possessio unde
cognati essi vennero soppiantati dai cognati appunto.
b) I cognati
Fanno il loro ingresso nella successione ab intestatio nel sistema delle bonorum
possessio. Venivano in considerazione quando mancassero liberi e legittimi.
Facevano ricorso a questa bonorum possessio gli agnati di grado ulteriore
interdetti alla successione per divieto della successio graduum, le agnate non
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consanguinee (riforma Giustinianea), gli agnati che avevano subito una capitis
deminutio che aveva spezzato il vincolo di agnatio. Si concedeva al cognato
prossimo, qualora vi fossero più parenti dello stesso grado la divisione avveniva
per capi e non per stirpi.
Questa categoria di successibili subì una continua riforma nel tempo: si ammise
la successione dei figli adottati, o di quelli nati fuori dal matrimonio che erano in
grado di cognati coi fratelli ‘legittimi’.

Novella 118
A partire da questa novella si afferma l’idea che esista almeno da un punto di vista
successorio un solo grado di parentela: la cognatio la quale pone sullo stesso piano
parenti in linea maschile e in linea femminile.
Le classi successibili si riducevano a 4:
1) I discendenti. I figli e la loro stirpe, indistintamente se fossero emancipati o in
potestà, legittimi o adottivi.
2) Gli ascendenti
a) Nel caso ci fossero solo ascendenti questi erano chiamati secondo vicinanza
nel grado e succedevano per capi
b) Nel caso ci fossero solo fratelli e sorelle di un sol letto succedevano per
stirpe con rappresentazione limitata ai discendenti diretti.
c) Se ascendenti e fratelli di un sol letto concorrevano seguiva la divisione per
capi.
3) Fratelli unilaterali, indistintamente se di sola madre o solo padre anch’essi con
rappresentazione verso i discendenti più prossimi.
4) Tutti gli altri cognati collaterali, succedevano secondo vicinanza nel grado (non
oltre il sesto), se concorrevano si divideva per capi.
Al fine di tutelare quelle vedove che non convenute in manu e non potendo quindi
succedere come agnate di primo grado assieme ai figli, avrebbero condotto una vita di
estrema povertà una volta morto il marito, non potendo nemmeno contare sulla dote
nuziale. Si riservò ai coniugi, per volere di Giustiniano, la quarta parte dell’eredità,
comunque si sviluppasse la successione fra eredi di ogni classe.

Ai figli illegittimi grazie al SC Orifiziano era concesso di succedere alle madri, ma nulla nei
confronti dei padri. Questi potevano benissimo istituire eredi i figli illegittimi in sede
testamentaria ma qualora morissero intestati la sola aspettativa ereditaria per questi
soggetti era il diritto agli alimenti.

In conclusione si osserva come l’intera novellazione giustinianea sia permeata da un


ampio senso di umanità, con forte attenzione ai soggetti economicamente più
vulnerabili e deboli. Egli promuove l’equità perseguendo un’ideologia di un primitivo
stato di natura puro ed incorrotto, a cui fare riferimento per correggere gli aspetti
negativi della storia.

Successione secondo diritto pretorio: bonorum possessio

Bonorum possessio auditoria


È buona opinione che l’intero istituto traesse origine dalla forma ‘auditoria’, quando un
soggetto si riteneva successore per diritto civile o testamento, questi poteva rivendicare il
suo diritto di fronte ad un pretore e chiedere quindi di essere immesso nei beni
dell’ereditando. Per concessione del pretore, qualora la pretesa fosse legittima, essi
potevano immediatamente recuperare i beni posseduti da altri.
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Bonorum possessio correttiva


Talvolta poi per volontà del pretore si immettevano nella divisione dei beni ereditari anche
soggetti che pure non essendo eredi da un punto di vista civile, erano ritenuti degni di
partecipare come quasi eredi. Nasceva l’erede pretorio ma bisognava metterlo in
condizione di esigere i crediti dell’eredità e fare in modo che si potessero esigere crediti da
lui. Ciò poteva avvenire in assenza di testamento (in tal caso il pretore ammetteva un ‘sui’
herede civilmente escluso) o in presenza di testamento (in tal caso il pretore aveva facoltà
di andare contro le disposizione del defunto).
Molto spesso i due diritti erano in conflitto come nel caso di un testamento per aes et
libram che contenesse un difetto formale, il pretore si indirizzava a considerarlo come
cogente, mentre per il diritto civile si doveva procedere ab intestato.

Bonorum possessio cum re e sine re


Sine re era la possessio che poteva essere tolta a vantaggio di un altro erede.
Cum re era la possessio acquisita da tutti gli eredi pretori (almeno dopo il provvedimento
di Antonino Pio) che non poteva essere revocata in vantaggio di un altro erede.
a) Il successore civile, qualora fosse in regola, acquistava la proprietà civile del bene
e la facoltà di rivendicare con hereditas petitio il possesso di beni in mano altrui. A
garanzia del suo diritto poteva comunque richiedere una bonorum possessio al
pretore.
b) Il successore pretorio invece, acquistava la semplice proprietà bonaria. Si avviava
all’usucapione per dare cogenza civile al suo diritto.

Il cosiddetto editto successorio stabiliva l’ordine di attribuzione di bonorum possessio a


successori civili (testamentari o ab intestatio) e successori pretori. Introduceva due nuovi
principi in materia di successione rispetto al diritto civile:
a) Un termine utile entro il quale si poteva fare richiesta di attribuzione della bonorum
posessio.
b) Il passaggio di grado della bonorum possessio, attribuita agli eredi ab intestatio per
7 gradi escludendo i gradi successivi qualora fosse stata presentata domanda in
tempo utile.
Hereditas e bonorum possessio erano due ordinamenti distinti ma strettamente coordinati.
Entrambi comportavano una successione in termini universali, avevano fondamentalmente
gli stessi requisiti di capacità ed in modo analogo si configurava il diritto di accrescimento
e di rappresentazione.

Successione senza successori


I beni che non potevano essere ereditati, per rifiuto dell’erede o per assenza di questo
venivano deferiti secondo Ulpiano al popolo ed incamerati nel patrimonio collettivo. Al pari
di questi beni erano destinati alle casse statali i beni confiscati ai condannati e quelli negati
agli indegni.
Coesistevano attribuzioni particolari quali quella dei beni del soldato deceduto alla sua
legione di appartenenza (sempre in assenza di eredi), quella dei beni del marinaio alla
corporazione dei navicularii come quella del fabbricante d’armi alla corporazione dei
fabricenses o quella dei beni dei monaci alla chiesa d’appartenenza.
L’eredità vacante era assunta dallo Stato ipso iure, si compivano eventuali disposizioni
quali manomissioni e fedecommessi. Anche i debiti erano pagati.
Nel caso di un’eredita caduca passiva, essa era infamante per il defunto e i beni erano
lasciati ai creditori.

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Esisteva un istituto la cui funzione era quella di trovare un referente alle eredità vacanti
detto usucapio pro herede.
Spesso e volentieri però quest’istituto era utilizzato con fini di dolo da chi sapendo che un
patrimonio non era suo, lo utilizzava consapevolmente in mala fede avendo la possibilità di
usucapirlo in un solo anno anche se vi erano beni immobili. L’herede per usucapione
interveniva fra il rifiuto o il ripudio di un’eredità, per esempio di un agnato, e l’assegnazione
di questa alle casse dello Stato.
Unica giustificazione a questo istituto corrotto era quello che, in questo modo, eventuali
creditori avrebbero avuto qualcuno contro cui agire per la rivendica del loro credito.
Adriano mette definitivamente fuori legge quest’istituto.

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