Sei sulla pagina 1di 90

lOMoARcPSD|8844004

Diritto Privato Romano A. Lovato, S. Puliatti, L. Maruotti -


riassunto
Diritto romano (Università degli Studi di Milano-Bicocca)

Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)
lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

INTRODUZIONE
FONTI DEL DIRITTO IN ETA’ ARCAICA E REPUBBLICANA

Origini di Roma. In epoca arcaica, in territorio Liatium vetus si fonda sulla produzione agricola e pastorizia.
Dall’agregazione di villaggi contadini nasce (metà VIII sec. a.C.) il nucleo più antico di Roma, guidata da un
capo (rex) e da un consiglio di anziani formato dai patres (si regge su costumanze familiari sociali ispirate
all’assoluto rispetto per gli avi. Fondamentali è l’osservanza dei mores maiorum, gli usi degli antenati.
I pontefici. I membri delle comunità, i cives, osservano dei precetti su cui si può scorgere il nucleo originario
dello ius legato alla sfera magico-astrale del fas. Il controllo dei comportamenti cittadini è affidato ai
pontefici i quali: organizzano il calendario, stabiliscono i giorni fasti e nefasti, elaborano formule per
invocazioni agli dei e registrano gli eventi più importanti; garantisco poi la pax deorum e interpretano il
volere degli dei, fungendo da intermediari coi cittadini.
Oralità, formalismo e superstizio caratterizzano la mentalità arcaica. I pontefici stabiliscono ciò che è lecito
(fas) e ciò che non lo è (nefas), elaborano congegni e pratiche rituali, che i cittadini devono compiere
affinché si producano determinati effetti e attraverso i responsum rispondo ai quesiti dei cittadini
interpretando i mores maiorum ed elaborando la scientia iuris.
Responsa dei pontefici. In cui si concentra la conoscenza del divino e dell’umano; il ius tocca entrambe le
sfere. Esso scaturisce dai mores l’esigenza della pax deorum.
Leges regiae. Per tutta l’epoca regia l’ordinamento giuridico di Roma si fonda sui mores. Le leges regiae
sono complessi normativi emanate dai monarchi succedutosi dal governo cittadino.. le delibere adottate
dalle singole gentes, i decreta gentilicia, riguardavano solo i membri della gens. Gentes: ceto dirigente
composto dai membri più autorevoli delle stesse, si assiste poi alla immissione in senato di altri patres
familiarum, ossia l’ascesa al potere di nuovi ceti emergenti, le minores gentes. Genesi della Repubblica. Nel
509 a.C. s’instaura l’ordinamento repubblicano con i primi due consoli passaggio dal governo di un solo
uomo a quello di una coppia di magistrati, i consules (praetores).
Per le vicende più complesse abbiamo un complesso normativo composto da una commissione di dieci
uomini, decenviri legibus scribundis (legge delle XII Tavole).
Le XII Tavole. Emanato tra 451-50 a.C. con un testo a carattere generale ed uniforme , li limitava a
raccogliere e riordinare le consuetudini e le costumanze della società: novità fu la scrittura con cui si
attribuì certezza alle norme da osservare. Agli inizi del IV sec a.C. andò perduto in un incendio, ma i
contenuti vennero aggiornati e tramandati nel tempo, e si riconobbe in esso, per secoli, la fonte di diritto
pubblico e privato.
Il popolo e i comitia. Sulle XII Tav. comincia a svilupparsi un interpretatio da parte dei pontefici e poi dai
giuristi laici. Abbiamo il consolidamento del regime repubblicano: ha il suo fulcro nel popolo e nella
organizzazione comiziale, con funzione legislativa: i cittadini, divisi in 5 classi in base alla ricchezza
posseduta, si riunivano nel comitiatus maximus dove votano le leggi su proposta del magistrato.
Il pretore. Si concentra nella figura del magistrato la giurisdizione, prima affidata al re e poi ai consoli. Il
pretore, eletto annualmente, era titolare di imperium, e venne istituito nel 367 a.C.. Alla figura del pretore
urbano (preposto alla giurisdizione tra cittadini), fu affiancata nel 242 a.C. quella del pretore peregrino (per
le controversie tra cittadini e stranieri). Tuttavia anche i cittadini potevano rivolgersi al pretore peregrino.
L’editto pretorio. Non dovette avere una cadenza fissa e periodica, ma tra II e I sec. la cadenza si stabilizzò:
all’inizio dell’anno di carica, il pretore pubblicava nel foro il suo programma annuale dove si configuravano
specifici mezzi processuali da impiegare per far valere diritti e poteri, obblighi e doveri, nelle ipotesi
delineate a coloro che ne avrebbero fatto richiesta. Tale massa precettiva, edictum perpetuum, restava in
vigore per tutto l’anno di carica, non era immutabile ma si aggiornava anno dopo anno. Si aggiungevano
anche statuizioni, edictum repentinum, per far fronte ad istanze emerse in seguito alla sua carica.
Ius honorarium. Il ruolo di questo diritto fu quello di aiutare, integrareo correggere il diritto civile per il
pubblico interesse (Papiniano).
Ius civile. Formato dagli antichi mores, dalle XII tav e dall’interpretazione pontificale, dai responsa dei
giuristi, dalle leges comizialo; dall’altro lato, sempre per la disciplina tra i rapporti provati, il ius honorarium,
che offriva sia ai cives che agli stranieri, efficace protezione giudiziaria fu chiamato ius gentium quella
parte di ius honorarium applicabile anche agli stranieri.

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

FONTI DEL DIRITTO IN ETA’ IMPERIALE


La rivoluzione augustea. Nel 27 a.C. ad Ottaviano viene conferito il titolo di Augusto: nasce il principato, ed
un potere enorme si concentra nella mani di un solo uomo con un ruolo di assoluta centralità
dell’auctoritas, e il princeps, il primo cittadino, è colui che è stato chiamato dalla sorte degli dei a sostenere
il rinato ordine repubblicano. Si fa sempre più spazio all’emergente diritto imperiale dal I sec. dC.
La produzione del diritto. Dalla fine del I sec. dC non si hanno più testimonianze di leggi votate nei comizi
popolari; l’editto pretorio si cristallizza con Adriano; il senato è sotto il controllo imperiale.
Lex de imperio Vespasiani. Prevale l’idea che il principe possa emanare in prima persona atti aventi
efficacia normativa al quale si aggiunse poi l’esercizio diretto del potere normativo. La l.i.V. attribuiva a
Vespasiano poteri, e gli veniva riconosciuta la facoltà di agire per il bene della res publica anche senza
osservare le leggi.
Costituzioni imperiali. Sono provvedimenti normativi che il principe aveva facoltà di emanare e potevano
essere di 5 tipi: Gli edicta: disposizioni indirizza al popolo, che dovevano valere per tutto l’impero; I
mandata: istruzioni inviate ai funzionari dell’amministrazione imperiale; Decreta: sentenze emanate
nell’esercizio della funzione giurisdizionale; Rescripta: risposte date alla richiesta di privati; Epistulae: pareri
scritti vincolanti dati ai magistrati e funzionari imperiali in risposta a dei quesiti.
Interpretatio prudentium ad opera dei giuristi come attività creativa e aperta che compone un insieme di
opinioni consolidate. Il rapporto tra imperatori e giuristi non fu senza contrasti.
Iura populi romani. Gaio descriveva il tessuto giuridico del suo tempo, ponendo insieme le fonti che
componevano i iura populi romani: leggi, plebisciti, senatoconsulti, cost. imperiali, editti, responsum; e
precisava che le risposte dei giuristi erano pareri e opinioni di coloro ai quali era stato concesso di costruire
il diritto. Metamorfosi del diritto. Il radicale cambiamento della struttura della scienza giuridica
romana fu dovuto alla tendenza innata di ogni burocrazia di concentrare lo sviluppo del diritto nel
monopolio di un ufficio centrale , emerge la tendenza alla esemplificazione con regole semplici e chiare.
Parafrasi ed epitomi. Spuntano per trattare opinioni degli antichi maestri come raccolte di precetti e
principi del pensiero giurisprudenziale. Gli iura erano usati nei giudizi insieme alle leges. Gli iura potevano
essere invocate nel corso di un processo attraverso la recitatio.
Legge delle citazioni. Emanata da Valentiniano III nel 426 per riordinare la prassi della recitatio: nei
tribunali potevano essere usate solo opere di Papiniano, Gaio, Ulpiano, Paolo e Modestino, tra opinio in
contrasto prevale la maggioranza, in caso di parità prevale l’opinione di Papiniano, altrimenti avrebbe
deciso il giudice.
Il codice Teodosiano fino al Digesto. Già prima, fine III sec. abbiamo due compilazioni che raccolgono
rescritti: il Codice Gregoriano ed Ermogeniano. Ma la prima raccolta di costituzioni imperiali (leges) venne
pubblicata nel 438 da Teodosio II  il Codice Teodosiano: a finalità didattiche, in cui rientrato tutte le
costituzioni da Costantino in poi ma a carattere generale. Ma circa un secolo più tardi dalla sua
pubblicazione, Giustiniano raccoglie l’antico pensiero giurisprudenziale (iura) nel Digesto, annunciato nel
530, è un testo che avrebbe escluso il ricorso a testi diversi da quelli inclusi. Il pensiero dei prudentes
andava selezionato, corretto e recepito; venne poi pubblicato nel 533 con la Const. Tanta: esclusività di
creare ed interpretare le leggi in capo all’ Augusta Auctoritas. La nuova opera avrebbe cancellato per
sempre i iura. Visione del Digesto come diritto imperiale.

IUS CONTOVERSUM
Chiamiamo controverso il diritto, quando all’interno di un ordinamento giuridico in vigore si
contrappongono punti di vista differenti. Un diritto instabile ed iperstabile allo stesso tempo in linea con la
funzione principale dei giuristi, quella di dare responsi. Il giureconsulto era esperto nel:
- Àgere: agire processuale, sfera in cui i giuristi elaborano le formule necessarie per l’introduzione e
lo svolgimento del giudizio.
- Cavere: allestire i congegni verbali necessari ai privati per compiere affari e concludere contratti;
- Respondere: rispondere alle sollecitazioni e alle domande rivolte da costoro. Pone la sua sapienza
al servizio della comunità. I suoi responsa formano nuove generazioni di giuristi

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

IL PROCESSO PRIVATO
LA REALIZZAZIONE DEL DIRITTO
Coattività del diritto: dalla violazione della norma discendono la sanzione (con accertamento della
violazione lamentata) e la sua applicazione. Gli organi si attivano nel momento in cui ricevono una
domanda di giustizia da parte di un individuo il quale eserciti un’azione (diritto soggettivo). L’ordinamento
mette a disposizione mezzi di difesa dei diritti ai cives riconosciuti e sanzioni per la loro inosservanza.
L’interessato aveva l’onere di assumere l’iniziativa. Si procede poi all’individuazione della norma
applicabile al caso concreto. Ma le norme erano assai scarse: quando mancava una norma svolgevano
un’operazione di interpretazione della norme estensiva (assegnare un significato più ampio di quello
strettamente letterale) oppure analogica (applicazione ad una fattispecie analoga non identica a quella
della norma). Ove poi avessero constato l’assenza di una norma, dovevano concludere che qual
comportamento umano fosse lecito, in quanto non vietato. Il cittadino romano doveva agire in giudizio,
rivolgendosi al rex (monarchia) o al magistrato (repubblica) affinchè essi effettuassero l’accertamento del
diritto vantato.

IL DIRITTO SOGGETTIVO E L’AZIONE: ius e actio


Per azione processuale si intende la dichiarazione effettuata da chi agisce in giudizio (attore) nei confronti
della persona recalcitante (convenuto). Ma i giuristi romani trascurano la rilevanza del diritto soggettivo,
preferendo valutare il rapporto giuridico dl punto di vista dell’azione (actio). Indicano il diritto assoluto con
l’actio in rem e il diritto relativo con l’actio in personam. Da cui deriva la tripartizione Gaiana delle
istituzioni giuridiche romane in personae, res, actiones. Accanto l’azione è anche riconosciuto ai cives la
facoltà di esigere di determinate condotte (diritto soggettivo).
Tipicità della azioni: ad ogni situazione soggettiva attiva faceva riscontro un determinato rimedio
processuale. Contraddizione nel diritto romano data dalla compresenza operativa dello ius civile (a cui al
spettava l’applicazione dell’azione tipica da parte del magistrato: ius competit) e ius honorarium (a cui
l’esercizio dei poteri del pretore dipendeva da una concessione ex novo da parte del magistrato: ius
datum). Il pretore poteva negare l’azione a chi fosse tritolare di una situazione soggettiva attiva
protetta da ius civile, o accordarla anche se non prevista da ius civile (concessione dell’azione da parte del
pretore. Ius indicava il diritto oggettivo, cioè la norma e per iura si intendeva il complesso delle
norme dell’ordinamento giuridico romano. Ma nell’ambito del processo privato romano anteriore alle
cognitiones imperiali, per ius si intendeva: nella fase in iure, designava il luogo in cui si svolgeva il processo.
Con Actio si intendeva l’iniziativa del privato volta a realizzare in sede giudiziale i propri diritti, da intendersi
nel loro significato materiale; si parla di azione processuale per intendere il diritto di perseguire in giudizio
ciò che spetta, l’azione era dunque un potere (incompiuta distinzione tra azione in senso materiale e in
senso processuale). Distinzione tra azione dichiarativa (per l’accertamento di una situazione giuridica
soggettiva controversa ed eventuale sanzione) ed azione esecutiva (volta ad applicare ,aterialmente la
sanzione) e azione cautelare (effettuazione di attività precauzionali.
La persona che esercitava l’azione era denominato actor, e quella chiamata da lui in giudizio reus. Nelle
fonti romane l’attore è nominato Aulus Agerius (chi agisce in giudizio) e il reus Numerius Negidius (colui
che nega il buon fondamento della pretese dell’attore).
Per esperire un’azione privata prevista dallo ius civile, l’interessato doveva affermare che il soggetto
passivo del rapporto non aveva adempiuto alla condotta prescritta da una norma e chiedere che si
applicassero se rispettive sanzioni previste. Se invece, chi voleva agire non si voleva avvalere da una norma
prevista da ius civile, ma di una clausola edittale pretoria, allora l’eventuale concessione da parte del
pretore avrebbe dato luogo all’applicazione delle sanzioni previste dall’editto, sempre che l’attore fosse
riuscito a dimostrare di essere nel tipo di situazione previsto nell’editto.
La sanzione è comminata nei confronti del soggetto inadempiente e consente di far ottenere al soggetto
attiva del rapporto giuridico o lo stesso effetto della condotta non adempiuta spontaneamente dal
soggetto passiva oppure un equivalente satisfattivo. La sanzione può essere reipersecutoria (mirata alla
restituzione o risarcimento) o penale (punizione del reus).

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

AUTOTUTELA E TUTELA STATALE DEI DIRITTI


Nell’antico diritto romano era previsto un largo uso dell’autotutela. I patres erano autorizzati, grazie ad una
norma delle XII Tav, ad applicare la legge del taglione, cagionando , all’autore di una lesione personale, la
stessa lesione. Era consentito all’attore di trascinare il convenuto con la forza dinanzi al magistrato, qualora
non si presentasse spontaneamente.
In tutte le società poco evolute gli individui vittime di una offesa reagiscono personalmente nei confronti
dell’aggressore, poi, quando si sviluppa lo Stato si assumono la funzione di dirimere le liti e di applicare le
sanzioni, ma data la debolezza delle prime strutture statali, rimasero a lungo operanti l’autotutela delle
offese e il tribunale domestico con il pater familias.
Il Rex e in seguito i consoli, si arrogarono del compito di regolare pacificamente le controversie tra privati,
fino ad arrivare ad emanare una serie di disposizioni, dal I sec a.C., rivolti a limitare gli spazi lasciati
all’autotutela, fin quasi ad annullarli.  graduale passaggio dalla difesa privata alla tutela statale dei diritti.
Rimase lecita l’autodifesa se integrante con la legittima difesa.

L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA IN ROMA


Iurisdictio  Il potere di ius dicere (dire, affermare il diritto) spettava al rex e poi in età repubblicana ai
consoli, pretori, edili curuli in Roma, e il provincia la iurisdictio spettava ai governatori.
La iurisdictio consisteva nel potere-dovere di inquadrare la lite nei suoi termini giuridici e di dichiarare la
sanzione applicabile. Prima dell’avvento della cognizioni imperiali, il processo era bifasico: fase in iure e
fase apud iudicem. Tutto cambio quando le procedure extra ordinem soppiantarono il processo
tradizionale: il processo divenne unitario con iurisdictio riconosciuta all’imperatore  la iurisdictio si
configurò come il potere del giudicante di affermare il diritto da applicare al caso concreto, con effetto
vincolante per le parti in causa.
In età monarchica a presiedere i processi era il rex e più tardi in età repubblicana sarà il console, pretore,
edile curule. Anche il giudice privato non doveva essere un esperto della scienza giuridica ma gli si
richiedevano doti di saggezza ed integrità morale, quindi ebbero la necessità di essere assistiti da un
consiglio di giuresperiti che intervenivano come consulenti.
Non in tutti i giorni dell’anno era possibile effettuare attività di iurisdictio: una volta redatto il calendario
dei dies fasti (idonei all’attività) e dies nefasti (vietato ogni giudizio) dal collegio pontificale, il processo
romano si svolgeva alla luce del giorno e in luogo pubblico, uvunque locassero il tribunal sommortato dalla
sella curulis. La successiva fase apud iudicem poteva aver luogo anche nei dies nefasti e durare fino al
tramonto e il luogo veniva concordato dai litiganti.
Caratteristica del processo romano è l’oralità, si celebrava in forma orale e non veniva verbalizzato e
soltanto nella medie età repubblicana si diffuse l’uso di redigere per iscritto taluni atti..

PROCESSO DI COGNIZIONE, DI ESECUZIONE, CAUTELARE


Contrapposizione tra processo di diritto privato (per gli interessi dei singoli) e pubblico (per i casi in cui si
ledeva un interesse dell’intera comunità).
Differenza tra processo penale (rientrante nella sfera del privato) e processo criminale (rientrante nella
sfera del processi di diritto pubblico).
Risale agli assetti primari del diritto romano la distinzione moderna di:
- Processo di cognizione o accertamento che mira alla verifica e alla conseguente dichiarazione
autoritaria dell’esistenza e della titolarità di una situazione giuridica controversa.
- Processo di esecuzione mira all’attuazione della sanzione prevista
- Processo cautelare serve al conseguimento di misure di garanzia preventiva
Per processo si intende il meccanismo con cui lo Stato controlla e realizza l’osservanza delle norme e
irrogando sanzioni. Per procedura si intende il modus procedendi, cioè il sistema procedurale del processo;
e per procedimento si intende una concatenazione di atti giuiridici volta ad ottenere una dato
provvedimento giuisdizionale.

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

SVILUPPO STORICO DEL PROCESSO ROMANO


Tre diversi sistemi processuali: il primo ad affermarsi fu il processo per legis actiones, regolato dalle XII tav.
e rimasto vitale fino al II-I sec. a.C.. Si diffuse poi la procedura formulare nell’ambito del sistema dello ius
honorarium a partire dal IV sec, deputato alla risoluzioni delle liti tra e con stranieri e fu esteso anche tra
cittadini romani nel II secolo con una lex del 17 a.C.. Ma nello stesso periodo si diffusero nuove procedure
gestite direttamente dal princeps, le cognitiones extra ordinem, prevalendo sul processo formulare il quale
fu formalmente abolito per legge nel 343 d.C. Distinzione tra procedura ordinaria (ordo) che includeva le
procedure proprie della tradizione dall’età monarchica a quella repubblicana, con le procedure per legis
actiones e per formulas, entrambe si caratterizzavano per la divisione del processo in due fasi; e tra
procedure straordinaria (cognitio extra ordinem) caratterizzata dall’unità del procedimento il quale si
svolgeva interamente dinanzi al magistrato (senza più l’intervento del giudice privato).

LEGIS ACTIONES
LEGE AGERE: caratteri e struttura delle cinque azioni di legge
Il processo più antico fu quello per legis actiones. Caratterizzate da espressioni solenni che i litiganti
dovevano pronunciare al cospetto del magistrato indicate da tali leggi, una minima deviazione rispetto alla
terminologia conduceva alla perdita della causa. Le legis actio erano cinque: l.a.sacramento, l.a. per iudicis
arbitrive postulationem, l.a. per condictionem (sono azioni di accertamento con un processo bifasico); l.a.
per manus inectionem, l.a. per pignoris capionem (sono azioni esecutive di una sentenza già pronunciata
dove non aveva luogo la fase apud iudicem). Caratteristiche comuni: formalismo orale che rendeva rigido
il procedimento, tipicità delle azioni. Le più antiche, presenti nelle XII Tav. sono la l.a. sacramenti in rem e
l.a. pe rmanus inectio. Struttura del processo di cognizione: Gaio lo descrive come bifasico con la fase in
iure e poi fase apud iudicem (in iudicio). Quindi la procedura relativa alle prime tre azioni precìvedeva:
- Introduzione del procedimento in iure mediante la chiamata in giudizio del convenuto, il quale
doveva recarsi al cospetto del magistrato per ascoltare le affermazine dell’attore. Qualora non si
presentasse, l’attore doveva effettuare la manus iniectio stragiudiziale, ossia afferrare fisicamente il
reus e trascinarlo con la forza, possibilità per sottrarsi con la presenza di un vindex (un garante
solvibile) il quale garantisce la sua comparsa in giudizio in un dato giorno. Se poi il convenuto
rifiutava di collaborare si passava alla manus inectio esecutiva.
- Lo svolgimento della fase in iure del processo, davanti al magistrato il quale poi procedeva alla
nomina del giudice privato che avrebbe dovuto decidere la lite emanando la sentenza.
- Svolgimento della fase apud iudicem (presso il giudice).
Nella fase in iure si doveva impostare la controversia e le parti dovevano inscenare gestualità solenni e
pronunciare i certa verba, quindi i litigandi prendono parte attiva al processo. Il giusdicente doveva
constatare che i litiganti pronunciassero in sua presenza le frasi solenni prescritte e poi ordinare o negare la
prosecuzione del processo. Ad essere ammessi in giudizio erano soltanto i cittadini romani, liberi e sui
iuris. La donna, l’infans e l’impubere dovevano essere sostituiti da un tutor o curator, al di fuori da queste
ipotesi non erano ammesse sostituzioni a meno che non si presentasse un vindex. In prima battuta, era
l’attore che dichiarava il diritto di cui voleva ottenere il riconoscimento nei confronti del convenuto.
Quest’ultimo doveva poi prendere parola con una affermazione incompatibile alla prima e il magistrato
provvedeva alla nomina del giudice privato e si apriva la seconda fase apud iudicem, alla fine della quale
veniva emanata la sentenza. Se invece il convenuto non ribatteva si procedeva direttamente alla
esecuzione. Quindi fase apud iudicem affidata ad un giudice o ai collegi permanenti dei decenviri. Compito
del giudice erano l’esame delle dimostrazioni fornite dalle parti in ordine alle circostanze affermate nella
fase in iure. Una volta formatosi un proprio convincimento, doveva emanare sentenza che poteva essere
dichiarativa, di assoluzione, di condanna. La condanna, a partire dall’età repubblicana, si allontana
dall’esecuzione specifica, ma divenne pecuniaria. Una volta conclusosi il processi con la sententia del
giudice, non poteva avere luogo un’altra legis actio sulla medesima lite. A seguito di una sentenza di
condanna, qualora il soccombente non ottemperasse all’obbligazione, l’attore poteva esercitare l’azione
esecutiva.

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

LEGIS ACTIO SACRAMENTO


Fu la più antica azione di accertamento: azione di legge con giuramento sacrale, idonea a fare
valere diritti soggettivi di ogni specie, esse fa perciò una legis actio genaralis che poteva essere esperita per
ottenere la tutele di tutti i diritti per i quali non fosse prevista dalla legge una diversa e specifica procedura.
Essa si caratterizzava per:
- Affermazioni formali e solenni che le parti dovevano effettuare attenendosi ai formulari delle l.a. al
cospetto del magistrato
- Il sacramentum, ossia il giuramento in nome della divinità poi evolutosi in una scommessa laica,
che le parti dovevano prestare in ordine della veridicità delle proprie affermazioni. Doveva essere
prestato nella fase in iure da entrambi i litiganti e in forza di esso, chi usciva perdente dalla lite,
doveva versare all’erario una somma di denaro a titolo di espriazione e di pena per aver giurato il
falso.
Qualora ad avere giurato il falso fosse stato l’attore, doveva pagare all’erario una summa sacramenti e il
convenuto veniva assolto, viceversa se a giurare il falso fosse stato il convenuto questo doveva pagare sia la
summa condemnationis e sacramenti.
Una volta effettuato il sacramentum bisognava stabilire chi dei due giurava il falso, turbando la pax
deorum, mettendo a repentaglio la sucurezza dell’intera civitas.
Se si trattava di l.a.s. in rem si aveva ad aggetto l’affermazione solenne di un diritto reale sulla cosa
controversia (quindi azione di legge con giuramento sacrale relativa ad una cosa): nella fase in iure
consisteva, in una vindicatio (rivendica) effettuata dalle parti in causa, le quali pretendevano entrambe di
essere proprietarie di una cosa o di una persona sottoposta. Si recavano quindi al cospetto del magistrato
portando la res litigiosa, poi dovevano affermare solennemente il proprio diritto sulla cosa e imponevano
sul bene controverso una festuca che simboleggia la lancia militare come segno di occupazione bellica e
quindi pronunciavano le parole solenni e entrambi i litiganti devono fare la medesima affermazione. Se uno
dei due taceva, l’affermazione del primo veniva considerata determinante e terminava il processo,
viceversa il processo sarebbe continuato. Per accertare chi dei due non fosse titolare della cosa si
procedevo con il sacramentum con una solenne e reciproca scommessa. Si attraversa il processo di
laicizzazione del sacramentum, prima come duello ordalico e poi si sfidano a scommettere danaro. Nel caso
in cui l’avversario tacesse si considerava accertato il diritto dello sfidante, se invece raccoglieva la sfida il
processo continuava. La summa sacramenti veniva prima pagata in capi di bestiame e poi in danaro.
Il magistrato passava poi alla nomina del giudice e in età repubblicana era scelto dalle parti. Conclusione
della fase apud iudicem in cui il magistrato chiedeva alla parti di tenere a mente quanto si era svolto e che
riferissero al giudice gli esatti termini della controversia  LITIS CONTESTATIO
La fase apud iudicem inizia con l’intimazione di comparire dinanzi al giudice dove i litiganti procedevano ad
una sintetica esposizione dei termini della controversia a cui faceva seguito la peroratio (supportavano con
argomenti probatori. Se una delle parti era assente il giudice sentenziava al favore del presente se no
doveva valutare ed effettuare una scelta sul buon fondamento della scommessa effettuata dalle parti. Le
parti non sono qualificate come actor e reus perché entrambe le rivendiche erano uguali, perciò si instaura
un giudizio comparativo e su entrambi gravava l’onere probatorio. La pronunzia del giudice si chiamava
sententia dove si doveva affermare quale dei due sacramenti fosse giusto e si procedeva alla fase esecutiva
attribuita al vincitore qualora il soccombente non avesse assunto il comportamento conforme alla
sententia.
Se si trattava di una l.a.s. in personam abbiamo un affermazione solenne di un diritto di obbligazione nei
confronti del convenuto (intesa alla difesa dei diritti dall’abbligazione scaturita o da un contratto o da
delitto). Anch’essa aveva carattere generale, la procedura era più semplice e il ruolo delle due parti era ben
distinto. Elementi essenziali: per la citazione in giudizio del convenuto si seguivano le stesse regole, ma i
caratteri differenziali: colui che dava impulso al procedimento di chiamava creditore del convenuto, il quale
poteva ammettere o negare la circostanza, perciò l’attore si rivolgeva al reus con un affermazione e qualora
in convenuto la negasse si procedeva alla sfida in sacramentum con le stesse modalità. Nella fase apud
iudicem abbiamo una netta distinzione tra il ruolo delle parti, l’onere probatorio spettava all’attore.

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

LEGIS ACTIO PER IUDICIS ARBITRIVE POSTULATIONEM


Non era prescritta la necessità del sacramentum, non si trattava di un’azione generale, ma di un rimedio
esperibile nei casi previsti dalle leggi. Si esercitava quando:
- La lite verteva si una sponsio intercorsa tra le parti Procedura più semplificata: nella fase in iure
l’attore dichiarava che il convenuto era tenuto nei suoi confronti ad una determinata prestazione
assunta mediante sponsio e gli chiadeva di ammetterlo o di negarlo e in caso di negazione si
procedeva direttamente alla nomina del giudice privato.
- Si doveva procedere alla divisione di un patrimonio ereditario fra i coeredi: i consortes richiedevano
al magistrato direttamente la nomina del giudice entro trenta giorni, utile anche alle parti che
potevano nel frattempo addivenire ad una transazione.
- Si chiedeva lo scioglimento di una comunione
Agere per sposionem, nuovo congeglo processuale in cui l’attore si faceva promettere dal convenuto,
mediante sponsio, il pagamento di una somma di denaro per l’eventualità che una determinata pretesa
vantata dall’attore risultasse fondata.

LEGIS ACTIO PER CONDICTIONEM


Azione di legge mediante intimazione (III sec a.C.)prima solo per far valere le obbligazioni pecuniarie e poi
estesa alle obbligazioni di ogni cosa determinata, esigenza data dall’incremento dei commerci. Era una
azione di legge speciale e non richiedeva sacramentum. Procedura: superfluità della menzione dell’atto che
aveva originato obbligazione, dal momento che l’oggetto dell’obbligazione risultava già nella formula
dell’azione e dai certa verba che necessariamente dovevano essere pronunciati dall’attore. Dopo la
domanda rituale della parte attrice con risposta negativa del convenuto e intima al convenuto a
ricomparire dinanzi al magistrato per il trentesimo giorno (tempo che concede ai litiganti ai litiganti un
ripensamento). Vantaggi offerti: possiblità di evitare il sacramentum ove il credito non derivasse da sponsio
e dall’astrattezza della pretesa affermata in iure, ossia nell’assenza della formula dell’azione di un richiamo
all’atto da cui era scaturito il credito, e poi l’intervallo di trenta giorni.

LEGIS ACTIO PER MANUS INIECTIONES


Azione di legge mediante apprensione corporale esperita per conseguire l’esecuzione del giudicato. La
divisione del processo in due fasi fece si che la sententia iudicis perdesse la forza istituzionale necessaria
per realizzare la soggezione del soccombente. Perciò nel caso in cui quest’ultimo non seguisse
spontaneamente l’obbligazione nascente dalla sentenza occorreva rivolgersi di nuovo all’organo pubblico
per promuovere un’azione esecutiva. Manus iniectio iudicati, in quanti riferita al giudicato, (processuale)
consisteva in una procedura esecutiva generale alla quale si ricorreva ogni qual volta che il soccombente in
un processo di accertamento non avesse spontaneamente eseguito il comando rivoltogli dal giudice nella
sentenza di condanna.
Manus iniectio pro iudicato, conseguente a confessio in iure (apprensione corporale per causa equiparata
al giudicato), in quanto la confessione sortiva gli stessi effetti di una sententia iudicis di condanna. Se il
debitore non si ripresenta al cospetto del magistrato, l’attore poteva trascinarlo con la forza. L’unica
possibilità, per il debitore, di sottrarsi alla presa corporale era l’interventpo di un terzo che fungesse da
vindex, il quel poteva pagare il debito o difendere il convenuto affermando l’illegittimità della manus
iniectio e il convenuto veniva quindi estromesso dalla lite e soggetto passivo diventava il vindex con un
processo di accertamento per l.a.s. in personam e ove non riuscisse a dimostrare l’illegittimità della manus
iniectiones doveva pagare il doppio della summa condemnationis e se poi non la paga veniva assoggettato
a manus iniectiones. Viceversa, se non si presentava alcun vindex, il giudice assegnava il convenuto
all’attore (addictus) come se diventasse schiavo del suo creditore, poteva anche ucciderlo, ma non perdeva
il suo status libertatis in quanto un romano non poteva essere schiavo in Roma. L’attore teneva quindi
sessanta giorni in casa sua il condannato e per tre volte doveva esporlo nel comitium al cospetto del
pretore, in occasione di tre mercati consecutivi che aveva la funzione di consentire ad eventuali interessati
di riscattare il prigioniero, pagando il suo debito. Se nessuno lo pagava il creditore poteva venderlo trans
Tevere agli stranieri, come schiavo, oppure decidere di ucciderlo. In caso di pluralità di creditori il corpo
veniva squartato e i pezzi divisi tra di loro.

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

LEGIS ACTIO PER PIGNORIS CAPIONEM


Procedura indirettamente esecutiva si ricorreva però soltanto per crediti di natura pubblicistica e
consisteva nell’impossessamento di una cosa altrui, qualora l’oppignorato non avesse pagato la somma di
denaro dovuta all’oppignorante. Poteva essere esercitata per i rapporti nei quali non derivava un vincolo di
natura privatistica (un oportere), per tanto il soggetto passivo non poteva essere chiamato in iure mediante
l.a.s. in personam e mannus uniectio. La pignoris capio colmava questa lacuna. Fungeva da strumento di
pressione e stimolava il soggetto passivo a soddisfare le legittime richieste dell’attore, il quale tratteneva il
bene presso di se finchè l’oppignorato non attemperava alla propria obbligazione.
Il creditore, senza necessità della presenza del magistrato e dell’avversario e pure nei dies nefasti, prendeva
un bene mobile del soggetto passivo, pronunciando parole solenni.

PROCESSO FORMULARE
DALLE AZIONI DI LEGGE AL PROCESSO PER FORMULAS
Implicavano il ricorso alle formule edittali previste dall’editto pretorio. Per formula si intende lo schema
astratto dell’azione e il contenuto dell’atto scritto che concludeva la fase in iure (formula iudicii). Nel corso
degli anni si verificò una moltiplicazione delle formule , sicchè ad ogni tipo di pretesa venne a corrispondere
una formula specifica. Agere per concepta verba  litigare mediante ricorso a regole di giudizio elaborate
per ciascun caso. Si diffuse in Roma partire dal III sec a.C., inizialmente solo per le liti con e tra stranieri, in
quanto non potevano accedere al processo per l.a.
Il conseguimento dello ius commercii implicava la facoltà di utilizzare gli atti negoziali dello ius civile anche
quella di ricorrere alla tutela delle l.a., al pari dei cittadini romani. Le liti tra mercanti e stranieri si
moltiplicarono e il pretore adottò il meccanismo processuale delle fictio civitatis (finzione di cittadinanza
romana) qualora si presentasse in tribunale un peregrino non dotato di ius commercii, il magistrato quindi
rivolgeva al giudice la richiesta di far finta che entrambe le parti fossero dotate di cittadinanza romana.
Porta l’effetto di attirare in tribunale numerose controversie e per questo motivo nel 242 aC fu istituito il
secondo pretore. Il pretore peregrino (non vincolato alle logiche civilistiche) avrà il compito di statuire il
diritto tra stranieri e tra romani e stranieri; e pretore urbano esercita la iurisdictio tra i cittadini romani.
I magistrati dovevano emanare l’editto all’inizio dell’anno di carica come programma di governo,
enunciando i criteri con i quali avrebbero amministrato la giustizia. Il contenuto di tutti gli editti pretori
costituì ius honorarium. Nel I sec a.C., 67 a.C., con la Lex Cornelia si stabilì che i magistrati dovessero
attenersi a quanto da loro stessi disposto con il proprio edictum perpetuum (che rimaneva in vigore sino
alla fine della carica magistratuale), i successivi pretori poi potevano mutarne il contenuto correggendo o
integrando il testo edittale. Ma poteva apportare modificazioni ad esso anche nel corso dell’anno di carica
con iudicia decretali (formula di giudizio emanata quando gli si fosse sottoposta in concreto una situazione
giuridica che ritenesse meritevole di tutela concedendo azioni decretali) e con iudicia repentina (integrava
l’editto perpetuo con una nuova azione o altro mezzo processuale necessario a tutelare una situazione
giuridica anteriormente irrilevante per ius honorarium).  compresenza dei due sistemi di ius civile e
honorarium a partire dal III sec a.C..
Ai cittadini romani poteva e doveva essere applicato lo ius civile . nei processi peregrini il pretore peregrino
doveva introdurre nuove procedure rispetto alle vecchie azioni di legge: nuovi schemi negoziali diversi da
quelli previsti dallo ius civile, quali compraventita (emptio venditio), locazione, mandato e società. Tali atti
sono basati sul consenso e sulla buona fede dei contraenti. Il contenuto dell’editto peregrino, non trovava
fondamento sui mores, ma da l’imperium magistratuale e dai valori morali quali l’aequitas e la bona fides.
Buona fede intesa in senso oggettivo (come correttezza nella vita di relazione); per equità si intende
equilibrio tra le prestazioni e senso del giusto nel comune sentire.
Correzione del vecchio ius civile alla luce dei valori della buona fede e dell’equità. Inizialmente i cittadini
romani non potevano avvalersi di iurisdictio peregrina poi, constatando la modernità, snellezza, libertà
delle forme, e il due nuovi valori, presero ad invidiare agli stranieri il loro processo, perciò, con una Lex
Aebutia del 130 a.C. consentì ai cittadini romani la scelta tra le legis actiones e il processo formulare. Perciò
il contenuto dei due editti finì per diventare quasi coincidente e nel 17 a.C. si soppressero tutte le azione di
legge di accertamento, cadono in disuso anche quelle esecutive nel III sec. dC.

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Perfezionamento del processo formulare, con la codificazione dell’editto perpetuo con la stabilizzazione del
testo edittale, promosso da Adriano, per irriggidire l’editto pretorio ed evitarne l’evoluzione (età dei Severi
(fine I sec a.C. – III sec dC).

INSTAURAZIONE DEL PROCESSO FORMULARE E FASE IN IURE


Rimase diviso in due fasi. Svolgimento del processo di accertamento per formulas: era l’interessato a dare
impulso al processo comunicando l’azione esperita alla persona che intendeva citare in giudizio e poi
compiere l’atto privato e non solenne della vocatio in ius (citazione in giudizio). Se la persona si rifiutava di
comparire si ricorreva inizialmente al vecchio sistema della ductio ma poi divenne superfluo. Il cpnvenuto
poteva offrire un vindex che promettesse la comparizione in giudizio, oppure poteva stipulare una
stipulazio di pagamento di una penale per l’ipotesi di una sua mancata comparizione in iure, a pena con
actio ex stipulatu. Qualora il convenuto non fosse mai comparso dinanzi al magistrato sarebbe stato
considerato latitante colpito da missio in bona pretoria con vendita all’asta dei beni.
Una volta comparse in iure le parti, il processo aveva inizio e poteva essere celebrato tra persone
considerate capaci di farlo, ossi capacità di postulare distinta in postulare pro se (presentare istanze in
giudizio nel proprio interesse, vietato per i minori di 17 anni, ai sordi e alle donne e infames) e postulare
pro aliis (presentare istanze in giudizio per conto di altri). La sostituzione necessaria era prevista per i
maschi orfani di padre, minori di 14 anni, malati di mente e prodighi interdetti, rappresentati dal loro
tutore o curatore. Abbiamo litisconsorzio, qualora ci fossero più creditori/debitori accomunati dal
medesimo interesse. Si prevedeva però la sostituzione volontaria, dove i litifìganti potevano decidere se
farsi sostituire da un cognitor (persona di notoria onestà e agiva per nome e per conto del sostituito come
suo rappresentante diretto, la nomina doveva essere accettata dalla controparte) o procurator (che agiva
per conto della parte processuale, ma in nome proprio, quindi come rappresentante indiretto, e per
accettare questa sostituzione, il procurator doveva prestare idonee garanzie, a pena l’actio ex stipulatio).
LA FASE IN IURE: entrambe le parti dovevano necessariamente partecipare e collaborare all’elaborazione
dello iudicuium, che costituiva il risultato di una sorta di accordo a tre, tra le parti e il magistrato
coincidente con la litis contestatio, che concludeva la fase in iure. In ipotesi di mancata comparizione di una
delle due parti non si poteva procedere, e il non defendere comportava alla perdita della lite per implicito
riconoscimento del diritto della controparte. Conseguenze dell’indefensio: missio in bona a carico del
convenuto. Una volta presentatisi i contendenti in iure, il primo atto era costituito dall’editio actionis dove
l’attore doveva enunciare con precisione la propria pretesa ed indicare l’azione processuale esercitata; a
seguito aveva luogo il contraddittorio tra le parti in funzione di chiarire i fatti controversi e i punti
fondamentali per la stesura della formula dello iudicium. Fase in cui il magistrato esercitava il controllo sulle
situazioni di fatto, e a seguito poteva negare l’azione perché improcedibile sul piano formale o perché
infondata o iniqua (DENEGATIO ACTIONIS).
La possibile constatazione di inutilità della prosecuzione del processo si verificava quando il convenuto
ammetteva il buon fondamento delle pretese dell’attore  confessio in iure.
Interrogazione al cospetto del magistrato  interrogatio in iure per ottenere informazione dal convenuto e
il pretore poteva concedere all’attore la possibilità di interrogare il convenuto e qualora rispondesse
affermativamente il processo continuava e la questione veniva data per accertata, quindi iudicium
formulato con formula ficticia, dando per scontata la circostanza affermata dal convenuto. Se si rifiutava di
rispondere era colpito da sanzioni.
Iusiurandum in iure  giuramento di carattere religioso e giuridico dinanzi al magistrato. L’attore, se
giurava poteva procedere direttamente all’esecuzione, se il convenuto non giurava sarebbe stato
considerato indefensus, in ogni caso la parte che giurasse risultava vittoriosa. Poteva essere utilizzato per
evitare le liti temerarie, cioè intraprese per spirito di litigiosità o con eccessiva leggerezza.
La fase in iure davanti al magistrato si concludeva il giorno stesso del suo inizio, ma delle volte necessitava
di più udienze, perciò l’attore intimava al convenuto di ricomparire in giudizio a pena pagava una somma di
denaro garanzia del convenuto denominata vadimonium.
Fase finale del procedimento in iure era la litis contestatio, dove le parti avrebbero dovuto riferire al
giudicante circa i termini della controversia della formula elaborata. La litis contestatio coincideva con il
momento in cui il magistrato dava lettura dello iudicium e le parti lo accettavano. Lo iudicium doveva

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

essere consegnato al giudice privato per ottenere l’emanazione di una sentenza ed era necessario che ogni
iudicium si componesse di alcune parti tipiche:
1- Datio iudicis: che si trovava in testa alla formula a veniva espressa con parole Titius iudex esto, per la
nomina del giudice e dei recuperatores destinatari dello iudicium formulare.
2- Demonstratio (descrizione) si esponeva il fatto, il rapporto giuridico su cui si era accesa la controversia,
non era parte essenziale dello iudicium, ma se veniva inserita precedeva l’intentio, e rivestiva la
funzione di premessa chiarificatrice (introdotta da un quod dimostrativo).
3- L’intentio era la parte della formula in cui l’attore racchiudeva la propria pretesa nei confronti del
convenuto. Non poteva mancare nello iudicium, poteva essere certa (era nella actiones in rem, certo era
l’oggetto) o incerta (quando il giudicante doveva quantificare la summa condemnationis o accertare
l’estensione del diritto affermato dalla parte attrice). Quando la intentio era incerta esse veniva
preceduta da una demonstratio.
4- La adiudicatio e/o la condemnatio costituivano le parti finali della formula e almeno una delle due
doveva essere inserita. Parte più frequente era la condemnatio. Condemnatio: va intesa la parte dello
iudicium con cui il magistrato conferisce al giudice il potere di condannare o di assolvere; poteva essere
certa (se nella formula era fissata la somma di denaro cui il convenuto doveva essere eventualmente
condannato) o incerta (il magistrato poteva aggiungere alcune indicazioni circa i criteri che il giudice
avrebbe potuto seguire per procedere alla litis aestimatio per quantificare la summa condemnationis; il
giudice poteva considerare il valore della cosa litigiosa al momento della litis contestatio, della sentenza
oppure precedentemente alla litis contestatio; sottraeva l’attore al rischio di pluris petitio).
Il magistrato poteva porre in favore del convenuto una taxatio, cioè un limite non superabile dal giudice
nel determinare l’ammontare di una condanna pecuniaria a finalità di beneficium del convenuto.
Per adiudicatio (aggiudicazione), che non manca mai nei giudizi divisori, con la quale il magistrato
conferiva al giudice il potere-dovere di attribuire a ciascuno le parti spettanti della cosa litigiosa.
La condemnatio poteva non comparire nello iudicium soltando quando al suo posto vi era la clausola
adiudicatio, ma subiva delle eccezioni da parte delle formule pregiudiziali, consistenti in iudicia
formulari con cui il magistrato invitava il giudice ad effettuare un mero accertamento, senza
pronunciare sentenza.
I pretori arricchirono progressivamente gli scarni schemi delle formule-tipo appena descritti con una serie
di altri parti utili per la caratterizzazione della fattispecie litigiosa, il magistrato aggiunge quindi altre
clausole, a vantaggio dell’attore o del convenuto.
Tra le parti accessorie della formula vi erano l’exceptio (concessa e richiesta a favore del convenuto) e la
prescriptio (a vantaggio dell’attore).

EXCEPTIO: collocata subito dopo l’intentio, con la quale il convenuto non si limitava a negare quanto
asserito dall’attore, strumento di difesa del convenuto per correggere le iniquità presenti nello ius civile;
rende inoperante il diritto dell’attore bloccando la sua azione e togliendogli efficacia (esempi a pag. 81-82
per exceptio doli e exceptio pacti conventi).
Si distinguevano le eccezioni a seconda che fossero dilatorie (temporales e erano le eccezioni che potevano
essere efficacemente sollevate soltanto in dati periodi di tempo oppure nei confronti di persone
determinate) o perentorie (mortifere e in quanto corrispondevano a una circostanza che il convenuto
poteva sempre opporre all’attore, ottenendo l’assoluzione: exceptio doli e exceptio pacti de non petendo),
distinzioni: l’attore doveva evitare del tutto di promuovere l’azione nei confronti del convenuto (che
avrebbe potuto paralizzarla) se l’eccezione a disposizione del convenuto era di tipo perentorio, mentre
avrebbe potuto esperire con successo l’azione avendo cura di scegliere il momento giusto se l’accezione era
dilatoria, ma qui l’attore deve stare attento ad esperire l’azione nel momento giusto altrimenti avrebbe
dovuto desistere, senza giungere a litis contestatio, aspettando il momento opportuno (es. pag. 83)

In favore dell’attore era prevista la replicatio con cui esso poteva ribattere al convenuto circa i contenuti
dell’exceptio sollevata, poteva quindi paralizzarla. A sua volta il convenuto poteva contestare la replicatio
dell’attore, chiedendo al magistrato una triplicatio, e così di seguito (es. pag. 84).
Un’altra parte non essenziale era la prescriptio (premessa/prescrizione):

10

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Prescriptio pro reo ( in favore del convenuto) inserita dal magistrato nella formula quando gli pareva
opportuno indirizzare al giudice alcuni avvertimenti, si rivolgeva con l’invito al giudice di considerare
avvenuta la litis contestatio soltanto ove il convenuto non fosse riuscito a dimostrare il fatto allegato a
propria difesa, vicersa il giudice avrebbe dovuto considerare non avvenuta la litiscontestazione.
- Prescriptio pro actore che aveva la funzione di evitare, a certe condizioni, la consumazione processuale
conseguente a litiscontestazione e veniva inserita all’inizio della formula (premessa in favore
dell’attore), esempio a pag. 86.
la prima cadde in disuso e fu sostituita dell’exceptio, la seconda rimase in vigore

Gli effetti conservativi, modificativi ed estintivi della litiscontestazione: una volta accettato lo iudicium
dalle parti, queste risultavano vincolate al suo contenuto e le sue conseguenze erano triplici
- La litiscontestazione fissava definitivamente il rapporto giuridico controverso, rendendo lo iudicium
irretrattabile e immodificabile e i termini della controversia rimanevano cristallizati; tale effetto
conservativo implicava l’irrilevanza di eventi successivi.
- Con la litiscontestazione l’azione si consumava: non è consentito un secondo processo sullo stesso
affare, era quindi uno dei modi di estinzione dell’obbligazione (estintivo).
- Effetti modificativi: a seguito della litis contestatio l’obbligazione civile del debitore si intendeva estinta
e novata in una obbligazione del convenuto di subire la sentenza del giudice. Dopo la litis contestatio, il
convenuto non era più tenuto in forza della obbligazione originaria, ma della litiscontestazione.
La litis contestatio non poteva implicare l’estinzione né dei diritti reali né dei rapporti non riconosciuti da
ius civile, perciò in questi casi l’azione era riproponibile, ma il convenuto poteva bloccarla mediante la
richiesta di inserimento nella formula di una exceptio rei in iudicium deductae, che avrebbe indotto il
giudice privato ad assolvere il convenuto; percui era onere del convenuto reppresentare l’avvenuta litis
contestatio, altrimenti avrebbe subito la sentenza di condanna. L’identità di causa (aedem res) si ritenne
sussistente quando si riproponeva la stessa formula fra le medesime parti in causa in ordine agli stessi fatti.

Effetti consuntivi della litis cont. vi era l’ipotesi di pluris petitio (richiesta eccessiva) da parte dell’attore,
qualora nell’intentio della formula inserisse una richiesta superiore a quanto realmente gli spettava. Si
poteva incorrere a pluris petitio per quattro aspetti: re, tempore, loco, causa (vedi esempi pag. 89). L’attore
non potendo più ridurre le proprie pretese e davanti al giudice perdeva la lite e non poteva più riproporre
l’azione con successo per l’effetto estintivo della litis contestatio.
Dal momento della litiscontestazione cominciavano a decorrere i tempi ai fini della mors litis: la fase apud
iudicem doveva concludersi entro 18 mesi dalla litis cont., e se lo iudicium era legitimum, entro l’anno di
carica del magistrato. Decorsi questi termini senza la una sententia emanata si verificava la morte della lite,
ma veniva concesso all’attore di chiedere allo stesso magistrato che aveva emanato la formula o al suo
successore una reinterazione o una conferma dello iudicium con relativo iussum iudicandi.
La translatio iudici consisteva nella sostituzione di una delle parti in causa con altra persona, doveva essere
accettata dalla controparte e disposta dal magistrato mediante decreto.
La mutatio iudicis consistava nel mutamento della persona del giudicante alla quale si doveva addivenire in
caso di morte o sopravvenutà incapacità del giudicante nominato nella formula.

FASE APUD IUDICEM


Con la quale si concludeva il processo. Regolamentazione al riguardo non era rigida se non per i tempi
processuali (18 mesi o entro l’anno di carica), pena la mors litis. Non era indispensabile la presenza delle
parti, ma l’assenza ingiustificata conduceva alla soccombenza con sentenza a favore della parte presente.
Il compito fondamentale del giudice era quello di esaminare le prove addotte dalle parti in ordine dei fatti e
ai rapporti giuridici menzionati nello iudicium. Le prove erano messe tutte sullo stesso piano e dal
momento che il giudice non era obbligato a motivare la sentenza, la sua discrezionalità nella valutazione
delle prove era davvero molto ampia: valeva il principio del libero convincimento del giudice. Si riconosce
l’importanza all’abilità persuasiva degli orator (maestri dell’arte retorica)
Disciplina dell’onere probatorio (onus probandi), grava su chi afferma, non su chi nega. All’attore spettava
fornire una convincente dimostrazione di quanto rappresentato nella intentio della formula, il reus era

11

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

chiamato a fornire prove soltanto in ordine ad eventuali affermazioni su circostanze di fatto o di diritto,
cioè per le eccezioni inserite nella formula.
LA SENTENZA
Una volta formatosi un suo convincimento, il giudice doveva elaborare la sentenza. Soltanto in via di
eccezione gli era consentito rifiutarsi di addivenire a sentenza affermando non liquet (la questione non mi è
chiara) e si procedeva a sostituzione dello iudex con mutatio iudicis.
Nel formulare la sentenza il giudice era posto di fronte all’alternativa se condannare o assolvere il
convenuto. La clausola dello iudicium contrariorum consentiva al giudice di infliggere una condanna
pecuniaria all’attore, in favore del convenuto assolto.
Se si emanava sentenza di condanna, era pecuniaria, non era ammessa in forma specifica. Nell’indicazione
della summa condemnationis doveva attenersi allo iudicium, se era certa non doveva discostarsi, così come
in presenza di taxatio, a pena il giudice sarebbe stato responsabile di un illecito. La sentenza aveva forma
scritta ad probationem e non erano ammessi ulteriori gradi di giudizio: la possibilità di appello fu prevista
solo nelle cognitiones extra ordinem.
Gli effetti della sentenza: poteva essere di condanna si aveva nascita di rapporto obbligatorio intercorrente
tra l’attore vittorioso e il convenuto soccombente. Conseguenza della sentenza era la res iudicata, che
implicava la preclusione processuale in ordine alle aedem res, rendeva così definitivo l’esito del processo.

L’ESECUZIONE FORZATA DELLA SENTENZA DI CONDANNA


Qualora il soccombente non pagasse spontaneamente la summa condemnationis, l’attore era tenuto ad
attendere 30 giorni dopo la pronunzia della sentenza, prima di dare inizio al procedimento che avrebbe
trasformato la sentenza in un titolo esecutivo, legittimante l’esecuzione forzata. Dunque l’attore doveva
esercitare una nuova azione di accertamento, l’actio iudicati: il convenuto poteva o ammettere le buone
ragioni dell’attore con confessione o silenzio, oppure asserire all’invalidità della sentenza di condanna o
affermare di aver già pagato la summa condem. L’eventuale contestazione dava luogo ad una nuova
litiscontestazione che prendeva nome di infitiatio: se l’opposizione del convenuto risultava fondata, la
sentenza veniva dichiarata nulla, o veniva assolto accertando il pagamento della summa condem.  si
verificava il fenomeno della litiscrescenza. Ma se l’actio iudicati si concludeva in senso favorevole all’attore
e il soccombente perseverava nel non pagare si poteva dare inizio all’esecuzione forzata.
DALLA DUCTIO ALLA BONORUM VENDICTIO
Ductio: esecuzione personale sul corpo del debitore (procedendo all’addictio, veniva usato solo quando
l’insolvente fosse nullatenente) che lentamente si affermò in una esecuzione patrimoniale sui beni dei
debitore insolvente: bonorum ventictio e missio in possessionem.
- Bonorum vendictio: cominciava con la richiesta rivolta al magistrato da parte del creditore – che fosse
uscito vittorioso dall’actio iudicati – di autorizzare l’immissione del possesso (missio in bona) del
patrimonio del debitore. Missio in bona funzioni: vendita dei beni del debitore e l’attuazione di muìisure
cautelari.  prescriptio bonurum: una volta impossessatosi dei beni, ne doveva effettuare l’inventario e
renderlo pubblico per 30 giorni, per consentire ad altri eventuali creditori nei confronti del medesimo
debitore di farsi avanti per partecipare alla procedura esecutiva. Scaduto il termine, il creditore/i
nominavano un magister bonorum, incaricato di vendere all’asta il patrimonio in blocco (bonorum
vendictio). Il patrimonio veniva aggiudicato al migliore offerente: le offerte dei partecipanti all’asta non
avevano ad oggetto il prezzo che ciascun offerente si dichiarava disposto a pagare, ma bensì la misura e
le modalità con cui i creditori dell’insolvente sarebbero stati pagati.
In caso di pluralità di creditori questi si dovevano dividere in privilegiati e chirografari, per individuare una
gerarchia di crediti. I primi avrebbero avuto maggiori probabilità di essere soddisfatti con il ricavato della
vendita all’asta, in quanto aventi diritto al pagamento del debito a preferenza rispetto agli altri creditori,
rispetto agli altri in quanto in possesso di un mero documento attestante il credito. Questa gerarchia di
creduti veniva inserita nell’elenco in ragione del quale i concorrenti all’asta se ne servivano per valutare se
sarebbero stati in grado di pagare tutti i crediti.
A seguito dell’asta, il debitore risultava espropriato di tutti i suoi beni e marchiato di infamia, e l’acquirente
diveniva proprietario pretorio dei singoli cespiti e titolare dell’intero patrimonio (successione inter vivos).

12

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Quest’ultimo succedeva quindi a tutte le situazioni giuridiche trasmissibili, di cui doveva pagare debiti e
qualora non pagasse, quei creditori potevano procedere con le stesse azioni di esecuzione patrimoniale.
Se l’esecutato era in vita, il pretore dava una formula di trasposizione di soggetti, scrivendo nell’intentio il
nome del debitore originario e nella condemnatio il nome del bonorum emptor; se invece era morto, il
pretore inseriva nella formula una fictio, invitando il giudice a fare finta che il bonorum emptor fosse erede
del debitore. Ma l’acquirente (bonorum emptor) poteva anche pretendere gli eventuali crediti che poteva
vantare l’espropriato usando gli stessi metodi sottolineati.
Al debitore che fosse incorso nell’insolvenza senza sua colpa, si consentì di evitare la conseguenza
dell’infamia abbandonando volontariamente i propri beni (cessio bonorum) in vantaggio dei creditori e poi
si procedeva alla venditio bonorum.

LE AZIONI E LA LORO CLASSIFICAZIONE NELLE PROCEDURE PER FORMULAS


Actio ogni attività svolta dall’attore per promuovere e portare avanti il processo, come potere di
compiere atti. Per habere actionem (avere l’azione) si indicava il potere di esercitare l’azione e di svolgere
relativa attività processuali , riconosciuto alla persona titolare di specifiche situazioni, di fatto e diritto.
LA TIPICITA’ DELLE AZIONI: Mentre ciascuna legis actio coincideva con una procedura tipica idonea a fare
valere in giudizio una determinata serie di situazioni giuridiche attive, nel processo formulare ogni azione
formulare era intesa alla tutela di una determinata situazione giuridica, indicata dalla formula, inserita
nell’editto del pretore, con il relativo schema formulare. Principio della tipicità delle azioni, che però non
era immobile e insuperabile, in quanto i magistrati potevano integrare all’editto.
Il processo doveva seguire alcuni schemi: abbiamo un complesso di formule e azioni accolte negli editti
pretori con la formazione di una serie di distinzioni e classificazioni degli schemi processuali. Abbiamo:
- Actiones in rem  azione relativa alla cosa è quella con cui affermiamo che una cosa corporale è nostra,
o che ci compete qualche diritto.
- Actiones in personam  azione contro la persona è quella con cui agiamo nei confronti di chi sia
obbligato verso di noi o per contatto o per delitto, cioè quando riteniamo che altri debba fare, dare,
rispondere a titolo di garante.
- Actiones mixtae  miste in quanto in parte reali e in parte personali:
1. Azioni divisorie con cui si conseguivano diritti reali ed obbligatori
2. Azioni nossali, esperibili nei confronti di chiunque avesse la potestas sull’autore di un delictum
3. Actio quod metus causa: intentato contro chiunque avesse tratto vantaggio patrimoniale da un
atto di autonomia privata, concluso a seguito di violenza morale;
le azioni si distinguevano anche in:
- Azioni reipersecutorie: intese a conseguire il controvalore della res litigiosa o la reintegrazione
dell’interesse dell’attore, leso dalla commissione dell’atto illecito.
- Azioni penali: con funzione afflittiva e punitiva nei riguardi del responsabile derivanti dalla commissione
di un delictum o atti illeciti.
- L’azione penale poteva concorrere e cumularsi con l’azione reipersecutoria (vedi esempio a pag. 103) 
azioni miste.
- Azioni civili: azione spettante di pieno diritto all’attore, il quale si avvaleva di una tutela processuale
fondata su norme dello ius civile.
- Azioni onorarie: escogitate dai pretori allo scopo di predisporre una tutela per situazioni soggettive non
riconosciute affatto dallo ius civile; il magistrato doveva di volta in volta concedere o denegare tale
azione. Azioni onorarie erano di due specie, quando riferite ad un rapporto di fatto:
1. In factum conceptae: se la situazione soggettiva cui il magistrato offriva protezione era in
qualche misura avvicinabile ad un’altra precedente tutelata dallo uìius civile; conteneva una
finzione o un adattamento, dettato da ragioni di utilitas, rispetto all’azione tradizionale;
2. In ius conceptae: sono modellate su un’azione tradizionale di ius civile e si qualificano come
azioni utili, ossia affini ad altre già contemplate dallo ius civile (il magistrato modificava la
formula originaria al fine di poterla utilizzare anche per altre fattispecie simili), contenenti o la
finzione di un requisito civilistico (actiones ficticiae, o una trasposizione di persone (actiones
adiecticiae qualitatis), o una imitazione estensiva di azioni preesistenti (actiones ad exemplum);

13

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Le azioni onorarie erano temporanee, a differenza dell’età arcaica, ossia che la loro concessione
dipendeva dalla durata in carica del magistrato che le aveva inserite nel suo editto, e se erano penali
potevano essere date entro un anno dalla commissione del fatto illecito.
- In età arcaica non vi era limite di tempo all’esercizio dell’azione, si poteva dare impulso al processo
anche molti anni dopo la lesione lamentata in quanto le situazioni giuridiche soggettive erano ritenute
eterne  azioni perpetue
Contrapposizione tra iudicia legitima e iudicia imperio continentia: i primi dovevano essere conformi a tra
requisiti: 1- svolgimento della lite tra soli cives romani; 2- celebrazione del processo a Roma; 3- rimessione
della decisione ad un giudice unico e cittadino romano. Qui la mors litis si verificava se il giudicante non
emanava la sentenza entro i 18 mesi; i secondi erano qualificati tali in quanto il giudizio in essi risultava
contenuto nell’imperium del magistrato che lo aveva emanato, e limitato ad esso. Qui la parte interessata
aveva l’onere di promuovere la fase apud iudicem e il giudice doveva sentenziare prima che scadesse l’anno
di carica del magistrato.

Distinzione tra azioni di stretto diritto, azioni di buona fede, azioni arbitrarie atteneva ai compiti assegnati
al giudice nella fase apud iudicem:
- Azioni di stretto diritto: erano sempre e soltanto azioni in personam, si caratterizzavano per uno
iudicium in cui l’obbligo del convenuto risultava descritto in modo certo e determinato, con indicazione
dell’importo pecuniario. Il giudice doveva quindi procedere all’accertamento dei fatti seguendo
rigidamente le indicazioni dello iudicium.
- Azioni di buona fede: il giudicante godeva di maggior discrezionalità nella valutazione della controversia
sottopostagli, riceveva dal magistrato, l’incarico di applicare principi di equità e di buona fede e sulla
base del suo apprezzamento condannare o assolvere il convenuto.
INTERESSE POSITIVO: principio secondo ciu la litis aestimatio dovesse corrispondere all’interesse
dell’attore all’adempimento. Nel calcolo dell’interesse positivo si facevano rientrare perdite sofferte
(danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante).
INTERESSE NEGATIVO: cui si faceva ricordo quando si voleva fare valere la responsabilità del convenuto
per dolus in contrahendo. Il giudice considerava la situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato
l’istante se non avesse concluso il contratto, paragonandola con la situazione in cui concretamente si
trovava, avendolo invece concluso a seguito delle malizie della controparte.
Sottospecie delle azioni di buona fede:
1. Azioni in bonum et aequum conceptae: il giudice non aveva il compito di effettuare valutazione
equitative ai fini della decisione, ma il potere di determinare l’ammontare della condanna
pecuniaria secondo equità.
- Azioni arbitrarie: davano luogo ad uno iudicium in cui il magistrato incaricava il giudice, che si
convincesse del torto del convenuto, di comunicare a quest’ultimo, prima di emanare sentenza di
condanna, le conclusioni cui era giunto a seguito della fase probatoria e di porgli un’alternativa:
ripristinare spontaneamente la situazione giuridica alterata , evitando così la sentenza di condanna,
oppure soggiacere alle conseguenze di essa (scelta c.d. arbitrium de restituendo.

Fin qui si sono illustrate le azioni private, concesse ai singoli individui al fine di tutelare i propri interessi.
Ma nell’editto abbiamo anche azioni popolari, riconosciute a qualunque cittadino per la tutela di interessi
di pubblica rilevanza.

MEZZI AUSILIARI DELLE PROCEDURE FORMULARI


Esigenza di provvedimenti integrativi in causa alle lacune della procedura formulare, per le situazioni
giuridiche che non ricevevano adeguata tutela, indussero i pretori, nel III sec aC, ad inserire nei loro editti
nuovi provvedimenti e strumenti diversi dalle azioni processuali, ossia strumenti complementari, ausiliari o
integrativi del processo, come mezzi fondati sull’imperium magistratuale.
I mezzi ausiliari del processo formulare sono:
- Decreti: provvedimenti autoritativi cui il pretore ricorreva qualora fosse opportuno adottare misure
positive particolari.

14

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Interdetti: ad ordine spesso negativo, consisteva in un ordine pretorio (ordinanza d’urgenza) con cui il
magistrato ingiungeva all’avversariodi tenere determinati comportamenti, banchè non fossero prescritti
da ius civile né esigibili mediante azioni formulari. La ratio era quella di porre rapidamente rimedio ad
una situazione che rischiava di pregiudicarsi in tempi brevi. Gli interdetti poteva concederli o negarli
purchè rientrassero negli schemi astratti previsti nell’editto, e si dividevano in tre categorie:
1. Interdetti esibitori ingiungevano al destinatario dell’ordine l’esibizione in giudizio di cose o persone;
2. Interdetti restitutori si ordinava l’immediato ripristino della situazione di fatto alterata dal
destinatario dell’ingiunzione;
3. Interdetti proibitori con cui il magistrato ordinava di astenersi da un dato comportamento; alcuni
potevano essere proibitori chiamati interdicta duplicia quando l’ordine interdittale si rivolgeva ad
entrambe le parti interessate, in modo che poi soltanto colui che si fosse trovato nella situazione
descritta dovesse ottemperare all’ordine edittale.
Quindi una volta emanato un interdetto, il contrasto tra i privati coinvolti si risolveva subito soltanto se il
destinatario dell’ordine interdittale obbediva spontaneamente. In caso contrario la lite continuava.
Per ipotesi di mancata ottemperanza, l’editto pretorio previde l’instaurazione di un processo di
accertamento (processo ex interdicto), mirato alla verifica della fondatezza dell’ordine interdittale 
ACTIO DE INTERDICTO. Il vincitore del processo ex interdicto esercitasse un’ulteriore azione volta
all’esecuzione.
- Stipulazioni pretorie: su richiesta dell’interessato il magistrato ordinava a taluno di obbligarsi mediante
stipulatio (il promittente si obbligare a pagare allo stipulans una somma di denaro, per l’ipotesi che
avesse compiuto o che si fosse astenuto da un’attività; serviva ad indurre il promittente a svolgere
l’attività richiesta) nei confronti del postulante, in caso di rifiuto si ricorreva alla missio in possessionis,
pignoramento e multe.
- Integrum restituiones: provvedimento magistratuale idoneo a ripristinare lo stato di diritto anteriore
rispetto a un determinato fatto o atto, che il pretore faceva risultare rescisso. La ratio consisteva
nell’invalidare i fatti giuridici che ingiustamente compromettessero situazioni giuridiche soggettive. Si
intende la restituzione dello stato di ripristino. Il magistrato nella composizione dello iudicium ricorreva
alla formula ficticia, con la quale invitava il giudicante a non tenere conto dell’atto su cui si fondava
l’azione promossa dall’attore; se invece gli veniva richiesto dal convenuto, il pretore poteva concedergli
un’apposita exceptio.
- Missiones in possessionem: con decreto il pretore poteva immettere il richiedente nella disponibilità di
fatto di un singolo bene altrui o di un intero patrimonio appartenente alla persona.
- Datio bonorum possessionis: (concessione del possesso dei beni) era un provvedimento con cui il
pretore concedeva a taluni soggetti il potere di possedere il compendio ereditario e di disporre
dell’intero patrimonio del defunto come se fossero stati suoi eredi. Erano successori universali per il
diritto onorario ma non per il diritti civile.

LA COGNITIO EXTRA ORDINEM (da p.119 a 149)


Con il nascere del regime del Principato siamo di fronte all’affermarsi dell’assolutismo imperiale,
determinando la sostituzione delle precedenti fonti di produzione del diritto con l’unicità della fonte
normativa imperiale che produsse la progressiva pubblicizzazione del giudizio civile. Funzione esclusova
del potere imperiale di emanare le leggi e di attuare il diritto provvedendo all’istituzione di organi propri.
Il processo era e restava privato, in quanto a metterlo in moto era l’iniziativa dei cittadini, ma l’ufficio di
decidere era ormai assunto dallo Stato.
Estesa, con Augusto, la procedura extra ordinem anche in Roma, la competenza a giudicare fu attribuita ai
consoli ed ai pretori appositamente creati (es: pretores tutelares, pretores fidescommissarii…).
Successivamente furono creati altri organi giurisdizionali, come il prefectus praetorio, ed il prefectum
vigilium. Nel periodo della monarchia assoluta, la competenza spettava esclusivamente all’imperatore, al
quale poteva rivolgersi chiunque, ed era esercitata o direttamente dall’imperatore stesso, oppure in suo
nome, dal prefectus urbis e dagli organi a questo subordinati (vicarius prefectus annonae, prefectus
vigilium, nationales).

15

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Il pocesso extra ordinem presentava i seguenti caratteri:


- Unità del procedimento: scomparvero le fasi in iure e apud iudicem, in quanto tutta l’attività
processuale, sia di istruzione della causa, sia di giudizio, si svolgeva davanti allo stesso funzionario
statale;
- Ampia discrezionalità del giudicante: il funzionario-giudice aveva ampi poteri per accertare il fatto;
- Procedibilità contumaciale: la presenza del convenuto non era più essenziale allo svolgimento del
giudizio, essendo necessario e sufficiente che egli fosse stato avvertito dall’inizio del procedimento;
- Impugnabilità della sentenza: il soccombente, ritendo ingiusta la sentenza, poteva ricorrere al
funzionario di grado superiore e, quindi, al princeps;
- Specificità della condanna: la condanna non consisteva più nel pagamento di una somma di danaro, ma
anche di un comportamento specifico, come la restituzione di una cosa, un pati, un non facere…;
- Esecutività manu militari: l’esecuzione delle sentanze veniva domandata ad appositi organi statali, gli
apparitores;
LA CHIAMATA IN GIUDIZIO  modi per ottenere la comparizione in giudizio del convenuto:
CITAZIONE IN GIUDIZIO: prevedeva la partecipazione dell’organo pubblico, si attuavano mediante un
documento redatto dall’attore, ma approvato dal magistrato o attraversa una intimazione dell’autorità
giudiziaria sollecitata da quello. Qui l’assenza del convenuto regolarmente invitato, che diventava pertanto
contumace in quanto disobbediente all’ordine dell’autorità, non avrebbe impedito la regolare
continuazione del processo. A questo scopo era prevista una precisa procedura contumaciale
volta ad accertare l’assenza ingiustificata del convenuto: il magistrato gli inviata tre edicta e se rimanevano
senza esito lo si avvertiva che si sarebbe proceduto ugualmente alla trattazione e alla decisione della causa.
A partire da Costantino, si introdusse nel giudizio la litis denuntiatio: un atto scritto (libellus) redatto
dall’attore, contenente l’indicazione della pretesa fatta valere e poi doveva essere notificato alla
controparte. Dal giorno della denuntiatio decorreva un termine entro il quale le parti dovevano comparire
davanti al magistrato per trattare la causa. Ma tutto questo cadde presto in decadenza, e la citazione in
giudizio del convenuto avveniva ormai con la forma del libellus conventionis, atto scritto in cui venivano
esposti pretesa e fondamento della domanda presentata in giudizio, poi il magistrato emanava un decreto
al convenuto invitandolo a comparire in giudizio entro un certo termine. In entrambi i casi, il convenuto se
non intendeva soddisfare le pretese dell’attore aveva l’onere di replicare mediante un libellus
contradictionis contestando il fondamento della domanda dell’attore esponendo le sue ragioni.
EFFETTI DELLA CONTUMACIA a seconda che la chiamata in giudizio sia avvenuta con libellus denuntiatio o
conventionis. Nel primo caso il giudice pronunziava sentenza contro il convenuto, nel secondo dipendeva se
l’acio era in rem o in personam.

LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO FINO AL MEDIUM LITIS


La litis contestatio non costituiva più l’accordo tre le parti sul testo della formula, ma ora si indicava il
momento della trattazione della causa che concludeva l’esposizione delle proprie ragioni da parte di attore
e convenuto una volta costituitisi in giudizio.
Il convenuto poteva ancora opporre un exceptio, non più clausola formulare che escludeva la condanna,
ma mezzo generale di difese accordato dalla legge.
Interlocutiones  l’avvio del procedimento era anche il momento in cui il convenuto poteva proporre
eccezioni pregiudiziale decise con una interlocutio, se accolte il giudizio si arrestava e non si arrivava alla
litis cont, se rigettate si addiveniva alla narratio con la quale l’attore esponeva i termini della controversia,
e alle conseguente contradictio da parte del convenuto.
EFFETTI DELLA LITIS CONTESTATIO: la pretesa fatta valere poteva sempre essere riproposta in altro giudizio
a condizione che il precedente non fosse stato definitivamente concluso. Gli effetti conservativi vennero
anticipati al momento della notificazione della litis denuntiatio prima e del libellus conventionis poi.

LA SENTENZA
Redatta per iscritto e il giudice doveva leggerla alle parti in pubblica udienza, pena la nullità. EFFETTI: avvio
della procedura esecutiva/ effetto estintivo o esclusorio. Poteva essere affetta da nullità: per violazione
delle norme imperiali o contrasto con un precedente giudicato.

16

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

L’APPELLO
La sentenza poteva essere oggetto di riesame. L’appello ha effetto di sospendere l’secutorietà. Il principe
poteva cassare la sentenza o mutarne il contenuto, ma più avanti fu costretto a delegare il giudizio
d’appello a funzionari a lui subordinati. È la facoltà della parte soccombente di ottenere un riesame della
causa da un giudice di grado superiore. L’appello di proponeva, da chi vi aveva interesse, con libelli
appellatori, indicanti i motivi di gravame. Doveva essere presentata dalla parte soccombente al giudice che
aveva pronunciato la sentenza: il giudice a quo era obbligato a ricevere l’appello, a verificare
esclusivamente la sussistenza dei presupposti di ricevibilità e di ammissibilità o rilevarne l’infondatezza per
omissione di motivi di gravame. Ricevuto l’appello, entro 30gg doveva consegnare all’appellante, uno
scritto con le sue osservazioni.
La regolare proposizione dell’impugnazione produce un duplice effetto: determinava la sospensione della
esecutorietà della sentenza impugnata;e investiva il giudice di grado superiore di emettere nuova sentenza;
il giudizio presupponeva la presenza di entrambe le parti: in mancanza dell’appellato il giudice dovevaa
decidere in modo imparziale, tenendo conto anche le ragioni dell’assente; se assente fosse stato
l’appellante, il giudice doveva pronunciare sentenza contro di lui, e punito con una sanzione.
Anche le sentenze di appello erano impugnabili, ma non per chi avesse subito due sentenze sfavorevoli.

LA PROCEDURA ESECUTIVA
L’esecuzione continuava a potersi esercitare sulla persona del debitore, si attuava tramite l’arresto del
debitore.
Esecuzione patrimoniale sui singoli beni: veniva pignorate singole cose del debitore e, dopo due mesi,
qualora questi non avesse adempiuto, si procedeva alla loro vendita all’asta su disposizione del magistrato.
Con il ricavato della vendita veniva pagato il creditore e l’eventuale residuo veniva restituito al debitore, in
mancanza di compratore si poteva procedere ad assegnazione in proprietà al creditore stesso.
Procedura concorsuale: poteva essere sottoposta ad esecuzione forzata l’intero patrimonio del debitore
insolvente in caso di pluralità di creditori, i quali se insoddisfatti potevano richiedere la missio in bona e in
debitore per evitare infamia poteva fase cessio honorum. Abbiamo ancora la divisione tra creditori
privilegiati e chirografari.
Esecuzione in forma specifica: la restitutio era possibile.

LE PERSONE
LA SOGGETTIVITA’ GIURIDICA
Il soggetto di diritto per i romani fi colui che veniva sottoposto a forma di coercizione fisica esercitate da un
potere esterno, per subiectus si indicava uno stato di soggezione materiale. Abbiamo una netta divisione di
tutti gli individui in liberi e schiavi. Con il termine ‘persona’ si intendeva la maschera teatrale.
Per il termine caput si intendeva individuo. In età classica non doveva ancora essere maturata l’idea che
con caput ci si potesse riferire ad un insieme di relazioni giuridiche attinenti alla capacità del singolo. Tale
mutamento si verificò in età bizantina, con riguardo allo schiavo che non può essere considerato come un
individuo, ci si avvicina al concetto moderno di capacità.
CAPACITAS: possibilità di ricevere per via di successione mortis causa, con potere di acquistare un credito o
di ricevere un pagamento. I romani richiedono requisiti specifici costituiti dalla cittadinanza e
dall’indipendenza familiare, cioè di non essere sottoposto a potestà altrui.  si tratta del PATER FAMILIAS:
uomo libero, cittadino romano, sui iuris (di proprio diritto), ma essere limitato nel suo agire per cause come
l’età o patologie mentali. Poteri di cui gode: ius commerci, testamentio factio attiva e passiva, titolare di
diritti reali e potestas esercitata su figli e schiavi.
Il conubium è il diritto di contrarre matrimonio secondo diritto secondo i romani, ponendo la differenza tra
Latini e peregrini: hanno il connubio solo cittadini romani con cittadini romani. Per quelli di stirpe diversa ci
vuole apposita concessione.
Dal versante del diritto pubblico, diversamente dal privato, non è richiesta la posizione sui iuris, per cui in
età adulta i filii familias, possono partecipare alle assemblee, hanno diritto di voto e possono candidarsi.
Il diritto pubblico è ciò che attiene all’aspetto organizzativo della comunità romana.
Il diritto privato è ciò che concerne l’interesse dei singoli.

17

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Al centro della vita sociale e politica romana si collocavano la familia romana e il suo capo, il pater familia.
L’acquisto di condizione di soggetto di diritto avviene all’atto della nascita.
In Roma antica, i soggetti sono esclusivamente i liber, gli schiavi sono oggetti, è negata la soggettività a
neonato che non abbia sembianze umane, il mostrum, il quale poteva essere ucciso dal padre o
abbandonato; viceversa se al neonato corrispondevano fattezze umane gli era riconosciuta la qualità di
soggetto purchè sia vivo.
Protezione giuridica del feto: si dava importanza al momento del concepimento, si nnominava un curatos
ventris per controllare il regolare andamento di una gestazione in caso di divorzio. Il nascituro era
giuridicamente considerato come se fosse già nato: una finzione per imputare in capo al soggetto non
ancora nato effetti favorevoli subordinati alla nascita, mancando la quale non si producevano. Fino al parto,
il curator, amministrava i beni spettanti al nascituro.
La possibilità di agire incontra un limite naturale nella minore età o in talune patologie: in quanto all’età si
fa distinzione fra infantes (minori che non hanno ancora compiuto il settimo anno) sono totalmente privi di
capacità, e gli infantia maiores (tra i sette e il raggiungimento della maturità), considerati parzialmente
incapaci, superata l’infantia si è impuberes e per costoro il problema della piena capacità di agire si pone
solo per i sui iuris. La capacità fisiologica alla procreazione è raggiunta ai anni 12 per la donna e 14 per
i maschi (facevano ispezioni corporali).
PUBERI: raggiunta la pubertà si è capaci di compiere validamente atti giuridici. Si proteggono i minori dai
possibili raggiri, qualora fosse stato convenuto in giudizio in base al contratto concluso. In caso di patologie
come infermità mentale e la prodigalità, si faceva ricorso all’assistenza prestata da altri.

LE NOZIONI SI STATUS E DI CAPITIS DEMINUTIO


Lo status libertatis: lo status riguarda gli individui e la posizione da costoro occupata in un contesto
rilevante per il diritto, il modo di essere della persona all’interno di un gruppo qualificato. Quindi per status
personarum si indica una posizione che si traduce in una specifica condizione giuridica. Le situazioni
fondamentali sono libertà, cittadinanza, famiglia, essendo ogni individuo inserito in una comunità politica,
civica e familiare. Status libertatis indica la condizione di libero o di schiavo; status civitatis la posizione
occupata da taluno nell’ambito della comunità civica ; status familiae la situazione di un membro della
famiglia all’interno del gruppo familiare.
CAPITIS DEMINUTIO: ossia diminuzione di capacità, un mutamento non sempre peggiorativo, es. passaggio
da schiavo a libero. Specie di capitis deminutio:
- la deminutio può riguardare la libertà (capitis deminutio maxima), perdita dello statu s libertatis. Forma
più grave di deminutio, in quanto chi perde la libertà è privato della qualità di cittadino e di membro
della propria famiglia;
- la cittadinanza (capitis deminutio media)
- la posizione di ambito familiare (capitis deminutio minima)
Se le perdiamo tutte, sia la libertà, cittadinanza e famiglia, la diminuzione di capacità è totale; se invece
perdiamo la cittadinanza ma conserviamo la libertà, la diminuzione di capacità è media; minima invece se si
mantengono libertà e cittadinanza e muta solo la famiglia.
LA SCHIAVITU’
Cause: prigionia per cattura di nemici in guerra e nascita da madre schiava nel momento del part: i figli
seguivano la condizione giuridica del padre all’atto del concepimento se nati da matrimonio legittimo;
altrimenti seguivano il principio del parto da schiava ed areno proprietà del padrone della madre.
Vige il principio per cui il cittadino romano non può essere schiavo in territorio romano.
Causa dell’aumento di schiavitù dato dalle guerre di conquista, comporta il massimo sfruttamento di
manodopera servile. Qualora il dominus fosse stato ucciso, si presupponeva che tutti gli schiavi viventi in
casa di costui fossero colpevoli, per non aver difeso il padrone, venivano torturati e uccisi.
Lo schiavo non era soggetto di diritti ed era sottoposto al potere del dominus. Nell’ipotesi in cui avesse
recato danni ai terzi, il padrone poteva decidere di darlo a nossa, abbandonarlo all’offeso affinchè costui
potesse esercitare su di lui la vendetta.

18

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Tuttavia, nel tempo si formano principi tendenti al riconoscimento della natura di essere umano, e vengono
repressi gli abusi disciplinari attraverso una serie di disposizioni tendenti proteggere gli schiavi dal
maltrattamento del dominus
IL PECULIUM: ossia si riconosce al servo la possibilità di amministrare un gruzzolo, formato dai frutti del
proprio lavoro. Il peculium era di proprietà del padrone, che poteva revocarlo in qualsiasi momento. Lo
schiavo ne aveva solo la gestione di fatto e non poteva disporne mortis causa.
LIBERAZIONE DELLO SCHIAVO: possibilità di passare alla condizione di libero per volontà del dominus: gaio
divide i liberi in due categorie:
- INGENUI: i nati liberi;
- LIBERTINI: coloro che, nati servi, sono stati affiancati da iusta servitus. La manumissio è l’atto con cui il
dominus concede la libertà al proprio schiavo, essa appartiene a ius gentium;
Il diritto civile conosce tre forme solenni di liberazione dello schiavo:
1. Manomissione testamentaria: il dominus esprimeva solennemente la volontà che il proprio sevus fosse
libero ed erede, ma doveva attendere l’atto di accettazione dell’eredità da parte di chi fosse stato
nominato erede.
2. Manumissio vindicta: finto processo di libertà che si svolge dinanzi al magistrato, mediante un rito che
prevede gesti formali e la pronuncia di determinate parole.
3. Manumissio censu: si registra lo schiavo nelle liste dei cittadini romani, su autorizzazione del padrone,
come persona di condizione libera all’atto del censimento della popolazione
In altri modi era possibile manifestare tale intento in via informale, tra amici o nel corso di un banchetto: il
servus acquistava di fatto la libertà, pur restando schiavo secondo il diritto civile, e l’eventuale azione di
rivendica in schiavitù del dominus sarebbe stata rigettata. A costoro veniva attribuita non la cittadinanza
romana, ma quella Latina, chiamati Latini Iuniani, morivano come se fossero ancora schiavi e il loro
patrimonio era devoluto al loro vecchio dominus.
LIMITI ALLE MANOMISSIONI allo scopo di impedirne l’accesso massiccio e incontrollato di schiavi alla
cittadinanza romana.
Una volta liberati si diventava liberti o libertini: ex schiavo detto libertus in rapporto al suo patrono,
libertinus in confronto con chi sin dalla nascita ha goduto della libertà. Con la manomissione non cessa ogni
legame con il manomissore (obsequium): si deve la gratitudine al padrone con obbligo di prestare alimenti
in caso di necessità. Gli obblighi sono fissati prima della manomissione, poi ripetuto e confermato dopo la
liberazione con una promessa formale (iusurandum liberti), se poi non esegue quanto promesso, si può
ripristinare lo stato schiavile precedente.
Postilium: Se un romano viene fatto schiavo come prigioniero di guerra, appena rientra su territorio
romano riacquista lo status libertatis. Se il riscatto della prigionia era avvenuto con pagamento da parte di
un terzo, colui che era stato riscattato restava sottoposto al potere di costui fin quando non gli avesse
rimborsato il prezzo versato. In caso di morte in stato di prigionia in testamento veniva annullato, ma il
problema fu risolto con una finzione in cui si stabilì che il prigioniero fosse da considerarsi morto al omento
della cattura.

CITTADINI E STRANIERI: lo status civitatis


Tra cittadini e stranieri le differenze di trattamento giuridico sono nette: ai primi è riservato il ius civile
(diritto dei cives) ai secondi ius gentium (diritto delle genti).
Onomastica romana: basato su tria nomina:
- Praenomen: nome personale di battesimo assegnato dalla nascita
- Nomen: il cognome, che lega i discendenti di una familia
- Cognomen: appellativo dei tratti fisici e somatici
Con la lex Minicia si stabilì che il figlio nato da donna romana e uomo straniero sfornito di conubium fosse
di condizione peregrina.
Numeroso comunità civiche preesistenti furono incorporate e trasformate in municipia e ai loro abitanti
concessa la cittadinanza romana; si crearono nuove comunità civiche, le coloniae dove non sempre gli si
attribuiva la cittadinanza.

19

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

PEREGRINI: distinzione tra: peregrini alicuius civitatis (di una data città alla quale Roma riconoscesse
autonomia); peregrini nullius civitatis (di nessuna città, sui diritti dei quali le autorità romane potevano
intervenire); in posizione svantaggiata sono i peregrini dedicticii (per cui non era neppure possibile per
costoro vantare il proprio originario ordinamento giuridico).

Esisteva anche una condizione giuridica tra cives e peregrini, quella dei Latini:
- Latini prisci: godevano in territorio romano, di un trattamento speciale, purchè fosse garantita la
reciprocità per i romani che si fossero trovati in una comunità latina. Godevano di ius commercii e ius
connubii e di ius migrandii (diritto di acquistare la cittadinanza romana stabilendosi a Roma). I Latini
prisci scomparvero con l’estensione della cittadinanza romana a tutti gli italici, inizi I sec a.C..
- Latini coloniarii: membri delle colonie latine fondate da Roma, godevano di ius commercii, talvolta di ius
conubium e ius suffragi.
Dopo la constitutio Antoniniana: Caracalla nel 212 dC estende la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero.

PERSONE SUI IURIS E ALIENI IURIS: lo status familiae


Per status familiae si indica la condizione giuridica propria dei membri di una medesima unità familiare
costituita intorno ad un capofamiglia vivente: all’interno della familia proprio iure si distinguono:
- Persone sui iuris (di proprio diritto), autonome, è il pater
- Persone alieni iuris (di diritto altrui) sono i restanti membri, subordinati alla potestà del pater, con
vincolo di soggezione derivante dalla discendenza di sangue o dal diritto.
Anche la donna romana libera e cittadina può essere sui iuris se non sia sottoposta ad altri, ma non può
porre in essere da sola atti rilevanti per il diritto, né a lei sono giuridicamente assoggettati i figli.
Con la morte del pater cessa il vincolo potestativo sui filii, con il conseguente mutamento dello status
familiae di costoro, che da alieni iuris diventano sui iuris e a loro volta patres, la moglie diventava sui iuris.
La potestas del pater si esercita sugli schiavi e suoi figli, sia maschi che femmine, nati da giuste nozze; la
manus investe le donne libere, entrate a far parte dalla famiglia del pater in virtù di un matrimonio; il
mancipium si esercitava sulle persone libere vendute al pater per mezzo di mancipatio.
MANCIPIUM: vendita di un filius ad altro pater familias, su costui andavano a gravare sia la potestas
paterna originaria sia quella del compratore. Aveva scopo economico, ma di carattere provvisorio: dopo un
certo tempo il filius mancipato veniva rimancipato al pater rientrando nella famiglia originaria. Si pose il
limite per evitare abusi della vendita del figlio in quale non poteva essere venduto più di tre volte.

SOGGETTIVITA’ LIMITATA: persone sui iuris incapaci di compiere atti giuridici


In tal caso si ha la capacità giuridica ma non quella di agire, si esclude la capacità di porre in essere atti
idonei a produrre effetti giuridici.
TUTELA E CURA: praticate per venire incontro a problemi derivanti dalla carenza totale o parziale di facoltà
intellettive nei cittadini sui iuris. La tutela riguarda l’impubere e la donna; la cura riguarda il minore di 25
anni pubere, il pazzo e il prodigo. Al tutore compete l’auctoritas interpositio, l’assenso agli atti compiuto dal
pupillo, al curatore non gli spettavano queste facoltà. Entrambe mirano alla gestione del patrimonio
dell’incapace, per assicurarne l’integrità. Erano già riconosciute nelle XII Tav. ma quali potestà familiari
spettanti esclusivamente ai parenti più stretti in linea maschile.
- TUTELA LEGITIMA: compete ad agnati proximi e in mancanza ai gentiles. Deve essere maschio,
cittadino, pubere e sui iuris.
- TUTELA TESTAMENTARIA: qui è il pater a disporre, una volta morto, la nomina di un tutore per il figlio
impubere.
- TUTELA DATIVA: in assenza di tutori testamentari o legitimi, la nomina del tutore spettava al pretore
urbano, la scelta poteva essere preceduta da un’indagine per accertare i requisiti morali di chi avrebbe
dovuto fare da tutore. Non era ammessa né il trasferimento della potestà, come concessa il quella
legitima, né la rinuncia all’incarico, come per la testamentaria.
Compiti del tutore: vigilanza sull’educazione e formazione intellettuale dell’impubere e l’amministrazione
del patrimonio lasciato dal pater deceduto.

20

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Una volta superata l’età infantile, può compiere validamente atti aventi efficacia giuridica, purchè vi sia
l’assenso del tutore, prestato tramite auctoritas interpositio.
Per gli atti compiuti nel corso della gestione il tutore risponde di dolo e colpa: trattandosi di un rapporto
fondato sulla fides, la violazione degli obblighi è sanzionata, e si possono esperire azioni contro di lui.
La tutela gravava anche sulle donne sui iuris individuato nella profonda leggerezza d’animo della donna
tutela mulieris. non avevano bisogno di tutore le donne che abbiano ricevuto una concessione
dall’imperatore avendo partorito tre figli. Un favor sulla donna è la c.d. optio tutoris: su autorizzazione
maritale, alle mogli era data facoltà di scegliersi una persona di loro fiducia come tutore.
La cura era prevista per individui sui iuris adulti con insanità di mente e tendenza allo sperpero
(prodigalità): per il pazzo serve a fini di vigilanza sulla persona e gestire il patrimonio; per il prodigo solo per
la gestione del matrimonio. La cura nasce come potestà, poteva essere legittima o dativa in cui è il
magistrato a nominare il curatore, per la gestione degli affari altrui.
Curatore per i minori di 25 anni per la difesa da eventuali raggiri approfittando della sua inesperianza e
l’efficacia di atti negoziali posti in essere potevano essere neutralizzati.
Impedimenti a singoli atti aventi rilievo giuridico:
- condizioni personali del soggetto, discriminazioni a carico di plebei, o criminali
- comportamenti da lui tenuti: ADDICTI erano individui condannati per debiti contro i quali fosse stata
avviata la manus iniectio, venivano trasferiti in potere del creditore, decorso il quale potevano essere
uccisi o venduti. NEXI erano i soggetti che a causa del debito contratto si erano dati volontariamente in
pegno al creditore
- mestieri esercitati o impedimenti derivanti da professioni (il pretore vietava di rappresentare le
persone che svolgevano attività riprovevoli dal punto di vista della stima sociale come prostitute, attori
di teatro e girovaghi)
- credenze religiose: persecuzione dei martiri cristiani, ma nel 313 Costantino stabilì la libertà di culto per
tutte le religioni, fino al monoteismo cristiano con Teodosio I nel 380 dando avvio ad un netto discrimine
per chi non osservasse il credo cristiano, stabilendo delle limitazioni a costoro; sono perseguitati gli
ebrei, pagani, eretici.

PERSONE ALIENO IURIS SUBIECTAE considerate in grado di compiere atti giuridici


Per il diritto civile i servi e i filii familias potevano avvantaggiare con la propria attività rispettivamente il
dominus o il pater, incrementandone la posizione patrimoniale e imputando diritti di credito o di altra
natura, tutto questo è dato dallo stato di sottoposti in cui si trovavano che li rendeva veicoli di trasmissione
all’esterno della personalità di dominis e patres. Il diritto civile teneva conto esclusivamente dei vantaggi:
es. di negozio claudicante (che produce insieme effetti favorevoli e pregiudiziali) hanno efficacia parziale
solo, quindi solo quelli favorevoli. Più tardi si formerà anche la forma di responsabilità adiettizia per la
quale varranno anche gli effetti sfavorevoli.
Actiones adiecticiae qualitatis sono i mezzi processuali concessi ai terzi, che con gli schiavi e figli avessero
concluso affari, poiché non era possibile intentare un processo contro chi non avesse capacità e
legittimazione, si doveva agire direttamente nei confronti del titolare della potestà con:
- actio exercitoria: l’azione può essere esperita contro l’armatore, l’exercitor, che abbia preposto un
servus o un filius al comando di una nave (magister). Il terzo che contratti con il magister potrà agire
contro l’exercitor in virtù del rapporto di praepositio che li lega.
- Actio institoria: il preposto prende il nome di insitor a cui è affidata la gestione di un’impresa
commerciale terrestre, se contrae debiti ne risponde il preponente;
- Actio de peculio: esperibile contro il dominus o pater nei limiti del peculium a disposizione del servus o
filius;
- Actio tributoria: ipotesi che il peculium sia servito allo schiavo o al figlio per svolgere un’attività
commerciale autorizzata dall’avente potestà;
- Actio quod iussu, fondata sull’autorizzazione data dal dominus o pater al terzo di concludere affari con il
sottoposto;
- Actio de in rem verso: nel caso in cui il terzo contraente fondi la sua pretesa sulla circostanza che dalla
negoziazione intervenuta con in sottoposto abbia tratto vantaggio l’avente potestà;

21

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

SOGGETTI DIVERSI DALLE PERSONE FISICHE


Si riconobbe, a determinate condizioni, la possibilità di compiere atti giuridicamente validi, questi anti
furono ritenuti idonei a fungere da centri di imputazione di interessi e rapporti.
Vicenda della eredità giacente: un complesso di beni e diritti componenti il patrimonio ereditario, che
restava privo di soggetti in capo ai quali imputare i rapporti che ne discendevano. Il patrimonio veniva
configurato come cosa di nessuno, con apposite soluzioni: si poteva fingere che il defunto fosse rimasto in
vito fino all’atto di accettazione da parte dell’erede, oppure che l’erede avesse accettato l’eredità fin dal
momento del decesso, opèpure che l’eredità stessa fosse in grado di prendere il posto della persona del
defunto.
NOMI COLLETTIVI: complessi di individui e di beni, non era riconducibili all’idea di persona giuridica, né
all’autonomia di un agire distinto da quello dei singoli membri. Tale raggruppamento vedeva
semplicemente la sommatoria dei diritti e degli obblighi dei singoli componenti.
UNIVERSITAS: da Ulpiano “se qualcosa di debba alla collettività, non è dovuto ai singoli membri di esse;
né ciò che deve alla collettività devono ai singoli”. Non importa che i membri restino gli stessi, o che ne resti
solo una parte o che tutti cambino, è considerata come centro di rapporti direttamente instaurati coi terzi.
ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI: le prime costituite da un complesso organizzato di individui tendenti
all’attuazione di fini comuni; le seconde da un patrimonio da devolvere a beneficio di destinatari diversi dai
fondatori. Richiedono una base personale e una materiale.
POPOLUS ROMANUS: si concentrano le varie forme di governo succedutosi a Roma
ISTITUZIONI RELIGIOSE: le Chiesa tendono a divenire istituzioni stabili dotate di una propria struttura
materiale (luogo di culto) e di un patrimonio di cui è titolare.

LA FAMIGLIA E IL MATRIMONIO
FAMIGLIA COMMUNIIURE, RAPPORTI DI PARENTELA, GENS
Familiacomunità di persone legate da vincoli di sangue o di diritto alla figura di un capo; a volte si usa
anche in riferimento al patrimonio del de cuius o come sinonimo di gens. Distinzione:
- Familia proprio iurecomposta da coloro che si trovano sotto la potestà di un pater vivente e che
spesso vivono all’interno del focolare domestico;
- Familia communi iureformata da liberi attualmente sui iuris, essendo deceduto il capofamiglia, ma
che sarebbero sotto la potestà di costui se egli fosse ancora in vita; comprendeva: figlie divenute sui
iuris e figlia maschi divenuti capifamiglia.
Il consortium ercto non cito consentiva di mantenere intatta l’unione familiare senza procedere alla
divisione del patrimonio paterno, si costituiva tra gli eredi una specie di società insieme legittima e
naturale, indivisa. Tra i figli resta il vincolo di rapporto di parentela in linea retta.
Adgnatio: legame giuridico tra le generazioni all’interno di una famiglia, è una forma di parentela civile
basata sulla soggezione della medesima potestà.
Adgnatio naturalis: rapporto di parentela fondato sul sangue; per cognatio recta si intende parentela in
linea retta (ascendenti e discendenti); cognatio transversa per quella in linea collaterale.
I gradi di parentela si computano in base al nesso tra le generazioni di una stessa famiglia, risalendo fino al
capostipite per poi eventualmente discendere sull’altro versante (es. pag.189), di regola la cognatio
naturalis non si estende oltre il settimo grado.
Affinità legame intercorrente tra uno dei coniugi e i parenti dell’altro.
La famiglia romana forma una comunità di tipo patriarcale: in età arcaica costutuiva un organismo con
funzioni politico-militari fino alla grande federazione di gruppi familiari.
LA GENS E I GENTILES
La gens si distingue dalla famiglia communi iure per il fatto che quest’ultima, il capofamiglia, pur defunto, è
ancora vivo nella memoria di coloro che gli erano sottoposti; nella prima invece i vincoli di appartenenza si
vanno allentando fino a diventare flebili e a ridursi al nomen. Si pone in rilievo la comunanza di stirpe e del
nomen al fine di individuare i gentiles, appartenenti alla medesima gens.

FAMIGLIA PROPRIO IURE: il pater e le sue potestà


I POTERI DEL PATER: struttura gerarchica del nucleo familiare, al centro c’è il pater con poteri semi-assoluti
su cose e persone di sua proprietà, è il dominus (dal domus: casa). È il padre-padrone nei confronti della
22

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

moglie, figli legittimi e adottivi, nuore, nipoti, schiavi e persone in mancipio, sono tutte persone in stato di
soggezione. È un modello di famiglia fondato sull’affetto, solidarietà e rispetto reciproco ma con sudditanza
al capo. I voleri e comandi di costui sono incontestabili e garantiti con il ricorso di mezzi di correzione e
punizioni corporali (coercitio domestica).
- IUS EXPONENDI: alla nascita di un figlio, il pater poteva esercitare questo diritto, ossia la facoltà di
esporre/abbandonare il neonato, disconoscendone la discendenza legittima.
- IUS VENDENDI: diritto di vendita del sottoposto, attraverso lo strumento giuridico della
mancipatio, che portava ad uno stato di duplice assoggettamento, con fine di creare forza-lavoro.
- IUS NOXAE DANDI: diritto di dare a nossa, per consentire che il sottoposto fosse punito dal terzo,
veniva usato quando il figlio o lo schiavo avesse compiuto un illecito di natura delictuosa arrecando
lesioni a taluno. Modo di liberarsi dalla responsabilità.
- IUS VITAE AC NECIS: diritto di vita e di morte, che colpiva indistintamente tutti i sottoposti in base
al giudizio del pater. Diritto che venne limitato con norme a favore dei sottoposti, qualora il pater
ne abusasse (deportazione, pena cullei).

L’uomo romano sente il bisogno si far testamento e vi è l’esigenza che ogni cittadino si adoperi affinchè i
suoi culti familiari vengano trasmessi alle generazioni successive: l’heres designato come successore è
considerato custode e gestore del patrimonio familiare e dei sacri riti familiari.
I GESTA PER AES ET LIBRAM: che posso essere compiuti esclusivamente dal pater in età arcaica. L’atto
poteva dirsi effettuato quando era adempiuto il rito della pesatura del bronza (eas) su bilancia (libram) da
parte del libripens, che vi provvedeva in presenza di cinque testimoni. Al rito della pesatura del bronzo si
accompagnava la pronuncia di parole solenni; al fianco si collocavano altri atti formali quali: trasferimento
di diritti reali (in iure cessio), costituzione di vincoli obbligatori tramite la pronuncia di parole prefissate
(sponsio), e all’estinzio di quest’ultimo allo stesso modo (acceptilatio). In tutti i casi venivano esclusivi chi
non fosse maschio, cittadino romano sui iuris e pubere.
La volontà del pater era in grado di estendersi anche ai mutamenti di status. Nei confronti degli schiavi
liberati il pater acquistava la vesta di patronus, così come nei riguardi del clientes: individui estranei dalla
gens, i quali dichiaravano obbedienza al pater ponendosi al suo servizio, in cambio di protezione in forza
della fides, qualora il patronus la violi incorreva nella sanzione della sacertà, ossia rientrante nella sfera
etico-religiosa.
Trattazione delle persone alieni iuris: sotto la potestà erano i n figli e schiavi; sotto la manus le donne che
avessero fatto ingresso con matrimonio nella famiglia; sotto il mancipio coloro che fossero considerati al
pari di schiavi.

ACQUISTO E PERDITA DELLA PATRIA POTESTAS


REQUISITI sui nati da giuste nozze: occorre che entrambi gli sposi siano puberi, sani di mente e cittadini
romani. Il filius familia seguirà la condizione giuridica del padre al momento del concepimento; si
presuppone sia stato concepito dal pater qualora venga partorito dal settimo mese successivo alla
celebrazione del matrimonio e il decimo successivo alla cessazione del medesimo. Ma il pater può sempre
liberarsi della potestà esercitando ius exsponendi e ius vendendi. Con la cerimonia del tollere liberum il
padre con manifestazioni d’affetto, manifestava l’intento di accoglierlo nella famiglia.
L’acquisto della potestas si produce al momento della nascita.
Qualora il figlio sia nato al di fuori di giuste nozze, non sorgono né la patria potestà né vincoli parentali con
la familia del pater, sono quindi illegittimi. Seguono la condizione materna al momento del parto: egli è sui
iuris, non è assoggettabile alla potestas della madre, non può vantare diritti di natura successoria al padre.
ADROGATIO DINANZI AI COMIZIA CURIATA: al fine di creare artificialmente una discendenza legittima con
una cerimonia sacrale che si svolgeva dinanzi ai comizia curiata: i due soggetti, arrogante e arrogato,
entrambi sui iris cittadini maschi e puberi, il primo acquistava la potestà sul secondo, che di conseguenza
subiva una capitis deminutio minima. Con i pareti di costui sorgeva il vincolo dell’adgnatio.
ADROGATIO PER RESCRIPTUM PRINCIPIS (età imperiale): la decisione era rimessa alla discrezionalità
dell’imperatore. Si puniscono abusi dell’uso di ius vendendi: se il pater avesse vanduto per tre volte il figlio
maschio oerdeva la potestas, stessa cosa per le figlie femmine, ma bastava una sola vendita.

23

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Ma c’è un modo per liberare volontariamente il figlio dalla potestà paterna, con la c.d. emancipatio, con 7
atti formali:
occorre una persona di fiducia del pater che si presti per allestire la procedure ed ottenere l’effetto voluto.
1. Vendita del filio con una mancipatio
2. Manumissio vendicta fatta dall’acquirente fiduciario, e cosìil figlioricade sulla potestà paterna.
3. Nuova vendita da parte del padre
4. Di nuovo una manumissione da parte del fiduciario
5. Per la terza volta il padre compie la mancipatio, e il figlio, ormai libero dalle potestà paterna, cade in
quella dell’acquirente.
6. Il fiduciario lo rimancipia al padre, invece di manometterlo.
7. Il padre compie una manomissione con cui il sottoposto a mancipium è libero in quanto mancipato.

Altri modi di acquisto della potestà:


- ADOPTIO: variante della mancipatio: si instaurea un finto processo nella forma della iure cessio (ritirarsi
dinanzi al giudicante), con la legis actio sacramento in rem. In tribunale apparivano il pater e l’adottante
e quest’ultimo rivendicava il figlio come proprio, il padre però restava in silenzio e il pretore pronunciava
l’addictio. L’adoptio può riguardare solo persone alieni iuris sia maschi che femmine purchè di età
inferiore dell’adottante.
- LEGITIMATIO: per i figli naturali illegittimi, in età giustinianea le possibilità ammesse sono le seguenti:
a) Legitimatio per subsequens matrimonium: qualora risulti successivamente possibile sposare la
donna
b) Legitimatio per oblationem curiae: i figli legittimandi devono essere necessariamente dotati dal
padre naturale, attraverso donazioni o testamento, di risorse economiche sufficienti a ricoprire la
carica di decurione
c) Legitimatio per rescriptum principis: in assenza di figli legittimi qualora risultasse impossibile il
punto (a)

LA PERDITA DELLA POTESTA’ PATERNA: poteva derivare da accadimenti naturali o dal compimento di atti
negoziali con capitis deminutio, in questi casi rispettivamente diventavano sui iuris o passavano sotto una
nuova potestà.

LA CONCEZIONE ROMANA DEL MATRIMONIO: requisiti ed effetti


Matrimonio relazione tra uomo e donna, instaurata con una manifestazione iniziale di volontà e
proseguita nel tempo, caratterizzata dall’affectio e dalla comunione di vita.
Acquisto della potestà sulla nubenda acquisto della manus all’atto del matrimonio, quindi potere della
sposa esercitato dallo sposo se è sui iuris.
La forma più antica è il matrimonio cum manus: alla sua costituzione non può non accompagnarsi il
sorgere sulla sposa di un nuovo vincolo potestativo in sostituzione del precedente. Alla base vi è l’affectio
maritalis, la volontà degli sposi di vivere insieme formando un nucleo familiare: senza affectio vi è
concubinato. Tre sono i modi di costituzione del matrimonio cum manu:
1. Conferreatio cerimonia religiosa alla preenza del pontifex maximus e di 10 testimoni. Gli sposi si
tengono per mano pronunciando delle formule prefissate. Essi poi dividono una focaccia di farro,
simbolo dell’instauranda comunione della vita;
2. Coemptio la donna viene mancipata dal padre al nuovo capofamiglia: ma a differenza della
mancipatio la donna resta libera e cittadina, e l’atto negoziale serve solo a costituire manus su di lei
(imaginaria vendictio).
3. Usus convivenza protratta almeno per un anno, che produce l’acquisto automatico della manus in
favore del marito o dell’ascendente sui iuris (analogia con l’usucapione).
Con l’usurpatio trinoctii si consentiva di evitare l’acquisto del potere sulla donna qualora si allontanasse
per 3 giorni consecutivi dalla casa coniugale, evitando di essere sottoposta alla potestà maritale.

24

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

MATRIMONIO SINE MANU fondato sull’esclusiva volontà dei nubendi di instaurare il rapporto e
proseguirlo. Si conserva il vincolo agnatitio della donna con la famiglia originaria, a differenza del
matrimonio cum manu. Una volta ammessa la possibilità di sposarsi senza necessità della manus, si
consolidò l’idea, che tale rapporto si consolidasse semplicemente sull’affectio. Ma abbiamo la ferma
convinzione che il rapporto matrimoniale si radica sul consensus (manifestazione del sentimento) che si
distingue da altre situazioni per la sua irriducibilità ad una relazione sessuale. I criteri per qualificare una
unione come matrimonio sono: atto della domum dedectio (la donna entrava nella cosa coniugale
accompagnata da un corteo di amici e parenti), foggia degli abiti muliebri, dalla costituzione di dote in suo
favore alle testationes rese da terzi.
Il matrimonio cum mano viene soppiantato da questo più recente.
IL FIDANZAMENTO: il matrimonio era spesso preceduto da un periodo di fidanzamento, durante il quale
poteva essere prestata una promessa solenne di contrarre le nozze, con una forma di sponsio da qui il
termine sponsalia. La promessa consisteva nell’assunzione dell’obbligo di pagare una somma di denaro
qualora non si celebrasse il matrimonio e in caso di adempimento di dava inizio ad un’azione giudiziaria ma
quest’ultimo cade in età repubblicana così come il requisito della forma solenne e il vincolo degli sponsalia
non è produttivo di obblighi per il diritto. La promessa conserva però l’infamia per chi contragga sponsali o
si sposi con altri senza aver sciolto il fidanzamento esistente; adulterio per la fidanzata che violi la fedeltà.
Il fidanzamento è regolato anche da Donazioni reciproche intervenute tra i fidanzati a condizione che
seguano le nozze.

Conubium diritto a contrarre matrimonio, solo in presenza di questo requisito si può parlare di giuste
nozze. Possono sposarsi anche persone prive di conubium ma in questo caso il matrimonio è iniustum e
non è valido secondo l’ordinamento romano.
Gli impedimenti si distinguono in assoluti e relativi:
- Impedimenti assoluti per cause naturali: in primo luogo l’età, per avere conubium occorre essere
puberi, collegato alla capacità di avere rapporti sessuali e generar, ossia il nubendo e la nubenda devono
essere entrambi potens (la donna a 12 anni, il maschio e 14). Altro requisito è l’assenza di furor (follia),
in quanto l’insania mentale impedisce la formazione del consenso.
- Impedimenti assoluti per ragioni giuridiche: i nubendi devono possedere lo status libertatis e status
civitatis, in origine erano esclusi i matrimoni misti, divieto poi abolito nel 445 aC. Il conubium fu presto
concesso anche agli stranieri: quindi romani potevano sposarsi con stranierima ciascuno conservava la
propria cittadinanza e solo sui figli si producevano gli effetti del iussum matrimonium. Per la donna è
sempre necessario il consenso dell’avente potestà, per l’uomo solo se è alieni iuris. La bigamia (essere
sposati con più persone) comporta ad infamia; è libero di risposarsi il vedovo o divorziato, nel caso della
donna deve aspettare almeno 10 mesi.
- Impedimenti relativi: sussistenza di relazioni di parentela o affinità. Sono vietate le nozze tra ascendenti
e discendenti all’infinito, mentre tra collaterali il divieto sussiste solo entro un certo grado, vietato il
matrimonio tra affini, senza eccezioni se si trattava di ascendenti e discendenti, fino ai cognati in caso di
collaterali. Altri impedimenti per differenza di ceto o dalla carica ricoperta, impedivano il matrimonio tra
senatori e liberte o donne di bassa condizione, tra ingenui e prostitute, tra donne di rango senatorio e
liberti, tra patrona e il suo liberto, tra donna adultera e il suo amante, tra tutore e protetta. Alcuni di
questi limiti furono aboliti nel corso dei secoli.
AFFECTIO MARITALIS: (è uno degli elementi fondamentali del matrimonio)serie di fenomeni socialmente
rilevanti da cui è possibile desumere l’honor matrimonii, ossia la sussistenza di un rapporto di coniugio e
non di altro genere. L’affectio maritalis viene concepita non solo quale sacramento ma anche quale
elemento giuridico che necessita di una autonoma manifestazione di volontà formalmente riconoscibile.
Perciò il consenso esige in ogni caso un atto iniziale costitutivo dell’unione. L’affectio maritàlis, in diritto
romano, era uno degli elementi essenziali del matrimonium (insieme alla coabitazione) e che si deduceva
non soltanto dalla materiale convivenza, ma dal concorso della volontà dei coniugi. Dal
giurista Modestino apprendiamo che, in presenza di una consuetudine di vita tra due persone di sesso
diverso, l’affectio maritalis e, quindi, l’esistenza del matrimonium, si presumevano fino a prova contraria.
(dal dizionario).

25

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Effetti del iussum matrimonium: costituito dalla legittimità della prole nata dall’unione coniugale,
assoggettata alla potestà del pater. Mantenimento dovuto dal marito alla moglie e ai figli e all’obbligo di
fedeltà, assistenza e rispetto reciproci.
ADULTERIO: netta disparità di trattamento tra i due nel caso di violazione dell’obbligo di fedeltà.
Nell’ipotesi di adulterio la moglie è sottoposta a pene pubbliche e il marito è obbligato a ripudiarla e a
promuovere accusa di adulterio. Per l’uomo l’adulterio da luogo solo a sanzioni patrimoniali.

IL REGIME GIURIDICO PATRIMONIALE


Gli onore di natura patrimoniale gravano sul marito o sull’avente potestà su costui. In origini antichissime
l’unica forma di matrimonio conosciuta era il matrimonio cum manu. Quando la donna entra in manu del
marito, tutto ciò che era della donna diventa del marito a titolo di dote.
La dos era riconosciuta ad un complessi di beni appartenenti alla donna o alla sua famiglia, che entrano ora
a far parte nel nuovo pater. Poi la dos si estende a ogni forma di apporto di natura economica al fine di
sostenere gli onori materiali del rapporto matrimoniale. La dote può essere conferita o dal pater della
donna qualora sia alieni iuris (dos profecticia), oppure dalla donna qualora sia sui iuris, o da terzi (dos
adventicia). Il marito è obbligato, in caso di divorzio, a ritrasferire alla ex-moglie il complesso di beni
dotali ricevuti, al fine di garantirle stabilità economica. La dote può avere ad oggetto diritti reali o di credito,
singole cose o interi patrimoni. Vi sono varie possibilità di costituire la dote:
- Dotis datio: si cedono materialmente gli oggetti dotali
- Dotis dictio: una dichiarazione prestata nella forma della stipulatio, se effettuata prima del matrimonio
è sottoposta a condizione sospensiva, viceversa l’obbligazione resterà efficace.
- Dotis promissio: una promessa solenne, se effettuata prima del matrimonio è sottoposta a condizione
sospensiva, viceversa l’obbligazione resterà efficace.
Entrambi prevedono la pronuncia di parole prefissate con cui il promittente o il dichiarante si obbligano
all’esecuzione del vincolo unilateralmente assunto. La si può costituire sia prima che dopo il matrimonio,
l’efficacia è sempre subordinata al verificarsi delle nozze o alla validità delle stesse.

Restituzione della dote venne risolta dal pretore attraverso mezzi processuali e negoziali da lui predisposti:
si ritenne doveroso che il marito si obbligasse alla restituzione con una promessa in forma di stipulatio (dos
repecticia, recettizia, perché destinata a tornare eventualmente alla donna). A favore della moglie
dispongono l’actio rei uxoriae, richiesta dalla donna se era sui iuris o dal pater di origine se alieni iuris,
qualora gli oggetti dotali non fossere restituiti.
Retentiones: facoltà riconosciuta al marito di trattenere una parte della res uxoria per motivi
tassativamente previsti: come per il mantenimento dei figli.
Alla fine dell’età repubblicana si afferma il divieto di donazioni tra coniugi allo scopo di evitare
arricchimenti eccessivi in favore di uno o dell’altro. In epoca tarda si affermo la pratica di
effettuare donazioni tra fidanzati prima delle nozze perché offrivano una certa protezione economica alla
donna poi andata in sposa, in caso di decesso del coniuge o di divorzio.
I beni personali della moglie che non siano trasferiti in dote al marito sono detti parafernali, di essi è
titolare la donna, ma l’amministrazione compete al marito.

LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO


Si verifica per una serie di ragioni: per il venir meno dell’affectio maritalis da parte di entrambi o di uno solo
(divortium), per morte o riduzione in schiavitù (captivitas).
DIVORZIO  scioglimento delle nozze in seguito al venir meno della volontà di proseguire nel rapporto di
coniugio. Se la volontà proviene da uno solo abbiamo repudium, va comunicato all’altro coniuge in
presenza di 7 testimoni, gli effetti civili del divorzio decorrono dal momento in cui cessa la convivenza (per il
matrimonio sine manus). Nel matrimonio cum manus, occorre estinguere la manus sulla donna, si effettua
perciò l’atto formale opposto: diffareatio (se c’era stato conffareatio) o reimancipatio (se c’era stato
mancipium). Con l’avvento del cristianesimo si distingue tra validità (se voluto da entrambi o da uno solo
con stesura di libellus repudii) e liceità del divorzio.

26

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Altre iustae causae di divorzio sono aver attentato alla vita dell’altro coniuge o aver partecipato a congiure
contro l’imperatore; riguarda il marito la relazione continuativa con altra donna, induzione della donna a
prostituirsi e accuse di falso adulterio. Altre cause per ragioni oggettive come l’impotenza, voto di castità,
assenza del marito fatto prigioniero di guerra per oltre 5 anni senza che ne abbia notizia.
Altra causa di scioglimento è la morte del coniuge, o chi fasse stato condannato a pene gravissime.

CONCUBINATO, INCESTUM, UNIONI OMOSESSUALI, CONTUBERNIUM


- Concubinato: convivenza stabile tra due persone di sesso diverso che non possano/vogliano essere
unite da matrimonio. Indica che i due conviventi possono essere sforniti di conubium. Emerge l’idea che
la relazione continuativa con una donna libera fosse da presumersi come unione matrimoniale e tutti gli
effetti. La concubina poteva anche assumere dignità e reputazione pari a quella della moglie; i figli nati
da tale unione erano naturali e seguivano la condizione giuridica della madre.
- Adulterio e stupro: situazioni valutate come crimini, il primo consisteva nella relazione con donna
sposata, il secondo con donna vedova o nubile di onesta condizione. Tali crimini se commessi nei
confronti legate da parentela si incorreva nell’incestum, punibile solo se incorreva stupro o adulterio. Lo
stupro era punito con la confisca di metà del patrimonio, e l’adulterio con delle sanzioni.
- I rapporti omosessuali: riprovazione sociale del fenomeno con repressioni criminali delle pratiche
sessuali di questa natura (sanzioni pecuniarie e pena capitale).
- Il contubernio: relazione tra due schiavi, ovvero tra una persona libero e una di stato servile, portava
alla perdita della libertà e alla riduzione in schiavitù della persona libera.

NEGOTIA GERERE
I FATTI E ATTI GIURIDICI
A Rome nei primi secoli della repubblica prese vita l’idea della necessità di tener separato il diritto da altre
ideologie e discipline precettive di natura ben diversa.
Fatti giuridici in senso ampiosi pone in rilievo che nella miriade di fatti generati dal fluire incessante della
vita, alcuni possiedono caratteristiche tali da assumere una funzione specifica in un’ottica determinata.
Figura tipizzata: attraverso un processo di astrazione tendente ad isolare e selezionare gli elementi
rilevanti. Si crearono così le fattispecie, ossia situazioni descritte mediante proposizioni ipotetiche
produttive di conseguenze giuridiche per determinati soggetti. I fatti giuridici sono oggetto di classificazione
in:
- Fatti giuridici in senso stretto: assenza di conoscenza e volontarietà nel soggetto che agisce: rientrano i
fenomeni naturali ed eventi riconducibili all’uomo (parto o la morte). Fatto giuridico di maggior rilievo è
costituito dal decorso del tempo: acquisto della capacità al compimento dell’età pubere, o acquisto di
diritto di proprietà mediante usucapione. I romani nella regola di computo civile del tempo calcolano
per intero il giorno iniziale e finale dove sono previste delle scadenze. Il tempo utile si aveva solo in
giorni i cui si potevano fare valere taluni diritti.
- Atti giuridici: condotte prese in considerazione per l’intenzionalità del soggetto agente, sono atti
commissivi e omissivi caratterizzati da consapevolezza e volontarietà, si distinguono in:
1) Atti leciti in cui lo scopo avuto di mira dall’autore è ritenuto meritevole di tutela
2) Atti illeciti  in cui la volontà dell’agente si pone in contrasto con l’ordinamento che reagisce con
l’inflizione di sanzioni e con la rimozione degli effetti provocati con la condotta illecita (crimina,
ossia violazione di regole fondamentali del vivere civile; e delicta, ossia lesivi di diritti nella sfera
soggettiva del singolo
Nell’ambito degli atti illeciti si distinguono gli atti in cui la volontà è diretta a far conoscere all’esterno
l’esistenza di una data situazione (dichiarazioni di scienza) e quelli in cui la volontà si manifesta per
produrre effetti giuridici nuovi o per modificare o estinguere quelli esistenti NEGOZIO GIURIDICO con
manifestazione di volontà proveniente da soggetti privati per stabilire degli interessi.
DISTINZIONI IN ORDINE AI NEGOZI:
- Negozi dichiarativi e non dichiarativi: a secondo che la volontà sia dichiarata attraverso il linguaggio o il
comportamento.

27

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Negozi unilaterali e bilaterali: secondo che la volontà necessaria alla conclusione provenga da una o più
parti;
- Atti negoziali inter vivos e mortis causa: secondo che l’atto debba produrre i suoi effetti durante la vita
delle part oppure dopo
- la morte di chi ne sia l’autore.
Per la distribuzione dell’interesse:
- Negozi a titolo oneroso: atti in cui i vantaggi e svantaggi sussistono per entrambe le parti;
- Negozi a titolo gratuito: atti in cui l’incremento patrimoniale si verifica solo in favore di un soggetto;

Negotium per i romani significa semplicemente affare, un’attività rilevante dal punto di vista economico.
I negotia potevano concludersi in quanto esistessero strumenti giuridici adeguati per farlo. Il gestire affari,
negotia agere, esprimeva l’idea di un forte nesso tra l’attività economica e l’uso di molteplici schemi
negoziali predisposti dal diritto.

FORMALISMO E TIPICITA’
Si definisce formalismo l’impiego sistematico di specifiche procedure necessarie per produrre effetti
giuridici. La forme consistono in schemi in cui si combinano l’esecuzione gestuale e la pronuncia di formula,
tutto ciò appare regolato dai mores e controllato dai giuristi pontefici. Per la conclusione di attività
negoziali doveva esserci l’accordo delle parti e l’osservazione della forma richiesta.
Forme negozialo arcaiche  atti librali, si tratti dei tre gesta della mancipatio (per il trasferimento di
titolarità su una res), del nexum (costituzione di un vincolo obbligatorio), solutio per aes et libram (per lo
scioglimento del medesimo). La dichiarazione orale di una o più parti, la noncupatio, è sufficiente a creare
effetti giuridici. Occorre aggiungere la in iure cessio, finto processo che si svolge dinanzi al magistrato, a
sponsio (scambio solenne di domanda e risponsta, genera obblighi) e l’acceptilatio (accettazione contraria
alla sponsio, in grado di estinguarla).
TIPICITA’ DEI NEGOZI FORMALI: in quanto rientrano nei tipi previsti e disciplinati dall’ordinamento, invece è
astratto in quanto prescinde dalle funzioni economico-sociali che per il suo tramite possono realizzarsi.
NEGOZI DEL IUS GENTIUM: con l’ascesa militare della potenza di Roma, III sec aC, dalla prassi del
commercio internazionale nascono i negozi del ius gentium: con forme ancorate al consenso dei soggetti
comunque manifestato, non più all’osservanza di gesti e certa verba. Si punta l’attenzione sui contratti
consensuali di compravendita, locazione, mandato, società che non sono formali ma tipici in quanto
regolati dal diritto.

L’ATTO GIURIDICO PRIVATO


ELEMENTI COSTITUTIVI
Sono quelli che compongono la struttura dell’atto negoziale, si dividono in:
- Elementi essenziali: quelli che non possono mai mancare, pena l’inesistenza dell’atto stesso; e sono:
a) Soggetti non può esistere un atto negoziale senza uno o più soggetti che lo pongano in essere:
occorre essere sui iuris, maschi e puberi e non presentare patologie mentali/caratteriali. L’incapacità
può essere solo parziale e il soggetto deve essere quindi assistito da altri nel compiere atti giuridici. La
parte di un negozio esprime la posizione oggettivamente ricoperta all’interno della struttura dell’atto.
Il soggetto indica un’entità partecipante alla realizzazione del negozio
b) Volontà  volontà di porre in essere un dato assetto di interessi, deve essere frutto di scelte serie
e essersi formato in modo libero, non frutto di pressioni esterne (vizio della volontà)
c) Formacostituisce il veicolo necessario affinchè una data volontà sia resa nota al di fuori e
compresa secondo i parametri dettati dal comune intendimento in un dato contesto storico, sociale,
territoriale. La manifestazione può avvenire con una dichiarazione o comportamento. La forma è
propria solo di alcuni negozi (negozi formali) caratterizzati dal compimento di rituali prefissati con
gesti e formule orali. Si parla invece di negozi a forma libera per indicare in negozi non formali:
contratti consensuali, pacta ossia accorsi tra soggetti in grado di produrre obblligazioni solo in alcune
ipotesi previste dall’ordinamento.

28

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Impieghi e finalità della scrittura: in età repubblicana era praticata la testatio, ossia un documento
redatto in presenza di testimoni, garantivano l’autenticità e validità del testo con appositi sigilli. In esso
si riportavano le dichiarazioni e le attività svolte dalle parti. Ha ruolo ad probationem , ma poi in età
classica si esaurisce quando alla scrittura si attribuisce efficacia costitutiva di diritti. Il valore del
documento divenne poi ad substantiam da cui dipende l’esistenza di effetti obbligatori: è sufficiente
attestare la presenza delle parti alla stesura dell’atto.
d) Causa  perseguire uno scopo meritevole di tutela, la causa è la funzione economico-sociele
perseguita dai soggetti del negozio. Dalla causa devono rigorosamente essere distinti i motivi
personali. Sotto il profilo della causa si distinguono negozi causali, dove la funzione è tipizzata per
ciascun negozio, ed astratti, dove ciò non accade.
e) Oggetto è individuabile nella prestazione di dare o fare, di non dare o non fare, mediante la
quale si attua l’assetto di interessi stabilito dalle parti;
- Elementi accidentali: sono ammessi sono per alcune tipologie negoziali; e sono
 Condizione  significa patto/accordo (condictio). Il negozio appare condizionato quando la sua
efficacia è subordinata o viene meno se e quando si verifico un dato evento futuro e incerto:
Condizione sospensiva: gli effetti giuridici del negozio sono sospesi fino all’avverarsi o meno
dell’evento (es. pag.227-228). Poiché lo stato di incertezza dell’evento non può protrarsi all’infinito,
generalmente la condizione è accompagnata da un limite temporale alla pendenza.
Condizione risolutiva: il negozio produce effetti immediati, ma tale efficacia verrà meno se si verifichi
quel dato evento. Esempio della compravendita a pag 229
Condizioni apparenti: in cui gli eventi il cui esito non è futuro e incerto ma semplicemente ignoto alle
parti e quelli che sono futuri ma non incerti;
Condizioni illecite e impossibili: che non possono mai verificarsi, rendono nullo l’intero negozio, ad
eccezione degli atti di liberalità mortis causa come istituzione di erede, legato e fedecommesso.
 Termineconsistente nella data successiva o in un evento futuro e certo, al partire dai quali
decorre l’efficacia del negozio (termine iniziale o sospensivo), ovvero alla cui scadenza viene meno
l’efficacia (termine finale o risolutivo). A differenza con la condizione, qui si ha certezza del
momento in cui l’atto inizierà a produrre i suoi effetti o cesserà di produrli;
 Modo  riguarda esclusivamente gli atti di liberalità come istituzione di erede, legati, donazioni,
manomissioni, e consiste nel subordinare l’efficacia della liberalità disposta in favore di taluno al
compimento, da parte di costui, di un’azione o all’osservanza di una condotta. Per il beneficiario si
tratta di un onere al quale egli deve adempiere in virtù del beneficio ricevuto. La liberalità viene
effettuata subito, l’onere può essere eseguito in un momento successivo (es pag. 231)
- Elementi naturali: in realtà sono effetti, e consistono nelle conseguenze che normalmente derivano dal
negozio concluso, ma che possono pure essere escluse per volontà delle parti, perciò riguardano
l’efficacia dell’atto negoziale, ma il cui verificarsi può essere impedito da un’espressa previsione
contraria;

INVALIDITA’ E INEFFICACIA
Nullità del negozio secondo ius civile: dicotomia di iura, ius civile e ius honorarium, che caratterizza
l’ordinemento. Nell’ottica del ius civile vi sono ipotesi che impediscono al negozio di nascere, dicono che
esso è nullo (nullus=nessuno). Quindi in negozio o c’è o non c’è, o nasce o non nasce. Se invece
l’atto fosse stato giudicato valido, perché conforme al diritto civile, avrebbe dovuto produrre tutti gli effetti
suoi propri. Qui però interveniva il ius honorarium nella sua funzione di correggere il ius civile, per le ipotesi
che esso non prendeva in considerazione ma ritenuti meritevoli di protezione da parte di ius honorarium: il
pretore concede rimedi idonei a paralizzare le pretese della controparteconcedendo l’annullabilità
dell’atto in un momento successivo alla sua nascita legittima. La nullità dell’atto si ha per difetto di un
elemento essenziale:
- È nullo l’atto posto in essere da chi non sia legittimato a compierlo per difetto di titolarità;
- È nullo il negozio concluso da impuberi, donne, furiosi e prodigi;
- Non deve essere viziata la volontà;

29

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Distinzione tra:
- Errore ostativo si ha quando la falsa rappresentazione della realtà riguardi la portata della propria o
altrui volontà (es. pag. 236);
- Errore vizio  quando non c’è divario tra volontà e manifestazione, ma l’errore è a monte, si situa cioè
non processo di formazione della volontà (es pag. 237);
La presenza di una volontà viziata provocava la nullità del negozio se l’errore riguardava:
a. L’identità della controparte ovvero talune qualità essenziali, ma solo se determinanti in
connessione con l’atto posto in essere;
b. Il tipo di negozio concluso;
c. L’identità dell’oggetto;
d. La composizione materiale dell’oggetto; (es. pag. 237 di tutti i punti)
È irrilevante l’errore sui motivi personali che avevano spinto alla conclusione di un negozio, neppure
l’errore di diritto, per il dovere di conoscenza delle discipline giuridiche.
CARATTERISTICHE DELL’ERRORE: si dava rilievo all’errore come causa di nullità quando si provasse esser
stato determinante per le parti e oggettivamente desumibile dalle circostanze in cui si era verificato
essenzialità e riconoscibilità dell’errore e scusabilità se si sarebbe verificato anche con l’uso della normale
diligenza.
NULLITA’ DEL NEGOZIO PER DIFETTI DELLA PRESTAZIONE: la prestazione doveva essere determinata o
determinabile, possibile e lecita (quando contraria all’ordinamento e al buon costume): l’assenza di uno di
tali attributi provocava la nullità dell’atto.
NULLITA’ DEL NEGOZIO ILLECITO: nei negozi formali, la causa è irrilevante, per cui l’osservanza della forma
era requisito sufficiente per la validità del negozio: però la contrarietà al buon costume poteva farsi valere
in sede processuale, con relativa exceptio doli concessa dal pretore; nei negozi causali, dove la nullità per
contrarietà al buon costume derivava dell’illeceità della prestazione; poteva esserci anche illeceità della
causa anche quando una funzione negoziale in sé lecita venisse usata per scopi illeciti (fraus legis).
RISERVA MENTALE: consiste nell’intento occulto di un soggetto, che compie un negozio, senza che ciò
corrisponda alla sua reale volontà, tesa a perseguire altri fini;
SIMULAZIONE: si ha quando tra le parti sussista un ‘accordo, spesso fraudolento, a porre in essere un dato
negozio bilaterale, detto simulato, mentre in effetti non intendono farlo (simulazione assoluta), o vogliono
compierne uno diverso, dissimulato (simulazione relativa). L’ordinamento nega la validità del negozio
simulato e di attribuirla a quello dissimulato, purchè non fosse vietato, altrimenti si ricadeva nella fraus
legis.
IL DOLO  non da luogo alla nullità, ma a concessione di rimedi pretorii: definito come ogni astuzia,
raggiro, macchinazione tendente a circuire, raggirare, ingannare altri. Si risolve da un errore praticato dalla
condotta fraudolente di una parte negoziale a danno dell’altra. Perciò si badava al comportamento di chi lo
avesse cagionato. I mezzi concessi furono: exceptio doli (con cui si paralizzava la pretesa avversaria) e actio
doli (azione penale che la vittima poteva esercitare contro l’autore del raggiro).
LA VIOLENZApressione fisica o psichica esercitata da taluno a carico della controparte, per indurre costei
a concludere un contratto. La pressione tramite forza fisica si traduceva in una costrizione materiale; per
violenza fisica si parla di timore o paura, causati attraverso la minaccia di un male serio e ingiusto che
poteva essere inflitto alla parte o ai suoi familiari (timore riverenziale). La violenza non è sanzionata con la
nullità del negozio perché comunque la vittima aveva comunque ‘voluto’ la conclusione del negozio,
optando per il male minore rispetto a quello minacciato. Rimedi previsti dal pretore: excetio metus, actio
metus; restitutio in integrum.

TEORIA E PRASSI DELLA RAPPRESENTANZA


Si ha rappresentanza quando l’atto è compiuto da un soggetto diverso a quello in favore del quale si
produrranno le conseguenze giuridiche da esso derivanti: si ha una scissione tra i due soggetti: il primo è chi
lo pone materialmente in essere, il secondo è il destinatario effettivo. Può essere conferita volontariamente
oppure prevista dall’ordinamento: volontaria e legale.
- Rappresentanza diretta: una parte in senso formale (rappresentante) e una parte in senso
sostanziale (rappresentato): il primo agisce in nome e per conto del rappresentato;

30

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Rappresentanza indiretta: un soggetto agisce in nome proprio, ma per conto altrui: in tal caso gli
effetti giuridici nascenti dal negozio si producono in capo al rappresentante, ma vanno poi
ritrasmessi al rappresentato.
I romani non avevano conosciuto una forma generale di rappresentanza diretta, in quanto vigeva ancora il
divieto (fino a tarda età classica) di agire in nome altrui, perciò i romani hanno fatto ricorso all’istituto della
rappresentanza indiretta.
PROCURATORdesigna un soggetto cui è possibile affidare, in base ad un rapporto fiduciario, compiti di
gestione patrimoniale: era un liberto, preposto dal patrono all’amministrazione dei propri beni e alle
gestione degli affari. Il rapporto si sostanziava spesso in un mandato.
All’epoca di Gaio la figura del procuratore era costituita da un extraneus, persona libera svincolata dalla
familia del dominus ma inserita stabilmente nell’organizzazione lavorativa e domestica di costui. In epoca
tardo classica si distinguono due figure: procurator omnium bonorum (il procuratore di tutte le cose) e
procurator unius rei (procuratore di un solo affare).
Rappresentanza nel diritto civile e in quello pretorio:
Il divieto di rappresentanza diretta nel diritto civile trovava fondamento nel formalismo interno dei rapporti
giuridici, specie per taluni atti che traevano la loro forza dai verba, con la relativa pronuncia: quindi nessuno
può provvedere per altri. L’acquisto in proprio favore è possibile attraverso le persone sottoposte a
potestà, figli o schiavi, altrimenti vale il divieto per cui non si può acquistare tramite stranieri.

FORME DI APPARTENENZA DEI BENI: diritti reali e possesso


LE RES
I giuristi romani, per fare riferimento all’oggetto dei diritti patrimoniali, ricorsero alla nozione
naturalistico/giuridica di ‘cosa’ (res). La società romana ammise sin dalle sue origini, e ancora in età
giustinianea, l’esistenza di uomini cosa, gli schiavi, i quali non vennero mai esplicitamente qualificati res,
ma ad esse furono equiparati sul piano giuridico, come dimostra l’inclusione dei servi tra le res.
Quindi RES in quanto oggetto di rapporti giuridici.

LA CLASSIFICAZIONE
A partire del III-II sec aC assistiamo al passaggio da un’economia agropastorale a mercantile. Anticamente
furono terra, casa, buoi, cavalli e schiavi i beni per cui i Romani chiedevano un’efficacie protezione
giuridica; con l’esplosione dei commerci, l’attenzione si volse anche sula ricchezza con l’esigenza di tutela
giuridica verso un novero più vasto di cose (merci, denaro, mezzi di trasporto…).
Distinzione tra cose in:
- Res soli e ceterae res  già nelle XII tav. i fondi e fabbricati (beni immobili) venivano contrapposti
alle ceterae res (altre cose: beni mobili). Quindi fundi e res soli indicavano una porzione di superficie
terrestre, il suo sottosuolo e ciò che vi era stato sopra edificato. Ceterae res non è identificabile con il
termine moderno di beni mobili, poiché tra le altre cose i Romani includevano i compendi ereditari, le
servitù rustiche e forse le donne. Gaio invece contrapponeva i beni mobili a fondi e fabbricati.
Principio per cui i beni immobili rappresentano i beni di maggior valore sul piano economico e sociale.
- Res mancipi e res nec mancipi ossia contrapposizione tra cose oggetto di mancipio e le cose non
soggette a mancipium. È la classificazione di maggior rilievo nell’ambito dei beni privati. Sono res mancipi
(Gaio): i fondi siti sul suolo italico, le quattro antiche servitù rustiche, gli schiavi, gli animali da tiro e da
soma. Si considerano res nec mancipi le res consistenti in oggetti di uso personale, i fondi siti su suolo
provinciale, gli animali diversi da quelli prima menzionati, l’oro, il denaro, le pietre preziose e opere d’arte.
Le res mancipi potevano essere trasferite solo con l’atto formale della mancipatio, mentre per le res nec
mancipi restò sufficiente la traditio, cioè trasferimento del possesso del bene. Questa distinzione venne
soppressa la Giustiniano nel 531 d.C. data la pratica scomparsa della mancipatio e in iure cessio e subentrò
la distinzione tra beni mobili e beni immobili.
- Res in patrimonio e res extra patrimonium cose che si trovano nel nostro patrimonio, costituite
dai beni su cui è in atto un diritto di proprietà privata; cose che si trovano fuori dal nostro patrimonio
privato o perché incommerciabili, o perché al momento prive di un proprietario, distinguiamo quindi le res
nullius (cose non appartenenti a nessuno) tra cui:

31

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

a. Cose volontariamente abbandonate dal proprietario, di cui acquistava la proprietà chi le


raccogliesse con la volontà di farle proprie;
b. Le cose di nessuno, in quanto mai state oggetto di proprietà privata: come le bestie feroci.
Al di fuori del patrimonio privato si collocavano anche le cose escluse dai rapporti patrimoniali privati: cose
di diritto umano che si distinguevano in beni privati, oggetti di rapporti giuridici privati, e beni pubblici,
cose su cui il popolo romano esercitava un diritto di natura pubblicistica, e di diritto divino che si
distinguono in res sacrae (altari, templi, oggetti destinati al culto e consacrati) e res religiosae (luoghi
destinati al culto dei defunti e dedicati agli dei Mani, dove era stato sepolto un cadavere da chi ne aveva
diritto, ossia dal titolare del fondo o proprietario di ius sepulchri) e res sanctae (per Gaio sono in un certo
senso res divini iuris, come particolari beni pubblici posti sotto la protezione degli dei, come le mura o le
porte di una città).
- Res corporales e res incorporales secondo Gaio, corporali erano le cose che si possono toccare,
come i fondi, schiavi, vesti, oro; incorporali sono quelle che non si possono toccare e che rilevano solo per
la loro consistenza giuridica, come diritti e obblighi. Ma ci sono alcune incongruenze:
a. Il diritto di proprietà veniva annoverato tra le res corporales, mentre tutti gli altri diritti tra le res
incorporales
b. La funzionalità della bipartizione res corporales/incorporales a ricomprendere tutti i rapporti
giuridici patrimoniali (diritti reali successioni, obbligazioni);
c. Conseguente divisione della materia in tre parti: personae, res, actiones;
LE COSE CORPORALI SI DISTINGUONO IN:
 Cose fungibili considerate cose di genere (come denaro, grano, vino, olio… che si negoziano a
peso o a misura), nel senso che esse rilevano solo nella quantità, cioè per il loro peso, numero o
misura, tanto che quantità uguali di quel genere si consideravano come stessa cosa, quindi cose
suscettibili di sostituzione nell’ambito di categoria cui appartengono.
I beni fungibili sono anche detti consumabili, ossia che si devono necessariamente consumare, dunque si
possono utilizzare una sola volta (cose con l’uso si consumano.
Inconsumabili vennero classificate le cose suscettibili di ripetute utilizzazioni (comodato, usufrutto).
Giustiniano introduce poi la categoria delle cose deteriorabili, ossia beni idonei ad un uso prolungato,
dunque formalmente inconsumabili, ma per loro natura atti a deteriorarsi con il tempo, come gli abiti.
Giustiniano a tal proposito stabilì che le cose deteriorabili potevano costituire oggetto di quasi usufrutto; il
quasi usufruttuario poteva pagare il controvalore delle cose ricevute.
 Cose infungibili qualificati come cose di specie, in quanto il loro valore dipendeva interamente
dalle caratteristiche proprie di ogni singolo capo.
- Cose divisibili e cose indivisibili le prime furono quelle che potevano essere divise in porzioni
materiali senza perdere, in proporzione, la funzione sociale e il valore economico del tutto: il cavallo se
diviso non prestava più la stessa funzione o valore. Le seconde erano, pur sempre giuridicamente divisibili,
nel senso che se su di esse era possibile costituire una contitolarità del diritto per quote ideali (diritti).
- Cose semplici, composte, e universalità di cose la cosa semplice (animato da un unico spirito),
unitario per natura, come uno schiavo o una pietra; la cosa composta, in cui varie cose semplici sono
strettamente congiunte tra loro, come una casa, un armadio, nave, beni i quali conservano la propria
identità anche con il variare dei singoli elementi; universalità di cose, costituita da elementi ben
individuabili e separabili l’uno dall’altro, ma tra loro omogenei (più pecore compongono un gregge), uniti
da una destinazione socio-economica comune; tutti e tre venivano trattati come un bene unico.

PECUNIA, BONA, PATRIMONIUM


Altre classificazioni di res:
- Pecuniarelativa non solo al denaro in se, ma a tutto ciò che ad una somma di danaro potesse
essere apportato, dunque ogni entità dotata di valore economico e idonea a dare benessere all’uomo.
Distinzione tra familia e pecunia: la familia indicava i beni necessari alla famiglia come gruppo, pecunia
designava gli averi del singolo paterfamilias; ma con l’avvento dell’economia mercantile il significato di
pecunia mutò nel significato di ricchezza del singolo, sul finire del Principato di identificava con gli oggetti

32

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

del patrimonio; il complesso delle situazioni giuridiche facenti capo a una persona sui iuris venne
denominato patrimonium;
- Patrimonium lo si intese inizialmente quale sinonimo di bona (beni), cioè quale complesso di
situazioni giuridiche attive;
- Bona in età tardoimperiale e giustinianea, si concepisce il patrimonio diversamente da bona, cioè
nel significato più ampio di complesso di situazioni giuridiche attive e passive, dunque come la totalità dei
rapporti facenti capo alla persona;

LE COSE ACCESSORIE
Intese come cose aggregate ad altre nell’ambito di un rapporto funzionale, in cui una cosa (cosa accessoria)
risultava ad un’altra di maggior valore (cosa principale).
Sul piano giuridico il rapporto di accessorietà segue un principio: una cosa accessoria segue le sorti della
cosa principale, l’acquirente della cosa principale acquista il dominio sull’intera cosa.

I FRUTTI
I beni che si possono separare dalla cosa che li ha prodotti, senza che questa perda la sua utilità. Si
considerano perciò frutti naturali della pecora il latte, lana, agnelli, ma non le parti del suo corpo, frutti i
prodotti del suolo, botanici e non; minerali estratti dal sottosuolo, selvaggina presa nei luoghi di caccia.
Fino al momento della separazione dalla cosa madre, i frutti ne costituivano parte, erano beni a se stati
soltanto al momento della separazione e diventavano proprietari della cosa madre.

I DIRITTI SULLE COSE (diritti reali)


i diritti reali sono costituiti dalla proprietà e dai diritti parziari su cosa altrui (iura in re aliena); questi ultimi
consistono in poteri parziali, perché delimitati dall’ordinamento giuridico, su di una res di cui sia il
proprietario un altro soggetto. I diritti parziari su cosa altrui si distinguono oggigiorno in diritti reali di
godimento (servitù, usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie) e diritti reali di garanzia (pegno,
ipoteca); ma i romani non ricompresero mai tutte queste figure all’interno della categoria unificante diritti
reali, ma utilizzavano i vacaboli ius in re o iura in re per qualificare uno o più diritti reali: contrapposizione
tra actio in personam (fornisce tutela processuale delle obbligazioni, l’intentio delle formule venne espressa
con dare facere oportere praestare) e actio in rem (tutela la proprietà ed altri diritti reali, l’intentio delle
formule fu infatti re nostram esse o ius aliquod nobis competere).
I giuristi cominciarono ad isolare i rapporti familiari rispetto al diritto sulle cose, introducendo la
contrapposizione tra l’obbligazione di fare, e proprietà e servitù dall’altro.
La categoria dei diritti reali si configurava come inclusiva dei diritti sui beni mobili e immobili, segnando un
netto distacco dai diritti sulle persone.

PROPRIETA’ GENTILIZIA, FAMILIARE, INDIVIDUALE


L’origine della proprietà: in fase pre-civica, le gentes erano nomadi e perciò avevano in proprietà collettiva
soltanto persone libere, schiavi e bestiame. Da questo deriva la successiva indicazione del patrimonio
romano come familia pecuniaque. I gruppo poi cominciarono a bonificare le zone del Lazio ed ebbero
origine i primi insediamenti stabili, poi con la federazione delle gentes ebbe origine Roma. Finchè fu
operante l’organizzazione gentilizia, il territorio era destinato a rimanere nell’ambito della gens anche dopo
la morte del capo, in quanto il potere su cose e persone fu riconosciuto a ciascun pater familias, e ritenuto
trasmissibile ai figli maschi per successione ereditaria. Storia della proprietà in due fasi:
1. Lo sfruttamento di beni e persone sottoposte era collettivo, all’interno dei gruppi. A ciascun gruppo
apparteneva la propria sede, che anche dopo la morte del capo del gruppo restava alla collettività, al cui
vertice si poneva il nuovo capo. Sistema gentilizio e familiare prevede l’organizzazione dei gruppi
parentali secondo il modello del microstato, individuabile nei tre elementi: popolo territorio e governo.
2. Una volta costituitesi la civitas e sfaldatosi il sistema gentilizio, ciascuna famiglia riconobbe la proprietà
dei beni del pater familias e incominciò a delinearsi la proprietà individuale proprio nel momento in cui
si indicò nella famiglia, e non più nella gens.

33

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

POSSESSI DI AGER PUBLICUS: terre conquistate al nemico e quindi formalmente considerate appartenenti al
popolus romanus. Le occupazioni di fatto vennero tollerate e lasciate indisturbate per lunghissimo tempo,
così pure le concessioni, si consolidarono per l’inerzia degli organi pubblici.
Ma non si era ancora delineata un chiara nozione di diritto di proprietà. La proprietà si differenziò ben
presto dalla semplice possessio.
Nella fase arcaica i Romani non ragionavano in termini di potere astratto, ma si esprimevano parlando di
res o di persone che erano di qualcuno: non si concepiva ancora l’idea di un diritto di proprietà, quanto
piuttosto la spettanza di una res o di una persona all’erus (proprietario). Quando si affermò l’idea di un
diritto spettante a qualcuno sulla cosa o sulla persona, venne in uso in vocabolo astratto mancipium.
In età repubblicana la proprietà piena ed assoluta sulle terre era ormai molto diffusa e compiutamente
regolata sul piano giuridico. Il termine dominium si completava con la locuzione ex iure Quiritium (proprietà
civilistica), che stava a significare la derivazione dei poteri proprietari dal solo ordinamento giuridico
quiritario (ius romanorum): ad oggetto furono considerate tutte le res mancipi.
Grazie al diritto onorario, sul finire del III sec. a.C., la semplice possessio faceva il suo ingresso
nell’ordinamento differenziandosi in modo chiaro e netto dal dominium, quale forma di appartenenza ben
più intensa e perciò tutelata dallo ius civile.
La qualifica di res iure Quiritium fu soppressa da Giustiniano, e si giunse ad elaborare una nozione unica e
unitaria di proprietà (dominium contrapposto al possesso).

OGGETTO ED ESTENSIONE DEL DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM


È una forma di proprietà sui beni immobili, la regolamentazione di questo diritto reale si deve al diritto
consuetudinario (mores). Oggetto di dominium potevano essere tutti i beni commerciabili, mancipi e nec
mancipi, mobili e immobili.
I LIMITI POSTI AL DOMINIUM EX IURE QUIRITIUM E I RAPPORTI DI VICINATO:
la proprietà quiritaria assicurava al titolare del diritto le facoltà più ampie e assolute, come illimitata e
indipendente rispetto al potere pubblico, in quanto manifestazione degli originari poteri sovrani del pater
familias. Anticamente, il cittadino proprietario di immobili siti su suolo italico era esente dall’imposta reale
e all’interno dei confini del proprio fondo poteva esercitare illimitatamente le proprie facoltà, in altezza e
in profondità. Ma a porre un freno all’arbitrio dei proprietari intervennero presto dei limiti, guardando
l’interesse dei proprietari limitrofi onde evitare reciproci pregiudizi tra vicini, dunque si circoscrivevano le
facoltà dei proprietari.
Le limitazioni più antiche furono:
- Limesossia confine del fondo. Un’antica regola civilistica di origine religiosa imponeva che intorno ad
ogni fondo si lasciasse libero un sentiero, considerato res sancta. Il limes era dunque inalienabile e
sottratto all’usucapione, perché extra commercium. Il limes si rivelò utile anche in altre esigenze: come
il passaggio dell’esercito senza devastare le coltivazioni.
- Ambitusera lo spazio necessario per il movimento, cioè un sentiero dall’ampiezza di due piedi e
mezzo che doveva circondare ogni abitazione privata ed essere lasciato libero da costruzioni.
Si richiede il rispetto delle distanze legali per limitare la sopraelevazione degli edifici.
- Divieti di sepoltura e cremazione per ragioni igieniche e nell’interesse dei vicini, si sancisce il divieto
di seppellire o di cremare cadaveri a una distanza inferiore a sessanta piedi dell’altrui edificio.
Il pretore interviene poi con due interdetti:
1. Interdictum de glande legendasi vietava al dominus del suolo, sul quale fossero caduti frutti di alberi
siti sul fondo vicino, di proibire al proprietario di questo la raccolta dei frutti sul suo terreno, purchè
avesse luogo ogni tre giorni.
2. Interdictum de arboribus cadendiil vicino invaso dai rami degli alberi può pretendere il taglio dei rami
sporgenti più in basso di 15 piedi.

L’ABUSO DEL DIRITTO NEI RAPPORTI DI VICINATO


i rapporti di vicinato implicavano perciò qualche limitazione del diritto di proprietà, e al fine di garantire la
reciproca libertà di esercizio del diritto, l’ordinamento provvide a contemperare gli interessi in conflitto dei
proprietari. Gaio applica il principio secondo cui chi fa uso del proprio diritto non arreca alcun danno agli

34

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

altri, ma i giuristi romani discussero sull’applicazione di tale principio elaborandone uno più equilibrato: si
può fare liberamente uso del proprio diritto, finchè non si arreca danno ad altriteoria moderna
dell’abuso del diritto, che veniva già previsto con l’actio pluviae arcendae come rimedio accessibile al
proprietario di un fondo invaso da acqua piovana proveniente dal fondo superiore, nel quale il proprietario
finitimo avesse deviato il deflusso naturale delle piogge: azione intentata dal proprietario del fondo invaso
al fine di ottenere dal vicino il ripristino dello status quo ante.
Oltre ai limiti civilistici costituiti dal limes e ambitus e gli altri, altre restrizioni vennero imposte ai
proprietari, tra queste figurano due iniziative pretorie intese a sventare i danni non ancora prodotti:
1. Cautio damni infecti era una garanzia relativa a un danno temuto e non ancora verificatosi,
richiesta dal proprietario di un bene immobile, sul quale minacciassero di rovinare opere site sul fondo
vicino o che si temeva potesse ricevere danno dalle attività esercitate sul fondo finitimo. Si trattava di
stipulatio e rinforzata con garanzia reale. Mediante la cautio, il proprietario del fondo dal quale partiva la
minaccia si impegnava, nei confronti del proprietario del fondo o dell’edificio vicino, a risarcirgli il danno
qualora l’evento temuto si verificasse, e il danneggiato avrebbe potuto agire con actio ex stipulatu al fine di
ottenere il risarcimento promessogli
2. Denunzia di nuova opera  consisteva in una diffida orale extragiudiziale. Il civis, in quanto
proprietario o possessore di un immobile, poteva rivolgere la diffida, per tutelare i propri diritti ed evitare
danneggiamenti e chi avesse intrapreso un’opera di costruzione, o demolizione, o modifica di un edificio su
suolo privato. L’autore della diffida, nel momento in cui chiedeva la sospensione dei lavori, doveva
affermare di essere titolare di un diritto di opposizione. Tale interesse poteva derivare al nuntians dalla
mancata prestazione della cautio damni infecti da parte del costruttore. Finalità della nuntiatio era
l’immediata sospensione dei lavori e il ripristino dello status quo ante. La diffida aveva effetto inibitorio: il
nuntiatus doveva astenersi dal continuare le nuove opere.
La denuntia di nuova opera poteva avere ad oggetto soltanto opere non edificate o almeno non concluse.
All’opera ormai conclusa che non si sarebbe dovuta costruire, alla persona danneggiata dalla costruzione
era accessibile il rimedio pretorio dell’interdictum quod vi aut clam ordinanza d’urgenza concessa dal
megistrato, contro chi avesse già edificato opere illecite, nonostante una diffida (la prohibitio), con violenza
(vi) o clandestinamente (clam). Aveva carattere restitutorio.

IL DIVIETO DI IMMISSIONI E I PRECEDENTI STORICI DEGLI ATTI EMULATIVI


Divieto di immissioni: divieto di quelli che oggi definiamo atti emulativi (atti compiuti senza utile proprio,
con il solo scopo di nuocere ad altri). Quanto alle immissioni, Ulpiano affermava che ciascuno può fare ciò
che desidera nel proprio immobile, purchè non immetta alcunchè nella proprietà altrui: il vicino doveva
sopportare le imminnissioni e propagazioni derivanti dall’uso normale del bene da parte del finitimo,
fintantochè il disagio fosse modico. Ad esempio: qualora dal fondo del vicino provenissero sostanze o odori
in misura eccessiva e tale da nuocere al fondo, gli era quindi concessa l’actio negatoria servitutis, al fine di
richiedere l’accertamento della mancata costituzione di una servitù che lo obbligasse a sopprtare le
immissioni moleste.  vedi esempio del caseificio a pag. 280.

LIMITAZIONI ALL’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PROPRIETA’ SUGLI EDIFICI


I limiti dei proprietari si ampliarono dal finitimo alla considerazione del pubblico interesse.
Roma inizialmente era stata costruita in modo razionale e ordinato, ma poi, all’indomani del rovinoso
incendio gallico (387 a.C.), Roma venne ricostruita frettolosamente con, l’edificazione di case a più piani
con materiale scadente che causò crolli, senza rispettare l’ambitus che determinò il fenomeno del muro
comune, né conseguì il sovraffollamento. Si rese quindi una disciplina più severa.
NUOVI ILLECITI SANZIONATI DAL PRETORE:
Il pretore intervenne emanando l’editti de effusis vel deiectis: diritto al risarcimento dei danni o alla
riscossione di una penale per chi fosse stato colpito dall’alto, riportando una lesione personale e pregiudizio
patrimoniale in caso colpisse animali o schiavi. Colui che abitava la dimora da cui era provenuto il danno
subiva condanna per negligenza, e qualora avesse dato luogo a un danno ad oggetti altrui, il danneggiato
ottenere un’azione di condanna nel doppio del pregiudizio subito.

35

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

ORIGINE DELLE SERVITU’ LEGALI


Con l’affermazione del Dominicato imperiale vi fu introduzione di limiti alla proprietà privata, in precedenza
mai applicati. Spiccano l’assoggettamento di tutto l’Impero al tributo fondiario, introduzione dell’esproprio
per pubblica utilità e la disciplina degli agri deserti (fondi abbandonati dai coltivatori perché improduttivi:
l’assenza dei contadini nei campi produceva un doppio danno alla collettività: calo della produzione agricola
e il mancato pagamento del tributo)si tentò di ripopolare le terre meno ambite, prima incoraggiandone
l’occupazione con la promessa di un’esenzione triennale dai tributi e l’acquisizione di un diritto reali sui
fondi perpetuo, e poi mediante l’assegnazione di una certa quantità di terre sterili a chi già possedeva
terreni produttivi. Perciò abbiamo divieti posti ai proprietari-possessori di abbandonare le proprie terre,
anche se sterili. Nascita delle servitù legali o coattive. Servitù intesa come soggezione di un fondo a
un altro fondo e costituirono un serie di limiti e vincoli alla proprietà immobiliare. Essi riguardavano: diritti
relativi allo scolo delle acque; diritti relativi alle opere murarie; diritti relativi a luci e prospetti. La violazione
degli obblighi sanciti dava luogo ad esperibilità di azioni per inadempimento e applicazione di sanzioni
criminali. Queste limitazioni si trasformarono in servitù legali, nel senso che la struttura del rapporto di
servitù finì per assorbire lentamente parte dei limiti che anteriormente si potevano porre al dominium.
In definitiva, l’aumento esponenziale dei limiti e vincoli posti alla proprietà privata rivelava la
consapevolezza della necessità di evitare l’arbitrio dei proprietari, tanto per proteggere la libertà degli altri
proprietari privati e per salvaguardare il benessere della comunità e gli interessi pubblici.

LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELLA PROPRIETA’


Erano accessibili al proprietario due azioni generali tipiche: la rivendica e l’azione negatoria. Accanto a
questi rimedi, si collocavano azioni applicabili anche ad altre categorie di rapporti, sul presupposto di
attacchi particolari: actio furti, actio iniurarum aestimatoria e actio legis Aquiliae.

REI VINDICATIO
Azione di rivendica era intesa a tutelare la proprietà nel suo contenuto fondamentale. Veniva esercitata da
chi affermava di essere proprietario di un bene posseduto da altri, al fine di ottenere l’accertamento del
diritto vantato e la restituzione della cosa o il controvalore della stessa. Assunse tre diverse forme:
- La più antica fu costituita dalla legis actio in rem dove non vi era chiara differenza tra attore e
convenuto, dal momento che entrambi i litiganti affermavano il loro diritto sulla cosa controversa,
pronunciando l’identica vindicatio.
- Poi si affermò un nuovo modo di procedere in rivendica, con l’agere per sponsionem, che offrire il
vantaggio di evitare alle parti una procedura troppo complessa e il dispendioso pagamento della summa
sacramenti. Il proprietario quindi si faceva promettere solennemente da costui il pagamento di una somma
simbolica per l’eventualità che fosse riuscito a dimostrare nel corso del successivo processo il proprio
diritto di proprietà. Poi il dominus citava il possessore della res litigiosa in giudizio con actio in personam
per sponsionem per ottenere la somma promessa. Quindi qui si differenziano i ruoli dell’attore e del
convenuto.
- Una volta diffusesi le procedure formulari la rivendica assunse la forma della formula petitoria.

Legittimato attivo era il proprietario non possessore il quale chiedeva l’accertamento del proprio diritto e
la restituzione del bene controverso o il suo controvalore. Qualora la cosa fosse mobile e nascosta, il
proprietario avrebbe dovuto agire con l’azione esibitoria e se il convenuto non fosse in possesso della cosa
sarebbe stato assolto.
Legittimato passivo alla rivendica era il possessore: una volta convenuto in giudizio, il possessore restava
nel possesso del bene, previa promessa solenne di ottemperanza al giudicato (satisdatio), e nel caso si
rifiutasse di prestare la satisdatio, il possesso veniva imperativamente dato all’attore. Nel caso il convenuto
si sottrasse a processo o rifiutasse di litem contestare si aggiunsero espedienti idonei ad indurlo a
collaborare:
- Actio ad exhibendumazione esibitoria si ricorreva quando il convenuto non portava in giudizio il
bene rivendicato dall’attore, e se persisteva doveva soggiacere alle misure esecutive;
- Interdictum quem funduminterdetto restitutorio relativo ai beni immobili. In ipotesi di rifiuto di
collaborazione il magistrato ordinava di restituire il bene al rivendicante con una translatio possessionis;
36

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Il convenuto in rivendica poteva difendersi negando che l’attore fosse proprietario, quindi nella fase apud
iudicem la probatio diabolica ricadeva sull’attore, che doveva dimostrare i successivi passaggi tra i suoi
danti causa, fino a risalire ad un titolo d’acquisto originario. Se l’attore non ci riusciva, la cosa rimaneva
presso il convenuto, che andava assoltocommodum possessionis: comoda condizione del convenuto
possessore. Il convenuto poteva difendersi anche ammettendo la proprietà dell’avversario se affermava un
diritto a non restituire la cosa alla controparte (es. pegno), oppure che la cosa gli era stata venduta.
Se l’attore riusciva a dimostrare di essere proprietario, il giudice doveva pronunciare l’accertamento del
diritto di proprietà. Il giudicante emanava il iussum de restituendo, l’ordine rivolto al convenuto di
restituire la cosa con tutti i suoi frutti naturali. Se il convenuto si rifiutava il giudice lo condannava al
pagamento di una somma corrispondente al valore della res al momento dell’emanazione della sentenza.
La stima del bene ai fini della condanna era solitamente fatta dall’attore sotto giuramento, e se il
convenuto persisteva al rifiuto di restituzione subiva la condanna e il pagamento della summa
condemnationis diventando proprietario del bene.
Nella restituzione del bene da parte del convenuto, vige il principio per cui il proprietario doveva essere
messo nella condizione in cui si sarebbe trovato se il bene rivendicato gli fosse stato restituito al momento
della litis contestatio, il conv. doveva restituire tutti i frutti naturali percepiti dopo la litis cont. invece, per il
periodo precedente la litis si distingueva a secondo che il possesso fosse esercitato in buona fede (non
rispondeva dei frutti) o in mala fede (rispondeva dei frutti percepiti).
Il proprietario era tenuto ad indennizzare il possessore in buona fede (poi anche per il possessore in male
fede in età giustinianea) per talune spese necessarie ed utili sostenute per il bene, per non incontrarsi con
l’ingiustificato arricchimento.

ALTRI MEZZI DI TUTELA


- Actio negatoriane ricorreva il proprietario per negare un diritto reale altrui sulla propria cosa:
veniva esperita dal proprietario non spossessato per ottenere l’accertamento della pienezza del suo diritto
e quindi dell’insussistenza del diritto reale vantato dall’avversario. Aveva come fine la cessazione delle
turbative effettuate da chi pretendesse di avere sulla cosa un diritto reale limitato. Il giudice se convinto
emettava lo iussum de restituendo(ordine di ripristino della situazione precedente) e il pretore poteva
invitare il convenuto ad astenersi da ogni attività corrispondente all’esercizio del diritto reale di cui si era
accertata l’inesistenza.
- Actio de tigno iuncto azione penale in duplum che proibiva al proprietario di travi immesse
nell’edificio altrui o di pali infissi nelle vigne altrui, di asportarli. Soltanto quando il materiale in questione si
fosse spontaneamente staccato, il proprietario avrebbe potuto riprendersi i propri materiali, oppure agire
in rivendica per il loro recupero. Avente insieme carattere reipersecutorio e penale, escludendo che il
proprietario dei materiali potesse poi esperire anche la rivendica in ipotesi di crollo del manufatto.
- Actio finium regundorum in caso di lite sui confini di immobili vicini, i proprietari potevano esercitare
questa azione di regolamentazione dei confini. L’attore chiedeva non la condanna del convenuto, ma
che il giudice determinasse quale parte degli immobili confinanti spettasse all’uno o all’altro dei
contendenti: serviva per far si che il confinium venisse lasciato libero, ripristinare i termini sulla linea di
confine. Dava luogo ad un giudizio divisorio con un’adiudicatio, con la quale il giudice poteva fissare un
confine diverso dal precedente.

ALTRE FORME PROPRIETARIE


Il dominium ex iure Quiritium fu la più intensa delle forme di appartenenza. Nel diritto romano, due furono
i rapporti assoluti affini al dominio, nel corso dell’età repubblicana e giustinianea: proprietà provinciale e
l’in boni esse.

IN BONI ESSE E TUTELA PUBLICIANA


L’in boni esse (proprietà pretoria), si sviluppò grazie alla tutela accordata dal pretore romano a talune
categorie di acquirenti di beni che vennero considerati meritevoli di una tutela privilegiata nell’ambito del
diritto onorario. Essenziale fu la buona fede del compratore mentre non rilevava l’eventuale dolo del
venditore.

37

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

LE FATTISPECIE POSSESSORIE TUTELATE CON L’ACTIO PUBLICIANA: il caso originario di in boni esse fu
quello del compratore che avesse acquistato una res mancipi senza le formalità prescritte dallo ius civile.
Avendo ricevuto la res mancipi con semplice traditio l’acquirente si trovava nella condizione di semplice
possessore ad usucapionem con il titolo pro emptore (in qualità di compratore): avrebbe quindi dovuto
attendere il decorso dei termini richiesti per l’usucapione per potersi qualificare dominus. Nel frattempo in
caso di turbative o di spogli gli veniva concessa dal pretore la tutela pro suo. Così il magistrato introdusse
nell’editto alcuni rimedi idonei a tutelare la posizione dell’in bonis habens (compratore in buona fede),
perché si ritenne iniquo che non fosse trattato in stregua di proprietario sin dal momento dell’acquisto (non
avveniva per ius civile).
Lo strumento processuale utilizzabile per attuare la difesa passiva del proprietario bonitario era exceptio
doli, poi evolutasi in exceptio rei venditae ac traditae utilizzabile qualora l’in bonis habens fosse stato
chiamato in giudizio dal venditore con un’azione di rivendica, mirante alla restituzione della res. Il forza
dell’editto Publiciano, il proprietario bonitario una volta convenuto dal proprietario civilistico, poteva
chiedere al magistrato di inserire l’exceptio rei venditae ac tradite nel testo dello iudicium.
ACTIO PUBLICIANA ED EXCEPTIO IUSTI DOMINII: tale azione era modellata sulla rivendica civilistica e ne
seguiva le regole. Si differenziava però sulla presenza di una formula ficticia, per cui il magistrato invitava il
giudicante a fare finta che l’attore avesse già usucapito il bene e che agisce pertanto il qualità di
proprietario civilistico. L’esercizio dell’actio publiciana conduceva a successo sicuro dell’in bonis habens ma
non se la esperiva nei confronti di: colui che gli aveva venduto la cosa; o chi avesse acquistato il bene dal
proprietario civilistico dopo che costui ne aveva ripreso possesso dall’in bonis habens.

POSSESSIO VEL USUSFRUCTUS SUI FONDI PROVINCIALI


I territori che Roma conquistava ai nemici si consideravano appartenenti al popolo romano, qualificati
come ager (fondo) publicus. Alla fine dell’età repubblicana tutti i fondi situati in Italia divennero oggetto di
dominium ex iure Quiritium e costituirono res mancipi. Ma a partire dal I sec. a.C. Roma non riconobbe più
la cittadinanza ai popoli soggiogati, preferendo organizzare come province tutti i territori che
progressivamente conquistava fuori dall’Italia, quindi ci configurò la posizione di possessio nel suolo
extraitalico. Gli agri provinciales era di proprietà del popolo romano, detti fondi stipendiari, o del princeps
(con l’avvento dell’Impero) denominati fondi tributari. Quindi lo sfruttamento e godimento dei fondi
provinciali da parte di privati non potevano identificarsi in un pieno diritto di proprietà, ma bensì di un
diritto relativo, derivante da una concessione revocabile.
POSSESSIO VEL USUSFRUCTUS: ossia disponibilità dei privati su suolo provinciale, con riconoscimento di
una situazione giuridica intermedia, tra il diritto reale di usufrutto e il mero rapporto materiale con il bene
(possessio), essendo escluso dal novero delle res mancipi non si poteva acquistare, e il dominio dipendeva
dall’obbligo di pagamento annuale del canone o tributo.
TUTELA MEDIANTE AZIONE IMITATIVA DELLA REI VINDICATIO: esperibile nei confronti di chiunque
usurpasse la detenzione del fondo o turbative del suo godimento. Consente all’attore di reclamare la
restituzione della disponibilità dell’ager provincialis. Tale protezione erga omnes consente al soggetto
attivo di ottenere la tutela non solo nei confronti del soggetto passivo, ma nei confronti di chiunque sia
stato autore di turbative, usurpazioni o altre lesioni al diritto di uno o di godimento di un bene. La
differenza dei fondi provinciali rispetto a quelli italici si attenuò progressivamente fino a scomparire del
tutto con la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero.

LA COMPROPRIETA’
Si ammise che più persone potessero godere della stessa cosa in guisa di proprietari, dove lo stesso diritto
di proprietà faceva capo a un pluralità di persone senza essere frazionavo in parti. Le esperienze di
condominio che la precedettero furo due:
1. La proprietà collettiva: sistema in cui i bene si reputano appartenenti alla comunità. Non era
consentito ai titolari del patrimonio di disporre dei beni privandone il gruppo. Ma il patrimonio andava
conservato e poi trasmesso alla medesima comunità. L’organizzazione gentilizia presupponeva all’interno
delle famiglie una sorta di comunanza domestica, in forza della quale i componenti liberi della famiglia

38

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

fruivano tutti del patrimonio gentilizio. Ma con la frantumazione di ciascuna gens emerse il problema della
titolarità del patrimonio del pater.
2. Si passo allora allo stadio della proprietà indivisa, che indica una pluralità di titolari integrali del
diritto di proprietà su un dato oggetto. A seguito dello smembramento dell’organizzazione gentilizia (con a
capo il più anziano di una comunità), si applicò per prima la figura del consorzio, patrimonio non diviso
(consortium ercto non cito) passaggio ad una comunione organizzata dove all’apertura della successione
del patrimonio paterno rimaneva indiviso tra i fratelli. Ciascun consorte vantava un diritto integrale
sull’intero patrimonio e poteva disporne senza consultare i fratelli e con effetto per essi vincolante. Si
ritenne perciò che questo potere spettante a tutti i consorti fosse bilanciato da un ius prohibendi, cioè dalla
possibilità riconosciuta a ciascun condomino di porre il veto alle decisioni prese unilateralmente del
consorte. Quindi si preferiva lasciare indiviso tra gli eredi il patrimonio paterno per mantenere integra la
cifra sociale della famiglia
ALLE ORIGINI DELLA COMUNIONE CONVENZIONALE: Si cita un altro tipo di consortium erco non cito, il
consortium ad exemplum fratrum suorum che consisteva in un consorzio imitativo di quello fraterno, ma
costituito tra estranei, al fine di svolgere insieme qualche intrapresa commerciale di comune interesse. Ma
questa forma cadde in disuso e vennero preferiti due nuovi schemi giuridici:
Communio e societas corrisponde alla conquista del concetto di diritto di condominio quale diritto del
soggetto condomino come frazione del diritto di proprietà sulla cosa comune concezione di una
proprietà plurima parziaria, corrispondente alla divisione estratta della cosa, con partecipazione del singolo
condomino alla collettività rappresentato dalla quota.
Dalla visione del condonimo come proprietario del tutto, ma assoggettato ai limiti derivanti dal concorrente
diritto degli altri condomini, derivano due corollari:
1. Ius prohibendi il diritto di opposizione consisteva nella facoltà di opporre il veto ad eventuali
attività di altri condomini i quali incidessero, senza essere autorizzati dalla totalità degli aventi diritto, sulla
cosa comune.
2. Ius adcrescendiqualora uno dei comproprietari effettuasse atto di derelizione della sua quota o
vi rinunziasse, la quota non diventava nullius ma implicava l’accrescimento della quota degli altri
condomini.
SCIOGLIMENTO DELLA COMMUNIO E AZIONI DIVISORIE: la comunione si estingueva con la divisione che
poteva essere volontaria o giudiziale, dove il giudice poteva frazionare la cosa comune effettuandone
l’aggiudicazione.

ACQUISTO E PERDITA DELLA PROPRIETA’


Gli acquisti possono verificarsi a seguito di fatti o atti inter vivos o mortis causa o la vendita.
Distinzione tra i modi di acquisto oltre a quelli a titolo originario e derivativo: quelle effettuate secondo ius
civile erano la mancipatio, in iure cessio ed usucapione, consentiti ai soli cittadini romani; quelle da iure
gentium che sono la traditio, occupazione, accessione e specificazione, consentiti agli stranieri.

MODI DI ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO


- OCCUPAZIONEapprensione di una cosa non appartenente ad alcuno, con l’intento di farla
propria. Fu il modo più antico di acquisto dei diritti, congiunto all’uso dell’ocupatio bellica, cioè
appropriazione dei beni conquistati al nemico. Colui che se ne impossessa ne diventa all’istante
proprietario per diritto naturale. Risulta circoscritto ai beni mobili, le cose abbandonate, caccia e pesca, e
alle cose di nessuno. Chi compie un atto di derelizione, abbandonando la cosa, questa veniva considerata
subito nullius perdendo la proprietà, o ne perdeva la proprietà quando qualcuno compie occupazione su di
essa.
- ACCESSIONEincorporazione di una cosa economicamente meno importante (cosa accessoria) in
un’altra di maggiore rilievo economico (cosa principale), con la conseguenza che il proprietario della cosa
principale acquista la proprietà della cosa accessoria, in virtù dell’incorporazione. Quando una cosa altrui o
di nessuno si univa a un’altra, il proprietario della res principale cui la cosa si era incorporata acquisiva il
dominio di quest’ultima. Il termine accessio indica l’incremento o sviluppo di una res mediante attrazione di

39

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

altra res, a seguito di accessio la proprietà restava la stessa, ma aumentava: la cosa accessoria acquistava la
stessa condizione giuridica della cosa principale.
- SUPERFICIEriguardo alla proprietà immobiliare e fu costituito dall’acquisto della superficie o di
tutto ciò che si trovava sulla superficie, da parte del proprietario del suolo per: inedificazione, semina,
piantagione. Il fondo fu sempre il bene principale e di maggiore rilievo, perciò ogni cosa che vi si
incorporasse ricadeva sotto la proprietà del dominus del fondo. Per superficies intensero tutto ciò che per
opera dell’uomo veniva a trovarsi sotto il suolo o sopra di esso, per cui il dominio attraeva a sé tutto ciò che
si incorporasse alla cosa. Nel caso di incrementi fluviali come per: alluvioneincremento latente e
insensibile del fondo, verificatesi qualora l’acqua corrente del fiume pubblico depositasse detriti su un
terreno privato, il tal cosa il proprietario del fondo accresciuto acquistava il dominio sui detriti;
avulsione accrescimento sensibile perché considerevole del fondo rivierasco, cagionato dal distacco, per
la forza della corrente, di una porzione di terreno facente parte di un fondo altrui. Il proprietario del fondo
cui si andasse ad aggiungere la porzione evulsa ne acquistava il dominio soltanto se la controparte non vi si
opponesse. Le stesse regole si seguivano in caso di isoletta formatasi al centro dell’alveo derelitto, la cui
proprietà spettava ai proprietari rievriaschi. Abbiamo accessio anche relativa al congiungimento di cosa
mobile solida ad altra cosa mobile solida con difficoltà nell’individuare quale, tra le due cose, fosse quella di
valore maggiore e sono: saldatura, tessitura, pittura, scrittura. Di affinità con l’occupazione abbiamo
l’acquisto del tesoro inteso come cosa mobile nascoste da tempo da persona ignota: se veniva ritrovato dal
proprietario del fondo ne sancì l’appartenenza integrale allo scopritore, mentre il tesoro scoperto
casualmente su proprietà altrui era considerato semplice ritrovamento.
- SPECIFICAZIONEconsisteva nel produrre una cosa utilizzando materia prima altrui (caso del
blocco di marmo da cui di traesse una statua), creando così una cosa diversa senza averne ricevuto incarico
dal proprietario: si poneva il problema di individuare il proprietario della cosa trasformata. Giustiniano
distingueva l’ipotesi in cui, avvenuta la specificazione, fosse diventato impossibile riportare il nuovo oggetto
allo stato della materia originaria, dalla diversa ipotesi in cui la riduzione in pristino risultasse viceversa
realizzabile: nel primo caso il nuovo oggetto era di proprietà dello specificatore (sul quale gravava l’obbligo
di indennizzare il proprietario della materia), nel secondo caso, del proprietario della materia originario.
- CONFUSIONE E COMMISTIONEnell’ipotesi di commistione di cose liquide o solide appartenenti a
differenti proprietari si costituiva la regola della communio sulla materia risultante dalla mescolanza.
- ACQUISTO ORIGINARIO DELLA PROPRIETA’ DEI FRUTTI fintantochè il frutto fosse rimasto
attaccato alla pianta esso faceva parte integrante della cosa madre e pertanto apparteneva al proprietario
di questa. Dopo il distacco dalla cosa madre il frutto spettava al proprietario di essa. In linea di massima il
possessore era tenuto a conferire i frutti al proprietario.

MODI AD ACQUISTO A TITOLO DERIVATIVO


L’acquisto della proprietà mediante atti di commercio quali:
- MANCIPATIO(già trattata prima) atto di trasferimento più antico per le res mancipi. Trattasi di un
gestum per aes et libram, un atto solenne al quale dovevano concorrere le forme verbale e gestuale. La
mancipatio offriva il vantaggio di effettuare i trasferimenti delle potestà personali e del dominio sulle res.
Causa della mancipatio, caratterizzata da una forma assorbente: l’accordo è causa dell’atto, ma esso poco
rilevava così anche la volontà delle parti. L’astrazione causale faceva sì che l’atto fosse sempre valido ed
efficace, a prescindere dalla causa e volontà degli autori, sempre che le forme prescritte fosse state
rigidamente rispettate. Si utilizzò anche per finalità diverse dalla compravendita, come imaginaria venditio,
così cominciò a venire impiegata per la realizzazione di donazioni, matrimoni, doti e numerose finalità
connesse con i trasferimenti fiduciari.
La garanzia per evizione e per le qualità del bene negoziato: dalla mancipatio sorgeva anche l’obbligo, a
carico del venditore, di garantire il buon esito della vicenda traslativa e di garantire l’acquirente rispetto ai
rischi di evizione; insomma, rendeva il venditore auctor, ossia garante che la cosa trasferita non sarebbe
stata evitta dal compratore, nasceva quindi un obbligo di assistenza nei confronti dell’acquirente, pena
actio auctoritas esperita dal mancipio accipiens che doveva essere esperita entro due anni dall’acquisto
delle res soli (beni immobili), entro un anno dall’acquisto delle cose immobili. Anche la disonestà del
venditore fu severamente sanzionata con un’azione penale.

40

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Nell’età imperiale la mancipatio subì mutamenti, la cerimonia si trasformò in una imaginaria venditio,
seguita dal suo declino cadendo in disuso quando, in età giustinianea, venne meno la distinzione tra res
mancipi e res nec mancipi. Le funzioni proprie della mancipatio vennero assorbite dalla traditio.
- IN IURE CESSIO atto traslativo delle res mancipi e nec mancipi. La cessione in giudizio era un atto
di volontario giurisdizione, aveva luogo nel tribunale, dinanzi al magistrato (in iure) e l’acquirente
pronunciava la formula della vindicatio mentre l’alienante taceva e il magistrato assegnava la cosa all’unico
rivendicante. Cadde in disuso nel tardo Impero.
- TRADITIOal fine di trasferire la proprietà delle res nec mancipi, oltre la in iure cessio, era
sufficiente la traditio con il semplice trasferimento materiale del bene. Era una figura del ius gentium e
divenne l’atto traslativo normalmente usato in ordine alle res nec mancipi. Ma la consegna era un modo di
trasferimento del solo possesso che però produceva anche effetti traslativi della proprietà. Presupposti
perché trasferisse la proprietà del bene erano: la qualità di res nec mancipi del bene tradito; la qualità di
proprietario del tradente; la volontà del tradente di spogliarsi della proprietà del bene in favore
dell’accipiente e la volontà dell’accipiente di acquistare la proprietà; iusta causa traditionis ritenuta idonea
dall’ordinamento romano-

USUCAPIONE
In taluni casi l’acquisto del dominium per usucapione si prospettava del tutto autonomo ed indipendente
rispetto al diritto del dante causa, in altri casi l’acquisto della proprietà trovava il suo fondamento in un
precedente rapporto tra dominus e possessore ad usucapionem, talora interpretabile come atto traslativo.
L’usucapione consiste nell’acquisto del dominio attraverso il possesso continuato nel tempo e il precedente
proprietario perdeva il suo diritto.
L’usucapione era definita da Modestino annessione di una res al proprio dominium attraverso il possesso
continuativo, per un periodo di tempo stabilito dalla legge; si trattava, pertanto, di un modo di acquisto
della proprietà, fondato sul possesso di una res protratto per un certo periodo di tempo (tempus ad
usucapiònem) secondo le condizioni volute dal iùs civile, attraverso il quale il possessore diventava dòminus
ex iure Quiritium.
Il termine fissato dalla legge delle XII Tavole fu di due anni per i fondi e di un anno per tutte le altre res.
Poteva esservi usucapione solo:
- a favore di un soggetto che poteva diventare dominus ex iure Quiritium (cioè di cittadino romano);
- relativamente a cose che potevano essere oggetto di dominium ex iure Quiritium (non, ad es., i
fundi provinciali).
In età classica furono richiesti due ulteriori requisiti fondamentali:
- la giusta causa dell’acquisto;
- la buona fede del possessore: a tutela di quest’ultimo il pretore concesse l’àctio Publiciàna.
Si richiese inoltre che la res fosse “habilis ad usucapionem” nel senso che vi furono alcune categorie di cose
che non potevano essere usucapite, a causa di loro caratteristiche obiettive. Infatti, l’usucapione non
poteva verificarsi, secondo quanto stabilito già dalle XII Tavole, in ordine alle cose rubate.
In ordine a queste cose l’usucapione non poteva produrre effetti nei confronti di terzi, anche se il
successivo possessore fosse stato estraneo al furto o alla violenza, dal momento che alla cosa ineriva un
vizio obiettivo eliminabile solo se la cosa tornava in potere del dominus (revèrsio ad dominum). Lo stesso
divieto di usucapione sussisteva per le res alienate dalle donne senza l’autorizzazione del tutore legittimo e
per le res extra commercium.
In età postclassica l’usucapione si fuse con la præscriptio longi temporis, progressivamente poi si finì col
parlare di usucapione per le res mobiles e di præscriptio longi temporis per le res immobiles, che si
verificavano a favore del possessore ad usucapionem che possedesse la res habilis, rispettivamente, per tre
o dieci anni. .
USUS-AUCTORITAS: nell’antico ius Quiritium l’usucapione era nominata usus. L’usus doveva essere sorretto
da auctoritas per il ‘proprietario’ per un biennio in relazione ai fondi, per un anno in relazione alle altre
cose. Regola pertinente soltanto al trasferimento di beni mediante mancipatio: l’usus prolungato ed
ininterrotto del bene negoziato, cominciato a seguito della mancipazione, fosse sufficiente all’acquisto del
diritto allo scadere dei tempi. Il divieto di usucapire colpiva non soltanto l’autore del furto o della violenza,

41

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

ma chiunque entrasse nel possesso delle res marchiate da questi vizi; vi era possibilità di purgare tali vizi
con il ritorno della cosa nelle mani del dominus. Erano escluse dall’uso acquisitivo le res extra commercium,
il limes, le res mancipi alienate dalla donna senza l’auctoritas tutoris, delle res incorporales e delle servitù.
I peregrini privi di ius commerci non potevano usucapire.
USUCAPIONE LUCRATIVA: svincolata dal requisito dell’assenza di lesione dei diritti altrui e sono due:
1. Usurecèptio (riacquisto della proprietà)Forma particolare di usucàpio, detta anche usucapio
lucrativa, consistente in ciò: nei casi in cui una cosa era stata trasferita a titolo fiduciario [vedi fiducia cum
creditore+ da un soggetto (garante) ad un altro (creditore) e quest’ultimo (pur essendo stata adempiuta o,
comunque, estinta l’obbligazione) non avesse restituito la cosa, il garante aveva il diritto di impossessarsi
della cosa e ne acquistava il domìnium ex iùre Quirìtium attraverso una sorta di “usucapione di favore”,
detta appunto usureceptio. Ai fini dell’acquisto per usureceptio non era necessaria la buona fede ed era
sufficiente (anche in riferimento a beni immobili) il possesso dei beni per un solo anno.
2. Usucàpio pro herède (Usucapione a favore dell’erede)Applicazione dell’istituto dell’usucapione
in materia ereditaria. Il possesso di una sola cosa appartenente alla eredità giacente protratto per un anno,
avrebbe fatto acquistare non solo la proprietà della cosa posseduta, ma addirittura anche la qualità di
erede e, di conseguenza, tutta l’eredità.
I REQUISITI DELL’USUCAPIONE: cittadinanza romana del possessore , res habilis ad usucapionem, buona
fede del possessore; decorso del tempo; possesso qualificato; titolo d’acquisto.
Per possesso ad usucapionem si intende il possesso esercitato pro suo, cioè con l’intenzione di tenere la
cosa per sé; inadeguata ai fini dell’usucapione era la possessio pro alieno (detenzione) perché si ha la
consapevolezza e riconoscimento di un prevalente diritto altrui.
Il possesso, a partire dal suo acquisto, doveva durare ininterrottamente per tutto il tempo prescritto
dall’ordinamento (2 anni per gli immobili, 1 per le altre cose). In ipotesi di interruzione (usurpatio), il
computo del tempo riprendeva dal momento in cui si ripristinava la possessio pro suo.
Qualora l’attore avesse poi visto riconosciute le proprie pretese, egli avrebbe ottenuto o la restituzione
della cosa o il pagamento del suo controvalore; se, viceversa, l’attore non riusciva a dimostrare la sua tesi, il
convenuto era assolto senza che il processo avesse interrotto la sua usucapione in corso.
Il requisito della buona fede soggettiva fu richiesto a partire dall’età tardorepubblicana, quindi il possesso
doveva essere iniziato in buona fede, se poi sopravveniva la male fede essa non nuoceva e non ostacolava
l’usucapione.
Successio possessiònis [Successione nel possesso] Istituto relativo all’usucapione, in forza del quale, in
caso di morte dell’usucapiente il possesso proseguiva in capo all’erede; l’erede poteva così sommare il
tempo del suo possesso con quello del suo dante causa, al fine di conseguire l’usucapione del bene in
questione.
Il consolidamento dei possessori fondiari nel mondo provinciale mediante il decorso del tempo:
Lòngi tèmporis præscrìptioIstituto di origine classica: al fine di tutelare la certezza delle relazioni
commerciali, si cominciò a concedere una limitata tutela processuale ai soggetti che avessero posseduto,
per un lungo periodo di tempo, un fundus stipendiàrius vel tributàrius . La sua origine va rinvenuta in un
istituto processuale greco analogo alla excèptio romana, detto paragraphè: in virtù di quest’ultimo, era
possibile paralizzare un’azione se il diritto vantato non fosse stato esercitato per lungo tempo. Il nome
di paragraphè si tradusse nella romana præscriptio . Ai fondi provinciali (c.d. fundi stipendiarii vel tributarii),
che non potevano essere oggetto di domìnium ex iùre Quirìtium, non era applicabile l’usucàpio . Per porre
rimedio a ciò i magistrati provinciali riconobbero, in favore di chi avesse posseduto per lungo tempo uno di
tali fondi, una sorta di eccezione processuale con la quale era possibile respingere la pretesa dell’attore che
agisse con la rèi vindicàtio o con un’azione personale. L’istituto ebbe larga applicazione e fu caratterizzato
da effetti diversi da quelli propri dell’usucapio: la longi temporis praescriptio non faceva acquistare
il dominium sul fondo provinciale, né legittimava l’esercizio di un’àctio in rem , ma difendeva il possessore
contro l’azione del proprietario. Il tempo necessario per la sua applicazione era di 10 anni se proposta
contro un proprietario residente nella stessa città (inter præsèntes) e di 20 se proposta contro il
proprietario residente in altra città (inter absèntes).

42

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

IURA IN RE ALIÈNA - Diritti reali su cosa altrui


Diritti così denominati, perché insistenti su una cosa appartenente ad altri. Si tratta di situazioni giuridiche
tutelate èrga òmnes, e quindi assolute, ma di contenuto limitato per la coesistenza, sullo stesso bene, del
diritto di proprietà altrui. Gli iura in re aliena attribuiscono al titolare un diritto di seguito in quanto
seguono la res su cui insistono, comprimendo, pertanto, il diritto di proprietà di tutti gli eventuali successivi
acquirenti. Tra di essi si distinguono:
- diritti reali di godimentosèrvitus ,l’emphyteusis ,l’ususfrùctus, superfìcies , ius in agro vectigali
- diritti reali di garanzia l’hypothèca e pìgnus

SERVITU’ PREDIALI
le servitù si configurano come un rapporto di subordinazione di un fondo (fondo servente) nei confronti di
un altro fondo (dominante), cui il primo sia destinato a procurare un determinato vantaggio obiettivo.
ITER, VIA, ACTUS, AQUAEDUCTUS: le più risalenti furono le servitù rustiche. Iter (sentiero da percorre a
piedi o a cavallo), via (ampia strada percorribile da carri), actus (tratturo per la conduzione di bestiame o
carri), aquaeductus (canali per la scorrimento di acqua) che davano luogo ad altrettanti diritti di usufruire
parzialmente del fondo altrui. Tali diritti vengono presentati come beni corporali acquistabili con
mancipatio o in iure cessio e tutelabili mediante il ricorso alla legis actio sacramenti in rem. Inoltre
costituivano oggetto di usus acquisitivo, il che significa che il loro esercizio biennale conduceva all’acquisto
del mancipium sul bene stesso.
Iter, via, actus, aqueductus erano beni in proprietà del titolare del fondo dominante, il quale aveva
mancipium sulla striscia di terreno appartenente al vicinosoluzione: comunione solidaristica, con rapporti
interfondiari, e creazione di rapporti di servizio tra i beni immobili che consente al civis non proprietario di
godere ugualmente del bene altrui, in ordine a qualche sua determinata utilità.
Si sviluppa così la categoria degli iura praediorium in riferimento ai vantaggi che l’ordinamento consentiva
al proprietario del fondo dominante di trarre dall’altrui fondo servente.
Gli antichi iura praediorium si distinsero in: diritti di passaggio (via, iter, actus) e diritti relativi alle acque
(aqueductus, aque hautus, navigatio); diritti in materia edilizia (diritti relativi ai fondi urbani: es. pag. 350-1)
differenziati dai diritti rispondenti ad esigenze agricole (diritti relativi ai fondi rustici: vedi es. pag. 350).
Altre servitù di periodi successivi denominate irregolari:
- SERVITU’ PRETORIEnon rispondenti ai canoni civilistici, servitù costituite con semplice traditio, in
cui l’utilitas non riguardava il fondo dominante (utilità obiettiva), ma la persona dell’attuale proprietario
(utilità soggettiva);
- SERVITU’ PROVINCIALIrapporti di servitù di fondi allocati nelle provincie, si costituivano
mediante patti e stipulazioni
- SERVITU’ ANOMALEil cui contenuto era caratterizzato dal fatto di concedere al proprietario di un
fondo, non gravato da servitù, di esercitare ogni facoltà connessa al suo diritto; considerando le numerose
limitazioni circa l’altezza e le luci degli edifici introdotte dalla legislazione postclassica, e si ponevano come
deroghe apportate, a favore di questo o quel proprietario.

INQUADRAMENTO TEORICO E PRASSI DELLE SERVITU’ PREDIALI


Titolari di diritti e di doveri erano non certo i fondi, ma gli individui che si trovavano ad esserne proprietari.
Il soggetto attivo e il soggetto passivo venivano determinati dal fatto di essere dominus del fondo
dominante e dominus del fondo servente. Dal lato attivo, come dal lato passivo, la ius praedii si
trasmetteva con il passaggio di proprietà del fondo. Le servitù rustiche e urbane sono entrambe incentrate
sul lato passivo del rapporto, cioè sulla posizione di assoggettamento in cui un fondo servente si trovava a
vantaggio di un altro; perciò queste servitù sono concepite come una status dei fondi implicante vantaggio
e incremento di utilità per il fondo dominante, e menomazione per il fondo servente.
CONTENUTI DEL DIRITTO DI SERVITU’: consiste di regola in un pati, diritto da parte del proprietario del
fondo dominante di esercitare il proprio diritto senza subire turbative di sorta, e nel correlativo obbligo del
proprietario del fondo servente di tollerare che eserciti il proprio diritto, che può consistere anche in un
non facere, ossia astenersi da una certa attività.
REGOLE: in mancanza di specificazione del locus servitutis, la servitù si poteva esplicare in ogni punto del
fondo servente, purchè nel modo meno gravoso per il fondo servente; il proprietario del fondo servente
43

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

doveva cconsentire i adminicula servitutis, ossia facoltà di natura accessoria che risultavano indispensabili
per l’esercizio di servitù.
I PRINCIPI GENERALI
- Utìlitaspoteva nascere e sussistere soltanto se il fondo dominante ne traeva una utilitas obiettiva
- Perpetuità della causa: poiché la servitù presumeva una situazione di permanente utilità tra i fondi,
non era ammissibile una servitù temporanea. Mentre nel diritto classico non si ammise che nell’atto
costitutivo si potesse prevedere l’estinzione della servitù, il diritto giustinianeo riconobbe la validità di una
costituzione “non indefinita”: al proprietario del fondo servente fu concessa una excèptio pacti contro il
proprietario del fondo dominante che, al verificarsi della condizione o del termine, volesse continuare ad
esercitare la servitù;
- Possibilità = vicinanzasi richiedeva la vicinanza tra fondo dominante e fondo servente. La
vicinanza non doveva intendersi come mera contiguità tra fondi, quanto piuttosto come relazione
topografica, tale da consentire un effettivo rapporto di subordinazione tra gli stessi.
- Nèmini res sua sèrvit  indica che il fondo dominante ed il fondo servente devono appartenere a
proprietari diversi. Se il fondo dominante e quello servente, da principio appartenenti a proprietari diversi,
diventano di proprietà della stessa persona, la servitù si estingue
- Sèrvitus in facièndo consìstere nequit in virtù di tale principio, il peso imposto al proprietario
del fondo servente, per l’utìlitas del fondo dominante, non poteva mai consistere in un’attività positiva, da
svolgersi in favore dell’altro fondo.
- Inalienabilitàla servitù si trasmetteva necessariamente con il trasferimento del fondo e non
poteva essere alienata separatamente da questo: si diceva, pertanto, che non era in bonis, non potendo il
titolare disporne;
- Indivisibilitàla servitù non poteva che sorgere od estinguersi per intero. Pertanto, la sua
costituzione da parte di un solo condomino non era efficace. Inoltre, nel caso di divisione del fondo
dominante o servente, la servitù continuava ad esistere per l’intero: ciascuna parte del fondo dominante
aveva diritto all’intera servitù, mentre ciascuna parte del fondo servente la sopportava per l’intero.
MODI DI ACQUISTO O COSTITUZIONE : per la valida costituzione di una servitù occorreva:
- che i fondi in relazione fossero siti in solo italico;
- che i proprietari dei fondi fossero dòmini ex iùre Quirìtium e quindi entrambi cives romani;
- che fosse posto in essere un modo di costituzione della servitù riconosciuto dal ius civile.
I modi di acquisto o costituzione delle servitù erano quelli con cui si trasmetteva il domìnium ex iure
Quiritium:
- mancipàtio (per le sole servitù màncipi);
- in iure cèssio servitùtis consistente in un processo fittizio di vindicàtio servitutis, esercitata da chi
intendeva acquistare la servitù, cui faceva seguito una in iure cessio del soggetto che la alienava.
- dedùctio servitutisconsistente nella riserva, a vantaggio di un proprio fondo, di una servitù, fatta
dall’alienante nell’atto di alienazione di un fondo (oppure in un legato): la riserva era, dunque, operata,
in proprio favore, dall’alienante nell’ambito di una mancipàtio o di una in iùre cèssio oppure dal de
cùius ;
- adiudicàtio Provvedimento del giudice, con il quale, in adesione alla parte della formula, denominata
anch’essa adiudicàtio, veniva assegnata in proprietà, ad un singolo soggetto, una cosa che prima
apparteneva ad un patrimonio in comunione. Attribuiva al soggetto aggiudicatario, sulla cosa
assegnatagli.
- Legatum per vindicatiònem  trasmetteva direttamente la proprietà (o il diritto che ne era oggetto)
dal testatore al legatario: di conseguenza se il legatario non riceveva ciò che gli spettava, poteva
esperire contro l’erede la rèi vindicàtio
Ad essi, si aggiunsero, nel periodo post- classico:
- Pactiònes et stipulatiònes consisteva nell’accordo, in qualunque forma raggiunto, tra proprietario del
futuro fondo dominante e proprietario del futuro fondo servente. L’accordo veniva posto in essere
attraverso una stipulàtio ; il sistema si diffuse a tal punto che diventò il modo generale di costituzione
delle servitù e dell’usufrutto.

44

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Patientia (tolleranza)  Consisteva nella tolleranza, da parte del proprietario di un fondo (destinato a
diventare fondo servente), di attività o comportamenti corrispondenti all’esercizio, in fatto, di una
servitù da parte del proprietario di un fondo limitrofo (destinato a diventare fondo dominante).
- Destinàtio patris familiæ  Non si trattava di un negozio giuridico, ma di un atto giuridico in senso
stretto che si realizzava allorché il proprietario di due fondi, dopo aver costruito opere permanenti per la
loro migliore utilizzazione, li trasferiva, inter vivos o mortis causa, a due diversi soggetti; a seguito di tale
trasferimento, sorgeva automaticamente una servitù a vantaggio e a carico, rispettivamente, dei due
fondi, ormai appartenenti a diversi proprietari.
ESTINZIONE DELLE SERVITÙ
- in virtù di un atto uguale e contrario rispetto a quello che aveva determinato la loro costituzione;
- per confùsio Come modo di estinzione delle obbligazioni diverso dall’adempimento, aveva luogo
automaticamente nei casi in cui le qualità di creditore e di debitore si riunivano nella stessa persona.
La ràtio dell’istituto va identificata nell’impossibilità logico-giuridica che una stessa persona sia, ad un
tempo, soggetto attivo e passivo di uno stesso rapporto giuridico
- per non usus;
- per rinunzia della servitù ritiene che in concreto la rinunzia alla servitù avesse luogo, attraverso
una in iùre cèssio servitutis . In diritto postclassico, si ritenne sufficiente una dichiarazione, anche priva
delle formalità prestabilite, del proprietario del fondo dominante;
- per il mutamento dello stato dei luoghi: a condizione che le modificazioni intervenute rendessero
impossibile in via definitiva l’esercizio della servitù. Si intendono il mutamento materiale e talune modifiche
relative alla condizione giuridica dei fondi.
TUTELA PROCESSUALE DELLE SERVITÙ : Tra le azioni, ricordiamo:
- la vindicàtio servitutis(Rivendica di una servitù)predisposto per la tutela delle servitutes
prædiòrum , costruito a somiglianza della vindicatio, spettava in esclusiva al proprietario del fondo
dominante, estesa nei confronti di chiunque intralciasse o impedisse l’esercizio della servitù;
- l’àctio negatòria servitutis esperita del dominus il quale asseriva che il proprio fondo non era
gravato da servitù, l’attore doveva dimostrare il suo diritto di proprietà.

USUFRUTTO
Alcuni degli altri diritti reali su cosa altrui si considerano afferenti anche ai beni mobili. L’usufrutto venne
concepito come il diritto limitato nel tempo e intrasmissibile, di usare, di godere, e di fare propri i frutti di
una cosa inconsumabile, mobile o immobile, appartenente a un'altra persona, il nudo proprietario.
L’usufruttuario non poteva mutare la destinazione economico-sociale del bene ed aveva l’obbligo di
restituirlo alla scadenza del rapporto. Il contenuto del diritto di usufrutto era individuato nell’uti (uso pieno
della cosa) e nel frui (appropriazione dei frutti mediante percezione degli stessi)
In origine (III sec. a.C.) svolgeva una funzione alimentare: il testatore imponeva all’erede, mediante
un legàtum sinendi modo (legato con prescrizione di permettere), di lasciar percepire periodicamente i
frutti di una cosa fruttifera alla vedova a cui era stato legato da matrimonium sine manu e che non poteva
succedere ab intestato al marito. In seguito si ammise che potesse essere costituito mortis
causa mediante legatum per vindicationem. Per la sua originaria funzione alimentare, l’usufrutto in un
primo momento si poteva costituire solo a favore di persone fisiche. In epoca classica si ammise che
beneficiario potesse essere anche una persona giuridica.
LIMITI TEMPORALI: era limitato nel tempo, poteva essere costituito a termine, ma se non veniva previsto,
si estingueva alla morte dell’usufruttuario, in quanto l’usufrutto non può sussistere se non in relazione ad
una persona, poi con Gaio si diffuse l’usanza di costituire usufrutto in favore ad enti immateriale, ossia
persone giuridiche, ma per risolvere il problema della perpetuità degli enti, Giustiniano stabilì che non
potesse oltrepassare i cento anni.
INTRASMISSIBILITA’: essendo un diritto personalissimo, il titolare del diritto di usufrutto non poteva
trasmettere tale diritto né inter vivos, né mortis causa. Esso si estingueva o mediante la scadenza del
termine originaria o con la morte dell’usufruttuario.

45

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

GLI OBBLIGHI DELL’USUFRUTTUARIO che era tenuto:


a) a fare fronte agli oneri di cui era gravata la cosa, ai tributi, alle spese ordinarie di manutenzione, non
invece alle spese straordinarie.
b) Effettuare le necessarie opere di manutenzione per conservare la res nello stato in cui l’aveva ricevuta
dal nudo proprietario.
c) Non mutare la destinazione economica della cosa.
L’usufruttuario si impegnava a fare tutto ciò prestando la cautio ususfructuaria, con cui si impegnava ed
usare la cosa come un uomo onesto. La cautio, consentiva al nudo proprietario, in caso di mancata
restituzione o restituzione della cosa deteriorata, di ricorrere all’actio ex stipulatu.
ESTENSIONE E LIMITI : All’usufruttuario spettava il diritto si usare e di godere della cosa altrui, avvertendo
sia i frutti naturali che i frutti civili. Non poteva usucapire mediante l’esercizio del suo diritto di uso, in
quanto mero detentore della cosa, un possessore pro alieno, ed era ben consapevole del diritto di
proprietà spettante al nudo proprietario.
I frutti naturali divenivano di proprietà dell’usufruttuario al momento dell’impossessamento, i frutti civili li
acquistava nel momento in cui essi maturavano. Differenza tra usufrutto del gregge per cui l’usufruttuario
aveva l’obbligo di rimpiazzare gli animali periti con i nuovi nati, ma nel caso di usufrutto di schiavi, qualora
la schiava partorisse non si acquistava la proprietà, in quanto l’essere umano non poteva essere
considerato un frutto. Il nudo proprietario conservava comunque sempre la facoltà non comprese
nell’usufrutto, soprattutto i poteri di disposizione sul bene, in quanto poteva vederli o trasmetterli ai suoi
erediquindi usufrutto concepito come proprietà temporanea.
MODI DI COSTITUZIONE:
- In iure cessiomodo di costituzione più antico, non con mancipatio, dal momento che l’usufrutto non
rientrava nel novero delle res mancipi. La mancipatio poteva quindi indirettamente fungere da modo di
costituzione di usufrutto qualora contenesse dedectio. La semplice traditio non consentì deductio
usufrutto fino all’età giustinianea
- Mortis causail testatore poteva inserire una clausola condizionale, in ipotesi di capitis deminutio
dell’usufruttuario, l’usufrutto si trasmettesse ad altra persona, indicata del testatore.
MODI DI ESTINZIONE: in comune con la servitù abbiamo: estinzione per irnunzia, perimento del bene o su
trasformazione, non usus. Inoltre si estingueva anche per: scadenza del termine previsto per la durata del
rapporto o verificarsi della condizione risolutiva, morte o capitis deminutio dell’usufruttuario, la
consolidazione (qualora diritto di proprietà e diritto di usufrutto si congiungessero nella stessa persona, o
quando il nudo proprietario riacquistava il diritto di uso e di percezione dei frutti in ordine al suo bene.
LA TUTELA GIURISDIZIONALE DELL’USUFRUTTO
Inizialmente fu riconosciuta una legis actio sacramenti in rem all’usufruttuario, a difesa del proprio diritto,
ma poi denominata vindicatio usufructus, un rimedio analogo alla vindicatio servitutis. Legittimato attivo a
tale azione era l’usufruttuario, e legittimato passivo il nudo proprietario e nei confronti di qualunque
possessore del bene che avesse intralciato l’esercizio dell’altrui diritto di usufrutto. Questa azione
consentiva all’usufruttuario di ottenere le restituzione della cosa insieme ai frutti che gli spettavano.
Nella compilazione giustinianea, la vindicatio usufructus, rientrò nella più ampia figura dell’actio
confessoria, azione generale a difesa di tutte le servitù prediali e personali, assumendo la denominazione di
actio confessoria usufructuc. Al nudo proprietario venne riconosciuta un’actio negatoria usufructus, intesa
ad accertare l’inesistenza, su un proprio bene, di un diritto di usufrutto da altri vantato.

RAPPORTI AFFINI ALL’USUFRUTTO


- Quasi ususfrùctus [Quasi usufrutto] diritto di usufrutto avente ad oggetto cose consumabili.
Sin dagli albori dell’epoca classica si diffuse, tuttavia, l’abitudine di attribuire per testamento l’usufrutto di
tutto il patrimonio ereditario (o di una sua parte), senza operare alcuna distinzione tra cose consumabili e
cose inconsumabili. Un senatusconsùltum dell’imperatore Tiberio stabilì che tale disposizione
testamentaria dovesse essere considerata valida, ammettendo che in relazione alle cose consumabili si
applicasse un regime giuridico tale da consentire la produzione di effetti affini a quelli tipici dell’usufrutto.
In particolare, si impose al beneficiario il versamento di una càutio, che garantiva all’erede la restituzione di
cose dello stesso genere e qualità di quelle ricevute, che, essendo consumabili, non potevano essere usate

46

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

e restituite. Le res consumabili passavano immediatamente in proprietà del quasi-usufruttuario; la cautio


garantiva, nel caso di mancata restituzione del tantundem eiusdem generis, il pagamento del controvalore
in denaro della res. In diritto giustinianeo, l’istituto fu denominato quasi usufrutto. Sostanzialmente la
posizione del quasi usufruttuario (che acquistava, in realtà, la proprietà delle cose ricevute) era quella di un
mutuatario: sia se agiva in base alla cautio oppure per la restituzione, l’azione del nudo proprietario era non
in rem, ma in personam. In particolare si poteva agire anche con l’actio certæ creditæ pecuniæ o con la
condìctio certæ rèi.
- Usus Usus sine fructu: L’usus di una cosa fruttifera o anche infruttifera, consisteva appunto
nell’usare una cosa altrui entro i limiti dei propri bisogni o dei bisogni della propria famiglia, senza
percepirne i frutti. Nonostante l’usus normalmente fosse sine fructu, eccezionalmente, soprattutto in caso
di usus costituito su fondi rustici, era ammessa la possibilità di appropriarsi dei frutti della cosa, che fossero
abitualmente necessari per una razionale utilizzazione della res. In altri termini, l’usuario, a differenza
dell’ususfructuarius, non aveva diritto a tutti i frutti normali della cosa, pur non essendone esclusa del tutto
la percezione.
- Habitàtio [Abitazione] assicurava, al soggetto che ne era titolare, la facoltà di abitare una casa
altrui e darla in locazione a terzi. Era molto discusso se l’abitazione, cui veniva negata autonoma dignità,
dovesse essere inquadrata nell’ambito dell’ususfrùctus o dell’usus. Il diritto giustinianeo conferì
all’abitazione autonoma dignità, inquadrandola, come autonomo diritto reale limitato, nella categoria delle
servitùtes personàrum, dalle quali si distingueva, peraltro, sotto due profili; l’abitazione, infatti: non si
estingueva né per càpitis deminùtio e né per non uso.
- Operae servorum (prestazioni servili ) le opere degli schiavi consistevano in prestazioni
effettuate da servi altrui, che talune avesse facoltà di usare a proprio vantaggio.

IUS IN ÀGRO VECTIGÀLI


Espressione che indicava il diritto del concessionario su un’appezzamento di àger vectigàlis.
L’ager vectigalis era il terreno appartenente allo Stato, ad un municipio o ad una colonia, che veniva
concesso in sfruttamento a privati, dietro il corrispettivo di un canone annuo, denominato vectìgal: lo scopo
della concessione era quello di permettere lo sfruttamento della terra, pur essendovi un vero e proprio
obbligo giuridico di coltivare o migliorare il fondo. Finché il canone era pagato, il concessionario non
poteva essere spossessato e poteva trasmettere il suo diritto: essendo considerato possessore, a lui
competeva la normale tutela interdittale. Si attribuiva al concessionario un diritto di credito: per descrivere
l’istituto, i giuristi utilizzavano di solito la terminologia della locazione, sebbene Gaio ricordi che era
discusso se il rapporto fosse inquadrabile nello schema della locazione o in quello della vendita. Il
pagamento del canone e la revoca della concessione in caso di sospensione del pagamento stesso e delle
coltivazioni, faceva pensare ad un contratto di locazione, mentre la trasferibilità del diritto e la perpetuità
dello stesso rendevano più verosimile l’analogia con la vendita. A difesa del concessionario l’editto
pretorio concedeva al vettigalista un’actio in rem vectigalis, modellata sulla rivendica civilistica, anche
simile all’actio in rem per i possessori di terre provinciali: il concessionario poteva chiedere la restituzione
del fondo nei confronti di chi se ne fosse impossessato. Al vettigalista si riconobbe la possessio ad
interdicta, per recuperare il possessio già usurpatogli o conseguire la conservazione del possesso che un
terzo tentasse di usurpagli.

ENFITEUSI E SUPERFICIE
CARATTERI COMUNI: inquadrate tra i diritti reali di cosa altrui e tra i rapporti assoluti in senso improprio
soltanto nell’età moderna. Non furono incluse nemmeno tra le servitù personali in quanto considerate
quale mera limitazione del diritto di proprietà. Entrambe costituiscono diritti reali, gravanti direttamente
sul fondo: non vi era alcun rapporto con il proprietario perciò sono reputate come diritti alienabili e
trasmissibili.
ENFITEUSI ll termine, designava originariamente il rapporto di concessione di terre, intercorrente fra le
città delle province orientali e i privati concessionari che si obbligavano a dissodare le terre incolte e a
migliorarle. Nel diritto romano, fino al periodo classico, non esisteva un istituto corrispondente. Scopi affini
erano perseguiti attraverso concessioni in godimento di terre da parte della città o di altri enti pubblici

47

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

secondo uno schema analogo alla locàtio condùctio. In ogni caso non era previsto in capo al concessionario
l’obbligo del miglioramento del fondo, quanto piuttosto l’obbligo di pagare un modesto canone. Dall’età di
Costantino, si affermarono due diversi tipi di concessione:
- il ius perpetuum, che aveva ad oggetto i fondi del fisco ed il cui canone non era modificabile;
- il ius emphyteuticàrium (risalente agli ordinamenti delle libere città greche di età classica, perpetuatisi
in ambiente ellenistico) che aveva ad oggetto i fundi patrimoniales, ossia quelli della dinastia imperiale
ed il cui canone era modificabile, in quanto implicava che fosse sempre riequilibrato il rapporto tra
concedente e concessionario “al fine del mantenimento dell’equilibrio economico tra i due”.
Nel V secolo d.C. ius perpetuum e ius emphyteuticarium vennero unificati e denominati col solo nome di
ius emphyteuticarium, il quale presentava i seguenti caratteri:
- la concessione era data in perpetuo;
- il canone era considerato invariabile;
- concedente nella prassi divenne anche il privato e non più solo la comunità pubblica o l’imperatore.
Risolvendo i dubbi avanzati in dottrina sul punto, l’imperatore Zenone stabilì che, in caso di distruzione del
fondo, il danno doveva essere sopportato dal concedente, se il fondo periva totalmente, cessando l’obbligo
dell’enfiteuta, e dal concessionario nel caso di danni temporanei, dovendo questi continuare a pagare il
canone. Nel diritto giustinianeo l’enfitèusi fu configurata come un rapporto assoluto reale in senso
improprio. I giuristi dell’epoca modificarono la disciplina dell’istituto: venne imposto all’enfiteuta l’obbligo
di comunicare al proprietario ogni trasferimento che egli volesse fare del suo diritto e fu accordato al
proprietario un diritto di prelazione, grazie al quale egli, offrendo pari condizioni economiche, doveva esser
preferito, nel riscatto del fondo enfiteuticario, al terzo che intendesse acquistare, a sua volta, dall’enfiteuta,
il diritto di enfiteusi. Se il proprietario non esercitava tale diritto, gli spettava laudèmium, cioè una sorta di
indennità pari al due per cento del prezzo pagato dal nuovo enfiteuta. Il concedente poteva risolvere il
rapporto, con la c.d. devoluzione, qualora l’enfiteuta per tre anni consecutivi non avesse pagato il canone o
le imposte gravanti sul fondo, non avesse fatto la comunicazione dell’alienazione o non avesse pagato il
laudemio, oppure avesse gravemente deteriorato il fondo.

SUPERFICIE Diritto reale di godimento su cosa altrui, in virtù del quale un soggetto, diverso dal
proprietario del fondo, poteva costruire e mantenere in proprietà una costruzione su un suolo altrui.
L’istituto fu originariamente ignoto al iùs civile, nel quale vigeva incontrastato il principio dell’inseparabilità
del suolo dalla superficie (superficies sòlo cèdit). Fin dall’età repubblicana si manifestò, la tendenza al
superamento di tale principio. Si diffuse, l’uso, da parte dei magistrati, di concedere ai privati, mediante
corrispettivo (solàrium), il diritto, di costruire sul foro o sulle strade: così, ad es. era concesso agli argentarii
(banchieri) di tenere le loro tabernæ (gli uffici) nel foro. Pur in presenza della concessione, il suolo restava
pubblico, ma il costruttore aveva la piena disponibilità della bottega, che poteva anche alienare o
distruggere. L’uso di concedere il diritto di edificare sull’altrui suolo si affermò anche nei rapporti tra
privati: in tal caso si creava un rapporto derivante da un contratto di locàtio-condùctio dal quale nasceva
solo un diritto di obbligazione, vincolante per le parti ed i loro eredi e non per i loro aventi causa a titolo
particolare. Al superficiario, peraltro, il pretore concesse un interdìctum de superficièbus, il quale,
accordato sul modello degli interdetti possessori, fece sì che il condùctor, a differenza di ogni altro
locatario, potesse essere considerato e protetto come possessore della superficie: al riguardo si parlò di
quasi possessio. In diritto giustinianeo, a seguito della contaminazione del diritto romano con istituti
giuridici originari delle province ellenistiche, si iniziò a configurare la superficie quale diritto reale: il diritto
ellenistico non conosceva il principio superficies solo cedit ed ammetteva, perciò, che la proprietà potesse
essere divisa per piani orizzontali. Il diritto del superficiario fu considerato come appartenente alla
categoria degli iùra in re alièna e non come una autonoma forma di proprietà, dal momento che
Giustiniano volle mantenere, almeno formalmente, la validità del principio superficies solo cedit.
In epoca giustinianea, pertanto, il diritto di superficie assunse le caratteristiche di rapporto giuridico
assoluto in senso improprio, tutelato da un’àctio in rem superficiària.

48

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

I DIRITTI REALI DI GARANZIA: pegno e ipoteca


Si ammise che il creditore chiedesse al debitore la costituzione di garanzie, consistenti in alternativa: nelle
garanzie reali o nelle garanzie personali. Per diritti reali di garanzie si indicano i diritti che il debitore
concedeva al proprio creditore su un bene proprio o di un terzo, a garanzia dell’adempimento di una
obbligazione, se non si verifica il creditore diveniva addirittura proprietario del bene dato in garanzia, ma
poi con il passare del tempo non si acquista più il dominium sulla res e si conferì al creditore insoddisfatto
soltanto il diritto di vendere la cosa, per rifarsi sul ricavato. Sono rapporti assoluti in senso improprio,
muniti di tutela giurisdizionale erga omnes.
Delle garanzie reali abbiamo:
- FIDUCIA CUM CREDITORE: sta all’origine dei diritti reali di garanzia, ipotesi speciale di fiducia, che si
realizzava quando la proprietà della cosa era trasmessa a garanzia di un credito; essa costituì, pertanto, la
più antica forma di garanzia dell’obbligazione del diritto romano. In epoca classica fu sostituita dalle figure
del pegno e dalla ipoteca, e scomparve in epoca giustinianea insieme all’istituto della mancipàtio.
- IL PEGNO: diritto reale di garanzia, il cui antecedente storico è rinvenibile nell’istituto della fidùcia
cum creditòre ; il termine indicava anche il contratto reale volto egualmente al raggiungimento delle
finalità della fiducia cum creditore, senza, peraltro, produrre il trasferimento della proprietà della cosa
oggetto del pignoramento. Diritto reale di garanzia trasferiva la sola disponibilità materiale di una cosa;
oggetto poteva esserne qualsiasi cosa in commercio, suscettibile di possesso e di alienazione.
Ma già in diritto classico la nozione di oggetto si ampliò fino a ricomprendervi i iura in re aliena, i crediti, i
diritti scaturenti da pegno, le cose future, le quote di una communio e i frutti non ancora esistenti.
La sua configurazione come diritto reale di garanzia avvenne solo nel periodo classico: in particolare, venne
considerato come diritto reale costituito in favore del creditore, a mezzo di un apposito negozio reale, che
si perfezionava con la materiale consegna della cosa. Si distinguevano, in relazione ai modi di costituzione
del pegno:
- un pegno volontario (che si costituiva mediante accordo tra le parti, o per testamento);
- un pegno legale (previsto da singole disposizioni di legge, che intendevano tutelare particolari
categorie di creditori).
Le fattispecie di pegno legale si distinguevano in casi di:
- pegno speciale, quando si esplicava su singoli e determinati beni del debitore, possono riscontrarsi nel
pegno riservato al locatore di un immobile urbano sui mobili dell’inquilino, ovvero nel pegno riservato al
pupillo sulle cose che il tutore o un terzo avessero acquistato con suo denaro, etc.;
- pegno generale, quando vincolava l’intero patrimonio del debitore. Esempi possono rinvenirsi nel pegno
riservato al fisco sul patrimonio del debitore di imposta, nel pegno riservato al minore sul patrimonio del
suo tutore o curatore, etc.;
- pegno giudiziale (costituito dal magistrato) avendo lo scopo di consentire l’esecuzione di sentenze
emanate extra òrdinem dal magistrato, era materialmente posta in essere dai c.d. apparitòres, che si
impossessavano di cose appartenenti al debitore condannato.
Il riconoscimento di questa nuova forma di garanzia fu dovuto all’opera creativa del pretore, che accordò,
al debitore che avesse pagato, un’azione per ottenere la restituzione della cosa data in pegno e riconobbe
al creditore, per il periodo antecedente all’adempimento, la possèssio ad interdìcta sulle cose date in
pegno: si parlava, in questo caso, di pegno datum.
Successivamente, sempre in età classica, si andò affermando il principio che per costituire il pegno bastasse
anche la semplice convèntio, senza la necessità della materiale consegna della cosa: ciò permise di ritenere,
quindi, che oggetto di pignus convèntum (detto anche hypotheca): si consentì, in tal modo l’ingresso, nel
diritto romano, di questo nuovo istituto, di derivazione greca.
Proprietario della res oggetto del pegno rimaneva sempre il debitore, che pertanto poteva disporne
liberamente anche vendendola ad altri.
Al creditore pignoratizio veniva riconosciuto invece, come già detto, il iùs possidèndi : il creditore aveva il
diritto di possedere la cosa immediatamente se si trattava di pegno (e nel caso di inadempimento, se si
trattava di ipoteca), potendo esercitare gli interdetti a difesa del possesso. Il possesso del creditore,
peraltro, non aveva valore ai fini dell’usucapione (mancando la iusta causa e la bona fides), né dava diritto
all’uso della cosa. Era invece consentita l’eventuale percezione dei frutti della cosa a titolo di interessi del

49

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

credito, se ciò era pattuito. Le parti solevano aggiungere alla costituzione del pegno un patto per cui,
qualora alla scadenza l’obbligazione non fosse stata adempiuta, il creditore diventava senz’altro
proprietario della res oggetto del pegno in base al convenuto ius retentiònis. Il patto commissorio fu
successivamente vietato da Costantino, perché ritenuto troppo oneroso, per il debitore.
Al creditore era inoltre riconosciuto il ius distrahèndi : se il ius possidendi, avendo funzioni di garanzia, non
importava il soddisfacimento del credito, il ius distrahendi, attribuito al creditore in età tardo classica,
aveva, invece, funzione satisfattoria. Il ius distrahendi attribuiva, in caso di inadempimento, la facoltà di
vendere la cosa data in pegno e di soddisfarsi sul ricavato, salvo l’obbligo di restituire al debitore
l’eventuale residuo. Tale diritto in origine era oggetto di una speciale convenzione (pactum de distrahendo
pìgnore), con cui il debitore all’uopo autorizzava il creditore. Successivamente la giurisprudenza classica,
preso atto dell’enorme diffusione di tale patto, ammise che il ius vendendi dovesse ritenersi tacitamente
incluso in ogni costituzione di pegno. In conseguenza della vendita, l’acquirente acquistava il dominio, dal
momento che il creditore vendeva ex pacto, cioè in base al consenso, esplicito o implicito, del debitore.
In epoca giustinianea venne fissato il principio che, se nessun compratore si presentava, il creditore poteva
chiedere all’imperatore l’attribuzione della cosa, salvo il diritto del debitore di riscattarla entro due anni.
Adempiuta l’obbligazione, se il creditore non restituiva spontaneamente la cosa, il debitore poteva agire
con l’àctio pigneratìcia in rem directa.
Contratto reale Le finalità del pegno potevano essere raggiunte attraverso la stipula di un apposito
contratto reale, che si perfezionava con la consegna della res alla controparte. Il contratto consisteva, in
particolare, nel trasferimento del possesso di una cosa dal debitore al creditore, con il patto che il creditore
tenesse presso di sé la cosa, a garanzia dell’adempimento di un suo credito, con l’obbligo di restituirla
qualora il debitore avesse eseguito esattamente la prestazione. In caso contrario, egli poteva venderla,
soddisfacendosi sul ricavato. Per la restituzione della res oggetto del pignoramento, era concessa al
debitore una actio (in factum) pigneraticia in personam ; in seguito, la giurisprudenza tardo-
classica riconobbe anche una actio in ius di buona fede. In favore del creditore (che avesse sopportato
spese per la conservazione della cosa, o per danni da evizione) fu apprestato un iudicium contrarium.
Modi di estinzione del pegno: cessava con l’estinzione del credito garantito oppure a seguito della vendita
del pegno, se in creditore era rimasto insoddisfatto; ma si aveva anche in caso di rinunzia da parte del
creditore, di perimento del bene oppignorato, di confusione, di longi tempori paescriptio (da parte del
terzo e mai dal creditore pignoratizio) o per il verificarsi della condizione risolutiva o per il sopraggiungere
del termine finale eventualmente apposti al pegno.
- IPOTECA (pìgnus convèntum): Diritto reale di garanzia su cosa altrui. era una mera convenzione in
virtù della quale, senza il materiale trasferimento del possesso del bene al creditore una cosa veniva
assegnata a quest’ultimo a garanzia di un debito. Dapprima la convenzione di garanzia intervenne
solitamente nella locazione di fondi: tra il locante e il locatario veniva stipulato un patto in base al quale i
beni complessivamente immessi da quest’ultimo nel fondo venivano destinati a garantire il pagamento del
canone. Il pretore in caso di inadempimento, concedeva un interdìctum Salviànum a mezzo del quale il
locante poteva entrare in possesso delle cose date in garanzia. In seguito si accordò al locante un’àctio in
rem, detta Serviana (o pigneratìcia) esperibile contro qualsiasi terzo. Detta azione fu poi estesa in via utilis
ad ogni altro caso di pegno nel quale mancasse il trasferimento del possesso.
In caso di locazione di fondi urbani, il pretore negava al conduttore l’interdictum de migràndo quando
questi, opponendosi al locatore, volesse asportare dal fondo gli invecta et illata senza aver pagato il
canone. La possibilità di costituire una garanzia con la sola convèntio fu estesa dalle locazioni rustiche a
tutti i tipi di obbligazione e così nacque la nuova figura di diritto reale di garanzia chiamata hypothèca. Se
sullo stesso bene gravavano più ipoteche a garanzia di crediti diversi, prevalevano le ipoteche costituite per
prime (prìor tèmpore pòtior iùre).
Nel diritto giustinianeo il pignus gravava sui beni mobili e l’hypotheca solo sui beni immobili, secondo una
distinzione che ancor’oggi caratterizza i due istituti.

50

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

IL POSSESSO
I beni possono appartenere a una persona in virtù o di un mero rapporto materiale con la cosa (possesso) o
di un diritto sulla cosa giuridicamente riconosciuto.
DIFFERENZA TRA POSSESSO E DIRITTI SULLE COSE: il possesso, signoria di fatto sulla res, è l’apprensione
materiale del bene e viene protetto dall’ordinamento a determinate condizioni ed entro certi limiti; i diritti
sulle cose (diritti reali)che fanno perno sull’idea di una relazione giuridica astratta e prescindono dal
rapporto materiale del bene.
Il possesso, mera disponibilità di fatto era già giuridicamente rilevante dall’età delle XII tav. ma ai soli fini di
acquisizione del mancipium o della manus, poi a partire della fine del III sec a.C., fu tutelato anche
nell’ambito di ius honorarium dal pretore mediante la concessione di interdetti, intesi a tutelare la
continuazione dello stato di fatto.
Il possesso è uno stato di fatto, non un diritto, il possesso è questione di fatto e di intenzione, non è solo
materialità, ma presenta anche profili giuridici. Si afferma che qualunque possessore per il solo fatto che
possiede ha una posizione giuridica migliore di chi non possiede).
IL POSSESSO COME STATO DI FATTO E COME RAPPORTO ASSOLUTO IN SENSO PROPRIO: l’ordinamento
impone ai singoli di non intervenire arbitrariamente su una cosa che in appartenenza sia non libera e
disponibile, ma in una situazione tale da fare intendere che taluno già la abbia nella disposizione piena e
esclusiva. Perciò si prevede la repressione di atti volti a ledere, turbare, molestare in vario modo l’altrui
disponibilità di fatto dei beni.
In favore dei possessori si appresta una tutela urgente ma provvisoria, intesa a conservare o ripristinare lo
stato di fatto turbato o alterato, fatta salva la verifica di sussistenza di diritto di possesso.
Quindi il possesso va inteso come una relazione materiale con un bene, effettuata con l’intenzione di
tenere la cosa per sé in modo esclusivo: il fatto stesso che il possessore disponga di fatto della cosa obbliga
gli altri consociati e non intervenire sulla cosa stessa senza il suo consenso.
Il processo di tutela del possesso si delineò più tardi, sul finire del III sec. a.C., ad opera del pretore,
mettendo a fuoco le nozioni di proprietà e possesso come distinzione tra una situazione di fatto (materiale
disponibilità del bene) e situazione di diritto (proprietà di un bene), con degli interdetti possessori , ossia
una sorta di ordinanze di urgenza, intimazioni, che il magistrato rivolgeva all’autore di determinate
turbative o atti di spossessamento, su richiesta dell’interessato.
Attraverso gli interdetti possessori si tendeva soltanto a mantenere o a ripristinare lo stato di fatto relativo
alla materiale disponibilità della cosa. Era dunque indifferente se la persona che lamentava atti di
aggressione al suo possesso fosse proprietaria o titolare di altri diritti reali sulla cosa. Quindi la vittima di
turbative o di spoglio se era anche proprietario poteva scegliere se chiedere immediatamente un
interdetto, al fine di ottenere la mera tutela della sua disponibilità di fatto della cosa, oppure agire con la
specifica actio in rem per conseguire la tutela del diritto reali del quale fosse titolare. Il semplice possessore
non aveva altra scelta che la richiesta di protezione interdittale.

TUTELA DEL POSSESSO


Tutela del possesso mediante interdetti a seconda che essa fosse mirata alla conservazione, o al recupero,
o al conseguimento. Il possesso protetto dal pretore si denominava possessio ad interdicta, mentre quello
fornito di tutela onoraria risulta qualificato come possessio naturalis. Il pretore concedeva una protezione
differente a seconda che il possessore fosse stato molestato nell’esercizio del suo rapporto materiale con il
bene, oppure se fosse stato spossessato. In ogni caso la tutela era concessa sul presupposto dell’esistenza
di una situazione possessoria esercitata pro suo (con l’intenzione di tenere la cosa per se). La tutela
interdittale possessoria venne, subito dopo, riconosciuta anche a quattro fattispecie pro alieno (a titolo di
mera detenzione): il possesso del precarista ad nutum; del titolare di ius vectigali; del creditore pignoratizio
e del sequestratario.
INTERDETTI VOLTI ALLA CONSERVAZIONE DEL POSSESSO: la vittima delle molestie poteva chiedere al
pretore un interdetto proibitorio, che vietasse atti di molestia e quindi mirasse alla conservazione di una
situazione di una situazione possessoria attuale, occorreva però che il bene posseduto fosse mobile o
immobile:

51

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- INTERDICTUM UTI POSSIDETISse le turbative e molestie riguardavano un immobile. Andava richiesto


dal possessore molestato entro un anno dall’atto di turbativa. Consisteva in un intimazione
caratterizzata dall’espressione vim fieri veto, nella quale si ordinava all’attore delle molestie di non
usare la forza nei confronti del possessore. Il tutto però a una condizione denominata clausola vitii: che
il possesso del bene non fosse stato in precedenza ottenuto dal richiedente, nei confronti dell’intimato,
mediante violenza o clandestinamente o a titolo precario (nec precario: ossia concessione a titolo
gratuito di un terreno da parte di una persona benestante, il patrono, nei confronti di un individuo umile
postosi sotto la sua protezione, il cliens. Il precarista poteva usare la cosa concessagli a suo piacimento,
ma con l’obbligo di restituzione non appena il precario dans ne facesse richiesta).
Ma una volta che il magistrato avesse emanato l’interdictum uti possidetis e il destinatario continuasse a
molestare l’avversario, la vittima delle turbative poteva dare impulso ad un vero e proprio giudizio di
accertamento mediante l’esercizio dell’actio ex interdicto, un actio in personam, dove nella fase apud
iudicem al giudicante spettava affermare quale dei contendenti possedesse la res immobilis.
- INTERDITUM UTRUBI quando le turbative al possesso riguardavano un bene mobile, anche qui il
magistrato vietava ogni atto di molestia al possesso del bene mobile, a meno che la vittima delle
turbative non avesse a sua volta ottenuto il possesso dall’avversario vi, clam, precario (clusola vitii). Non
tutelava sempre il possessore attuale ma esso impediva di levare il bene a chi dei due contendenti
avesse, nell’ultimo anno dall’emanazione dell’interdetto, posseduto il bene per un periodo di tempo
maggiore rispetto all’avversario. Poteva accedere sia che il possesso fosse confermato a chi al momento
lo esercitava, se aveva posseduto ad esempio per 7 mesi dell’anno precedente, sia che il possesso fosse
attribuito a chi possessore non era.
GLI INTERDETTI PER IL RECUPERO DEL POSSESSO: rivolti al recupero del possesso immobiliare: erano due,
avevano in comune che vi si lamentasse uno spoglio, quindi il richiedente dell’interdetto era colui che del
possesso fosse stato privato. La distinzione dei due interdetti riguardava soltanto le modalità in cui lo
spoglio era stato perpetrato
1. INTERDICTUM UNDE VI in caso di espulsione violente, la vittima dello spoglio entro un anno poteva
chiedere al magistrato l’interdetto, l’intimazione mirava alle reintegrazione nel possesso, ma questa era
sempre subordinata a che il possesso del quale si richiedeva la restituzione non fosse vizioso. Lo stesso
interdetto fu successivamente esteso a fattispecie si spossessamento non violento. In caso di
inottemperanza dell’ordine edittale, l’autore dello spoglio poteva essere convenuto in giudizio con
l’actio ex interdicto ma non corso del provìcedimento poteva difendersi con l’axceptio vitiosae
possessiones (eccezione di possesso vizioso), affermando che la vittima dello spoglio gli aveva a sua
volta in precedenza usurpato il possesso vi, clam, precario.
2. INTERDICTUM DE VI ARMATA era l’intimazione che il magistrato rivolgeva a chi avesse effettuato uno
spoglio immobiliare non solo con la violenza, ma anche con l’uso delle armi o con ricorso ad una banda
di uomini. L’interdetto era perpetuo, nel senso che poteva essere richiesto senza limiti di tempo e la
restituzione del possesso veniva ordinata a prescindere da eventuali vizi possessori. Dunque non
figurava la clausola vitii.
Giustiniano fuse i due interdetti recuperatori in un unico denominato interdictum unde vi, con prevalenza
dell’interdictum de vi armata, ma senza la possibilità di richiedere axceptio vitiosae possessionis, ma si
prevedeva la possibilità di richiedere l’intimazione al magistrato soltanto entro un anno dallo spoglio.
Tra gli interdetti volti alla tutela del possesso abbiamo anche INTERDICTUM DE PRECARIO dove, sebbene il
concedente avesse la facoltà di revocare la concessione ad nutum (in qualsiasi momento e mediante una
manifestazione di volontà anche informale), la richiesta di restituzione si verificava assai di rado e la
coscienza sociale prese perciò a considerare la concessione a titolo di precario come una alienazione di
fatto. I giuristi ritenevano il precarista come possessore del bene che gli era stato concesso perché poteva
disporne ampiamente e acquistava i frutti della cosa concessagli, anche che si trattasse di una schiava.
Anche alla morte del concedente il precario non si estingueva ma poteva anche continuare a favore dei suoi
eredi. Gli viene quindi concessa la tutela interdittale dal pretore solo esclusivamente nei confronti dei terzi
e mai verso il concedente perché poteva revocare la concessione in qualsiasi momento.
Però nel diritto giustinianeo al concedente non fu più concessa alcuna forma di tutela e venne meno la sua
facoltà di riprendersi la res quando voleva.

52

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Abbiamo tutela interdittale del possesso anomale qualora si trattasse di alcune tipologie pro alieno:
vennero concessi interdetti all’usufruttuario, al superficiario, a chi esercitasse ius praedii. Quindi abbiamo
situazioni di quasi possesso.

NOZIONE E CLASSIFICAZIONE
Nel ius civile, il termine antico per indicare il rapporto materiale con il bene cui corrispondesse un parziale e
diverso rilievo giuridico, fu usus: da usus auctoritas, ossia la signoria di fatto sul bene, se congiunta
all’auctoritas del proprietario e al decorso del tempo previsto giustificava la trasformazione della
disponibilità materiale in proprietà.
La proprietà e possesso non hanno nulla in comune, corrispondono a situazioni differenti e quindi devono
essere trattate e considerate distintamente. La possessio veniva esercitata della stesso proprietario, ma
spesso il dominium risultava disgiunto dal possesso, perché nella medesima cosa una persona poteva
essere dominus e un’altra possessor.
I giuristi individuavano nella possessio due elementi costitutivi: il corpus (relazione di fatto con il bene) e
l’animus (volontà, intenzione di tenere la cosa), intesi rispettivamente come elemento oggettivo materiale
e come elemento soggettivo psicologico. La giurisprudenza effettuò una vasta gamma di diverse possibili
situazioni possessorie:
- Possesio naturalis o pro alienopossesso materiale, intesa come la semplice detenzione
- Possessio pro suopossesso esercitato per proprio conto
- Possesio civilis coincidente con la possessio ad usucapionem: rapporto materiale con il bene
corredato di tutti i requisiti richiesti dall’ordinamento affinchè si giustificasse la trasformazione del
possesso in dominium, con il decorso del tempo, quindi doveva essere esercitata su cosa usucapibile, in
buona fede, con iusta causa.
- Possessio bonae fideipossessio esercitata in buona fede dove poteva anche non sussistere una iusta
causa, non conduce ad usucapione.
- Possessio iusta non affetta da vizi, esercitata nec vi, nec clam, nec precario; era possessio iniusta o
vitiosaesercitata con la forza o clandestinamente o a seguito di concessione èrecaria, nei confronnti
dell’avversario.
- Possessio vel usufructus
- Possessio iuris, quasi possessioesercizio di fatto di un diritto, assoluto o relativo, purchè diverso dalla
proprietà. Significato affine riveste la formula di quasi possessio.

ELEMENTI COSTITUTIVI
I due elementi della possessio: animus e corpus. L’apprensione della cosa aveva natura di fatto e perciò la
sua realizzazione avveniva senza bisogno di formalità prescritte dall’ordinamento. Si poteva considerare
acquistato il possesso e sussistente la condizione di possessore tutelato con gli interdetti pretori, qualora:
l’oggetto fosse una cosa corporale; la persona apprendesse un bene ed esercitasse una relazione con esso
in base ai due elementi possidere corpore (possedere materialmente) e del possidere animo (possedere co
l’intenzione di tenere la cosa per sé).
Il principio secondi cui il possesso erano soltanto le cose corporali indusse la giurisprudenza ad escludere
inizialmente che si potessero possedere: un uomo libero; le cose che fossero parte di un’altra; i diritti.
Quanto ai requisiti del corpus e dell’animus, il primo elemento era obiettivo e si richiamava all’essenza della
possessio naturalis, consistendo nel mero rapporto materiale con il bene. Il secondo elemento della
possessio ad interdicta era invece soggettivo, in quanto concerneva la sfera inferiore della persona del
possessore. Quindi gli elementi corpus e animus dovevano sussistere al momento dell’acquisto della
relazione possessoria con il bene.
L’elemento soggettivo possidere corpore fu inteso inizialmente strettamente materialistico, poi, si tese
progressivamente a smeterializzare o spiritualizzare tale requisito, ciò portò il possesso ad una pratica
assimilabile al diritto. Esempio pag. 426: da Labeone il possessore del fondo non perde il possesso se si
reca al mercato, sicchè l’occupante possiede clandestinamente; se poi, una volta tornato dal mercato il
possessore, l’occupante rifiuta di andarsene, il suo possesso diviene violento (vi) ed egli si espone

53

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

all’interdictum unde vi.  quindi si rilevano dei tempi di lontananza tollerabili per il mantenimento del
possesso.
Ai fini dell’acquisto e della conservazione del possesso, era necessaria anche la volontà di detenere la cosa
per possederla, ossia possidere animo. Altrimenti in assenza di animo si aveva mera detenzione. L’animus si
richiedeva sia al momento iniziale dell’apprensione del bene, per l’acquisto del possesso, sia ai fini della
continuazione di questo, come situazione psicologica permanente.

ACQUISTO, CONSERVAZIONE E PERDITA DEL POSSESSO


- Acquistochiunque fosse in grado di apprendere materialmente un bene e di volerne il possesso: era
escluso che una persona gravemente malata di mente o un infante potessero possedere, mentre si
ammise per le donne e gli impuberi senza che occorresse l’auctoritas da parte del tutore.
Gli enti immateriali fino all’età imperiale non furono considerati capaci di possedere.
Si ammise che il possesso si potesse non solo conservare, ma persino acquisire ex novo per interposta
persona, nel senso che l’elemento materiale poteva essere attuato da un terzo che detenesse per conto
del possessore, il quale era contraddistinto come tale per l’animus possidendi.
Inizialmente la sostituzione venne ammessa soltanto nella ristretta cerchia di familiari e servitori, nel
senso che il pater acquistava il possesso dei beni che fossero detenuti dai propri sottoposti, in
prevalenza figli o schiavi. Era anche valida la presa in possesso da parte di tutori e curatori di incapaci,
soltanto in seguito si ritenne possibile l’acquisto del possesso attraverso una persona libera estranea alla
famiglia.
- Conservazionesi richiedevano entrambi gli elementi. Conservava il possesso chi, dopo la sua
apprensione, impazziva o chi dimenticava di avere la cosa, poi si ammise la possibilità del possesso
conservato con la sola intenzione di possedere. Interrogativo: ipotesi temporanea lontananza del
possessore della cosa posseduta, che concretava una transitoria interruzione della relazione materiale
corpore possidere, pur continuando a sussistere l’elemento soggettivo dell’animus possidendi. Ai fini
della conservazione era sufficiente la semplice intenzione di possedere, la possessio non consisteva più
in un mero rapporto extragiuridico tutelabile mediante interdetti, soltanto a certe condizioni fissate
dall’editto e comunque a discrezione del magistrato.
- Perdita si perdeva per il venir meno dei due elementi del possesso, animus e corpus, cioè se la
relazione materiale con il bene, sia la volontà di possedere. Il possesso doveva estinguersi anche se si
perdeva uno solo di questi due elementi come nel cosa del servus fugitivus, la sopravvenuta follia o la
dimenticanza del possessore. Per perdere il possesso di un fondo, occorreva che il possessore
manifestasse l’intenzione di uscire con la volontà di non possedere più, o verbalmente o con un
prolungato abbandono. Si perdeva in oltre con il venir meno degli altri requisiti richiesti
dall’ordinamento giuridico romano: per la sopravvenuta incapacità della persona di possedere (morte
del possessore); per la sopravvenuta inidoneità della cosa di essere posseduta.

L’INTERVERSIONE DEL POSSESSO


Nessuno può mutare di sua iniziativa il titolo del proprio possesso, il possessore che avesse acquistato il
possesso sulla base di un titolo non poteva poi arbitrariamente cambiarlo con un mero atto di volizione
interna e continuare il possesso con un titolo diverso (es. pag. 432-33)

54

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

OBBLIGAZIONI
FONTI DELLE OBBLIGAZIONI
Si intendono gli eventi, i fatti rilevanti in una prospettiva giuridica, dai quali nasce un vincolo obbligatorio.
Non si tratta necessariamente di eventi leciti e neppure voluti, si può essere obbligati per effetto di un
contratto e di un delitto, e la volontarietà dell’obbligo è esclusa per gli illeciti.
Per gli atti leciti, esiste una categoria in cui l’obbligo sorge da comportamenti in sé leciti ma non diretti alla
costituzione del vincolo, il quale però è collegato a dette situazioni dell’ordinamento. Perciò la volontarietà
dell’obbligo è propria solo di una categoria, esistente all’interno degli atti leciti e comprendente gli atti
negoziali.
Gaio, nella sua opera di Institutiones, distingue semplicemente due species: ogni obbligazione nasce da
contratto o da delitto. Questa divisione però non andava e ad accorgersene fu lo stesso Gaio, e la
bipartizione diventa una tripartizione: le obbligazioni nascono da contratto o da maleficio o da maleficio o
da varie figure di cause giuridicamente configurate in modo a se stante. Dove maleficium è sinonimo di
delictu. Le obbligazioni nascenti da contratto possono essere concluse
- re (per mezzo di una dazione di una res);
- verbis (tramite le parole);
- litteris (per mezzo di scritti);
- consensu (mediante il consenso).
PROBLEMA DELLA SOLUTIO INDEBITI, cioè il pagamento di quanto non dovuto: ossia un tale riceve da un
altro qualcosa per errore, perché quest’ultimo riteneva erroneamente di essere suo debitore. Sorge
l’obbligo per l’accipiente di restituire quanto ricevuto per errore. Gaio ritiene che tale ipotese non debbe
rientrare nei contratti reali, pur nascendo da una dazione di una res. L’errore su cui poggia la nascita
dell’obbligazione non sia solo nel solvens ma anche di colui che riceve, perché altrimenti, se costui
accettasse la consegna del bene sapendo di non dover ricevere nulla, commetterebbe furto.
Gaio crea una terza categoria in cui riversare tutte le fattispecie produttive di obbligazioni, che non
potevano rientrare né nei contratti, né nei delitti: una categoria residuale in cui l’obbligazione, pur
nascendo da atto lecito o non discendeva da una volontà bilaterale.
Nelle institutiones giustinianee l’obbligatio può nascere da contratto a da quasi contratto, da maleficio o da
quasi maleficio in cui si comprendono rispettivamente le obbligazioni nascenti dai delicta del ius civile
(quadripartizione).

OGGETTO E TIPI DI OBBLIGAZIONE


Il dovere di comportamento, il debito, rappresenta l’oggetto dell’obbligazione assunta dal debitore. In età
risalente l’obbligazione consisteva in un assoggettamento fisico, si parla infatti di personalità della
prestazione dove i rapporti obbligatori possono avere effetti solo tra le parti contraenti. Ciò riguarda sia il
soggetto passivo che quello attivo.
- Dal lato passivo: Le cose cambiarono con la sponsio, quando si ammise che potesse essere usata per
obbligarsi in proprio di risarcire il danno allo stipulante in assenza dei requisiti promessi. Oggetto della
prestazione possono essere solo comportamenti propri e non altrui.
- Dal lato attivo: si parla di inammissibilità del contratto a favore di terzi. Nessuno nella stipulatio avrebbe
potuto stringere obbligazioni per altri, quindi contro il promittente che non avesse adempiuto poteva
agire lo stipulator, ma non il terzo. Si parla anche di intrasmissibilità delle obbligazioni nascenti da
contratto, quindi l’obbligazione non può cominciare della persona dell’erede.
SUCCESSIOla titolarità dei diritti e degli obblighi poteva subire modifiche mediante la sostituzione di un
soggetto con un altro, i romani parlano di successio con riguardo al fenomeno della successione universale
e anche quella particolarenessuno può trasferire ad altri maggior diritto di quanto abbia egli stesso.
PATRIMONIALITA’la prestazione deve essere suscettibile di valutazione in denaro;
POSSIBILITA’la prestazione deve essere possibile al momento della costituzione del vincolo, se poi
diviene impossibile in un momento successivo, si avrà risoluzione del rapporto per impossibilità
sopravvenuta.
LICEITA’la prestazione deve essere lecita, cioè non contraria al diritto, all’ordine pubblico o al buon
costume, a pena invalidità e improduttività degli effetti dell’atto negoziale.

55

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

DETERMINABILITA’la prestazione deve essere determinabile o determinata: di solito è concordata al


momento della costituzione del vincolo obbligatorio, ma talvolta le parti possono fare il rinvio a circostanze
esterne, in grado di individuare la prestazione, in tal caso sarà determinabile.
Tipi di obbligazione:
- OBBLIGAZIONI DIVISIBILI E INDIVISIBILI sono divisibili quelli in cui la prestazione sia suscettibile di
frazionamento (quando l’oggetto consista un dare); sono indivisibili quelle che non ammettono
esecuzione frazionate (per esempio quando l’oggetto sia un facere).
- OBBLIGAZIONI GENERICHE E ALTERNATIVEsono generiche quelle aventi ad oggetto la dazione di una
cosa o di una quantità di cose indicate solo nel genere (per esempio una data quantità di grano). Di
regola l’individuazione concreta del bene da dare spettava al debitore: vale il principio il genere non
perisce mai, quindi il debitore restava obbligato anche quando la res individuata fosse andata perduta
per causa a lui non imputabile; nelle obbligazioni alternative le prestazioni dedotte sono due o di più,
ma il debitore è liberato eseguendo una sola di esse. Di regola la scelta tra l’una o l’altra spettava al
debitore;
- OBBLIGAZIONI CUMULATIVE ED ELETTIVEentrambe obbligazioni solidari: nelle obbligazioni
cumulative, pur essendo unica la fonte dell’obbligo si producono tanti rapporti obbligatori quanti sono
gli autori del delitto o i soggetti offesi (vedi es. pag. 444); Si ha solidarietà elettiva quando sia sufficiente
la prestazione eseguita da uno dei debitori per liberare anche gli altri, ovvero in favore di unp solo dei
creditori, per soddisfare anche gli altri (vedi es. pag.444). Qui la prestazione è unica.
- OBBLIGAZIONI NATURALIsussiste il debito, manca però al creditore il diritto di agire. L’aggettivo
naturalis esprime l’inesigibilità dell’obbligo derivante da una valutazione dell’ordinamento, in
contrapposto alla pienezza della obligatio civilis. Il debito era irripetibile; tuttavia, se per qualsiasi
ragione il debitore avesse eseguito la prestazione naturale pur non essendovi tenuto, non avrebbe
potuto agire per la restituzione. In tal caso si riteneva che il creditore fosse stato soddisfatto
legittimamente e perciò che potesse andare indenne dall’eventuale azione intentata del debitore.

CONTRAHERE, MORA e responsabilità del debitore nella riflessione dei giuristi


Contrahere riguarda il momento generico del vincolo, abbiamo mora qualora vi sia un ritardo
nell’adempimento ma occorre valutare se il debitore sia responsabile.
- CONTRAHEREidea dello stringere un rapporto con altri soggetti sussiste dietro la costituzione di
qualsiasi vincolo obbligatorio e non deriva sempre da un atto volontario: si contrae un obbligo non solo
concludendo un contratto (dove il soggetto mira volontariamente ad assumere l’obbligo nascente da
contratto), ma anche commettendo un delitto (dove il colpevole deve sottostare ad un’obbligazione
impostagli dall’ordinamento).
- MORA impedimento alla normale esecuzione del rapporto obbligatorio. La mora può essere:
 MORA CREDITORISconsiste nel rifiuto opposto dal creditore a ricevere quanto a lui dovuto
dal debitore, al quale la responsabilità si riduce al minimo né se la prestazione diventi
impossibile, il debitore sarà responsabile solo se si provi una sua condotta dolosa.
Diversamente se il debitore si dichiari pronto ad adempiere e i beni oggetto di prestazioni
periscano dopo la mora creditoris, il debitore sarà liberato. Inoltre la mora del creditore fa sì
che il debito, se fruttifero, cessi di produrre frutti o interessi;
 MORA DEBITORISinadempimento di una prestazione di cui è ancora possibile l’esecuzione.
Occorre determinare il momento in cui si deve adempiere per verificare in concreto le
intenzioni del debitore: si esprima l’idea di un’interrogazione rivolta al debitore al fine di
accertare la volontà di quest’ultimo. Ciò avviene qualora l’obbligazione preveda l’adempimento
in una data precisa e nel cosa in cui l’obbligo derivi dalla commissione di un illecito: la nascita
dell’obbligazione è immediata. Dal momento della interpellatio la responsabilità del
debitore inadempiente si aggravava: egli sarà tenuto a rispondere verso il creditore per
qualsiasi evento che abbia provocato il perimento della res o per impossibilità di eseguire
quanto dovuto. Quindi la sua responsabilità diventa oggettiva, pur se la prestazione diventi
impossibile per una causa a lui non imputabile come in caso fortuito o di forza maggiore.

56

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Emerge l’idea dei giuristi del perpetuarsi dell’obbligazione, nel senso che non potranno più sussistere
ragioni giustificative della mancata prestazione. Il debitore in mora dovrà corrispondere al creditore i frutti
della cosa o gli interessi del suo debito. Si riconobbe al debitore di liberarsi della mora qualora riesca a
provare che la cosa dovuta sarebbe perita ugualmente anche se l’avesse eseguita puntualmente. La mora
può essere sanata qualora il debitore si renda disponibile ad adempiere, pure tardivamente.
Criteri di imputazione in base al tipo di azione spettante al creditore e al convenuto della prestazione
dovuta.
Le obbligazioni tutelate da actiones stricti iuris possono consistere in un dare (quando lo schiavo è stato
consegnato ma ferito(comportamento commissivo) o lo schiavo oggetto di consegna è stato lasciato morire
(comportamento omissivo)) oppure in un facere.
Si parla bonae fidei iudicia per precise qualificazioni della condotta attinenti all’atteggiamento psicologico
(dulus e colpa) oppure al nesso tra l’evento e l’imputazione del medesimo in capo al debitore.
DOLUS E CULPA: sono parametri soggettivi e riflettono un preciso atteggiamento psicologico del debitore:
costui può aver voluto intenzionalmente recar danno al creditore, e si avrà il dolus; oppure può aver
causato la medesima situazione per negligenza, imprudenza o imperizia, e sarà allora responsabile per
culpa (mancanza di diligenza)
CUSTODIA: costituisce un criterio oggettivo, ossia che il debitore è considerato responsabile per
l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, nonostante che abbia preso tutte le precauzioni necessarie
per evitare il verificarsi dell’evento.
UTILITAS CONTRAHENTIUM: la responsabilità del debitore si amplia o si restringe secondo che il rapporto
obbligatorio sua vantaggioso per lui, per il creditore o per entrambi (es. pag. 451).
DEROGHE SU ACCORDO DELLE PARTI: le parti hanno facoltà di variare il quantum di responsabilità, ma non
di escludere il dolo. Di regola invece non si risponde per eventi rientranti nel caso fortuito o nella forza
maggiore. Al medesimo risultato si perviene con AESTIMATIO: qualora il rapporto obbligatorio abbia ad
oggetto una res , le parti possono procedere alla stima preventiva del valore economico di questa,
accordandosi nel senso che nel caso di suo perimento per qualsiasi causa il debitore sia tenuto a
corrispondere il valore stabilito forma convenzionale di assunzione del rischio.
DILIGENTIAviene collegata a un parametro ideale, il bonus pater familias, in base al quale si misura la
cura e la diligenza prestata in concreto nel singolo caso.
Gli attributi bonus et diligens qualificano la figura del pater come persona dotata di equilibrio, prudenza,
saggezza, accortezza. In sintesi vi sono ipotesi in cui il debitore doveva prestare la diligenza del buon padre
di famiglia, altre in cui la misura era data dalla diligenza abitualmente prestata nelle proprie cose.
Si delineano poi i concetti di culpa in abstracto (comprendente la culpa lata, levis, levissima) e in concreto
(corrispondente all’assenza di diligentia quam suis.
Concetto di periculum per indicare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dipendente da vis maior o
casus fortuitus e il rischio del mancato adempimento derivante da un evento inimputabile al debitore.
Sorge il problema della ripartizione del rischio contrattuale. Di solito esso ricade sul creditore, a meno che il
debitore non abbia assunto su di sé il periculum.

OBLIGATIONES CONTRACTAE
Si intesero obbligazioni costituite lecitamente. Restano fuori le obbligazioni emerse nella sfera giuridica
dopo il Principato. Quindi si intesero obbligazioni contratte solo le obbligazioni contratte verbis, litteris, re,
consensu.

OBBLIGAZIONI VERBIS CONTRACTE


Le obbligazioni più antiche furono quelle in forma orale, e avevano rigore giuridico soltanto se costituite
con la pronuncia di frasi solenni (certa verba), abbiamo: la stipulatio (evoluzione laica della sponsio) con le
sue svariate applicazioni: assegnazione di dote, promessa giurata del liberto. Abbiamo poi la vadiatura e
prediatura.

57

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

SPONSIO E STIPULATIO
 Sponsiogiuramento religioso promissorio, vi si ricorreva per assumersi la responsabilità per un fatto
oggettivo, oppure per la prestazione che un terzo doveva effettuare. Si poteva avere assunzione di
responsabilità o per un dare, o un facere i un no facere. Era caratterizzata da formalismo e solennità
verbalemodalità di contrarre obbligazione mediante domanda e risposta orali. La sponsio comincio ed
essere usata affinchè lo sponsor (promittente) assumesse la responsabilità per la propria prestazione.
Era incardinata in ambito di ius civile.
 Stipulatioper estendere la sponsio anche ai rapporti commerciali con e tra peregrini, si ammise che
l’obbligazione potesse nascere pure dalla pronuncia di vocaboli diversi da spondere, accessibili agli
stranieri con l’uso di altri verbistipulatio iuris gentium, in quanto contratto verbale aperto agli
stranieri.
Negli ultimi due secoli della repubblica romana, la sponsio era ormai comunemente denominata stipulatio:
forma di scambio di domanda e risposta tra lo stipulans, il creditore che rivolgeva l’interrogatio, e il
promissor, debitore che pronunciava la risposta. L’obbligazione sorgeva così in favore dello stipulans.
Per la sua validità era necessario che il debitore promittente rispondesse:
- Oralmente
- Subito dopo che gli fosse stata rivolta la domanda
- Utilizzando lo stesso verbo usato dal creditore
Conseguenze:
- Inaccessibilità della stipulatio a muti e sordi
- Invalidità del contratto a distanza (tra assenti)
- Impossibilità di costituzione dei rapporti tra soggetti diversi dallo stipulans e promissor
Ne consegue il principio per cui il negozio giuridico può regolare soltanto il rapporto tra le parti che lo
concludono. Fu esclusa la validità della stipulatio post mortem, il contratto verbale da estinguersi dopo la
morte dello stipulans o del promissor. La regola dell’invalidità della stipulatio post mortem fi poi soppressa
in età giustinianea, quando si ammise la validità delle stipulazioni con effetto post mortem, ma soltanto se
favorevoli all’erede. Gaio ritiene invalida anche la stipulazione a carico dei terzi, quando si costituisce un
obbligo a carico di un soggetto diverso dalle parti negoziali.
La stipulazione contratta a favore dei terzi invece, da cui nascessero un diritto di credito e la relativa azione
in favore di un terzo estraneo, era comunque invalida perché era incompatibile con il principio generale
della inutilitas degli atti volti a regolare rapporti facenti capo a terzi e l’oggetto della stipulazione non
offriva alcun vantaggio economico ai contraenti. Implicava che la sfera giuridica del terzo non potesse
essere invasa senza la sua accettazione, neppure con la produzione di rapporti giuridici per quest’ultimo
vantaggiosi.
Si cominciarono poi a considerare una serie di espedienti per aggirare il principio di nullità del contratto in
favore del terzo ma ciò a condizione che risultassero: l’interesse del terzo al negozio concluso in suo favore
e la sua accettazione degli effetti dell’atto.
La sponsio era un contratto verbale unilaterale (l’obbligazione nasceva soltanto a carico del promittente) e
tendenzialmente astratto (una volta soddisfatti i requisiti di forma segnalati, poteva non rilevare altro).
I verba da pronunciarsi divennero oggetto ci conventio (accordo) e si diffuse la prassi, nel I sec. a.C., di
redigere testationes (documentazioni scritte) delle stipulazioni, ma solo a fini probatori, che si collegava alla
prassi della tutela processuale della stipulatio.
Con l’avvento delle procedure formulari, l’azione nascente da stipulatio (actio ex stipulatu) si presentava
come un’azione fondata sullo ius civile. La natura astratta della stipulatio costituiva un rischio per il
promissor, come nel caso di stipulatio per la restituzione di una somma in previsione di un mutuo, il
promissor veniva convenuito il giudizio con actio ex stipulatu per una somma che non aveva mai ricevuto;
compare quindi un eccezione a favore del promissor, di mutuo non erogato, per ragioni di equità.
FAVOR PROMISSORsi osserva che il promittante, non avendo ripetuto oralmente le condizioni del
contratto, ma soltanto risposto laconicamente in senso affermativo con il verbo richiesto, poteva non evere
compreso del tutto l’oggetto dell’obbligazione contratta, quindi si elaborò il canone del favore per il
promittente, con il quale si doveva propendere per la soluzione più favorevole al promittente.

58

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

ATTENUAZIONE DEL FORMALISMO VERBALE E DELL’ASTRATTEZZA


Nel corso dell’età imperiale in rigoroso formalismo della stipulatio si incrinò, e si conferì maggiore
importanza al consenso delle parti per considerare valida la stipulatio. Si inseriva la clausola stipulatoria
nella parte finale del documento, che attestava l’avvenuta stipulazione orale, benchè questa in realtà non
fosse stata effettuata. Quindi il documento non aveva più mero valore probatorio, ma costitutivo: una volta
redatta la testatio si dava fittiziamente per avvenuto lo scambio di domanda e risposta tra le parti negoziali.
Nel 531 d.C., Giustiniano sancì la validità delle stipulazioni effettuate esclusivamente mediante scrittura:
forma scritta veniva richiesta ad substantiam e la stipulatio si trasforma in un documento scritto,
instrumentum. Applicazioni della stipulatio:
- Stipulatio poenae (stipulazione di penale)realizzava la funzione della pena convenzionale, clausola
aggiuntiva opponibile alle stipulazioni, con cui si prevedeva che in caso di inadempimento
dell’obbligazione primaria questa si convertisse nell’obbligo di pagare una data somma di denaro, a
titolo di penale. Così si spronava il promissor all’adempimento, predeterminando un summa
condemnationis.
- Dotis primissio promessa di dote mediante stipulatio, con cui la donna nubenda, o il suo pater, si
impegnava in favore del futuro marito a costituire una dote
- Stipulazioni novatoriefinalizzata alla novazione
- Stipulazione aggiuntiva (adstipulatio)stipulazione accessoria dal lato attivo: un creditore accessorio
(adstipulator) si aggiungeva al creditore principale. Anche l’adstipulator rivolgeva la domanda al
promissor e il debitore rispondeva, creando così, una solidarietà attiva tra i due creditori, uno
qualunque dei due poteva esigere il pagamento. L’adstipulator doveva consegnare al creditore
principale quanto riscosso dal debitore, altrimenti poteva essere convenuto in giudizio con l’azione
nascente da mandato.
- Adiectus solutionis causa in forza di tale stipulazione, si istituiva un secondo soggetto, accanto allo
stipulans, come delegato a ricevere la prestazione e il debitore poteva liberamente scegliere se
effettuare la prestazione a favore dello stipulans o dell’adiectus;
le stipulazioni di garanzia personale:
- Adpromissio (stipulazione di promessa aggiuntiva) per garantire l’adempimento delle obbligazioni
nascenti da contratto. Il garante promittente si impegnava alla medesima prestazione già oggetto di
stipulazione intervenuta tra i due soggetti. Dopo la costituzione dell’obbligazione principale, il creditore
rivolgeva al garante del debitore la domanda, cui il garante rispondeva. Si costituiva così un’obbligazione
a carico di un terzo, il quale si assumeva la responsabilità per l’adempimento cui era tenuto il debitore
- Sponsio e fedeipromissiola sponsio con funzione di autogaranzia, una volta evolutasi in stipulatio
laica, si affiancò presto la fedeipromissio, utilizzabile anche tra i rapporti con e tra stranieri. Sponsio e
fedeicommissio potevano accadere esclusovamente ad obbligazioni verbali, assenza del reresso tra
garante e debitore principale, nel senso che, il creditore poteva esigere la prestazione a sua scelta o dal
garante o dal debitore principale. Ma qualora richiedesse l’adempimento dal garante, questo non
poteva rifarsi sul debitore principale. Entrambe erano accessorie, nel senso che erano invalide se non
esisteva l’obligatio ex stipulatu del debitore principale: una volta estinta l’obbligazione da parte del
debitore principale, veniva meno anche l’obbligazione di garanzia. Gaio poi ci informa che i garanti
potevano ripetere dal debitore principale quanto avevano pagato al creditore, mediante actio manati.
Lex Publìlia de spònsu
Legge di data incerta, contenente disposizioni in materia di sponsio e fidepromìssio (così come le seguenti
leggi). Stabilì che il garante, che avesse adempiuto il debito garantito, poteva agire per manus iniectiònem
nei confronti del debitore; quando il sistema delle legis actiònes [vedi legis actio] fu sostituito da quello
formulare, al garante fu concessa una c.d. actio depèns
Lex Appulèia de spònsu
Legge risalente all’incirca alla fine del III sec. a.C. che stabilì che se il creditore agiva in sòlidum contro uno
dei cogaranti, ottenendo da questo l’intero pagamento del dèbitum, il cogarante che avesse pagato per
l’intero poteva agire contro gli altri cogaranti, in regresso, ciascuno per la sua parte. Giova precisare che il
creditore non era vincolato ad agire preventivamente nei confronti del debitore garantito, prima di

59

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

escutere i cogaranti. Solo in età postclassica, infatti, Giustiniano accordò al garante il c.d. beneficium
excussionis.
Lex Fùria de spònsu
Legge di data incerta (ma comunque più recente rispetto alla lex Appulèia de sponsu), che stabilì per le
obbligazioni derivanti da sponsio e fidepromissio, la durata massima di due anni: se i soggetti obbligati in
garanzia erano più di uno, il creditore poteva agire contro ciascuno pro quota, mentre il garante che avesse
pagato più della quota di sua spettanza poteva agire per manus iniectiònem nei confronti del creditore.
- Fedeiussioche soppianta sponsio e fedeicommissio: Contratto verbale, di regola adoperato a
scopo di garanzia, al pari della spònsio e della fideipromìssio. Si trattava di una stipulatio, di cui costituiva
una delle possibili applicazioni. Si affermò verso la fine dell’età repubblicana ed aveva un regime diverso da
quello delle altre due figure. Essa, a differenza della sponsio e della fidepromissio, poteva essere riferita a
qualunque tipo di obligàtio, anche non ex stipulàtu. Inoltre, l’obbligo di garanzia non si estingueva con la
morte del soggetto, ma era trasmissibile agli eredi. Non era previsto il limite temporale biennale proprio
della sponsio e della fidepromissio. In epoca classica, il creditore poteva rivolgersi, indifferentemente, al
debitore principale o al fideiussore; se il fideiussore pagava non aveva diritto di rivalsa verso eventuali altri
cofideiussori, né aveva un’apposita azione contro il garantito, ma doveva agire con l’àctio mandàti o con
l’actio negotiòrum gestòrum. L’imperatore Adriano, però, stabilì che in caso di più fideiussori l’obbligazione
fosse divisa tra loro ed attribuì al singolo fideiussore un benefìcium divisiònis che poteva esser fatto valere
in via di excèptio *vedi+, contro il creditore che avesse citato lui solo per l’intero. Se poi pagava, il
fideiussore godeva del beneficium cedendàrum actiònum, per effetto del quale il creditore gli cedeva la
propria azione contro il debitore principale. In epoca giustinianea, assorbì le altre due figure e divenne
l’unica obbligazione di garanzia riconducibile allo schema dell’adpromìssio.
Lo sviluppo dell’istituto era ormai definitivamente orientato verso il carattere sussidiario dell’obbligazione
del fideiussore e ciò avveniva per effetto del beneficium excussiònis, che attribuiva la facoltà (accordata da
Giustiniano) di esigere che il creditore dirigesse la sua pretesa prima contro il debitore principale e, solo se
questi era insolvente, contro il fideiussore.

GLI ALTRI CONTRATTI VERBALI


- Dotis dictio (costituzione di dote)Atto unilaterale, verbale, attraverso il quale, mediante una stipulatio, si
conseguiva l’effetto della costituzione di un credito del marito sui beni dotali; a tale fine si pronunciava la
formula solenne “doti tibi tot èrunt” da parte del solo costituente. Poteva essere compiuta dal pater
familias o dal debitore della donna per ordine di questa ed aveva effetti non reali, ma obbligatori. Accanto
ad essa vi erano, quali mezzi di costituzione della dote, la promìssio dotis e la dàtio dotis (con le quali cadde
in desuetudine la dotis dictio).
- Iusurandum liberti (giuramento del liberto) promessa solenne unilaterale giurata dal liberto fatta al suo
patrono, con la quale lo schivo manomesso si impegnava aa compiere una serie di prestazioni in favore del
dominus manumissor. Se il liberto veniva meno all’impegno preso, poteva essere convenuto in giudizio con
l’actio operarum (azione per le opere dei liberti).
- VadiaturaContratto verbale attraverso il quale, nell’ambito del processo per lègis actiònes , un soggetto
(vas) assicurava che il convenuto sarebbe comparso in giudizio. Si trattava di un’antica figura di garanzia
personale. I vades (garanti) nel processo per lègis actiònes, garantivano la presenza del convenuto in iure;
costituivano, una figura arcaica di garanzia personale (insieme ai praedes). Il vadimonio: invito solenne a
comparire in tribunale, in giorno ed ora stabiliti, rivolto dall’attore al convenuto e seguito dalla promessa di
una penale, fatta da quest’ultimo, nella forma della stipulàtio per il caso di mancata comparizione.
- PrediaturaContratto verbale a scopo di garanzia, sorto nell’ambito della procedura per legis actiones.
Mediante essa più soggetti (praedes) assicuravano che la parte alla quale era stato assegnato in via
provvisoria il possesso della cosa durante il processo, la restituisse in caso di condanna (praedes litis et
vindiciàrum: Nella lègis àctio sacramènti in rem, erano i garanti, che dovevano essere indicati dal
possessore interinale della cosa controversa, al fine di assicurare la restituzione della stessa. ), oppure
garantivano il pagamento del sacramèntum nella procedura della lègis àctio sacramenti. In età storica essa
sopravvisse nei contratti degli appaltatori di opere pubbliche. Prædes (garanti) erano, coloro che
assumevano una garanzia in ordine ad una determinata situazione processuale. In caso di mancato

60

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

adempimento del soggetto garantito, aveva luogo, in danno dei praedes una procedura di esecuzione
coattiva, nella quale non è dato sapere molto.
Ma i preades come i vades scomparvero presto, già all’epoca di Gaio non si faceva più ricorso.

OBBLIGAZIONI LITTERIS CONTRACTAE


Obbligazioni contratte mediante scrittura, si indicano le obbligazioni giuridicamente vincolanti dallo ius
civile, in quanto nascenti dalla scrittura effettuata da entrambe le parti negoziali. Oggetto di tali
obbligazioni risulta essere solo un dare.

Gaio annovera i nomina trasscripticia (crediti trascritti) collegati al sistema di contabilità familiare: il pater
usava registrare quotidianamente, mediante scritturazioni dette nomina arcaria negli adveraria (registro di
casa), ogni movimento patrimoniale. E dovevano essere copiate mensilmente il un libro contabile delle
entrate e delle uscite (codex accepti et expensi). I nomina arcaria non creavano e non estinguevano alcuna
obligatio, in quanto relative a negozi già conclusi in altro modo. Avevano rilievo giuridico esclusivamente sul
piano probatorio. La riproduzione dei movimenti patrimoniali nel codex accepti et expensi sortiva
conseguenze: o la costituzione di una obbligazione ex novo o l’estinzione di una obbligazione
precedentemente assunta o la trasmissione in obbligazione letterale di una obbligazione prima sorta in
altro modo o una novazione soggettiva.
Ciascun codex accepti et expensi era diviso in due colonne, quella dell’acceptum (colonna delle entrate con
l’indicazione della persona che aveva versato il denaro) e expensum (colonna delle uscite con l’indicazione
del soggetto cui il denaro era stato consegnato dallo scrivente). Il riconoscimento di effetti costitutivi, o
estintivi, o modificativi a queste attestazioni unilaterali va ricondotto al forte significato religioso e sociale
anticamente attribuito al codice delle entrate e delle uscite, ma le falsificazioni al suo interno divennero
frequenti. L’editto del pretore previde pertanto la concessione dell’exceptio doli nei confronti dei falsi
creditori, i quali ricorressero alla tutela giurisdizionale per fare valere le loro registrazioni fraudolente.
Già sul finire dell’età repubblicana l’expensilatio veniva usata a scopo di novazione di un’obbligazione
preesistente. La nuova espressione con cui si indicava la expensilatio fu il nomen transcripticum (credito
trascritto), per cuise si era già costituita un’obbligazione tra due soggetti, si poteva modificare, operando
un’idonea trascrizione del credito nel codex accepti et expensi. Si distingue in:
- Trascrizione reale valeva a trasformare in obbligazione letterale una obbligazione precedente
contratta in altro modo, la quale si estingueva. Questa novazione aveva lo scopo di precostituire un
semplice ed efficace mezzo di prova dell’obbligazione , oppure a facilitarne l’estinzione.
- Trascrizione personaleutilizzata per surrogare un debitore già obbligatosi litteris con un altro debitore:
si dava fittiziamente per adempiente il debitor originario registrando il suo nome nella colonna
dell’ecceptum, mentre si scriveva il nome del nuovo debitore nella colonna dell’expensum.
Pur escludendo gli stranieri dal ricorso alla transscriptio per la novazione soggettiva, si pronunciarono in
senso affermativo almeno con riguarda alla trascrizione reale.
Le obbligazioni letterali applicate in età imperiale avanzata:
 Singrafe Istituto in uso, dapprima, presso i Greci e successivamente recepito in diritto romano, tra i
contratti letterali. La singrafe era, in particolare, un documento redatto in doppio originale sottoscritto
da entrambi i soggetti, contenente l’impegno a pagare una certa somma. Esse avevano efficacia
rappresentativa dell’obligatio che, in pratica, si incorporava nel documento e si estingueva con la
distruzione di questo. In età postclassica, si avvicinarono all’instrumentum stipulatorio fino a
confondersi con esso.
 Chirografoera un documento redatto in un unico originale dal debitore e consegnato da questi al
creditore quale impegno di pagamento. Secondo parte della dottrina, tale documento aveva solo
efficacia probatoria relativamente ad obbligazioni preesistenti; per contro altra dottrina ritiene che esso
probabilmente avesse efficacia non solo costitutiva, ma persino rappresentativa dell’obbligazione, che si
reputava incorporata nel documento e quindi estinta con la distruzione dello stesso. Il chirografo
rientrava nell’ambito delle obbligazioni lìtteris contràctæ. L’istituto, probabilmente di derivazione
orientale (greca od egiziana), appartenne in origine al iùs gentium, che regolava i rapporti tra stranieri;
presenta notevoli punti di contatto con i moderni titoli di credito.

61

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

 Tesserae sottospecie dei chirografi. Le tessere erano piccoli quadrati o rettangoli di materiale ligneo o
metallico, che si rilasciavano, da parte della pubblica autorità o di imprenditori privati, a chi avesse
diritto a una determinata prestazione, per esempio l’ingresso in un teatro o la consegna di una certa
quantità di grano.

OBLIGAZIONE RE CONTRACTAE
Obbligazioni contratte mediante la consegna della cosa, nascevano dalla dazione di una cosa.
LA CATEGORIA DEI CONTRATTI REALI: tra le obbligazioni reali si annoverano: il mutuo, deposito, comodato,
pegno, l’indebito pagamento: secondo cui l’obbligazione reale nasceva esclusivamente quando una persona
trasferiva a un’altra proprietà di una data quantità di cose fingibili, come appunto accadeva per il mutuoe in
caso di indebito pagamento. Gaio però non annovera la fiducia tra le obligationes re contractae.
I giuristi tardo imperiali ravvisano obbligazione reali in fattispecie numerose e svariate, in cui gli obblighi
nascevano non soltanto dal passaggio di proprietà della cosa , ma anche dalla semplice consegna materiale
di questo. Così la trasmissione del possesso o la mera detenzione della cosa dettero luogo alla creazione di
obblighi: mutuo, comodato, deposito, pegno. La solutio indebiti non venne messa tra le obligationies re
contractae in quanto, a differenza delle altre figure, non si fondava sul consenso delle parti. Quindi
l’elemento centrale delle obbligationes re contractae cessò di essere il trasferimento della proprietà della
cosa, per divenire il trasferimento consensuale della cosa
 FIDUCIAespediente più antico per la creazione di un dovere di restituzione a carico di chi avesse
ottenuto una cosa a fini di garanzia, custodia o prestito. La fiducia si distinse nelle due applicazioni della
fiducia cum creditore e fiducia cum amico. La fiducia cum amico costituì il precedente storico del deposito,
ma anche del comodato: si basava sul trasferimento gratuito, di dominium del fiduciante al fiduciario. La
trasmissione della proprietà del bene con patto di ritrasferimento assolveva alla funzioni di:
a) Custodia da parte di un amico
b) Prestito d’uso, nell’interesse del fiduciario
c) Donazione per causa di morte
d) Affrancazione dello schiavo
La vendita fiduciaria all’amico serviva principalmente a fare sì che una persona (amico) usasse o custodisse
transitoriamente una cosa e poi ne ritrasferisse la proprietà all’originario dominus. La vendita fiduciaria era
intesa a realizzare il trasferimento fiduciario di un bene per un certo scopo, con l’intesa che una volta
raggiunta o non realizzata la finalità prevista, la cosa fosse ritrasferita al fiducianteattuazione di un
doppio trasferimento della proprietà.
Due espedienti intervennero a compensare i difetti:
1. Usureceptio, l’usucapione abbreviata di cui si è già parlato a proposito della fiducia cum creditore;
2. Intervento pretorio, che facendo leva sul patto fiduciario, introdusse l’actio fiducae con iudicium bonae
fidei. Actio fiduciae: azione conseguente alla mancata osservanza di un contratto fiduciario
Azione concessa al fiduciante che avesse alienato una res màncipi al fiduciario con l’intesa (c.d. pactum
fiduciæ) che la stessa gli fosse restituita al verificarsi di determinate condizioni, nel caso di mancata
restituzione. Se ne conosce una formula in factum per la restituzione della cosa mancipata in relazione
al contenuto del pactum fiduciæ, cui fece ben presto seguito un’actio fiduciæ in ius ex fide bona.

 MUTUO contratto unilaterale, a titolo gratuito, in virtù del quale in mutuante trasferiva la
proprietà di una certa quantità di denaro o di altre cose fungibili e consumabili al mutuatario, conl’accordo
che quest’ultimo restituisse, alla scadenza fissata, la stessa quantità di cose fungibili ricevute
approssimativamente della medesima qualità. Una volta che il mutuante effettuava la datio rei traslativa di
proprietà, a carica del mutuatario nasceva l’obbligo alla restituzione. Il mutuante diveniva creditore
dell’accipiente. Qualora non fosse stato fissato il termine perla restituzione, questa era immediatamente
esigibile dal mutuante. La funzione del mutuo fu quella del prestito di consumo.
La gratuità del mutuo, secondo i romani fu connaturata alla struttura stessa del mutuo e da essa
dipendente, in quanto era inconcepibile, a rigore di ius civile, che si fosse tenuti a restituire più di quanto si
era ricevuto.

62

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Per quanto riguarda la situazione giuridica del nexum (affine ma non identica a quella del mutuatario), era
la persona che, pur senza perdere la libertà e la cittadinanza romana, garantiva con il proprio corpo e con le
proprie prestazioni lavorative, l’adempimento di un obbligazione propria o altrui
Con il mutuo si trasferiva la proprietà, non il possesso o la detenzione della cosa: trattandosi di cose
fungibili e consumabili dati a fine di utilizzazione, queste res non potevano essere usate dal mutuatario se
non con la loro perdita o distruzione. Effetti del mutuo:
a) L’acquisto della proprietà della cosa mutuata in capo all’accipiente
b) La nascita dell’obbligo del mutuatario alla restituzione non della cosa stessa.
Era la datio rei, e non il consenso, a determinare la nascita dell’obbligazione. L’obbligo gravava in via
esclusiva sull’accipiente mutuatario, si parla perciò di contratto unilaterale.
Il creditore mutuante poteva agire nei confronti del mutuatario che non avesse effettuato la restituzione
entro i termini stabiliti.
L’obbligazione del mutuatario era circoscritta nei limiti della res ricevuta. La gratuità del mutuo escludeva
che si potesse concordare la restituzione di più di quanto si fosse ricevuto.
LA PRASSI DEI MUTUI FENERATIZI: il mutuo non poteva contenere in sé una valida convenzione di
corresponsione di interessi da parte del mutuatario. Ma un’ampia documentazione ci dimostra di fatto che
il mutuo non veniva concesso gratuitamente in quanto la società romana non nutriva alcun pregiudizio di
tipo morale nei confronti di chi prestava denaro ad interesse. Il mutuo feneratizio si reputava una normale
forma di commercio.
Ma una volta realizzatosi il passaggio dall’economia pastorale all’economia monetaria a diffusosi in prestito
di denaro, le usure risultavano inadeguate, in quanto il denaro non produce frutti naturali. La plebe non
riuscì più a fare fronte ai debiti accumulati e fu introdotto un limite legale, stabilendo una penale a carico
del trasgressore.
Al fine di aggirare il principio della gratuità del mutuo, i mutuanti potevano esigere legalmente gli interessi
se, all’atto della datio rei, con apposita e separata stipulatio, avessero concordato con il mutuatario il
pagamento delle usure. La stipulazione di interessi consentiva al creditore di esercitare nei confronti del
mutuatario l’actio ex stipulatu, in caso di mancato pagamento degli interessi
Per quanto riguarda l’obblifgazione naturale nascente da pactum usurarum dal quale non nasceva né
l’obbligazione né la tutela giurisdizionale. Il mutuante non poteva convenire in giudizio il mutuatario con il
quale avesse stretto un semplice pactum usurarum. Ma il pagamento spontaneo da parte di quest’ultimo,
pur non essendo giuridicamente tenuto a farlo, non poteva più chiederne la restituzione.

 SOLUTIO INDEBITISi aveva nei casi in cui un soggetto eseguiva una prestazione di dare non
dovuta o perché l’obbligazione era inesistente o perché esisteva, ma in capo ad un debitore o nei confronti
di un creditore diversi: in questo caso, chi pagava poteva agire per ottenere la restituzione di quanto
indebitamente prestato, ricorrendo allo strumento della condìctio indebiti.
L’obbligo di restituire nasceva per il semplice fatto che si fosse consegnata la cosa: peraltro, poiché
l’accipiente acquistava, in seguito alla dazione, la proprietà della cosa, il solvente non poteva esperire la rèi
vindicàtio, bensì la condictio per la restituzione del tantùndem eiùsdem gèneris.
Si ritenne, inoltre, che per l’esperibilità della condictio occorressero:
- l’error solvèntis, in quanto in assenza dell’errore si riteneva che il debitore volesse gratificare
l’accipiente;
- l’error accipièntis, in quanto, se l’accipiente riceveva scientemente un indèbitum, si riteneva che si
verificasse un furtum, con la possibilità dell’esperimento della condictio ex causa furtìva.
Sia il diritto classico che quello giustinianeo non consentirono l’esercizio della condictio nel caso in cui il
pagamento dell’indebito, pur se fatto per errore, intendeva estinguere una c.d. obligàtio naturalis. In tal
caso l’accipiente aveva diritto alla solùti retèntio, cioè a trattenere quanto ricevuto.
In diritto giustinianeo, la solutio indebiti fu annoverata tra i quasi contracti.

63

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

 DEPOSITOL’istituto del deposito fu preordinato a realizzare una delle finalità della fiducia cum
amico, evitando il rischio derivante dal trasferimento della proprietà delle cose date in
custodia. Contratto reale, tipico, perfezionantesi con la consegna di una cosa mobile che una parte
(depositante) faceva all’altra (depositario), con l’obbligo per quest’ultima di custodirla gratuitamente e di
restituirla a richiesta del depositante. La consegna (tradìtio) comportava il trasferimento al depositario
della mera detenzione della cosa (possèssio naturàlis ). Oggetto del deposito doveva essere una cosa
mobile ed infungibile. Si trattava di un contratto gratuito, poiché il depositario non riceveva alcun
compenso per la custodia. Se fosse stato previsto un sia pur minimo compenso, non si aveva più deposito,
ma locazione. Differiva dal deposito il mandàtum ad custodièndum, vale a dire l’incarico di custodire una
cosa: mentre il deposito si perfezionava con la dàtio rèi (consegna della cosa), il mandatum era un
contratto consensuale, come tale perfezionantesi a seguito del mero incontro delle volontà dei contraenti.
Il depositante era tutelato da un’àctio in factum accordata dal pretore, azione poi trasformatasi in actio ex
fide bona. Al depositario, invece, era accordata un’actio contraria, con la quale egli poteva far valere,
contro il depositante, le pretese relative all’indennizzo delle spese sostenute per la manutenzione della
cosa e al risarcimento dei danni arrecati dalla cosa depositata. Le fonti romane contemplavano figure
peculiari di deposito:
- deposito necessario Figura particolare di deposito, altrimenti detto depositum miserabile,
ricorrente in casi di eccezionale gravità ed urgenza; la consegna del bene, infatti, veniva effettuata
dal depositante in occasione di tumulto, incendio, rovina, naufragio. In tale ipotesi si prevedeva
una più grave responsabilità del depositario in caso di rifiuto di restituzione del bene, infatti l’actio
in factum concessa dal pretore era in duplum.
- Sequestro convenzionale Figura particolare di deposito, ricorrente allorquando più
persone depositavano in solido la cosa, con l’obbligo per il depositario di custodirla e restituirla a
colui che, in seguito, si fosse trovato in una determinata situazione legittimante (ad es.: a chi
vinceva la lite relativa alla cosa stessa). Mentre il depositario era considerato semplice detentore,
il sequestratario era considerato possessore e poteva esercitare gli interdìcta a tutela
della possessio.
- deposito irregolareFigura peculiare di deposito consistente nella consegna di cose
fungibili (generalmente somme di danaro) effettuata dal depositante al depositario, con l’obbligo
per quest’ultimo di restituire il tantùndem eiùsdem gèneris (altrettante cose dello stesso genere) ad
una certa scadenza oppure a richiesta. Secondo i giuristi dell’età classica tale figura era da
considerarsi come contratto di mutuo, poiché si prevedeva per il depositario una facoltà (quella
di usare la cosa) estranea al contratto di deposito. Solo in epoca giustinianea fu considerato un
tipo contrattuale autonomo rispetto al mutuo ed alla stessa figura generale di deposito.

 COMODATOContratto reale, che si perfezionava mediante la consegna di una cosa da un


soggetto (comodante) ad un altro (comodatario) affinché quest’ultimo la usasse gratuitamente, assumendo
l’obbligo di restituirla. Il comodato ignoto al diritto romano arcaico, fu introdotto dal diritto pretorio, che
riconobbe al comodante l’esperibilità di una àctio in factum, poi divenuta actio in ius ex fide bona, per la
restituzione della cosa comodata. Oggetto del comodato doveva essere una cosa corporale ed
inconsumabile; una cosa consumabile poteva darsi in comodato solo per un uso diverso da quello normale
(che non ne comportasse la consumazione), come le monete date ad pompam o ad obstentatiònem (“per
l’esibizione e l’ostentazione”: espressione adoperata per indicare il comodato di beni consumabili col patto
che questi non fossero consumati ma soltanto utilizzati dal consegnatario per farne mostra.
Ricordiamo che si tratta di una figura eccezionale, in quanto, di regola, il comodato ha ad oggetto beni
inconsumabili). Il comodato era un contratto gratuito ed unilaterale, poiché nessuna obbligazione nasceva
in capo al comodante. Il comodatario poteva usare la cosa nei limiti impostigli dal comodante o, in
mancanza, nei limiti della sua normale destinazione; se usava la cosa eccedendo tali limiti,
commetteva furtum usum. Questi aveva la facoltà, trasmissibile agli eredi, di revocare a proprio arbitrio la
concessione dell’uso della res data in comodato.

Tra i contratti reali figura anche il pegno, di cui abbiamo già trattato.

64

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

OBBLIGAZIONI CONSENSU CONTRACTE


Obbligazioni consensuali, nascenti dal consenso (incontro tra le volontà) dei contraenti. Si tratta di un
accordo produttivo di effetti giuridici.
A partire dal II sec. a.C., il pretore cominciò ad offrire tutela giurisdizionale ai suddetti schemi negoziali
sconosciuti a ius civile, il quale si avviava al suo definitivo decadimento, travolto dall’avvento nei nuovo
contratti di ius gentium, nascenti dalla prassi delle negoziazioni tra mercanti appartenenti ad aree
geografiche e comunità differenti. Si tratta di figure giuridiche plasmete sull’esigenza degli scambi indotti
da un’economia monetaria. Sono negozi agili e meno formali.
Il pretore riteneva meritevoli di tutela di quattro nuovi negotia, promise azioni a loro tutela. Quindi le
obbligazione nascono con il consenso: nella compravendita (emptio venditio); nella locazione (locatio
conductio), nel mandato e nella società.
Caratteristiche comuni ai nuovi contratti furono:
a) Estraneità all’antico ius civile per la loro matrice onoraria;
b) Caratterizzazione per l’elemento del nudo consenso con il contratto si intendeva venuto ad esistenza
c) Obbligatorietà degli effetti
d) Azionabilità ex fide bona
e) La natura di atti iuris gemtium, quindi accessibili anche agli stranieri
f) La possibilità che i contratto consensuali si concludessero validamente anche fra assenti.
g) La bilateralità reciprocità delle obbligazioni consensu contracte.

EMPTIO VENDITIO
Compravendita: contratto consensuale con cui il contraente, il venditore, si obbligava nei confronti della
controparte, il compratore (emptor), a consegnargli una cosa mobile o immobile, mentre il compratore si
obbligava nei confronti del venditore a dargli una somma di denaro: bilateralità del rapporto che si
instaurava con il consenso dei contraenti, appunto nascevano due distinte obbligazioni, con inserimento
nell’editto pretorio di due azioni, actio empti e actio venditi.
Ai tempi più antichi, lo ius civile aveva previsto la mancipatio, in iure cessio e traditio, per il trasferimento di
cose contro un prezzo.
La emptio venditio nei rapporti tra privati cittadini si configurò come:
- Negozio ius gentium, in quanto tale accessibile ai peregrini
- Contatto che si concludeva con il semplice consenso delle parti, che potevano essere anche assenti
- È un contratto con effetti meramente obbligatori
In origine gli elementi costitutivi furono: consenso, cosa, e il prezzo.
Per consenso sulla medesima decisione si intendeva l’accordo tra le parti circa il successivo trasferimento
del possesso della cosa dal venditore al compratore e il successivo pagamento di un determinato prezzo dal
compratore al venditoreera la nuda volontà a dare vita all’emptio venditio. Ove vi fosse discordanza tra
le due volontà, la vendita non veniva ad esistenza.
In età tardo-imperiale cominciarono a richiedersi alcune formalità per il perfezionamento del contratto:
obbligo di notazione nei registri censuali, Giustiniano previde che le compravendite si dovessero redigere
per iscritto, che si perfezionassero dal momento della scrittura per produrre effetti.
La prova dell’avvenuta conventi tra le parti era data dalla consegna dell’arrha (caparra), la quale consisteva
in una dazione effettuata dal compratore al venditore. Gaio precisa che non erano né il pagamento del
prezzo né la consegna della caparra a costituire la vendita, bensì il consenso dei contraenti:
- Caparra probatoriase una volta data l’arrha il compratore non pagava il prezzo, il venditore non era
tenuto ad accontentarsi di trattenere per sé la caparra ricevuta, ma poteva convenire in giudizio il
compratore, per il pagamento integrale del prezzo stabilito: concezione di caparra come anticipo su
prezzo;
- Caparra confirmatoriaalcune costituzioni imperiali stabilirono che una volta effettuata la dazione della
caparra da parte del compratore, ciascuno dei contraenti poteva recedere dal contratto, perdendo
rispettivamente la caparra versata (se a recedere era il compratore), o versando il doppio di quanto
ricevuto (se a recedere era il venditore): concezione di caparra come impegno reciproco alla conclusione
della compravendita;

65

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- Caparra penitenzialequalora le parti trattanti avessero concordato a titolo di contratto preliminare di


effettuale la compravendita in forma scritta, e per impegnarsi a ciò il futuro compratore avesse versato
una caparra, ma poi alla conclusione del contratto non si fosse addivenuti: se la circostanza dipendeva
dall’aspirante compratore, egli perdeva la somma versata, viceversa il venditore avrebbe dovuto versare
il doppio di quanto ricevuto.
PERICULUM EST EMPTORIS: una volta perfezionatosi il contratto , il compratore sopportava il rischio del
perimento della cosa, con la conseguenza che egli era tenuto a pagare il prezzo anche se la cosa periva
dopo la perfectio e prima che gli venisse consegnata. Il venditore era ritenuto responsabile per custodia,
egli rispondeva del furto della merx venduta, ma non del suo perimento per forza maggiore o caso fortuito:
obbligo di custodire usando la diligenza dell’uomo normale. In ipotesi di perimento della cose per caso
fortuito o forza maggiore, il compratore doveva ugualmente pagarne il prezzo.
Inizialmente, perché il compratore acquistasse immediatamente la proprietà, il venditore avrebbe dovuto
effettuare semplice traditio se si trattava di res nec mancipi, una mancipatio o una in iure cessio se si
trattava di res mancipi.
Nel IV sec. d.C. Costantino sanciva di trasformarla in atto direttamente produttivo di effetti reali dell’effetto
traslativo del dominio al consenso delle parti. Nel diritto giustinianeo, era sufficiente che il venditore
effettuasse la traditio di qualunque tipo di cosa al compratore.
Dalla metà del II e nel III sec. d.C. i giureconsulti stabilirono che il contraente non potesse pretendere
l’adempimento della controparte ove non offrisse contestualmente l’esecuzione della propria prestazione.
Ne conseguiva che, per chiedere in giudizio la trasmissione della cosa, il compratore doveva offrire il prezzo
concordato; e il venditore che pretendesse il pagamento del prezzo doveva consegnare la merx
compravenuta.
Poteva essere oggetto di compravendita qualunque merx, corporale e incorporale (purchè suscettibili di
trasferimento: vendita in blocco dell’eredità, vendita di crediti), presente e futura purchè non già perita. Era
valida anche la vendita di cose altrui, ma il venditore si esponeva all’azione di rivendica del proprietario, e
non essendo in grado di assicurare al compratore disponibilità e pacifico godimento della cosa.
Non erano invece ammesse: la vendita dell’usufrutto e dell’uso (in quanto diritti personali), le servitù, era
esclusa la vendita di cosa non più esistenti, ma si poteva vendere una cosa non ancora venuta ad esistenza.
Abbiamo, per la vendita di cosa futura:
- Emptio speivendita della speranza che la cosa venisse ad esistenza, ossia la vendita aleatoria di cosa
futura. Il prezzo era dovuto anche nell’ipotesi in cui la cosa non fosse poi prodotta. La materializzazione
dipendeva dalla volontà e dall’attività del venditore (come la costruzione di un edificio)
- Emptio rei speratae se la futura esistenza della cosa non dipendeva dalla volontà del venditore (come
vendita di parti di animali), nella vendita di cosa sperata, le parti subordinavano l’esistenza stessa delle
obbligazione alla materializzazione della cosa. Essendo la vendita sottoposta a condizione, il prezzo non
era dovuto nell’ipotesi in cui la cosa sperata non fosse poi venuta ad esistenza;
DISTINZIONE TRA COMPRAVENDITA E PERMUTA:
Ai fini della compravendita il prezzo doveva consistere in una somma di denaro contante, altrimenti si
aveva una permuta (il più antico modello di compravendita). La permuta viene inquadrata nello schema
dell’emptio venditio, sostenendo che il pretium poteva essere costituito non soltanto da una somma di
denaro, ma anche da una res, quindi secondo questo ragionamento dei Sabiniani, la permuta avrebbe
ottenuto la stessa tutela giurisdizionale prevista per il emptor e il venditor. Problema però nella permuta
perché non era possibile distingue il venditore dal compratore, dal momento che entrambi si pbbligavano
reciprocamente alla consegna di una cosa. (pag.510).
Habère licère Espressione con la quale veniva usualmente denominato il possesso delle cose oggetto di
compravendita: l’obbligazione tipica del venditore consisteva nell’assicurare al compratore il possesso delle
cose vendute, denominato habere licere. In tal modo, il compratore che non fosse ancora divenuto
proprietario delle cose vendute, poteva comunque tutelare il suo habere licere mediante la c.d. actio
Publiciana.

66

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

RESPONSABILITA’ PER EVIZIONE e PER I VIZI OCCULTI:


Il venditore, inoltre, era tenuto a prestare la garanzia per l’evizione e per i vizi occulti della cosa: la prima
costituiva una conseguenza della mancipatio, in quanto il mancìpio accipiens che avesse provveduto al
pagamento del prezzo, aveva la facoltà, se convenuto in giudizio da un terzo rivendicante, di chiamare in
causa il mancipio dans, il quale era tenuto ad intervenire nel processo a sostegno del suo avente causa.
In seguito, poiché in linea di massima il contratto di compravendita non imponeva l’intervento
della mancipatio, la garanzia per l’evizione fu assicurata da apposite stipulazioni di garanzia, che
legittimavano l’acquirente evitto ad esercitare l’àctio ex stipulatu. Le principali stipulazioni dirette a tal fine
erano:
- la stipulàtio habère licère, con la quale si garantiva il pacifico possesso della res, attribuendo al
giudice il potere di stabilire, in caso di avvenuta evizione, l’ammontare del danno;
- la stipulatio dùplæ, particolarmente diffusa in epoca classica, con la quale il venditore si obbligava a
corrispondere il doppio (dùplum) del valore del bene in questione nel caso di evizione.
In età classica, inoltre, si accordò al compratore evitto l’actio èmpti anche in assenza di specifiche
stipulazioni di garanzia.
Nascevano a carico del venditore altre obbligazioni. Si ha responsabilità per evizione in ipotesi di vendita di
cosa altrui, con conseguente rischio di soccombenza dell’acquirente a non domino nella rivendica esercitata
dal vero dominus della merx. Quindi il venditore si assume la responsabilità per una eventuale evizione. Per
la traditio di res nec mancipi di valore economi elevato si ricorreva alla stipulatio duplae, con cui il
venditore si impegnava a pagare anche la stipulatio habere licere.
La garanzia per vizi occulti assunse, nelle varie fasi del diritto romano, diverse connotazioni:
- in origine, la responsabilità del venditore poteva sorgere solo in seguito a nuncupatiónes pronunciate
all’atto della mancipatio;
- successivamente, prese piede la prassi di garantire la presenza delle qualità promesse e l’assenza dei vizi
della cosa con un’apposita stipulatio;
- infine, la responsabilità del venditore fu ritenuta esistente allorquando lo stesso avesse dolosamente
dichiarato la presenza di date qualità o l’assenza di certi vizi oppure avesse dolosamente taciuto
l’esistenza dei vizi medesimi.

Actiònes ædilìciæ
Azioni accordate dagli edili curuli, in tema di commerci svolgentisi in pubblici mercati, onde evitare dispute.
A tal fine, i venditori di schiavi e di animali erano obbligati a denunciare ai compratori eventuali vizi della
cosa, specie se non palesi.
In caso di violazioni di tali obblighi, erano accordate al compratore le due actiones aediliciae e cioè:
- l’actio redhibitòria;
- l’actio quanti minòris, detta anche æstimatoria.

Àctio redhibitòria (azione per la restituzione) era esperibile entro sei mesi dal momento in cui si era
rivelato il vizio: Azione affine a quella æstimatòria o quanti minòris, concessa dagli edili curuli [vedi ædìlitas]
in ordine alle vendite di schiavi ed animali in pubblici mercati.
Questa era esperibile dal compratore nei confronti del venditore, in tutti i casi, in cui la res oggetto
dell’affare avesse rivelato vizi occulti, corporali o spirituali (es. tendenza alla fuga dello schiavo) non
denunciati o non conosciuti dal venditore.
A differenza dell’actio æstimatoria, essa:
- era esperibile nel breve termine di due mesi o di sei mesi (secondo alcuni dalla data dell’acquisto,
secondo altri dalla scoperta del vizio) nel caso in cui fosse stata prestata garanzia per evizione (mediante
stipulato in duplum);
- era diretta ad ottenere l’intera somma versata, previa restituzione della res (il tutto in relazione alla
maggiore gravità del vizio riscontrato, tale da rendere la cosa del tutto inidonea all’uso prospettato
dall’acquirente).

67

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

Àctio quanti minòris (vel æstimatòria) azione di riduzione poteva invece essere chiesta al magistrato
entro un anno dalla scoperta del difetto della merx:
Azione, appartenente alla categoria delle actiones ædiliciæ; era esercitabile in caso di vizi, occulti o meno,
della cosa oggetto di una compravendita avvenuta nei pubblici mercati (animali, schiavi), entro sei mesi
dalla scoperta del vizio, per ottenere una riduzione del prezzo pagato.
L’editto degli edili curuli imponeva, al venditore di schiavi od animali, la prestazione di una garanzia per
l’evizione (si trattava di una stipulàtio in duplum, cioè comportante la condanna al doppio del valore della
cosa evitta): se la garanzia era stata realmente prestata, l’actio aestimatoria era esercitabile entro un anno.
Per quanto riguarda l’evoluzione dell’azione, occorre precisare che la giurisprudenza classica considerò la
garanzia per i vizi connaturata a tutti i casi di compravendita, ritenendo che potesse essere sempre fatta
valere con l’actio empti.
Si distingueva, comunque, tra due casi:
- se il venditore era a conoscenza dei vizi della res, era tenuto al risarcimento del danno;
- se il venditore non era a conoscenza dei vizi della res, era tenuto alla restituzione od alla riduzione del
prezzo.
L’attuale disciplina della vendita prevede regole analoghe.
TUTELA GIURISDIZIONALE DELL’EMPTIO VENDITIO
- Àctio èmpti Azione di buona fede concessa all’èmptor (compratore) nel caso in cui il venditore
non avesse provveduto alla consegna della cosa venduta o, trattandosi di res màncipi, non ne avesse
effettuato la mancipàtio. L’actio emptio era, altresì, esperibile dal compratore nel caso in cui il venditore
non avesse garantito l’acquirente contro il pericolo di evizione, oppure quando quest’ultima si fosse già
verificata. Il giudice doveva considerare la differenza tra la situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato
il compratore qualora il contratto fosse stato regolarmente eseguito dalla controparte e la situazione in cui
si trovava per inadempimento imputabile al venditore (interesse positivo). Se poi il venditore aveva
ingannato l’emptor su valore o qualità della merx negoziata, l’ammontare della condanna veniva
rapportato alla differenza tra la situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato il compratore qualora non
avesse concluso il contratto e la situazione in cui si trovava avendolo concluso (interesse negativo);
- Àctio vènditiAzione esperibile dal venditore in caso di inadempimento del compratore, avente
caratteristiche simili all’actio empti. Sorgeva a carico del compratore oltre a pagare il prezzo stabilito
sorgevano a suo carico anche gli interessi di mora;
Entrambe contenevano l’invito ricolto al giudice di condannare il convenuto a tutto ciò che egli avrebbe
dovuto fare o dare secondo il criterio della buona fede.
LEGES EMPTIONIS ET VENDITIONIS
Serie di patti aggiuntivi in veste di clausole accessorie, che le parti potevano aggiungere al contratto
modulando lo schema di base della compravendita secondo le loro particolari esigenze. Una volta incluse
nel contratto, tali clausole obbligavano i contraenti e la loro eventuale violazione dava luogo all’esercizio
delle azioni contrattuali ex fide bona:
- Lex commissoria (patto commissorio): Clausola accessoria del contratto di compravendita, in base
al quale le parti si accordavano affinché il venditore potesse recedere unilateralmente dall’impegno
assunto, pretendendo dal compratore la restituzione della cosa se non avesse pagato il prezzo entro il
termine prestabilito. Per effetto della lex commissoria, il venditore trasferiva solo il possesso del bene,
mentre il trasferimento della proprietà veniva sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento del
prezzo convenuto.
- Pactum de retrovendento vel pactum displicentiæ [Patto di rivendita o riserva di gradimento]:
Clausola accessoria ad una emptio-venditio che attribuiva al compratore la facoltà di restituire la cosa o la
merce dietro rimborso del pretium, previo accertamento della qualità della stessa.
Parte della dottrina distingue le due figure, individuando nel pactum de retrovendendo la generica facoltà
di restituzione; e collegando, invece, la medesima facoltà all’accertamento della qualità della merce o della
cosa nel pactum displicentiæ. Analoga figura è il pactum degustationis, diffuso nel commercio del vino,
mediante il quale il compratore poteva accertare la qualità della mercanzia, utilizzando però il
c.d. arbitrium boni viri cioè il “criterio obiettivo del galantuomo”.

68

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- pactum de retroemendo (patto di restituzione): Clausola accessoria del contratto di compravendita


in forza della quale le parti si accordavano affinché il venditore potesse riservarsi il diritto di riscattare,
entro un termine prestabilito, il bene allo stesso prezzo fissato per l’avvenuta alienazione. Avendo efficacia
puramente obbligatoria e quindi non determinando automaticamente la risoluzione del contratto,
richiedeva l’esercizio dell’àctio èmpti per la restituzione del prezzo.
- Pactum protimeseos (patto di preferenza): Era il patto con il quale il soggetto (venditore) che
alienava un fondo, stabiliva che l’acquirente non avrebbe potuto venderlo a nessun altro se non a lui
stesso.
- In diem addictio (patto di riserva di un termine): Clausola accessoria della venditio, soprattutto nei
casi di vendita all’asta in virtù della quale il venditore, laddove avesse ricevuto, entro un certo termine, una
offerta migliore, ritornava in proprietà del bene venduto. In presenza di questa si ammetteva, in via
eccezionale, il recesso unilaterale come causa estintiva della obbligazione. Si riconobbe, tuttavia, al
compratore originario il diritto di poziorità nel contratto, qualora facesse un’offerta pari a quella del terzo.

LOCATIO CONDUCTIO
La locazione, in diritto romano, era un genus, più che un contratto autonomo, in quanto al suo schema
potevano esser ricondotte figure diverse l’una dall’altra. Sotto un profilo generale, col termine locazione
era indicato quel contratto consensuale, col quale una parte (locatore) si obbligava a mettere nella
materiale disposizione dell’altra (conduttore) una cosa, che quest’ultimo si obbligava a restituire dopo
averla goduta per un certo tempo, o dopo averla lavorata, manipolata, trasformata nel modo pattuito. Le
origini storiche della locazione sono assai incerte:
- un primo orientamento la ricollega alle prime locazioni dello Stato;
- un secondo orientamento ritiene che la locazione si affermò in Roma attraverso il iùs honoràrium [vedi]:
il suo precedente nel ius civile sarebbe stato il precàrium, istituto col quale il proprietario di una cosa ne
cedeva il possesso ad altri in cambio di un corrispettivo;
- altra dottrina esclude la derivazione della locazione dal precàrium, con il quale poteva ravvisarsi solo
un’identità di funzione.
Si è rilevato che la vendita e la locazione, nel diritto romano, non furono nettamente distinte, poiché
entrambe potevano essere costitutive di sole obbligazioni (mentre nel diritto moderno la vendita ha
efficacia traslativa). Ciò che distingueva i due contratti non era la perpetuità del rapporto (potendo esservi
anche una locazione perpetua), ma la funzione del contratto: la vendita attribuiva al compratore un potere
assoluto e definitivo, la locazione, invece, attribuiva solo il godimento della cosa. Inoltre, il compratore
vantava una iusta causa usucapiònis ed il suo possesso era tutelato con l’àctio Publiciàna, mentre il
conduttore non aveva alcuna tutela reale. Il contratto di locazione aveva di solito una durata determinata,
ma poteva essere stipulato anche in perpetuum (salvo, in questo caso, il diritto di recesso di ciascun
contraente). Un tale contratto veniva da alcuni giuristi qualificato come compravendita; Gaio, pur con
dubbi, riferisce che secondo la tesi prevalente doveva essere considerato egualmente come locazione.
A tutela del locatore e del conduttore erano apprestate, rispettivamente, un’actio locàti *vedi+ ed un’actio
condùcti entrambe azioni di buona fede. Elementi essenziali della locazione erano la res (o le operæ, che
venivano locate) e la mèrces (il corrispettivo). La merces doveva essere certa e, normalmente, consisteva in
una controprestazione pecuniaria. Nell’ambito della locazione confluirono tre figure:
 locatio rèi: Era quel particolare tipo di locatio-conductio, nel quale il locatore si impegnava ad
assicurare al conduttore il godimento di una cosa mobile od immobile, per un certo periodo di tempo,
dietro il pagamento di un corrispettivo (mèrces). Qualunque cosa poteva essere oggetto di locatio rei, sia
mobile che immobile, purché inconsumabile. Poteva avere come oggetto anche uno schiavo e poteva
importare la facoltà di avvalersi della operæ di questo. Oggetto poteva essere inoltre l’esercizio di iùra in re
alièna. La merces era il corrispettivo per il godimento della cosa ed era costituita generalmente da danaro.
Poteva, tuttavia, essere costituita anche dai frutti della cosa locata; infatti:
- nella colonia partiaria la merces era costituita da una quota determinata dei frutti;
- se la merces era composta da un tot prestabilito o invariabile di derrate (pars quanta), questa non
variava quantitativamente qualunque fosse stato l’ammontare del raccolto.

69

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

La durata della locatio rei era, di regola, fissata dalle parti o, in mancanza, dalle consuetudini locali, ma
poteva aversi, anche, una locazione a tempo indeterminato (locatio in perpetuum), che durava finché una
delle due parti non decideva di recedere dal contratto. Obblighi del locatore erano:
- lasciare il conduttore nel godimento della cosa per tutta la durata del contratto;
- consegnare la cosa in buono stato e mantenerla in tale stato per la durata del contratto, onde
garantirne il godimento al locatario.
Obblighi del locatario erano:
- pagare la mercede alle scadenze pattuite;
- custodire la cosa;
- restituire la cosa al termine della locazione. Se la cosa da restituire risultava deteriorata o distrutta,
l’obbligazione si trasformava in quella di pagamento del valore.
Il conduttore aveva solo un diritto personale, esercitabile contro il locatore: avendo la possèssio naturàlis,
era un mero detentore. Eccezionalmente era al conduttore accordato l’interdìctum de vi armàta se era
stato cacciato con l’uso delle armi dal fondo locato. Poiché vigeva il principio èmptio tòllit locàtum, nel
caso di vendita della cosa, il locatore era responsabile se l’acquirente pretendeva la restituzione della cosa
dal conduttore. A tal proposito il locatore poteva pattuire che il compratore della cosa locata rispettasse la
locazione: tale patto, però, aveva valore solo tra le parti della vendita, pertanto il conduttore poteva agire
solo contro il locatore con l’àctio condùcti (il quale a sua volta poteva agire con l’actio vènditi contro
l’acquirente). Particolare disciplina era dettata per il caso in cui l’oggetto della locazione fosse stato un
immobile urbano (nel qual caso il conduttore si chiamava inquilìnus) o un fondo rustico (nel qual caso il
conduttore si chiamava colònus). Il conduttore, in queste ipotesi, era tenuto anche ad evitare di deteriorare
l’immobile e doveva eseguire tutte le opere necessarie alla sua ordinaria manutenzione, mentre le spese di
straordinaria manutenzione erano a carico del locatore. In diritto giustinianeo era ammessa la tacita
ricondùctio (ossia la proroga tacita), che si verificava se al termine del rapporto l’inquilinus o
il colonus rimaneva nell’immobile ed il locatore non vi si opponeva.
 locatio operàrum: Era quel particolare tipo di locatio-conductio, nel quale il locatore metteva a
disposizione del conduttore i propri servizi dietro il pagamento di un corrispettivo (mèrces). La locati
operarum, derivando dalla locazione dello schiavo, poteva avere come oggetto non qualsiasi lavoro umano,
ma soltanto quello prevalentemente manuale, che di solito era prestato da schiavi. Caratteristica
dell’obbligazione del locàtor operarum era la sua subordinazione totale alle direttive del condùctor (datore
di lavoro). Nel diritto postclassico, per l’influenza del Cristianesimo, si attenuò la concezione della piena
subordinazione del locator al conductor. Peraltro, il fenomeno della scarsezza di mano d’opera, sia servile
che libera, importò l’introduzione di norme sulla sèrvitus glebæ e sulla ereditarietà dei mestieri.
La locatio operarum cessava per morte del locator, essendo impossibile che le operæ fossero prestate da
persone diverse. Viceversa, se era il condùctor a morire, i suoi diritti ed i suoi obblighi si trasmettevano agli
eredi. Al di fuori della locatio operarum rimanevano le artes ingènuæ (o operæ liberàles), cioè le attività
prevalentemente intellettuali, quali quelle dell’avvocato, del medico etc. Di solito le professioni
intellettuali erano esercitate su richiesta dagli interessati ed a titolo gratuito: il cliente, peraltro, poteva
corrispondere un honoràrium. Le operæ liberales ebbero tutela giudiziaria, se non quella extra òrdinem.
Qualora fosse stato riscontrato un cattivo esercizio dell’arte professionale, secondo i Proculiani, al cliente
spettava l’actio ex lege Aquilia per il risarcimento del danno.
 locatio òperis: Era quel particolare tipo di locatio-conductio, nel quale il locatore metteva materiali
di sua proprietà a disposizione di un àrtifex (che assumeva le vesti del conduttore) che si impegnava, con
lavoro proprio (o di propri dipendenti) a lavorarli e trasformarli in oggetti, per utilità del locatore, ricevendo
da quest’ultimo, in cambio dell’opera conclusa, un corrispettivo (mèrces). Nella locatio operis il locatore
doveva prestare al conduttore la materia prima da lavorare o la cosa in ordine alla quale doveva essere
effettuata la trasformazione: il conductor aveva il compito di trasformarla, lavorandola, e di riconsegnarla
al condùctor, contro il pagamento della merces. In tale contratto la cosa non era locata a vantaggio del
conduttore, ma a vantaggio del locatore: ne conseguiva che l’obbligo di pagare la mercede incombeva sul
locatore. Nel diritto classico si discuteva se potesse esser qualificato come locatio operis un contratto con
cui un soggetto si impegnava a lavorare per altri una materia propria. Alcuni ritenevano che tale fattispecie
fosse caratterizzata da una compravendita del materiale congiunta ad una locazione dell’opera (tale tesi fu

70

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

sostenuta da Cassio), ma finì col prevalere, peraltro, l’opposta opinione che ravvisava un’ipotesi di vendita
del prodotto finito. Il conduttore era obbligato ad eseguire il lavoro o il servizio affidatogli sia
personalmente (anche, eventualmente, attraverso l’opera dei propri schiavi), sia sublocando l’opus ad un
altro conductor. L’opera doveva essere eseguita nel tempo stabilito ed in mancanza entro il periodo di
tempo considerato normalmente necessario per condurlo a termine. Al termine del lavoro il locàtor
operis aveva diritto alla adprobàtio operis (cioè al collaudo) al momento della consegna: il collaudo doveva
essere effettuato secondo l’arbìtrium bòni vìri. Le obbligazioni derivanti da locatio operis si trasmettevano
agli eredi nel caso di morte del locator o del conductor, a meno che l’attività che quest’ultimo doveva
prestare non fosse un’attività infungibile. Una sottospecie della locatio era costituita dalla c.d. locatio
operis irregularis, che ricorreva nei casi in cui la materia prima consegnata dal locatore fosse passata in
proprietà del conduttore: quest’ultimo risultava obbligato a consegnare il prodotto finito, lavorato con una
qualsiasi materia appartenente allo stesso genere.
 Il contratto di trasporto marittimo: relativo all’affidamento a un capitano di un dato quantitativo di
merci da trasportare mediante navigazione marittima. Si rilavava un problematica giuridica in ipotesi di
avarie marittime, a causa della frequenza con cui si manifestavano i naufragi e gli attacchi dei pirati. Per
conseguenza si riteneva che i proprietari delle merci caricate sulle navi, il capitano (magister navi) e
l’armatore (exercitor navis) instaurassero tra di loro un regime di comunione, in ordine al rischio di perdita
delle merci. Sulla base di tale communio si regolava la contribuzione ai danni. Ma le azioni con cui ciascuno
poteva fare valere le proprie pretese nei confronti degli altri erano non le azioni divisorie, bensì l’actio locati
e l’actio conducti. Pertanto, se paventando un naufragio, il capitano avesse ordinato di gettare in mare
parte delle merci caricate al fine di alleggerire la nave, sui proprietari delle merci non gettate gravava
l’obbligo di risarcire i proprietari delle merci distrutte, in proporzione del valore della nave e delle merci
rimaste intatte, di modo che ciascuno sopportasse lo stesso danno derivante del gettito in mare delle
merci, effettuato nell’interesse comune. Quindi il danno doveva dividersi proporzionalmente tra tutti gli
interessati.

SOCÌETAS
Contratto consensuale con il quale due o più soggetti (socii) si obbligavano reciprocamente a mettere in
comune beni o attività, in quantità anche disuguali, allo scopo di compiere una o più operazioni
economiche, dividendo tra tutti, secondo criteri prestabiliti, i guadagni o le eventuali perdite.
La società si inquadra tra le obligatiònes ex contractu, altrimenti dette obligationes consensu contractæ,
perché derivanti dal semplice accordo.
Le origini della società sono molto discusse. Per alcuni essa risulterebbe da un adattamento del vecchio
istituto del consòrtium ercto non cito. Con ogni probabilità la società derivò dal consolidarsi di prassi
largamente seguite nel commercio mediterraneo. L’intensificarsi delle relazioni con gli altri popoli, a partire
dal III sec. a.C., impose la necessità, da un lato, di raggruppare ingenti somme, dall’altro di sopportare in
comune i rischi di operazioni economiche di vasta portata. Il riconoscimento di tale contratto è da
attribuirsi all’attività giurisdizionale del prætor peregrìnus, nell’ambito dei rapporto del iùs gentium.
Si distingueva tra:
- societas òmnium bonòrum (Società di tutti i beni): Particolare tipo di societàcaratterizzata
dall’impegno dei soci di mettere a disposizione della stessa la totalità dei loro beni per impiegarli in
operazioni di comune accordo. I guadagni e le perdite erano ripartite proporzionalmente. Non era
necessario costituire un patrimonio comune dal punto di vista giuridico; era sufficiente che ciascun
socio si impegnasse ad effettuare gli atti richiesti, necessari per il raggiungimento degli scopi sociali.
- societas unìus rei o negotiatiònis (Società per un solo affare): Particolare tipo di società
contratta per il compimento di uno o più operazioni di un certo tipo di attività economica.
Obblighi del socio erano:
- apportare in società quanto aveva promesso. Se il suo apporto aveva per oggetto cose, egli doveva
trasferire agli altri, con mancipatiònes o traditiònes varie, una quota di esse, in modo da creare una
comunione sulle cose stesse;
- rendere comuni gli acquisti fatti per la società. Salvo diverso accordo delle parti gli utili e le perdite
erano ripartiti in egual misura: l’accordo tra i socii poteva giungere ad esimere totalmente dalla

71

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

sopportazione delle perdite un socio cui era riservata una partecipazione agli utili, ma non poteva
escludere la partecipazione agli utili di un socio che partecipava, sia pure parzialmente, alle perdite
(societas leonìna). Il consenso doveva essere persèverans, cioè doveva sussistere fino al momento
del conseguimento del fine sociale o della scadenza del termine.
La società si estingueva:
- ex personis, e cioè per morte o càpitis deminùtio di uno dei soci;
- ex rèbus, e cioè per il raggiungimento del fine sociale o per la sopravvenuta impossibilità di
raggiungerlo;
- ex voluntàte, e cioè per volontà dei soci, per la scadenza del termine fissato o per rinuncia
(c.d. renuntiàtio);
- ex actiòne, a seguito dell’esercizio dell’azione di divisione. In epoca giustinianea fu considerata causa di
scioglimento della società anche il fallimento di uno dei soci.
La società produceva effetti solo tra i soci, non essendo riconosciuta la possibilità di creare enti con capacità
giuridica. Unica eccezione era rappresentata dalla societas publicanòrum, costituita per l’assegnazione
dell’appalto di tutto il reddito di imposte (pùblica) ricavabile da una certa provincia o per l’appalto di
grandi opere pubbliche.
Le obbligazioni reciproche derivanti dal contratto di società erano sanzionate dall’àctio pro socio, actio
civile e di buona fede: essa poteva essere esperita come azione generale di rendiconto finale della società,
ma poteva anche essere intentata perdurante il rapporto di società.
Essa importava, per la fiduciarietà del vincolo infranto, l’infamia del condannato.
Altri tipi di società erano:
- Socìetas omnium quæ ex quæstu veniunt (o lucri compendii) Società intesa alla ripartizione fra tutti i
soci della totalità dei guadagni derivanti dalla loro separata, ma coordinata attività economica.
- Societas in tempus còita [Società a tempo indeterminato] Particolare tipo di società [vedi socìetas],
le cui finalità erano temporalmente indefinite, poiché le parti non avevano prefissato un termine di
scadenza. L’attività di questo tipo di società si svolgeva prettamente in ambito industriale o
commerciale; nella categoria rientravano:
- Socìetas venaliciaria [Società per il commercio di schiavi] Particolare tipo di società a tempo
indeterminato, la cui attività si svolgeva nell’ambito del commercio di schiavi.
- Socìetas publicanòrum Particolare tipo di società a tempo indeterminato, la cui attività si
svolgeva nel campo degli appalti per l’esazione delle imposte ricavabili da una provincia, o per la
realizzazione di opere pubbliche.
- Socìetas vectigalis (vel vectigalium) Particolare tipo di società a tempo indeterminato, costituita
per l’esazione delle imposte pubbliche (c.d. vectigàlia) in una certa zona. Aspetto caratteristico di
tale tipo di società era la possibilità per l’erede di subentrare nella società automaticamente alla
morte del proprio dante causa che ne fosse socio.
Queste ultime due erano caratterizzate da: una complessa gestione del patrimonio comune (l’arca
communis) separato dai patrimoni dei singoli soci; una pletorica organizzazione interna, gerarchicamente
Ordinata in dirigenti, comitati direttivi e dipendenti.
Tutela giurisdizionale della societas:
Àctio pro socio [Azione a tutela del socio] Azione concessa a ciascun socio, contro l’altro, per far valere i
propri diritti: si trattava di un’azione di buona fede. Di regola, l’actio pro socio sanzionava la responsabilità
del socio convenuto per dolo; in diritto postclassico essa ricomprese anche la responsabilità per colpa.
La condanna era nei limiti dell’id quod fàcere pòtest (cioè nei limiti del possibile, delle effettive disponibilità
patrimoniali del condannato): in diritto pretorio, questo beneficio era accordato soltanto al socius òmnium
bonòrum, ma la giurisprudenza classica finì con l’estenderlo anche al socius unìus negotiatiònis.
Nel diritto classico, l’actio pro socio mirava ad indurre il socio convenuto all’adempimento delle prestazioni
cui era obbligato; in diritto postclassico, l’azione era volta ad affermare la responsabilità del socio venuto
meno agli obblighi assunti e comportava l’estinzione della società.

72

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

MANDATUM
Contratto consensuale che obbligava un soggetto (mandatàrius) ad eseguire uno o più atti giuridici per
conto di un altro soggetto (mandàtor). In diritto romano fu riconosciuto come contratto consensuale solo
in epoca preclassica (nel II-I sec. a.C.), quando le esigenze commerciali imposero agli operatori economici di
ricorrere ad intermediari lontani per curare affari cui non potevano attendere personalmente.
L’individuazione del mandato fu dovuta, in particolare, alla giurisprudenza evolutiva del prætor peregrìnus.
Il mandato era gratuito. Qualora fosse stato pattuito un compenso, si aveva una locatio operis, non un
mandato. In casi eccezionali, poteva essere pattuita una remunerazione, ma solo a titolo di gratitudine
(honorarium) e che poteva essere fatta valere con un’actio in factum e non con l’actio mandati contraria.
Il mandatario poteva essere richiesto di compiere non soltanto atti giuridici, ma anche un’attività di
fatto (es. curare una piantagione); era inammissibile il mandato rei turpis, quello, cioè, nel quale il
mandatario era obbligato a compiere un’attività turpe. Si distinguevano, in particolare:
- il mandato mea gràtia (mandato conferito nell’interesse del mandante);
- il mandato alièna gratia (mandato conferito nell’interesse di un terzo);
- il mandato mea et tua gratia (mandato conferito in parte nell’interesse del mandante, in parte
nell’interesse del mandatario);
- mandato tua gratia tantum, ossia nell’esclusivo interesse del mandatario; esso si considerava come
semplice consiglionon produttivo di effetti giuridici.
Il mandatario aveva l’obbligo di:
- eseguire esattamente l’incarico; se egli agiva discostandosi dalle istruzioni ricevute, il mandante
poteva agire per ottenere l’esatto adempimento dell’incarico affidato;
- riversare gli effetti dell’attività svolta nella sfera giuridica del mandante (es. trasferire la proprietà
delle res acquistate, versare quanto riscosso).
Il mandante aveva l’obbligo di:
- rivalere il mandatario delle spese affrontate nell’esecuzione del (—) e dei danni eventualmente
subiti.
A tutela delle reciproche obbligazioni, le parti potevano esperire l’àctio mandati (directa a tutela dei diritti
del mandante; contraria a tutela dei diritti del mandatario) azione di buona fede [vedi actio bonæ fìdei]
attribuita dal prætor.
Il mandato si estingueva per esecuzione dell’incarico o sopravvenuta impossibilità di eseguirlo, per
il sopraggiungere del termine stabilito e per il venir meno del consènsus persèverans: oltre al verificarsi
del contrarius consensus, l’estinzione si verificava per il recesso di una delle parti (revocàtio del mandante
e renuntiàtio del mandatario).
Il mandato cessava, inoltre, per morte di una delle parti (c.d. resolùtio mandati: mandatum morte
resòlvitur), ma se le obbligazioni erano già sorte in conseguenza dell’esecuzione dell’incarico, esso
vincolava gli eredi.
Si riteneva inammissibile il c.d. mandatum post mòrtem, quello che aveva, cioè, per oggetto attività da
compiere dopo la morte del mandante o del mandatario: in questo caso, si riteneva che il contratto
fosse nullo. Solo in età postclassica, si cominciò ad ammettere la possibilità di contrarre un mandatum post
mortem mandatòris. Si ritenne, inoltre, inammissibile una renuntiatio del mandatarius che risultasse
pregiudizievole per il mandante.
NEGOTIORUM GESTIO: la gestione spontanea degli affari altrui
Era una delle obbligazioni non contrattuali da atto lecito (categoria di obbligazioni definita, dai compilatori
giustinianei, quasi ex contractu). S’intendeva la gestione di affari altrui, intrapresa spontaneamente e non
sollecitata dall’interessato (dòminus). Dal fatto della gestione nasceva per il gestore l’obbligo di condurre a
termine l’attività intrapresa fino al compimento dell’affare o degli affari. Contestualmente nasceva in capo
all’interessato l’obbligo di accettare la gestione e quello di assumersi gli effetti di questa e, cioè, di rivalere
il gestore di tutte le spese sostenute. Requisiti dell’istituto erano:
- il compimento di un atto che importasse gestione di affare altrui, atto che poteva essere
sia materiale (per es. riparazione) sia giuridico (per es. vendita);
- la volontà di gestire un negozio altrui (ànimus alièna negòtia gerèndi);
- l’assenza di un contratto di mandato

73

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- l’utilità della gestione (utìliter cœptum). Tale requisito doveva valutarsi con riguardo al momento
iniziale della gestione, a nulla rilevando il risultato finale di essa;
- l’assenza della c.d. prohibìtio dòmini.
A tutela del dominus era accordata un’àctio negotiorum gestòrum diretta, mentre a tutela del gestore era
prevista un’actio contrària; quest’ultima, riconosciuta in origine nel solo caso di gestione in
favore di persona assente, fu poi considerata di carattere generale.

PROCÙRA
Era il negozio giuridico unilaterale attraverso il quale un soggetto (c.d. dòminus negòtii) attribuiva ad un
altro soggetto, detto procuràtor il potere di gestire le sue attività economico-patrimoniali e negoziali (libera
administràtio). In un primo momento, la procura fu un istituto vincolante più dal punto di vista sociale che
giuridico ed espletò la stessa funzione assolta successivamente dal mandato [vedi mandatum]: si trattava di
un atto unilaterale che conferiva un potere negoziale al procurator. Dopo la diffusione del mandàtum, si
cercò di raccordare la procura con quest’ultimo, pur riconoscendosi la possibilità di una procura senza
mandato; nell’epoca postclassica la procura fu assorbita del tutto dal mandato.
Si qualificò, pertanto, “verus” il procuratore con mandato e “falsus” il procuratore senza mandato. Il
soggetto che non aveva avuto la præposìtio, ma che dava inizio alla attività gestoria nell’interesse
del dòminus, denominato falsus procurator, fu equiparato al negotiòrum gèstor.
In diritto giustinianeo si ammise anche la figura del procurator unìus rèi (od unius negotiatiònis), ossia
incaricato del compimento di un unico negozio ovvero di singoli e determinati negozi.
La procura perdeva i suoi effetti, automaticamente, con la morte di uno dei soggetti interessati.

Mandàtum pecùniæ credèndæ (Mandato di credito)


Il mandato di credito consisteva nell’incarico che taluno dava ad un altro di prestare danaro ad un terzo:
l’istituto veniva usato a scopo di garanzia personale delle obbligazioni.
Nella compilazione giustinianea si presentava come un contratto che con l’apparenza esteriore del
mandato, esplicava la funzione obiettiva della fideiussione.
La validità del mandato di credito fu riconosciuta, secondo parte della dottrina, dai tempi di Sabino [vedi] in
poi: precedentemente nessuna rilevanza giuridica aveva l’incarico rivolto ad altri di concedere un mutuo, in
nulla differenziandosi tale “invito” dal mandatum tua gràtia che costituiva un’esortazione o un consiglio nel
solo interesse del consigliato. Il mandato di credito era un contratto a forma libera, da cui nasceva
un’obligatio vèrbis contràcta. Eseguito il mandato, cioè il mutuo, se il mutuatario non pagava, il
mandatario poteva agire col contràrium iudìcium mandati contro il mandante per far valere la garanzia:
il mandante, sostanzialmente, acquistava una situazione giuridica analoga a quella del fideiussore,
garantendo l’adempimento del mutuatario. A differenza della fideiùssio, il mandatum non era
un contratto accessorio del rapporto di credito garantito, anzi era un contratto collegato rispetto al
contratto di mutuo: l’obbligazione del mandante era valida anche se era invalida quella del debitore
principale. In età classica non furono mai espressamente riconosciuti al mandante di credito i benefici
(divisiònis, òrdinis) concessi ai fideiussori.
Solo nel diritto postclassico fu concesso il beneficium excussiònis, anche al mandante di credito e si arrivò
alla totale equiparazione tra il mandato di credito e la fideiussio.
Il mandato doveva essere tale da non ledere il buon costume (era nullo, pertanto, il mandatum rei
turpis): Ulpiano ritenne nullo il mandato dell’adulèscens luxuriòsus che aveva dato ad un altro l’incarico di
far da fideiussore ad una meretrice. Per Papiniano era nullo il mandato avente ad oggetto un credito già
sorto, perché ciò era incompatibile con la figura del mandato.
Figura particolare era il mandatum adeùndæ hereditàtis per il quale, secondo Salvio Giuliano, rispondevano
delle passività dell’erede anche coloro che avessero dato mandato di accettare, convincendo l’erede.
Il creditore-mandatario poteva usufruire di due mezzi di tutela:
- nei confronti del debitore, poteva agire con l’àctio certæ crèditæ pecuniæ;
- nei confronti del terzo-mandante, poteva agire con l’actio mandati contraria.

74

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

OBBLIGAZIONI NON CONTRACTAE


Tra le obbligazioni ritenute valide , ma escluse dal novero delle obbligazioni contractae a causa della loro
recenziorità, le prime a comparire sullo scena dell’ordinamento giuridico romano furono le obbligazioni
nascenti da mero patto.

OBBLIGAZIONI EX PACTO
Pacta: accordi produttivi di obbligazioni tra i contraenti. Il patto è così detto da pactio (pacificazione), a sua
volta derivato dal termine pax (pace), e consiste nell’incontro tra le volontà di due o più persone sul
medesimo oggetto dell’accordo.
Grazie all’intervento pretorio, i contenuti dei pacta si accostarono alla nozione conventio quale accordo a
fine negoziale, nell’editto pretorio infatti si ricorreva spesso all’espressione pactum conventum (accordo
derivante dell’incontro delle volontà).
Agli albori del principato il semplice accordo tra le parti creava obbligazioni esclusivamente qualora esso
integrasse una delle quattro fattispecie contrattuali iuris gentium tipiche. Ma non sempre l’ordinamento
giuridico romano ammise che il pactum, ola conventio, di per sé fossero produttivi di effetti giuridici, infatti
già nelle XII Tav. si ammetteva la rilevanza giuridica dei pacta soltanto in tre ipotesi:
1. per il membrum ruptum (offesa fisicaa implicando menomazione permanente), si previde
l’applicazione della legge del taglione, qualora le parti non fossero venute ad una pattuizione
rinunciando alla vendetta;
2. il patto poteva sortire un effetto processuale, perché se le parti in lite trovavano un accordo, il
pactum metteva fine al processo e il convenuto evitava la condanna;
3. a seguito di un processo giurisdizionale il debitore veniva condannato, poteva evitare di subire la
procedura esecutiva con le relative conseguenze, addivenendo ad un accordo pattizio con il
creditore.
In età decemvirale tutti gli accordi non trasfusi in atti solenni erano irrilevanti sul piano giuridico, per cui
nessuno può chiedere tutele giurisdizionale in relazione ad un nudo patto perché da esso non nasce alcuna
obbligazione.
Quando in ambito di ius honorarium si cominciò a dare tutela ai quattro nova nagotia iuris gentium
(compravendita, locazione, mandato, società), il pretore considerò produttivi di obblighi tutelabili con
azioni onorarie anche alcuni patti aggiunti apposti a tali contratti. I pacta quindi si consideravano idonei alla
creazione di obbligazioni tra le parti. Tipi di accordi tra le parti chiamati nuda pacta, e dal punto di vista
della giurisprudenza si consideravano irrilevanti il pactum non previsto dalla legge e il pactum ex intervallo.
Ciò sta a significare che, oltre ai patti previsti dalla legge, producevano effetti giuridici soltanto i patti
aggiunti ai negozi tutelati da azioni di buona fede nel momento stesso della conclusione del contratto, in
quanto il pretore, anche se non fosse stata inserita nello iudicium un’apposita exceptio pacti poteva
invitare il giudice a prendere in considerazione gli accordi informali connessi con il rapporto principale,
secondo il criterio dell’oportere ex fide bona.
PATTI PRETORI: con il passare del tempo, il novero dei patti muniti di tutela giurisdizionale si accrebbe.
Innovazione per l’antico pactum fiduciae, che inizialmente era irrilevante e privo di tutela giuridica,
riposando sulla fides dei contraenti e nella soluzione estrema dell’usureceptio, ma poi il pretore intervenne
introducendo nel suo editto un actio fiduciae con intentium in factum finalizzata a sanzionare il fiduciario
che avesse violato la fides.
Il pretore inserì nel suo albo l’edictum de pactis, nel quale dichiarò pacta conventa servabo (darò
attuazione ai patti conclusi) ponendo alcune condizioni: affinchè fossero produttivi di effetti giuridici per ius
honorarium, i patti dovevano essere stati conclusi senza dolo, in osservanza di leggi, plebisciti,
senatoconsulti, editti e decreti imperiali, e non dovevano avere uno scopo fraudolento rispetto a tali atti
normativi.
Il pretore accordava tutela ai nudi patti, purchè non illeciti o in frode alla legge. La tutela era solo di tipo
difensivo. La protezione del patto avveniva mediante concessione di exceptio pacti conventi, con la quale si
paralizzava la pretesa dell’avversario, che non rispettasse l’accordo.

75

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

PACTUM DE NON PETENDO (patto di non esigere)


Accordo incorporato in un negozio iuris honorarii con cui il creditore si impegnava per sempre, o per un
determinato periodo di tempo o al verificarsi di determinate circostanze, a non far valere il suo credito. Il
pactum de non petendo, che originariamente non produceva alcun effetto tra le parti in quanto non
previsto dal iùs civile, fu rafforzato in seguito attraverso la concessione al debitore di una excèptio che
paralizzando l’azione del creditore, finiva indirettamente con l’attribuire rilevanza giuridica allo stesso. Esso
fu anche adoperato come modo non solenne di remissione del credito.
EXCÈPTIO PÀCTI
Exceptio concessa dal pretore, al di fuori dei rimedi caratteristici del ius civile, per dare riconoscimento
giuridico a pattuizioni atipiche intercorse tra le parti e paralizzare le pretese che, nonostante tali
pattuizioni, l’una parte avanzasse nei confronti dell’altra. Si pensi, ad es., al caso in cui una parte, pur
avendo stipulato una transàctio convenisse in giudizio la controparte per continuare proprio la lite (che, con
la transazione si era voluto prevenire od eliminare); in tal caso, il prætor concedeva al convenuto la
possibilità di paralizzare l’azione sollevando una exceptio pacti.
Altre applicazioni erano frequenti in tema di recèptum arbìtrii [vedi] o di remìssio pìgnoris tacita [vedi].
Un particolare tipo di exceptio pacti era quella che poteva esser sollevata dal debitore contro il creditore
che lo avesse convenuto in giudizio per ottenere il pagamento della prestazione, se tra i due fosse stato
stipulato un pàctum de non petèndo.
L’exceptio pacti poteva essere peremptòria o dilatòria, vale a dire poteva essere proposta in perpetuo o
entro un dato termine, a seconda che il patto prevedesse, rispettivamente, l’obbligo per il creditore, di non
chiedere mai o di non chiedere prima di un certo tempo l’adempimento. Essa inoltre poteva essere opposta
non solo dal debitore, ma anche dal suo erede o dal condebitore solidale nel caso di pactum de non
petendo in rem, mentre poteva essere opposta dal solo debitore nel caso di pactum de non petendo in
personam.
IL CONTRIBUTO DEI GIURISTI che avviarono per tempo una dettagliata riflessione sui vari tipi di patti, con
un’interpretazione estensiva dei verba edictiche produsse il perfezionamento della tutela dei pacta.
I patti riferiti a un contratto tipico vennero distinti in:
- pacta in continenti factapatti aggiunti al contratto contemporaneamente alla conclusione dello
stesso; se tutelato con azione di buona fede non generava un’azione autonoma, ma se ne poteva
pretendere l’osservanza con l’azione nascente dal contratto cui ineriva, e affinchè il giudicante tenesse
in considerazione il patto, non era necessario che il convenuto inserisse nello iudicium un’apposita
accezione; se il patto era previsto in un contratto tutelato con iudicium stricti iuris, il quale poteva farsi
valere solo in via di eccezione
- pacta ex intervallopatti intercorsi tra le parti successivamente alla conclusione del contratto, e perciò
originariamente privi di tutela. Patti da cui non nasceva azione, ma la sola eccezione.
Nella legislazione imperiale si allargarono i pacta legitima con due nuove convenzioni relative ad atti di
liberalità: il pactum dotis (patto di costituzione dotale) e il pactum donationis (patto di donazione),
entrambi muniti di efficacia obbligatoria e di azione, sebbene l’impegno non fosse stato preso mediante
stipulazione, ma con semplice accordo informale.
In forza di questo, un certo numero di pacta divennero veri e propri atti negoziali produttivi di obbligazioni
tra le parti, e vennero tutelati non più con sola eccezione bensì con un’azione autonoma, quindi risultavano
equiparati ai contractus. A partire dai patti pretori, abbiamo un actio in factum volta a tutela dei patti per:
 constitutum debiti o pecunia constituta (determinazione consensuale di luogo e di tempo in ordine
al pagamento di un debito preesistente) era il patto con cui il debitore si impegnava a pagare, entro il
termine stabilito o in un luogo determinato, un preesistente debito proprio (constitutum debiti proprii); o
altrui (constitutum debiti aliena) con impegno morale a funzione di garanzia personale e delegatoria. Dal
pretore non fu più soltanto tutelato con l’exceptio pacti ma anche con actio de pecunia constituta, azione
concessa nei confronti di chi aveva promesso di pagare ciò che già doveva in forza di una precedente
obbligazione, ma secondo le modalità di tempo e di luogo pattuite con successivo constitutum. Questa
azione era quindi diretta a sanzionare il debitore che ledesse in modo grave la fides, violando il patto
stretto con il creditore, azione esercitabile soltanto entro l’anno della scadenza del termine pattuito per

76

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

l’adempimento ed era intrasmissibile agli eredi. Stessa azione concessa anche per constitutum debiti aliena,
era concessa dal pretore nei confronti del creditore del terzo garantito qualora il garante non pagasse.
Mediante actio in factum fu protetto dal pretore anche il patto di giuramento, cioè l’accordo mediante il
quale le parti in lite si impegnavano a porre fine alla controversia se uno dei due giurava sul buon
fondamento della propria pretesa o della propria difesa.
 I RECEPTA  erano accordi relativi a un novero vasto e eterogeneo di rapporti , accumulati
dall’accettazione di un dato compito, con contemporanea assunzione di garanzia dell’adempimento.
Recipiens era colui che avesse assunto l’impegno di recipere (ricevere, incaricarsi di qualcosa), cioè di
effettuare un particolare compito. Nell’editto pretorio figuravano tre accordi informali, due soltanto
protetti di actio recepticia, ma denominati complessivamente recepta:
1. Receptum arbitriiassunzione di arbitrato: patto con cui taluno si assumeva l’impegno di giudicare
una lite e di pronunziare la decisione, questo accordo riguardava un arbitrato privato, non un processo
giurisdizionale. L’accordo concluso tra le parti era detto compromissum, concluso mediante stipulatio, e la
sua violazione dava luogo ad actio ax stipulatu. Era un accordo intercorrente tra i litiganti e l’arbitro, il quale
una volta accettato l’incarico non poteva sottrarsi e in casi di infrazione dell’accordo, il pretore non
concedeva alcuna azione specifica alle parti compromittenti, ma su richiesta degli interessati attivava nei
confronti dell’arbitro mezzi più o meno diretti di coazione, quali inflizione di una multa o la pignoris capio.
2. Receptum argentariiEra una delle figure di garanzia personale conosciute dal diritto romano.
Esso consisteva nell’impegno, assunto da un banchiere (argentàrius), di eseguire una prestazio, nei
confronti di un terzo a pagare il debito pecuniario di un proprio cliente. Il receptum intercorreva tra
banchiere e creditore del cliente e serviva: per pagamento di debiti già esistenti con assegno bancario; se
relativo a debiti futuri, con un’apertura di credito; oppure in entrambi i casi l’accollo bancario. Qualora il
banchiere non versasse al creditore del suo cliente la somma convenuta, l’editto pretorio prevedeva la
concessione di actio recepticia nei confronti dell’argentarius (banchiere). Istituto soppresso da Giustiniano
a cui si ricondusse la funzione al constitutum debiti;
3. Receptum nautarum, cauponum, stabulariorumEra un patto di assunzione di responsabilità, per
l’ipotesi di perdita di oggetti del cliente, da parte di armatori (nautæ), di albergatori (caupònes) di esercenti
di una stalla (stabulàrii). Il pretore accordò una azione contro di essi, che rispondevano della sottrazione o
del danneggiamento delle cose a loro affidate, a meno che non fosse intervenuta una vis màior (incendio,
naufragio, furto): l’intervento del pretore intese aggravare la normale responsabilità di tali persone, per
meglio combattere la loro disonestà. In dottrina si è evidenziato che in origine occorreva
un’assunzione esplicita di tale responsabilità, come per gli altri recepta: peraltro, già in epoca classica si
giunse a considerare implicito il patto nella ricezione della cosa. Armatori, albergatori e stallieri,
rispondevano della restituzione di tutto ciò che avessero introdotto nel loro esercizio, e assumevano
l'impegno che le cose loro consegnate fossero restituite ai clienti nello stesso stato in cui le avevano
ricevute. Se danneggiamenti o furti erano effettuati dai dipenti di nauta, caupo, stabularius, questi nel
rispondevano ugualmente secondo la presunzione di negligenza dei gestori nella scelta e nella vigilanza dei
loro dipendenti. Questi per evitare queste responsabilità potevano dichiarare l’esenzione da responsabilità
al momento stesso in cui il cliente salisse sulla nave o vi caricasse le sue merci.

77

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

CONTRATTI INNOMINATI
Con il continuo ampliarsi dell’impero implicò la nascita di nuovi schemi negoziali, i nova negotia.
Comparsa delle conventiones sine nomine: questi nuovi atti che si praticavano nei rapporti quotidiani
dell’economia mercantile divennero oggetto di attenzione e di disputa da parte dei giuristi.
Conventiònes sine nòmine [Contratti innominati] Categoria di contratti, di creazione giurisprudenziale
classica, che ricomprendeva tutti i contratti privi di un proprio nomen iùris e di una regolamentazione
tipica, ma diffusi nella pratica. La giurisprudenza usava classificarli per tipi, con riferimento a quattro
possibilità di combinazione tra le prestazione di dare e di fare e le obbligazioni a queste riferibili:
1. Contratto do ut des “dò affinché tu dia”Uno dei contratti innominati, caratterizzato dal fatto che si
dava una cosa per ottenerne un’altra. L’espressione, nel linguaggio degli operatori giuridici moderni, è
adoperata in relazione ai contratti di scambio (detti anche a prestazioni corrispettive), per indicare che
ciascuna delle parti di un contratto assume l’obbligo di dare qualcosa all’altra: si dà una cosa per
riceverne, in cambio, un’altra.
2. do ut facias “dò affinché tu faccia” Uno dei contratti innominati, caratterizzato dal fatto che si dava
una cosa per ottenere in cambio una prestazione di fare. L’espressione, nel linguaggio degli operatori
giuridici moderni, è adoperata in relazione di contratti di scambio (detti anche a prestazioni
corrispettive), per indicare che una delle parti del contratto assume un obbligo di dare, l’altra un obbligo
di fare: si dà una cosa per ricevere, in cambio, una prestazione di fare.
3. facio ut des “Prestazione di fare contro dazione di cosa” Figura di contratto innominato a prestazioni
corrispettive (o sinallagmatico), in cui una parte effettuava una prestazione di fare per ottenere la
dazione di una cosa. Sul piano della tutela, poiché era inconcepibile la restituzione di un fàcere, si
accordava al creditore un’àctio de dolo.
4. facio ut facias “Prestazione di fare contro prestazione di fare” Figura di contratto innominato a
prestazioni corrispettive (o sinallagmatico), con il quale una parte eseguiva una prestazione di fare in
cambio di un’altra, anch’essa di fare. Sul piano della tutela poiché era inconcepibile la restituzione di
un fàcere, si accordava al creditore un’àctio de dolo.
Queste le caratteristiche principali dei contratti innominati:
- l’obbligazione sorgeva indipendentemente dalla prestazione del consenso, per il solo fatto che una delle
parti avesse operato una prestazione;
- la prestazione era fatta in vista di una futura controprestazione della controparte;
- le obbligazioni delle parti erano interdipendenti.
Fu solo il diritto giustinianeo ad inquadrare completamente i contratti innominati nell’ambito del iùs civile,
predisponendo mezzi di tutela adeguati ad ogni fattispecie; l’evoluzione postclassica portò, altresì, alla
tipizzazione di alcuni contratti in origine innominati (permutàtio, æstimàtum, transàctio, precàrium, datio
ad experiendum, inspicièndum, vendèndum).
Quanto ai mezzi di tutela, in particolare, occorre rilevare che, poiché l’obbligazione nascente dai contratti
innominati si fondava sulla esecuzione di una prestazione dell’altra parte, l’azione a difesa dei contratti
innominati era esperibile da chi aveva eseguito la prestazione, per costringere l’altra parte ad eseguire la
controprestazione.
Se il creditore voleva ottenere la restituzione di quanto aveva dato (nel caso di do ut des e do ut facias),
poteva essere esperita una condìctio denominata:
- condictio causa data causa non secùta oppure una condictio ob causam datòrum.  Condictio così
denominata da Giustiniano e coincidente con la condictio ob causam datòrum. Azione esperibile per
ottenere la restituzione di quanto era stato dato alla controparte in esecuzione di un contratto
innominato, se la controprestazione era venuta meno. Per estensione, si ammise che essa fosse
esperibile anche dal donante, nei casi di donazione modale, per recuperare ciò che egli aveva donato,
qualora il modus non fosse stato adempiuto.
Se il creditore voleva ottenere l’indennizzo per la prestazione effettuata (nel caso di facio ut facias e di facio
ut des), poteva esercitare un’àctio de dolo.
In concorrenza con le dette azioni, oltre alla possibilità di esercitare la condictio per ottenere la restituzione
della cosa oppure l’actio de dolo, il diritto giustianianeo, scomparso il dualismo tra diritto civile e diritto
pretorio, riconobbe la possibilità di esperire una azione, intesa quale mezzo generale a tutela di ogni

78

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

contratto innominato: questa azione era denominata actio praescrìptis vèrbis (al fine di pttenere la
controprestazione), tendente al risarcimento del danno subito.
Indipendentemente dall’inadempimento, la parte che aveva eseguito la prestazione poteva, inoltre,
esercitare la condictio ex pœnitèntia (azione per il recesso, attraverso il quale, in tema di contratti
innominati, il contraente che aveva trasmesso la proprietà di una cosa poteva chiederne la restituzione,
sempre che non avesse già ricevuto la controprestazione) che comportava il recesso dal contratto.

Tra le numerose, possibili fattispecie di contratti innominati, illustriamo adesso le sole figure che, a causa
della loro particolare diffusione si trasformarono in contratti tipici, dotati di un proprio nomen iuris:
 PERMUTA Contratto innominato, avente ad oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di
cose, da un contraente ad un altro. I giuristi Sabiniani ritenevano la permuta una species del genus, èmptio-
vendìtio: infatti essi ritenevano che il prezzo della compravendita potesse consistere anche in una cosa
infungibile. Il iùs honoràrium, invece, accolse la tesi dei Proculiani, i quali ritenevano che la permuta
configurasse un’ipotesi di convèntio sine nòmine ed accordò un’àctio in factum da esperirsi contro
l’accipiente, in esso di adempimento della controprestazione. In epoca giustinianea la permuta fu
ricompresa tra i contratti do ut des e tutelata con l’actio præscrìptis verbis.
 CONTRATTO ESTIMATORIO Figura di contratto innominato; consisteva nella consegna effettuata,
da un contraente alla controparte, di una cosa stimata, allo scopo di venderla e con l’obbligo dell’accipiente
di restituirla (in caso di mancata vendita) oppure di pagarne la stima prefissata (se era stata venduta).
Tale contratto non poteva essere assimilato alla vendita in quanto il contraente poteva anche restituire la
cosa, né alla locazione (locàtio òperis), poiché il contraente non era tenuto a vendere; per tale motivo il
pretore tutelava il rapporto contrattuale scaturente dal contratto di estimatorio accordando una actio in
factum . Risponde allo schema do ut des.
 FIGURE IBRIDE Dàtio ad experièndum, inspicièndum, vendèndum: rientrava tra i c.d. contratti
innominat, quelli cioè atipici, e non disciplinati dal iùs civile. Si aveva nei casi in cui un soggetto
consegnava ad un altro una res [vedi], affinché la provasse (experìri) o la esaminasse a fondo (inspìcere), in
vista di un eventuale compravendita. L’impossibilità di ricondurre la dàtio ad experièndum, inspicièndum,
vendèndum a figure di contratti tipici fece sì che essa fosse catalogata, sin dal periodo classico, tra i
contratti innominati. Ebbe notevole diffusione in diritto postclassico.
 TRANSAZIONE non era un contratto tipico, bensì un fine che poteva essere posto alla base di
una stipulàtio (con la conseguenza che l’atto dava luogo all’àctio ex stipulatu) oppure di un patto privo di
forma. In questo secondo caso, il pretore riconobbe che le reciproche rinunce delle parti in ordine alle
rispettive pretese (volte a metter fine ad una controversia) davano luogo ad una excèptio pacti. In pratica,
l’eccezione comportava l’estinzione dell’obbligazione oggetto dell’atto transattivo. In epoca giustinianea, la
transazione fu considerato un atto autonomo e tipico, in quanto, a seguito della concessione dell’actio
præscrìptis verbis, venne inquadrato tra i contratti innominati. In tal modo, si ritenne che le obbligazioni
oggetto della transazione si estinguessero con la mera redazione dell’atto. Inquadrata il tutta la
quadripartizione di do ut des, do ut facias, facio ut des, facio ut facias.
 PRECARIUM ciò che viene concesso su istanza di un soggetto può essere usato fino a quando chi
lo concesse non ne chiede la restituzione) ed ha origini antichissime. In diritto classico, il possesso
della res data in precario poteva essere sottratto dal concedente al precarista, in qualunque momento,
anche a proprio piacimento, con un semplice cenno (ad nùtum); se il precarista rifiutava la restituzione
della res, vi erano due possibilità:
- il concedente, proprietario della res, poteva agire contro il precarista con la rèi vindicàtio;
- al concedente, non proprietario della res, era concesso dal pretore, contro il precarista,
un interdìctum de precario.
L’istituto perse rilievo in diritto postclassico, quando si affermò il contratto di commodàtum; non
scomparve, però, del tutto, finendo per essere inquadrato tra i contratti innominati, attraverso l’estensione
dell’àctio præscrìptis verbis. Relativo agli schemi do ut des, do ut facias.

79

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

I QUASI CONTRATTI
Furono giuridicamente rilevanti anche talune obbligazioni non nascenti dall’incontro tra le volontà delle
parti del rapporto obbligatorio. Gaio si era limitato nella bipartizione tra contractus e atto illecito, ma poi
adottò una classificazione più ampia, bensì tripartitica, dove le obbligazioni, oltre a nascere da contratto e
atto illecito, nascono anche proprio iure (secondo un prorio asetto giuridico), ex variis causarum fuguris (da
vari tipi di cause). Nelle istituzioni giustinianee abbiamo una quadripartizione delle fonti delle oblligazioni,
dove si, nascono da contratto e fatto illecito secondola compilazione gaiana, ma anche da quasi contratti e
quasi delitti.
Le obbligazioni non nascenti da contractus erano quelle derivate o da atto unilaterale o in situazioni nelle
quali mancava a entrambe le parti del rapporto obbligatorio la volontà di dare vita all’obbligazione.
Tra i quasi contratti abbiamo:
- NEGOTIORUM GESTIO (gestione spontanea di affari altrui): rinvio pag.73
- PAGAMENTO DI INDEBITO (indebiti solutio): rinvio pag. 55 e 63, vedi condictio causa data causa non
secùta pag.78
Altri rapporti tutelati con condictiones: l’ingiustificato arricchimento con figure affini all’indebiti solutio che
furono:
- DAZIONE PRIVA DI SCOPO: la condictio sine causa, azione di ripetizione concessa a chi aveva effettuato
una dazione priva di scopo, esperibile da colui il quale, avendo effettuato una prestazione in dando per
una finalità inesistente o irrealizzabile, chiedeva la restituzione di quanto dato
- DAZIONE PER CAUSA INGIUSTA O TURPE, con l’azione ripetibile condictio ob turpem causam con cui si
intese tutelare chi avesse effettuato una prestazione in favore di un tale, affinchè effettuasse un atto
immorale oppure perché facesse il proprio dovere o non compisse, dietro compenso, un atto immorale
o illecito, in quest’ultima ipotesi la dazione non aveva nulla di illecito ma determinava per l’accipiente un
arricchimento ingiustificato, dal momento che si ritenne disonesto compiere il proprio dovere dietro
pagamento. Il dante perciò poteva richiedere la ripetizione.
Tra V e VI sec. d.C. si affermò che ogni arricchimento privo di apprezzabile funzione pratico-sociale, cui
facesse riscontro un depauperamento altrettanto ingiustificato per l’autore della prestazione divenne fonte
di obbligazione alla restituzione di quanto ricevuto. La violazione di detto obbligo, faceva nascere una
condictio, azione di ripetizione in personam, ormai facente capo ad un’unica condictio generalis, senza più
le vecchie denominazioni.
- TUTELA: Legata alle stesse logiche fu la responsabilità del pupillo nei limiti del suo arricchimento, per il
dolo del tutore. Il tutore rispondeva della propria gestione con l’actio tutelae e poteva a sua volta agire
con il rimborso delle spese e l’indennizzo dei danni con actio negotiorum gestorum, in quanto la tutela
era inserita tra i negotiorum gestio.
- COMMUNIO INCIDENS: (Comunione incidentale)Forma di comunione nascente da cause estranee alla
volontà dei comunisti (si pensi, ad es., all’ipotesi di più persone istituite eredi di uno stesso de cùius).
La forma più antica di comunione incidentale fu il consòrtium èrcto non cìto. Si pensi ai casi di
condominio e coeredità. La communio si formava indipendentemente da una conventio tra i proprietari.
- LEGATI OBBLIGATORI: i legati costitutivi di obblighi furono:
- Legatum per damnationem: legato mediante imposizione di obbligo, costituiva in capo all’erede
l’obbligo di procurare al legatario un oggetto. Si veniva a creare un rapporto obbligatorio tra erede
(debitore) e legatario (creditore), rapporto che prescindeva da una conventio tra testatore, lagatario
ed erede, né itegrava delictum. Nei confronti dell’erede, il legatario poteva fare valere le sue pretese
mediante un’actio ex testamentum;
- Lagatum sinendi modo: legato con obbligo di premettere, imponeva all’erede un comportamento
negativo, la patientia, in quanto egli doveva semplicemente consentire che il legatario si impadronisse
di una cosa del de cuius o dell’erede.
Rimasero fuori dai quasi contratti tre importanti figure giuridiche:
- Obbligo di prestare alimentiObbligazione di fornire mezzi di sostentamento incombente su una
persona, legata da vincolo di parentela, adozione od affinità ad un’altra (c.d. alimentando) in base ad un
ordine diversificato a seconda dell’intensità del vincolo. In diritto romano, l’obbligo di prestare gli

80

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

alimenti poteva derivare: da specifica convenzione; da legato; da espresse disposizioni


dell’ordinamento giuridico.
L’istituto, ignoto al iùs civile, fu introdotto in diritto romano da Antonino Pio e Marco Aurelio: si stabilì,
infatti, per por rimedio alla decadenza della familia, che determinate persone, legate tra loro da vincoli
di parentela, affinità o riconoscenza, fossero reciprocamente tenute a fornirsi, in caso di bisogno, i mezzi
di sostentamento (cibo, vesti, alloggio), in natura od in denaro. L’obbligo degli alimenti era
tutelato extra òrdinem. Se ne poteva chiedere l’esecuzione mediante un’azione sottoposta a taxatio
e, in id quod facere potest nei limiti delle facoltà dell’obbligato e non oltre e poteva venir meno solo se
l’alimentando avesse gravemente offeso il soggetto obbligato nei suoi confronti.
In diritto postclassico, l’obbligo degli alimenti ebbe generale riconoscimento, anche in virtù della
diffusione del Cristianesimo.
- Pollicitatio”Promessa unilaterale” è una obbligazione non contrattuale da atto lecito e rientra tra le
“obligatiònes quæ quasi ex contractu nascùntur” (obbligazioni nascenti da quasi-contratto).
In particolare, consisteva in una promessa unilaterale e non formale effettuata da un cives alla cìvitas,
avente ad oggetto il compimento di un òpus (opera) di pubblica utilità, oppure altre prestazioni (ad es.
danaro). In genere, solevano fare tale promessa coloro che ricoprivano già, o intendevano ricoprire, una
carica pubblica. Non richiedeva l’accettazione della civitas ed era coercibile extra ordinem in via
amministrativa.
Nel diritto giustinianeo, poi, si affermò il principio secondo cui il promittente non si vincolava con la
promessa pura e semplice, ma solo se avesse dato inizio all’esecuzione dell’opera (opere cœpto).
- Votum “voto”Era una delle figure di obbligazioni non contrattuali nascenti da atto lecito.
Essa consisteva nella promessa sacrale ad una divinità: l’impegno assunto nella sfera religiosa aveva ad
oggetto una certa prestazione propiziatoria o di ringraziamento. I sacerdoti della divinità potevano
chiedere l’adempimento della promessa mediante il ricorso alla cognìtio extra òrdinem.

MODI DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO


L’obbligazione si estingue soprattutto con l’adempimento, ma si estingue anche mediante:
- Acceptilatio
- Solutio per aes et libram
- Novatio
- Litis contestatio
Acceptilatio e solutio per aes et libram come forme di remissione del debito, ossia l’atto con cui il
creditore, d’accordo con il debitore, rinuncia all’adempimento. Forme estintive di remissione del debito:
- SOLUTIO PER AES ET LIBRAMModo di estinzione delle obbligazioni derivanti da un negozio per æs et
libram. In origine, era l’atto contrario della nèxi dàtio NEXUM: es. si compiva nella stessa forma
della mancipàtio: cioè, con l’intervento di 5 testimoni, della bilancia e del lìbripens. Il debitore, dopo
aver pagato, pronunciava una formula solenne di rivendicazione della propria libertà.
In epoca classica essa divenne una imaginaria solutio, cioè ebbe una funzione soltanto formale: ad essa
si ricorreva per fini di remìssio o di liberalità o comunque, per operare l’estinzione del debito,
indipendentemente dall’effettiva esistenza di una causa giustificativa di tale estinzione.
L’istituto scomparve del tutto nel diritto giustinianeo
- ACCEPTILATIOModo di estinzione dell’obbligazione in diritto classico. Essa si concretizzava in una
sorta di pagamento fittizio: il creditore dichiarava di aver ricevuto dal debitore la prestazione dovuta,
estinguendo con ciò l’obbligazione anche a prescindere da un effettivo pagamento. L’istituto assunse
ben presto anche la funzione di remissione del debito. L’estinzione dell’obbligazione a seguito di
acceptilatio avveniva automaticamente, ìpso iùr. Non poteva essere sottoposta a condizione.
Si riteneva ammissibile generalmente, in diritto classico, un’estinzione parziale dell’obbligazione
(acceptilatio parziale). Nell’ambito dell’acceptilatio, occorre distinguere:
- acceptilatio verbis: era l’atto contrario della stipulàtio [vedi] e consisteva in uno scambio contestuale
di dichiarazioni orali tra creditore e debitore, con il debitore che chiedeva all’altro se era soddisfatto,
ed il creditore che rispondeva affermativamente;

81

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

- acceptilatio lìtteris: era l’atto contrario dell’expensilàtio e consisteva nella registrazione da parte del
creditore, nel libro-giornale delle entrate e delle uscite (che ogni pater familias teneva), del
pagamento della somma dovuta.
L’obbligazione verbale poteva estinguersi soltanto con l’acceptilatio verbis; la particolare semplicità di
quest’ultima (che non richiedeva forme specifiche), indusse i Romani a farne uso frequente: a tal scopo,
invalse la prassi di novare le obbligazioni non verbali in obbligazioni verbali, onde poterle
successivamente estinguere attraverso l’acceptilatio verbis.
- PACTUM DE NON PETENDOaccordo privo di forma con il quale il creditore conveniva col debitore di
non richiedere l’adempimento della prestazione. Non estingueva ipso iure l’obbligazione, ma fondava
un’eccezione prevista dall’editto pretorio, exceptiopacti conventi, con la quale il debitore non negava
l’obbligazione, ma poteva opporre l’esistenza del patto al creditore che, nonostante l’impegno assunto,
avesse agito ugualmente in giudizio per realizzare il suo credito. Exceptio pacti poteva essere
peremmtoria o dilatoria, poteva cioè essere opponibile in perpetuo, rendendo perpetuamente
infondata l’azione della controparte, o entro un dato termine, ossia per agire in giudizio se ne sarebbe
dovuta attendere la scadenza a pena di perdere la lite.
L’efficacia del pactum de non petendo era limitata soltanto alle parti, si estendeva anche all’erede del
debitore o condebitore solidale a seconda che il patto fosse concepito in forma personale o in rem. Oltre
che in forma espressa il patto di remissione poteva essere convenuto in forma tacita.

CONTRARIO CONSENSO E RECESSO UNILATERALE


Per i contratti consensuali, il consenso delle parti determinava il sorgere del rapporto obbligatorio, così il
loro dissenso ne causava l’estinzione. Quindi il contrario consenso produceva l’effetto automatico
dell’estinzione ipso iure dell’intero rapporto.
Per quanto riguarda la società e il mandato, questi si scioglievano anche per recesso unilaterale, ossia di
una sola parte, e cessavano anche se aveva avuto inizio l’esecuzione del contratto. Si estinguevano le
obbligazioni nate con il contratto e costituiste in vista della sua attuazione, persistevano invece quelle già
sorte. Il mandato si estingueva per espletamento dell’incarico e la società consensuale si sciogleva per
ragioni inerenti lo scopo sociale, capitis deminutio di un socio o la bonorum venditio subita da un socio.

MORTE E CAPITIS DEMINUTIO


MORTE: in età arcaica vige la regola dell’intrasmissibilità dell’obbligazione e seguito di morte del debitore,
inconseguenza del carattere strettamente personale dell’obligatio.
La legge decemvirale diede per presupposta la normale trasmissibilità agli eredi non solo dei crediti, ma
anche dei debiti, e nel corso dell’età repubblicana abbiamo trasmissibilità mortis causa delle obbligazioni d
atto lecito. In età repubblicana erano intrasmissibili , e pertanto si estinguevano con la morte di una delle
due parti, i rapporti di società e mandato, della locatio operarum, obbligazioni da sponsores e
fidepromissores, anche quelle nascenti da stipulatio in faciendo.
Quanto alle obbligazioni da atto illecito sono passivamente intrasmissibili, peru cui, morto l’autore
dell’illecito, l’azione penale non si poteva esercitare contro gli eredi e si estingueva il relativo debito. La
regola era invece quella di trasmissibilità del lato attivo, potendo le azioni penali esercitarsi dagli eredi del
creditore, dato che la sua morte non estingueva l’obligatio.
CAPITIS DEMINUTIO: il pretore dava ai creditori la possibilità di agire contro chi avesse subito capitis
deminutiom, con actio utilis ficticia, come se fossero ancora sui iuris e la capitis deminutio conseguente ad
adrogatio o conventio in manum non si fosse verificata. Estinti erano anche i debiti dell’emancipato; ma
non per le obbligazioni nascenti da delicto, per nessuno.

CONFUSIONE
L’obbligazione si estingueva quando la qualità di creditore e debitore venivano a riunirsi nella stessa
persone. Avveniva per successione ereditaria e in ipotesi di obbligazioni nossali quando l’offeso avrebbe
dovuto agire contro se stesso per essere il soggetto offensore caduto sotto la sua potestà. Inoltre si
estingueva per confusione l’obbligazione di garanzia se si riunivano nella stessa persona il debitore e il
garante.

82

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA
L’obbligazione si estingueva per impossibilità sopravvenuta della prestazione di cui il debitore non era
responsabile. Doveva trattarsi di impossibilità oggettiva. L’effetto estintivo era limitato o escluso quando
l’impossibilità fosse solo parziale ovvero quando la prestazione originaria potesse essere sostituita da
un’altra. Ove poi l’impossibilità fosse solo temporanea e la prestazione nuovamente possibile si verifica che
l’obbligazione sarebbe tornata a rivivere non appena la prestazione si fosse resa nuovamente possibile.

CONCURSUS CAUSARUM
Modo di estinzione delle obbligazioni. In particolare, quando il creditore otteneva successivamente, in base
ad altro titolo, la prestazione dovutagli: diventava in tal caso impossibile che il debitore potesse adempiere,
poiché egli non poteva trasferire la proprietà della cosa (oggetto della prestazione) al creditore che già ne
era divenuto proprietario. In origine, si riteneva che l’obbligazione si estinguesse comunque, senza che
fosse rilevante il modo attraverso il quale il creditore avesse raggiunto il suo soddisfacimento. Dai tempi
di Salvio Giuliano la regola subì una limitazione: si ritenne che l’obbligazione si estinguesse solo se il
creditore avesse ottenuto la cosa a titolo lucrativo e a titolo gratuito.
Se, invece, il creditore aveva acquistato la cosa a titolo oneroso, il debitore continuava ad essere obbligato
nei suoi confronti all’adempimento o almeno alla satisfactio. (es. pag. 602).

COMPENSAZIONE
Quando tra due soggetti esistono reciprocamente rapporti di debito e di credito e le rispettive pretese si
riducono in conseguenza di quanto l’uno deve all’altro (estinguendosi per la parte per cui concorrono). Ad
esempio se Tizio e Caio sono creditore reciprocamente l’uno dell’altro di cento, nessuna pretesa potrà
essere fatta valere, estinguendosi tra loro le due obbligazioni reciproche; se Tizio è creditore di cento nei di
Caio e questi a sua volta lo è nei confronti di Tizio di cinquanta, si estinguerà la pretesa di Caio e resterà
quella di Tizio per la differenza.
Venne considerata come modo di estinzione delle obbligazioni soltanto sul finire della Repubblica,
consentendo la compensazione giudiziale per le obbligazioni fatte valere tramite giudizi di buona fede,
poiché si ritenne non conforme a buona fede il creditore che chiedesse al debitore se non avesse pagato se
non avesse a sua volta adempiuto la propria prestazione, perciò si cominciò ad ammettere che il giudice
tenesse conto dei controcrediti per non condannare il convenuto, ed eventualmente procedere a
compensazione condannandolo solo nella differenza o assolvendolo in caso di pareggio.
Occorreva che i due crediti derivassero dalla stessa fonte, non era richiesto che fossero omogenei (l’uno di
denaro e l’altro di case determinate).
Quindi l’effetto estintivo si verificava come conseguenza della sentenza del giudice che definiva con un
unico provvedimento tutte le conseguenze giuridiche del rapporto dedotto in giudizio.
Altro caso di compensazione ammessa è il cosa tra banchiere e cliente. Il pretore impose al banchiere di
agire contro il cliente per compensazione. Per chiedere solo quanto rimaneva (saldo) dopo avere dedotto
dal proprio credito quanto a sua volta egli doveva al cliente. Se il banchiere agiva per un centesimo in più
perdeva la lite. Qui occorreva che i due crediti fossero omogenei e potevano non derivare dallo stesso
rapporto.
Altro caso di compensazione giudiziale è quella relativa al bonorum emptor, cioè all’acquirente del
patrimonio del debitore insolvente, per cui per ragioni di equità venne fatto obbligo di agire contro i
debitori del fallito solo cum deductione, cioè deducendo i crediti che essi a loro volta avevano verso
quest’ultimo. Sarebbe stato il giudice ad operare la deductio il modo da condannare il convenuto a pagare
l’eventuale differenza, quindi l’attore non incorreva al rischio di pluris petitio. Si potevano compensare
crediti non omogenei.
La compensazione in età imperiale si ammise anche negli iudicia stricti iuris, da attuarsi mediante exceptio
doli opponibile dal convenuto, avendo essa nel processo formulare l’effetto di escludere e non di ridurre la
condanna.
Nel diritto giustinianeo la compensazione assunse portata generale. Essa si applicava a tutti i rapporti e a
tutte le relazioni operante ipso iure per il solo fatto della coesistenza di crediti reciproci. Occorreva che il
credito apposto in compensazione fosse esigibile, cioè scaduto, liquido, non era richiesta omogeneità. Non
si ammetteva nei casi di deposito e di ingiusto spoglio del possesso.
83

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

NOVAZIONE
Consiste nella sostituzione di una nuova obbligazione a una precedente c he restava estinta.
Si attuava di norma tramite stipulatio, con stipulazione novatoria. Questa doveva contenere un espresso
riferimento all’obbligazione precedente che si intendeva estinguere (se l’obbligazione era invalida, risultava
invalida anche la stipulatio) e doveva avere il medesimo oggetto della precedente, quindi la prestazione
doveva rimanere fondamentalmente uguale nel passaggio dall’una o l’altra obbligazione. Occorreva che
l’obbligo dedotto nella stipulatio novatoria presentasse qualche elemento nuovo rispetto alla precedente
obbligazione, qualora non venisse rispettato questo elemento vale il principio secondo cui chi promette
due volte la stessa cosa non è tenuto che una volta sola. A questi elementi aggiunsero in epoca giustinianea
l’animus novandi, ossia l’intenzione comune di procedere a novazione. Si distingueva, altresì, la
novazione soggettiva da quella oggettiva, a seconda dell’elemento cui si riferiva l’innovazione:
- Novazione oggettiva era caratterizzata dalla modificazione del titolo o di un elemento accidentale del
rapporto ovvero dall’inserzione di una condizione o di un termine ad una precedente obbligazione;
Caso importante di novazione oggettiva dato dalla stipulatio Aquiliana, che consisteva nel dedurre in
un'unica stipulatio novatoria tutti i rapporti obbligatori civili e onorari, presenti e futuri, scaduti o meno,
puri o sotto condizione, esistenti tra promittente e stipulante , con la conseguenza che il promittente,
compiuta la stipulatio, sarebbe stato tenuto verso lo stipulante in forza di quella sola. Si consentiva di
poter successivamente estinguere l’obbligo con il ricorso all’acceptilatio.
- Novazione soggettiva consisteva nel mutamento di uno dei soggetti del rapporto obbligatorio e
consentiva di raggiungere il medesimo risultato che oggi si ottiene facendo ricorso alla cessione del
credito istituto, invece, ignoto al diritto romano. Essa si attuava in forza di delegazione che poteva
essere attiva o passiva:
DELAGATIO PROMITTENDI ATTIVAquando il creditore (delegante) dava in carico al debitore (delegato)
di promettere tramite stipulatio la stessa prestazione a un terzo, nuovo creditore (delegatario), quindi
l’obbligazione si estingueva per novazione tra creditore originario e ne costituiva una nuova, ex stipulatu
con lo stesso oggetto, tra debitore e nuovo creditore.
DELEGAZIONE PASSIVA quando il debitore (delegante) dava incarico ad un terzo (delegato) di
promettere la stessa prestazione (con stipulatio novatoria) al creditore (delegatario) costituendo una
nuova obbligazione tra delegato e delegatario, estinguendo quella originale tra debitore e creditore.

LITIS CONTESTATIO E SENTENZA


Litis contestatio era l’atto che chiudeva la fase in iure dei processi dell’ordo e nel processo formulare. Da
essa discendeva l’effetto della preclusione processuale, che impediva che si potesse agire due volte per lo
stesso rapporto. Essa produceva ipso iure l’estinzione dell’obbligo dedotto in giudizio e lo sostituiva con
diverso obbligo di sottostare alla condanna. Quindi la litis contestatio si ricollegava a un duplice oridine di
effetti: da un lato estintivi dei precedenti rapporti dedotti in giudizio, dall’altro costitutivi di nuovi vincoli
nascenti dal giudizio e dalla sentenza emanata a conclusione di esso.
Non sempre il vincolo nascente da litis contestatio era fondato su ius civile, e quindi non avrebbe potuto
produrre un effetto estintivo, ma si sarebbe prodotto l’effetto preclusivo (che impediva la riproponibilità
dell’azione) opponibile attraverso il ricorso all’excepio rei iudicatae vel in iudicium deductae.
In conseguenza di questi effetti venne talvolta accostata alla novazione, ma a differenza con essa, con litis
contestatio non si estinguevano i rapporti di garanzia e continuavano a decorrere eventuali interessi.
Analogo effetto estintivo di produceva anche sotto il profilo del decorso del tempo, per il mancato esercizio
dell’azione nei termini previsti, come per le azioni penali esperibili entro un anno dal decorso dell’illecito.

84

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

OBBLIGAZIONI DA DELITTO
I DELICTA
Fonte di obbligazione, oltre ai contratti, sono anche gli atti illeciti, definiti delicta o maleficia. Per aversi
delictum l’autore deve necessariamente volere l’atto pur avendo coscienza della sua illeceità, cioè deve
agire con dolo. Con riferimento al damnum iniura datum il creterio di imputabilità si estende a prevedere la
responsabilità anche in caso di colpa levissima (negligenza ed imprudenza).

LA PENA. LE AZIONI PENALI, REIPERSECUTORIE E MISTE


Alla commissione di un delitto consegue il sorgere in capo al reo di un obligatio nei confronti dell’offeso.
Tale obligatio ex delicto impone al responsabile il pagamento di una somma di denaro (pena privata), per
cui il responsabile sarà tenuto a versare alla parte lesa, una somma fissa predeterminata, oppure la somma
corrispondente all’entità del danno prodotto, nei casi meno gravi, o il multiplo della stessa, nei casi più
gravi. Scopo iniziale della pena privata è la punizione del colpevole in misura adeguata al male arrecato,
trasformandosi in funzione risarcitoria di carattere patrimoniale, che finirà con l’attrarre nella sfera
privatistica gli illeciti cui consegue il risarcimento del danno attraverso la reintegrazione delpatrimonio della
parte lesa, consegnando invece gli illeciti sanzionati con pena afflittive nell’ambito del diritto penale
pubblico. I delitti privati sono, secondo Gaio:
- furtum,
- bona vi rapta (rapina),
- damnum iniura datm (danneggiamento)
- iniuria.
L’offeso può sempre esperire un’azione penale, mirante ad ottenere dal reo, a titolo di sanzione, una pena,
cioè una somma di denaro.
L’azione penale è passivamente intrasmissibile, con la morte del reo si estingue perciò l’obligatio ex dilicto,
è invece trasmissibile dal lato attivo, ossia con la morte della parte lesa.
Altra caratteristica dell’azione penale è la nossalità: se a commettere un delitto è un soggetto inpotestà, la
parte lesa potrà pretendere il ristoro economico dal paterfamilias, tenuto a rispondere di un illecito
commesso da altri, salvo che non preferisca consegnare il reo all’offeso perché sconti presso questo la
pena. Se il reo poi diviene sui iuris, l’avente prima potestà su di lui viene liberato da ogni responsabilità, in
base al principio noxa caput sequitor, la pena segue la persona.
In caso di più rei che abbiano commesso un delictum, l’obbligazione nasce in capo a ciascuno dei
responsabili, l’azione può intentarsi in solidum.

AZIONI REIPERSECUTORIE:
non ha scopo afflittivo, ma solo risarcitorio, mirando al ristoro del danno subito o a impedire l’ingiustificato
arricchimento. Essa è trasmissibile sia dal lato passivo che dal lato attivo, può essere intentata contro il
paterfamilias del responsabile nei limiti del peculium, e in caso di più debitore, esperibile contro ciascuno.
Mentre è concesso il cumulo dell’una con l’altra per le azioni penali, questo non è possibile per le azione rei
persecutorie.

LA PRESCRIZIONE:
le azioni reipersecutorie non si prescrivono, diversamente è previsto invece per le azioni penali: sono
perpetue se prevista dallo ius civile, annuali se conseguono figure di illecito previste da ius honorarium.

AZIONI MISTE:
accanto alle due azioni viste, la dottrina giustinianea elabora il tertium genus delle azioni c.d. miste, che
mirano a garantire all’attore sia il risarcimento che la pena. Giustiniano definisce miste tutte le azioni che
contemporaneamente prevedono per l’attore sia il risarcimento che la pena e che quindi condannano a un
multiplo del valore della res.

85

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

IL FURTUM
Il furto consisteva nella sottrazione non violenta e contro la volontà del suo detentore di una cosa mobile,
oppure di un animale o di uno schiavo. Da Gaio apprendiamo che poteva avere ad oggetto anche uomini
liberi, come nel caso che venisse sottratto alla potestà del pater familias un filius, oppure alla potestà
maritale la moglie oppure, infine, una persona ricevuta in potestà per sentenza (iudicàtus) oppure per
regolare contratto (auctoràtus, tipico esempio era quello dei gladiatori);
Era configurabile anche il furtum rei suæ, cioè il furto di una cosa propria: tipico è il caso del debitore che si
impadroniva di una res data in pegno al creditore o del soggetto che sottraeva una cosa propria (od anche
uno schiavo) al possessore di buona fede. Il furtum era un atto illecito fonte di un’obbligazione ex delicto; si
distingueva dalla rapina, nella quale la sottrazione avveniva in modo violento. Si distinguevano:
- furtum manifèstum, quando il ladro era colto in flagrante;
- furtum nec manifèstum, se il ladro non era colto in flagrante.
Due ipotesi di furtum nec manifèstum contemplate dalla Lex XII Tabulàrum], per le quali fu fissata la pena
del trìplum, furono:
- furtum conceptum, allorché la refurtiva veniva trovata in casa dell’indiziato;
- furtum oblatum, allorché il reo di furtum conceptum dimostrasse che la refurtiva gli era stata offerta
per nasconderla in casa da terzi.
Elementi del furto erano:
- la condotta (c.d. elemento oggettivo) che poteva consistere in una amòtio rei od in una contrectàtio: si
commetteva furto sia impadronendosi di una cosa altrui per portarla via (amotio), che, più in generale,
impadronendosi di una cosa altrui contro la volontà del dòminus (contrectatio).
La nozione di amotio si allargò fino a ricomprendere anche ipotesi in cui mancava la sottrazione
materiale: si ammise che commetteva furto il depositario che usava della cosa depositata (furtum ùsus)
o il detentore che, rifiutandosi di restituire la cosa al dominus, incominciava a possederla per sé (furtum
possessiònis);
- l’elemento soggettivo, che era dato dal dolus malus, cioè dalla coscienza di impossessarsi
della res contro la volontà del proprietario;
- l’ànimus lùcri facièndi (fine di lucro), cioè l’intenzione di trarre vantaggio dalla cosa rubata.
Il fine di lucro era normale nel furto, ma veniva distinto dal c.d. animus furàndi (la vera e propria
intenzione di commettere il furto);
- la non punibilità del furto putativo, nel senso che all’intenzione di rubare doveva seguire un vero e
proprio furto e non una sottrazione solo erroneamente ritenuta furto (es. impossessamento di una res
nullìus o derelìcta).
In presenza di furtum manifèstum il derubato che fosse riuscito a prendere il ladro poteva applicare
la mànus inièctio e la pena da pagare corrispondeva al doppio (duplum) del valore della cosa rubata [vedi,
però endoploratio], mentre se il ladro era colto di notte ovvero si difendeva con armi o si trattava di uno
schiavo, poteva anche essere ucciso.
Se si trattava, invece, di furtum nec manifestum, il derubato poteva chiamare in giudizio il presunto ladro
per mezzo di una lègis àctio sacramènti in personam. Se il convenuto resisteva in giudizio si passava alla lìtis
contestàtio e, in caso di condanna, era tenuto a pagare il doppio del valore della cosa rubata.
In epoca classica, ferma restando la possibilità di uccidere il ladro notturno o che si difendeva a mano
armata, era concessa un’actio fùrt, che comportava, se esperita vittoriosamente, la condanna ad una
pena pecuniaria. Tale pena, poteva essere: in quadruplum per il furto manifestum o prohibitum, in
triplum per furto oblatum, in duplum per furto nec manifestum. L’actio furti, che si poteva esperire
anche contro colui che avesse cooperato al furto, era infamante e trasmissibile agli eredi del derubato. Essa
poteva inoltre essere esercitata, oltre che dal dominus, da chiunque avesse avuto interesse a che il furto
non fosse stato commesso. Nel diritto giustinianeo erano ancora ammesse le actiònes furti
manifesti e nec manifesti, ma la persecuzione privata del furto venne sostituita da quella pubblica in sede
di cognìtio extra òrdinem criminale. Inoltre il derubato che fosse stato dominus godeva di una condìctio ex
causa furtìva per ottenere la restituzione della cosa rubata. La condictio poteva essere esercitata anche se
la cosa fosse perita per causa non imputabile al ladro, in quanto questi si considerava inadempiente sin dal
momento del furto.

86

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

LA RAPINA
Per rapina s’intese un caso aggravato di furto, in quanto commesso mediante violenze sulle persone. Era
fonte di obbligazioni nascenti da atto illecito.
Successivamente il prætor peregrinus Lucullo, nel suo editto, accordò un’apposita azione contro colui che
avesse, con la minaccia di un’arma, arrecato danno o sottratto cose altrui; la pena prevista ammontava al
quadruplo della pena base, se l’azione veniva esperita entro l’anno, mentre era pari a quella base, se
l’azione veniva esperita dopo tale termine.
La giurisprudenza classica estese l’ambito di tale fattispecie, ricomprendendovi anche quelle ipotesi in cui
non si facesse ricorso alle armi, ma nelle quali si fosse comunque impiegata violenza.
Alla rapina, poi, veniva equiparata l’ipotesi di impossessamento di cosa altrui profittando di una calamità
(incendio, naufragio, rovina, etc.).
Era dubbia in età classica la natura dell’actio vi bonorum raptorum, se dovesse cioè considerarsi actio
pœnalis. Giustiniano risolse la questione, smentendo entrambe le ipotesi e ritenendola actio mixta.
Àctio vi bonòrum raptòrum [Azione relativa a beni sottratti con violenza] Actio pœnàlis in
quadruplum esperibile da parte di chi avesse subito una rapina; essa comportava la condanna del
responsabile al pagamento di una somma pari al quadruplo del valore della cosa sottratta.
Decorso un anno dalla rapina, diventava reipersecutòria.

DÀMNUM INIÙRIA DÀTUM (Danno ingiusto)


Figura di delictum consistente nel danneggiamento di una cosa o di uno schiavo altrui.
Le XII Tavole non prevedevano una figura astratta di danneggiamento, ma singole ipotesi tipiche (per
es. àctio de paupèrie, per danni arrecati da un quadrupede; actio de pastu pècori, per danni derivanti da
pascolo abusivo, etc.).
Successivamente il danno ingiusto fu disciplinato, come figura astratta, dalla lex Aquilia de damno (287
a.C.). Ne erano requisiti:
- il damnum: inizialmente era rilevante solo se materiale (còrpore corpori illàtum), vale a dire cagionato
con la forza muscolare sulla cosa considerata nella sua struttura fisica. Successivamente si disciplinò
anche l’ipotesi di danno non corpore illatum (non causato direttamente dal danneggiante col proprio
corpo) come, ad esempio, nel caso di chi avesse tenuto rinchiusi animali per lungo tempo senza nutrirli,
provocandone così la morte;
- l’iniuria: era l’antigiuridicità del danno, cioè la sua ingiustizia;
- dolus o culpa: il titolo di responsabilità per aver causato il danno. Per aversi responsabilità, era
sufficiente la culpa levissima, cioè una lieve negligenza;
- il nesso causale fra l’azione e il danno.
In età classica, il pretore concesse actiònes utiles (quando si suppone che il danno non fosse arrecato
corpoti) e actiònes in factum (quando il danno è arrecato corpori) contro i danni arrecati alla cosa o
mediante un’inattività, o in maniera indiretta.
Nel diritto giustinianeo, l’actio legis Aquiliæ fu considerata il rimedio generale di risarcimento di ogni danno
colposamente arrecato a cose.

87

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

INIURA
L’ingiuria è qualsiasi azione in contrasto col diritto. In epoca arcaica qualsiasi lesione od offesa arrecata ad
un gruppo familiare determinava la violenta reazione del gruppo stesso; l’esigenza di ripristinare l’equilibrio
nei rapporti sociali era limitata unicamente dal principio, morale e religioso, della proporzionalità tra azione
difensiva e offesa (tàlio). Solo in seguito, la legge delle XII Tavole, nel disciplinare il delitto di ingiuria arginò
la reazione privata. La legge delle XII Tavole disciplinò, in particolare, tre casi di iniura:
- il mèmbrum rùptum, che consisteva nell’inutilizzazione o nell’amputazione di un arto o di un organo;
per esso era comminato il taglione se non si raggiungeva un accordo amichevole;
- l’os fractum, che consisteva nella rottura di un osso; per esso era previsto il pagamento di una somma di
danaro, che era di 300 assi se offeso era un uomo libero e 150 se era uno schiavo;
- le iniuriæ pure e semplici, consistenti in qualsiasi altra lesione di minore portata, per le quali era
previsto il pagamento di 25 assi.
In seguito, tale disciplina si rivelò inadeguata soprattutto perché l’ammontare della pena era fisso a fronte
delle diverse offese realizzabili in concreto e l’entità della stessa era ormai divenuta irrisoria.
Il pretore unificò le tre figure e concesse un’àctio iniuriàrum, infamante ed æstimatòria, che consentiva al
giudice di fissare l’ammontare della condanna secondo “quàntum aèquum et bònum sibi vidèbitur”, cioè
secondo equità. È opportuno precisare che col nome di actio iniuriarum erano definite tutte le azioni
pretorie accordate nei vari casi di iniuria. La determinazione della pena era lasciata al prudente
apprezzamento del giudice. Se l’ingiuria era particolarmente grave (àtrox), la parte lesa poteva far inserire
una taxàtio nella formula o chiedere una condanna elevata. L’editto pretorio inizialmente conteneva
un edìctum generale sull’iniuria, concernente le lesioni personali; successivamente furono puniti
il convìcium (vociferazione oltraggiosa) e l’adtemptàta pudicitia (oltraggio al pudore di donne o di giovani).
Infine, l’editto sanzionò ogni atto che risultasse infamante per un’altra persona.
A seguito dell’opinione di Labeone, la giurisprudenza classica ricomprese nell’iniuria ogni offesa all’onore e
al decoro di un soggetto giuridico, che divennero in seguito le ipotesi principali della fattispecie.
Successivamente il concetto fu ulteriormente ampliato e vi si fecero rientrare tutti gli atti contro la
personalità umana, compreso il sequestro di persona.
In concorrenza con la persecuzione privata, sin da una lex Cornelia di Silla, fu introdotta una
parallela persecuzione pubblica delle iniuriæ, nei casi di pulsàtio (percosse), verberàtio (fustigazione) e nel
caso di domum introìre (violazione di domicilio).
La persecuzione pubblica divenne prevalente in età postclassica. In diritto giustinianeo ancora era libera la
scelta tra i due tipi di persecuzione
Àctio iniuriàrum [Azione in materia di offese ingiuste] Espressione adoperata per ricomprendere tutte le
azioni pretorie accordate nei vari casi di iniùria. A seguito dell’esperimento di detta azione, il giudice, ove
ravvisasse la fondatezza della pretesa dell’attore, fissava l’ammontare della condanna in via equitativa,
ossia secondo quàntum æquum et bònum vidèbitur.
Àctio iniuriarum æstimatòria [Azione per la stima dei danni derivanti da offese ingiuste] Azione, avente
carattere infamante, finalizzata al conseguimento di una valutazione patrimoniale dei danni subiti per
effetto di lesioni personali o percosse. La formula dell’azione prevedeva la fissazione dei limiti massimi
dell’importo della condanna, detta taxàtio.
La quantificazione dei danni, a seconda dei casi, poteva essere effettuata sulla base di parametri equitativi
ovvero in ragione dei limiti massimi sanciti dalla legislazione.

88

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)


lOMoARcPSD|8844004

DIRITTO PRIVATO ROMANO

I QUASI DELITTI
Gaio distingueva fra obligationes ex contractu e obligationes ex delicto, raggruppando infine nella categoria
residuale delle variae causarum figurae alcune altre fonti di obbligazione. Giustiniano poi sostituirà la
tripartizione gaiana delle fonti dell’obbligazione con una quadripartizione, aggiungendo alle prime due e
sostituendo alla terza le categorie dei quasi contratti e dei quasi delitti. Il criterio unificante delle figure del
quasi delitto nella sufficienza dell’elemento della colpa per il loro realizzarsi, laddove per aversi il delitto
sarebbe sempre necessario il dolo. Ma per i quasi delitti non occorre né il dopo né la colpa, configurando
sostanzialmente gli stessi ipotesi di responsabilità oggettiva. Le fattispecie di quasi delitto sono quattro:
- iudex qui litem suam fecit (il giudice parziale che arreca danno alla parte): riguarda il comportamento
anche omissivo, del giudice che, contravvenendo ai suoi doveri, manca di correttezza e imparzialità nella
conduzione del possesso o nella pronuncia della sentenza favorendo di fatto una parte. Contro di lui può
essere mossa dal danneggiato un0actio in factum, cui conseguirà una pena determinata secondo equità.
Con Giustiniano la sua responsabilità sarà aggravata ed egli rispnderà anche per colpa;
- effusum vel deiectum (danni arrecati da cose versate o gettate): il popolo di Roma abitava le insulae,
edifici a più piani, che aprivano all’esterno mediante balconi o finestre da dove poteva essere versato o
gettato di sotto, sulla via pubblica, qualcosa che poteva arrecare danno anche grave a persone o cose. Di
esso era chiamato a rispondere l’habitator, colui che aveva la disponibilità della casa, tenuto al doppio
del danno arrecato alla cosa. In caso di uccisione di uomo libero chiunque poteva intentare l’azione
(popolare), e la pena era fissa. La responsabilità era in genere oggettiva e veniva a chiamato a
rispondere colui che aveva la disponiblità dell’immobile e non effettivamente l’occupante che aveva
causato il danno; Àctio de effùsis et deièctis Azione concessa contro l’abitante (habitàtor) della casa
dalla quale erano stati lanciati oggetti, solidi o liquidi, che avevano cagionato danni ai passanti
- positum vel suspensu (danni arrecati da cose posate o sospese): nel caaso che venissro appoggiate o
sospese su davanzali cose che, cadendo, potevano recare danno anche grave ai passanti. Ipotesi meno
grave della precedente dato che si trattava di sanzionare non un effettivo danno, ma la semplice
situazione di pericolo, il giudice giustificava la possibilità per chiunque di promuore l’azione penale, con
pena fissa di 10.000 sesterzi.
Àctio de pòsito vel suspènso [Azione per cosa appoggiata o sospesa] Azione concessa contro
l’abitante (habitàtor) di una casa dal cui balcone o tetto fosse caduto un oggetto (appoggiato oppure
sospeso) cagionando danno ai passanti.
- furti o danni verificatisi su una nave, in una locanda o in una stalla: l’azione in caso di furto era
parametrata all’actio furti nec manifesti, era ini duplum e spettava anche se le cose rubete non erano
state date in custodia all’exercitor. La responsabilità è quindi oggettiva, giacchè scattava al semplice
verificarsi del fatto lesivo

89

Scaricato da salvatore cascella (copystudentbook@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche