Sei sulla pagina 1di 9

Tesi relative al digesto

Nel 1820 Federico Bluhme pubblicò delle tesi relative al digesto, asserendo che la massa
giuridica del Digesto non era stata ordinata secondo un particolare rigore logico o una
particolare funzionalità giuridica, piuttosto era stata ordinata con riferimento a tre grandi
masse di opere classiche:
- La massa papinianea
- La massa edile
- La massa sabina

Inoltre, secondo Bluhme, il Digesto era stato un’opera corale, formata da una commissione,
la quale non aveva operato solo per raccogliere i materiali dei commentarii giuridici del
passato, ma aveva anche compiuto un’operazione di scrematura, sistemazione,
comparazione e correzione.
Queste tesi riscossero grande successo fra gli studiosi accademici del tempo, in quanto
nessuno si era mai soffermato prima sulla gestazione del Digesto e sulla sua natura e
composizione.

Collatio legum mosaicarum et romanorum

La Collatio legum mosaicarum et romanorum è una raccolta giuridica, risalente ad un


periodo che va dal V sec. d.C al IX sec., in quanto nell’opera viene citato il Codice
Teodosiano del 429 d.C e nel IX sec. d.C viene pubblicato il codice di Berlino che la
nomina ufficialmente.
La Collatio è una breve raccolta di scritti giurisprudenziali, appartenenti a Paolo, Ulpiano,
Gaio e Modestino e di scritti appartenenti al diritto mosaico, cioè il diritto che Dio diede –
secondo la tradizione ebraica – a Mosè sul Sinai.
L’obiettivo della raccolta è chiaro e semplice e costituisce l’intento di effettuare una
comparazione fra i due tipi di diritto, al fine di sottolineare le affinità e le disparità fra la
legge romana e la legge ebraica, anche nell’ottica di una integrazione maggiore del culto
cristiano e conseguentemente quello ebraico.
L’opera consta di 16 libri e tratta argomenti di diritto penale e diritto successorio.

Pauli sententiae

Le Pauli sententiae sono una raccolta di pareri giurisprudenziali, redatti fra il III e il IV sec.
d.C e attribuiti a Paolo, uno dei giuristi più autorevoli del tempo.
Esse sono formate da V libri e costituiscono un bagaglio giuridico fondamentale per tutta la
letteratura giuridica del tempo, infatti le Pauli sententiae saranno ritenute legge e validate
da Costantino nel 327 d.C.
Il testo delle Pauli sententiae non ci è pervenuto direttamente, ma ci è stato riportato da
innumerevoli fonti successive che ne fecero uso e le citarono:
- Il codex gregoriano
- Il codex ermogeniano
- I fragmenta vaticana
- L’epitome gai
- La lex romana visigothorum
- La lex romana burgundionum

Codificazioni, che significa Codex

A questa domanda non corrisponde un vero e proprio contenuto da apprendere e trarre


fuori dal libro, perlomeno secondo la mia esperienza che non si è soffermata
sull’approfondimento, quanto nell’utilizzo più rapido possibile di un buon compendio.
Stando alla mia esperienza in ambito giuridico, negli esami romanistici dati, proverò a
ricostruire quindi quella che SECONDO ME potrebbe essere la risposta a questa
domanda.
In poche parole, quando parliamo di Codex, tradotto appunto con “codice” non stiamo
parlando di una semplice raccolta di leggi, o di una raccolta di pareri giurisprudenziali,
come è avvenuto nel corso della storia.
Il codice indica una volontà pregressa di un soggetto, nel caso della tardantichità, un
imperatore – il quale aspira e ambisce non solo a raccogliere il diritto pre-esistente a
farlo ordinare e categorizzare, in modo che quest’ultimo sia di pronto utilizzo per gli
operatori giuridici, ma punta soprattutto a dare una sistemazione definitiva al diritto
contemporaneo, così che non possano esserci più altre fonti del diritto che insidino la sua
autorità.
In poche parole, il Codice, nelle mani degli imperatori, costituisce un vero e proprio
strumento con il quale estendere la propria autorità a tutti i confini dell’impero,
riuscendo ad affermare, tramite solitamente una costituzione imperiale che proclama il
codice stesso, che l’unico vero diritto ( l’unica legge da seguire ) sia quello emanato e
prodotto dalla sede imperiale.
Per l’elaborazione di un codice c’è bisogno di una commissione di giurisiti, che siano
impegnati non solo nella raccolta dei materiali precedenti, ma anche nella loro
modificazione, nella loro edulcorazione, compiendo un lavoro di cernita fra tutte le
costituzioni imperiali e le leggi precedenti che contrastino fra di loro o con la volontà
espressa dell’imperatore di mantenere in vigore una legge piuttosto che un’altra.
Il primo ad effettuare quest’opera è stato Teodosio II con il Codice Theodosiano,
istituendo una commissione di 16 giuristi grazie alla quale è stato dato vita ad un corpus
composto da XVI libri che spaziavano su ogni argomento del diritto, raccogliendo le
costituzioni emanate da Costantino in poi ( il primo imperatore ritenuto cristiano, e
quindi che – secondo Teodosio – abbia emanato il “buon diritto”)

La pena del sacco

La pena del sacco era una pena in uso principalmente in età arcaica a Roma ( non so
perché sia presente fra le dom. frequenti, ma tant’è ahahaha ) impartita dal Re ai
parricidi, cioè a coloro i quali avevano ucciso il proprio genitore o un parente stretto.
Consisteva in una punizione di origine “divina”, in quanto il povero condannato veniva
messo e chiuso all’interno di un sacco di cuoio, insieme ad un Gallo, ad un cane, una
vipera e una scimmia.
Nel mentre che questi animali e l’uomo si contendevano il poco spazio disponibile,
chissà in quali modi atroci, il sacco stesso veniva chiuso con l’uomo dentro e trasportato
fino al Tevere dove poi veniva lanciato nell’acqua.
La “poena cullei” la pena del sacco verrà poi abolita successivamente o comunque cadrà
in disuso perché troppo arcaica e in contrasto con gli usi civici e giuridici che Roma
repubblicana assunse.

La legge delle citazioni

La legge delle citazioni è una legge emanata da Valentiniano III, imperatore


d’Occidente, quando nel corso del V sec., precisamente il 426 d.C, l’imperatore decise di
voler mettere ordine all’interno dei tribunali dell’impero.
Con la legge delle citazioni intendeva costituire un ordine logico, un criterio da seguire
per i giudici e gli avvocati, in caso di consultazione dei pareri giurisprudenziali.
Un giurista che emetteva un parere conferiva a quel parere stesso, al commento che
aveva prodotto, una autorità variabile a seconda della propria fama e della propria
produzione letteraria.
Giuristi dal calibro di Paolo, Gaio, Ulpiano, Papiniano etc erano continuamente citati
all’interno dei tribunali ma non c’era un ordine con il quale risolvere alcune controversie
che potessero nascere da eventuali contrasti fra le opinioni di tali giuristi; opinioni che
venivano costantemente consultate dai giudici per prendere una decisione ed emettere
sentenza.
Valentiniano III previde, con la legge delle citazioni, che in tribunale gli unici giuristi a
poter essere citati fossero Papiniano, Paolo, Ulpiano, Gaio e Modestino.
Per decidere, il giudice doveva valutare quale indirizzo giuridico fosse preferito dalla
maggioranza di tali giuristi. Qualora vi fosse una sorta di “parità” nelle opinioni
contrastanti, andava sempre preferita e applicata quella di Papiniano, ritenuto il più
autorevole.
Solo qualora nessuno di questi giuristi si fosse occupato del tema che il giudice stava
trattando, allora il giudice stesso poteva decidere liberamente secondo il caso.

Leggi romano-barbariche

Quando parliamo di leggi romano-barbariche andiamo a inquadrare quell’opera di


legislazione che i sovrani barbari misero in atto dopo la caduta dell’impero romano
d’occidente nel 476 d.C.
L’obiettivo delle leggi romano barbariche, tra le quali ricordiamo l’Editto di Teodorico,
re degli Ostrogoti, e la Lex Romana Visigothorum e la Lex Romana Burgondionum, era
quello di favorire una integrazione delle due popolazioni, attenuando gli attriti dovuti
alla convivenza e alle differenze sociali, culturali e giuridiche esistenti fra i due popoli.
Il primo ad emanare una legge del genere fu Teodorico il Grande, col suo Editto,
all’interno del quale Teodorico volle statuire una prima legge che regolasse i rapporti dei
Goti e dei Goti con i Romani, prevedendo che nelle dispute fra un Ostrogoto e un
Romano vi fosse anche un giudice, un prudens, latino.
Nell’editto di Teodorico, composto da circa 160 capitoli, il sovrano si rifa alle
costituzioni imperiali contenute nel codice gregoriano e nel codice ermogeniano e ai
pareri giurisprudenziali presenti nelle pauli sententiae, al fine di elaborare un diritto sulla
base di quello romano che potesse essere valido anche per la sua gente.

La lex romana visigothorum fu voluta ed emanata da Alarico II, si estendeva in


applicazione a tutto il dominio visigoto, e costituì un tentativo di integrazione del diritto
romano con le consuetudini barbariche, al fine di favorire l’integrazione fra i due popoli.
Mentre prima si faceva affidamento all’idea che questa legge servisse in particolar modo
come “diritto della personalità” nel senso che andava applicata diversamente a seconda
dello status sociale del soggetto in causa, cioè a seconda che egli fosse romano o
barbaro, ad oggi si ritiene che questo tipo di legge, in particolare la lex visigotorum, fu
emanata proprio per rendere ai visigoti più semplice l’applicazione del diritto e della
legge e costituì una sorta di “collazione” delle costituzioni e dei pareri giurisprudenziali
emanati in precedenza, con ampia ripresa del Codice Teodosiano.
I visigoti, che poco si interessavano alle complesse questioni di diritto privato che
potevano attanagliare la vita di un cittadino romano, si approcciavano finalmente ad una
raccolta di leggi alla loro portata, scritta in un latino volgare, con molti termini frutto di
una contaminazione fra le due lingue.
Il cittadino romano, invece, poteva fare affidamento alla lex ROMANA visigotorum,
cioè una sorta di evoluzione più approfondita, appositamente stilata per i cittadini
romani.
Essa si divideva in due sezioni:
- Una raccolta di leges, risalenti al codex theodosianus, e ad alcuni editti di
Valentiniano III
- Una raccolta di iura dei giuristi più eminenti del diritto classico

La lex romana burgondionum fu voluta dal Re dei Burgundi, Gundobado, e appartiene al VI


sec. d.C. Essa costituisce un vero e proprio diritto romano rielaborato dai burgundi
applicabile solo ai cittadini romani in territorio burgundo. E’ costituita da circa 180 capitoli,
in cui si riprende il Codice Teodosiano, il Codice Gregoriano e alcuni iura dei giuristi
classici.

Riforma fiscale di Alessandro Severo

Alessandro Severo si ritrovò a guidare un impero che era in una forte crisi monetaria ed
economica, dovuta alla svalutazione della moneta e alla perdita del suo potere d'acquisto,
nonché alla difficile reperibilità di materiali quali l'oro e l’argento, di cui le monete più
pregiate erano composte.
Il regno di Alessandro Severo fu un periodo abbastanza positivo, soprattutto in ambito
giuridico, di fatti si suole parlare di “Impero dei giuristi” nel suo caso, in quanto il princeps
si occupò di dar vita ad una folta casta di giuristi che si occupassero di effettuare un’opera
letteraria di organizzazione del materiale giuridico e di commentarii circa il diritto emanato
dall’imperatore, sempre più protagonista in ambito giuridico con i propri rescripta e le
proprie costituzioni. Inoltre, la Constitutio Antoniniana del 212 d.C, l’Editto di Caracalla,
aveva ampiamente esteso la cittadinanza romana, prevedendo così che il lavoro della
giurisprudenza del III secolo fosse quello di fare in modo che il diritto romano fosse
comprensibile, fruibile, utilizzabile e adeguato a tutti i nuovi cittadini dell’impero, che pure
desideravano conservare le proprie tradizioni e le proprie consuetudini, con le quali
l’impero e il suo diritto doverono fare i conti.
In ambito fiscale, Alessandro Severo decise che era utile alleggerire la pressione sui
cittadini romani, così facendo abolì il pagamento dell’Aurum coronarium, un’imposta
annuale che le città dovevano elargire al fisco imperiale, che era stata resa definitiva sotto
Caracalla. In più, previde anche l’abolizione di una tassa sui commerci, l’Aurum
negotiatiorum.
Per arrestare l’inflazione e la svalutazione monetaria, decise che la maggior parte dei tributi
potessero essere anche pagati in “natura” e pertanto spinse molto sull’Annona, un’imposta
fondiaria di epoca risalente, da corrispondere all’impero da parte di ogni proprietario
terriero, pagata – appunto – in natura.
L’attenzione di Alessandro Severo all’Annona ci lascia intendere come fosse preferibile, al
tempo, acquisire dei beni piuttosto che denaro, in quanto la scarsa reperibilità dell’oro e
dell’argento avevano reso il mercato instabile e in crisi; senza contare che i continui
saccheggi e le pressioni dei barbari ai confini dell’impero, portarono inevitabilmente la
situazione a degenerare sempre di più.

Riforma fiscale di Diocleziano

Dopo l’infausto periodo di anarchia militare che, nel 285 d.C aveva conosciuto la sua fine
tramite la figura di Diocleziano, l’imperatore si ritrovò a doversi rapportare con un impero
in uno stato quasi disastroso a livello economico-finanziario.
L’obiettivo di Diocleziano fu quello di rivoluzionare il sistema della tassazione, prevedendo
più equo e giusto che quest’ultimo fosse calcolato sulla base di un criterio proporzionale che
aveva come discriminanti due elementi:
- Il caput, cioè l’unità di lavoro disponibile, la persona fisica;
- L’unità di terreno coltivabile.
Attraverso un “rapporto” fra questi due elementi, ogni proprietario terriero – effettuata la
dichiarazione dei redditi ogni 5 anni– poteva conoscere dunque l’importo del pagamento
dell’imposta che doveva al fisco imperiale.
Questo sistema era conosciuto col nome di “capitazione” e, potendosi pagare le imposte
anche in “natura”, dato che solo i ricchi le corrispondevano in denaro, il fisco imperiale
ebbe una ripresa graduale nel lungo periodo.
Diocleziano si occupò di cercare di arginare l’inflazione, emanando l’EDICTUM DE
PRETIIS RERUM VENALIUM ( per chi non ha fatto latino, si legge Edictum de prezis
rèrum venàlium ) con il quale fissava un calmiere – cioè un tetto massimo – ai prezzi di
alcuni beni. Questa sua riforma risultò però disastrosa, in quanto non arginò l’inflazione e
diede vita al mercato nero che si diffuse in tutto l’impero.

Repressione criminale

Con la trasformazione dell’Impero romano in un impero cristiano, già a partire dai prodromi
di Costantino, fino ad arrivare all’Editto di Teodosio I nel 380 d.C, cambiò anche l’ottica di
repressione criminale.
Innanzitutto, la nuova fede cristiana andava a stigmatizzare determinati comportamenti che
in precedenza non erano mai stati avvertiti come “sbagliati” o quantomeno, non erano mai
stati ritenuti criminali.
Il primo fra tutti fu l’abolizione dell’antico uso dei sacrifici pagani, che furono totalmente
vietati e puniti con la tortura, la prigionia o la pena di morte nei casi più gravi.
Fu vietata l’arte aruspicina e con essa tutti i riti pagani connessi alle divinità del mondo
antico, puniti in maniera gravissima con il nuovo concetto di “eresia”.
L’eresia si verificava quando un soggetto si macchiasse del reato di aver venerato una
divinità fasulla, o di aver abbracciato una qualche tesi dottrinale eretica ( nel 451 d.C ad un
Concilio ecumenico, la dottrina monofisita venne dichiarata “eretica”: i monofisiti erano
coloro che credevano nella natura umana di cristo, mentre i duofisiti erano coloro i quali
sostenevano la sua natura umana e divina ).
L’eretico veniva punito con la pena di morte.
Un altro reato che iniziò ad essere punito fu l’Apostasia che, al contrario dell’eresia,
comprendeva che il soggetto fosse di fede cristiana e l’avesse poi ripudiata per abbracciare
un culto eretico.
Spesso l’apostasia era punita con la relegatio in insulam, cioè l’esilio in una qualche isola
lontana dall’impero e irraggiungibile.
In questo periodo, l’uso della pena di morte è frequente e vario, ogni imperatore reprime
soprattutto i propri avversari politici, e si occupa di gestire e amministrare le leggi affinché
quest’ultime siano utili al proprio governo e al proprio scopo, e pertanto anche alla
repressione di individui scomodi.
Con l’avvento del cristianesimo, le diocesi istituite da Diocleziano e presiedute dai vicari,
iniziarono ad essere rette spesso dai Vescovi, i quali finirono dunque anche per
amministrare la giustizia, essendo i vicarii spesso chiamati a farlo.
Nacque così l’idea che la religione fosse compenetrata al diritto e al potere, con l’autorità
imperiale che andava sempre più affermandosi grazie alla consacrazione data dal potere che
Dio doveva aver infuso nel sovrano.

L’ordine del Digesto di Giustiniano

Divenuto imperatore al seguito di suo zio Giustino, Giustiniano ebbe da subito due compiti
principali: quello – di politica interna – di sistemare e placare le rivolte e le dispute
dottrinali sul cristianesimo che stavano scuotendo l’impero, nel tentativo di rafforzare la
propria posizione; e di politica estera, nel riconquistare l’impero romano andato perduto nel
476 d.C.
Per conseguire gli obiettivi di politica interna, Giustiniano ritenne necessario – non appena
divenuto imperatore – emanare una costituzione nel 527 d.C intitolata “Haec quae
necessario” con la quale incaricava Triboniano, uno dei suoi funzionari più intimi, di dar
vita ad una commissione di giuristi che avrebbe lavorato alla redazione del proprio codice.
Più tardi, nel 530, incaricò Triboniano stesso di avviare i lavori al Digesto, la raccolta delle
pandette, cioè dei commenti dei grandi giuristi classici alle costituzioni imperiali, lavorando
in maniera sistematica al fine non solo di raccogliere e riordinare, ma al contempo di
numerare, ripulire, sistemare e definire la grande massa alluvionale di scritti
giurisprudenziali.
Giustiniano diede ordine a Triboniano di non inserire nel digesto delle pandette che
contrastassero con le costituzioni imperiali contenute nel codice; di non inserire le pandette
che fossero da loro contrastanti, di prediligere quelli di alcuni autori piuttosto d’altri, di
evitare le antinomie, le ripetizioni. Il tutto era ordinato al fine di produrre un materiale di
pronta consultazione, da diffondere nel minor tempo possibile, utilizzabile in ogni tribunale
dell’Impero ( ormai ) bizantino.
Il progetto di Giustiniano di recuperare anche parte dell’Impero romano d’Occidente ebbe
buon fine, seppur per poco tempo e in quelle terre cercò a sua volta di estendere il diritto
imperiale, una volta codificato definitivamente nel suo grande Corpus.
Il corpus giustinianeo, infatti, era composto da:
- Il codice, formato da circa 12 libri, all’interno dei quali si trovavano le leges degli
imperatori ritenute valide. Nel I libro si trattava del diritto ecclasiastico e delle fonti
del diritto, simbolo di quanto il cristianesimo fosse divenuto importante. Dal II
all’VIII libro si trattava del diritto delle persone. Nel IX libro c’era il diritto
criminale. Dal X al XII libro si trattava di diritto finanziario, costituzionale e
amministrativo.
- Le istituzioni di Giustiniano, che ricalcavano il modello delle Istituzioni di Gaio,
composte da IV libri: il I parlava delle persone; il II libro parlava dei rapp.assoluti
reali e della succ. testamentaria; il III libro della succ. ab intestato e delle
obbligazioni nascenti da contratto; il IV libro delle obbligazione nascenti da illecito.
- Il Digesto, l’enorme raccolta delle pandette.

Questo corpus fu reso non solo vigente e obbligatorio, ma fu la base con la quale
Giustiniano rivoluzionò gli studi giuridici. Di fatti, il cursus giuridico di V anni di
formazione avrebbe previsto: durante il primo anno, lo studio delle Istituzioni, a livello
introduttivo e di parte del Digesto. Il II anno avrebbero dovuto studiare la seconda parte del
Digesto. Al III terminare lo studio del Digesto. E al IV e V anno avrebbero dovuto studiare
il Codice.

Istituzioni di Giustiniano

Giustiniano volle che venissero create le Istituzioni, cioè una raccolta di diritto romano
costituita da IV libri, partendo dalla base dettata dalle Istituzioni di Gaio.
Le Istituzioni dovevano teoricamente essere la base da cui partire per gli studenti di diritto
secondo la riforma dettata da Giustiniano e dovevano essere studiate durante il primo anno,
utili a formare e a far entrare lo studente nel mondo del diritto.
Il I libro tratta delle PERSONE.
Il II libro dei rapporti assoluti reali e della successione testamentaria.
Il III libro della successione ab intestato e delle obbligazioni nascenti da contratto.
Il IV libro delle obbligazioni nascenti da illecito.
Le Istituzioni furono poi accorpate al Codice e al Digesto nel corso di studi e costituirono
parte integrante del Corpus Iuris Civilis, grazie al quale abbiamo potuto conoscere la vastità
del diritto romano.

Codice Teodosiano

E’ il 438 d.C quando Teodosio II, figlio dell’imperatore d’Oriente Arcadio e nipote di
Teodosio I ( quello dell’editto di Tessalonica del 380 d.C ), decide di dare ordine ad uno dei
suoi collaboratori di avviare la raccolta di tutte le costituzioni imperiali emanate da
Costantino in avanti. ( il primo imperatore cristiano e, secondo Teodosio II, il primo
meritevole ad aver emanato quindi “costituzioni giuste”.) L’anno dopo, il Codex
Theodosianus è pronto: consta di 16 libri, i quali spaziano dal diritto civile al diritto
ecclasiastico, passando per il diritto amministrativo e penale.
La raccolta sarà inviata a Valentiniano III come dono di nozze, e quest’ultimo la farà
ratificare dal senato in modo che il Codice fosse disponibile e vigente in tutto l’Impero
Romano.
Per i lavori del codice, gli studiosi fecero riferimento soprattutto al Codice Gregoriano ed
Ermogeniano, alle Pauli Sententiae.
Teodosio stabilì anche che l’unico diritto vigente dovesse essere quello del Codice e che
andasse applicato secondo l’interpretazione che nel codice veniva fornita.

Tetrarchia

Resosi conto dell’impossibilità di governare e soprattutto amministrare in maniera decente


un impero così vasto, Diocleziano mise in appunto la sua riforma amministrativa detta della
“tetrarchia”
Divise l’Impero in 4 parti, definite PREFETTURE.
Ogni prefettura era retta da un Prefaectus, il quale si occupava di fare le veci
dell’Imperatore, di amministrare la giustizia – ormai sempre più orientata verso la cognitio
extra ordinem del princeps – e di occuparsi degli introiti fiscali ed erariali.
Ogni prefettura era poi divisa in 12 DIOCESI.
Ciascuna DIOCESI era retta da un VICARIO il quale dipendeva dal prefetto e si occupava
delle stesse mansioni a livello decentrato, amministrando la giustizia e le tasse nel territorio
di riferimento.
Le DIOCESI erano poi singolarmente divise in Municipia e Province, ciascuno con un
governatore sottoposto.
L’opera di decentramento del potere di Diocleziano lo vedeva, in realtà, sempre più centrale
nel governo dell’Impero che, ora, venendo suddiviso in più parti, necessitava anche di più
figure autorevoli e apicali: scelse quindi un collaboratore nel 286, Massimiano, il quale
fosse nominato “Augusto imperatore” al suo fianco, pur rimanendo nei confronti di
Diocleziano in una posizione di soggezione.
Per evitare inutili spargimenti di sangue dovuti alla lotta per la successione, aveva previsto
un meccanismo automatico meritocratico, basato sulla scelta dell’Augusto di nominare in
vita un Cesare, un suo sottoposto che avesse amministrato una delle quattro parti
dell’Impero, occupandosi prevalentemente del lato militare e giuridico.
Diocleziano scelse Galerio e Massimiano scelse Costanzo Cloro come Cesare.
Rispettivamente Diocleziano governava le province orientali, Galerio i Balcani e la Grecia.
Massimiano l’Italia e la Spagna, Costanzo Cloro le Gallie e la Britannia.
Con la Tetarchia, Diocleziano non volle separare ufficialmente l’Impero in 4 parti che,
politicamente, restava sempre unito e sotto la sua guida.
Sappiamo che quando decise di abdicare nei confronti di Galerio, obbligò Massimiano a
fare lo stesso nei confronti di Costanzo Cloro.
Il problema si ebbe successivamente, coi tre figli di Costanzo Cloro: Costantino, Costante e
Costanzo, con Massenzio figlio di Massimiano e con Massimino Daia, nipote di Costanzo
Cloro.
Tutte queste personalità si accavallarono i primi anni del IV sec. per spartirsi l’Impero in
una serie costante di guerre che videro sconfitti Massimino Daia, Massimiano stesso tornato
alla ribalta, Massenzio nel 312 d.C e, infine, anche Licinio.
Ad uscirne vittorioso fu Costantino il Grande che, nel 324 sconfisse anche l’ultimo
contendente e riassunse la corona interamente nelle sue mani, riunendo definitivamente
l’Impero.

Potrebbero piacerti anche