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diritto nell'antico.
Sicuramente un passo importante nella complessa materia delle fonti del diritto
nell’antico è dato dalla redazione delle XII Tavole (451 – 450 a.C.) che hanno dato
un notevole contributo al concetto di “certezza del diritto” visto che si tratta di prime
regole scritte. Seppur le XII Tavole non regolavano tutto il diritto pubblico e privato,
ma si limitavano a normare quasi esclusivamente rapporti privatistici, la loro
redazione svolse un’importante azione di garanzia per la plebe nei confronti del
patriziato. La loro limitata applicazione a tutto il diritto, però, con il passare del
tempo, fece in modo che i responsa dei Pontefici ritornassero ad essere i principali
strumenti di interpretazione giuridica. Un’altra fonte di diritto nell’età repubblicana
era rappresentata dalle leges pubblicae, leggi votate dai Comitia Centuriata su
proposta, la rogatio, di un magistrato. Esse erano strutturate in una “praescriptio”
(dati legati al magistrato proponente, all’assemblea votante e al luogo e alla data della
votazione), nella “rogatio” (il dettato squisitamente normativo) e, infine nella
“sanctio” (l’insieme delle clausole tendenti ad assicurare il rispetto del dettato
normativo e le disposizioni di coordinamento con le altre leggi). Essenzialmente le
leges e i mores, avendo ambiti di intervento separati, agivano in maniera autonoma le
une dagli altri e lì dove sorgeva una vacatio normativa comunque era possibile
ricorrere all’interpretatio pontificale come mezzo di integrazione. Solo alla fine del
IV secolo a.C., con il progressivo distacco dell’elemento magico-religioso,
l’ingerenza clericale nel diritto venne sempre più a diminuire a favore di una
giurisprudenza laica. Con l’istituzione della Pretura (367 a.C.) i Pretori che si
susseguivano di anno in anno divennero sempre più “produttori” di diritto attraverso
l’emanazione di editti in cui ciascun magistrato, all’atto dell’insediamento, fissava e
rendeva così pubbliche le linee programmatiche di ispirazione della propria opera. Si
forma così un autentico vademecum di regole provviste di valore giuridico ossia di
principi di diritto. Sotto un profilo squisitamente formale, le disposizioni edittali
emanate da un magistrato non vincolavano il successore; praticamente, però, tutti gli
editti riproponevano – sebbene con alcune aggiunte originali – i medesimi principi
ormai consolidati nel sistema. In virtù del continuo ed incessante rinnovarsi della
prassi edittale, si forma nell’ambito dell’ordinamento giuridico di Roma caput mundi
un complesso di norme di creazione e ispirazione prettamente pragmatiche (ius
honorarium, così definito dalla parola honor ossia “carica magistratuale”) anziché di
natura astratta e potenziale (ius civile).
Non vi è dubbio che il processo di laicizzazione del sapere giuridico fu molto
lento e tortuoso, tuttavia esso può essere ricondotto essenzialmente a due fattori
fondamentali: alla necessità di trascrivere le norme finora interpretate attraverso i
mores e alla necessità di individuare un metodo classificatorio in grado di ricavare
principi generali da casi concreti. Il primo e più autorevole esponente giuridico a
trattare il diritto civile secondo classificazioni sistematiche fu Quinto Mucio Scevola,
console nel 95 a.C. Con l’avvento del principato va detto che se nella primissima fase
i senatoconsulta (insieme alle leges pubblicae) assumevano un certo rilievo, man
mano andarono ad affermarsi come strumenti di diritto le custitutiones principum e i
responsa prudentium. Questo fenomeno può essere spiegato con il fatto che il ruolo
sempre più importante che nel tempo andavano assumendo i giuristi spinse ad
intensificare il loro rapporto con i principi. Fu proprio l’imperatore Augusto che per
legare a sé i più eminenti giureconsulti, attribuì ad alcuni di loro il ius publice
respondendi ex autoritate principis: una sorta di rafforzamento dei responsi di alcuni
prudentes con l’autorità imperiale. Questo fenomeno non solo contribuì ad una certa
“diversificazione” fra giuristi, ma determinò un aumento di controllo da parte del
principe nella produzione del diritto. Dalla fine del III secolo d.C., con l’ampliamento
dell’Impero Romano e con la conseguente apertura a nuove culture (soprattutto quella
greco orientale), l’ordinamento giuridico romano subì profonde trasformazioni che
videro essenzialmente il venir meno di molte fonti a favore delle leges imperiales. A
partire dal V secolo si affermarono due nuovi provvedimenti nel diritto romano: la
pragmatica sancito e l’adnotatio. Se la prima era legata più ad esigenze che
riguardavano la grandezza dell’impero visto che servivano a rispondere alle istanze
provenienti da città o Province diverse, la seconda serviva a concedere privilegi o
esenzioni di ogni genere. Come è stato detto le leggi imperiali furono pian piano
predominanti nell’età imperiale. Le prime raccolte private di Leges furono il Codice
Gregoriano e quello Ermogeniano. Se il primo (293 d.C.) composto da quattordici,
quindici libri riguardava costituzioni emanate fino ad Adriano, il secondo, diviso in
titoli e non in libri, raccoglieva principalmente rescritti dell’imperatore Diocleziano
emanati dopo il 291 d.C. Non meno importante fu il codice Teodosiano, diviso in
sedici libri, che non determinò l’abrogazione dei precedenti, ma fu a loro
complementare visto che trattava quasi esclusivamente leges generales, a differenza
dei primi che erano raccolte di epistole e rescritti.