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7.

Il processo formativo del diritto islamico: origini e influenze

Il rapido sviluppo del diritto islamico e la complessità del suo sistema quale delineatosi alla fine del VIII secolo hanno
suscitato un acceso dibattito dottrinale, che si è tradotto nella giustapposizione tra studiosi musulmani (affiancati da
parte degli islamisti occidentali) (KRAWIETZ, MOTZKI, FYZEE, DUTTON) che affermano l'affidabilità delle tradizioni
giuridiche e sottolineano ed evidenziano il carattere continuo e autopoietico dell'islam nella sua prima fase
evolutiva, e studiosi occidentali, che qualificano tutte o la maggior parte di tali tradizioni come invenzioni o
assemblaggi successivi, ipotizzando il massiccio intervento di fattori esterni (PICKEN).
Gli storici moderni non hanno accettato in generale il tradizionale resoconto delle origini della legge islamica,
elaborando una narrazione alternativa, associata alle autorevoli posizioni dottrinali di IGNÁCZ GOLDZIHER (1850-
1921), JOSEPH SCHACHT (1902-1969) e WANSBROUGH.
Dubbi sull'autenticità degli ahadit nella sunnab furono espressi originariamente da REINHART DOZY (1820-1883) e
da WILLIAM MUIR (1819-1905.
1) GOLDZIHER dimostrò che gli abadith storici e teologici non potevano essere accettati come riflesso della vita
del Profeta, ma dovevano essere il prodotto della disputa all'interno della comunità durante il primo e il
secondo secolo dopo l'Hijrah.
2) SCHACHT estese tale intuizione agli ahadit di contenuto giuridico, concepiti non come causa ma prodotto
del dibattito giuridico nelle comunità musulmane.
3) Analogamente, WANSBROUGH ha configurato anche il Corano non quale declinazione della vita del Profeta,
ma come riflesso liturgico di duecento anni di culto in seno alla comunità e di dibattito settario. Inoltre, la
rivelazione non sarebbe un evento ma un processo; il fattore creativo non ne sarebbe il Profeta ma la
comunità, e il suo contesto geografico di esplicazione non sarebbe l'Hijaz ma le città musulmane del Nord
Africa, della Siria e dell'Iraq.

Con particolare riguardo alle tradizioni giuridiche, SCHACHT ha sostenuto che queste ultime hanno avuto inizio quali
tradizioni locali a Medina, Bassora, Kufa e altre città, riflettendo la pratica locale secondo diversa entità. Anche se si
riteneva che le tradizioni locali fossero di origine profetica (il che viene ritenuto probabile), l'idea che le norme
giuridiche debbano essere direttamente collegate agli ahadit del Profeta sarebbe emersa solo gradualmente, a
seguito del dibattito e confronto tra diverse comunità o segmenti di comunità.
Il vero architetto del sistema ermeneutico classico, secondo SCHACHT, era stato ABO ABD ALLAH MUHAMMAD IBN
IDRIS AL-SHAFI'I (767-820). Nelle opere attribuite a tale giurista sarebbero rinvenibili i primi argomenti sistematici
che consentono di evincere le norme facendo riferimento a ahadith o di derivarle direttamente dagli stessi.
La sua Risalah contiene il primo resoconto generale della metodologia di raccordo tra il diritto e i testi rivelati. Le
teorie di SCHACHT, d'altra parte, hanno provocato una vigorosa reazione da parte di una pluralità di studiosi, non
solo musulmani, che hanno cercato di riaffermare il nocciolo di verità che (si sostiene) deve considerarsi alla base dei
resoconti tradizionali delle origini dell'islam e della legge.

Vari sono gli ambiti di confronto, concernenti sia il rapporto tra il diritto islamico e le fonti rivelate, sia il rapporto tra
il diritto islamico ed altre coeve tradizioni giuridiche.
Con riferimento ai contenuti giuridicamente rilevanti del Corano, è stato sostenuto che una particolare concezione
islamica del diritto emerse già ai tempi di Maometto. Secondo la prospettiva indicata, tale concezione era
immanente nel testo rivelato e avrebbe ricevuto una elaborazione sistematica e metodica ad opera di dotti religiosi.
Su altro versante si sottolineano l'ambiguità e il mutamento di significato che hanno interessato termini giuridici di
centrale importanza come figh, ra'y e shari a nei primi secoli dell'islam.

Avuto riguardo ai rapporti tra Stato e diritto, se sussiste una tendenziale convergenza di posizioni quanto alla
tendenza del diritto islamico ad evolversi fin dai pri-mordi, dopo la morte del Profeta, quale diritto dei giurisperiti
indipendente dallo Stato, cionondimeno, secondo diversa prospettiva, il califfato omayyade e abbaside esercitarono
una profonda influenza sul sistema giuridico, introducendo numerose regole non contenute nel Corano o nella
sunna: solo in seguito, in margine al declino del potere califfale, la sfera del diritto sarebbe rimasta riservata a
studiosi indipendenti (gli ulema).
Ulteriore ambito di attrito concerne la penetrazione del diritto tribale pre-islamico in seno al diritto islamico. Infatti,
sebbene quest'ultimo sia prospettato quale sistema giuridico originale privo di radici riconducibili all'epoca della
jabiliyya (ignoranza), alcuni elementi del medesimo sembrano recare un'incontrovertibile radice tribale araba: lo
stesso Profeta, secondo la tradizione, avrebbe accolto alcune consuetudini seguite dalle tribù arabe pre-islamiche.
La controversia dottrinale si incentra tuttavia sull'entità di tale incorporazione, sostenendo alcuni studiosi la
possibilità di riportare il diritto tribale ad un più ampio contesto giuridico-culturale del Vicino Oriente e dischiudendo
in tal modo uno scenario caratterizzato dalla penetrazione all'interno del diritto islamico di elementi di sistemi
giuridici stranieri attraverso il diritto tribale. Il diritto islamico quale fusione di tradizioni giuridiche è configurato da
posizione dottrinale che ha sostenuto come i musulmani della tarda antichità abbiano elaborato e modificato le loro
tradizioni giuridiche mediante un adattamento delle tradizioni giuridiche pre-islamiche e delle culture contigue o
limitrofe: sulla base di tale ricostruzione il diritto pre-islamico sarebbe divenuto islamico e fuso con nuovi diritti
mediante un processo assimilabile ad una tecnica artigianale, concretatasi nell'opera del "riciclaggio giuridico
islamico" (the artwork of Islamic legal recycling).
Oggetto di confronto è altresì l'origine di vari istituti di diritto islamico sostanziale, la cui ricostruzione - secondo il
grado di autenticità accordato alle tradizioni giuridiche - viene fondata, sulla base di un approccio tradizionalista, sul
materiale offerto dagli abadit, ovvero, sulla base di un'analisi comparativa, sul presupposto che gli istituti recanti
simmetrie rispetto a sistemi giuridici stranieri devono avere tratto spunto dai medesimi nel periodo formativo.

Elementi meritevoli di apprezzamento depongono a favore sia della posizione dottrinale tradizionalista, sia di quella
pervasa da scetticismo; parimenti, entrambe le argomentazioni prospettate sembrano prestare il fianco a obiezioni e
rilievi critici. Cionondimeno, la convergenza di alcuni fattori pare fornire alle posizioni ispirate da maggiore cautela
una legittimazione più solida. Come è stato osservato da B. JOKISCH, il chiaro predominio dei diritti non-islamici
durante la fase proto-califfale, il crescente numero di conversioni e la generale apertura verso culture straniere,
sembrano proporsi quali ragioni giustificative dotate di particolare peso specifico tali da rendere plausibile la
configurazione di potenziali trapianti giuridici, fenomeno peraltro comune ad altre culture: la maggior parte del
diritto sostanziale riportato dalle prime opere giuridiche non sembra trovare alcuna copertura nel materiale degli
abadit ovvero è divenuta oggetto di dissenso e divergenze.
E su tale base che il diritto islamico può essere definito lato sensu quale continuo processo di interazione tra fonti
divine e opere di esseri umani, e non quale corpus di precetti fissi e immutabili.

Il processo evolutivo del diritto islamico non riveste una fondamentale rilevanza secondo la sola prospettiva
verticale - diacronica - quanto alla stratificazione e sedimentazione progressive che ne hanno caratterizzato la
formazione, ma anche secondo una prospettiva orizzontale - sincronica - quanto all'influsso esercitato sul medesimo
da coeve esperienze culturali che possano avere generato un fenomeno di contaminazione incidendo in misura
variabile sulla sua originalità. Tale fenomeno è divenuto oggetto di studio, in particolare, con riferimento
all'assorbimento da parte del diritto islamico di elementi provenienti dal diritto tribale, ebraico, sassanide e romano.
La condivisione di un comune contesto giuridico-culturale di tradizioni pre-islamiche e islamiche è stata identificata
quale ragione esplicativa delle simmetrie tra diritti pre-islamici e diritto islamico, che si sono riflesse a livello di
delineazione di singole fattispecie in ambito civilistico e penalistico.
Si è sottolineato come il sistema giuridico tribale arabo costituisse un ambito ed una cornice per varie tradizioni
giuridiche e convivesse con il diritto ebraico e quello cristiano-orientale; si è ipotizzato, inoltre, come la familiarità
degli abitanti della penisola arabica con il sistema giuridico sassanide abbia potuto veicolare l'adozione di prassi
sassanidi da parte del successivo Impero islamico; le intense interrelazioni tra gli arabi pre-islamici e i Bizantini,
nonché l'insegnamento del diritto bizantino in Siria e in Egitto, sono stati individuati quali fattori capaci di favorire la
diffusione della dottrina giuridica bizantina al di là dei confini delle scuole giuridiche.

Varie posizioni dottrinali di cultura occidentale hanno posto ulteriormente l'accento sul sistematico prestito o
indebitamento del diritto islamico nei confronti di diversi diritti stranieri non rivelati, quali il persiano, romano e
provinciale romano, nonché rispetto al diritto ebraico o talmudico tra i diritti rivelati: secondo tali ricostruzioni,
sarebbe stato impossibile per la sharia svilupparsi così velocemente senza il fondamentale contributo di influenze
straniere: in altri termini, il diritto islamico non potrebbe essere stato generato per partenogenesi.
Tali influenze vengono ricondotte, in primo luogo, al diritto ebraico e, in particolare, alla condivisione
dell'orientamento teocratico e alla prossimità geografica delle due tradizioni giuridiche.

Il diritto ebraico, di formazione antecedente rispetto al diritto islamico, si sviluppò nei primi cinque secoli d.C. e
registrò il proprio culmine con la composizione del Talmud (Pentateuco) nel VI secolo e fu completato in epoca
coeva alla nascita di Maometto. Quando la Mesopotamia venne conquistata dai musulmani nel 637 fu ridenominata
Iraq, centro dell'insegnamento talmudico all'epoca dell'origine della scuola hanafita: da un punto di vista storico gli
ebrei vivevano sotto il dominio musulmano, ciò che facilitava 'intercambio culturale ed intellettuale tra gli studiosi di
entrambe le religioni: tale fattore è stato ritenuto, insieme con la partecipazione ad un simile apparato teologico, di
fondamentale rilevanza ai fini dell'assorbimento di concetti giuridici ebraici in seno al diritto islamico. Analogamente,
la prossimità geografica di Kufa, centro della scuola hanafita di diritto islamico, con le accademie ebraiche di Sura e
Pum-bedita, ha implicato, parimenti secondo le posizioni in oggetto, un impatto sul diritto islamico nella sua fase
formativa. Infine, la comparazione tra quattro fonti del diritto islamico - Corano, sunna, ijma e qiyas - e del diritto
talmudico - migrà, misnab, ba-kõl e beages - ha condotto alla configurazione di forti similitudini tra le due tradizioni
giuridiche.

Le obiezioni formulate nei confronti delle linee di argomentazione ricordate tendono a sostenere la identificabilità di
un certo grado di consapevolezza delle problematiche giuridiche da parte del Profeta e dei suoi compagni, nonché
l'emersione del sistema giudiziale musulmano già durante la vita di Maometto, e propongono la ridefinizione della
fase formativa del diritto islamico.
HALLAQ, in particolare, opera una retrodatazione dell'avvio della tradizione giuridica islamica ad un'epoca di poco
antecedente la scomparsa del Profeta, in ciò differenziando la propria posizione da quella di SCHACHT, GOLDHIZER e
altri autori che avevano invece collocato temporalmente tale avvio nel II secolo dopo l'Egira, ipotizzandone la
cristallizzazione nel secolo successivo. La condensazione dei maggiori elementi costitutivi del diritto islamico -
l'evoluzione del sistema giudiziario, l'elaborazione di una dottrina giuridica positiva, l'emersione della scienza della
metodologia giuridica, l'emersione delle scuole giuridiche dottrinali - ha avuto luogo, ad avviso di HALLAQ, alla metà
del IV secolo (d.H.), secondo un'articolazione temporale che ha visto assumere la precedenza il primo e il secondo
elemento già alla metà del III secolo d.H. Tra la fine del I secolo d.H. e gli inizi del II secondo secolo d.H. emersero
gruppi di giurisperiti che elaborarono una dottrina giuridica posta a fondamento della prassi legale, cui si affiancò in
parallelo la costruzione dell'autorità profetica fondata sugli ahadit; nella fase successiva le corti musulmane
acquisirono la loro definitiva conformazione.
Alla congettura secondo cui l'islam assorbì e fu influenzato da fattori giuridici e culturali delle società che aveva
assoggettato (Sassanidi e Impero bizantino) e che colloca in Siria e Iraq - e non a Medina - i centri di elaborazione e
trasmissione della scienza giuridica, si obietta che i musulmani non imposero mai le proprie leggi ai territori
conquistati né interferirono con il diritto dei popoli sottomessi, sviluppando anzi su base autonoma il proprio
sistema giuridico, in modo indipendente da altre esperienze e unicamente sulla base della propria ideologia.

La prima comparazione tra diritto romano e diritto islamico deve probabilmente ascriversi a A. RELAND (1676-
1718), orientalista olandese autore dell'opera De religione Mohammedica libri duo (1717), considerata il primo
tentativo di solida sistematizzazione del credo e delle prassi islamiche. L'influenza del diritto romano sul diritto
islamico ha poi trovato uno dei primi sostenitori in D. GATTESCHI [Manuale di diritto pubblico e privato ottomano,
1865], che dedicò oltre cento pagine della propria opera all'individuazione di concordanze tra il diritto islamico ed il
diritto privato dell'Europa continentale, riorganizzando il diritto islamico conformemente alla struttura organizzativa
(libri, titoli, capitoli, articoli) e materiale (persone, proprietà, obbligazioni) del Code civile, e identificò numerosi
riferimenti incrociati tra il diritto positivo islamico e le corrispondenti norme o i relativi istituti delle Institutiones e
del Digesto giustinianei.
La matrice romanistica del diritto islamico fu condivisa e ribadita in epoca di poco successiva da I. GOLDHIZER, C.
SNOUCK HURGRONE (in Revue de l'histoire des religions, 1896), A. VON KREMER.
Non hanno invece ritenuto di potere individuare tale correlazione C.A. NAL-LINO (in Raccolta di scritti editi e inediti,
IV, Istituto per l'Oriente, 1942), e S. VESEY-FITZGERALD [2010, 85 ss.].
Più recentemente, J. SCHACHT - come si è parzialmente anticipato - ha affrontato la problematica dell'influenza del
diritto romano sul diritto islamico da tre angoli visuali: osservando parallelismi e simmetrie del diritto romano nella
scienza giuridica islamica; risolvendo l'impasse dell'apparente impossibilità storica dell'impatto del primo sul
secondo; infine, individuando le modalità di tale ascendenza.
Diversa posizione dottrinale, secondo una prospettiva parzialmente coincidente con la ricostruzione da ultimo
menzionata, ha preferito invece rintracciare nel diritto applicato nelle province romane il veicolo di tale
irradiazione.

Si deve, infine, ad originale posizione dottrinale l'esplicazione del diramarsi del diritto romano nel contesto culturale
islamico sulla base del ruolo dei giurisperiti [A DAHER, 2005, 91 ss. Identificato il comune denominatore delle due
tradizioni giuridiche nel ruolo centrale riconosciuto ai giurisperiti, nella solo marginale rilevanza della legislazione e
nell'osservanza delle consuetudini, DAHER osserva come i principi giuridici che permeano la sharia non avrebbero
potuto essere imposti dall'alto (il potere politico non lo avrebbe consentito), tale incorporazione essendo invece
avvenuta dal basso quale risultato della razionalizzazione di fattispecie concrete in seno a principi generali di diritto
compiuta dai mufti mediante la propria metodologia giuridica fondata (anche) sul ricorso all'analogia.

Tale opera è stata facilitata, secondo l'Autore, dalle similitudini e simmetrie riscontrabili tra istituti e strutture della
tradizione giuridica islamica e di quella romana, questi ultimi quali rinvenibili, in particolare, nel Libro (o codice) siro-
romano, opera della giurisprudenza postclassica orientale, frutto del lavoro delle scuole di diritto attive in quella
parte dell'Impero nella seconda metà del V secolo d.C., che conteneva una trattazione elementare dell'antico diritto
civile romano, aggiornato alla luce delle costituzioni imperiali recenti; la versione in lingua siriaca fu particolarmente
importante perché consentì ai romano-cristiani della Siria, invasa dagli Arabi, di continuare a vivere secondo il
proprio diritto e facilitò la penetrazione del diritto romano nel diritto islamico.
Le affinità e le somiglianze tra istituti delineati dal codice siriaco-romano e istituti islamici appaiono in tutta la loro
evidenza soprattutto in materia di successioni, matrimonio e patronato: "the 130 articles in the Arabic version of the
Syro-Roman Code sound so familiar to the modern Arab lawyer that the Code appears as some 'vulgate' for the
uninitiated. In comparison with early books on Islamic succession in the tradition of figh, the layout of that Chris tian
code is clear, and its phraseology in comparison simple. Even from a practitioner's perspective, this is an important
book in terms of the wording and structure of basic rules in such a specialized area as the law of succession. For the
lawyer, most striking in the Arabic version of the Syro-Roman Code is the terminology, starting in the opening words
with the use of the Arab-Islamic word sunna as law. The code develops then the intestate and testate succession
scheme, some of which 'belongs on the whole to Roman law', but some of which is better identified as a mixture of
legal patterns".

Il diritto ereditario islamico appare, in particolare, "as a prolongation, on the Sunni side, of the Syro-roman 'west-
ern' tradition, and for the Sh'is, whose demographic strength remains to date concentrated in the eastern fringe of
the Arab world, as a calque deriving without discontinuation from the Persian Zoroastrian legal tradition" [C. MAL-
LAT, 2003,1021, parenente ad una "common Nide Easter legal koin" IC. MALLAT Il dibattito in materia non può dirsi
affatto concluso o sopito, è anzi tuttora acceso e caratterizzato, sui diversi fronti in cui si articola, sia da intuizioni
meritevoli di apprezzamento sia da inferenze deboli, meritevoli di approfondimento e attenta verifica, fattori che
inducono a cautela e stimolano nuove verifiche in chiave storica.

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