Fatto e diritto
Alcune vie per cui il «fatto breve» dei naturalisti andò differenzian-
dosi dalla prolissa historia casus dei giuristi ci vengono presentate dal
saggio di Daston. Daston parte da una ricognizione del variegato «vo-
cabolario dell’esperienza» che contraddistingue la filosofia naturale
d’età moderna: termini come res, particularia, experimenta, phaenomena,
observationes, casus, historia, tutti con i loro corrispettivi vernacolari,
che rimandano all’esistenza di una varietà di pratiche empiriche con
diversi percorsi di legittimazione. Uno dei risultati più interessanti di
questa monografia ci pare proprio il proporre un primo inventario (cer-
tamente non esaustivo) del ricco vocabolario dell’esperienza in età
moderna. Data la ricchezza di questo universo semantico, si chiede
Daston, che senso aveva l’introduzione e la rapida affermazione di un
neologismo come «fatto»? Nel linguaggio dei fellows della Royal Society
e dei membri dell’Académie des sciences, Daston sostiene, i termini
facts e faits venivano usati soprattutto quando si trattava di distinguere
fra particolari osservabili e spiegazioni causali. In questo senso – scrive
Daston – i fatti «hanno fornito una nuova categoria epistemologica
che ha permesso, almeno in linea di principio, di distinguere i dati
dall’evidenza – di immaginare cioè un’esperienza pura, non contami-
nata dall’inferenza e dell’interpretazione». Oltre a questo nocciolo
semantico, il neologismo «fatto» presenta altri tratti salienti: innanzi
tutto la brevità (e in questo i fatti baconiani si distinguevano dalla
historia, in genere un più prolisso resoconto dell’osservazione). La bre-
vità dei fatti era legata alla volontà di trovare un minimo comun de-
nominatore di consenso al di là delle tanto interminabili quanto sterili
dispute scolastiche: nei frequenti casi di controversia, più semplice era
Premessa 653
Fare la storia sociale dei fatti significa quindi, come mostra il saggio
di Sibum, ripercorrere a ritroso quel processo di disembodiment della
conoscenza che ha implicato la netta separazione dei fatti scientifici
dal contesto sociale in cui vengono generati. Ma ricostruire il contesto
di origine di un fatto (ed evidenziarne quindi l’aspetto di «costruzione
sociale») non significa proclamarne l’irrealtà. Storicizzare non signifi-
ca – almeno nelle intenzioni delle curatrici di questo numero –
relativizzare o distruggere nel senso decostruzionista. Non vogliamo
Premessa 661
S. C. e G. P.
Note al testo
1
Per il call for papers che ha inaugurato il progetto vd. S. CERUTTI, G. POMATA, Fatti: una
proposta per un numero di «Quaderni Storici», in «Quaderni Storici», 1 (1999), pp. 199-206. Il
progetto è stato discusso, insieme ai papers qui pubblicati, nel corso di un seminario tenutosi
presso l’Università di Bologna nei giorni 3 e 4 marzo 2001. Hanno preso parte al seminario, oltre
agli autori di questo numero, anche Luisella Pesante e Carlo Poni in qualità di relatori e, in
qualità di commentators, Renata Ago, Maria Teresa Monti e Giuliano Pancaldi, che ringraziamo
sentitamente per il loro vivace apporto di idee alla discussione. Ringraziamo inoltre il Diparti-
mento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna e la casa editrice Il Mulino per la genero-
sa ospitalità e il sostegno finanziario accordati all’iniziativa.
2
L. DASTON, Marvelous Facts and Miraculous Evidence in Early Modern Europe, in «Critical
Inquiry», 18 (1991), pp. 93-124; EAD., Baconian Facts, Academic Civility, and the Prehistory of
Objectivity, in A. MEGILL (a cura di), Rethinking Objectivity, Durham-London 1994, pp. 37-63;
EAD., The Cold Light of Facts and the Facts of Cold Light: Luminescence and the Transformation of
the Scientific Fact, 1600-1750, in «Early Modern France», 3 (1997), pp. 17-44; EAD., Strange
Facts, Plain Facts and the Texture of Scientific Experience in the Enlightenment, in E. LUNBECK, S.
MARCHAND (a cura di), Proof and Persuasion, Brepol 1997, pp. 42-59. P. DEAR, Totius in Verba:
Rhetoric and Authority in the Early Royal Society, in «Isis», 76 (1985), pp. 145-61; ID., Jesuit
Mathematical Science and the Reconstitution of Experience in the Early Seventeenth Century, in
«Studies in the History and Philosophy of Science», 18 (1987), pp. 133-75; ID., Narratives,
Premessa 663
Anecdotes, and Experiments: Turning Experience into Science in the Seventeenth Century, in ID. (a
cura di), The Literary Structure of Scientific Argument, Philadelphia 1991, pp. 135- 63. S. SHAPIN,
A Social History of Truth: Civility and Science in Seventeenth-Century England, Chicago-London
1994.
3
DASTON, Baconian Facts cit.
4
Al tradizionale disinteresse degli storici della scienza per il ruolo della storia naturale nella
rivoluzione scientifica è stato abbondantemente rimediato negli ultimi dieci anni da una ricca
letteratura: vd. tra gli altri N. JARDINE, J.A. SECORD, E. SPARY (a cura di), Cultures of Natural
History, Cambridge 1996.
5
M. POOVEY, A History of the Modern Fact. Problems of Knowledge in the Sciences of Wealth
and Society, Chicago 1998, individua le origini del «fatto moderno» nei libri di conti mercantili e
ne segue gli sviluppi nella cultura inglese dall’aritmetica politica di William Petty alla filosofia
morale di Hume fino all’economia politica e alla statistica dell’Ottocento. Questo libro ci pare
però scritto in una prospettiva di storia intellettuale (non sociale) della categoria di fatto, con una
molto esile base documentaria e un’argomentazione spesso oscura o non convincente.
6
B. SHAPIRO, The Concept of «Fact»: Legal Origins and Cultural Diffusion, in «Albion», 26
(1994), pp. 227-52; EAD., A Culture of Fact. England, 1550-1720, Ithaca 2000.
7
Ivi, capp. 1 e 2 (sui giuristi/antiquari pp. 37 ss.).
8
Si vedano in questo senso soprattutto i ricchissimi studi di A. GIULIANI e in particolare la
voce Prova in Enciclopedia del diritto, XXXVII, Milano 1988, pp. 519-79. Per una messa a punto
recente del rapporto fra fatto e diritto fra medioevo e prima età moderna rimandiamo a M.
BELLOMO, I fatti e il diritto, tra le certezze e i dubbi dei giuristi medievali (secoli XIII-XIV), Roma
2000.
9
Sulla rinnovata fortuna della procedura sommaria in età moderna e i legami fra i suoi
sostenitori e gli ambienti scientifici baconiani vedi S. CERUTTI, Fatti e fatti giudiziari: il Consolato
di commercio di Torino nel XVIII secolo, in «Quaderni Storici», 2 (1999), pp. 413-45.
10
I. SPIEGEL, Lexicon Juris Civilis, Strasburgo 1539, s.v., cit. qui da CIFOLETTI, p. 789.
11
C. CRISCIANI, L’individuale nella medicina tra Medioevo e Umanesimo: i «Consilia», in R.
CARDINI, M. REGOLIOSI (a cura di), Umanesimo e medicina. Il problema dell’«individuale», Roma
1996, pp. 18-19.
12
H.O. SIBUM, Reworking the Mechanical Value of Heat: Instruments of Precision and Gestures
of Accuracy in Early Victorian England, in «Studies in History and Philosophy of Science», 26
(1995), pp. 73-106; ID., Les gestes de la mesure. Joule, les pratiques de la brasserie et la science, in
«Annales HSS», 1998, pp. 745-74.
13
SHAPIN, Social History of Truth cit., pp. 310-54.
14
DEAR, Totius in Verba cit., p. 152; S. SHAPIN, Pump and Circumstance: Robert Boyle’s Literary
Technology, in «Social Studies of Science», 14 (1984), pp. 481-520; C. LICOPPE, The Crystallization
of a New Narrative Form in Experimental Reports (1660-1690), in «Science in Context», 7, 2
(1994), pp. 206-44.
15
Cit. qui da SIBUM, p. 898.
16
E.P. THOMPSON, Lettera, in «History Workshop», 35 (1993), pp. 274-75. Crediamo natu-
ralmente che una storia sociale dei fatti possa offrire un correttivo anche all’atteggiamento specu-
lare all’«idealismo plausibile», quel che Thompson chiamava «positivismo grossolano»: l’atteg-
giamento di chi assume le fonti come «dati» senza interrogarsi sui processi della loro costruzione.
17
Per una lucida ricostruzione del dibattito sul social constructionism vd. I. HACKING, The
Social Construction of What?, Cambridge 1999.
18 Vedi L. DASTON (a cura di), Biographies of Scientific Objects, Chicago-London 2000, in
particolare l’Introduzione, pp. 1-14.
19
Sulle implicazioni cognitive dello straniamento vedi C. GINZBURG, Straniamento. Preisto-
ria di un procedimento letterario, in ID., Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Milano
1998, pp. 15-39 e il classico A. SCHÜTZ, The Stranger, in «American Journal of Sociology», 6
(1944), pp. 499-507.