LA TRASMISSIONE MATRILINEARE
DELL'APPARTENENZA ALL'EBRAISMO
1. INTRODUZIONE
4.1. Da questa rassegna dei dati biblici si può ben vedere co-
me l'articolazione delle letture non consenta conclusioni univo-
che, ed emerge quindi la necessità di riprendere l'analisi delle
fonti da altre prospettive.
Preliminarmente è necessaria una verifica della applicabilità
del concetto di matriarcato, nelle sue varie accezioni, alla situa-
zione ebraica. Ciò che un tempo veniva confuso sotto l'unica de-
nominazione di matriarcato, o diritto matriarcale, va distinto in
diversi istituti che possono comparire isolatamente o in associa-
zione parziale nelle varie culture: ad esempio la matrilocalità, la
matrilinearità, l'eredità in linea femminile di proprietà e funzio-
ni; la particolare funzione sociale ed economica dello zio mater-
no; determinate forme di matrimonio; la posizione particolare
della donna nella terminologia della parentela, nella religione e
nelle cerimonie (EdR 3:806). Dopo una prolungata discussione
critica è apparso chiaramente che nell'ebraismo esistono di tutte
queste forme solo aspetti molto particolari, di cui i più impor-
tanti vedremo avanti in dettaglio. Il quadro reale che emerge da
un esame obiettivo delle fonti è quello di una società sostanzial-
mente patriarcale almeno dal tempo della nascita nazionale, do-
ve l'appartenenza familiare, tribale e sacerdotale, la linea eredi-
taria dei beni e del potere, la sede della famiglia, la struttura del
matrimonio, il potere politico e religioso sono regolati secondo
attribuzioni maschili; la regola fondamentale è stabilita nel libro
dei Numeri (1:2, 18 ecc.): «secondo le loro famiglie, le case dei
loro padri»; quando compaiono delle prerogative femminili esse
appaiono subordinate e secondarie al ruolo maschile, come nel
caso dell'eredità dei figli, che spetta alle donne solo in assenza di
fratelli (Num. 27:6-11); qualche traccia dispersa non compromet-
te l'evidenza di un quadro generale; il mito dell'antico matriar-
cato ebraico è definitivamente sfumato 26 . Tuttalpiù vi può essere
discussione sulla natura delle primitive istituzioni ebraiche che
precedettero la nascita della monarchia, da qualche critico re-
centemente paragonate alle società segmentane dell'Africa Ne-
ra 27 ; ma anche in questo caso la struttura patriarcale è difficil-
mente contestabile.
152 Riccardo Di Segni
Se una donna libera si unisce con un uomo schiavo, i figli sono considerati libe-
ri, mentre se un uomo libero, fosse anche il primo della città, sposa una straniera o
una concubina, i figli sono privati dei diritti di cittadino.
6. LA SCHIAVITÙ
9. LA PROIBIZIONE DELL'INCESTO
Karet
- sorella paterna * pro. pro.
- sorella materna' pro. pro. pro.
- sorella del padre pro. pro.
- sorella della madre pro. pro. pro.
- sorella della moglie pro.
- moglie del fratello pro.
- moglie del fratello del
padre
lapidazione
- madre" pro. pro. pro. pro. pro. pro.
- moglie del padre pro. pro. pro. pro.
- nuora * pro. pro. pro. pro.
bruciamento
- figlia della moglie pro. pro. pro.
- figlia della figlia della
moglie
- figlia del figlio della
moglie
- suocera pro. pro. pro.
- madre della suocera pro.
- madre del suocero pro.
- figlia pro. pro. pro. pro. pro.
- figlia della figlia 'pro.
- figlia del figlio -pro.
non contemplate
come incesti
nell'ebraismo:
- balia pro.
- figlio pro. pro.
pro.: probito.
*: citati in Ezech. 22 (il riferimento alla moglie del padre non è certo).
divieti per i Noachidi codificati in Maimonide, Melakhim 9: 5.
• : divieto probabile
1 Fonti bibliche al §9.2; cfr. Mishnà, Sanhédrin 7:3, 9:1, Keretot 1:1
Eliezer: opinione di rabbi Eliezer. Aqival: opinione di rabbi Aqiva secondo Na-
chmanide. Aqiva2: opinione di rabbi Aqiva secondo RaSHI. MeirTP: opinione di
rabbi Meir, secondo TP Jevamot 11: 2; cfr. nota 79.
Hammurabi: articoli 154, 155, 157, 158, in ANET p. 172. Hittiti: articoli II 189-192,
194-195, in ANET p. 196. Roma, leggi romane da Gai. Inst. I 59. 61-63.
Il padre assente 169
lapidazione bruciamento
modello comune:
Tavola 4.
il matrimonio è valido?
r il matrimonio è valido? S
si no
no si si no
i figli sara
* ▼ '
come il come il mamze- come la
padre meno nobile ri m madre
/ SPURII
I NETINEI*
' FIGLI DI PADRE IGNOTO A
FIGLI DI GENITORI IGNOTIy
SCHIAVI <*
Se una bestia pura partorisce una specie di bestia impura, <il nato> può esse-
re mangiato; e se una bestia impura partorisce una specie di bestia pura, <il nato>
non può essere mangiato; perché ciò che esce dall'impuro è impuro e ciò che esce
dal puro è puro.
16. CONCLUSIONI
ABBREVIAZIONI
ANET = James B. Pritchard, Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testa-
ment, 2nd ed., Princeton Univ. Press, Princeton, 1955.
EdR = Enciclopedia delle Religioni, Vallecchi, Firenze 1970.
EE = Enciclopedia, Einaudi, Torino.
EM = Enziqlopedia Migrait, in ebraico.
TP = Talmud Palestinese.
TE = Talmudic Encyclopedia, Yad haRav Herzog, Jerusalem 1973 (2) in ebrai
TB = Talmud Babilonese.
RINGRAZIAMENTO
NOTE AL TESTO
1 Questo il testo della Mishnà, nella traduzione di V. Castiglioni (II vol, Terz
ordine, p. 239 dell'edizione del 1962); la parte saliente è riportata in corsivo:
«In tutti i casi in cui avviene un matrimonio senza prevaricazione, il nascituro
va dietro al maschio. In qual caso? Nel caso della figlia di un sacerdote, di un levi
o di un Israelita laico che sposano un sacerdote, un levita o un Israelita laico.
In tutti quei casi invece in cui avviene un matrimonio in cui vi sia prevarica-
zione, il neonato segue la parte dei due che è difettosa. In quale caso? In caso d
una vedova che sposi un sommo sacerdote, o di una divorziata, od una che ha com
piuto lo scalzamento che sposi un sacerdote comune; una spuria, o una Netinea ch
sposi un Israelita laico, una Israelita che sposi un Netineo o uno spurio.
In tutti quei casi in cui il suo matrimonio con lui non può seguire, ma il matri
monio con altri potrebbe seguire, il neonato è spurio; e chi è questi? Questi è c
compie con persona consanguinea uno di quei matrimoni che la Scrittura punis
con la pena dello sterminio.
Così pure per tutte quelle donne il cui matrimonio non sarebbe valido né con lui n
con altri, il neonato è come lei. E chi sarebbe questi? Questi sarebbe il figlio di un
schiava (nata) pagana».
Il padre assente 1 95
8:30); i discendenti dell'uomo sono «coloro che escono dai lombi ( chalatzaim )» in
Gen. 35:11, 1 Re 8:19, 2 Cr. 6:9; il «seme» (zera') indica tra l'altro sia il liquido
seminale che la prole, dell'uomo e della donna (come nella benedizione a Rebecca,
in Gen. 24:60 e parallelo in Is. 54:3); il verbo con la stessa radice nella forma passi-
va nif al significa essere fecondati (Num. 5:28) e nella forma hifil concepire (Lev.
12:2); nella radice jld la forma gal indica il ruolo femminile del parto e della gene-
razione e V hifil, sempre maschile, il fecondare, generale, l'avere figli; toledòth sono
all'origine le generazioni, sempre riferite all'uomo: cfr. S. Mandelkern, Veterìs Te-
stamenti Concordantiae, Jerusalem 1971 pp. 463-465 e 478-482. Nella letteratura
rabbinica non c'è alcun dubbio su questi concetti; il Talmùd conosce e discute la
possibilità per una donna di rimanere incinta facendosi il bagno dove prima vi è
stato un uomo che ha eiaculato: cfr. TB Chaghigà 15a. Il problema sarebbe piutto-
sto quello della tendenza a sottovalutare il ruolo femminile, in analogia al pensiero
greco. Contro questo rischio si segnala una interpretazione embriologica in TB Nid-
dà 3 la che riconosce tre parti nella formazione dell'uomo: il padre, che contribuisce
per «il bianco», da cui le ossa, i nervi, le unghie, il cervello e il bianco dell'occhio;
la donna per «il rosso» da cui la pelle, la carne, i peli e il nero dell'occhio; Dio per
l'anima e lo spirito, la fisionomia (qlastar panim), la vista, l'udito, la parola, il mo-
vimento e l'intelligenza. Il «bianco» e il «rosso» derivano evidentemente dal colore
dei rispettivi liquidi che escono dai genitali. Tradizioni molto simili sono reperibili
anche a livello etnologico come presso i Venda della Rhodesia e qui la nozione di
parentela bilaterale viene interpretata come fusione di elementi pastorali-patriarca-
li e agri colo-matriarcali (cfr. EdR 5:329). In tradizioni slave il «rosso» è il sangue
maschile e il «bianco» il latte femminile (cfr. Gasparini, cit.). Il mondo greco am-
metteva invece un ruolo prevalentemente maschile nella procreazione, mentre la
donna è solo «nutrice del seme gettato in lei» (Eschilo, Eumenidi ); cfr. Wesel, op.
cit., p. 79 e E. Cantarella, L'ambiguo malanno, Roma 1986, p. 80-81, 90. Un isolato
riscontro rabbinico dell'idea aristotelica che paragona il concepimento al coagulo
del latte è in Waiqrà Rabbà 14/9.
31 Cfr. Wesel, op. cit., pp. 54-62 e Cantarella op. cit., p. 126. In compenso i
recenti studi sull'istituto dell'ipoteca dei beni del marito in favore della moglie,
sancito nel contratto nuziale egiziano, hanno mostrato in nuova luce le istituzioni
ebraiche della Ketubbà: cfr. Geller, New Sources for the Origins of the Rabbinic Ke-
tuba, in «HUCA», 49 (1978), pp. 227-245; D. Piattelli, Le garanzie delle obbligazioni
nelle fonti ebraiche - osservazioni in margine al problema dell'origine della Ketubah, in
Mélanges a la mémoire de Marcel-Henry Prévost, pp. 105-122.
32 Cfr. Es. 1:16 e 22 e Shemòth Rabbà 1:18, con il commento di 'Etz Josef.
33 Cfr. Wesel, op. cit., pp. 48-54.
34 Nella Bibbia, e con maggiore precisione nella letteratura rabbinica, si distin-
gue tra due diverse categorie di schiavi, quelli ebrei e quelli non ebrei (per i non
ebrei in part. cfr. Lev. 25:42-44; Es. 21:26-27, secondo l'interpretazione rabbinica, si
riferisce a questo tipo di schiavi). Le normative riguardanti i loro diritti e doveri, le
modalità di affrancamento ecc. sono notevolmente diverse nei due gruppl. In tutte
le regole che stiamo considerando lo schiavo che non trasmette paternità è quello
non ebreo (cfr. TB Qiddushin 69a). Questi è uno straniero che dal momento dell'ac-
quisto ha dodici mesi per decidere se accettare il rito di ingresso come schiavo,
consistente in circoncisione e bagno rituale; se rifiuta deve essere rivenduto a non
ebrei. Una volta integrato entra in un sistema di tutela preciso, e se affrancato di-
venta ebreo a tutti gli effetti. La codificazione della normativa sugli schiavi è in
Maimonide, Avadìm, e in SH. Ar., Y. D. 267. Nella coppia di schiavi in Es. 21:4 (ci-
tata nel § successivo) la donna di cui si parla è, secondo i Rabbini, una schiava non
ebrea (TB Qiddushin 20a).
Il padre assente 199
unica donna tra gli uomini citati tra coloro che sce
Num. 26:46) e persino identificata, nel comune denom
donna che salva dall'assedio la città di Avel in 2 Sam. 20:17-22; cfr. Bereshith Rab-
bà 94:8, Shemoth Rabbà 20:17. V. anche sopra al § 5.2 e n. 65.
Anche in un ambito differente, il rito del riscatto del primogenito, il ruolo fem-
minile viene esaltato e sacralizzato «più o meno coscientemente»; cfr. P. Hidiro-
glou, « Pidyon ha-ben» Le Rachat du premier-né dans la tradition juive ; in «L'Hom-
me», 105 (1988), pp. 64-75.
91 cfr. l'uso del tema nei libri profetici di Osea, diffusamente, in Isaia 49:14 ss,
50, 54:1-8, 62:5, in Ezechiele (ad es. nel cap. 16), in Geremia, cap. 2:1-3 e cap. 31;
l'interpretazione tradizionale del Cantico dei Cantici si basa su questa metafora.
92 Sulla diffusione dell'idea cfr. EdR voi. 5: 983-987; per i singoli nella Bibbia
cfr. ad es. Gen. 26:24, Num. 12:7, Gios. 1:2, 1 Re 14:8, Is. 49:1-7; per i giusti come
servi Is. 54:17, Sal. 113:1, 135:1.
93 Per quanto si tratti di una etimologia molto incerta, si può richiamare a
questo proposito il rapporto, proposto tra alcuni critici, tra il termine Hapiru pre-
sente nelle fonti del Vicino Oriente con il significato di «straniero povero», e l'ebrai-
co ^ '¿vri, che all'inizio avrebbe indicato una condizione sociale, e solo tardivamente
l'Israelita, come popolo oppresso; cfr. Soggin Storia, p. 169. In Gen. 41:12 compaio-
no in successione i termini di «ragazzo ebreo servo».
94 Cfr. l'interpretazione di Rabbenu Efraim riportata nel N achal Qedumim, il
commento di Ch. J. D. Azulai al Pentateuco, Es. 21:4, Belforte, Livorno 1926.
95 L'irreversibilità e l'eternità del patto divino con Israele sono ribaditi ripetu-
tamente nella Bibbia; cfr. ad es. Osea 2 (espresso con metafora nuziale), Ger. 31:35-
36 (dove la «stirpe» di Israele è eterna come le leggi della creazione), ibid. 32, Eze-
chiele 20:32 ecc. Sul rapporto rabbinico con questi concetti cfr. E. E. Urbach, The
Sages, their concepts and beliefs, Jerusalem 1973, pp. 466-480 (in ebr.). Sulla terra
come possesso divino cfr. Lev. 25:23; come dono incondizionato Deut. 11:17, 29:23-
28, 30:18; Lev. 26:32-36 ecc.
96 Una apparente contraddizione che si delinea a questo punto fornisce ulterio-
ri chiarimenti. La donna ebrea trasmette l'appartenenza all'ebraismo, quale che sia
il suo uomo; una sacerdotessa (kohenet) non trasmette la sua condizione a meno che
il marito non sia egli stesso un kohèn (ma è indifferente che lei lo sia o no). Ciò è
dovuto al fatto che il sacerdozio, in tutte le sue manifestazioni pratiche, è un attri-
buto essenzialmente maschile, mentre l'ebraismo non è un attributo legato al sesso.
97 Rientra in questa concezione il dato dell'esclusività ebraica del concetto di
«spurio» ( mamzer ), che si pone come un grado minimo in una gerarchia sacrale; cfr.
TE voi. 5 col. 292.
98 L'automaticità di questo principio, ormai indiscusso negli ultimi secoli, vie-
ne attualmente rimessa in discussione per la possibilità, offerta da alcune pratiche
di fecondazione artificiale, di far condurre la gravidanza nell'utero di una madre
diversa dalla donna che ha prodotto l'ovulo. Mentre alcuni sembrano propendere a
che sia il grembo a decidere la sorte del nascituro (Rabbi Moshe Hershler, Test
tube babies according to Halakha, in Halakha and Medicine, Jerusalem-Chicago 1980,
vol. 1 pp. 307-320 in ebr.), per altri il concetto di maternità è strettamente legato
all'ovulo, quindi all'origine genetica (Rabbi Y. M. Ben Meir, In vitro Fertilization:
the Legal Relationship of the Embryo and the Surrogate Mother, in «Assia», 41 [1986],
pp. 25-40, in ebr.).