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IL PADRE ASSENTE.

LA TRASMISSIONE MATRILINEARE
DELL'APPARTENENZA ALL'EBRAISMO

1. INTRODUZIONE

Lo studio della parentela è un tema centrale della ricerca an-


tropologica, ma le sue implicazioni sono talmente vaste e attuali
che la discussione esce molto spesso dall'esclusivo dominio della
scienza sociale e arriva a coinvolgere l'attualità del dibattito po-
litico: ne è un esempio evidente l'impatto che le ricerche ottocen-
tesche sul matriarcato hanno avuto sulla promozione giuridica e
politica della condizione femminile.
L'ebraismo non solo non sfugge a questo fenomeno, ma pre-
senta diversi esempi in cui antiche norme suscitano accanto alla
discussione scientifica e giuridica un acceso dibattito di attuali-
tà. Un caso di notevole rilievo sociale e politico è sollevato dal
principio che stabilisce che è ebreo per nascita chi è figlio di ma-
dre ebrea. La prima fonte che esponga chiaramente e senza equi-
voci questo principio è di epoca rabbinica: un articolo giuridico
anonimo della Mishnà, nel trattato di Qiddushin, 3:12, databile
al più tardi intorno alla metà del II secolo dell 'E. V. l. Prima di
questa Mishnà, ogni altra fonte non è altrettanto chiara e decisi-
va, e si presta a interpretazioni controverse. La ricerca scientifi-
ca non ha risolto il nodo delle origini e delle motivazioni di que-
sto principio di trasmissione matrilineare della condizione ebrai-
ca. Nel frattempo l'antica istituzione continua ad accendere di-
scussioni, specialmente nello Stato d'Israele, ove la «legge del ri-
torno» è legata alla definizione di ebreo, che molti vorrebbero
sia strettamente ed inequivocabilmente legata alla regola rabbi-
nica; mentre negli Stati Uniti l'ebraismo riformato ha deciso di
considerare ebreo chiunque abbia un solo genitore ebreo, sia esso
il padre o la madre 2 . In questo modo la ricerca scientifica sulle
origini dell'istituzione, promossa dalla attualità del tema, resta
inevitabilmente legata e forse condizionata ed inficiata dalle im-

QUADERNI STORICI 70 / a. XXIV, n. 1, aprile 1989


144 Riccardo Di Segni

plicazioni, ed anche dalle passioni politich


scina con sé.
Dal punto di vista storico ed ideologico vi sono due quesiti
essenziali da risolvere: quando e per quali motivi il principio di
trasmissione matrilinare è stato introdotto nell'ebraismo. Le ri-
sposte che sono state date sono numerose e diverse, ma non han-
no risolto definitivamente i problemi; vi è ancora ampio spazio
per ulteriori contributi e per inquadramenti differenti. Questa
nota si propone di rimettere in discussione alcuni aspetti della
questione suggerendo nuove chiavi di lettura dei dati. In merito
al metodo seguito sono opportune due precisazioni preliminari.
La prima riguarda il ricorso alla comparazione e al confronto
con culture differenti da quella ebraica, che si ritiene necessario
come strumento di comprensione storica, anche se ogni conclu-
sione su possibili influssi reali appare sempre problematica 3. La
seconda precisazione riguarda la difficoltà intrinseca di una ri-
cerca storica su un arco teorico di circa quindici secoli, per il
quale abbondano le fonti tarde, mentre le più antiche sono rare e
di interpretazione controversa, il che rende arduo il tentativo di
delineare con precisione una linea evolutiva di sviluppo; vi è
sempre il rischio di un appiattimento prospettico sotto l'influsso
preponderante dei dati e delle interpretazioni tardive fornite dal-
la tradizione rabbinica.
La discussione viene preceduta da una rassegna critica delle
interpretazioni che sono state finora proposte.

2. LE INTERPRETAZIONI DELLA CRITICA MODERNA

La critica recente che si è occupata dell'argomento ha sugge-


rito diverse spiegazioni, ciascuna delle quali sottolinea elementi
importanti, ma presenta anche molti lati deboli e non risolve
mai in modo esauriente il problema.
La molteplicità delle risposte esprime con evidenza la difficol-
tà dell'enigma. In rapida rassegna preliminare, riservando al se-
guito dell'articolo la discussione dei punti essenziali, le principa-
li soluzioni proposte e le possibili obiezioni si possono così rias-
sumere:

2.1. La trasmissione matrilinare dell'ebraismo deve essere


considerata, insieme ad altri istituti giuridici presenti nell'ebrai-
smo, come un residuo del matriarcato. La tesi è stata sostenuta
con dovizia di documentazione da Aptowitzer nel 1925-26 4, che
Il padre assente 145

ha applicato all'ebraismo, senza mette


ria, di origine bachofeniana e ancora
sul passaggio dell'umanità dal matriar
noto che negli sviluppi della ricerca st
cetto di matriarcato ha subito una critica radicale che ne ha
messo in dubbio l'ubiquitarietà, la precedenza storica e la esten-
sione nei diversi istituti sociali 5. La tesi di Aptowitzer conse-
guentemente crolla, anche se gli elementi da lui acutamente rac-
colti e messi in evidenza costituiscono, una volta privi della cor-
nice di interpretazione globale, dati ancora essenziali per la no-
stra discussione.
2.2. Vi è chi sostiene che la norma sia stata determinata dalle
sconfitte subite dagli ebrei negli eventi bellici del 70 e del 135
dell'E. V., nel corso dei quali molte donne ebree furono rapite,
rese schiave e violentate dai Romani; la norma sarebbe stata
dettata dalla necessità di reintegrare nell'ebraismo delle vittime
innocenti. Si osserva che questa tesi presuppone una comparsa
molto tardiva dell'istituto matrilineare, difficile da ammettere
per molti critici, e un intento essenzialmente 'umanitario', che
nel caso specifico - almeno leggendo la Mishnà in questione -
sembra estraneo alle motivazioni originarie 6.
2.3. È molto diffusa l'idea che la regola sia l'applicazione del
principio giuridico per cui mater semper certa est, pater incertus.
Si obietta che in coerenza a tale principio non solo la nazionali-
tà, ma anche la condizione familiare dovrebbe seguire la madre,
ma non è così nella regola rabbinica; inoltre, almeno secondo al-
cuni Maestri, la testimonianza della madre sulla identità del pa-
dre è valida 7. Ma soprattutto è da tener presente che l'applica-
zione di questo principio nella materia in discussione è esplicita-
mente rifiutata nella letteratura rabbinica 8. È una regola che
può andare bene per gli animali, in qualche caso 9, ma non per
gli uomini. Più in generale si può osservare come l'invocazione
del principio della certezza materna sia anch'essa legata al 'mi-
to' di Bachofen, Morgan ed Engels su un originario stato umano
di promiscuità, che non avrebbe permesso di sapere chi fosse il
padre del bambino. Oggi la supposizione della originaria promi-
scuità non regge alla critica, mentre si ritiene che « matrilineari -
tà e patrilinearità sono le due possibili soluzioni del grande pro-
blema che gravava sulle protosocietà sedentarie, ovvero le due
possibili risposte sull'appartenenza dei figli a un gruppo piutto-
sto che ad un altro» 10.
2.4. La dipendenza del figlio dalla madre potrebbe essere lega-
146 Riccardo Di Segni

ta al dato reale dello stretto legame esisten


primi anni di vita, e che trova conferma
che n. In effetti tra gli espliciti moven
alla lotta contro le unioni con donne straniere vi è la constatazione
che in queste unioni «la metà dei loro figli parlano la lingua di
Ashod o di ogni altro popolo e non sanno parlare la lingua di
Giudea» (Nehemia 13:24). È in termini antropologici il rilievo del-
la neotenìa, della prolungata dipendenza dalla madre nella specie
umana, che viene considerata l'origine della cultura e della civiliz-
zazione. Bisogna tuttavia vedere fino a qual punto il dato dell'edu-
cazione è veramente essenziale alla definizione naturale di ebreo; i
dati a disposizione sembrerebbero escluderlo 12 .
2.5. Il rapporto di questa legge ebraica con il diritto romano
è stato segnalato come «qualche parallelo interessante» da Boaz
Cohen nel 1966, e nei termini di un influsso diretto da Shaye Co-
hen nel 1985 13. Il diritto romano distingue i casi di matrimonio
regolare ( justae nuptiae ) dagli altri, e stabilisce di conseguenza lo
status dei figli, con molte analogie formali con la situazione
ebraica. Le obiezioni a questa tesi della dipendenza dal diritto
romano sono state numerose: sono state sottolineate, aldilà delle
analogie, le differenze tra i due sistemi (come la particolare sto-
ria evolutiva della legge a Roma, o il concetto ebraico dello stato
del mamzer). Inoltre, dal punto di vista metodologico, nel con-
fronto di sistemi così diversi non sembra corretto spingersi oltre
al rilievo della analogia 14. Se poi il discorso si fa sul confronto
di sistemi giuridici non si possono ignorare, come vedremo più
avanti nella discussione, dei paralleli giuridici molto più antichi.
E ancora, ricontrollando le fonti del diritto romano, potremo ve-
dere come la prospettiva della «dipendenza» può essere radical-
mente ribaltata.
2.6. Sempre S. Cohen 15 ha supposto che la norma rientri in
una concezione rabbinica più vasta che comprende anche le re-
gole sulle mescolanze di specie animali. I limiti di questo rilievo
verranno discussi più avanti (al cap. 14).
2.7. È stato suggerito che la norma sia stata istituita nell'in-
tento di scoraggiare l'esogamia 16 . Certamente l'istituto contri-
buisce a scoraggiare l'esogamia degli uomini (non quella delle
donne), ma è dubbio che ciò che appare come una conseguenza
dell'istituto sia invece la sua causa determinante.
2.8. Invece che di residuo di matriarcato si tratterebbe di un
residuo della poliginia 17 , ammessa nell'ebraismo europeo fino
Il padre assente 147

airxi secolo dell'E. V., quando fu cond


terdetto) di Rabbenu Ghershom. Quand
è normale che i figli si differenzino tr
ne della madre, e nella Bibbia se ne h
questo è vero fino a un certo punto, pe
cisive si riferiscono essenzialmente alla condizione materna di
concubina che si ripercuote negativamente sui figli; il sistema
non è così coerente da dare sempre ai figli la condizione mater-
na; anzi è vero il contrario, perché per nobiltà/sacerdozio e ap-
partenenza tribale/familiare si segue sempre il padre. E allora il
problema ritorna dove è cominciato, perché bisogna capire per-
ché alcuni istituti seguono la vita materna e altri quella paterna.
Inoltre bisogna osservare che nella regola rabbinica si segue
la madre solo quando non c'è un matrimonio valido, quindi si
tratta di una matrilineari tà che vale proprio soltanto al difuori,
in opposizione dell'istituto matrimoniale; è difficile pertanto am-
mettere che la matrilineari tà sia coerente con la poliginia, o me-
glio con la poligamia. Invece nell'ambito di un matrimonio rego-
latore con più mogli la regola biblica vuole abolire ogni elemen-
to soggettivo, e tra questi il privilegio di una «favorita» (Deut.
21:15).
Queste obiezioni, che si fondano sul dato interno ebraico, si
possono estendere ulteriormente con il rilievo di un dato antro-
pologico elementare: la matrilineari tà non è certo un effetto del-
la poliginia, ma un istituto che può esistere indipendentemente
dalla poliginia e sul quale eventualmente la poliginia si inseri-
sce. Un conto è la gelosia tra le mogli - ciascuna delle quali ten-
de a privilegiare la sua prole -, che è in sostanza un indice di
subordinazione femminile, e un altro l'istituto della matrilineari -
tà, che prosegue una tradizione precedente 18 . Riprenderemo
questi punti in seguito.
2.9. Non è la matrilinearità che va sottolineata, ma al contrario
la patrilinearità, che è il principio essenziale e prevalente nella
società ebraica; il figlio di una unione mista segue la madre «per-
ché il principio patrilineare non può funzionare per un'unione sta-
bilita oltre ai limiti del clan»; ed «è precisamente perché è un
principio di clan che non può funzionare per unioni fuori dal clan.
Nell'ambito di ciascun clan, Ebraico e Gentile, invece funziona» 19 .
È un approccio sostanzialmente valido, su cui si tornerà più avan-
ti, ma che va preliminarmente mondato dall'uso improprio del
concetto di «clan», che è un termine inadatto al contesto ebraico
148 Riccardo Di Segni

che si discute, in quanto indica altri tipi


generalmente esogamici e basati su grupp

I PARTE - L'EPOCA BIBLICA

3. IL DIVIETO ESOGAMICO NELLA BIBBIA

3.1. Passando dalle interpretazioni all'esame dei dati, l'atten-


zione si concentra sulla fonte primaria rappresentata dal raccon-
to biblico, che fornisce diverse informazioni, suscettibili tuttavia
di controverse letture. L'epoca biblica si estende per un ampio
arco di secoli e va distinta a sua volta in differenti periodi (pa-
triarcale, tribale, monarchico unitario e scismatico, postesilico)
nel corso dei quali le istituzioni, anche stando al semplice rac-
conto del testo, subiscono modificazioni anche radicali.
Uno dei motivi fondamentali da discutere è quello della defi-
nizione dei limiti matrimoniali, necessaria premessa per com-
prendere la condizione della prole nata da unioni considerate, in
base a questi limiti, inopportune o «miste».
3.2. I limiti matrimoniali a cui sono sottoposti gli individui
sono di diversa natura, dalla classificazione etnica alla condizio-
ne di libertà fino ai divieti incestuosi; iniziando dal problema et-
nico va notato che questo non si limita all'appartenenza al popo-
lo ebraico, ma può riconoscere ulteriori barriere interne rappre-
sentate dalla divisione tribale.
La fonte biblica più chiara in proposito è il brano di Num.
36:6-9 dove, in conseguenza del riconoscimento del diritto femmi-
nile a ereditare, in assenza di fratelli maschi coeredi, si stabilisce
il principio dell'endogamia tribale. La norma è esplicitamente
motivata dalla necessità di impedire passaggi di proprietà da una
tribù all'altra; presuppone confini tribali definiti, con spartizione
di terra tra famiglie patriarcali, secondo il dettato biblico più vol-
te ripetuto (ad es. nei cap.. 26 e 33 di Num.). Questa situazione
teorica di equilibrio, giustificante la norma, venne a cessare, al-
meno per 10 tribù, con l'esilio assiro (tra il 721 e il 705 av. E. V.).
Ma secondo una tradizione talmudica il decreto aveva avuto una
vita molto più breve, cessando con l'entrata degli ebrei in Ca-
naan 20 . La lettera del testo biblico sembra comunque limitare la
norma alle sole donne eredi di proprietà. Vi è poi un passo del
libro dei Giudici (21:1), che parla di un voto - peraltro tempora-
neo e legato a una guerra intestina - fatto dai figli di Israele che
Il padre assente 149

si proibiscono di dare le loro figlie ai Ben


che in assenza del voto, in piena epoca
norma contro l'esogamia tribale. Tutta
con un'altra serie di fonti, molto più p
persiste in epoca rabbinica, che insist
endogamiche 21 . Già i genitori di Sans
sta il desiderio di sposare una filistea,
di priorità che inizia con «le figlie dei
«tutto il mio popolo» (Giud. 14:3). Sem
dati ammettendo una distinzione tra
zione - che probabilmente, se vi è sta
un atteggiamento di opportunità, che i
l'unione in una cerchia quanto più rist
destinato a persistere per molti secoli.
Quali dati si possono desumere sul de
questo tipo di unioni miste? In propo
traccia. Un caso singolo potrebbe esser
ma è troppo complesso criticamente pe
sioni convincenti 22 . Più importante l
dei Giudici; qui il voto delle tribù di n
mente con i Beniaminiti viene aggirat
Javesh Ghilad e con il ratto delle rag
gruppi di diversa tribù; così, spiega il
no potrà sopravvivere. Dunque i discen
mista seguono la condizione paterna. N
bra legittima, e questo confermerebbe
le della patrilinearità in unioni normal
3.3. Ben più articolato è il problema
le. Nei testi si rileva, in linea di mass
principio - costante dall'epoca patriar
dall'esilio babilonese - all'unione con «stranieri» 23 . Nonostante
il principio le unioni miste furono numerose, anche da parte di
personaggi importanti, per quanto spesso il racconto tenda a mo-
strarne le conseguenze negative. Si unirono con straniere, e ne
ebbero figli, uomini come Giuda (con la figlia di Shu'a, Gen. 38),
Giuseppe (con Asenat, Gen. 41:45, da cui nascono Efraim e Me-
nashe), Mose (con Zippora, Es. 2:21-22), Boaz (con Ruth, Ruth
4:13, da cui discende la famiglia di David), i re Salomone (con
Naama, 1 Re 14:21, da cui nacque il successore Roboamo), e
Achav (con Izevel, 1 Re 22:40, da cui nacque il re Achazia). Vi sono
poi dei nomi, come quello di Saul figlio della Cananea (Gen.
46:10) che mostrano madri straniere. Per molti critici questi
150 Riccardo Di Segni

esempi, in cui la prole è considerata ebr


za dubbi l'origine postbiblica del princip
ta che gli esempi biblici non sono decis
stata una forma di 'conversione' o di 'ad
ria appunto in quanto figli di straniere,
vari casi sembra piuttosto allusivo 24 .
Quanto alle donne ebree unite a uomin
sono meno numerosi: in alcuni casi i fig
di discendenza ebraica (come 1 Cr. 2:34-3
rò la versione differisce da 2 Sam. 17:25
la, con implicita riprovazione (il bestem
con stima (Hiram di Tiro, in 1 Re 7: 13-
2 Cr. 2:12-13), senza tuttavia definire la
condo alcuni anche quando i figli sono i
ebraica la prova non sarebbe decisiva, p
matrimoni matrilocali, in cui sono il luo
minare la nazionalità.
Molto più importanti rispetto a questi casi singoli sono i capi-
toli di Ezra (9 e 10) e Nehemia (9, 10 e 13) che descrivono la
lotta contro le unioni straniere, in linea di principio sia maschili
che femminili, ma in pratica diretta solo all'allontanamento del-
le donne straniere e dei loro figli (in particolare Ezra 10:3). L'im-
portanza di questi brani, rispetto ad altre prove bibliche minori,
per alcuni critici indica che il momento dell'adozione del princi-
pio matrilineare nell'ebraismo è l'epoca postesilica. Per altri nep-
pure queste prove sono convincenti: forse Ezra cacciò via solo le
donne straniere e non gli uomini stranieri, perché questi non ri-
siedevano presso ebrei, ma erano le ebree che erano già andate
via ad abitare con loro; o forse ancora Ezra voleva introdurre un
principio ancora più rigoroso di difesa etnico-religiosa, per cui
ebreo era solo colui che discendeva da entrambi i genitori ebrei;
le donne cacciate da Ezra non sarebbero state idolatre, come so-
stiene la tradizione rabbinica (preoccupata di stabilire coerenza
e continuità negli orientamenti giuridici), ma anzi giudaizzanti;
in ogni caso si sarebbe trattato di una decisione non assoluta ma
legata ad un particolare momento di emergenza 25 .
Da fonti non bibliche (i documenti di Elefantina) abbiano qual-
che notizia esterna sul fenomeno esogamico: lo scioglimento del
matrimonio di un egiziano con un'ebrea è attestato in una lettera
del 440 av. E. V. (ANET p. 491); la donna, per ottenere la liquida-
zione dei beni, compie un giuramento nel nome di una divinità
egiziana, la dea Sati. In precedenza la stessa donna era stata mo-
Il padre assente 151

glie di un ebreo e dopo il divorzio da


nozze un altro ebreo (papiri aramaici

4. IL CONTRIBUTO DEI DATI ETNOLOGICI

4.1. Da questa rassegna dei dati biblici si può ben vedere co-
me l'articolazione delle letture non consenta conclusioni univo-
che, ed emerge quindi la necessità di riprendere l'analisi delle
fonti da altre prospettive.
Preliminarmente è necessaria una verifica della applicabilità
del concetto di matriarcato, nelle sue varie accezioni, alla situa-
zione ebraica. Ciò che un tempo veniva confuso sotto l'unica de-
nominazione di matriarcato, o diritto matriarcale, va distinto in
diversi istituti che possono comparire isolatamente o in associa-
zione parziale nelle varie culture: ad esempio la matrilocalità, la
matrilinearità, l'eredità in linea femminile di proprietà e funzio-
ni; la particolare funzione sociale ed economica dello zio mater-
no; determinate forme di matrimonio; la posizione particolare
della donna nella terminologia della parentela, nella religione e
nelle cerimonie (EdR 3:806). Dopo una prolungata discussione
critica è apparso chiaramente che nell'ebraismo esistono di tutte
queste forme solo aspetti molto particolari, di cui i più impor-
tanti vedremo avanti in dettaglio. Il quadro reale che emerge da
un esame obiettivo delle fonti è quello di una società sostanzial-
mente patriarcale almeno dal tempo della nascita nazionale, do-
ve l'appartenenza familiare, tribale e sacerdotale, la linea eredi-
taria dei beni e del potere, la sede della famiglia, la struttura del
matrimonio, il potere politico e religioso sono regolati secondo
attribuzioni maschili; la regola fondamentale è stabilita nel libro
dei Numeri (1:2, 18 ecc.): «secondo le loro famiglie, le case dei
loro padri»; quando compaiono delle prerogative femminili esse
appaiono subordinate e secondarie al ruolo maschile, come nel
caso dell'eredità dei figli, che spetta alle donne solo in assenza di
fratelli (Num. 27:6-11); qualche traccia dispersa non compromet-
te l'evidenza di un quadro generale; il mito dell'antico matriar-
cato ebraico è definitivamente sfumato 26 . Tuttalpiù vi può essere
discussione sulla natura delle primitive istituzioni ebraiche che
precedettero la nascita della monarchia, da qualche critico re-
centemente paragonate alle società segmentane dell'Africa Ne-
ra 27 ; ma anche in questo caso la struttura patriarcale è difficil-
mente contestabile.
152 Riccardo Di Segni

4.2. In questa prospettiva il caso ebraico


me quello di una struttura essenzialmente
pare qualche elemento matrilineare. In un
il primo ambito da considerare è dato dal
e l'attenzione si concentra preferibilment
quali coesistono principi matriarcali e pat
ni varie (in realtà un modello assoluto in un senso o nell'altro
non è mai reperibile neanche nei campioni etnologici). Tra i nu-
merosi possibili casi in cui le commistioni sono più evidenti ba-
sti citare qualche esempio, come quello della Micronesia, dove il
potere e l'eredità sono attributi paterni, mentre il prestigio socia-
le e il nome derivano dalla madre (EdR 4:359); o la Nuova Gui-
nea dove la società è organizzata in clan totemici a discendenza
patrilineare, ma le relazioni sociali, la parentela e l'eredità sono
stabilite nei limiti della linea femminile, con rilevante autorità
dello zio materno (EdR 4:1098); nella Nuova Caledonia clan tote-
mici patrilineari coesistono con elementi matriarcali (lo zio ma-
terno rappresenta lo spirito totemico) (EdR 4:1089); presso i
Vedda, nell'India primitiva, i clan erano ordinati secondo discen-
denza femminile, mentre l'eredità era regolata in linea maschile
(EdR 6:120); e ancora le commistioni rilevabili tra gli Herero
(EdR 3:733) e nelle Nuove Ebridi (EdR 4:1149). Anche una rasse-
gna così rapida mostra la complessità delle possibili articolazio-
ni e combinazioni, nessuna delle quali comunque presenta reali
analogie con il nostro caso; a parte l'enorme distanza temporale
e geografica, appare evidente che in ognuna di queste società la
situazione osservata è il prodotto di una specifica dinamica loca-
le, assai difficilmente rapportabile al modello ebraico. Il dato
utile che invece si ricava da questi esempi è proprio la possibili-
tà reale di diverse combinazioni, che si inseriscono organicamen-
te e coerentemente nella specifica struttura, in rapporto alle con-
dizioni storico sociali che le hanno determinate. Bisognerà per-
tanto, nell'esame del dato ebraico, identificare la natura della
specificità osservata in rapporto alle condizioni in cui si verifica.
4.3. I dati etnologici sono comunque oggetto di una analisi
interpretativa che tenta di coglierne gli elementi comuni essen-
ziali di una vicenda storica evolutiva, al fine di spiegarne le mo-
dalità di articolazione e sviluppo. La costruzione interpretativa
di Bachofen è crollata per le sue pretese di universalità e di rigi-
da successione, ma questo non significa che non si debbano indi-
viduare dei modelli di evoluzione storica validi per determinate
culture. Uno schema interpretativo generale che prevale nella
Il padre assente 153

critica recente stabilisce uno stretto ra


trice, dove è la donna a praticare ques
e l'organizzazione sociale e parentale c
verrebbero i collettivi femminili di lavor
fine la matrilineari tà. Successive trasformazioni di natura stori-
ca dettero luogo a forme miste di vario tipo, e persino alla patri-
linearità, con persistenza di residui vari, essendo la società ma-
trilineare molto flessibile 28 .
Volendo trasportare questi concetti all'ambito ebraico lo spa-
zio per un confronto si riduce notevolmente. La società biblica è
economicamente mista, basata sostanzialmente sulla pastorizia e
sull'agricoltura, quest'ultima presente anche nelle narrazioni sul
primo insediamento patriarcale (agricoltura per semi, in Gen.
26:12); i riferimenti all'orto e all'orticoltura sono invece molto
rari e stranamente accompagnati da carica mitica e simbolica 29 .
In effetti se è vero che le strutture matriarcali debbano ricolle-
garsi all'orticoltura, la prevalenza del modello patriarcale nel-
l'antica società ebraica corrisponde appunto all'assenza, anche
come traccia remota, di questa attività economica.
Ancora oggi la critica, per quanto liberata dai condiziona-
menti universalistici bachofeniani, ha una concezione evolutiva
della formazione delle strutture sociali, e interpreta la presenza
di istituti di dominio femminile in società organizzate in forme
miste come sopravvivenza di residui. La regola ebraica sulla tra-
smissione matrilineare della nazionalità è anch'essa un residuo?
La risposta è problematica tenendo presenti due constatazioni:
1. Non c'è alcuna traccia anche remota di attività economiche
(come l'orticoltura e i collettivi femminili) legate alla matrilinea-
rità. 2. Se l'istituto deve essere un residuo, sarebbe logico che se
ne parlasse dai momenti più antichi della storia; abbiamo ben
visto nell'introduzione come invece ogni traccia in questo senso
sia dubbia. M'a se invece di considerare l'unione con stranieri
pensiamo a quella con gli schiavi, il principio matrilineare appa-
re meno incerto e più antico (cfr. più avanti al cap. 6). È attra-
verso questa linea che si potrà introdurre un chiarimento sulla
portata e il significato del concetto di «residuo».
4.4. Il confronto con l'ambito etnologico chiarisce anche alcu-
ne differenze che è bene tener presente nell'analisi. Le spiegazio-
ni degli studiosi che legano i vari istituti alla struttura sociale ed
economica sono talora affiancate da sistemi interpretativi elabo-
rati dalle stesse culture che li praticano. Un esempio notevole è
quello del sistema matrilineare delle isole melanesiane delle Tro-
154 Riccardo Di Segni

briand, noto per gli studi di Malinowski


paterno è associato ad una precisa interp
mento: il ruolo del maschio è solo quello
ca della vagina, mentre la donna concepis
gli spiriti (EdR 4:920-1, 1132, 5:25). In p
corrispondenza tra un annullamento miti
biologico paterno e la sua funzione giuri
tendersi, anche questa equivalenza non c
che riconosce il ruolo biologico di entram
racconti delle origini 30. Una spiegazione
zionale ebraica non sarà pertanto da cerca
ed interpretazioni biologiche.

5. I DATI DELL'ANTICHITÀ CLASSICA: PREMES

5.1. L'esame dei dati dell'antichità classica fornisce alla di-


scussione ulteriori elementi preziosi. Gli ambiti da considerare
sono diversi e numerosi, dalle legislazioni del Vicino Oriente An-
tico ai sistemi dei popoli del bacino mediterraneo, per i più anti-
chi dei quali abbiamo notizie solo frammentarie.
Questi dati si prestano al confronto in due diverse prospetti-
ve, nella globalità di ogni sistema e nell'esame di leggi particola-
ri. La prima prospettiva è utile come chiarimento preliminare;
seguirà un esame più specifico secondo temi.
5.2. Un esempio di antica società matriarcale sarebbe stato
l'Egitto, ma la critica ha ridimensionato le prime semplicistiche
deduzioni, mostrando che un presunto potere della donna egizia-
na, attribuitole dagli scrittori greci, era soltanto un sistema di
garanzie nel diritto matrimoniale; nulla quindi che si presti ad
un confronto con la nostra problematica 31 . Invece dai dati bibli-
ci sembrerebbe che gli egiziani proprio sul problema dell'unione
tra diversi popoli ragionassero in termini di patrilinearità: ordi-
nando la strage degli ebrei il Faraone chiedeva l'eliminazione dei
soli maschi; e già il midràsh rileva questa opposizione di conce-
zioni 32 .
5.3. Tra i sistemi più antichi che si prestano per un confronto
globale l'attenzione cade inevitabilmente su una situazione or-
mai famosa per l'uso che ne fece Bachofen e per le conclusioni
che ne trasse. Sono le testimonianze sui Liei, un popolo dell'Asia
Minore, di cui danno brevi notizie Erodoto, Ninfide, Eraclide
Pontico e Nicola Damasceno. Il quadro reale che deriva da que-
Il padre assente 155

ste testimonianze, sottoposte ad ampi


e archeologica dopo Bachofen non è q
«matriarcato», ma di «una combinazione tra matrilinearità, ma-
trilocalità ed ereditarietà femminile» 33 . Il rilievo della analogia
tra i Lici e l'ebraismo fu già fatto da Aptowitzer (I p. 215), sem-
pre nel senso di un'interpretazione dell'istituto ebraico come re-
siduo matriarcale. È un rilievo importante, anche perché rispetto
ai contesti etnologici i Lici rappresentano una situazione sia geo-
graficamente che storicamente molto più vicina a quella dell'an-
tico mondo ebraico. Confrontando però più attentamente i dati
la vera analogia si pone solo per una parte della notizia di Ero-
doto (dal primo libro delle Storìe § 173), quella che si riferisce al
diritto di cittadinanza:

Se una donna libera si unisce con un uomo schiavo, i figli sono considerati libe-
ri, mentre se un uomo libero, fosse anche il primo della città, sposa una straniera o
una concubina, i figli sono privati dei diritti di cittadino.

Gli istituti dei Liei non corrispondono invece a quelli ebraici


per quanto riguarda la matrilinearità familiare e l'eredità fem-
minile. Il sistema licio è globale o organico nel rapporto dei figli
con le madri, laddove nel sistema ebraico questo rapporto com-
pare solo in casi particolari. Dunque l'analogia si ferma a metà
strada, e una conclusione affrettata in termini evolutivi non è
più sufficiente a spiegare la differenza. Bisognerà comprendere
proprio il motivo della presenza di un sistema misto. In ogni ca-
so rileviamo per il momento due dati importanti: 1. la presenza
in un contesto vicino a quello ebraico di una normativa ad esso
analoga, risalente almeno al quinto secolo, per cui quella ebraica
non deve essere, per una sua presunta originalità, datata a un'e-
poca tarda, né tantomeno considerata come un influenza del di-
ritto romano; 2. l'accostamento nella regola licia delle condizio-
ni di schiavo e di straniero, che comparirà esplicitamente nella
regola ebraica tarda (cfr. n. 1), mostra la necessità in un appro-
fondimento interpretativo di questo rapporto, a differenza di
quanto è stato fatto negli studi recenti che sembrano ignorarlo.

6. LA SCHIAVITÙ

6.1. Il problema della schiavitù è quindi essenziale e prelimi-


nare nel chiarimento della questione; il dibattito recente, condi-
zionato dalla problematica del momento, si è concentrato sulla
156 Riccardo Di Segni

nazionalità e ha praticamente ignorato la


attuale, o forse per una rimozione, più o
dato imbarazzante; ciò non toglie che dal
si tratti di una grave omissione.
Il concetto della trasmissione matrilineare della condizione di
schiavo 34 è presente nella Bibbia, con molta più evidenza della
regola sulla cittadinanza, sulla cui esistenza, come si è visto, le
prove sono incerte. Vi sono teoricamente tre possibilità: unioni
tra schiavi, tra un uomo libero e una schiava e tra una donna
libera e uno schiavo. Il primo caso è contemplato in Esodo 21:4
dove, a proposito di una coppia di schiavi è detto che «la donna
e i figli di lei saranno del padrone di lei»; cioè i figli seguono la
condizione della madre e la liberazione del padre non li coinvol-
ge. Secondo il Talmùd ( Qiddushin 67b) lo stesso verso regola an-
che la seconda possibilità, quella dell'unione di liberi con schia-
ve; tale eventualità non è però esplicitamente considerata nel
verso; essa compare invece direttamente nelle storie dell'unione
di Patriarchi con schiave o concubine, comunque in uno status
inferiore a quello di donna libera. I figli di queste unioni risento-
no negativamente dello status materno e possono ricevere quindi
un trattamento diverso e inferiore rispetto ai fratelli che sono fi-
gli della moglie regolare. Questa situazione si verifica con le
unioni di Abramo con Hagar e con altre concubine, e di Giacob-
be con Bilhà e Zilpà 35 . La terza eventualità, l'unione di una libe-
ra con uno schiavo, è descritta in un caso del libro delle Crona-
che (Jarchá l'egiziano, I 2:34-35); la discendenza viene integrata
nella famiglia ebraica; ma è difficile dire se il caso singolo ri-
specchi una regola vigente 36 .
6.2. Queste norme bibliche sugli schiavi non si presentano co-
me un caso isolato, ma hanno frequenti riscontri nei sistemi legi-
slativi dell'area circostante. Della corrispondenza con i Lici si è
già detto prima (§ 5:3). Le analogie con le leggi del Vicino Orien-
te sono importanti e già note alla critica. In queste leggi l'impo-
stazione dei problemi e la casistica non sono certo del tutto so-
vrapponibili al modello ebraico: ad esempio nel codice di Ham-
murabi vi sono differenze nelle condizioni per l'affrancamento e
nello status sospeso del figlio della schiava e del libero; alcune
situazioni, come l'unione di schiavi con donne libere (talora an-
che sotto forma di matrimonio), sono molto più frequenti che
nella Bibbia; ma il quadro complessivo che emerge dall'esame di
queste leggi è quello della ammissione di un fondamentale lega-
Il padre assente 157

me matrilineare che determina la condi


se unioni possibili tra liberi e schiavi 37 .
Anche in un'area geografica più perif
dei riscontri di queste concezioni, ma vi s
ve differenti. Le legislazioni greche non o
e talora è anche difficile ricostruirle; non vi è dubbio che nelle
unioni tra schiavi il nato fosse schiavo; nelle unioni miste è proba-
bile che prevalesse il concetto matrilineare, e che in taluni casi vi
fosse persino un'opinione liberale, tendente a concedere lo stato
del genitore più privilegiato. A Delfi lo status di schiavo derivava
dalla madre, e il ruolo della maternità era riconosciuto, ma non
sempre ciò implicava che i bambini nati durante il servizio della
madre non fossero liberi. A Gortina le leggi considerano soltanto
l'unione di una libera con uno schiavo (e non il contrario) e deter-
minano la sorte della prole in base alla sede della famiglia: se lo
schiavo va dalla donna, il figlio è libero, e viceversa 38 .
Altre fonti sul problema sono rappresentate da alcune narra-
zioni greche di diversa ambientazione, collegate dal tema comu-
ne del rapporto di donne libere con schiavi o stranieri; in alcuni
casi, come per gli Sciti, sembra che la prole segua la condizione
paterna 39 .
6.3. Quali sono i motivi di queste regole? È un problema
complicato, perché di molte culture spesso abbiamo solo notizie
frammentarie e non è certo detto che l'analogia formale sia an-
che sostanziale. Non sappiamo tra l'altro quale era esattamente
in ogni ambito il concetto di schiavitù; se soltanto si pensa che
nello stesso ebraismo vi erano due diversi sistemi di schiavitù
(dell'ebreo e dello straniero) non si può escludere che situazioni
analoghe si verificassero altrove, e quindi è difficile allargare il
significato di dati isolati.
È comunque possibile, con queste riserve, stabilire qualche
principio importante. Nell'ambito delle antiche legislazioni una
prima distinzione da fare è tra il modello della Licia, da una
parte, e quello ebraico e delle altre culture del Vicino Oriente
dall'altra. Nel primo caso si osserva come il principio della ma-
trilinearità è costante e coesiste con altri istituti di prevalenza
femminile. In questo ambito dire che il figlio di una straniera o
di una schiava segue la madre è l'applicazione coerente di un
principio generale, le cui origini storiche e sociali appaiono net-
tamente distinte. Non è così nelle altre culture considerate, dove
la matrilineari tà della schiavitù sembra una «eccezione» rispetto
a una situazione di prevalenza paterna. I motivi di questa «ecce-
158 Riccardo Di Segni

zione» cominciano a chiarirsi esaminando i termini in cui sono


formulate alcune leggi. L'articolo 175 delle leggi di Hammurabi
(ANET p. 174) dice:
Se uno schiavo di palazzo o lo schiavo di un privato cittadino ha sposato la figlia
di un libero cittadino e lei ha avuto figli, il padrone dello schiavo non può rivendicare
un diritto di servizio nei confronti dei figli della figlia del libero cittadino.

Si può immaginare la logica che presiede a questa norma, che


sembra il risultato di una convergenza di elementi biologici ed
economici. Dal punto di vista biologico nell'atto procreativo il
ruolo dell'uomo è molto meno impegnativo di quello della don-
na. L'uomo feconda la donna in pochi minuti e mantiene un po-
tere riproduttivo quasi illimitato. La donna al contrario deve
condurre una gravidanza, partorire (con tutti i rischi di mortali-
tà presenti nell'antichità) e allattare, concentrandosi su questa
attività per mesi. Le conseguenze economiche di questa disparità
diventano enormi nel caso di schiavi, che sono considerati pro-
prietà del padrone, e che questi tiene con sé perché lavorino e
producano. Se l'uomo è schiavo, in linea di massima al padrone
può importare relativamente che fecondi qualcun 'altro. Ben di-
verso è il caso se la schiava è la donna, spesso acquistata proprio
in funzione di produttrice di schiavi. È assurdo che sottragga
tempo e prodotti al suo padrone, e che persino rischi di morire,
quale che sia il genitore biologico. Per questo il figlio della schia-
va non può che essere schiavo. Se invece la donna è libera, il
padrone dello schiavo che l'ha fecondata non potrà rivendicare
un diritto di proprietà dovuta a una sottrazione di lavoro. In una
prospettiva lievemente differente, si tratta del conflitto per la
proprietà di un bene prodotto con uno «strumento» che appartie-
ne ad altri, come se fosse un albero, un animale o una macchina.
Si tratta in sostanza di un conflitto di interessi economici la
cui regolamentazione varia a seconda delle mutate condizioni,
ma che in generale privilegia il ruolo della donna nella procrea-
zione, in quanto molto più impegnativo dell'uomo nei termini di
forza-lavoro.
6.4. Un caso particolare richiede ulteriori chiarimenti. Da
quanto si è detto finora è chiaro che un uomo libero non può
imporre la sua paternità sul figlio avuto dalla schiava di un altro
padrone, perché usa uno «strumento» che non è suo. Ma se è la
sua schiava? Non è sua proprietà? Perché allora i figli di lei non
dovrebbero anche essere di lui e condividere il suo status? Per-
ché il diritto del cittadino libero non prevale sulla condizione
Il padre assente 159

della sua schiava? Anche in questo caso


mica e un conflitto di interessi. La situ
chiaramente dalla formulazione delle
(Lipith Ishtar 25-25, ANET p. 160, Ham
ANET pp. 172-3) e dal racconto biblico
problema tra il cittadino e la sua schia
la moglie legittima e figli di lei da un
suoi figli dall'altra. Il conflitto riguard
glia della schiava, che vuole elevare il
della schiava, che i fratellastri liberi p
si pongono come rivali e coeredi nella
È interesse della moglie legittima e dei
questi rischi; dalla loro parte proviene
tuità della trasmissione della schiavitù. Qui la matrilinearità non
deriva dalla esigenza di «difesa di interessi femminili» né è un
prodotto della società poligamica; perché non è una lotta tra mo-
gli di pari condizione, ma tra liberi e schiavi. D'altra parte, la
schiava potrebbe anche essere affrancata dal padrone; se il pa-
drone non lo fa, è segno che la considera ancora una proprietà,
un oggetto, uno strumento. Trattandosi comunque di una situa-
zione complessa, l'evoluzione legislativa è diversa nei vari ambiti
nazionali, tutti però regolati dal principio che la schiava e i suoi
figli sono in partenza schiavi, salvo successivi affrancamenti o
adozioni.
6.5. Verificata la corrispondenza a un sistema diffuso, ne ri-
sulterebbe che anche per l'ebraismo il figlio della schiava segue
la madre, quale che sia il padre, perché la madre è come un og-
getto, è proprietà e forza-lavoro del padrone; e il figlio della don-
na libera segue la condizione di lei, perché l'investimento pro-
duttivo fatto con una gravidanza in una famiglia libera prevale
sulle rivendicazioni del padrone dello schiavo. Quindi la matrili-
nearità non c'entra affatto e non c'è contraddizione con il siste-
ma patrilineare prevalente. Semplicemente vi è un difetto di pa-
ternità. Il servo non può essere padre legale, perché la paternità
è attributo dell'uomo libero. Nel caso dell'uomo libero che si
unisce con la sua schiava - un'eventualità che ha dei margini di
indecisione (cfr. il precedente §) - la norma biblica oscilla dalla
vittoria della moglie legittima (Sara contro Hagar) a una soluzio-
ne di compromesso con le mogli di Giacobbe e le due loro serve,
che però non sappiamo fino a qual punto sono schiave-concubi-
ne-mogli.
160 Riccardo Di Segni

7. l'analogia tra schiavi e stranieri

7.1. La regola sulla trasmissione della condizione servile,


chiarisce, con tutte le possibili varianti che i diversi ambiti pre-
sentano, alcuni aspetti essenziali del problema. La presunta ma-
trilinearità che si determina è in realtà una assenza di paternità
che deriva dal concetto di schiavo come proprietà e oggetto.
La regola ebraica per le unioni miste con gli schiavi (di accer-
tata antichità, come si è visto) vale anche per gli stranieri, anche
se forse quest'ultimo caso è un'estensione più recente. Un acco-
stamento, una relazione tra i due ambiti ci deve pur essere. Ma
10 straniero non è un «oggetto» o una proprietà con un ruolo eco-
nomico specifico. Se un rapporto c'è tra schiavo e straniero, deve
essere cercato in altre direzioni. Anche in questo caso vengono in
aiuto elementi esterni di comparazione.
L'analogia tra schiavo e straniero non è certamente una situa-
zione esclusiva del mondo ebraico. L'abbiamo vista nella legisla-
zione licia riferita da Erodoto (§ 5:3). Nelle leggi Hittite che re-
golano l'incesto (194 e 200 in ANET pp. 196-197, cfr. più avanti
al § 12.1) stranieri e schiavi sono sullo stesso piano, configuran-
do situazioni in cui non valgono i rigori previsti per i normali
cittadini.
Nel pensiero greco, che trova espressione nelle organizzazioni
politiche e nelle rappresentazioni mitiche, schiavi e stranieri,
benché regolati diversamente, si trovano spesso uniti in quanto
entrambi posti all'esterno del corpo sociale della polis, costituen-
do «die Welt des Draussens», il mondo che non è quello dei citta-
dini, della società organizzata 40 .
Passando in campo ebraico il concetto non è affatto speculare.
Ma inevitabilmente si pongono delle analogie, non fosse altro per
11 fatto che lo schiavo di cui si parla è appunto uno straniero. Per
cui le due categorie hanno rispetto al mondo di liberi ebrei l'ele-
mento comune della differente origine etnica. Vi sono però due
differenze essenziali. Gli stranieri sono liberi, e pertanto tra di
loro trasmettono la paternità, anche tra popoli differenti, mentre
gli schiavi, in quanto tali, non hanno rapporti di parentela; ma
gli stranieri sono più lontani dagli ebrei rispetto agli schiavi, che
sono circoncisi, potenzialmente dei naturalizzati, e sottoposti al-
meno parzialmente all'osservanza delle leggi ebraiche, il che
comporta anche il godimento di alcuni diritti 41 .
7.2. Come si è visto sopra (al cap. 2), tra i critici sono nume-
rose le opinioni sul momento in cui nella storia ebraica sarebbe
Il padre assente 161

stata introdotta la regola della matril


che miste. Dai risultati che sono finor
stare il problema in un modo sensibilm
te ce un dato storico, che emerge dallo
matrilinearità in questo caso è un istitu
l'altra vi è una serie di dati biblici sulla trasmissione della nazio-
nalità che sono problematici e contraddittori. È possibile risolve-
re la contraddizione affermando la costanza e la continuità di un
pńncipio, e la sua variabilità di applicazione in rapporto ad una
condizione precisa. Il pńncipio costante fin dalle origini è quello
della trasmissione alla prole della condizione di entrambi i geni-
tori, con prevalenza di quella paterna quando l'unione è legitti-
ma. Se l'unione è illegittima, se gli ambiti sono incompatibili, il
padre è annullato. La condizione che accompagna questa regola è
dunque quella della compatibilità di sistemi. Tra liberi e schiavi,
fin dalle origini, non vi è stata compatibilità. Ma tra ebrei e non
ebrei in diversi momenti della storia può esservi stata compati-
bilità. Cioè un'unione mista, benché moralmente deprecabile,
può essere stata giuridicamente legittima, e quindi i figli riferiti
al padre. Quando Sansone (Giud. 14) vuole sposare una filistea, i
genitori di lui gli chiedono se non è meglio prima cercarsi una
moglie della propria tribù o del proprio popolo, ma alla fine non
si oppongono al matrimonio. In questo modo possono essere in-
quadrate e rilette tutte le situazioni bibliche apparentemente
contraddittorie. La domanda che va posta ora non è più quella
dell'epoca in cui è nata la matrilinearità, ma quella in cui è stata
sancita l'incomunicabilità tra ebrei e non ebrei.
E una domanda che si pone anche in una prospettiva rigoro-
samente ortodossa, quando si discutono le origini del divieto di
sposare al di fuori dell'ebraismo. Un concetto che oggi sembra
ovvio e basilare nell'ebraismo, non lo era altrettanto in tempi
talmudici, nel senso dell'incertezza della fonte scritturale; il di-
vieto di esogamia in Deut. 7:1-3 è suscettibile di diverse letture,
e deve essere sostenuto da altri brani come Deut. 21:13, 23:4-9,
Num. 25:1-9, Neh. 10:31, Mal. 2:11-12. Diverse interpretazioni di-
stinguono tra i sette popoli cananei e gli altri popoli della terra;
tra l'unione di un'ebreo con una straniera e quella di un'ebrea
con uno straniero (considerata più grave, e già punibile dal «tri-
bunale di Sem», in base al quale si procede in Gen. 38:24); tra
divieti biblici e rabbinici. Così i momenti critici della storia
ebraica in cui queste norme possono essersi progressivamente
consolidate vanno dal periodo patriarcale («tribunale di Sem»),
162 Riccardo Di Segni

al momento della promulgazione del dec


al ritorno dalla cattività babilonese (Ezra, Nehemia, Malakhi),
alla rivolta antiellenistica dei Maccabei (si citano i decreti del
«tribunale degli Asmonei») 42 .
Non si intende in questo lavoro dare una risposta alla doman-
da del «quando», una volta stabilito che si tratta di una condi-
zione accessoria rispetto a un principio preesistente. Dal punto
di vista tradizionale, ovviamente, si tende a retrodatare quanto
possibile le proibizioni fondamentali. La critica dal canto suo ha
già discusso a lungo (cfr. sopra n. 25), seppure in una prospettiva
lievemente differente, l'evoluzione delle leggi esogamiche ebrai-
che. In una prospettiva comparativa giova accennare al fatto che
una presumibile evoluzione ebraica nel senso del rigore e della
chiusura nuziale all'esterno ha dei paralleli notevoli. Ad esempio,
nel diritto attico: nei momenti storici più antichi, nel periodo
eroico i matrimoni tra stranieri erano abbastanza comuni e i fi-
gli delle unioni godevano, entro certi limiti, dei diritti di cittadi-
nanza. Ma ad Atene, nel 451/450 (si noti la contemporaneità con
l'epoca di Ezra e Nehemia) una legge proposta da Pericle stabilì
che solo colui che era figlio di entrambi genitori cittadini doves-
se avere diritti civili. La legge per un certo periodo non fu appli-
cata, fu quindi rinnovata con una sanatoria per i figli misti nati
nel periodo intermedio; nel 340 circa fu ulteriormente inasprita
con la previsione di pene pecuniarie (per l'Ateniese inadempien-
te) e riduzione in schiavitù (per lo straniero convivente) 43 .
Si è già accennato (§ 3:1) al fatto che l'operazione di Ezra non
è interpretata univocamente dalla critica; se fu un'espulsione di
donne giudaizzanti, come alcuni sostengono, l'episodio non diffe-
risce dalla politica restrittiva di Pericle, per quanto ideologica-
mente abbia motivazioni in parte differenti.

8. l'acquisto della sposa

8.1. Gli accostamenti e le interpretazioni proposte devono es-


sere riesaminati in una prospettiva più ampia. Il matrimonio
ebraico ripropone sotto diversi aspetti il modello giuridico del-
l'« acquisto della sposa», diffuso nell'antichità.
Il concetto di «acquisto della sposa» ha una sua storia inter-
pretativa, nel corso della quale si è arrivati a riconoscere «che
non si trattava di un negozio avente per oggetto la donna, bensì
all'equivalente pagato per la perdita di quella forza lavoro (della
Il padre assente 163

donna e dei suoi figli) che dopo il mat


vantaggio del lignaggio del marito». «
con l'acquisto la progenie della donna
rito, ed è una perdita che va pertanto rim
8.2. Questi concetti possono essere u
strutture ebraiche, che tuttavia non
semplici schematizzazioni. Il concetto di acquisto della sposa
viene espresso esplicitamente: nella Bibbia l'uomo «prende»
(Iqch) o «porta» ( ns ) una donna; nel linguaggio rabbinico, anco-
ra più chiaramente, «l'uomo sposa ( meqaddesh )» (Mishna Qiddus-
hin 2:1) e «la donna viene acquistata» (ibid. 1:1). Senza eccezio-
ni, nella Bibbia il contratto matrimoniale comporta un ruolo
maschile attivo e un ruolo femminile passivo. È l'uomo che pren-
de una donna per suo figlio e dà sua figlia ad un altro 45 . La don-
na esce dalla sua casa ed entra nella casa del marito, dove dovrà
perpetuare il nome della famiglia che l'ha accolta. L'istituto bi-
blico del levirato prescrive che in caso di morte del marito, sen-
za figli, il fratello del morto sposi la vedova onde mantenere il
nome del morto (Gen. 38, Deut. 25:5-10). La regola del levirato
vale per i fratelli figli dello stesso padre, e non si applica se sono
fratelli solo da parte materna: infatti in questo caso appartengo-
no a famiglie ( batè av, letteralmente: case paterne) differenti, e
non avrebbe senso perpetuare una denominazione diversa: tutto
è quindi inserito in una struttura patrilinare che impiega la don-
na come strumento di trasmissione.
Vi è dunque una conferma anche in campo ebraico della coin-
cidenza del concetto di acquisto della sposa con il suo ruolo di
produttrice di prole per la famiglia del marito. I dati però non
coincidono bene quando si cerca di riferire rigidamente l'istituto
dell'acquisto ad una determinata organizzazione sociale. Ma ciò
può dipendere dalla lunga storia evolutiva dell'istituto matrimo-
niale e della proprietà familiare nell'ebraismo 46 . In ogni caso an-
cora oggi le forme rituali del matrimonio ribadiscono il concetto
dell'acquisto, anche se si tratta essenzialmente di atti simbolici
(come la consegna dell'anello).
8.3. L'unione matrimoniale diventa almeno in questa prospet-
tiva una forma di controllo e di possesso della fecondità femmi-
nile, per l'acquisizione alla propria famiglia della prole futura 47 .
La parentela, nel senso dell'appartenenza ad una famiglia, è un
attributo che il padre trasmette alla prole cancellando pratica-
mente la famiglia materna. Così si spiegano meglio i dati finora
messi in evidenza. Le nozze (< qiddushin ) sotto l'atto formale
164 Riccardo Di Segni

possesso che sanzionano il ruolo dell'uom


della donna e «trasmettitore» del nome.
impossibili, l'acquisto non si verifica e la t
ta. Il figlio segue la madre. In un sistem
zione bilaterale ma è essenzialmente patr
derivazione materna della nazionalità e della condizione di libe-
ro è il risultato di una dichiarazione di incompatibilità.
8.4. Per la schiavitù tutti questi concetti, come si è visto, sono
suscettibili di una interpretazione economica. Riprendendo l'a-
nalisi, si vede come l'esclusione dello schiavo dalla paternità è
coerente con un sistema patrilineare e patrilocale che difende in-
teressi e prerogative dei cittadini liberi e tende a perpetuare la
condizione sottomessa degli schiavi. Se un uomo libero potesse
avere figli liberi da una schiava, il padrone della schiava perde-
rebbe il lavoro della schiava; se la schiava è sua, entrerebbe in
conflitto con la moglie legittima e con i figli avuti da quest'ulti-
ma; d'altra parte annullando la paternità dello schiavo nel rap-
porto con una donna libera, la donna (e i genitori di lei) si tute-
lano nel mantenimento della loro condizione, mentre sfruttano il
potenziale generativo dello schiavo.
Quando si tenta di trasferire questo tipo di analisi nel rappor-
to con gli stranieri, emergono delle difficoltà. Si consideri intan-
to che lo «straniero» nel caso biblico non è necessariamente un
solitario spodestato, ma può essere un indigeno radicato con la
sua famiglia nella stessa terra abitata dagli ebrei, e che è stranie-
ro nel senso che appartiene ad un popolo differente. Se si consen-
te a questo straniero di sposare una donna ebrea, costei si allon-
tana dalla sua casa, verso un mondo differente; dichiarando la
legittimità dell'unione, i figli di lei non sono più parte dell'ebrai-
smo. In questa prospettiva la norma matrilineare comporta una
difesa e un recupero alla comunità ebraica del potenziale di fe-
condità femminile. L'eventualità che una donna ebrea possa ere-
ditare, in assenza dei fratelli, i beni del padre, rappresenta un'ul-
teriore freno all'esogamia che comporterebbe una perdita di beni
per la nazione: in Num. 36 (già discusso al § 3.2) l'ereditarietà
femminile impone un vincolo matrimoniale ancora più stretto,
all'interno della tribù.
Quali sono ora le situazioni che si prospettano nell'eventuali-
tà opposta, quella dell'unione di un ebreo con una straniera? Se
si consente questo tipo di unione, vi è per le donne ebree, in una
prospettiva collettiva, una diminuzione di possibili pretendenti,
e questo le espone ai rischi del caso precedente. Un secondo dato
Il padre assente 165

è questo: in un sistema poligamico la


tra moglie fa parte del gioco; ma talo
rappresentare una concorrente pericol
dono della prima moglie (cfr. Mal. 2:1
che lo precedono); la proibizione del r
glie e ai suoi figli gli strumenti giurid
abusi. Vi è infine un dato culturale, pe
pagna all'ingresso in casa di una cultur
nea, che si ripercuote nella perdita dei
razione successiva (cfr. Neh. 13:24, cit.
Come si vede tra le due eventualità l'orizzonte dei rischi è
piuttosto diverso, allargandosi, nel secondo caso, con degli ele-
menti a carattere più collettivo che singolo, e di natura culturale
e religiosa. L'immediatezza del rischio nella prima eventualità -
la donna esce da casa - può spiegare perché questa sia conside-
rata più severamente nella successiva legislazione rabbinica48.
Ma il quadro presenta ancora dei punti poco chiari e delle appa-
renti incoerenze. La costanza del principio matrilineare consente
infatti il recupero alla comunità ebraica dei figli delle donne
ebree, ma quando la donna è straniera, il principio comporta in-
vece la perdita generazionale. Una ebrea che entra in una casa
estranea continua a far figli ebrei, mentre una straniera in una
casa di ebrei produce degli stranieri. Vi è un elemento punitivo
per l'uomo, che si traduce in una interruzione della sua linea ge-
nealogica. La spiegazione economica, che andava bene per gli
schiavi, qua non è più esauriente. In alcuni casi può essere che in
senso economico giochi la pressione dei figli «legittimi» contro
quelli «illegittimi» (come nel già citato Giud. 11, quale che sia il
motivo dell'esclusione). Può essere anche che l'atteggiamento pu-
nitivo nei riguardi dell'uomo sia determinato da considerazioni
culturali e religiose, in quanto non ha assunto le responsabilità
che gli competevano. Ma bisogna verificare se a giustificazione
della costanza della matrilinearità non vi sia anche o piuttosto
l'ammissione implicita di un principio preesistente, di un legame
privilegiato madre-figlio. Per chiarire questo punto bisognerà ora
trasferire l'analisi su ambiti differenti.

9. LA PROIBIZIONE DELL'INCESTO

9.1. La proibizione dell'incesto è strettamente collegata alla


nostra discussione per diversi motivi. La proibizione è legata ai
166 Riccardo Di Segni

rapporti di ogni individuo con i suoi par


per il singolo il limite delle possibilità m
le potere esercitare le proprie scelte. Gl
discutendo (rapporti con schiavi e stran
ta la collettività i limiti entro i quali un
Dal privato al pubblico, e dall'interno
mi definiscono insieme l'area matrimoniale consentita. L'esame
della proibizione dell'incesto chiarisce inoltre le scale di valori e
i reciproci rapporti di importanza tra i vari ambiti, fornendo dei
dati essenziali nella prosecuzione dell'analisi.
9.2. Dall'esame delle diverse proibizioni emerge come costan-
te la preminenza del rapporto materno; questo sia nella formula-
zione definitiva che nella evoluzione storica delle norme. Queste
sono formulate nella Bibbia in Levi tico 18:6-18 e in parte ripetu-
te al capitolo 20 (vv. 11-12, 14, 17, 19-21) e in Deut. 27:22-23.
L'insieme di questi brani stabilisce un sistema preciso di proibi-
zioni e di sanzioni. Ognuno dei divieti contemplati è punito con
la pena divina del karet (recisione); alcuni sono anche punibili
dal tribunale umano con la condanna a morte, per lapidazione o
bruciamento. Un'altra distinzione importante da riconoscere è
tra le proibizioni che derivano da un rapporto diretto di parente-
la ( mechamat qurvah) e altre che sono conseguenza di un'unione
coniugale ( mechamat ishut). La classificazione dei divieti è espo-
sta alla tavola I, nella prima colonna.
9.3. Il quadro piuttosto solido e definito che emerge dai brani
biblici citati si scontra con altri passi biblici da cui sembra pos-
sibile cogliere le tracce di un lungo processo evolutivo. Si tratta
in particolare di: Genesi 20:12, dove Abramo dichiara che sua
moglie Sara è anche sua sorella, ma solo da parte paterna; ibid.
19:30-37 sull'unione delle figlie di Lot con il padre, episodio non
condannato dai commenti tradizionali; Genesi 29, in cui Giacob-
be sposa due sorelle; Esodo 2:1 e 6:20, e Num. 26:59, dove Am-
ram, padre di Mose sposa Jokheved sua zia, figlia di Levi; 2
Sam. 13:13 dove Tamar dice ad Amnon suo fratello che non vi
saranno impedimenti al loro matrimonio; Ezechiele 22:11 dove
compare una lista parziale di divieti che privilegia la parentela
patrilineare. Sul significato di questi passi vi è un'ampia discus-
sione, sia nella esegesi tradizionale che nella critica recente. In
alcuni commenti tradizionali vi è la tendenza a smussare le con-
traddizioni, spiegando che spesso nella Bibbia «figlio» può indi-
care anche il figlio del figlio, e «fratello» anche una parentela ac-
quisita; non sono interpretazioni strettamente letterali, ma nep-
Il padre assente 1 67

pure azzardate filologicamente; così Sa


sorella di Abramo, ma la figlia di un f
cugina e non la zia di Amram; Tamar
rella di di Amnon ecc. Ma anche nella e
è difficoltà, per altri, a riconoscere l'e
evoluzione della legge, per cui le eccez
bito delle norme pre-Sinaitiche. La cr
in queste analisi, in particolare suppon
le più antico. Una conclusione equilibr
mente una evoluzione, ma i dati a nos
sentono accertamenti probanti sui suoi
ne è riconoscibile anche negli ulteriori
all'esegesi rabbinica, come nella setta d
to di Damasco, 5, righe 6-11), e presso i
Se conclusioni definitive non sono po
rita tuttavia di essere posto in risalto.
terpretazione letterale, il caso di Abra
tra i figli della stessa madre e padre d
che tra figli dello stesso padre e madr
mento tenta di attribuire questa situaz
ebraica, e la cosa trova effettivamente delle conferme, anche se
in contesti relativamente lontani e con qualche dubbio sull'au-
tenticità delle testimonianze 50; ma anche altrove nella Bibbia
troviamo importanti conferme di questo rapporto differenziato e
privilegiato, anche se non nel campo specificamente sessuale51.
Il brano sopra citato di Ezechiele 22 è suscettibile di diverse let-
ture; ma il fatto che il profeta si lamenti solo per il mancato ri-
spetto di certe unioni da parte paterna, non vuol dire necessaria-
mente che esistessero solo quei divieti, ma al contrario può di-
mostrare che altri divieti (in linea femminile) previsti dalla legge
erano molto più sentiti e quindi rispettati. In definitiva, anche in
assenza di certezza, vi è uno spazio ragionevole per affermare
sulla base di diversi indizi l'esistenza di un legame privilegiato
sulla linea materna, che si esprime in rigori sessuali e in testimo-
nianze di affinità particolare.
9.4. Ulteriori conferme vengono dall'esame del sistema di
proibizioni nella sua formulazione biblica definitiva. Sono ben
note le difficoltà interpretative che ogni sistema di divieti di in-
cesto pone 52 , e il caso ebraico non fa certamente eccezione. Un
primo problema è quello della logica interna che regola l'intera
struttura. Teoricamente dovrebbe trattarsi di un meccanismo
chiaro, tale da poter essere trasmesso nel tempo e recepito dalla
168 Riccardo Di Segni

Tavola 1 . I divieti di incesto nei diversi sistemi

incesti proibiti leggi noachidi secondo leggi di


agli ebrei 1

con la pena di Eliezer Aqival Aqiva2 MeirTPHammur Hittiti Roma

Karet
- sorella paterna * pro. pro.
- sorella materna' pro. pro. pro.
- sorella del padre pro. pro.
- sorella della madre pro. pro. pro.
- sorella della moglie pro.
- moglie del fratello pro.
- moglie del fratello del
padre

lapidazione
- madre" pro. pro. pro. pro. pro. pro.
- moglie del padre pro. pro. pro. pro.
- nuora * pro. pro. pro. pro.

bruciamento
- figlia della moglie pro. pro. pro.
- figlia della figlia della
moglie
- figlia del figlio della
moglie
- suocera pro. pro. pro.
- madre della suocera pro.
- madre del suocero pro.
- figlia pro. pro. pro. pro. pro.
- figlia della figlia 'pro.
- figlia del figlio -pro.

non contemplate
come incesti
nell'ebraismo:
- balia pro.
- figlio pro. pro.

pro.: probito.
*: citati in Ezech. 22 (il riferimento alla moglie del padre non è certo).
divieti per i Noachidi codificati in Maimonide, Melakhim 9: 5.
• : divieto probabile
1 Fonti bibliche al §9.2; cfr. Mishnà, Sanhédrin 7:3, 9:1, Keretot 1:1

Eliezer: opinione di rabbi Eliezer. Aqival: opinione di rabbi Aqiva secondo Na-
chmanide. Aqiva2: opinione di rabbi Aqiva secondo RaSHI. MeirTP: opinione di
rabbi Meir, secondo TP Jevamot 11: 2; cfr. nota 79.

Hammurabi: articoli 154, 155, 157, 158, in ANET p. 172. Hittiti: articoli II 189-192,
194-195, in ANET p. 196. Roma, leggi romane da Gai. Inst. I 59. 61-63.
Il padre assente 169

Tavola 2. Schema delle proibizioni ebraiche


Even ha' E zer

K = Karet S = Lapidazione B = Bruciamento R = Divieto rab-


binico C = Divieto rabbinico controverso
= relazione nuziale | figlio A uomo O donna
} linea di divieto ininterrotta
linea di divieto interrotta, secondo Maimonide

collettività. La realtà è piuttosto differente, al punto che tra i co-


dificatori della legge ebraica circola il principio per cui in questi
divieti non c'è logica (sevarà), ma una serie di norme imposte (ge -
zeràt hamaqòm) 53 , il che non consente di dedurre per analogia
un caso dall'altro. Se questo è vero nei dettagli, non si può però
escludere la possibilità di ricostruire, almeno nelle linee essen-
ziali, delle tendenze e delle componenti. Le considerazioni che
seguono sfiorano appena il problema più generale delle spiega-
170 Riccardo Di Segni

zioni dell'incesto - anche se emergono n


limitano al rilievo dei dati importanti p
Il sistema ebraico è esposto nella prim
e nella tavola II, disegnata considerando
Ego maschile (come nella Bibbia e nell
ma anche secondo le attuali consuetudin
prima osservazione che emerge dall'esam
davanti inequivocabilmente ad un sistem
dera il rischio di unioni nella parentela
tavia dietro questa apparenza di bilatera
asimmetrie che richiedono spiegazioni.
9.5. Consideriamo in primo luogo le u
con la morte, mediante lapidazione o bru
za c'è tra i due gruppi, e perché il secon
Può aiutarci a rispondere a queste doma
definizione di incesto proposta da Hériti
del rapporto che unisce due consanguin
rapporto sessuale proibito, ma del rappo
sanguinei dello stesso sesso che condivid
sessuale». Nella lista ebraica delle proibi
alternativa è valida solo per una parte d
(come quello fratello/sorella o zio/nipot
prima definizione; vi sono poi due diviet
/figlio) che soddisfano entrambe le con
mente. La distinzione però è molto utile
zione delle pene di morte in due distinti
stinti dal gruppo della pena del karet. In
danne a morte riguardano coppie di par
(ascendenti e discendenti) che si uniscon
di sesso opposto. Le parentele del gruppo
via collaterale (fratelli). Nell'ambito delle condanne a morte la
distinzione in due gruppi è determinata dal sesso delle coppie di
parenti. Il gruppo della lapidazione riguarda le unioni in cui una
coppia di parenti maschi si unisce alla stessa donna; il gruppo
punito con la morte mediante bruciamento è costituito da coppie
femminili che si uniscono con lo stesso uomo.
Ad esempio, per rendere più chiaro il concetto, il rapporto
con la moglie del padre può essere inteso nel senso di padre e
figlio che si uniscono alla stessa donna, così come il rapporto con
Il padre assente 171

la figlia della moglie è quello di padre


allo stesso uomo:

Padre = Moglie Marito = Madre


i I
Figlio Figlia
Il quadro di insi
tica, esposta nell

Tavola 3. Incesti proib

lapidazione bruciamento

- moglie del padre - figlia della moglie


- figlia della figlia della moglie
- figlia del figlio della moglie
- nuora - suocera

- madre della suocera


- madre del suocero
- madre - figlia
- figlia della figlia
- figlia del figlio

modello comune:

due parenti verticali maschili due parenti verticali femminili con lo


con la stessa donna stesso uomo

Dall'esame della tavola 3 emerge una evidente


vede che per ognuno dei tre prototipi considera
plicazione di casi nel secondo gruppo, in cui i d
no di una generazione. Sono proibiti la nonna
di figli) della moglie, ma in simmetria, nel gr
zioni, non compaiono la moglie del nonno o de
figli). Saranno i Rabbini, percependo l'asimmet
che queste unioni; ma si tratta comunque di un
diva, che si limita a imporre lo scioglimento di
moniale, quando questo sia stato legato; ma è a
lo valido, benché proibito, a differenza del divie
nulla a priori l'unione.
L'asimmetria tra i due gruppi mostra chiaram
me verticale tra madre e figlio/a è più importa
te, più esteso di quello tra padre e figlio/a.
172 Riccardo Di Segni

9.6. Una seconda importante deduzion


dei divieti puniti con il karet, che come
scono a parentele per via collaterale. Il
meno grave di quella prevista per gli a
che la collateralità stabilisce un legame
del rapporto in linea verticale. Nel gru
divieti riconducibili a entrambi gli schem
tier: sia rapporti tra congiunti (sorella,
rapporti di congiunti con lo stesso par
ecc.). Attraverso questi schemi emerge
si vedrà dopo. La asimmetria più importante però nasce da
un'altra prospettiva di lettura. I divieti sono disposti in due linee
orizzontali, passanti la prima nella generazione di Ego e la se-
conda nella generazione precedente. Non vi sono divieti nella ge-
nerazione successiva, nella porzione collaterale discendente. Que-
sto vale per l'uomo, mentre per la donna la situazione si rove-
scia; i divieti che la riguardano attraversano la generazione di lei
e quella successiva. Praticamente ciò significa che l'uomo non
può sposare la zia, ma lo zio può sposare la nipote, anzi quest'u-
nione è persino raccomandata 55 . Anche la spiegazione di questo
dato deve ricondurre ad una scala di valori, ad una classificazio-
ne gerarchizzata di situazioni. Si tratta di divieti sulla linea col-
laterale, meno importanti di quella di filiazione diretta, e presu-
mibilmente in un rapporto di analogia-deduzione da questi. Non
si può fare a meno di pensare che i divieti essenzialmente ripro-
pongano per l'uomo in via ascendente il rapporto figlio/madre, e
in via discendente quello padre/figlia. In questa prospettiva ap-
pare chiaro che, se non c'è una analoga estensione in via collate-
rale, il rapporto padre/figlia rappresenta una situazione meno le-
gante, rigorosa e portatrice di rischio di quella madre/figlio.
9.7. Le due serie di divieti convergono dunque verso una strut-
tura analoga; da un lato la prevalenza del rapporto madre/figlio-a
rispetto a quello padre/figlio-a, dall'altra la prevalenza madre/fi-
glio rispetto al rapporto padre/figlia. È la conferma della persi-
stenza nel modello compiuto dei concetti già presenti nell'evolu-
zione storica delle leggi. Rispetto a questa prevalenza del rapporto
di filiazione moderno vi è però un'eccezione. Tra i divieti puniti
con il karet c'è «la moglie del fratello del padre», che non trova una
simmetrica corrispondenza in un divieto «della moglie del fratello
della madre». Quest'ultima proibizione viene introdotta solo per
norma rabbinica. Il fratello della madre, X avunculus, che in altri
sistemi a prevalenza materna ha la maggiore importanza, viene
Il padre assente 173

qui deliberatamente escluso. È indubbia


lenza del modello maschile; da solo tuttavia non è sufficiente a
contraddire il sistema globale né a invalidare le conclusioni finora
emerse sulla priorità del rapporto madre/figli. Si tratta, con ogni
probabilità, di una delle diverse componenti che concorrono a
creare un complesso quadro d'insieme.

II PARTE - L'EPOCA POSTBIBLICA

10. LE FONTI EBRAICHE SULL'EVOLUZIONE DELLA NORMA

10.1. Per sostenere la tesi della tardiva comparsa del princi-


pio matrilineare nell'ebraismo la critica ha molto sottolineato il
sostanziale silenzio in proposito di tutta la letteratura del Secon-
do Tempio (Apocrifi, Filone, Qumran ecc.). Ma si obietta che il
silenzio non è dimostrativo in nessuno dei due sensi, e che molto
spesso questa letteratura è eterodossa e comunque non farebbe
testo 56 . Un caso a parte in questa discussione è il comportamen-
to dell'apostolo Paolo che circoncide Timoteo, figlio di un'ebrea e
di un greco (Atti 16:1-3): episodio di per sé troppo complicato
perché se ne possano trarre conclusioni decisive.
Quanto all'epoca rabbinica si segnalano alcuni esempi in pos-
sibile contraddizione con il principio sancito nella Mishnà. Un
caso importante sarebbe il riconoscimento di ebraicità conferito
dai Maestri al re Agrippa. Le conclusioni possibili da questo epi-
sodio non sono decisive: sia perché non è certo di quale Agrippa
(I o II) si tratti; nel secondo caso era effettivamente ebreo da par-
te materna; sia perché esistono fonti rabbiniche antiche che di-
chiarano che il gesto dei Maestri non fu conforme alla legge, ma
dovuto ad adulazione e proprio per questo vi fu la punizione del-
'l 'esilio 57 .
Un altro caso è quello narrato nel Talmud Palestinese ( Qid -
dushin 3:12) ove si narra di un tentativo di applicare il principio
patrilineare e dell'opposizione rabbinica che riuscì a bloccarlo. E
verosimile che l'episodio sia un caso limitato e non l'espressione
di una tradizione opposta e convivente, gestito da persone non
molto informate ed esperte delle leggi tradizionali.
10.2. Esaminando la Mishnà (il testo è alla n. 1) che rappre-
senta la fonte essenziale di tutto il discorso, si osserva che il pro-
174 Riccardo Di Segni

blema che essa affronta è la definizione


nenza della prole in base alla condizione
cetto che investe diversi ambiti: dalla a
tribale, alla condizione sacerdotale piena
allo stato di «spurio» ( mamzer ), a quello
trapposto a schiavo) e infine all'apparte
La Mishnà distingue quattro casi in cui
patrilineare e il matrilineare sono presi
dotto di una unione valida e permessa s
padre; nel caso opposto il prodotto della
nitori non può mai contrarre un matrim
segue la condizione della madre.
Nell'esposizione dei casi la Mishnà pres
zione binaria ramificata, con un sistema che ricorda i moderni
diagrammi di flusso (cfr. Tavola 4).
Nel quarto caso la Mishnà considera esplicitamente solo l'u-
nione di un ebreo con donne a lui proibite. L'eventualità oppo-
sta, l'unione di una ebrea con uomini a lei proibiti rimane in
qualche modo indefinita e ciò può riflettere una divergenza tra i
Rabbini dell'epoca; per tutti il figlio di queste unioni è ebreo, ma
per alcuni potrebbe essere anche mamzer (cfr. ad es. Mishnà Jeva-
moth 7:5); quest'ultima opinione limitativa sarà ufficialmente
sconfitta solo due generazioni dopo la redazione della Mishnà
(T. P. Qidd. 3:12), e non sarà recepita dai codici.
Un esame approfondito della struttura della Mishnà, come è
quello che fanno i due Talmudim, mostra che la divisione in
quattro gruppi, proposta in base a regole generali, non è assoluta
ma ammette la possibilità di numerose eccezioni; dunque si trat-
terebbe di un tentativo di inquadramento unitario, a scopo clas-
sificatorio e/o mnemotecnico, di numerosi diversi principi che
possono avere origini e storia differenti; nel caso specifico che ci
interessa quello che conta di più sembra essere l'iter formativo e
non la classificazione finale.
10.3. La tradizione rabbinica si occupa anche dei matrimoni
misti tra Gentili di differente nazionalità. È un dato che strana-
mente non è stato messo in evidenza dai critici, ma che invece
ha una notevole importanza, anche perché si pone in apparente
contraddizione con il precedente. È solo un problema teorico,
perché secondo i rabbini dopo le deportazioni assire i popoli del-
la terra persero la loro individualità originale; viene sollevato
per discutere le legittimità di acquisto di schiavi stranieri da po-
Il padre assente 175

Tavola 4.

il matrimonio è valido?

r il matrimonio è valido? S
si no

presuppone una la donna è proibita solo


trasgressione? a quell'uomo?

no si si no

i figli sara

* ▼ '
come il come il mamze- come la
padre meno nobile ri m madre

poli con i quali è proibito ogni rappor


stabiliscono che in caso di matrimoni m
segue la nazionalità del padre. Per esem
una donna Cananea, il figlio segue lo st
ziano; parimenti se un Cananeo sposa u
glio è Cananeo 58 . Il principio è espres
dato che sottolinea ulteriormente la p
del principio della trasmissione per vi
tà ebraica; che non è quindi una legge
luno suggerisce (vedi sopra § 2:9) (e sar
zionalità), ma una eccezione relativa al
la comunità ebraica, che evidentemente le fonti ebraiche consi-
derano una aggregazione sociale differente dalla comune accezio-
ne di nazionalità.
10.4. Come vengono spiegate queste leggi dagli stessi rabbini?
Più che delle spiegazioni vi sono degli inquadramenti, che chiari-
scono il tipo di impostazione adottata, ma lasciano ovviamente
aperto il problema di fondo. Dal contesto in cui è inserita la re-
176 Riccardo Di Segni

gola matrilineare, che vale solo per cer


che per i rabbini il padre ebreo non co
impermeabilità, una incompatibilità di
libero-Gentile). Ma perché questi sistem
Talmùd non lo spiega, ma cerca solo un
per dire in sostanza che la norma ha pr
sì è e basta. Inoltre il Talmùd distinugu
derate (unione con schiava e con straniera) e per ognuna si
preoccupa di trovare una giustificazione separata sia del princi-
pio della nullità del matrimonio che di quello matrilineare. Per
gli schiavi i versi biblici richiamati (cfr. § 6:1) sono piuttosto vi-
cini all'interpretazione rabbinica; ma nell'altro caso le fonti in-
vocate richiedono complicate esercitazioni esegetiche. Comun-
que, nel corso della discussione, a parte i riferimenti scritturali
di sostegno, diventa sempre più definito il principio essenziale
sostenuto dai rabbini: il figlio si riferisce al padre solo nell'ambi-
to di unioni consentite 59.
Quando si tratta di padre non ebreo, in unioni non consentite,
questo principio è ribadito in termini più duri con un'ulteriore
spiegazione, che sostiene la nullità della sua paternità 60. Il padre
Gentile torna invece ad essere rilevante e a imporre il suo status
anche con una donna di diversa nazione, quando si discutono i
matrimoni misti tra Gentili. Il principio viene collegato, con una
complicata interpretazione, a Levitico 25:45. In questo caso è im-
portante notare che l'interpretazione implica che in questi matri-
moni la madre vive nella sua terra tra la sua gente, mentre il
marito è uno straniero che viene da un'altro paese; ciò nonostan-
te è lo status nazionale del padre a prevalere; in termini antro-
pologici si tratta di un principio patrilineare persino in un ma-
trimonio matrilocale; tuttavia si noti che la matrilocalità non è
dovuta al fatto che la società è matrilocale, ma alla presenza di
uno straniero emigrato; e in questi casi singoli sono gli uomini a
spostarsi e non le donne 61 .
Queste interpretazioni rabbiniche convergono nell'intenzione
di retrodatare i principi all'epoca del Pentateuco. Ma si delinea
la possibilità di una sottile differenza, che fu discussa nei com-
menti medievali. Alcuni Maestri pensavano alla matrilineari tà
nazionale ebraica come a un istituto nato con l'ebraismo, con
Abramo e Sara; altri invece sostennero che fino alla promulga-
zione del decalogo sul Sinai anche tra gli ebrei si sarebbe seguita
l'universale regola patrilineare 62 .
Il padre assente 177

1 1 . SISTEMI CASTALI E INTERPRETAZIONI

11.1. Lo sviluppo delle strutture leg


affrontare il problema sotto angolatu
definiscono. Un campo di possibile st
dei sistemi castali presenti in alcune
studiata la classificazione gerarchica
contatto e mediazione tra i vari livelli
siano dei limiti rigorosi di contatto oltr
che stabiliscono approfondite barrier
di struttura lascerebbe proprio agli o
chia una qualche possibilità di contat
e la ciclicità della struttura 63.
Tentando di trasferire questi conce
osserva in primo luogo l'improprietà
dei termini castali nella struttura biblica della società. Le diver-
se interdizioni nuziali che compaiono nella Bibbia (molte delle
quali - come l'endogamia tribale e nazionale - già qui discusse,
e altre come le norme per i sacerdoti - e categorie speciali: spu-
rii, evirati, Deut. 23:2-3) non possono assolutamente configurare
un sistema castale. Inoltre ognuna di queste regole ha una speci-
fica diversa motivazione.
Il quadro appare un po' diverso nella idealizzazione giuridica
fatta delle fonti rabbiniche, e si presta a qualche analogia, alme-
no per quanto riguarda l'elaborazione di un sistema gerarchico
sociale a più livelli. È così possibile tracciare una rappresenta-
zione diagrammatica che in qualche modo ricorda quelle degli
studi antropologici sulle caste.
La fonte principale per questo discorso è una Mishnà di Qid-
dushin, 4:1, che parla di 10 livelli sociali (. Jochasin ) tornati in
terra d'Israele dalla cattività babilonese con Ezra e Nehemia;
questi livelli, in parte residuo della precedente organizzazione
tribale, costituiscono la nuova classificazione della società, in vi-
gore nell'epoca rabbinica. La Mishnà ne definisce l'ordine gerar-
chico di nobiltà e i limiti di liceità nuziale. La situazione si con-
figura così nello schema della Tavola 5.
Diverse considerazioni nascono dall'esame di questo schema.
Si noti subito, anche in questo caso, l'asimmetria della condizio-
ne femminile rispetto a quella maschile, per cui, entro certi limi-
ti, le donne hanno minori rigori nella scelta del coniuge rispetto
a quelli maschili; possono cioè scegliere il coniuge in categorie
più inferiori di quelle concesse agli uomini di pari rango.
178 Riccardo Di Segni

Tavola 5. Classificazione della società secondo divieti nuzi

un uomo può sposare ^-^*SACERDOTK un u


una donna in una f LEVITI una donna in un
categoria superiore / ISRAELITI« categoria inferiore
fino a questo livello ^SACERDOTI SCONSACRATI) fino a questo livello
^v^JPROSELITI
LIBERTI

/ SPURII

I NETINEI*
' FIGLI DI PADRE IGNOTO A
FIGLI DI GENITORI IGNOTIy
SCHIAVI <*

* Inservienti del Tempio, di stirpe collegata al racconto in G

In base a Mishnà Qiddushin 4:1. Fonti integrative in TP Qi


moth 84b.

Più in generale, tenendo presente la nullità giuridica del co-


niuge non ebreo, si configura una sorta di chiusura del ciclo, che
consente la riammissione nell'ambito della comunità della prole
nata da unioni non consentite agli estremi della gerarchia. Ce da
chiedersi se questa situazione sia il risultato di un meccanismo
intenzionale o piuttosto la conseguenza casuale di un altro ordi-
ne di principl. Varie considerazioni orientano verso questa secon-
da soluzione. Intanto la «chiusura del ciclo» si verifica solo con
la madre ebrea, e non con il padre ebreo, che in un'unione mista
esce completamente dalla struttura; poi per quanto riguarda la
condizione dei figli di madre ebrea, la norma iniziale non è affat-
to unanime per una loro «normalizzazione», essendo presenti vo-
ci autorevoli che vorrebbero chiamare spurii ( mamzer ) questi fi-
gli (cfr. sopra § 10:2). Il problema vero in realtà non è quello
della chiusura del ciclo, ma della diversa valutazione del ruolo
femminile. Si pensi, nello stesso sistema, alla soluzione prospet-
tata per l'eliminazione della trasmissione della condizione di
spurio. Qualsiasi donna si unisca al mamzer, i suoi figli saranno
come il padre, con un'eccezione, quella della schiava; la schiavi-
tù annulla il padre, i figli nascono schiavi, ma possono essere li-
berati. In questo modo il mamzer può purificarsi (Mishnà Qiddus-
hin 3:13), ma il discorso vale solo al maschile; perché una donna
mamzeret, quale che sia il suo partner, continuerà a produrre fi-
Il padre assente 179

gli pari a lei. Torniamo ad insistere s


tà del legame madre-figlio.
11.2. Un'indicazione proveniente dal
risce, a confronto con dati rabbinici,
tazione mitica dell'istituzione. In una
quella di Ninfide, si spiega che i bam
condo il nome della madre per ricom
donne licie garantirono al loro popol
Bellerofonte 64 . Anche se si tratta di u
può comunque stimolare un chiarime
dunque ad una analogia mitica ebraic
ne alle donne del merito della salvezz
furono loro che spinsero i mariti a pr
vi egiziani di eliminare gli ebrei blocc
sta storia però riconosce solo i meriti
Se un rapporto c'è con il nostro prob
conferma del ruolo femminile di con
braismo attribuisce un valore salvific
più avanti al § 14:1.

12. DIRITTO ROMANO E DIRITTO RABBINICO. SCHIAVI E STRANIERI

12.1. Il diritto romano rappresenta per il problema che discu-


tiamo un sistema globale noto in tutti i suoi dettagli e accompa-
gnato da un preciso inquadramento teorico.
Si è già accennato (§ 2:5) all'importanza che alcuni studiosi
hanno recentemente attribuito alle leggi romane, al punto di
considerarle ispiratrici delle norme ebraiche. In realtà ricontrol-
lando le fonti il quadro che emerge è piuttosto differente. Nella
esposizione delle norme che Gaio fa nelle Istitutiones si distingue
tra una posizione teorica di base e norme particolari che l'hanno
modificata. La teoria vuole che in assenza di connubium il figlio
segua la condizione della madre. I presupposti teorici furono mo-
dificati da un Senatusconsultum Claudiano che impose restrizio-
ni sui rapporti tra liberi e schiavi; contro la norma tradizionale
per cui è schiavo chi nasce da madre schiava, fu stabilito che in
un'unione tra libera e schiavo, se il rapporto avveniva contro il
volere e l'intimazione dei padroni («invi tis et denuntiantibus»)
non solo divenivano schiavi i figli di questa unione illegittima,
ma anche la donna stessa. Persino la donna libera, se voleva
mantenere il rapporto, doveva pattuire la sua libertà (Gai. I. 160
180 Riccardo Di Segni

e 84). La norma restrittiva fu successiva


sizioni di Adriano e Vespasiano (I. 84-91
nione del libero con una schiava, il diritto romano (Gai. I. 85)
ammise anche per un certo periodo la possibilità di presunzione
da parte del libero che anche la donna lo fosse, ammettendo so-
luzioni liberali.
Considerando le leggi effettivamente in vigore a Roma ai tem-
pi dei Maestri della Mishnà emergono differenze sostanziali con
il sistema ebraico; questo invece sembra coincidere in linea di
massima con la posizione teorica esposta da Gaio. Ora Gaio at-
tribuisce questa posizione allo «ius gentium», che intende come
«naturalis ratio inter omnes homines»; è una astrazione teorica,
ma «in parte era effettivamente diritto comune ai popoli antichi
aventi un certo grado di civiltà (area mediterranea e Vicino
Oriente)» 66 . Quindi i Rabbini non hanno attinto dai Romani, ma
entrambi i sistemi si conformano, almeno nei presupposti teorici,
a dei concetti giuridici diffusi nell'area mediterranea e del Vicino
Oriente. A questo punto il problema non è risolto, ma si arricchi-
sce del dato della comunanza e diffusione di alcuni principi pre-
senti nell'ebraismo.
Per quanto riguarda le dinamiche di sviluppo dei sistemi giu-
ridici c'è inoltre da rilevare a Roma la relativa flessibilità del si-
stema, pronto a soluzioni restrittive, che possono essere suscetti-
bili di interpretazioni economiche alla luce di quanto detto pri-
ma (§ 6:3); le condizioni erano cambiate, e anche la capacità
procreativa del maschio schiavo diventava una merce preziosa.
Invece in campo ebraico sembra potersi rilevare una sostanziale
costanza e coerenza nel tempo dell'esclusivo principio matrili-
neare nella trasmissione della schiavitù.
12.2. Per quanto riguarda la valutazione dello stato dello
schiavo nelle fonti dell'epoca postbiblica si trova formulato un
concetto che forse nei testi del Vicino Oriente non compariva an-
cora esplicitamente. È il concetto di schiavo come proprietà as-
soluta, al quale di conseguenza «viene negato il più elementare
dei vincoli sociali, la parentela». È uno dei segni più evidenti
della sua estraneità e del suo sradicamento. La famiglia dello
schiavo non esiste giuridicamente e la conservazione del suo rap-
porto con moglie e figli dipende solo dalla benevolenza del pa-
drone; l'esame dei documenti di vendita e affrancamento di-
schiavi mostra che l'unica relazione familiare che veniva qualche
volta, ma non sempre, riconosciuta era quella tra madre e figlio.
Lo schiavo viene chiamato per nome soltanto, senza il patroni-
Il padre assente 181

mico; è solo «il tale» e mai «il tale fig


anche se anziano, continua ad essere
può immaginare quanto profondamen
concezioni nell'antichità se si pensa a
nostre società di chiamare soltanto pe
ai lavori più «umili». L'umanità stess
Varrone (De Re Rustica I 17, 1) lo sch
lante («instrumenti genus vocale»).
12.3. Il caso ebraico non sembra sfug
rale. Le norme che discutiamo sono in
to dello stesso principio: ' eved en lo cha
en lo jochas ), lo schiavo non ha un r
mente riconosciuto (TB Qiddushin 69a, Jevamoth 23a). Questo sia
in senso ascendente che discendente (lo lema'la welo lemata, TB
B. Q. 88a). Dal punto di vista maschile il principio è chiaro. Dal
punto di vista femminile la questione ha qualche margine di in-
certezza. Se lo schiavo è stato acquistato, il suo ingresso equivale
ad una nuova nascita, che interrompe qualsiasi legame preceden-
te, anche quello con la madre (con la quale non ha più nemmeno
divieti incestuosi); se invece è nato da una schiava almeno questo
legame potrebbe secondo alcuni esistere 68 . Sicuramente quindi il
legame paterno non c'è, mentre quello materno è forse conserva-
to. Inoltre lo schiavo sarà chiamato solo con il suo nome di perso-
na, senza menzione del padre. E se ha figli, questi gli sono estra-
nei 69 . Anche nell'ebraico biblico il termine «ragazzo» ( na'ar ) è
usato per indicare il servo«70. La chiusura e l'estraneità del siste-
ma sono presentati nel Talmùd con una similitudine dura e chia-
ra: gli schiavi, da questo punto di vista, sono come animali. La
Bibbia questo non lo dice; è necessaria l'interpretazione forzata di
un verso71. Il Talmùd sottolinea ancora più radicalmente questi
termini quando dichiara che «un feto nel ventre di una schiava è
come un feto nel ventre di un animale» ( Qiddushin 69a) e RaSHI
spiega l'espressione nel senso «che non ha alcun rapporto paren-
tale con il padre». La brutalità di queste espressioni, unita alla
sostanziale durezza dei concetti di fondo, non lascia indifferente il
lettore moderno, e forse anche un lettore ebreo dell'antichità, che
ben conosceva la notevole differenza esistente, fin dalle origini
bibliche della legislazione, tra le condizioni di uno schiavo non
ebreo nella giurisdizione ebraica e quella degli schiavi presso altri
popoli 72 . In parte l'uso di queste espressioni è strumentale e ap-
positamente provocatorio 73 , ma rispecchia anche una concezione
diffusa nella realtà contemporanea.
1 82 Riccardo Di Segni

12.3. In coerenza con queste posizioni te


incertezze della storia biblica patriarcale,
cide il problema alle origini, affermando
gi dell'area vicina antica - l'invalidità anc
nione del libero con la schiava, e quindi l
sione dalla paternità. Viene cioè precisato
di assoluta incompatibilità, di estraneità d
ne proibito ogni rapporto sessuale con gli
opposizione al costume antico, diffusame
Greci e Romani, di abusare sessualmente d
serisce nell'ambito di una rigorosa concez
le, che per esempio esclude a priori quals
suale; ma per l'eterosessualità il divieto d
ne dell'impossibilità di stabilire un rappor
do e sanabile con un matrimonio, per cui
munque viziato da irregolarità 75 . È una f
so sessuale, che presenta però un certo m
quanto deriva dalla constatazione dell'inco
ambiti.
12.4. Le analogie tra la condizione dello schiavo e quella del-
lo straniero si ripropongono nel periodo postbiblico. Nella teoriz-
zazione del diritto romano riguardante la trasmissione del dirit-
to di cittadinanza schiavi e stranieri rappresentano insieme
esempi di unioni non valide. E anche nel caso dello straniero, co-
me in quello dello schiavo, prevalse un atteggiamento restrittivo;
malgrado la teoria, per cui nell'unione non valida si segue la ma-
dre, la Lex Minicia (circa 90 av. E.V.) stabilì che se uno stranie-
ro sposa una cittadina il figlio è straniero; la legge fu in parte
rivista da Adriano (Gai. I. 75-78).
Più in generale vi era nel mondo antico una identità corrente
tra i due concetti; non che gli schiavi fossero tutti stranieri, ma
per la maggioranza lo erano. L'identità inoltre si accompagnava
a un sottinteso, che con termine improprio oggi definiremmo
«razzista»: quello della inferiorità psicologica per natura degli
schiavi; secondo un luogo comune tutti gli Asiatici, tra cui anche
gli Ebrei, esplicitamente menzionati, erano nell'età Repubblica-
na romana «nati per essere schiavi» 76 .
Nella teoria rabbinica la questione è più complessa e si di-
stingue tra analogie e differenze tra schiavi e Gentili, che hanno
poi il loro corrispettivo nella regola: come soggetti liberi i Genti-
li, anche nell'incontro di differenti nazioni, trasmettono la pater-
nità tra di loro; come estranei, nel momento in cui si pone la
Il padre assente 183

loro estraneità, cioè nell'incontro con l


paci di trasmettere e di ricevere la pat
l'incontro i due sistemi diventano inco
due, o entrambi (non fa differenza) fo
questo caso la presunta matrilinearità
nità che deriva dalla estraneità e dalla incomunicabilità dei si-
stemi. Come per lo schiavo, la legge rabbinica sullo straniero
corrisponde coerentemente a un sistema e non sembra suscettibi-
le di modifiche di apertura o restrittive come a Roma.

13. LA PROIBIZIONE DELL'INCESTO NEL DIRITTO RABBINICO

13.1. L'esame della normativa rabbinica sull'incesto aggiunge


all'analisi delle conferme e degli spunti ulteriori.
Nell'ebraismo vi sono diverse implicazioni nella condizione di
padre. Essere padre significa trasmettere la condizione naziona-
le, il nome della famiglia, la proprietà; avere verso la prole ob-
blighi specifici (come la circoncisione e l'educazione religiosa) e
diritti particolari (come il rispetto); avere infine specifici divieti
sessuali. Il nome della famiglia è trasmesso dal padre solo in una
unione valida e permessa; nelle altre implicazioni (eredità, obbli-
ghi e leggi sull'incesto) persino quando vi è una unione proibita
e il figlio è mamzer (cioè in tutti e tre i primi casi della Mishnà
di Qiddushirì) il padre è sempre il padre; ma nell'unione con
schiavi e stranieri (quarto caso della Mishnà) non vi è affatto pa-
ternità, e tutte le implicazioni sono interrotte, comprese le leggi
dell'incesto 78 . Così in quest'ultimo caso non essere padre signifi-
ca interrompere tutti i legami economici, religiosi e persino car-
nali, che la madre al contrario conserva completamente. Il siste-
ma di filiazione ebraico è bilaterale, con l'eccezione della schia-
vitù e delle unioni miste con stranieri, dove, nei riguardi del fi-
glio biologico, per l'uomo vi è una estraneazione totale, giuridica
e biologica; per la donna questi legami invece rimangono. Le
unioni con la sorella da parte di un padre non ebreo, o la moglie
o la sorella del padre non ebreo non sono vietate - almeno in
teoria -, perché il padre è come se non esistesse. Le leggi che
proibiscono i matrimoni all'esterno sono pertanto più forti e pre-
liminari di quelle dell'incesto. Prima viene definito il gruppo
permesso a tutti (endogamia-esogamia) poi l'ambito specifico del
privato (incesto). La definizione dell'unità sociale precede la nor-
mativa dell'incesto.
184 Riccardo Di Segni

Una logica analoga è presente anche in


molto più antica. Le leggi Hittite punis
mo con una donna e sua figlia (o sua ma
tre non puniscono queste unioni se le do
niere; parimenti permettono l'unione di
con la stessa schiava o prostituta (artt. 1
e 197). Evidentemente si presuppone che
ambiti estranei alla condizione di libero cittadino - non esista
una vera consanguineità, un legame affettivo di parentela, alme-
no dello stesso livello o di pari dignità di quello dei cittadini.
Se poi la parentela viene concepita come un titolo prevalente-
mente paterno, che il padre dà sopraffacendo il titolo materno,
non riconoscere la parentela significa che gli uomini non tra-
smettono il loro status alla prole, e le donne dal canto loro non
subiscono la prevalenza del titolo maschile. Stabilendo una bar-
riera tra la condizione di cittadino e gli altri status, il rapporto
padri-figli mostra tutta la sua relatività, e può persino venire a
mancare totalmente, anche in un ambito rigoroso e delicato co-
me quello dei divieti incestuosi, a differenza di quello materno,
che per quanto potenzialmente subordinato non viene mai meno.
13.2. Per i Rabbini del Talmùd che studiavano l'evoluzione
biblica delle proibizioni di incesto, i brani scritturali controversi
(cfr. sopra § 9.3) erano anche uno strumento per la definizione di
un problema giuridico particolare, quello della definizione delle
proibizioni incestuose per i «Noachidi». Secondo il Talmùd l'u-
manità discendente da Noè, con l'eccezione degli ebrei che han-
no la loro legge particolare, è tenuta all'osservanza di sette pre-
cetti essenziali, uno dei quali riguarda appunto le proibizioni
sessuali, tra le quali gli incesti. Ma quali sono questi divieti, in
dettaglio? I Rabbini si divisero sulla questione, applicando dei
principi generali. Erano essenzialmente due i nodi del problema:
alcuni divieti sono puniti solo con il karet , che è una sanzione
divina, di tipo «religioso»; è possibile che i popoli che non accet-
tano la religione ebraica siano coinvolti da questa sanzione?
Rabbi Aqivà (morto nel 135 E.V.), a differenza del suo maestro
Rabbi Eliezer, riteneva di no. Altri divieti dipendono dall'esisten-
za di un vincolo matrimoniale (la moglie del padre o del figlio
ecc.); questo vincolo ha valore anche per i Noachidi ai fini dei
divieti incestuosi? Su questo punto si divisero nel medioevo gli
interpreti di Rabbi Aqivà. Queste posizioni teoriche si dovevano
misurare con le fonti bibliche - piuttosto scarse - che si riferi-
scono al periodo antecedente la promulgazione del Decalogo, e in
Il padre assente 185

particolare con il verso di Gen. 2:24, c


tela paterna. Di qui un'ulteriore divar
diversi sistemi sono esposti alla tavola
Le divergenze rabbiniche sembrano d
esclusivamente interna; un confronto con
inutile. In base alle fonti disponibili p
certa precisione le linee essenziali di due sistemi del Vicino
Oriente Antico (leggi di Hammurabi e Hittite) e quello del diritto
romano (cfr. le ultime colonne della tavola I). Come si vede, nes-
sun sistema è identico ad un altro. Ma in linea di massima si
può notare una certa analogia tra le leggi Hittite e l'idea di Aqi-
và secondo RaSHI, mentre il diritto romano presenta maggiori
somiglianze con la legge ebraica definitiva riguardante gli ebrei.
13.3. In tutti i sistemi qui presi in considerazione, ebraici e
non, le proibizioni sono bilaterali, cioè riguardano sia la linea
materna che quella paterna. Nelle quattro posizioni rabbiniche,
in particolare, vi è sempre, per quanto intesa in modi differenti,
la presenza di un parente di lato paterno. Per R. Eliezer è la so-
rella del padre, per Aqivà la moglie del padre, per Meir la sorella
da parte paterna. Non è difficile vedere come questa presenza
patrilineare sia di minore rilevanza rispetto a quella materna, e
in qualche modo atipica. È come se un principio teorico di unila-
teralità femminile si sia adattato a forza e con una minima pre-
senza simbolica alla bilateralità. Questa impressione trova con-
ferma nella teorizzazione rabbinica, per quanto i termini usati
indicano qualcosa di lievemente diverso. Si dice che in linea di
principio, per quanto riguarda le proibizioni sessuali, «non vi è
paternità per lo straniero», «escluso dalla proprietà della sua
stirpe ( afqere rachamana lezar'e)», e che la linea paterna è consi-
derata in alcuni casi solo come un'eccezione richiesta dal verso
biblico di Gen. 2.24 («pertanto l'uomo lasci il padre e la madre e
si unisca alla moglie e siano una sola carne») 80.
In rapporto al contesto, davanti alle numerose eccezioni e al-
l'esplicito riferimento biblico, il principio veramente appare for-
zato, ma non lo è più tanto se lo si rapporta a quanto prima si è
detto (§ 13:1) sul rapporto generale tra definizione dell'unità so-
ciale e divieti di incesto, reperibile anche fuori dall'ebraismo. La
negazione della paternità non è un concetto da prendere alla let-
tera, viste le esplicite contraddizioni, quanto una traccia inter-
pretativa; in realtà non è che la paternità non vi sia, ma che la
vera paternità, nel senso pieno del termine, è un concetto che si
realizza completamente solo nel cittadino con tutti i diritti. Il
186 Riccardo Di Segni

concetto poi - lo si vede nella applicazio


ebreo si unisce a una straniera - è bivale
padre che non impone la paternità, ma
la riceve. Qui si delinea l'altra implicazi
che deriva dalla struttura e dalla gerarc
abbiamo esaminato: in assenza del lato p
zialità del legame matrilineare, concepit
te e fondante.
13.4. Sulla struttura principale dei divieti - accettata pratica-
mente senza discussioni - si sono sovrapposte alcune proibizioni
rabbiniche marginali, coinvolgenti diramazioni lontane di paren-
tela; su queste aggiunte in alcuni casi il problema rituale resta
aperto e controverso nel Talmùd, e assume importanza nella no-
stra discussione.
La tavola 2 presenta schematicamente anche questi divieti
rabbinici, che rappresentano una sorta di completamento logico
e coerente del sistema, che si sviluppa come cortina difensiva
delle principali proibizioni originarie. È importante notare come
alcuni divieti si possano teoricamente estendere al massimo, in
alto fino alle matriarche e in basso all'infinito. Anche in questa
estensione domina il principio matrilineare, nel senso che la li-
nea materna è teoricamente illimitata, mentre i divieti si ferma-
no negli ascendenti e discendenti maschi.

14. IL CONFRONTO CON IL MONDO ANIMALE

14.1. Nel tentativo di espandere la prospettiva della ricerca


sulla matrilinearità nell'ebraismo, e di trovare delle corrispon-
denze organiche in altri aspetti del pensiero rabbinico, è stata
giustamente presa in considerazione la normativa sul mondo na-
turale. In particolare è stata segnalata 81 l'analogia con una legge
sui kilajim, le mescolanze di animali o vegetali di differenti spe-
cie (Mishnà Kilajim 8:4). Abbiamo già visto sopra (§ 12.3), par-
lando delle leggi sugli schiavi, che il collegamento con il mondo
animale è in qualche modo giustificato, almeno come modello di
riferimento simbolico. Questi accostamenti si trovano anche al-
trove nella letteratura omiletica e stabiliscono un parallelo tra le
mescolanze di specie naturali e quelle nell'ambito della specie
umana 82 . Tuttavia si tratta di un rapporto molto complesso. La
norma specifica chiamata in causa, tratta di animali nati dall'u-
nione di asini e cavalli e discute se e come possano essere aggio-
Il padre assente 187

gati insieme nel lavoro. Ma è solo un


problema, in cui si discute il principi
re del seme paterno» 83 o no, cioè se
debba essere preso in considerazione
colazione del problema e le differenz
della Mishnà e del Talmùd sono così
dedotta da un caso singolo non può es
munque qualche importante elemento
bini si discute sul possibile ruolo dell
ba anch'esso essere preso in considera
della madre non è mai discusso, è sco
nel mondo animale l'identificazione d
se non impossibile, mentre la gravid
gno inequivocabile. Anche dopo il par
rapporto filiale, nel fatto che il figlio
padre 84 . Almeno questo punto, cioè
ruolo materno come un legame natura
la nostra discussione, costituisce una
14.2. Ma vi è anche qualche caso in
tra i Rabbini e la tentazione di stabil
stro problema è più forte. Un esempi
1:2:

Se una bestia pura partorisce una specie di bestia impura, <il nato> può esse-
re mangiato; e se una bestia impura partorisce una specie di bestia pura, <il nato>
non può essere mangiato; perché ciò che esce dall'impuro è impuro e ciò che esce
dal puro è puro.

Apparentemente si tratta dello stesso principio che regola l'i-


dentità ebraica. Vi sono tuttavia importanti differenze tra le due
situazioni. La prima è che in generale i Rabbini tendono a esclu-
dere la possibilità di una gravidanza tra bestie impure e pure 85
e pertanto i casi della Mishnà sembrano riferirsi più a malforma-
zioni congenite che ai risultati delle unioni di specie differenti.
Nel caso dell'uomo la specie è sempre la stessa e la gravidanza è
ovviamente possibile. La seconda differenza è che la Mishnà di-
stingue tra specie pure ed impure, che sono tali per nascita e tali
rimangono indefinitamente; nella specie umana la differenza tra
Ebrei e Gentili non si pone affatto negli stessi termini. Non è
corretto affermare che i Gentili sono impuri e gli Ebrei sono pu-
ri. Al contrario gli Ebrei possono essere puri o impuri, passando
da uno stato all'altro secondo precise condizioni rituali; mentre i
Gentili sono semplicemente indifferenti ed estranei a questi con-
188 Riccardo Di Segni

cetti (salvo particolari estensioni rabbiniche)


renza è che un animale non può mai camb
mentre un Gentile può diventare Ebreo. È ve
trario è impossibile, perché un Ebreo (o un G
l'ebraismo) non può mai cambiare la sua app
reversibile.
In realtà il concetto base di questa Mishnà è che gli aspetti
esteriori di una creatura che nasce da una unione mista non sono
essenziali nella definizione del suo stato, mentre è decisiva l'ori-
gine materna. È evidente che la prima parte di questo principio
non è applicabile nel nostro ragionamento; non vi sono certi
aspetti fisici congeniti che possano far distinguere tra Ebrei e
Gentili. Solo la seconda parte dell'argomento ha un valore per la
nostra discussione. Insieme ai dati precedenti è il segno del pri-
vilegio conferito nella tradizione rabbinica al rapporto madre-fi-
glio, il riconoscimento di un legame naturale di base che invece
non è essenziale nel rapporto padre-figlio.

15. LE CORRISPONDENZE IDEOLOGICHE

15.1. È possibile trovare per i dati emersi dall'esame degli


istituti giuridici delle precise corrispondenze e un inquadramen-
to ideologico nel pensiero religioso ebraico. La ricerca si sposta
ora su alcuni elementi teologici che riguardano le rappresenta-
zioni simboliche del ruolo femminile da una parte, e della natura
del popolo ebraico dall'altra, che vengono a convergere in vario
modo.
L'associazione simbolica tra il ruolo fecondante e riproduttri-
ce della donna e quello della natura è estremamente diffusa nelle
diverse culture e trova espressione in numerosi sistemi religiosi
che sottolineano il tema della Terra madre, o della Grande ma-
dre, o della Natura madre. Il tema si sviluppa nelle sue diverse
implicazioni, dal motivo della nascita, che porta con sé l'idea di
una benevola levatrice, a quello della morte, che associa la terra
alla tomba, a quello della ripetizione ciclica, segno di rinnova-
mento e anche di eternità senza limiti. Ogni sistema culturale ha
elaborato le sue rappresentazioni simboliche di questi temi cen-
trati su una simbologia femminile, ma sovente associati a figure
mitiche maschili che assumono su di sé una parte delle valenze;
il rapporto con la Terra-Madre si è poi misurato e variamente
adattato alla presenza di una concezione di dio supremo e padre
Il padre assente 1 89

celeste 87 . Anche l'ebraismo si misura con


pa una posizione di notevole originalità
che lo distingue è l'idea di un Dio creato
la creazione, che non lascia spazio ad un
stesso concetto di natura è assente nell'ebraico biblico 88 . L'idea
della creazione dal nulla, dell'inizio, che poi nell'evoluzione del
pensiero si associa alle prospettive escatologiche, spezza la cate-
na della ineluttabile ciclicità naturale e trasferisce il concetto di
creazione dalla natura a Dio.
Anche l'associazione natura-terra-donna-madre subisce pro-
fonde modificazioni. Nella divisione originaria tra Adamo ed Eva
anche i ruoli simbolici si separano, e si specializzano. La figura
maschile, Adamo, resta legata alla terra che gli ha dato il nome
(adamà) da cui ha avuto origine, e alla quale tornerà morendo; al
momento della cacciata dall'Eden la maledizione lo legherà alla
terra da cui dovrà trarre l'alimento (Gen. 3:17-19). La valenza
materiale, oscura e malefica della terra è concentrata sull'uomo.
In contrapposizione Eva, per quanto subordinata all'uomo, subli-
ma l'elemento creativo e materno (è «la madre di ogni vivente»)
e mantiene questo ruolo persino nella maledizione, che parla di
parto doloroso (Gen. 3:16 e 21).
Nel ruolo femminile vi è spesso una ambiguità, che accentua
il contrasto vita-morte: la responsabilità di Eva nella cacciata
dall'Eden ne rappresenta l'elemento più determinante; è lei, se-
condo molte interpretazioni correnti, che ha portato la morte nel
mondo ( Bereshith Rabbà 17:31). Ma questo non fa che risaltare
l'opposta valenza vitale. Altre rappresentazioni concorrono a so-
stenere questa equivalenza. La procreazione è assimilata alla co-
struzione di un edificio (anche nella parentela linguistica ben-bi-
nian ); la donna sposandosi entra in casa altrui, ma è lei che la
costruisce nel senso generazionale (cfr. Ruth 4:11). E ancora, la
funzione procreativa si carica di significati salvifici, dalle levatri-
ci in Egitto (Es. 1:17 ss.) alla nascita di un salvatore89; o è un
ruolo sessuale a garantire la salvezza, come nel racconto di
Ester; più in generale l'idea della donna come salvatrice compa-
re talora nei commenti rabbinici 90 .
15.2. La rappresentazione di donna come madre dispensatrice
di vita si integra in quella di donna-sposa. I concetti giuridici di
«acquisto» e di «donna oggetto» vengono ripresi e trasferiti sul
piano storico-mitico del rapporto tra Dio ed Israele. Nella Bibbia
la rappresentazione della nazione come donna-madre non è limi-
tata agli ebrei; in Geremia 50:12 i concetti di madre-genitrice so-
190 Riccardo Di Segni

no usati anche in riferimento alla Babilonia. Nel caso ebraico l'o-


mologazione donna-nazione è sviluppata al massimo e si insiste
in particolare sulla simbologia di Israele-sposa divina, estrema-
mente diffusa nella letteratura profetica. La metafora offre la
possibilità di una interpretazione globale della storia ebraica,
dell'elezione divina, delle sciagure nazionali, e in termini conso-
latori presenta il modello del vincolo eterno tra due amanti, mal-
grado i ripetuti tradimenti della donna91.
Nelle immagini bibliche, Israele come sposa è la rappresenta-
zione più frequente, ma non è una metafora esclusiva; altrove il
rapporto Dio-Israele richiama il rapporto tra madre e figlio
(Isaia 49-15), o ancora quello tra padre e figlio (ad es. Deut. 8:5 e
Ger. 31:19). Non si tratta però di simbologie contrapposte, ma
degli aspetti particolari di un quadro d'insieme che segue una
logica piuttosto coerente. Il rapporto materno sottolinea un lega-
me irreversibile di amore con «il figlio del ventre», incondiziona-
to e perenne; la metafora paterna, più articolata nella sua simbo-
logia, segnala anch'essa un rapporto affettivo, con differenti sfu-
mature rispetto al piano di confronto; rispetto alla madre, il pa-
dre punisce ed educa il figlio; ma rispetto al padrone che punisce
i suoi schiavi, il padre ama i suoi figli.
15.3. Qui entra in gioco un altro modello biblico di rappre-
sentazione del rapporto, quello di Israele schiavo di Dio. L'idea è
l'espressione simbolica della sottomissione; non è una concezione
esclusiva di Israele; tra gli Ebrei la sua presenza trova precise
conferme anche nelle fonti più antiche; nella Bibbia il termine
schiavo si applica sia al singolo fedele che alla collettività 92 . Alle
origini di questa idea potrebbe esservi anche una componente
storico-politica, sia come riflesso di alcune vicende (schiavitù
egiziana), che come espressione dell'oppressione straniera 93 . Tro-
viamo anche che nelle fonti bibliche la condizione ebraica è rap-
presentata in termini antitetici di libertà e schiavitù spesso coe-
sistenti. Ad esempio in Lev. 25 viene ripetuto due volte il concet-
to che «per Me i figli di Israele sono schiavi; essi sono Miei
schiavi che Io ho fatto uscire dalla terra di Egitto» (vv. 45 e 42).
I commenti rabbinici sottolineano che «Miei schiavi» significa
che essi non potranno essere più schiavi di un padrone umano.
Così la condizione ebraica è al tempo stesso libertà dagli uomini
e schiavitù di Dio. Gli Ebrei sono chiamati «figli» e «schiavi» di
Dio anche contemporaneamente (Mal. 1:6).
Si noti, per inciso, che da queste premesse la posizione rispet-
tiva degli Ebrei e dei Gentili può essere considerata in termini di
Il padre assente 191

differenti gradi di schiavitù o di liber


vista. Davanti a Dio gli Ebrei sono schi
dato che può fornire la spiegazione, su
gioso, di quella incompatibilità che tra
la trasmissione della paternità. È com
con degli schiavi, ma in questo caso gl
Ebrei stessi. È un tipo di interpretazio
nella letteratura rabbinica classica. Per
ne simbolica della legge di Esodo 21 sug
ma del rapporto di Israele con Dio, biso
tri secoli 94 ; eppure proprio questa le
spiegare la logica del possibile accostam
zione esclusiva di schiavitù di Israele a
lei apparterranno al suo padrone» (Es.
donna Ebrea, che è naturalmente schi
suo padre, sarà parimenti un Ebreo, a
sua madre.
15.4. Vi è un altro aspetto essenziale, che accompagna le dif-
ferenti rappresentazioni simboliche: la distinzione tra precario e
assoluto che si pone in vari piani. Nel rapporto con il creato (ter-
mine più appropriato della natura) vi è la creazione divina, che è
irripetibile, e il possesso divino assoluto ed eterno; a questi è
contrapposto il modello umano di controllo e possesso della na-
tura, limitato e instabile. Parimenti vi è un legame tra Dio e
Israele che si presume stabile ed eterno, mentre vi sono dei doni
divini ad Israele che sono condizionati dal comportamento. La
terra, che rappresenta il bene materiale per eccellenza che viene
donato al popolo d'Israele, resta sempre un possesso divino, di-
spensato all'uomo a tempo determinato, e sempre a condizio-
ne 95.
Le rappresentazioni e le simbologie opposte maschile/femmi-
nile ripropongono queste opposizioni. La presenza di un elemen-
to femminile (Dio-Madre, o Israele-sposa) privilegia l'aspetto del-
l'amore e la continuità, la protezione, l'affetto incondizionato, la
costanza del legame, mentre le simbologie maschili (Dio- Padre o
Padrone), per quanto insistenti su un legame privilegiato, fanno
risaltare anche l'elemento coercitivo, la severità, la punizione
seppure a scopo educativo. È la perenne opposizione tra i due
attributi divini: la middath hadin, la categoria della giustizia
(che è anche il rischio del peccato, della frattura tra uomo e Dio),
e la middath harachamim, la categoria della misericordia, dell'e-
terno amore divino per il suo popolo. Attributi che tradizional-
192 Riccardo Di Segni

mente si oppongono in una simbologia


confermata dall'equivalenza linguistica r
misericordia).
15.5. L'opposizione trova infine una co
diversi ruoli di trasmissione riservati ai
è visto, possono trasmettere automaticam
ti attributi, cioè un rapporto di apparten
tribale, nazionale) e la proprietà. I doni
no un carattere comune: la precarietà. O
trasmettere può essere persa. L'eredità
per la sua intrinseca natura può essere
parte più tipica dell'eredità era il possess
ai figli d'Israele «secondo le loro famigli
(Num. 1 :2), e si è appena detto come il g
fosse sottoposto alla condizione di un co
maggior ragione gli altri beni materiali.
La trasmissione dello jachas mishpacha
miliare, è regolata da norme ancora più
sta nel fatto che una unione proibita è suf
la trasmissione, nei vari livelli gerarch
guata al Sacerdote, i figli saranno ebrei
doti; e così via fino alla perdita dell'ebraism
di gerarchia sociale con tutti i loro risch
neano una coscienza di sacralità particola
smette per via maschile 97 . In questa luce
che la vera «paternità» è quella degli ebr
non è paternità nel senso stretto e comu
un concetto sacrale. La paternità è sia na
l'elemento giuridico prevale; rispetto all
te, ma condizionata.
Al contrario l'unica cosa che la donna ebrea trasmette è, ben-
ché recessiva, privilegiata nel rapporto naturale e quindi incon-
dizionata, indipendente dal comportamento, permanente. E una ca-
ratteristica esistenziale, opposta a qualità instabili. Negli attri-
buti che i genitori possono trasmettere si delinea quasi un'oppo-
sizione tra l'avere, qualità maschile, e l'essere, qualità femmini-
le. Sul piano teologico l'irreversibilità della condizione ebraica
ottenuta alla nascita dalla madre è parallela alla irreversibilità
della scelta divina di Israele, mentre la precarietà della proprietà
e della nobiltà trasmessa dal padre è un riflesso del patto morale
tra Dio e Israele.
Gli istituti giuridici trovano conferma nelle rappresentazioni
Il padre assente 193

simboliche, ma in questo passaggio s


to di valori. Dichiararsi schiavi signi
libertà, come identificarsi in un'immagi
conoscersi in un legame di elezione et
In questo modo la fondamentale leg
braismo attraverso la donna ha trasformato una antica distinzio-
ne sociale di sessi nella rappresentazione ideale della presenza e
della scelta operata da Dio nella storia del popolo d'Israele, irre-
versibile come le leggi della natura.

16. CONCLUSIONI

La trasmissione matrilineare dell'appartenenza all'ebraismo è


un principio giuridico che deriva da una struttura sociale pa-
triarcale che sostiene una concezione bilineare della filiazione,
con ruoli differenziati per l'uomo (dominante e condizionato) e la
donna (recessivo ma assoluto). L'uomo impone automaticamente
la sua condizione alla prole solo in un rapporto compatibile; la
schiavitù è stata incompatibile fin dalle origini, il rapporto con
gli stranieri lo è diventato forse solo in un momento successivo.
Il ruolo femminile che la regola sottolinea è in partenza dovuto
all'assenza di quello maschile, ma ha profonde e remote radici
nella cultura ebraica che privilegia il rapporto materno; questo
rapporto, nell'evoluzione del pensiero ebraico, si arricchisce di
valenze simboliche diventando il segno dell'elezione irreversibile
di Israele.
Questo lavoro si è proposto una verifica scientifica, e non una
discussione politica. Ma poiché i dati vengono naturalmente
proiettati in un dibattito attuale non si può fare a meno di nota-
re, che a differenza di quanto è stato finora scritto, il nodo prin-
cipale da affrontare in una discussione teorica sulla modifica di
questa norma è quello della incompatibilità nuziale stabilita dal-
la tradizione tra Ebrei e non Ebrei. Quale che sia stato il mo-
mento della storica decisione, essa rappresenta un punto fermo
nelle strutture ebraiche, difficile da cancellare. Quanto alla don-
na, siamo davanti ad un istituto che le concede un privilegio as-
soluto e un enorme valore simbolico. In questo caso la parità ri-
chiesta da taluni significa un avvilimento della condizione fem-
minile.
La matrilinearità ebraica è un «residuo»? Ciò che si può dire
alla fine della discussione, in risposta a queste due domande, va
194 Riccardo Di Segni

in due direzioni: 1. è ancora tutta da dimostrare la realtà di una


società a prevalenza femminile da cui certi istituti sarebbero de-
rivati; 2. anche se fosse stato alle origini un «residuo», le prove
raccolte dimostrano che nel corso della storia ebraica, lungi dal-
l'esaurirsi, quest'istituto è stato una costante che si è continua-
mente arricchita di elementi giuridici e ideologici; con le parole
di Nachmanide (1194-1270) nel commento a Lev. 24:10, la donna
ebrea diventa «un bagno di purificazione per le genti che rende
puro come lei ogni frutto del suo grembo» 98 .
Riccardo Di Segni

ABBREVIAZIONI

ANET = James B. Pritchard, Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testa-
ment, 2nd ed., Princeton Univ. Press, Princeton, 1955.
EdR = Enciclopedia delle Religioni, Vallecchi, Firenze 1970.
EE = Enciclopedia, Einaudi, Torino.
EM = Enziqlopedia Migrait, in ebraico.
TP = Talmud Palestinese.
TE = Talmudic Encyclopedia, Yad haRav Herzog, Jerusalem 1973 (2) in ebrai
TB = Talmud Babilonese.

RINGRAZIAMENTO

Il prof. Alfonso M. di Nola mi ha guidato nell'impostazione di quest'articolo e


nella discussione delle sue tesi. Devo molto alla collaborazione e alla pazienza dei
professori che hanno letto la precedente versione del testo e hanno aggiunto critiche
e suggerimenti: Sofia Boesch, Giovanni Levi, Michele Luzzatti, Daniela Piattelli, Al-
fredo M. Rabello, Kenneth Stow. L'aiuto prezioso di Anna Foa merita una citazione
a parte.

NOTE AL TESTO

1 Questo il testo della Mishnà, nella traduzione di V. Castiglioni (II vol, Terz
ordine, p. 239 dell'edizione del 1962); la parte saliente è riportata in corsivo:
«In tutti i casi in cui avviene un matrimonio senza prevaricazione, il nascituro
va dietro al maschio. In qual caso? Nel caso della figlia di un sacerdote, di un levi
o di un Israelita laico che sposano un sacerdote, un levita o un Israelita laico.
In tutti quei casi invece in cui avviene un matrimonio in cui vi sia prevarica-
zione, il neonato segue la parte dei due che è difettosa. In quale caso? In caso d
una vedova che sposi un sommo sacerdote, o di una divorziata, od una che ha com
piuto lo scalzamento che sposi un sacerdote comune; una spuria, o una Netinea ch
sposi un Israelita laico, una Israelita che sposi un Netineo o uno spurio.
In tutti quei casi in cui il suo matrimonio con lui non può seguire, ma il matri
monio con altri potrebbe seguire, il neonato è spurio; e chi è questi? Questi è c
compie con persona consanguinea uno di quei matrimoni che la Scrittura punis
con la pena dello sterminio.
Così pure per tutte quelle donne il cui matrimonio non sarebbe valido né con lui n
con altri, il neonato è come lei. E chi sarebbe questi? Questi sarebbe il figlio di un
schiava (nata) pagana».
Il padre assente 1 95

La traduzione di quest'ultima espressione deri


omette la congiunzione we tra le parole «schiava
del testo (cfr. ad es. il Codex Kaufmann) e il sens
nimamente i commenti, iniziando dai Talmudìm
figlio di una schiava e di una pagana».
La datazione si basa sul riferimento talmudico ai sistemi di due tannaim della
quarta generazione (R. Jehudà e Jossi); altri tendono a retrodatare la Mishnà al
Sinedrio di Javneh (dal 71 dell. E. V.).
2 Una importante raccolta di articoli che riassumono i termini del problema e
lo discutono sotto nuove forme è nel volume 34, n. 1, Winter 1985, della rivista
«Judaism».
Soprattutto in campo giuridico - aspetto preminente nell'oggetto che qui si
discute - sta emergendo un orientamento molto critico sulla legittimità di studi
comparativi. Un testo ormai classico su questa problematica è quello di Edoardo
Volterra, Diritto Romano e diritti Orientali , Bologna 1937.
4 V. Aptowitzer, Spuren des Matriarchats im juedischen Schriftum, in «Hebrew
Union College Annual», IV, pp. 207-240 (= I) e V, pp. 261-297 (= II).
5 Cfr. Uwe Wesel, Il mito del matriarcato, Milano 1985; una raccolta delle fonti
classiche principali in I. Magu, Matriarcato e potere delle donne, Milano 1982; una
sintesi in A. M. di Nola, EdR voi. 3, col. 1790-1813.
6 Cfr. in proposito le osservazioni di P. Sigal, Halakhic Perspectives on the Ma-
trilineal - Patrilineal Principles, in «Judaism», ibid. pp. 90-91. Proprio Rabbi Akivà,
sostenitore ideologico della rivolta di Bar Kochbà, considerava mamzer il figlio di
un'ebrea e uno straniero (T. B. Yevamot 70a); difficile pensare che una tale qualifica
sia giustificata da intenti umanitari e riparatori.
7 S. J. D. Cohen, The Matrilinear Principle in Historical Perspective, in «Ju-
daism», ibid. p. 13. All'inizio dall'articolo c'è una rassegna critica delle opinioni
"classiche" sul problema, che qui viene ripresa in parte.
8 Cfr. in Jevamot 97b-98a il commento e le deduzioni di Rava dal caso prospet-
tato nella Mishnà di due fratelli gemelli proseliti o affrancati, che non sono conside-
rati fratelli, malgrado l'evidenza della loro origine: «quando i Maestri hanno detto
che non vi è paternità per l'Egiziano, ciò non dipende dal fatto che poiché sono
sprofondati nella lussuria la paternità non è riconoscibile, ma quando invece la si
conosce ci si preoccupa della paternità; al contrario anche quando la si conosce non
va considerata . . .». Si noti per inciso la speculari tà della presunzione ebraica di
lussuria diffusa tra i Gentili con l'accusa che Tacito muoveva agli ebrei («proiectis-
sima ad libidinem gens»).
9 Cfr. la voce «chosheshin lezera' haav» in TE voi. 13 col. 408-410 in particola-
re per quanto riguarda le motivazioni della divergenza rabbinica sull'applicazione
della norma biblica che vieta la macellazione simultanea dell'animale e del figlio
(Lev. 22:28), dove per genitore si intende la madre, ma per alcuni potrebbe anche
essere il padre. Cfr. avanti il cap. 14 e la n. 83.
10 Cfr. Wesel, Matriarcato, cit., p. 134.
11 Come quella del diritto materno all'affidamento dei minori di sei anni in ca-
so di divorzio, in ossequio al principio per cui «per il piccolo è meglio stare con la
madre» (TB Eruvin 82b); cfr. anche ibid., 82a la definizione del «piccolo che ha bi-
sogno della madre»; e ancora TB Ketubboth 65 v; per la codificazione Maimonide
Ishùth 21:17, Sh. Arukh, Even Ha'Ezer 82, TE alla voce «Gherushà», vol. VI col. 329-
332. Tuttavia si noti che la donna divorziata non ha in linea di massima l'obbligo
di allattare i suoi figli (in base a TB Ketubboth 59b, per le codificazioni vedi fonti
citate).
12 Cfr. ad es. le norme sulla legittimità di baliatico tra ebrei e idolatri, dove i
196 Riccardo Di Segni

motivi delle proibizioni non hanno niente a che fa


(TB Avodà Zarà 26a); il concetto giuridico di Tinoq
lattante preso prigioniero tra gli stranieri»), che re
mancata educazione religiosa non è responsabile di
retòth 3b); cfr. anche la norma che considera ebrei
rinnegato la propria fede (ma se anche la madre
versia: Sh. Arùkh, J. D. 266:12 e i commenti di SHa
13 B. Cohen, Jewish and Roman Law: A comparat
1, p. XI; S. J. D. Cohen, art. cit., pp. 11-12.
14 Cfr. le osservazioni a S. Cohen mosse da nello
in particolare a p. 91-92 (da P. Sigal), ap. 112 (da
(da B. Zlotowi tz).
15 Neil. art. cit., pp. 12-13.
16 Lee Haas citato da P. Sigal, ibid., p. 90 n. 7.
T. Weiss Rosmarin, Matriliny- a Survival of Poly
112-118.
18 Cfr. Wesel, Matriarcato cit., p. 186-187.
19 Louis Jacobs, There Is No Problem Of Descent, in «Judaism», ibid., p. 57-58.
20 TB Taanith 30b, BB 121a, Ekhà Rabbà, Introduzione: 33, riferiscono una tra-
dizione amoraica che spiega la festa del 15 di Av come ricordo dell'abrogazione del
decreto endogamico.
21 La più importante è rappresentata dal libro di Tobia, non canonico, che rac-
conta la storia di una donna che ha perso sette mariti perché lontani da lei, e che
finalmente trova l'armonia coniugale con un cugino, al quale il padre aveva racco-
mandato l'unione con una donna della sua tribù: cfr. i passi 1:9, 4:12, 6:10-13, 7:10-
1 1 . La composizione del testo è ritenuta di epoca postesilica, comunque anteriore al
200 av. E.V. (cfr. Tobia a cura di S. Virgulin, ed. Paoline, Roma 1983, pp. 15-18).
Tra le diverse fonti rabbiniche si possono citare TP Qidd. 4:4, Ketub. 1:5, che parla
di una punizione stabilita dai Maestri per indurre a cercare una donna del proprio
rango; TB Sanh. 76a e Pesach. 49a sulla dissacrazione che comporta l'unione di una
figlia di Sacerdote con un comune israelita; di fatto i membri delle famiglie sacer-
dotali continuavano a sposarsi tra di loro, come in TB Ber. 58a. Una raccolta di
queste fonti, con altri dati è in Aptowitzer, cit., II 289-295. Cfr. anche alla nota suc-
cessiva. Per le fonti sul matrimonio in seno alla famiglia cfr. avanti n. 55.
22 Cfr. i primi versi di Giud. 11, in cui è detto che Jefte era figlio di una zonà
(prostituta, o genericamente «deviante») e per questo era stato allontanato da casa
e privato della proprietà dai fratelli, figli della moglie legittima. Può essere possibi-
le una spiegazione della «devianza» materna nel senso della appartenenza a un al-
tra tribù; sembra una spiegazione apologetica, ma è documentata in una «aggiun-
ta» al Targum citata nel commento (ad 1.) di David Qimchi. Dando per buona que-
sta lettura, ciò significherebbe che il figlio di un'unione tribale mista viene privato
della proprietà paterna; ma bisogna ancora vedere se questo comportamento sia
stato veramente conforme alla legge vigente, e non un sopruso perpetrato dai fratel-
li.
23 Gen. 24:3-4, 27:46, 28:6-9, 34:14-15, Es. 34:16, Dt 7:3-4, 23:4-9, Giud. 3:6,
Esra 9 e 10, Neh. 10 e 13, Mal. 2:11-16: brani che attestano oltre all'opposizione di
principio la diffusione reale dell'esogamia.
24 In epoca biblica non si parla di «conversione» nei modi successivamente sta-
biliti dai rabbini, ma tracce di procedure di integrazione emergono proprio in alcu-
ni dei casi citati: la «adozione» da parte di Giacobbe dei due figli di Giuseppe -
Gen. 48:5 e 16 -; la circoncisione fatta da Zippora al figlio - Es. 4:25 -; la dichiara-
zione di integrazione religiosa e nazionale di Ruth - Ruth 1:16 -, la «nomina» del
Il padre assente 197

figlio - ibid. 4:15, con espressione che ricorda que


zione» del figlio da parte dell'ex suocera - ibid. 4:1
ne» o di «integrazione» può essere considerata la
gioniera di guerra in Deut. 21:10-14. Sulla circonc
al gruppo, cfr. Gen. 17:13 e 23, e Genesi 34. Cfr.
297; sulla adozione cfr. EM alla voce «Imutz»; Alfr
della «Patria Potestas», Milano 1979, p. 341 n. 68.
25 Cfr. Y. Kaufmann, Toledoth haEmunah halvri
4 pp. 284 ss, 297, 357, 370. Kaufmann riprende un
Aptowitzer I p. 221 ss. Sul rapporto tra Ezra e il
in Hamesh Meghilloth 'im penish Da'ath Miqrà, pp
26 Per una sintesi del problema, con ampi rim
voci «Mishpachà» e «Nissuin», con particolare rife
trilocalità e l'avuncolato, e le tesi relativamente
triarchia. Si noti tra l'altro come a parte delle tra
Bibbia, e di controversa interpretazione, vi sia u
istituti familiari, molti dei quali a possibile signif
Labano, fratello di Rebecca e suocero di Giacobbe
del fratello nelle nozze della sorella (Gen. 24:58, cfr. EdR 3:154), avuncolato con
appropriazione della discendenza e del patrimonio (Gen. 31:43), matrilocalità delle
nozze, matrimonio con cugine incrociate, matrimonio con cognata, nozze per servi-
zio («Bride-service» o «Dienstehe»; sull'interpretazione come dissoluzione del ma-
triarcato cfr. E. Gasparini, Il matriarcato slavo, Firenze 1973, p. 248 e n. 136) ecc.
Molti di questi istituti scompaiono quasi completamente nelle storie bibliche suc-
cessive. Forse il distacco traumatico tra Giacobbe e Labano rispecchia proprio l'op-
posizione simbolica tra due diverse forme di organizzazione. Anche le nozze di Mo-
sé sono matrilocali, ma non a caso rispecchiano un caso atipico, quello dello stra-
niero; cfr. Es. 2:21-22; così anche le nozze matrilocali di Sansone con una filistea
(Giud. 14) possono rispecchiare un uso filisteo e non ebraico; tra l'altro nel racconto
il matrimonio viene sciolto dal suocero, come nella afairesis greca, istituto inesi-
stente nell'ebraismo. Nella successione al trono vi è un unico - benché importante -
esempio di genero che succede al suocero, nella storia di Saul e David (che suggeri-
sce analogie con usi lontani, come in Frazer, Il ramo d'oro, Torino, vol. 1, pp. 241
ss); ma è troppo poco per deduzioni allargate. Ulteriori dati alla n. 46. Sul ruolo
paterno nel diritto ebraico, cfr. Rabello, op. cit., pp. 321-362.
Cfr. A. Malamat, Biblical Genealogies and African Lineage Systems, in «Archi-
ves europeéns de sociologie», 14, 1973, pp. 126-127 ipotesi per taluni versi suggesti-
va, per quanto sia notevole la distanza temporale e geografica, come osserva J. A.
Soggin, Storia d'Israele, Brescia 1984, p. 66 e 266, n. 51 (con altra bibliografia).
2 Wesel, op. cit., p. 175. Lo stretto rapporto tra matriarcato e orticoltura è
ampiamente confermato dal modello della società slava, cfr. Gasparini, Il matriarca-
to slavo cit.
29 Orto, in ebraico gan, è nella maggioranza dei casi riferito all'orto (o giardi-
no) dell'Eden, in Gen. 2 e 3 ed Ez. 28 e 31. Forse ciò che Eva ha fatto proprio nel-
l'orto potrebbe avere remoti collegamenti con il ricordo del ruolo della donna nella
sua coltivazione, ma in Gen. 2:15 è all'uomo che è affidato questo ruolo. Altrove
l'orto sembra una prerogativa reale (1 Re 21:2, 2 Re 21:18 e 26, Ger. 39:4 e 52:7,
Neh. 3:15). La terra d'Israele non si irriga come un'orto (Deut. 11:10). Notevole la
simbologia femminile dell'orto (da interpretare come residuo del ruolo femminile?)
che trova esplicita espressione nel Cantico, ove la sposa è paragonata ad un orto
chiuso (4:12).
30 I figli sono «usciti» dalla coscia (jerekh )» paterna (Gen. 46:26, Es. 1:5, Giud.
198 Riccardo Di Segni

8:30); i discendenti dell'uomo sono «coloro che escono dai lombi ( chalatzaim )» in
Gen. 35:11, 1 Re 8:19, 2 Cr. 6:9; il «seme» (zera') indica tra l'altro sia il liquido
seminale che la prole, dell'uomo e della donna (come nella benedizione a Rebecca,
in Gen. 24:60 e parallelo in Is. 54:3); il verbo con la stessa radice nella forma passi-
va nif al significa essere fecondati (Num. 5:28) e nella forma hifil concepire (Lev.
12:2); nella radice jld la forma gal indica il ruolo femminile del parto e della gene-
razione e V hifil, sempre maschile, il fecondare, generale, l'avere figli; toledòth sono
all'origine le generazioni, sempre riferite all'uomo: cfr. S. Mandelkern, Veterìs Te-
stamenti Concordantiae, Jerusalem 1971 pp. 463-465 e 478-482. Nella letteratura
rabbinica non c'è alcun dubbio su questi concetti; il Talmùd conosce e discute la
possibilità per una donna di rimanere incinta facendosi il bagno dove prima vi è
stato un uomo che ha eiaculato: cfr. TB Chaghigà 15a. Il problema sarebbe piutto-
sto quello della tendenza a sottovalutare il ruolo femminile, in analogia al pensiero
greco. Contro questo rischio si segnala una interpretazione embriologica in TB Nid-
dà 3 la che riconosce tre parti nella formazione dell'uomo: il padre, che contribuisce
per «il bianco», da cui le ossa, i nervi, le unghie, il cervello e il bianco dell'occhio;
la donna per «il rosso» da cui la pelle, la carne, i peli e il nero dell'occhio; Dio per
l'anima e lo spirito, la fisionomia (qlastar panim), la vista, l'udito, la parola, il mo-
vimento e l'intelligenza. Il «bianco» e il «rosso» derivano evidentemente dal colore
dei rispettivi liquidi che escono dai genitali. Tradizioni molto simili sono reperibili
anche a livello etnologico come presso i Venda della Rhodesia e qui la nozione di
parentela bilaterale viene interpretata come fusione di elementi pastorali-patriarca-
li e agri colo-matriarcali (cfr. EdR 5:329). In tradizioni slave il «rosso» è il sangue
maschile e il «bianco» il latte femminile (cfr. Gasparini, cit.). Il mondo greco am-
metteva invece un ruolo prevalentemente maschile nella procreazione, mentre la
donna è solo «nutrice del seme gettato in lei» (Eschilo, Eumenidi ); cfr. Wesel, op.
cit., p. 79 e E. Cantarella, L'ambiguo malanno, Roma 1986, p. 80-81, 90. Un isolato
riscontro rabbinico dell'idea aristotelica che paragona il concepimento al coagulo
del latte è in Waiqrà Rabbà 14/9.
31 Cfr. Wesel, op. cit., pp. 54-62 e Cantarella op. cit., p. 126. In compenso i
recenti studi sull'istituto dell'ipoteca dei beni del marito in favore della moglie,
sancito nel contratto nuziale egiziano, hanno mostrato in nuova luce le istituzioni
ebraiche della Ketubbà: cfr. Geller, New Sources for the Origins of the Rabbinic Ke-
tuba, in «HUCA», 49 (1978), pp. 227-245; D. Piattelli, Le garanzie delle obbligazioni
nelle fonti ebraiche - osservazioni in margine al problema dell'origine della Ketubah, in
Mélanges a la mémoire de Marcel-Henry Prévost, pp. 105-122.
32 Cfr. Es. 1:16 e 22 e Shemòth Rabbà 1:18, con il commento di 'Etz Josef.
33 Cfr. Wesel, op. cit., pp. 48-54.
34 Nella Bibbia, e con maggiore precisione nella letteratura rabbinica, si distin-
gue tra due diverse categorie di schiavi, quelli ebrei e quelli non ebrei (per i non
ebrei in part. cfr. Lev. 25:42-44; Es. 21:26-27, secondo l'interpretazione rabbinica, si
riferisce a questo tipo di schiavi). Le normative riguardanti i loro diritti e doveri, le
modalità di affrancamento ecc. sono notevolmente diverse nei due gruppl. In tutte
le regole che stiamo considerando lo schiavo che non trasmette paternità è quello
non ebreo (cfr. TB Qiddushin 69a). Questi è uno straniero che dal momento dell'ac-
quisto ha dodici mesi per decidere se accettare il rito di ingresso come schiavo,
consistente in circoncisione e bagno rituale; se rifiuta deve essere rivenduto a non
ebrei. Una volta integrato entra in un sistema di tutela preciso, e se affrancato di-
venta ebreo a tutti gli effetti. La codificazione della normativa sugli schiavi è in
Maimonide, Avadìm, e in SH. Ar., Y. D. 267. Nella coppia di schiavi in Es. 21:4 (ci-
tata nel § successivo) la donna di cui si parla è, secondo i Rabbini, una schiava non
ebrea (TB Qiddushin 20a).
Il padre assente 199

35 Cfr. Gen. 21:10 e 13 dove Ismaele è chiamato


ereditare; l'espressione «figlio della tua serva» tor
co in Es. 23:12; sugli altri figli di Abramo cfr. Gen
caso più sfumate) tra i figli di Giacobbe cfr. Gen.
(I 3:9) esclude i figli delle concubine di David ne
guarda l'eredità, probabilmente in epoca tribale il
il figlio che preferiva (EM, voce Pileghesh)', in ogn
indicano uno status dei figli almeno in partenza in
caso di Jefte, cfr. sopra n. 22, può essere letto anc
di status inferiore; cfr. il commento di J. Kaufmann
36 II caso di uno schiavo che stringe legami di p
glia ebraica è documentato in Neh. 2:10 e 6:18, m
dell'eventuale prole. Cfr. in proposito anche TB Qi
37 Cfr. le leggi di Hittite I 31-34 (ANET p. 190);
Lipit-Ishtar 25 e 27 (ANET p. 160); Eshnuna 32-3
183); di Hammurabi 119 (ANET p. 171) 144-149 (A
175-176 (ANET p. 174). Il confronto delle leggi di
cali è già in Aptowitzer I pp. 215 ss. Cfr. EM voc e
Yaron, The Laws of Eshnuna, Jerusalem 1969; H. S
d'Eshnuna, in «Rev. Intern, des droits de l'Antiquit
bibliografico in n. 1; G. Cardascia, Les Lois Assyrie
Hittite Laws, London 1951.
Sulla Grecia e Atene in particolare cfr. A. R. W.
Oxford 1968, pp. 164; cfr. anche A. Biscardi-E. Ca
Antico, Milano 1974. Su Delfi cfr. Keith Hopkins, C
dell'impero romano, Torino 1984, pp. 160-161, 16
Iscriptiones Creticae - IV Tituli Gortynii, Roma 19
39 Sugli Sciti parla Erodoto (IV 1-4). Racconti a
fondazione di Taranto e Locri Epizefiri; in questo
data da Polibio (XII 5-6) specifica che nella città
locresi la nobiltà deriva dalle donne. Sul significat
broke, in «Annales ESC», 25 (1970), pp. 1240 ss.;
Scythes, Théra, Rome: précédents antiques au thème
«Mélanges de l'Ecole Française de Rome», 86 (1974)
to che questi saggi ignorano il parallelo biblico del
citato al § 3.2 e che presenta alcuni caratteri ana
et gynécocratie dans la tradition, le mythe, l'utop
pp. 267-288; cfr. anche Moses I. Finley, Schiavitù a
Bari 1981, p. 159 e Cantarella p. 36.
40 Briquel, op. cit., p. 686-687, a proposito della
ne di Taranto e Locri (cfr. sopra n. 39) e quelli d
citazione tedesca è da F. Altheim, Die griechischen
143.
41 Una precisa coscienza di questo fatto, che ha certe origini bibliche, è docu-
mentata nella discussione rabbinica in TB Jevamoth 23a.
42 Le fonti rabbiniche principali che discutono le origini bibliche del principio
sono in TB A. Z. 36b; cfr. anche TP Sotà 1:8. Una sintesi delle discussioni rabbiniche
e della successiva codificazione è in TE alle voci «Chatnut» (voi. 18 col. 356-366) e
«Bóel Aramit» (voi. 3, p. 14-16).
43 Harrison, op. cit., pp. 24-26; U. E. Paoli, Lo stato di cittadinanza in Atene, in
Studi di diritto attico III, Firenze 1930 (Milano 274), pp. 264, 272-274.
44 Wesel, op. cit., pp. 182 ss.
200 Riccardo Di Segni

45 Cfr. ad es. Gen. l'episodio di Dina, Es. 20:17, De


sintesi con ampia bibliografia ed elementi comparat
Albeck, The Rights of Acquisition in the Talmud, in
bello, op. cit., n. 31 p. 331.
«L acquisto della sposa è presente nelle società
una proprietà di tipo gentilizio, mentre in quella
prietà privata è presente la dote», da Wesel, ibid. L
bibliche patrilinare; lo schema ideale fornito dai b
di divisione e trasmissione ereditaria della terra p
fissa regolata per discendenza maschile (e femmin
tal caso condizionata da precisi vincoli endogamic
biarono essenzialmente nell'evoluzione storica, ma cessò certamente il modello
ideale di divisione della proprietà su base tribale, con conseguente estensione della
proprietà privata.- Nel matrimonio assume parallelamente importanza la dote fem-
minile ( nedunia ), accompagnata da precisa normativa di tutela. Accanto a questo,
la parentela, fin dalle origini (come vedremo nel capitolo successivo) si fonda sul
vincolo di sangue e riconosce entrambi i rami di origine, paterno e materno.
47 Cfr. EE alle voci «Matrimonio» e «Maschile/femminile».
48 TB A. Z. 36b: per alcuni rabbini la proibizione biblica dell'esogamia riguar-
da solo lo straniero che si unisce all'ebrea, in quanto «se la trascina appresso» ( de -
mashkha abatre: nel senso che se la porta via), e sarebbe già implicita in Gen. 38:24;
cfr. sopra n. 42.
49 Per una sintesi del problema cfr. EM alla voce «arajot» e relativa bibliogra-
fia. Sui brani biblici citati cfr. i commenti classici in loco; Sara è nipote di Abramo
anche secondo Giuseppe Flavio, Antichità cap. 14; cfr. inoltre U. Cassuto A Commen-
tary on the Book of Genesis, Jerusalem 1969, p. 188-189 (in ebr.). Sull'ipotesi ma-
triarcale cfr. Aptowitzer, op. cit., pp. 211-213, 231-236 e L. M. Epstein, Marriage
Laws in the Bible and the Talmud, Cambridge 1942, pp. 220-274. Sui Caraiti, cfr. L.
Nemoy, Two Controversial Points in the Karaite Law of Incest, in «HUCA», vol. 49
(1978), pp. 247-266.
50 beshittatàn heshivàn, Abramo avrebbe risposto facendo riferimento al siste-
ma in uso presso i popoli a lui vicini; cfr. Bereshith Rabbà 18:7. Nelle proibizioni
incestuose a noi note del Vicino Oriente Antico (cfr. avanti al § 12:2 e tavola I),
questo concetto non compare. È presente invece nella legislazione ateniese, ma non
è un dato diffuso: a Sparta sarebbe stata in vigore la norma opposta. Le fonti su
quest'uso sono però tarde ed il primo che ne parla è stranamente proprio un ebreo,
Filone, in de spec, leg., III 22. La critica ha discusso sulla attendibilità della fonte,
cfr. Harrison, op. cit., 1 p. 22, e L. Beauchet, Histoire du droit privé de la République
Athénienne. Le droit de famille I, Paris 1897, pp. 165-176 (ma sembra aver ignorato il
possibile riferimento comparativo alla fonte biblica e alla relativa lettura rabbini-
ca).
51 Cfr. Deut. 13:7, dove il fratello che corrompe, in quanto maggiore è l'influen-
za, è quello materno; in Gen. 34 e 2 Sam. 13 sono i fratelli da parte di madre che
vendicano l'onore di una sorella offesa; sul rapporto di maggiore affinità e vicinan-
za cfr. anche Lev. 21:3, Gen. 27:29, Salmi 50:20, 69:9. Per una sintesi, con cenno a
paralleli ugaritici, EM, alla voce ach weachòt vol. I col. 190.
52 Per una discussione aggiornata, con ampi riferimenti bibliografici, sullo sta-
to della ricerca antropologica sull'incesto cfr. F. Héritier, la voce «Incesto» in Enci-
clopedia Einaudi.
Magghìd Mishnè su Maimonide Ishùth 1:6; cfr. anche Beth Shemuél n. 11 a
Even háEzer 15.
54 Cit., p. 244.
Il padre assente 201

55 La norma rabbinica (la cui fonte talmudica è i


e che persiste anche in testi di codifica tarda: Eve
letteralmente il testo biblico e non lo estende, come
significativamente con altre antiche tradizioni ebr
5. V. anche EM s.v. «dod-dodà». Una importante
nico quasi generale, e che ha sollevato non poche
mento di Rabbenu Jehudà heChassid (Germania, m
Sefer Chassidim, Mosad haRav Kook, Jerusalem 1
nota 32 del commento di R. Margalioth).
56 R. Gordis Patrilinear Descent -a Solution or a Pr
37.
57 Le principali fonti rabbiniche su Agrippa son
Sota 7:16; cfr. Aptowitzer I p. 222, e L. Schiffman
scent, in «Judaism», ibid. p. 79-80.
58 TB Jevamot 78b, Torath Kohanim a Lev. 25
ibid.), Qiddushin 67b. In caso di conversione inv
nella condizione peggiore (ibid.); è un rigore leg
non inficia il principio generale; cfr. anche TE vo
una contraddizione nella regola che stabilisce la co
tra stranieri convertiti di generazioni differenti;
Issurè Bià 12:20) segue un principio matrilineare
questa, e non le altre) è citata da Aptowitzer (I
nelle fonti talmudiche vi sono due versioni oppos
so Maestro (T. B. Jevamoth 78a, Qiddushin 67a) e
versione matrilineare per una serie di differenti co
a Maimonide, ibid.).
Per la schiava si cita Es. 21:4, dove a proposit
detto che «la donna e i figli di lei saranno del pad
vamente non solo per le unioni di schiavi ma an
schiave (TB Qiddushin 68b); per i non ebrei i vers
st'ultimo riferito alla norma sulla prigoniera di g
principio generale - TB ibid.) oppure si sottolinea
sione delle straniere e dei loro figli si attenne a u
Qiddushin 3:12).
60 In base a Ez. 23:20, commentato in TB Jevam
61 Cfr. TB Qiddushin 67b e Jevamoth 78b, con
62 È una divergenza che nel XIII secolo oppose
de, cfr. il suo commento a Lev. 24:11. La divergen
spiegherebbe perché secondo un Midrash ( Sifra Em
bestemmiatore figlio dell'ebrea e dell'egiziano di
braismo ( melammed shenitgajer )»; interpretando
(Nachmanide dice invece che significa solo una a
che la sua conversione era necessaria perché essen
pio matrilineare non era ancora in vigore. Cfr. anc
6; TE vol. V, col. 291. La controversia rabbinica sul
potrebbe essere rispecchiata anche nella discuss
«sporcizia» che il serpente introdusse in Eva con i
rebbe finita, secondo alcuni Maestri con la rivelazione sul Sinai, e secondo altri al-
l'epoca dei Patriarchi; cfr. TB A. Z. 22b , Jevamoth 150b e soprattutto Shabbath 146a;
sul significato del mito cfr. E. E. Urbach, The Sages - Their concepts and beliefs,
Magnes Jerusalem 1971, pp. 146-148, 377-379. Per il resto le variabili interpretative
202 Riccardo Di Segni

di questo mito,per quanto si prestino a suggestivi ac


blema, rendono diffìcili delle conclusioni probanti.
63 Cfr. ad es.
M. Marioth, Caste ranking and food t
in Singer-Chon,Structure and Change in Indian Societ
so in J. Clyde Mitchell, Numerical Technics in Soc
1980.
64 Citato in Wesel, op. cit ., p. 49.
65 Shemòth Rabbà 1:5.
66 La citazione è da G. Pugliese, Istituzioni di diritto romano, Padova 1986, pp.
200-202. La teorizzazione dello «ius gentium» è diversa in Ulpiano (cfr. ibid. pp.
229-232), ma questo non cambia la sostanza del discorso. Cfr. anche E. Volterra,
Istituzioni di diritto privato romano, Roma 1961, pp. 38, 58, 66. Testi ordinati di
Gaio in E. Nardi, Istituzioni di diritto romano, 3 voli., Milano 1975; le fonti sul Se-
natusconsultum Claudiano e successive correzioni sono riportate in G. Haenel, Cor-
pus lequm ab imperatoribus romanis ante Iustinianum latarum, Leipzig 1857 (Aalen-
Darmstat 1965), pp. 50-51. Le fonti sull'evoluzione delle leggi romane sono in Nardi
A pp. 13 e 205, Bp. 13; sugli sviluppi nel Codice Teodosiano cfr. Finley, op. cit., p.
170 e 239 n. 8. Studi specifici sull'argomento: C. Castello, Sulla condizione del figlio
concepito legittimamente e illegittimamente nel diritto romano, in «Rev. Intern, des
droits de l'Antiquité», tome 4, 1950 (Mélanges Fernand De Visscher) pp. 267-296;
Id., La condizione del concepito da libero a schiava e da libero a schiavo in diritto
romano, in Studi in onore di Siro Sollazzi, Napoli, pp. 232 ss.
67 Finley, op . cit., pp. 94-97, 126; Hopkins, op. cit., pp. 148-149, 166-169; EM
voc e'eved per una discussione sulla presenza di patronimici in documenti egiziani.
68 Cfr. TE voi. 2 col. 25 con relativi rimandi.
69 Un'eccezione a questo principio nella Bibbia è in 2 Sam. 9:10, a proposito di
Tzivà, servo di Saul, cui vengono attribuiti dei figli; la notizia non sfugge al Tal-
mùd (B Jevamòth 62a), che dà due spiegazioni per salvare il principio: 1 . si tratta
di una attribuzione senza significato, che si fa «come quando si parla di bovini»;
2. la mancata menzione dei nomi dei figli sottolinea la mancanza di un rapporto
filiale vero e proprio.
70 Cfr. Mandelkern, op. cit., pp. 752-4.
71 Gen. 22:5, quando Abramo ordina ai suoi servi di aspettarlo mentre sale a
sacrificare Isacco: «sostate qui insieme all'asino»; il commento (TB Jevamòth 62a)
dice: «gente che è simile all'asino».
72 Con esplicita menzione delle origini storiche dell'intero popolo ebraico come
servi affrancati (Deut. 5:15 ecc.), il diritto ebraico biblico e rabbinico si distingue
notevolmente per norme «umanitarie» a favore degli schiavi anche stranieri; proibi-
sce la restituzione del servo fuggitivo (Deut. 23:16-17), impone il riposo sabbatico,
tutela l'integrità fisica imponendo la liberazione in caso di danno ad un organo (Es.
21:26-27), garantisce dall'abuso sessuale imponendo diritti nuziali (Deut. 21:10 ss.)
o proibendo ogni rapporto irregolare. Per una sintesi dei problemi critici che emer-
gono dal confronto con legislazioni contemporanee alla Bibbia cfr. EM voce «eved».
Sul problema «umanitario» dello schiavo in epoca classica, cfr. Finley, Schiavitù,
cit., pp. 122 ss. Il comportamento umanitario nei riguardi dello schiavo straniero,
come espressione di specificità ebraica, è ribadito in Maimonide, alla fine del trat-
tato' Avadìm.
73 Nel brano citato il paragone con gli animali serve a giustificare con forza il
tentativo rabbinico di trovare una soluzione radicale al drammatico problema giu-
ridico del mamzér, condannato a trasmettere in eterno la sua condizione, a meno
che non si unisca a una schiava, che appunto in quanto «animale» e dunque «im-
Il padre assente 203

permeabile» alla paternità produrrà un figlio mond


§ 11.1.
74 Che in qualche modo ricorda, rispetto ai mode
calità dell'opposizione sociale tra liberi e schiavi s
menti riscontrabile a Sparta; cfr. Vidal-Naquet, op
75 II divieto rabbinico compare nella traduzion
23:18 (che solo nei versi precedenti, ma non in qu
esplicitamente agli schiavi); è codificato in Maimo
degli schiavi cfr. Finely p. 125-126, che cita tra gl
crimine per chi è nato libero, una necessità per lo s
il liberto» (Controv. IV praef. 10).
76 Finley, op. cit., pp. 158-160, 237 n. 99.
77 Cfr. sopra n. 41. Teoricamente vi è un'altra co
tra Gentile e schiavi, ma non è definita nel Talmùd
autorità medioevali; secondo Maimonide, Avadim
bisogna applicare il principio matrilineare; Avrah
RAVAD ibid., non è d'accordo almeno nel caso in
perché secondo lui tra i Gentili il principio patrilin
Restando così indefinito il problema non è possibile
clusioni probanti. Cfr. anche TE voce goj , col. 289-
78 Jevamoth 22b; cfr. TE voi. 4 col. 746.
L'opinione di R. Eliezer è in TB Sanh. 58a; quel
Meir ibid. 57b e 58a; le interpretazioni divergent
57b, e in Nachmanide Jevamoth 98a; una opinione d
in TP Jevamoth 11:2. La codificazione di Maimonide, in Melakhim 9:5 adotta, stra-
namente, una soluzione di compromesso tra le varie opinioni. Cfr. TE voi. 3 pp.
351-352.
80 Cfr. sopra § 10.4 e nota 60; TE voi. 5 col. 293.
81 Da Shaye Cohen in Judaism ibid. p. 12.
82 Cfr. ad es. TP Sotà 1:8 dove commentando l'espressione «arrivarono alle vi-
gne di Timna» (Giud. 14:5), riferito a Sansone e ai suoi genitori, il commento mette
in bocca ai genitori, a proposito delle donne filistee: «come le loro vigne sono semi-
nate con mescolanze ( kilajim ), così le loro figlie sono seminate miste».
83 Chosheshim lezera haav ; non solo la regola dei kilajim rientra in questo pro-
blema, ma anche l'applicazione del divieto di macellazione di padre e figlio nello
stesso giorno (Lev. 22:28), la definizione di un animale come domestico o selvatico
- utile per le regole sul grasso e la copertura del sangue dopo la macellazione -, la
primogenitura, il rimborso di un furto ecc. Per una dettagliata esposizione del prin-
cipio cfr. TE voi. 13, col. 408-421. Cfr. anche n. 9.
84 haben karukh achar imo, cfr. TE ibid. col. 410.
85 tehorah enà mit'aberet mitemeà TB Bekhorot 7a.
86 Cfr. TE voi. 5 col. 322-326.
87 Per una sintesi cfr. in EdR la voce «Madre, Terra Madre, Grande Madre»,
3:1790-1813; una verifica della presenza di questo tema nella Bibbia è in N. Frye, Il
grande codice, Torino 1986, pp. 102-106, 146-150, 187, 201. Cfr. anche E. Roellen-
bleck, Magna Mater in Alten Testament, Darmstadt 1949.
88 Cfr. R. Di Segni, Le unghie di Adamo, Napoli 1982, pp. 21-25.
89 Cfr. le storie della nascita di Sansone (Giud. 13:5) e di Samuele (1 Sam. 1), o
il brano in Is. 7:14, di cui sono ben note le interpretazioni cristiane; ma che anche
nella lettura limitativa dell'esegesi ebraica non sfugge al significato salvifico della
gravidanza.
90 Come nelle spiegazioni della misteriosa inclusione di Serach, figlia di Asher,
204 Riccardo Di Segni

unica donna tra gli uomini citati tra coloro che sce
Num. 26:46) e persino identificata, nel comune denom
donna che salva dall'assedio la città di Avel in 2 Sam. 20:17-22; cfr. Bereshith Rab-
bà 94:8, Shemoth Rabbà 20:17. V. anche sopra al § 5.2 e n. 65.
Anche in un ambito differente, il rito del riscatto del primogenito, il ruolo fem-
minile viene esaltato e sacralizzato «più o meno coscientemente»; cfr. P. Hidiro-
glou, « Pidyon ha-ben» Le Rachat du premier-né dans la tradition juive ; in «L'Hom-
me», 105 (1988), pp. 64-75.
91 cfr. l'uso del tema nei libri profetici di Osea, diffusamente, in Isaia 49:14 ss,
50, 54:1-8, 62:5, in Ezechiele (ad es. nel cap. 16), in Geremia, cap. 2:1-3 e cap. 31;
l'interpretazione tradizionale del Cantico dei Cantici si basa su questa metafora.
92 Sulla diffusione dell'idea cfr. EdR voi. 5: 983-987; per i singoli nella Bibbia
cfr. ad es. Gen. 26:24, Num. 12:7, Gios. 1:2, 1 Re 14:8, Is. 49:1-7; per i giusti come
servi Is. 54:17, Sal. 113:1, 135:1.
93 Per quanto si tratti di una etimologia molto incerta, si può richiamare a
questo proposito il rapporto, proposto tra alcuni critici, tra il termine Hapiru pre-
sente nelle fonti del Vicino Oriente con il significato di «straniero povero», e l'ebrai-
co ^ '¿vri, che all'inizio avrebbe indicato una condizione sociale, e solo tardivamente
l'Israelita, come popolo oppresso; cfr. Soggin Storia, p. 169. In Gen. 41:12 compaio-
no in successione i termini di «ragazzo ebreo servo».
94 Cfr. l'interpretazione di Rabbenu Efraim riportata nel N achal Qedumim, il
commento di Ch. J. D. Azulai al Pentateuco, Es. 21:4, Belforte, Livorno 1926.
95 L'irreversibilità e l'eternità del patto divino con Israele sono ribaditi ripetu-
tamente nella Bibbia; cfr. ad es. Osea 2 (espresso con metafora nuziale), Ger. 31:35-
36 (dove la «stirpe» di Israele è eterna come le leggi della creazione), ibid. 32, Eze-
chiele 20:32 ecc. Sul rapporto rabbinico con questi concetti cfr. E. E. Urbach, The
Sages, their concepts and beliefs, Jerusalem 1973, pp. 466-480 (in ebr.). Sulla terra
come possesso divino cfr. Lev. 25:23; come dono incondizionato Deut. 11:17, 29:23-
28, 30:18; Lev. 26:32-36 ecc.
96 Una apparente contraddizione che si delinea a questo punto fornisce ulterio-
ri chiarimenti. La donna ebrea trasmette l'appartenenza all'ebraismo, quale che sia
il suo uomo; una sacerdotessa (kohenet) non trasmette la sua condizione a meno che
il marito non sia egli stesso un kohèn (ma è indifferente che lei lo sia o no). Ciò è
dovuto al fatto che il sacerdozio, in tutte le sue manifestazioni pratiche, è un attri-
buto essenzialmente maschile, mentre l'ebraismo non è un attributo legato al sesso.
97 Rientra in questa concezione il dato dell'esclusività ebraica del concetto di
«spurio» ( mamzer ), che si pone come un grado minimo in una gerarchia sacrale; cfr.
TE voi. 5 col. 292.
98 L'automaticità di questo principio, ormai indiscusso negli ultimi secoli, vie-
ne attualmente rimessa in discussione per la possibilità, offerta da alcune pratiche
di fecondazione artificiale, di far condurre la gravidanza nell'utero di una madre
diversa dalla donna che ha prodotto l'ovulo. Mentre alcuni sembrano propendere a
che sia il grembo a decidere la sorte del nascituro (Rabbi Moshe Hershler, Test
tube babies according to Halakha, in Halakha and Medicine, Jerusalem-Chicago 1980,
vol. 1 pp. 307-320 in ebr.), per altri il concetto di maternità è strettamente legato
all'ovulo, quindi all'origine genetica (Rabbi Y. M. Ben Meir, In vitro Fertilization:
the Legal Relationship of the Embryo and the Surrogate Mother, in «Assia», 41 [1986],
pp. 25-40, in ebr.).

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