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Introduzione
La definizione di Corpus iuris civilis si afferma solo in età medievale, che dunque è da tenere distinto dalle 4
compilazioni normative di Giustiniano (Digesto, Istituzioni, Codice, Novelle). Il Corpus è l’insieme delle fonti
civilistiche di diritto comune:
- 4 compilazioni giustinianee, organizzate in modo diverso;
- Altri corpi normativi = il Corpus non include solo fonti di diritto romano (in particolare giustinianee),
ma fonti normative medievali (diritto longobardo-franco, diritto medievale, etc.) e l’apparato
interpretativo della glossa ordinaria, che accompagna il testo ed è frutto dell’attività interpretativa
medievale (dottrina giuridica medievale).
Il sistema di diritto comune è un sistema giuridico che include fonti giuridiche diverse e lontane fra loro per
origine e per natura:
- Diritto romano giustinianeo = compilazioni promulgate da Giustiniano;
- Glossa ordinaria = interpretazione dottrinale, citata ancora nella piena modernità;
- Iura propria = fonti normative medievali.
Non tutte le fonti sono contenute nel Corpus, altre fonti importanti appartengono ad altri ordini, come la
consuetudine, spesso redatta per iscritto nel medioevo per questioni di certezza e dimostrabilità del diritto.
Può essere redatta come consuetudini locali di una certa area geografica, oppure può confluire negli statuti
delle civitates, le città.
Si distingue fra diritti che hanno carattere universale e diritti che hanno carattere particolare.
Universale:
- Diritto romano comune (Corpus iuris civilis), che regola l’ambito civilistico;
- Diritto canonico (Corpus iuris canonici), che regola l’ambito spirituale, seppur in certe materie si
intreccia con il diritto comune (es. matrimonio, diritto ereditario).
I due diritti, che fanno capo a due fonti distinte, sono in un rapporto osmotico: c’è uno scambio di contenuti
(es. le glosse del Corpus iuris civilis richiamano i decreti canonici; nel Decreto di Graziano molte norme sono
tratte dal diritto romano). I due diritti hanno una propria individualità, facendo capo a due corpi diversi, ma
vivono in un rapporto stretto, tanto che la laurea in diritto fino all’età moderna è la laurea in utroque iure
(anche se poi si specializzano).
Il diritto comune si applica all’intera cristianità senza confini, per questo entra in crisi nell’età moderna
quando i sovrani iniziano a rivendicare la propria autonomia giuridica: fonti normative da applicarsi solo
all’interno dei confini nazionali.
Diritti particolari diritti propri di alcune comunità. I diritti particolari possono riferirsi a comunità data
dalla natura dei suoi membri, oppure data dalla dimensione territoriale/geografica. Sono diritti la cui
applicazione è data da vari status giuridici personali: ad es., il diritto longobardo-franco si applica alle genti
di origine longobarda o franca, dunque la sua applicazione è data dall’appartenenza a quest’origine delle
persone coinvolte nel giudizio. Così anche il diritto feudale, diritto che si applica a dominus, vassalli e
sottoposti. Il diritto commerciale (ius mercatorum) si applica in tutta Europa alle cause legate ai commerci,
rispetto alla natura di mercator della persona o persone coinvolte.
Il diritto locale che si incontra più frequentemente è il diritto statutario, cioè il diritto che il singolo comune
si è dato e che si applica solo all’interno delle mura di quella città. Ci sono poi anche le norme regie, che
diventeranno sempre più numerose nel corso dell’età moderna, dando vita al diritto regio che poi diventerà
il diritto nazionale.
Il diritto proprio è quello più applicato, in particolare il diritto statutario. Tuttavia capitava spesso che il caso
specifico non fosse normato in modo preciso dallo statuto, per una lacuna nello statuto oppure per un
problema di interpretazione delle norme statutarie: in questo caso si richiedeva l’intervento del giurista
dotto, il consilium sapientis iudiciale, che chiariva come a suo giudizio dovesse essere regolato il caso
specifico, decidendo sulla base della sua conoscenza del diritto romano comune, cioè delle norme del
Corpus iuris civilis (o talvolta, canonici). I diritti universali avevano dunque una funzione sussidiaria: il
giurista si forma sullo studio di questi diritti (il programma di studi era lo stesso in qualunque università),
poi, sulla base delle competenze che ha acquisito, esercita e studia il diritto locale del luogo in cui si trova a
lavorare.
Al centro di questo panorama sta la dottrina giuridica medievale, chiamata a risolvere i problemi delle
lacune dell’interpretazione dei vari diritti particolari. Il giudice medievale è un ufficiale comunale che non
ha una formazione giuridica alta, non si è formato in università: ha studiato il diritto particolare, ma non ha
le competenze per risolvere i problemi interpretativi. Inoltre il giudice è responsabile personalmente dei
danni eventualmente provocati da errori giudiziari.
Il coordinamento fra tutte queste fonti del diritto tanto diverse fra loro pone una serie di problemi pratici e
teorici di grande difficoltà: i criteri del coordinamento e della integrazione fra queste fonti sono ricercati e
forniti dalla scienza giuridica. In questo quadro normativo così complesso e articolato, in cui diversi piani
giuridici vengono a sovrapporsi, e non è facile capire quale norma di volta in volta applicare, è nella
sostanza la scienza giuridica che svolge la funzione essenziale di “dire il diritto” (ius dicere, da cui il termine
iurisdictio, giurisdizione), che ha in età medievale un significato molto più ampio di quello odierno, volto a
designare, attraverso il termine ‘giurisdizione’, il complesso degli organi che esercitano il potere
giurisdizionale, separato e distinto da un potere legislativo e da un potere esecutivo.
Dunque, la scienza giuridica svolge, nel contesto del sistema di diritto comune, una funzione che non è
meramente “giurisdizionale” (in senso moderno), ma è nella sostanza una funzione normativa. Nel diritto
medievale la funzione di ius dicere è un’attività da intendersi in senso più ampio, che in certi casi finisce per
sovrapporsi con l’attività legislativa: non c’è ancora la netta separazione dei tre poteri giurisdizionale,
normativo ed esecutivo.
La compilazione giustinianea
L’imperatore d’Oriente Giustiniano dal 527 d.C. progetta la raccolta del diritto romano classico e istituisce
una commissione di lavoro, presieduta dal giurista Triboniano, suo ministro e principale collaboratore in
questa monumentale opera legislativa. La commissione di Triboniano promulga negli anni successivi:
1) Codex (529 d.C.) in 12 libri, raccolta di costituzioni imperiali da Adriano in poi. Non ci è pervenuto.
In seguito è stato sostituito da una nuova versione del codice;
2) Digesta seu Pandectae (533 d.C.), raccolta in 50 libri di iura dei giuristi classici. Si tratta di una
ponderosa e complessa compilazione di materiali normativi e passi dottrinali, che nell’alto
Medioevo cade nell’oblio e risulta quasi sconosciuta;
3) Institutiones (533 d.C.) in 4 libri, una sorta di manuale a scopo didattico, che contiene elementi
fondamentali del diritto;
4) Codex repetitae praelectionis (534 d.C.), raccolta di costituzioni imperiali aggiornata, in 12 libri. Nel
Medioevo ne circolano delle Epitomi, ossia compendi ridotti e semplificati, redatti a fini pratici,
divulgativi e didattici;
5) Novellae Constitutiones, costituzioni imperiali emanate da Giustiniano fra il 534 d.C. e il 565 d.C.,
anno della sua morte, nel loro testo integrale (a differenza di quanto avviene nel Codex, dove sono
inseriti invece solo passi o stralci di costituzioni). Non ne fu redatta una raccolta ufficiale, ma nel
Medioevo ne circolano diverse raccolte private, fra cui l’Epitome Iuliani (che raccoglie 124 novelle)
e l’Authenticum (134 novelle).
Libri Feudorum il diritto feudale ha la sua genesi nel IX sec., è un diritto di formazione prevalentemente
consuetudinaria e raggiunge un assetto ben definito solo nel secolo XII. La prima redazione in iscritto
precisa e sistematica delle principali consuetudini feudali vigenti in Lombardia si ha intorno alla metà del XII
secolo, ad opera di un esperto di diritto feudale e diritto romano, Oberto dell’Orto, che redige due scritti in
forma di lettera, nei quali illustra i fondamenti del diritto feudale al figlio Anselmino, studente a Bologna.
Alla base di questo lavoro c’è in particolare l’Edictum de beneficiis dell’imperatore Corrado II (1037), che
aveva stabilito il principio per cui il diritto del vassallo sul feudo a lui concesso doveva configurarsi come un
vero diritto reale stabile, non revocabile da parte del signore, se non per colpa. Aveva sancito inoltre, in
particolare, l’ereditarietà dei feudi minori, e aveva stabilito le procedure secondo le quali dirimere le
controversie feudali, davanti alla corte dei “pari” del convenuto.
Le Consuetudines feudorum di Oberto dell’Orto, rimaneggiate nel corso del Duecento, confluirono poi nel
quinto volume del Corpus Iuris Civilis, con la denominazione di Libri Feudorum, in appendice alle Novelle,
come X collatio. Anche sui Libri Feudorum la scienza giuridica elabora in seguito apparati di glosse, summae,
commentarii, trattati, etc. La Glossa ordinaria ai Libri Feudorum è una sistemazione operata da Accursio
degli apparati di glosse di Pillio da Medicina e Iacopo di Colombo.
Trattato di Costanza (1183) è il testo della Pace di Costanza, conclusa fra l’imperatore Federico I
Barbarossa e i rappresentanti delle città dell’Italia settentrionale e centrale. Riafferma il dominio dell’
imperatore sull’Italia centro-settentrionale, con il diritto imperiale di approvazione dei consoli e l’obbligo
dei comuni italiani di corrispondergli determinate “regalie”. Rappresenta però anche il primo
riconoscimento ufficiale della vita in gran parte autonoma dei comuni italiani, ed è considerato in questo
senso la “magna charta” delle libertà comunali. L’imperatore riconosce in particolare qui ai comuni italiani
una “piena giurisdizione” (ma non ancora la potestà legislativa).
In quanto atto normativo imperiale, inserito nel Corpus iuris civilis, diventa una vera e propria fonte di
diritto comune. Il commento del giurista Baldo degli Ubaldi al testo della pace di Costanza sarà riportato
nelle edizioni successive del Corpus iuris civilis come Glossa ordinaria al testo.
La glossa è apposta alla lex facturus (o prima). Il titolo II si occupa dell’origine delle magistrature e dell’
evoluzione della giurisprudenza romana. Si parla del problema della legum vetustarum interpretatio:
interpretazione delle leggi antiche, concetto che importa molto alla scienza giuridica medievale (più che la
ricostruzione storica di come erano interpretate le XII tavole nel diritto romano), poiché il diritto romano
comune è perlopiù composto da leggi antiche, anche di sei/sette secoli.
La glossa interpretationem è la glossa numero r, in cui Accursio fa una sintesi su cosa si debba intendere per
interpretazione, in particolare delle leggi antiche.
La glossa fornisce una sorta di fotografia del giurista medievale e, più in generale, della stessa dottrina
giuridica medievale, nella sua opera di libera interpretazione del diritto romano-giustinianeo, alla ricerca
della ratio interna a una norma, del principio di diritto contenuto in quella norma, da reimpiegare poi in
modo duttile, con ampia discrezionalità. In questo senso possiamo dire che la dottrina giuridica medievale
si trova ad assolvere, nella sostanza, una funzione creativa di nuovo diritto.
Il Corpus Iuris Civilis è un complesso di norme che è stato promulgato molti secoli prima per un’altra società
e a rigore non è propriamente diritto vigente nel Medioevo, anche se viene riguardato come tale: non c’è
più un soggetto che possa considerarsi legislatore e garante di questo testo normativo. Questo corpo
normativo è fondamentale per i medievali per motivi diversi da quello di una sua precisa vigenza nell’età
medievale. Infatti, è il complesso normativo più ampio e meglio definito che giunge ai medievali da un’età
passata: questo è il prodotto più alto della tradizione giuridica precedente.
Il carattere di sacralità che circonda il Corpus Iuris Canonici, in quanto formato anche da passi di testi sacri,
si comunica anche al Corpus Iuris Civilis. All’epoca non c’era una separazione fra diritto e teologia, per cui il
giurista medievale riguarda il Corpus Iuris Civilis come un testo sacro: i principi in esso contenuti hanno un
carattere di sacralità, in quanto è considerato l’unica testimonianza tangibile di un concetto di giustizia che
affonda le sue radici nella volontà divina. Dunque l’attività del giurista è anche quella di correzione delle
norme, in quanto il giurista medievale rivendica una propria libertà interpretativa, ma bisogna sempre
tenere presente che questo corpo normativo era considerato quasi alla stregua della Bibbia.