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a) testo, nell'originale latino e in traduzione italiana, delle fonti antiche commentate a lezione;
b) testo di alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione che fanno riferimento a nozioni di diritto romano nella
motivazione della decisione.
M. BRUTTI, Interpretare i contratti. La tradizione, le regole, Torino 2017, limitatamente alle pp. XI-XIV e 1-102.
Libri di testo ed eventuali materiali di lettura per gli studenti non frequentanti
M. P. PAVESE, Scire leges est verba tenere, Torino 2013.
M. BRUTTI, Interpretare i contratti. La tradizione, le regole, Torino 2017, limitatamente alle pp. XI-XIV e 1-102.
M. BIANCHINI, Temi e tecniche della legislazione tardoimperiale, Torino, 2008, limitatamente ai saggi nn. 2, 6, 9, 10,
12, 13, 22, 23, 24, 26
Sulla piattaforma "Aulaweb" è resa disponibile la traduzione italiana dei principali testi esaminati nel primo e nel terzo
dei volumi indicati.
PRESENTAZIONE
La ricerca sui fondamenti del diritto europeo assume un ruolo essenziale per l'esperienza giuridica contemporanea.
Rilevante risulta in primo luogo la riflessione sul metodo del giurista: la confezione e l'interpretazione dei testi normativi
e negoziali traggono insostituibile insegnamento anche dall'attività scientifica dei giuristi romani. Allo stesso modo, la
conoscenza degli aspetti comuni ai vari ordinamenti privatistici europei non può che riferirsi alla comune matrice
romanistica.
OBIETTIVI E CONTENUTI
OBIETTIVI FORMATIVI
La ricerca sui fondamenti del diritto europeo ha naturale riguardo all’ambito privatistico: essa muove dal convincimento
che deve potersi costituire, com’era fino alla vigilia delle codificazioni moderne, una scienza giuridica europea con
principi e metodologia comuni. A questo fine appare indispensabile risalire alle radici lontane degli ordinamenti giuridici
ora vigenti: alla elaborazione dei giuristi romani, alla legislazione tardoimperiale e poi alla successiva tradizione
romanistica. La ripresa e l’approfondimento di alcuni argomenti di diritto processuale e sostanziale attraverso la
riflessione degli antichi maestri di diritto, diacronicamente riproposta e analizzata, costituisce l’orizzonte tematico
dell’insegnamento.
a) saper comprendere il regime di volta in volta dettato per i moderni istituti giuridici anche alla luce della loro
formazione nell'ambito dell'esperienza giuridica romana;
b) saper condurre l'interpretazione dei testi giuridici in modo da cogliere il mutevole rapporto fra l'aspetto linguistico-
letterale della loro formulazione, i correlati orientamenti culturali e i diversi interessi riconducibili al contesto di
riferimento. Gli esempi utilizzati saranno tratti dalle fonti giurisprudenziali romane.
PREREQUISITI
Conoscenza a livello manualistico degli istituti di diritto pubblico e privato di Roma antica.
Superamento dell'esame di "Istituzioni di diritto romano" (previsto come propedeutico anche sul piano regolamentare)
MODALITÀ DIDATTICHE
Lezioni frontali prevalentemente dedicate alla lettura e all'interpretazione, in traduzione, di fonti giurisprudenziali
romane.
PROGRAMMA/CONTENUTO
Modulo interno 1
Usi linguistici e problemi interpretativi nelle fonti del diritto romano relative ai testi autoritativi e rapporti obbligatori.
Modulo interno 2
La responsabilità da inadempimento e da illecito extracontrattuale fra situazioni giuridiche soggettive ed esercizio di
attività economiche
LEZIONE 1 (16.2.2021)
Tutti gli ordinamenti privatistici di civil law e in buona parte di common law e le
istituzioni di carattere pubblicistico trovano il loro fondamento nell'esperienza
giuridica romana. Metodologia per risalire alle origini dei loro istituti. Il metodo del
giurista ordierno si richiama a quello dei giuristi antichi. La scienza del diritto ha un
ambiente di nascita e fondazione ben preciso: l'esperienza giuridica romana. Fisica
moderna, biologia, chimica hanno origine come scienza con Galileo nel 1600:
quanto al diritto, ha origine ben prima, lì, nella tarda repubblica; ciò si può ben
capire leggendo i frammenti del digesto. Come metodo, interpretazione, capacità di
rapportare la regola giuridica alla società cui si riferisce.
Vedremo, inoltre, il rapporto che lega "antichi e moderni" tramite sentenze della
Corte di Cassazione, che riferiscono al diritto romano.
C'è un significato della parola interpretatio1 che permane uguale per tutta
l'esperienza giuridica romana; un altro che muta nel tempo seguendo le fasi dell'
esperienza costituzionale romana: 1) interpretatio iuris (età tardo repubblicana), 2)
interpretatio legis (età imperiale-Principato), 3) interpretatio legum (età del
Dominato, da Domiziano-Costantino fino a Giustiniano).
1 Secondo Gian Gualberto Archi (1908-1997, maestro del maestro di Pavese), studiandone il significato, ha osservato
diversi significati legati alla parola di cui si rende conto nel testo.
Dell'interpretatio come "tractatio" (significato perenne)
Leggiamo in dispensa I, n. 2
n.5:
Una strana opera (collatio) in cui l'anonimo giurista ha tratto dei precetti di diritto
ebraico e dei precetti di diritto romano (!). Ci restituisce frammenti del De adulteris
di Paolo, II-III secolo d.C.
n.6 Digesto, 36° libro (di 50), titolo I, frammento 1 (i più lunghi sono stati
paragrafati, il primo si chiama "principio", il secondo "1").
I filosofi del diritto distinguono, infatti, fra disposizione e norma. Disposizione è la frase in senso
linguistico; la norma è il suo significato. Del primo si evoca la pluralità di significati; in ambito
giuridico si deve decidere, attraverso l'interpretazione, ciò che di quei significati costituisce la
regola, ovvero la norma.
L'interpretazione non è dunque uno stare davanti al diritto come sovrastante e predeterminato.
Dell'interpretatio iuris, o creativa di diritto
Pomponio ci ha lasciato una lunga storia del diritto romano, dalle origini
all'epoca in cui egli scrive, soffermandosi sui momenti fondamentali. Qui si
sofferma su un suo predecessore, Sesto Elio, giurista molto importante.
D.1.2.2.38, Pomponius libro singulari enchiridii
… Sesto Elio fu citato anche da Ennio; di lui resta un
libro intitolato Tripertita, che contiene quelli che
potremmo chiamare i fondamenti del diritto: è detto
‘tripertita’ perché al testo* delle leggi delle XII tavole
segue l’interpretazione, cui si aggiungono infine le legis
actiones…
XII tavole, breve codice normativo, compilato a metà del V secolo (451-450 a.C.).
Centocinquanta anni dopo il supporto materiale sopra cui erano incise andò
perduto, secondo alcuni per invasione Galli di Brenno. Venivano insegnate e
tramandate a memoria nelle scuole: si conservò tramite memoria orale e qualche
scritto disorganico, onde la loro parziale trasmissione. Fino a che Sesto Elio
(console nel 198 a.C.) si dedicò a una ricostruzione palingenetica del testo
perduto delle XII tavole.
Abbiamo due gruppi di testimonianze delle XII tavole: pretesi citatori testuali* da
una parte, commentatori indiretti dall'altra.
Se:
il III libro le azioni processuali (legis actiones più antiche), contenute nelle XII
tavole;
Laddove oggi la siguarda, nella mentalità corrente, come attività di interpretazione di un testo in posizione
di soggezione. Ma corrisponde tale immagine alla realtà effettiva nell'attività del giurista odierno? In effetti,
oggi i giudici sono interpreti e creatori di diritto. Secondo, ad es., il realismo giuridico, l'unico testo giuridico
La multiproprietà è nata fuori dal nostro ordinamento, ma è stata introdotta nel nostro ad opera dei notai,
facendo riferimento non a norme espresse del codice, ma da una loro opera interpretativa. Così anche
l'avvocato, che suggerisce al giudice un'interpretazione creativa di un articolo etc.( ricezione notarile di
Così la dottrina, cioè i professori di diritto attraverso le loro opere, come i responsabili di atti della pubblica
amministrazione.
Dietro le mentite spoglie dell'interpetazione, oggi la creazione del diritto ad opera del giurista è attività
* nel senso, oramai noto, di attività creativa. Ad esempio, i Pontefici romani attraverso i responsi
modellarono il ius civile con nuove applicazioni della mancipatio, istituto giuridico nato per
trasferire una res mancipi (una cosa di particolare valore) dalla sfera potestativa di un pater alla sfera
potestativa dell' altro; tale istituto, nato per trasferire la proprietà delle cose, viene poi, per
suggerimento dell'opera interpretativa e creatrice dei pontefici, utilizzato per creare:
- un nuovo tipo di matrimonio (quello per coemptio);
- un nuovo tipo di testamento;
- un nuovo diritto di garanzia per l'assolvimento di un'obbligazione: dare sé stessi o il figlio
a garanzia di un debito. -> TESI
Tali diverse applicazioni della mancipatio al di fuori dello stretto contenuto della proprietà, furono esercitate
già in età di interpretazione creativa pontificale.
In sintesi:
Attività di creazione "dietro le mentite spoglie dell'interpretazione" -> essa è l'attività ancor oggi
fondamentale del giurista, creatore di diritto attraverso la trattazione e l'argomentazione di leggi.
Storicamente, già fra III e II secolo avanti Cristo si ammette esplicitamente l'equivalenza fra
interpretazione e trattazione del diritto, ovvero ius civile.
LEZIONE 2 (18.2.2021)
Partiamo dalla nozione della distinzione Gaiana dei negozi giuridici re, verbis, litteris (a
forma vincolata), consensu (a forma libera). Si parla di negozi giuridici e non di contratti
(bilaterali), perché fra essi Gaio comprende anche il sorgere di obbligazione unilaterale a
seguito di promessa.
"Centum dari spondes?" (prometti che cento unità di conto siano dati -sott. a me-)
Nota: Il verbo dari è passivo. Che differenza c'è dal punto di vista giuridico tra attivo (dare)
e passivo (dari)? -> il passivo ammette l'adempimento del terzo, benché l'obbligazione
rimanga in capo al promittente.
I giuristi romani ne elaborarono una particolare adatta per coloro che stipulano
frequentemente (professionalmente) per ragioni di affari. Fra A e B si dava il caso che vi
fossero reciproci cumuli di obbligazioni pendenti. La giurisprudenza faceva la somma
algebrica e accertava le compensanzioni dovute; a questo punto interveniva una stipulatio,
tramite cui il promissario richiamava tutte le stipulazioni intercorse e rinunciava alle altre.
Questa estingueva tutte le obbligazioni di cui gli interessati erano parte, sostituendone una
nuova, quella del conto/saldo finale. Strumento comodo per i traffici e aggiustare i conti fra
le parti. Questo schemo che estingue le obbligazioni precedenti e li sostituisce con un
negozio giuridico nuovo è la novazione odierna di diritto positivo.
n.17 dispensa:
– Novazione.
Quindi la regola di comunità primitiva stabiliva a chi dovessero andare i beni; solo in
seguito si affermò la possibilità di fare testamento da parte del pater familias.
La successione intestata si conosce da un versetto della Legge XII tavole (Tabula V):
Marco: prenomen (erano pochi, una quindicina) ; nome: Tullio (gens tullia) ;
cognomen (poteva alludere a qualità fisico/morali): Rufus
Attenzione: fra gli agnati non si faceva luogo alla successio gradum (successione dei
gradi): l'unico erede era l'agnatus proximus, il solo parente in linea collaterale di
grado più vicino. Se lui rinunciava, non spettava ad altri agnati dei gradi successivi:
succedevano i membri della gens.
I giuristi, cioè, stabilirono che i figli emancipati rientrassero a questo effetto (ossia per la
possibilità di succedere sulla base delle leggi delle XII tavole) nella noazio di agnati.
Se dunque, all'inizio i figli emancipati non potevano ereditare secondo le leggi delle XII tavole, in
seguito -afferma Paolo- i figli emancipati, con interpetazione estensiva, rientrarono nella nozione di
agnati per opera della giurisprudenza.
Essi hanno agito sul campo semantico della parola agnatus, interpretandola tale
da ricomprendere il significato di figli.
Questo è un caso esemplare di interpretazione giuridica del diritto da parte dei giureconsulti
romani!
Tre fratelli. Il primo muore e lascia un figlio; poi viene a mancare il secondo che non
ha figli. Aspirano alla successione il fratello in vita e il figlio del fratello premorto.
Per i giuristi eredita solo il fratello in vita, quale agnatus proximus, secondo una
interpretazione letterale e restrittiva delle disposizioni nelle XII tavole. Questi è 2° in
grado, mentre il nipote è in grado 3°; a quest'ultimo, stando all'interpetazione
restrittiva è preclusa l'eredità.
"Quanto agli heredes sui", cf Alberi genealogici: ereditano in parti uguali il figlio e il
nipote. L'interpretazione è un altra, perché l'aggettivo proximus è riferito solo alla
successione fra agnati, mentre per gli heredes sui (i figli), non si applica: il figlio D
può prendere il posto di C.
-> ci troviamo al fondamento del principio della successione per stirpi, la cui regola
applicativa trova ben precisa espressione nell'articolo 467 (rappresentazione: la
rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi o naturali nel luogo e nel
grado del loro ascendente, in tutti quei casi in cui egli non può (es. premorto) o
non vuole accettare l'eredità o il legato.
Il frammento ci è utile per trattare adesso dell'interpretatio iuris (età del Principato),
con riferimento ai testi 20, 21, 22 del fascicolo delle dispense I.
Dell'interpretatio legis, età del Principato
e "dinamiche",
– il potere legislativo, con effetto intergrativo e modificativo dello ius vicile
proveniente dai comizi centuriati e solo da un certo periodo in poi comizi
tributi: potere legislativo con effetto integrativo e modificativo dello ius
civile).
LEZIONE 3 (23.2.2021)
Actio publiciana. Un esempio molto chiaro di diversità di esiti nell'applicazione dello
ius civile o dello ius honorarium. Rivendica della proprietà.
I pretori crearono un editto che disapplicava lo ius civile. La formula suonava così:
SE PAOLO AGERIO HA COMPRATO DA NUMERIO NEGIDIO IL CAVALLO DI
CUI SI TRATTA E IL CAVALLO GLI E' STATO CONSEGNATO, ALLORA IL
GIUDICE GIUDICHI COME SE NEL TEMPO INTERCORSO FOSSE SCATTATA
L'USUCAPIONE.
Ecco un chiaro esempio di disapplicazione dello ius civile ad opera dello ius
honorarium.
Altri esempi: per i debiti contratti dagli schiavi o dai figli in potestate. Se portati in
giudizio con legis actio sacramenti in personam, il padre non veniva chiamato a
risarcire, e il creditore-attore perdeva la causa.
Il pretore inserì nell'editto una formula diversa: nell'intentio dell'editto conteneva la
parola "figlio o schiavo", ma nella damnatio conteneva la parola "padre".
Così, con l'applicazione del ius honorarium, si otteneva un risultato opposto a quello
ottenuto con ius civile.
Chiusa parentesi dei rapporti fra ius civile e honorarium.
Torniamo al commento dei frammenti 20, 21, 22 di Giuliano (fascicolo I), per trattare
della fase successiva all'interpretatio legis, ovvero l'interpretatio legis.
Due osservazioni:
- Qui Giuliano riconosce e attribuisce piena praticabilità al ricorso del metodo
analogico.
- Inoltre, dal punto di vista soggettivo, il titolare della giurisdizione, che è il
giudice, procede lui stesso all'interpretazione in mancanza di legge. In età
4 Il rescritto prende il nome di epistula, quando la chiarificazione interpretativa sulla questione di diritto è richiesta da
parte di un magistrato/funzionario, celebre un corpus di epistole fra un imperatore e un governatore provinciale,
quello fra Plinio il Giovane e Traiano, richiesto sull'atteggiamento da tenere nei confronti dei cristiani.
N.B. : sotto tale aspetto e portata giurisdizionale vanno lette le raccolte di lettere apostoliche. Gli Apostoli erano
vescovi, dunque giudici dotati di giurisdizione sulle cose divine -e dunque umane (l'organizzazione delle comunità
ecclesiali, la liturgia, la vera teologia, la morale etc.). Essi, come fonti giurisdizionali di applicazione del diritto
scaturito dal Verbo incarnato, maestro del diritto, avevano -fra l'altro- il mandato di fornire l'interpetazione autentica
di tutto ciò che concerne la apertura di un Testamento nuovo, apertosi con la predicazione e morte di Cristo in croce,
la Risurrezione, l'Ascensione, ossia con i Misteri del vero Dio vivente. Ancora oggi, questo mandato, questo
testamento, questo missione ad gentes non si è esaurita e rivive nella Chiesa, unica istituzione di diritto pubblico e
divino. In Roma, l'ufficio pubblico di lettura dei testamenti era svolto dai Comizi Curiati; di questo antico istituto, di
cui si perde nel tempo la memoria e l'utilità, reca traccia la Curia Romana: infatti, anche la Chiesa "eredita", per così
dire, ma su un piano rinnovato dall'incarnazione del Verbo, l'ufficio di leggere in pubblico il testamento più
significativo che la storia conosce: quello che il Figlio di Dio Padre rivolge agli uomini dalla croce, affinché tutte le
genti entrino nel possesso beato della vita eterna da lui promessa a chi, soltanto, abbia fede nel Suo nome.
teodosiana, con la legge delle citazioni (426 d.C.) sarebbe stato indicato loro
quali giuristi seguire, quali interpretazione e in -in mancanza- del potere solo a
quel punto interpretare.
Per molto tempo la donazione, in diritto romano, non ha avuto veste di negozio
giuridico, come lo ha adesso, ma era causa5, in senso tecnico, attraverso la quale un
negozio, normalmente a titolo oneroso per entrambe le parti, diventava a titolo
gratuito per entrambe di esse.
Esempio più tipico, la compra-vendita: in molte fonti troviamo l'indicazione di una
compravendita di grande valore, e questo valore viene indicato con il prezzo
d'acquisto sesterzio nummo 1. Dunque un immobile di pregio al prezzo di un
sesterzio (="un cent"). Nella sostanza, una vendita a titolo gratuito.
Ciò poteva essere fatto anche di una locazione.
Fu con un provvedimento di Costantino che venne dettata una disciplina che non
presupponeva più negozi giuridici pre esistenti messi in atto donationis causa, ma
produsse un istituto giuridico autonomo, il cui effetto noi oggi riconduciamo alla
donazione.
Il problema affrontato da Costantino è quello, primo luogo, della gerarchia delle fonti,
prendendo in considerazione editti e rescritti. Due regole al riguardo: un rescritto, fonte a
titolo particolare, mantiene l'efficacia nei confronti del caso concreto per cui è stato
emanato, anche se un editto successivo modifica la regola giuridica applicabile; invece, i
5 Questo è estremamente significativo per il discorso teologico-metafisico in senso giuridico: l'esistenza come atto di
donazione del donante divino a favore del donatario creaturale.
6 Praefectus Urbi. Quattro erano le prefetture che avevano sostituito i funzionari storici.
1) Il prefetto del pretorio, in origine guardia personale dell'Imperatore, poi vicario nelle sue funzioni di giustizia
2) Il praefectus Vigilum, Prefetto dei Vigili) era, durante l'Impero Romano, un funzionario imperiale, comandante dei
vigiles della città di Roma e ufficiale preposto alla sorveglianza notturna della città; il suo compito era di sovrintendere
all'ordine pubblico cittadino e prevenire e affrontare gli incendi; aveva perciò attribuzioni di polizia entro la sua sfera di
competenza.
3) Il prefectus Urbi, preposto all'ordine pubblico.
4) Il prefectus Alexandria Aegypti, governatore dell'Egitto, che non era nè provincia senatoria nè imperiale. Una specie
di proprietà privata dell'Imperatore.
rescritti ottenuti a seguito di editto, che contrastano con esso, devono tenersi per inefficaci.
Ormai le leggi sono quelle imperiali, ed una per una possono essere interpretate
dal solo imperatore.
Testo n. 23 (Tanta)
7 Nel Medioevo ciò diede luogo a perenne conflitto fra autorità temporale (Impero) e spirituale (Papato).
LEZIONE 4 (25.2.2021)
Ancora un testo sul passaggio da interpretatio legis a interpretatio legum. Legge delle
citazioni (Valentiniano III – Teodosiano).
Sullo sfondo della crisi, complice la vastissima disponibilità di materiale giuridico,
diffusasi la prassi di utilizzare come fonti nei processi soltanto cinque giuristi (Gaio,
Paolo, Papiniano, Ulpiano e Modestino; oppure autori citati da uno di questi
cinque), Valentiniano III trasformò questa consuetudine in legge attraverso la
cosiddetta legge delle citazioni (426), poi recepita integralmente in Oriente con
l'emanazione del Codice Teodosiano.
Il giudice doveva seguire l'opinione della maior pars.Se in pari numero, quella di Papiniano.
Se questi non si era espresso, a parità e in sua assenza, egli poteva effettuare una scelta
propria.
-> non vi era fiducia nella capacità dei giudici di risolvere questioni interpretative. (crisi
culturale?)
n. 35:
Il giudice giudica bene se il suo percorso interpretativo è già tracciato: deve lasciarsi lui il
minor spazio possibile. Si conferma tendenza di sfiducia nelle sue capacità interpretative.
Vedasi, a maggior ragione, questa costituzione di Giustiniano a un prefetto del pretorio
(p.p):
La Corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti nel n. 1) dell'articolo 360 e nell'articolo 362.
Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte
dei conti, il ricorso puo' essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione
proposta si sono gia' pronunciate le sezioni unite.
Inoltre il primo presidente puo' disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che
presentano una questione di diritto gia' decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli
che presentano una questione di massima di particolare importanza.
Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni
unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
Pag. 9 sentenza: "Si pone, a questo punto, il delicato problema della verifica di
conformità, sotto il profilo dell'art.374, terzo comma, cod. proc.
civile, della presente ricostruzione dell'istituto con il recente dictum
delle sezioni unite in subiecta materia (Cass., sez. unite 30 Gennaio
2015 n.1747): in cui si sostiene, per contro, che il legislatore, nel
citato articolo 143, comma 11, Testo unico enti locali, "non solo
affida al Ministro dell'Interno la legittimazione attiva, ma anche
individua nella trasmissione della proposta di scioglimento avanzata
dallo stesso ministro l'atto introduttivo del procedimento... Nel
disegno normativo, pertanto l'attitudine postulatoria della proposta
proveniente direttamente dalla parte sostanziale e la non necessità
per l'Amministrazione dell'Interno, ai fini dell'introduzione del
procedimento, di versare gli elementi già contenuti in quella
proposta in un atto di ricorso, si giustifica con l'esigenza di
apprestare forme procedimen tali essenziali, in grado di permettere
una risposta giurisdizionale il più possibile ravvicinata nel tempo...":
cfr. sent cit. pagg.9 e 10).
Questa argomentazione per dare rilevanza al fatto che Sez Semplice avrebbe dovuto rinviare
a S.U.
Pag. 10:
I giudici qui fanno una riflessione comparativa fra sistemi common law e civil law,
chiedendosi se il principio di stare decisis corrisponda a una sorta di adeguamento al sistema
normativo oppure no. Le decisioni precedenti assurgono a legislativo oppure no? Secondo
Sez. Semplice no: perché la cogenza dei precedenti è limitata alla identità delle situazioni di
partenza. Ove questa identità di partenza non si verifichi, il sistema è aperto a pronunce
modificative.
Con una sentenza interpretativa del 374 3° comma CPC e costituzionalmente orientata la
Sez. Semplice ha proseguito nel giudizio confermando la Corte d'Appello.
Il paradosso sembra essere che in una sentenza chiaramente interpretativa, il richiamo fatto
dalla Sezione Semplice della Corte di Cassazione va invece nella direzione di portare al
proprio mulino un periodo in cui ai giudici non era permessa interpretazione alcuna.
Interpretazione tra verba e (presunta) voluntas
Testo 36 bis:
Qui siamo non ai fondamenti non di una regola, ma di un problema verso cui non c'è
una risoluzione definitiva (la sempre possibile discrasia fra linguaggio e realtà).
Nell'ordinamento italiano vigente, al riguardo, la regola fondamentale è l'articolo 12 delle
Preleggi Cod.Civ. :
Nel 1° Comma, la definizione attiene al campo semantico ("senso fatto palese dal
significato proprio delle parole": ovvero il campo semantico-morfologico) e sintattico
("significato proprio delle parole in connessione di esse: ovvero il campo sintattico).
Si tratta dei livelli fondamentali del modo in cui si presenta il linguaggio umano. Poi,
sopperisce il ricorso all'intenzione del legislatore.
La causa Curiana.
Testo n.37:
Ripasso della condizione nell'inquadramento teorico della teoria del negozio giuridico.
Le categorie del negozio giuridico sono tre: essenziali ai negozi (senza la quale
esso non è identificato: per es. scambio della cosa contro prezzo nella
compravendita); naturali ai negozi (definito il tipo tramite gli elementi essentialia,
sono le conseguenze naturali che la legge trae senza bisogno di essere
esplicitate: in tema, ad es. di negozio di compravendita, la garanzia per evizione
appartiene alla categoria dei naturalia); infine, gli accidentali al negozio, ovvero
quelle clausole che possono essere aggiunte a discrezione delle parti
(accidentialia), a loro volta tripartite in: condizione, termine, modo.
Se l'erede istituito morirà prima di uscire dalla tutela, allora mi sia erede il sostituto.
Il figlio non era nato e non era atteso. La condizione non si era verificata. La
domanda è: eredita il sostituto? Secondo Quinto Mucio, che difendeva l'agnatus
proximus, no. La clausola di sostituzione è condizionale. La condizione sospensiva
non si è avverata. La sostituzione non è applicabile. L'istituito non c'è -> eredita
l'agnatus proximus, Coponio.
"E' stato generoso: era possibile un modo di ragionare ancora più radicale, nel
modo seguente: Gaio dice che l'istituzione di erede era capo e fondo del
testimanento. Prima clausola e fondo. Con una sola eccezione: lo schiavo. Doveva
essere manomesso ("liber esto" -> sui iuris) prima di essere indicato erede (heres
esto)". Lo schiavo Rufo sia libero e mi sia erede.
La clausola di sostituzione di erede era fundamentum del testamento: mancando la
nascita, quella clausola a fondamento di tutto era invalida, determinando l'invalidità
del testamento.
Quinto Mucio ha preferito scegliere la via che la condizione non si era avverata.
Insorge Crasso: "stiamo violando la volontà del testatore". Lui voleva che suo
erede, morto il figlio, fosse il sostituto (Curio).
-> osserva il Professore, che tuttavia le parole devono significare in modo corretto
ciò che intendono, sebbene l'interpretazione delle parole secondo la volontà
prevalga in questo processo.
Cic. pro Caec., 24.67: E, a questo proposito tu hai detto che
Scevola ha perduto la sua causa dinanzi ai centumviri; anch’io
poco fa l’ho ricordato dicendo che, quantunque facesse
esattamente ciò che fai tu ora – sebbene lui lo facesse con
qualche ragione, mentre tu con nessuna -, tuttavia nessuno egli
convinse di ciò che sosteneva, perché mostrava di battersi contro
la giustizia attaccandosi alle parole. Non solo io mi
stupisco che tu in questo processo abbia sostenuto ciò
intempestivamente e contro quanto esigeva la tua stessa causa,
ma anche, in generale, mi appare sempre sorprendente che nei
processi, persino talvolta da parte d’uomini d’ingegno, si
sostenga che non bisogna lasciarsi guidare dai giureconsulti e
che non deve prevalere, sempre, nei giudizi, il diritto civile.
-> sostanza per Cicerone è sempre la stessa: occorre far valere la volontà.
Addirittura l'opinione di Quinto Mucio veniva da Cicerone ridicolizzata nel Bruto.
Questa -secondo voluntas- è l'impostazione interpretativa che ha permesso
di vincere la causa davanti al Tribunale dei centumviri, davanti al quale la vis
retorica ebbe il suo effetto.
Arriviamo a Stroux (letterato tedesco di fine XIX secolo), che utilizzò queste
testimonianze per dimostrare una pesante influenza della retorica sulla
scienza del diritto nel II secolo avanti Cristo.
Lucio mi sia erede; se non mi sarà erede, mi sia erede Manio Curio.
Per qualunque motivo, si faceva luogo alla sostituzione testamentaria. Ecco perché
il professore dubita che il testatore fosse ingenuo: se voleva, sapeva come disporre
in modo da rendere in ogni caso efficace la sostituzione testamentaria in favore di
Curio.
Le prime due forme di testamento, che conosciamo per l'età arcaica, erano di non facile
praticabilità. Questi erano i testamenti arcaici.
Uno era il testamento Calatis Comitiis, che si apriva due volte all'anno quando si riunivano i
Comizi Curiati per ascoltare le espressioni di ultima volontà a scopo testamentario, in
un'assemblea di tutti i cives romani, maschi e dotati dei requisiti (sui iuris). In quel contesto i
patres familiae pronunciavano le loro ultime volontà.
Accanto a questa forma, era praticato il Testamentum militis, detto in procinctu (della battaglia).
Doveva essere fatto mentre il Dux compiva i sacrifici preliminari al combattimento per
propiziarsi il favore degli Dèi9. In quel momento, chi voleva fare testamento, esponeva le
sue ultime volontà al gruppo dei commilitoni presenti, i quali -se fosse morto in
battaglia- avrebbero reso testimonianza di questa sua volontà e questa volontà
sarebbe stata accettata dalla comunità e applicata con valore effettivo.
Fin dall'età più antica, i Pontefici elaborarono un terzo modo di fare testamento (mancipatio
familiae), e questo è un altro esempio di interpretatio iuris. Essi partirono dalla mancipatio (con
il libripens), cerimonia rituale che permetteva di trasferire la proprietà delle res mancipi. I
Pontefici, in un primo tempo, disposero così: se qualcuno si sente vicino alla propria morte, può
trasferire le cose con mancipatio all'amico di cui abbia fiducia (mancipio accìpiens), però
dichiarando (con noncupatio10, all'atto di ricezione dei beni) che tali cose, l'amico, non dovrà
tenerle presso di sé, ma attribuirle a favore degli eredi indicati dal mancipio dans, che qui agisce
in favore del testatore. Sorta di mancipatio a scopo testamentario. Funzionando, lo si riadattò
ancor più utilmente, dicendo: il trasferimento è condizionato all'evento morte. Quindi non
produce subito i suoi effetti, ma li produrrà dopo la morte; e così si escogitò di un sistema più
facile e pratico per disporre delle ultime volontà.
Si manifestarono poi ancora due forme di evoluzione.
Da un lato, si avvertì non indispensabile il successivo trasferimento dal mancipio accipens agli
eredi, implicito nella mancipatio iniziale. Il passaggio divenne inessenziale. Un altra variante si
aggiunse: il mancipium dans portava tavole cerate con le sue volontà. L'accipiens diceva: "io
ricevo i tuoi beni ed essi saranno distribuiti in conformità alle tavole cerate". Tutta una nuova
certezza, rispetto a quella dei meri testimoni. Lo scritto era ad probationem, non ad substantiam.
Nelle tavolette si cominciò anche a scrivere la clausola mancipatoria: e cioè a scrivere che era stata
fatta la mancipatio. Il testamento diventa, nella buona sostanza, un atto scritto. Oggi tale
fondamento (la necessità della forma scritto, di cui al c.c.), si coglie meglio a partire da questa
evoluzione storica dell'istituto della mancipatio, attraverso l'opera interpretativa dei Pontefici, e
del successo e della prassi successiva. Testamentum per aes (bronzo) et libram (bilancia).
Già nel I secolo a.C. dunque, al tempo della causa curiana, i testamenti erano confezionati in
forma scritta. Le clausole di istituzione di erede, nonché quelle di sostizione, erano consolidate.
n. 41 e 41:
9 E' l'Ultima Cena. Il Testamento di Cristo agli Apostoli, riportato nei discorsi di Giovanni, capitolo 17. Cristo alza gli
occhi al Cielo, prega il Padre di consacrare i discepoli nella verità, lascia loro la Pace, e anticipa il Dono di sé in
croce nel primo banchetto eucaristico.
10 Il mancipium accipiens,alla presenza dei testimoni, dichiarava: "Io ricevo da te questi beni nella consapevolezza che
siano destinati etc.". Secondo me l'etimo di noncupatio è non cupio actio: non agisco per cupidità. A fondamento
dell'istituto e della possibilità stessa di effettuarlo la buona fede di colui a cui si affida il lascito testamentario in
favore degli eredi. Ma ciò che contrasterebbe la buona fede dell'amico è proprio la cupiditas.
situazione sia equivalente a quella della morte del
figlio prima di uscire dalla tutela.
Testo n.43:
Sia una soluzione che l'altra implicano una violazione di principi del diritto.
Se diciamo che vanno al sostituto, violiamo il principio di personalità delle
disposizioni testamentarie: quelle disposizione vengano attribuite a qualcuno che
non era previsto.
Se si ritiene che vadano all'agnatus proximus del pupillo, la violazione riguarda il
principio: nemo pro parte testatus, pro parte intestatus decedere potest.
Alla morte di un soggetto, o si apre una successione testamentarie, o si apre
intestata.
Ma intestare i beni all'agnatus proximus avrebbe significato disporre in maniera
intestata, nella vigenza del testamento che dispone la sostituzione pupillare.
Come può allora Tizio diventare erede di beni che non erano suoi?
Per giustificare ciò, si forzò la lettera del testamento, come se la parola mihi non
fosse stata apposta.
Quindi, alla violazione del principio di cui sopra, si accompagna ad una
deroga/violazione di natura linguistica e scritturale.
Vediamo invece come è stato affrontato e risolto dai giuristi il problema affrontato
nella causa Curiana. Modestino propone delle soluzioni in due interventi diversi,
testi 44 e 47:
LEZIONE 6 (4.3.2021)
Testo n. 50:
Testo n.54:
D.45.1.137.2, Venuleius libro primo stipulationum:
Avendo assunto con stipulatio il seguente
impegno: “(Prometto) di dare a Efeso”, bisogna
avere riguardo al tempo (occorrente) affinché la cosa possa essere
ricevuta. Occorre senz’altro che la valutazione
complessiva sia rimessa a un giudice, vale a dire a un -> qui più aspetti devono essere
uomo saggio, che stabilisca in quanto tempo un diligente contemperati.
paterfamilias possa adempiere ciò che ha promesso di -> qui c'è il riferimento alla diligen-
fare, in modo che chi si è impegnato a dare ad Efeso za del buon padre di famiglia,
non sia costretto a proseguire il viaggio con speciale che deve la sua elaborazione
salvacondotto, giorno e notte, sfidando ogni bufera, e alla pandettistica tedesca nel
neppure possa però procedere così lentamente da corso dell'800. (Questo concetto
apparire meritevole di rimprovero ma, avuto riguardo è stato usato in modo talmente
alla stagione, all’età, al sesso e alle condizioni di salute, (troppo) espansivo, che un giu-
proceda in modo da arrivare a tempo debito, vale a dire rista italiano osservò che alla luce
impiegando il medesimo tempo che impiegherebbe ad di quell'elaborazione, se un giudice
arrivare la maggior parte degli uomini nelle stesse dovesse decidere su una ballerina se
condizioni. Passato quel tempo, essendo rimasto a Roma avesse adempiuto alla prestazione
e non potendo adempiere ad Efeso, giustamente si potrà il suo comportamento sarebbe
agire in giudizio, sia perché è dipeso da lui non aver stato valutato alla stregua del buon
potuto adempiere a Efeso, sia perché avrebbe potuto padre di famiglia.)
adempiere attraverso qualcun altro, sia perché avrebbe -> tempo ragionevolmente concesso
potuto adempiere (prima) in un altro luogo: infatti ciò dalla stagione, età, sesso, condizio-
che deve essere dato in un certo giorno può essere dato psico-fisiche del promittente, ma
anche prima, benché non possa essere chiesto. Se poi temperato, perché il promissario
con un particolare salvacondotto o attraverso una conosce il suo stato psico-fisico.
navigazione spedita sia giunto a Efeso in minor tempo di -> una volta trascorso il tempo, il
quanto occorre normalmente, l’obbligazione va promissario può andare in giudizio.
adempiuta subito poiché in tal caso nessuno spazio è -> appena raggiunto il luogo, non
concesso a valutazioni sul tempo e sul può tardare l'adempimento.
luogo.
--
Testo n. 59:
Natura della stipulatio: che i soggetti stipulino in proprio, non pro alio.
Per lo schiavo va bene, perché agisce per il padrone (prometteva lo schiavo, rispondeva il dominus).
Non così per il liberto, che era soggetto sui iuris*.
Onde: la stipulatio per fissare il termine di restituzione della somma data a mutuo è invalida per
violazione del divieto di stipulare pro (al posto di) alio (effettuare una stipulatio nell'interesse di un
terzo): *il liberto è sui iuris. Può essere valida come fonte di obbligazione naturale
Quindi la stipulatio era invalida. Però, la particolare forma di stipulatio usata era quella acquiliana,
che presupponeva in questo caso un richiamo al mutuo, con la conseguenza di estinguere il
contratto precedente dedotto nella formulazione, col risultato paradossale che essa estingueva il
mutuo per effetto novatorio (e ciò, a sanzione per il divieto di stipulare pro alio).
Con il terzo contratto, ancora una stipulatio, Giulio Zosa stipula con Crisogono relativamente al
tasso di interessa in mancanza di pagamento in restituzione del primo mutuo entro la scadenza
concordata. Ma in questo caso Giulio Zosa ha l'accortezza di non dire di agire per conto di Flavio
Quintiliano. Dunque la seconda stipulatio risulta valida. Il mutuo era estinto, ma erano dovuti gli
interessi.
Infine:
Se Flavio Candido avesse onorato il mutuo per tempo (benché non valido), ovviamente non si
sarebbero dovuti gli interessi, previsti in mancata ottemperanza della restituzione per tempo; a ciò
si aggiunge che secondo i giuristi romani il mutuo rimaneva valido e non veniva travolto
interamente sotto altro titolo, cioè permanendo come fonte di una obbligazione naturale,
e pertanto se sua sponte Crisogono avesse restiuito la somma indietro, vi sarebbe stata soluti
retentio, ossia l'impossibilità di chiedere indietro quanto versato, sia pur non dovuto a titolo di
stipulatio, ma di cui non poteva chiedere restituzione a titolo di obbligazione naturale.
LEZIONE 7 (9.3.2021)
Rapporto fra diritto e uso della lingua, conoscenze grammaticali dei giuristi romani e
conseguenti argomentazioni di diritto.
La grammatica, come scienza della lingua, ha avuto uno sviluppo progressivo. Dalle fonti antiche,
recepiamo che la ricerca dei primi secoli si interrogava sulle forme grammaticali; la logica, la
sintassi, furono invece approfondite in secoli successivi allo sviluppo della giurisprudenza romana.
E' per questo che le nostre riflessioni si limitano all'aspetto grammaticale, genere e numero.
Testimonianze greche. Aristotele, Protagora. Prime riflessioni mimetiche sulla lingua riguardano il
maschile e femminile. Un terzo genere viene riferito da Protagora quale "inanimato"; anche questa
sarebbe una corrispondenza grammaticale di tipo mimetico naturalistico. Aristotele, riflettendo su
tali aspetti della lingua, richiama il genere maschile e femminile, e un terzo genere: neutro.
La differenza di terminologia fra Protagora e Aristotele rileva ciò: la definizione di neutro attesta
un maggior grado di autonomia della lingua rispetto al sistema dei referenti naturali, essendo
"neutro" solo un grado di differenziazione rispetto a ciò che non è maschile nè femminile.
Nei secoli successivi, fino al I secolo a.C., tempo in cui scrive il grammatico Varrone, emergono altri
due generi alla consapevolezza della riflessione grammaticale: il genere comune e l'uso epiceno
dei sostantivi.
Possiamo definire di genere comune quei termini e quei vocabili che possono essere nella lingua
sia maschili che femminili in rapporto al referente naturalistico che vorrebbero indicare. Ecco un
esempio: nipote, che può essere sia maschile (un nipote) che femminile (una nipote).
Invece, definiamo sostantivi di uso epiceno mantengono inalterato il genere grammaticale
anche quando si riferiscono ad elementi di genere diverso nella realtà naturale. Ecco un esempio:
aquila, con cui posso indicare sia un'aquila di genere maschio, sia un'aquila di genere femminile
(come si vede il sostantivo permane in genere femminile, non mutano il genere
grammaticale). Possono essere riferiti sia a sostantivi maschili che femminili.
[1] Fest. s.v. Plorare 260 L.: In Servi Tulli haec est: si Fest. s.v. Plorare 260 L.: In una legge di Servio Tullio vi
parentem puer verberit, ast olle plorassit paren‹s›, puer sono queste parole: se un fanciullo (figlio) avrà percosso
divis parentum sacer estod. un genitore e questi abbia dato luogo alla ploratio, il
fanciullo (figlio) sia sacer ai numi degli antenati.
[2] Paul. ex Fest. s.v. Pelices, 248 L.: Cui generi Paul. ex Fest. s.v. Pelices, 248 L.: Per tale genere di
mulierum etiam poena constituta est a Numa Pompilio donne fu stabilita una pena da Numa Pompilio in questi
hac lege: «Pelex aedem Iunonis ne tangito; si tanget, termini di legge: “La pelex non tocchi l’altare di
Iunoni crinibus demissis agnum feminam caedito». Giunone: se la tocca sacrifichi a Giunone un agnello
femmina con i capelli sciolti.
Differenza fra comminare e irrogare? Norma penale: precetto + sanzione. Comminazione, che
deriva dal verbo deponente minitor (minaccio), è il momento precettivo, generale e astratto in cui
l'ordinamento prevede la legge e il reato.
L'irrogazione è l'attribuzione diretta della pena al soggetto violatore della norma, ciò attraverso la
sentenza. Irrogo deriva da rogo: rivolgersi a qualcuno. Coerente con la natura di una pena
attribuita ad un soggetto.
Filius.
Testo n.7:
Ecco un testo in cui l'uso epiceno del termine si fa problematico per comprendere la disposizione di
legato.
[7] D. 32.62, Iul. l.s. de ambig.: Qui duos mulos D. 32.62, Iul. l.s. de ambig.: Colui che aveva due muli
habebat ita legavit: ‘mulos duos, qui mei erunt cum così dispose un legato: ‘l’erede dia i due muli che
moriar, heres dato’:idem nullos mulos, sed duas mulas saranno miei quando morirò’; quegli lasciò non due muli
reliquerat. respondit Servius deberi legatum, quia ma due mule. Servio rispose che il legato era dovuto
mulorum appellatione etiam mulae continentur, poiché nel termine ‘muli’ sono comprese anche le mule,
quemadmodum appellatione servorum etiam servae così come nel termine ‘schiavi’ sono generalmente
plerumque continentur. id autem eo veniet, quod semper comprese anche le schiave. Avviene infatti che il sesso
sexus masculinus etiam femininum sexum continet. maschile comprenda sempre anche quello femminile.
1) legato per vindicationem, con cui si attribuisce direttamente una cosa al legatario per effetto del
testamento e in sede di successione del de cuius. Con la successione il legato diventa proprietario.
2) legato per damnationem, il testatore dispone una obbligazione a carico dell'erede e a favore del
legatario.
LEGATI
In diritto romano il legatum, o meglio i legati, erano istituti tutelati iure civili. I giuristi romani, infatti, con
mentalità eminentemente pratica e diffidenti da astrazioni concettuali, non concepirono una nozione
unica e astratta di legato. Essi preferirono definire, come già per l'istituto dell'obbligazione, solo le
diverse specie di legato, i cosiddetti quattuor genera legatorum.
Il giurista romano Gaio nelle sue Istituzioni scrive nel secondo commentario G.2.192: «Legatorum
itaque genera sunt quattuor: aut enim per uindicationem legamus aut per damnationem aut sinendi
modo aut per praeceptionem». (I generi di legati sono quattro: o per vindicationem, o per
damnationem, o sinendi modo, o per praeceptionem).
•Il legatum per vindicationem comportava il trasferimento ipso iure di un bene di proprietà del
testatore in capo al legatario. Aperta la successione, il legatario poteva immediatamente esercitare
la rei vindicatio per ottenere la consegna della res spettantegli. Ecco perché tale genere di legato
venne definito per vindicationem. Lo stesso Gaio accoglie questa spiegazione dell'origine del nome,
G.2 «Ideo autem per uindicationem legatum appellatur, quia post aditam hereditatem statim ex iure
Quiritium res legatarii fit; et si eam rem legatarius uel ab herede uel ab alio quocumque, qui eam
possidet, petat, uindicare debet, id est intendere suam rem ex iure Quiritium esse» (Traduzione: è
chiamato legato per vindicationem, perché appena adita l'eredità immediatamente ipso iure la cosa
legata diverrà di proprietà del legatario; e se il legatario chiede la cosa dall'erede o da chiunque altro
la possiede, deve esperire la vindicatio, cioè affermare che la cosa è sua ex iure Quiritium). Il legato in
questione si esprimeva con le parole latine DO, LEGO. Ad esempio se il testatore voleva legare lo
schiavo Stico a Tizio doveva usare le seguenti parole TITIO HOMINEM STICHVM DO ovvero TITIO
HOMINEM STICHVM LEGO.
•Il legatum per damnationem traeva invece la propria denominazione dalle parole usate dal
testatore: HERES MEVS STICHVM SERVVM MEVM DARE DAMNAS ESTO (Traduzione: il mio
erede sia tenuto a dare il mio schiavo Stico) (Confronta G.2.201). Il legato per damnationem creava un
obbligo a carico dell'erede di dare, creditore del rapporto era ovviamente il legatario al quale spettava
un'actio ex testamento in caso di inadempimento dell'erede. La differenza rilevante rispetto al
legato per vindicationem stava in ciò, che il legatario per vindicationem poteva ricorrere a un'actio in
rem, mentre il legatario per damnationem aveva a sua tutela un'actio in personam. Inoltre, a differenza
del primo legato, il legato per damnationem poteva avere come oggetto anche una res che non
apparteneva al testatore, nonché essere sottoposto a condizione.
•Il legatum sinendi modo richiedeva le seguenti parole: HERES MEVS DAMNAS ESTO SINERE
(traduzione: Il mio erede sia tenuto a subire). Esso, come il legato per damnationem, non aveva effetti
reali ma obbligatori. Il legato produceva l'obbligo per l'erede di subire che il legatario prendesse da sé
la cosa che gli spettava in virtù del legato. tale presa di possesso, valutata come traditio, comportava
l'acquisto della proprietà sulle res nec mancipi, il possesso ad usucapionem in caso di res mancipi.
Anche in questo caso, al legatario insoddisfatto, si concedeva un actio ex testamento in personam.
•Il legatum per praeceptionem aveva efficacia reale al pari del legato per vindicationem. Tuttavia, a
differenza di questo, esso veniva disposto a favore di uno dei coeredi che acquistava il bene oggetto
del legato prima delladivisione ereditaria (prae-capito donde il nome dato al legato) in modo tale che il
legato venisse sottratto all'eredità. La forma richiesta comprendeva l'uso del
termine praecipito (prenda con precedenza). Gaio riporta il seguente esempio: LVCIVS TITIVS
HOMINEM STICHVM PRAECIPITO (traduzione Il coerede Lucio Tizio prenda con precedenza lo
schiavo Stico). Esso trovava particolare attuazione in virtù dell'adiudicatio effettuata dall'arbiter in sede
di actio familiae erciscundae.
La quadripartizione dei genera legatorum venne meno già in epoca classica, allorquando i giuristi
romani avvicinarono il legato per praeceptionem a quello per vindicationem, e quello sinendi modo a
quello per damnationem. Infatti i primi erano legati a effetti reali. I secondi, legati a effetti obbligatori.
In epoca giustinianea la distinzione cadde del tutto in desuetudine e si parlò di un unico tipo di legato
che poteva produrre sia effetti obbligatori sia reali.
Il legato per vindicationem richiedeva dei requisiti: che la cosa oggetto di legato fosse in possesso
del testatore sia al momento della confezione del testamento, sia la momento della morte. Non
importante che lo fosse medio termine.
Servio afferma quindi che qui mulus è usato in senso epiceno, quindi comprendendo anche gli
animali femmina, anche se nella lingua latina esisteva il termine femminile (mula).
Ma in un testo differente, sempre di Servio, egli sembra in contraddizione con quanto appena
affermato:
[9] D. 50.16.122, Pomp. 8 ad Q. Mucium: Servius ait, si D. 50.16.122, Pomp. 8 ad Q. Mucium: Servio afferma
ita scriptum sit: ‘Filio filiisque meis hosce tutores do’, che se è stato scritto ‘assegno questi tutori a mio figlio e
masculis dumtaxat tutores datos, quoniam a singulari ai miei figli’ si intende che i tutori siano assegnati solo ai
casu hoc ‘filio’ ad pluralem videtur transisse (figli) maschi poiché appare che dal singolare si passi al
continentem eundem sexum, quem singularis prior plurale con l’intenzione di alludere allo stesso sesso che
positus habuisset. Sed hoc facti, non iuris habet è stato inizialmente indicato al singolare. Ma questa è
quaestionem: potest enim fieri, ut singulari casu de filio una questione di fatto, non di diritto: può infatti accadere
senserit, deinde plenius omnibus liberis prospexisse in che (il testatore) al singolare abbia inteso alludere a un
tutore dando voluerit. Quod magis rationabile esse figlio (maschio), e che poi, nell’assegnazione dei tutori,
videtur. egli abbia voluto riferirsi più ampiamente a tutti i figli
(comprese le femmine). Cosa che appare più
ragionevole.
Avendo usato filio (e non filae) al singolare, è dubbio che il testatore avesse voluto fare
riferimento alle figlie. Ma mentre nel frammento precedente non aveva avuto esitazioni nel
dire che mulos si riferisse anche a mulas. In questo frammento invece, Servio afferma che il
testatore vuole riferirsi ai soli figli maschi. Pomponio dissente, ma -secondo il Professore-
sbaglia. Perché? Non è una questione di fatto, e non di diritto: l'accertamento della volontà
del testatore, per la parte in cui esistono delle regole giuridiche per l'interpretazione delle
parole, diventa una questione di diritto.
Alfeno Varo, giurista di età repubblicana, si era soffermato spesso sul termine puer. Testo n.10
[10] D. 50.16.204, Paul. 2 epit. Alf. dig.: ‘Pueri’ D. 50.16.204, Paul. 2 epit. Alf. dig.: il termine ‘pueri’
appellatio tres significationes habet: unam, cum omnes (fanciulli) ha tre significati: il primo in quanto
servos pueros appellaremus:alteram, cum puerum chiamiamo ‘pueri’ tutti gli schiavi, il secondo in quanto
contrario nomine puellae diceremus: tertiam, cum utilizziamo ‘puer’ (fanciullo) in contrapposizione a
aetatem puerilem demonstraremus. ‘puella’ (fanciulla), il terzo per indicare tutti coloro che si
trovano in età puerile.
Qui Alfeno Varo indica i vari significati del termine fra cui di volta in volta il giurista dovrà
scegliere. Qual è il sostantivo di genere epiceno a questi tre? Il primo e il terzo. Non il secondo,
perché c'è uso di puella.
Anche questo frammento richiama l'attenzione sull'uso epiceno di puer: Testo 11:
[11] D. 50.16.163.1, Paul. 2 ad Sab.: ‘Pueri’ D. 50.16.163.1, Paul. 2 ad Sab.: Con il termine ‘pueri’ si
appellatione etiam puella significatur: nam et feminas allude anche alle fanciulle (letteralm.: alla fanciulla):
puerperas appellant recentes ex partu et Graece παιδίον infatti i greci chiamano puerpere le donne che hanno
communiter appellatur. partorito di recente e in greco (fanciullo) si dice
‘paidíon’.
[12] D. 50.16.116, Iav. 7 epist.: ‘Quisquis mihi alius filii D. 50.16.116, Iav. 7 epist.: (L’espressione) ‘Chiunque
filiusve heres sit’: Labeo non videri filiam contineri, altro sia mio figlio o figlio di mio figlio mi sia erede’:
Proculus contra. Mihi Labeo videtur verborum figuram secondo Labeone non sembra essere riferibile alle figlie;
sequi, Proculus mentem testantis. Respondit: non dubito, Proculo era di avviso contrario. A me sembra che
quin Labeonis sententia vera non sit. Labeone segua il significato delle parole, Proculo la
volontà del testatore. Rispose (Giavoleno): non ho
dubbi che il parere di Labeone non sia affidabile.
A chi si rivolge Giavoleno nel rispondere? E' un responso diretto o no? Secondo gli studiosi, qui a
interrgoare Giavoleno è un consultante, potrebbe essere un allievo, non necessariamente un
interessato. A Giavoleno vengono prospettati soluzioni di giuristi di epoche precedenti11
Un'espressione del genere, per la ripetizione, non sembra essere riferita alle figlie. Proculo invece è
dell'opinione che attribuisce uso epiceno al termine. Il consultante, a sua volta, esprime la sua
11 E' da notare, in questo specifico passaggio, il modus del proporre la questione interpretativa proposta da un discente
ad un maestro di diritto del suo tempo nel confronto con l'opinione dei giuristi del passato, che richiama un passo
(più d'uno, in vero) del Vangelo, laddove Cristo viene richiesto di riferire sull'interpretazione autentica, fra le altre,
riguardo a:
- i comandamenti cardine della Torah;
- aspetti sui rapporti familiari nella prospettiva della risurrezione dai morti e la vita in cielo (Sadducei);
- applicazione casistica dei comandamenti divini (l'adultera);
- questione di legittimità del divorzio.
opinione: "A me sembra che Labeone segua il significato delle parole, Proculo la volontà del testatore". E'
la questione (apparentemente) al centro della Causa curiana (figura verborum vs voluntas).
Secondo il Professore: essendo ben noti i mezzi della lingua, se qualcuno avesse voluto indicare le figlie,
avrebbe avuto i mezzi a disposzione. Quindi, la vera contrapposizione non è fra verba e voluntas ma
ricercare quale fosse realmente la volontà del testatore.
In molti casi -avverte il Professore- si tende a prospettare conflitto fra parole e volontà, quella che invece
deve essere la ricerca della volontà del disponente attraverso l'uso delle parole da lui adoperate. Molto spesso
è più facile una prospettazione di tale conflitto (anziché cercare la reale volontà del disponente),:così fa
Giavoleno, attribuendo l'uso epiceno con valore estensivo anche verso le figlie.
Ritratto di Labeone fatta da Aulio Gellio nelle Notti Attiche (immagina dei dialoghi svoltisi in Grecia fra
vari personaggi)
[13] Gell. 13.10.1-2: Labeo Antistius iuris quidem civilis Gell. 13.10.1-2: Antistio Labeone esercitò dunque la
disciplinam principali studio exercuit et consulentibus de conoscenza del diritto civile con particolare interesse e
iure publice responsitavit; ceterarum quoque bonarum a quelli che lo consultavano dava pareri sul diritto
artium non expers fuit et in grammaticam sese atque pubblico; ma fu esperto anche di altre arti liberali, si era
dialecticam litterasque antiquiores altioresque specializzato nella grammatica e nella dialettica, aveva
penetraverat Latinarumque vocum origines rationesque approfondito le letterature più antiche e più remote,
percalluerat eaque praecipue scientia ad enodandos aveva analizzato le origini e le regole delle parole
plerosque iuris laqueos utebatur. Sunt adeo libri post latine e usava particolarmente quelle conoscenze per
mortem eius editi, qui posteriores inscribuntur, quorum risolvere i molti dubbi del diritto. Dopo la sua morte
librorum tres continui, tricesimus octavus et tricesimus furono pubblicati libri intitolati postumi, dei quali i tre
nonus et quadragesimus, pleni sunt id genus rerum ad successivi, il 38°, il 39° e il 40°, sono ricchi di questo
enarrandam et inlustrandam linguam Latinam genere di fenomeni che portano a chiarire e spiegare la
conducentium. lingua latina.
In questo ritratto vengono messe in luce le competenze grammaticali di Labeone (regole grammaticali delle
parole), nonché la ricerca e analisi etimologica dei termini (origini delle parole). Un filologo di letteratura
latina del 900, Gino Funaioli, ha raccolto in un'opera Grammaticorum latinorum frammenta tutte le notizie
grammaticali sparse in testi di letteratura latina, esclusi i trattati di opere grammaticali latine. In quest'opera
ha raccolto una significativa sequenza delle testimonianze raccolto intorno a Labeone: esse riferiscono
principalmente intorno all'aspetto delle origini, in tema di etimologia. Se ricerchiamo le sue riflessioni
grammaticali, dobbiamo riferirci alle testimonianze di Labeone attestate nel Digesto, di cui una è di quelle
che abbiamo letto (testo 13). Con un'avvertenza: Labeone è generalmente attento al significato letterale
delle disposizioni negoziali.
Ecco un esempio della competenza grammaticale di Labeone vediamo un lemma Festino, Penatis (tratto
dall'opera di Festo, non dall'epitome di Paolo Diacono, d'età medievale).
[14] Fest. s.v. Penatis, 298 L: Penatis singularitert istius Fest. s.v. Penatis, 298 L: Il singolare di questo
posse dici putat, quia pluraliter penates dicantur, cum (sostantivo) si può ritenere indicato in ‘Penatis’, dal
patiatur proportio etiam penas dici, ut optimas, primas, momento che al plurale si dice ‘Penates’, benchè
Antias. l’analogia consenta che si dica anche ‘Penàs’, come
‘optimàs’, ‘primàs’, ‘Antiàs’.
I Penati erano gli avi divinazzati sotto la memoria di Penates, a cui si offrivano sacrifici. Qui Labeone si
distingue per essere in possesso di qualificate competenze grammaticali nella riflessione sul sostantivo
duplice singolare di Penati, cioè Penàs oppure Penatis.
Testo 15-16. Testi che testimoniano la costante presenza e riflessione circa l' uso problematico dell'epiceno
filius:
[15] D. 50.16.201, Iul. 81 dig.: Iusta interpretatione D. 50.16.201, Iul. 81 dig.: in forza di una corretta
recipiendum est, ut appellatione ‘filii’, sicuti filiam interpretazione abbiamo spesso evidenziato nei responsi
familias contineri saepe respondebimus [respondimus, ed come il termine ‘filii’ possa riferirsi anche alla figlia di
maior, in app.] […] famiglia
Qui sotto ci si chiede se anche "figlie" possa avere significato epiceno. Risposta negativa.
[16] D. 31.45 pr., Pomp. 8 ad Q. Mucium: Si ita sit D. 31.45 pr., Pomp. 8 ad Q. Mucium: Se così è stato
scriptum: ‘filiabus meis centum aureos do’, an et scritto: ‘alle mie figlie do cento aurei’, (il denaro) appare
masculini generis et feminini liberis legatum videatur? forse legato ai figli sia di genere maschile sia di genere
nam si ita scriptum esset: ‘filiis meis hosce tutores do’, femminile? Peraltro se fosse stato scritto: ‘attribuisco
responsum est etiam filiabus tutores datos esse. quod questi tutori ai miei figli’ è stato affermato per responso
non est ex contrario accipiendum, ut filiarum nomine che i tutori sarebbero stati assegnati anche alle figlie. Il
etiam masculi contineantur: exemplo enim pessimum est che non è da intendere in senso contrario in modo che
feminino vocabulo etiam masculos contineri. con la menzione delle figlie si considerino compresi
anche i figli: è infatti un pessimo esempio quello in cui
con l’uso di un termine femminile si ritengano compresi
anche i soggetti maschili.
Quindi la regola sull'uso epiceno di filius al maschile è confermata; viceversa, per l'uso femminile con uso
epiceno, essa non vale.
[17] D. 32.93.3, Scaev. 3 resp.: Quaesitum est, an, quod D. 32.93.3, Scaev. 3 resp.: È stato domandato se ciò che
heredes fratribus rogati essent restituere, etiam ad è stato chiesto agli eredi di restituire ai fratelli fosse
sorores pertineret. respondit pertinere, nisi aliud pertinente anche alle sorelle. Rispose che era pertinente,
sensisse testatorem probetur. a meno che non si possa provare che il testatore aveva
inteso diversamente.
Uso epiceno della parola fratelli? Scevola risponde affermativamente, a meno che non si possa provare che il
testimone aveva disposto diversamente. Ma l'interpretazione estensiva della volontà, per intenderla ai soli
fratelli, è ammissibile solo sulla base di prove e indizi. Deve cioè valere la ricerca rigorosa della volontà del
disponente.
[28] PS 3.6.69: Servis ‘do lego’ legatis ancillae quoque PS 3.6.69: Se sono stati attribuiti in legato degli ‘schiavi’
debebuntur:non item servi legatis ancillis: sed con le parole ‘do lego’ sono dovute anche le schiave; con
ancillarum appellatione tam virgines quam servorum il termine ‘schiave’ ci si riferisce sia alle fanciulle che ai
pueri continentur: his scilicet exceptis, qui fiduciae dati figli delle schiave, esclusi solamente quelli che sono stati
sunt. dati a titolo fiduciario.
[29] PS Int. 3.10.53: Servis legati titulo dimissis tam PS Int. 3.10.53: Se sono stati attribuiti degli ‘schiavi’ a
pueri quam ancillae debentur, quia masculorum titolo di legato sono dovuti tanto i fanciulli quanto le
appellatione etiam feminae continentur. Ancillis vero fanciulle. Diversamente il legato di 'schiave' non
legatis servi non continentur. Ancillarum autem comprende gli schiavi. Peraltro il termine ‘schiave’
appellatione tam virgines quam puberes vel impuberes comprende tutte le fanciulle sia vergini che puberi o
accipiendae sunt exceptis, quas testator loco pignoris anche impuberi, ad eccezione di quelle che il testatore ha
posuerit. dato come pegno.
Nella perifrasi "esclusi solamente quelli che sono stati dati a titolo fiduciario" (schiavi dati in pegno) si
devono ritenere esclusi dal legato.
Molti di questi frammenti sono tratti dal libro 50, titolo 16, che si intitola De diversis regulis iuris antiqui. I
compilatori hanno voluto raccogliere in questo titolo le testimonianze dei giuristi attestanti la diversità di
regole nell'uso del linguaggio in vista dell'enucleazione di una regola di diritto, spesso riferita come abbiamo
visto a quella sull'uso epiceno dei termini.
LEZIONE 8 (11.3.2021)
Testo n.18-25:
[18] D. 26.2.16 pr., Ulp. 39 ad Sab.: Si quis ita dederit D. 26.2.16 pr., Ulp. 39 ad Sab.: Se qualcuno ha disposto
‘filiis meis tutorem do’, in ea condicione est, ut tam filiis di dare così: ‘assegno un tutore ai miei figli’, tale
quam filiabus dedisse videatur: filiorum enim disposizione comporta che abbia attribuito il tutore tanto
appellatione et filiae continentur. ai figli che alle figlie: infatti il termine maschile contiene
anche quello femminile.
[19] D. 2.1.7.1, Ulp. 3 ad ed.: Servi quoque et filii D. 2.1.7.1, Ulp. 3 ad ed.: Anche gli schiavi e i figli di
familias verbis edicti continentur: sed et utrumque famiglia sono compresi nelle parole dell’editto: infatti il
sexum praetor complexus est. pretore si è riferito ad entrambi i sessi.
[20] D. 50.16.40.1: Ulp. 56 ad ed.: ‘Servi’ appellatio D. 50.16.40.1: Ulp. 56 ad ed.: il termine ‘schiavi’ si
etiam ad ancillam refertur. riferisce anche alle schiave.
[21] D. 50.16.52, Ulp. 61 ad ed.: ‘Patroni’ appellatione D. 50.16.52, Ulp. 61 ad ed.: con il termine ‘patrono’ ci si
et patrona continetur. riferisce anche alla ‘patrona’.
[22] D. 50.16.172, Ulp. 38 ad Sab.: ‘Liberti’ D. 50.16.172, Ulp. 38 ad Sab.: si concordò che con il
appellatione etiam libertam contineri placuit. termine ‘liberti’ ci si riferisse anche alla liberta.
[23] D. 3.5.3.1, Ulp. 10 ad ed.: Haec verba ‘si quis’ sic D. 3.5.3.1, Ulp. 10 ad ed.: Queste parole ‘se qualcuno’
sunt accipienda ‘sive quae’: nam et mulieres negotiorum sono da intendere così: ‘se qualcuna’: infatti non si
gestorum agere posse et conveniri non dubitatur . dubita che anche le donne possano agire ed essere
convenute per la gestione di affari altrui.
[24] D. 49.14.16, Ulp. 18 ad l. Iuliam et Papiam: Ait D. 49.14.16, Ulp. 18 ad l. Iuliam et Papiam: Afferma il
divus Traianus: ‘Quicumque professus fuerit’. divino Traiano: ‘chiunque avrà confessato’. Dobbiamo
‘Quicumque’ accipere debemus tam masculum quam intendere ‘chiunque’ sia maschio che femmina. Infatti,
feminam: nam feminis quoque, quamvis delationibus per effetto del beneficio di Traiano, è permesso anche
prohibentur, tamen ex beneficio Traiani deferre se alle donne accusarsi, benché ad esse siano vietate le
permissum est. delazioni.
[25] D. 50.16.195 pr., Ulp. 46 ad ed.: Pronuntiatio D. 50.16.195 pr., Ulp. 46 ad ed.: La menzione verbale
sermonis in sexu masculino ad utrumque sexum del genere maschile è diretta per lo più a indicare l’uno e
plerumque porrigitur. l’altro sesso.
L'insieme delle testimonianze di Ulpiano sopra riportati attesta che al problema relativo all'uso
epiceno dei sostantivi non era mai stata data soluzione definitiva: il valore di epiceno può essere (ma può
anche non essere) riconosciuto volta per volta. I frammenti individuano tre gruppi: uso epiceno di sostantivi,
di pronomi e una regola in forma generalizzante.
Modestino, l'ultimo della lunga generazione di giuristi che rendevano responsi. Era allievo di Ulpiano,
conclude la serie dei giuristi e qui affronta sinteticamente (e conclusivamente) tutti gli aspetti del problema.
Affermato l'uso epiceno del termine epiceno al plurale di servi; non vero il contrario, per il termine
femminile. Ancora, attestato uso epiceno di puer.
Ora vediamo delle sentenze di Cassazione con valenza del genere grammaticale ancora oggi rilevante
nell'interpretazione dei negozi giuridici. Vediamo in Argomento 4 le varie sentenze e articoli oggetto della
trattazione al riguardo. Era stato emesso dal Pm un decreto di sequestro avente per oggetto un compendio di
immobili. Impugnazione. Il Tribunale dava ragione agli impugnanti, rifiutando la convalida al decreto.
Questo si afferma nell'ordinanza e nella sentenza . Il Pm ha impugnato la ordinanza che rifiutava la
convalida davanti alla Corte di Cassazione, la cui Sezione ha deciso sul caso con ordinanza, in applicazione
dell'art. 618 del CPP (parallelo del 374 del CPC già visto, dove si imporrebbe alla Sez Semplice la
rimessione alle Sez. Unite se il problema è già stato affrontato). In questo caso la rimessione alle Sezioni
Unite è avvenute. Noi ci troviamo a commentare l'ordinanza di rimessione ( Cass.Pen. Sez. 3 Ord. n.
36772018 ) e la sentenza delle Sezioni Unite (Cass.Pen. Sez. U. n. 360722018) con cui il caso è stato deciso.
1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose
pertinenti al reato necessarie* per l'accertamento dei fatti.
2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le
cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Un primo ordine di motivazioni riguardo il fatto che quella cosa sia il corpo del reato. A tale riguardo, il pm
aveva detto: "Sono reati edilizi" -> la corrispondenza necessaria fra corpo del reato e
Il problema assume una valenza grammaticale per quanto riguarda la relazione fra necessarietà, che qui è
concordato con cose. Ma può esser riferito anche a corpo del reato?
La regola grammaticale italiana è che quando si deve concordare un aggettivo con una serie di sostantivi di
cui alcuni sono maschili ed altri femminili, l'aggettivo va di genere maschile. Quindi in questo caso:
necessarie si riferirebbe solo alle cose. Se avesse dovuto riferirsi anche a corpo del reato, avrebbe dovuto
scrivere necessari.
Ma una regola ammissibile invalsa e sopravvenuta tramite il linguaggio parlato fa sì che l'aggettivo si possa
concordare anche con il genere dell'ultimo sostantivo della sequenza. Fenomeno di costruzione a senso,
ammessa dall'uso.
Quindi nell'ambito della giurisprudenza di Cassazione si sono formati due indirizzi: uno favorevole
all'interpretazione secondo la regola grammaticale tradizionale (e quindi la necessarietà di cui al 253 cpp non
riguarderebbe il corpo del reato, perché la necessarietà è in re ipsa, presunta); l'altra per cui invece la
necessarietà è ancora da dimostrare e quindi interpreta l'articolo secondo la concordanza dall'uso.
Quanto, poi, al provvedimento di convalida emesso dal P.M., nello stesso sono
richiamati gli articoli di legge che si assumono violati (tra cui l'illecito edilizio di cui
all'art. 44, Dp.R. n. 380 del 2001), il richiamo ai verbali di sequestro operati nei
confronti degli indagati in data 24.04.2017 dalla p.g. operante, l'asserzione secondo
cui l'attività della p.g. sarebbe stata legittimamente compiuta ed, infine, la
seguente motivazione "ritenuto che quanto è stato oggetto di sequestro è corpo
di reato o, comunque, cosa pertinente al reato, in particolare trattasi di beni la cui
detenzione è illecita e/o il cui mantenimento in sequestro è indispensabile al fine
della prosecuzione delle indagini".
L'opinione della Sezione Semplice riteneva che fosse in re ipsa la motivazione del corpo del reato. Per questo
la rimette alle Sezioni Unite. Nel rimettere, fa un breve excursus delle opinioni che si erano già confrontate.
12. In particolare, sul primo versante, la distinzione operata tra corpo del reato e
cose pertinenti al reato ai fini della motivazione del decreto di sequestro nasce da 1° orientamento
una lettura del dato normativo che connette l'aggettivo "necessarie", contemplato
dall'art. 253, comma primo, alle sole "cose pertinenti al reato", in quanto utilizzato
al femminile plurale. Cosicché, si sostiene, se si fosse voluto riferire il termine
"necessarie" anche al corpo del reato, seguendo le comuni regole grammaticali si
sarebbe dovuto declinare quell'aggettivo al maschile plurale. Ne discende, secondo
quest'orientamento, che il corpo del reato è, per sua natura, inscindibilmente legato
all'illecito in un rapporto di immediatezza tale da far apparire necessaria
senza ombra di dubbio l'acquisizione tramite sequestro a fini di prova e di accertamento
dei fatti. In tal caso, è considerato sufficiente che la motivazione si incentri,
più che sulla sussistenza delle esigenze probatorie idonee a giustificare il
provvedimento di adprehensio, come sarebbe nel caso di cose pertinenti al reato,
sulla configurabilità della res quale corpo del reato. A fronte di tali oggetti, invero,
si tende a porre attenzione prevalentemente, se non esclusivamente, all'effettiva
possibilità di qualificare la cosa come corpus delicti, accertando la presenza del
rapporto di immediatezza, descritto dall'art. 253, comma secondo, tra la res e
l'illecito ( C., Sez. VI, 6.10.1998, Calcaterra, in Mass. Uff., 212678; C., Sez. VI,
20.1.1998, Gulino, in Mass. Uff., 210821; C., Sez. III, 23.11.1995, Sassoli De
Bianchi, in CP, 1996, 3074; C., Sez. I, 5.6.1992, Tognoni, in Mass. Uff., 191736;
C., Sez. H, 4.11.1991, Sacchetti, in ANPP, 1992, 401; C., Sez. VI, 28.11.1990,
Patelli, in CP, 1991, 758; C., Sez. III, 28.9.1990, Monti, in CP, 1991, 286).
D'altro canto, al fine di ovviare ad automatismi legati alla qualità della res, si è il codice prevede solo 3 generi
rilevato come la finalità probatoria delle cose che costituiscono il corpo di reato di sequestro: probatorio, conser-
non può essere presunta, ma va accertata di volta in volta, tanto che si tratti di vativo e preventivo.
cosa pertinente al reato quanto di corpo del reato, dovendosi, altrimenti, prospettare
un quarto genere di sequestro oltre ai tre già previsti dal codice di rito (probatorio,
conservativo e preventivo). Tra gli argomenti a sostegno di questa tesi,
specifica attenzione è stata data al disposto dell'art. 262, relativo alla restituzione dato che si investiga circa
delle cose sequestrate una volta venute meno le esigenze probatorie, da cui si il rapporto di necessarietà
ricavava l'intenzione del legislatore di fissare esplicitamente un nesso imprescindibile e qui essa non distingue
tra la misura e le predette istanze (su quest'ultimo aspetto, v. C., Sez. VI, 15.6.1992, fra corpo e cose pertinen-
Bottinelli, in Mass. Uff., 191268; e, più in generale, C., Sez. I, ti, significa che la nozione
17.11.1992, Gennari, in CP, 1994, 1616; C., Sez. I, 17.11.1992, Gennari, in Mass. di necessità anche nel 253
Uff., 192804; C., Sez. VI, 13.3.1992, Migliore, in GI, 1992, II, 445; C., Sez. III, per coerenza sistematica
9.12.1991, Giordano, in CP, 1993, 654). deve riferirsi a tutte le cose.
Art. 262.
Durata del sequestro e restituzione delle cose sequestrate.
1. Quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono
restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. Se occorre, l'autorità giudiziaria
prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione.
Pagina 10 n.13:
13. Su questo tema le Sezioni Unite di questa Corte, in un primo momento, sconfessarono
quell'orientamento che riteneva superflua la motivazione a proposito del
corpus delicti: venne corretta l'analisi sintattico-grammaticale dell'art. 253, rilevando
come «per ragioni di immediata contiguità sintattica è possibile la concordanza -> I giudici aderiscono
dell'aggettivo con l'ultimo nome femminile, quando questo è plurale, anche all'interpr. grammaticale
se è preceduto da nomi maschili»; si ribadì l'esigenza di verificare tramite la motivazione non tradizionale;
la correttezza e la legittimità del provvedimento e, infine, si smentì l'assunto
per cui il corpo del reato è sempre necessario per la ricostruzione dei fatti,
prendendo ad es. l'ipotesi di beni oggetto del furto (C., S.U., 18.6.1991, Raccah,
in CP, 1991, 925).
Con una successiva pronuncia le Sezioni Unite (C., S.U., 11.2.1994, Carella, in GI,
1995, II, 24) ribaltarono la posizione precedentemente assunta, rilevando come
la finalità probatoria del corpo del reato è in re ipsa e, pertanto, nel caso di sequestro -> poi ricambiarono
probatorio che abbia ad oggetto il corpus delicti non è necessario giustificare orientamento
la necessità del ricorso a tale mezzo, essendo sufficiente, a tal fine, un richiamo
alla qualificazione della cosa come corpo del reato.
Ora guardiamo la Sentenza a Sezioni Unite, cui era stata rimessa la decisione dalla Sezione
Semplice (Cass.Pen. Sez. U. n. 360722018) . Cominciamo da pagina 6:
Dopo avere precisato che il dato testuale dell'art. 253 cit., per il solo fatto
dell'utilizzo dell'aggettivo "necessarie", di genere femminile, non può giustificare
la conclusione che in caso di sequestro del corpo del reato non occorra la
indicazione delle esigenze probatorie (atteso che, per ragioni di immediata -> la descrizione del fenomeno
contiguità sintattica, ben sarebbe possibile la concordanza dell'aggettivo con grammaticale riflette l'orientamen-
l'ultimo nome femminile, quando questo è plurale, anche se preceduto da nomi to e digrada in ragione del pro-
maschili), la pronuncia ha affermato come «decisiva la considerazione che in prio convincimento. Questo è
ogni caso il decreto deve essere motivato e che, potendo il sequestro (anche un invito ai futuri giuristi a riflet-
quello del corpo del reato) avvenire sia per finalità probatorie, sia per finalità tere sempre sul significato espli-
preventive, soggette a regole diverse, l'autorità che lo dispone non può non cito o implicito delle parole, sia
indicare le finalità che con il provvedimento intende perseguire, così come il che esse siano contenute in un
giudice del riesame non può non controllare queste finalità per verificare, anche testo normativo, o negoziale
sotto l'aspetto procedimentale, la legittimità del decreto». Si è poi ritenuta sia a maggior ragione in una
erronea la affermazione della connaturata necessità per l'accertamento dei fatti argomentazione interpretati.
insita nel corpo del reato : da un lato, un tale assioma sarebbe sconfessato dalla va. Come quando noi
realtà e, dall'altro, lo stesso legislatore avrebbe ritenuto imprescindibile il nesso mettiamo un oggetto di
tra la misura e le esigenze probatorie imponendo, ai sensi dell'art. 262, comma fronte ai due specchi l'uno
1, cod. proc. pen., la restituzione delle cose «quando non è necessario davanti all'altro si riflettono
mantenere il sequestro ai fini di prova», in tale locuzione indifferenziata all'infinito, così nell'interpreta
dovendosi ricomprendere anche il corpo del reato. Di qui, dunque, zione della lingua.
l'insostenibilità logica di un sequestro del corpo del reato senza accertamento
della sua necessità ai fini probatori, atteso che, se questa necessità mancasse, si
dovrebbe restituire immediatamente la cosa sequestrata.
Il problema è ripreso nell'ultima parte di pagina 7 e vediamo come si sviluppa in motivazione della
sentenza:
Art. 354.
Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro.
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato
siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del
pubblico ministero.
2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si
disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire
tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia
giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. In
relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici,
gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le
prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso e
provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una
procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità(2). Se del
caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti.
-> quindi non sempre il corpo del reato deve essere sequestrato. E quindi anche nel 353 la
necessarietà è affidata discrezionalmente al magistrato e dunque da non ritenersi in re ipsa.
Qui l'interpretazione sistematica ha degli appigli molto forti: 253, 262, 254. L'interpretazione
grammaticale tradizionale purtroppo non è sostenuta dalla coerenza con le altre disposizioni del
codice. Rimane però che problemi di applicazione della regola linguistica emergono qua e là ancora
oggi nella riflessione dei giurisit e nell'argomentazione delle sentenze. Questo per sottolineare a che
il giurista si doti degli strumenti interpretativi anche di primo livello, quelli grammaticali relativi
alle regole nell'uso della lingua.
LEZIONE 9 (16.3.2021)
Dopo aver affrontato la rilevanza del genere, trattiamo quella del numero grammaticale.
Mentre la prima riguarda il rapporto fra lingua e realtà, la seconda si riconnette a una riflessione filosofica di
carattere generale ma diversa e più antica. Il problema era quello dell'unità o molteplicità dell'essere.
Parmenide, a cavallo fra il VI e V secolo, elabora la teoria dell'essere come unico, mentre il non essere come
non meritevole di attenzione. Se unico, sferico (=perfetto), insuscettibile di frammentazione. A lui sarebbe
stata contrapposta la molteplicità dell'essere. A queste concettualizzazioni si fanno risalire le nozioni di
singolare e plurale in campo grammaticale. Discorso un po' debole; del resto non si tratta qui di filosofia (...)
[30] Rhet. Her. 4.45.1-3: Ab uno plura hoc modo Rhet. Her. 4.45.1-3: Dall’uso del singolare si deve
intellegentur: ‘Poeno fuit Hispanus auxilio, fuit inmanis intendere il plurale in questo esempio: ‘Il cartaginese fu
ille Transalpinus, in Italia quoque nonnemo sensit idem di aiuto allo spagnolo e lo fu quel grande transalpino;
togatus’. A pluribus unum sic intellegetur: ‘Atrox anche in Italia qualche togato percepì la stessa cosa’.
calamitas pectora maerore pulsabat; itaque anhelans ex Dall’uso del plurale si deve intendere il singolare in
imis pulmonibus prae cura spiritus ducebat’. Nam in questo esempio: ‘Un’atroce calamità scuoteva i petti con
superioribus plures Hispani et Galli et togati, et hic la tristezza; così ansimando per l’affanno esalava il
unum pectus et unus pulmo intellegitur. respiro dalla profondità dei polmoni’. Infatti nel primo
caso gli Ispani, i Galli e i togati sono molti, nell’ultimo si
deve intendere un solo petto e un solo sistema
polmonare.
Il testo presenta i problemi che si possono incontrare nell'uso del singolare per il plurale, e del plurale per il
singolare. Ciò può essere rilevante nei testi giuridici e normativi. Del problema c'era consapevolezza fra i
giuristi, come ci attesta il testo n. 38:
[38] D. 50.16.158, Cels. 25 dig.: In usu iuris frequenter D. 50.16.158, Cels. 25 dig.: Cascellio afferma che
uti nos Cascellius ait singulari appellatione, cum plura nell’uso (del linguaggio) giuridico noi frequentemente
generis eiusdem significare vellemus: nam “multum utilizziamo un termine singolare per indicare più cose di
hominem venisse Romam” et “piscem vilem esse” quel genere: infatti diciamo che “multum hominem
dicimus. item in stipulando satis habemus de herede venisse Romam” e che “il pesce costa poco”. Allo stesso
cavere “si ea res secundum me heredemve meum modo nel concludere una stipulatio riteniamo di
iudicata erit” et rursus “quod ob eam rem te heredemve garantire l’erede (con le parole) “se la cosa sarà stata
tuum”: nempe aeque si plures heredes sint, continentur giudicata a mio favore o a favore del mio erede” e
stipulatione. ancora: “ ciò che, a motivo di tal cosa, tu o il tuo
erede…”: senza dubbio se vi fossero più eredi la
stipulatio si riferirebbe a tutti.
Cascellio è giurista di ultima età repubblicana e inizi età imperiale. Anch'egli come Labeone rinunciò al
consolato perché non si riconsoceva nella trasformazione politica operata verso il Principato. Un difensore
della legalità repubblicana, che non aveva dato seguito a disposizione dei triumviri.
multum hominem venisse Romam” ; “piscem vilem esse” Quale è la differenza logica? Per il primo caso
l'affermazione è vera per una parte dell'insieme; nel secondo l'affermazione è vera per tutti gli elementi
dell'insieme. La prima ipotesi quindi riguarda un caso di singolare collettivo propriamente detto (non si
riferisce a tutti gli elementi dell'insieme), mentre la seconda un singolare distributivo (si riferisce a tutti gli
elementi dell'insieme).
Fin qui sull'uso del singolare collettivo. Veniamo ed esempio sul plurale disgiuntivo.
Qui abbiamo un legato per vindicationem (do lego), sottoposto a condizione sospensiva:
[35] D. 35.1.33.4, Marc. 6 inst.: Quid ergo, si quis ita D. 35.1.33.4, Marc. 6 inst.: Che cosa accadrebbe se
scripserit: ‘Stichum et Pamphilum Titio do lego, si mei qualcuno avesse scritto ‘attribuisco a Tizio in legato
erunt cum moriar’ et unum ex his alienaverit, an vel Stico e Panfilo se saranno miei quando morirò’ e poi
alter possit a legatario vindicari? placet vindicari, nam avesse alienato uno dei due schiavi: potrebbe essere
hunc sermonem, licet pluralis sit, pro eo oportet accipi, rivendicato dal legatario? Si consente che lo rivendichi:
atque si separatim dixisset: ‘Stichum, si meus erit cum infatti benché la formulazione letterale sia al plurale, la si
moriar’. deve intendere come se avesse detto separatamente di
ciascuno dei due schiavi: ‘Se Stico sarà mio quando
morirò’.
La condizione non si era poi verificata, perché uno dei due schiavi era stato alienato prima della morte del
testatore. Tuttavia questa clausola viene interpretata diversamente: la si deve intendere -benché al plurale-
non in senso cumulativo, ma disgiuntivo. Cioè come somma di singolari, a ciascuno dei quali attribuire il
significato della disposizione.
[36] D. 32.29.4, Lab. 2 post. a Iav. epit.: ‘Si Stichus et D. 32.29.4, Lab. 2 post. a Iav. epit.: ‘Se Stico e Dama,
Dama servi mei in potestate mea erunt cum moriar, tum miei schiavi, saranno di mia proprietà quando morirò,
Stichus et Dama liberi sunto et fundum illum sibi allora Stico e Dama siano liberi e abbiano quel tale
habento’. si alterum ex his post testamentum factum fondo’. Se il proprietario avesse alienato o manomesso
dominus alienasset vel manumisisset, neutrum liberum uno dei due dopo la confezione del testamento, Labeone
futurum Labeo putat: sed Tubero eum, qui remansisset in ritiene che nessuno dei due possa essere libero, ma
potestate, liberum futurum et legatum habiturum putat. Tuberone ritiene che quello dei due che sia rimasto in
Tuberonis sententiam voluntati defuncti magis puto proprietà (del testatore) possa essere libero e acquistare
convenire. il legato*. Ritengo che il parere di Tuberone sia più
confacente alla volontà del testatore.
Siccome il legato riguardo due schiavi, prima del legato occorre la clausola di manumissione testamentaria.
La condizione con riguardo a un plurale cumulativo non si sarebbe verificata; ma secondo Tuberone va
inteso anche qui la presenza di un plurale disgiuntivo. Ciò sarebbe stato più confacente alla volontà del
testatore.
*la metà (vale a dore, una quota parte del fondo (½), per attribuzione in comproprietà ad entrambi) o l'intero?
Quando si apre la successione ne rimane uno solo (l'altro è stato nel frattempo venduto). Abbiamo dunque le
due possibilità quali sono le argomentazioni in favore dell'una o dell'altra? Il problema è quello di stabilire se
con questa disposizione debba prevalere il profilo del legato inteso unitariamente, e quindi il fondo era dato
in legato sottraeondolo alla disponibilità degli eredi, acquistandolo così lo schiavo per intero; oppure il
plurale disgiuntivo riguarda anche l'avveramento della condizione, e quindi lo schiavo acquista una quota
pari alla metà del valore del fondo, e l'altra quota per mancato avveramento della condizione si consolida in
quota agli eredi.
Se però nel caso concreto uno pagasse la metà, il trasporto della salma non avviene, non essendo stata pagata
l'intera somma. La risposta generalizzante (per quanto benevola) non risolve fino in fondo il caso
concreto.
Inoltre: era possibile in un caso del genere attestare la propria disponibilità all'adempimento richiesto dalla
condizione, in modo da farla risultare sufficientemente avverata? Un modo per attestare tale disponibilità era
il deposito del danaro presso un tempio.
Singolare e plurale nei testi giuridici; cose fungibili, ovvero sostituibili con cose di eguali caratteristiche
dimensionali. Ovvero sulle res quae pondere, numero et mensura constant.
La sequenza dei termini peso, numero e misura viene ricondotta alla storia di un istituto giuridico: la
mancipatio, per il trasferimento della proprietà delle res mancipi, che avveniva alla presenza dell'acquirente,
del trasferente, di colui che teneva la bilancia e di 5 testimoni. L'acquirente toccava la bilancia
simbolicamente. Ma la presenza della bilancia si giustifica in una proiezione storica, per il tempo in cui la
bilancia serviva a pesare (la bilancia non era quella a due piatti, ma la stadera, formata da un'asta orizzontale
tenuta in sospeso con un gancio , da una parte il piatto dall'altra il contrappeso scorrevole). Quando non
esisteva la moneta coniata, il corrispettivo delle compravendite era costituito da pezzi di metallo di bronzo il
cui valore era determinato in base al peso. Quindi i pezzetti di metallo (aes rude) venivano pesati per
stabilire il valore della compravendita. In seguito vennero fusi in lingotti tutti uguali e dello stesso peso (non
era ancora la moneta): non era così più necessaria la pesatura, bastava contare i pezzi (aes signatum,
perché ciasucun pezzo aveva impresso un segno che ne indicava il peso). Fase successiva, moneta coniata
con valore impresso.
Pluralia tantum: sostantivo il cui uso registrato è solo al plurale. E viceversa, esistono sostantivo il cui uso
attestato è solo al singolare. Leggiamo al riguardo Varrone, testo 47:
La prospettiva del dibattito riferisce al I secolo avanti Cristo: se la lingua latina sia da
interpretare come se fosse un sistema analogico o un sistema anomalo, cioè fondato sulla
anomalia. Disputa fra analogisti e anomalisti (la lingua si forma per differenza, scarto, non
corrispondendo necessariamente a presunte regole grammaticali).
A tale riguardo Varrone analizza alcune parole il cui uso è riferibile solo al singolare.
Varrone è moderatamente analogista e in questo passo di oppone alla tesi anomalista: lo
scarto è di volta in volta motivato. E' vero che per i metalli si usa il plurale, ma il plurale
non indica il metallo, ma gli oggetti. Questa caratteristica la ritroviamo anche in italiano.
Allo stesso modo non si usava il plurale dei fluidi / liquidi; quando lo si usava era per
riferirsi alla loro provenienza: la stessa categoria merceologica in atto ai nostri giorni, per
cui diciamo “i vini francesi„ etc.--
Fatta questa premessa, i giuristi osservano queste regole sul singolare o sul plurale dei
sostantivi?
Flavio Carisio, che riprende questa regola ma con una eccezione, per due volte
nell'affrontare questi argomenti compie un grave errore. Vediamo il testo n.56:
[56] Char. 178.30 ss. B.: panium Caesar de analogia Char. 178.30 ss. B.: Cesare nel libro II sull’analogia
libro II dici debere ait. sed Verrius contra. nam i afferma che si deve dire ‘panium’ (dei pani);
detracta panum ait dici debere. neutrum autem puto diversamente Verrio Flacco ritiene che si debba dire
posse dici, quia de his est nominibus quae, cum pondere ‘panum’ senza la ‘i’. Personalmente ritengo che non si
numero(!) mensuraque constent, semper sunt singularia. debba dire in nessuno dei due modi poiché i nomi che
vengono in considerazione a peso, numero (!) e misura
sono sempre e solo singolari.
Che senso ha dire che i nomi considerati per il loro numero sono sempre solo singolari?
E' una contraddizione in termini: le cose che vengono in considerazione in numero sono
generalmente plurali. Possiamo giustificare ciò in un solo modo: che l'uso giuridico di
queste cose che pondere numero e mensura constant era così inveterato da condizionare
anche l'uso del linguaggio corrente. Come se il grammatico non si fosse reso conto che
assumere quella triade nel contesto era sbagliato. Ciò a riprova del fatto che il linguaggio
giuridico era conosciuto e diffuso nell'uso corrente. Tanto è vero che noi possediamo degli
elenchi di sigle utilizzate nell'ambito giuridico, tramandate da Valerio Probo (opere sue in
senso stretto). Ma nei codici che ci riportano le opere di Probo, ci sono testi a lui riferiti
anche se non di certa attribuibilità a lui. Excerpta probiana: Q P N M C
→ prova provata che l'espressione che indicava le cose fungibili era talmente diffusa da
essere utilizzata in sigla.
Questo errore si coglie per l'influenza del linguaggio giuridico sulla lingua corrente.
LEZIONE 10 (18.3.2021)
Fascicolo IV, Testo 58. Attestazione sul duale residuale nel latino.
Testimonianze sulla levità dei responsi di Cascellio, il cui spirito di indipendenza emerge dal testo
n.43.
44. La nave non è suscettibile di divisione fisica, pena la sua distruzione. In diritto romano si
distingue fra
Res ex distantibus (gregge), res ex coaerentibus (una nave). Qui il responso di Cascellio, oltre al
motto di spirito, ha un preciso significato giuridico.
45 Un editto degli edili proibì che nell'arena dei gladiatori gli astanti gettassero altro che frutti.
Al di là del motto di spirito, il problema è quello di definizione giuridica di un termine (già visto per
suppelex): che cosa si intende per "frutto" nel linguaggio giuridico e negoziale?
A volte il linguaggio giuridico ricalca quello ordinario, altre volte meno.
Termine, nel linguaggio giuridico significa "periodo di tempo", e perciò il termine circoscrive
l'ambito semantico entro cui la norma ha valenza.
Detto: "Il diritto nei confronti dei nemici si applica e nei confronti degli amici si interpreta".
Nota bene: quale appartenenza al demanio statale, i laghi non sono menzionati se non in quanto
acque; non come il mare, ove del mare si comprende anche la spiaggia e il lido, con specificazione
di questi. Il lago è senza specificazione. La disposizione non è esplicita. I giudici allora13 cercano
altre disposizioni: r.d. 1926/1895:
R.D. 726/1895
Regolamento per la vigilanza e per le concessioni delle spiaggie dei laghi pubblici e
delle relative pertinenze
Art. 1. Attribuzioni del Ministero dei LL. PP. [lavori pubblici] sull'amministrazione
delle spiaggie lacuali. Il Ministero dei LL. PP. dal quale, a termini dell'articolo 1°,
lettera f, della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E 14, sui LL. PP. dipendono il
regime e la polizia dei laghi pubblici, vigila per mezzo delle Prefetture a che non
vengano commesse abusive occupazioni dei laghi stessi e delle relative spiaggie di
uso pubblico.
Art. 2. Questioni sulla proprieta' Alla risoluzione in via amministrativa delle vertenze
che insorgessero sulla proprieta' delle spiagge o pertinenze lacuali ed al
componimento delle liti, ove ne sia il caso, provvede il Ministero delle Finanze
d'accordo con quello dei LL. PP.
Altro testo:
R.D. 544/1931
Concentramento nel Ministero dei lavori pubblici di servizi relativi alla esecuzione di
lavori pubblici per conto dello Stato.
E' utile?
Anche qui è affermata la competenza del Ministero quando le spiagge lacuali siano già di proprietà
dello Stato. Ma può anche voler dire che tutte le spiagge lacuali sono dello Stato.
Onde Cassazione ha voluto fare ricostruzione più ampia del problema, con due osservazioni
rilevanti: in fondo a pagina 2:
Le sentenze impugnate avevano stabilito che l'alveo era demaniale perché una parte veniva
sommersa in occasione delle piene e poi per la fruizione pubblica d'approdo dal lago.
Giudici, orientati alla demanialità, danno poi definizione di alveo (soggetto a piene) e spiaggia
(sempre asciutta, atta agli usi pubblici).
-> 822CC lo interpreta per analogia col mare, riferendovi per il lago sulle stesse nozioni.
"Né è poi superfluo evidenziare che alla sostanziale equiparazione dei criteri di rilevamento del
demanio marittimo e di quello lacuale (confr. Cass. civ. sez. un. 13 novembre 2012, n. 19703; Cass.
civ. sez. un. 14 dicembre 1981, n. 6591) — equiparazione peraltro già presente nel diritto romano
(confr. Dig. 50, 16, fr. 112, che, dopo l'affermazione della natura pubblica del litorale marino,
aggiunge: idem iuris est in lacu, nisi is totus privatus est) — queste Sezioni unite sono pervenute
sia sulla base del rilievo, di ordine logico, che l'estensione della demanialità alla spiaggia lacuale è
giustificata dalle stesse esigenze che determinano la demanialità in genere, posto che la limitazione
della proprietà pubblica all'alveo, ne renderebbe illusoria l'utilizzazione da parte della collettività;
sia sull'abbrivio dei testi normativi che presuppongono la demanialità delle spiagge lacuali, quali il
r. d. 10dicembre 1985, n. 726 (Approvazione 4 Corte di Cassazione - copia non ufficiale ••• ~O ME.
WRE11".11~.~1~1. !! ~111111~•r del regolamento per la vigilanza e per le concessioni delle
spiagge dei laghi pubblici e delle relative pertinenze: segnatamente artt. 1, 4, 5-33), il r.d. 25 luglio
1904, n. 523 (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse
categorie: art. 97), il r.d. 18 maggio 1931, n. 544 (Concentramento nel Ministero dei lavori pubblici
di servizi relativi alla esecuzione di lavori pubblici per conto dello Stato: art. 2, comma 2)".
Cass. Civ. Sez. U, 10089/2015
D. 50.16.112, Iavolenus libro 11 ex Cassio
Litus publicum est eatenus [pubblico], qua maxime fluctus exaestuat. Idemque iuris est in lacu, nisi is totus
privatus est.
Il lido (del mare) è pubblico fin dove si estende l'onda più lunga. Uguale è la condizione giuridica del lago, a
meno che esso non sia interamente privato.
Fondamento della nozione moderna del demanio e pubblicità sia rivolta al mare che al lago. I giudici di
Cassazione, entro questa nozione, distinguono due fasce: alveo, fin dove arrivano le piene; spiaggia, la parte
asciutta.
L'analogia interpretativa delle parti del lago rispetto a quelle del mare del 822 , ormai
indubitabile per i giudici, trova il suo fondamento nell'analogia fra lido del mare e
lido del lago affermata da Giavoleno in Digesto 50.16.112
Sempre nella tradizione giuridica occidentale è esistita la equiparazione fra demanio marino e lacuale.
Ma attenzione: nisi is totus privatus est. -> in diritto romano, la proprietà privata di un intero lago era
ammissibile. Da noi, no. Abbiamo un curioso frammento al riguardo sull'acquisto del Lago di Bracciano da
parte di una donna romana:
Rutilia Polla emit lacum Sabatenem Angularium et circa eum lacum pedes decem: quaero, numquid et
decem pedes, qui tunc accesserunt, sub aqua sint, quia lacus crevit, an proximi pedes decem ab aqua
Rutiliae Pollae iuris sint. Proculus respondit: ego existimo eatenus lacum, quem emit Rutilia Polla, venisse,
quatenus tunc fuit, et circa eum decem pedes qui tunc fuerunt, nec ob eam rem, quod lacus postea crevit,
latius eum possidere debet quam emit.
Rutilia Polla ha comprato il lago di Anguillara Sabazia e intorno al lago una fascia di dieci piedi: domando
se, qualora i dieci piedi acquistati fossero sommersi dall'acqua per una crescita del lago, non si debba ritenere
che appartengano a Rutilia Polla i dieci piedi superiori. Proculo rispose: ritengo che il lago acquistato da
Rutila Polla avesse l'estensione verificabile al momento dell'acquisto, e così i dieci piedi circostanti; quindi
per effetto del fatto che il lago in seguito sia cresciuto ella non può essere proprietaria di qualcosa in più
rispetto a ciò che ha acquistato.
LEZIONE 11 (23.3.2021)
LEZIONE 12 (25.3.2021)
Sentenza 7897/2014.
Si dibatteva in alternativa fra l'applicazione del 2952 c.c. in alternativa 2033 c.c.
2952 c.c. :
Ente assicuratore eccepisce: applicabile 2033 c.c. -> non essendo previsto il termine per la
prescrizione del diritto, si applica la prescrizione ordinaria di cui al 2946 c.c.
L'Assicurazione aveva pagato una maggior somma, su questo non c'era contestazione da parte della
società convenuta. La parte di somma dovuta era dovuta in base al contratto, se vi fosse stata
controversia -> prescrizione biennale da contratto; ma la parte in più non dovuta non si applica sulla
base del contratto, e quindi non si applica il 2952, ma trattandosi di indebito ordinario si applica il
2033. Così la Corte di Cassazione, che nel suo ragionamento richiama il diritto romano
Cassazione affronta due interpretazioni della dottrina relative al 2033 sulla non doverosità del
pagamento.
CONDICTIO INDEBITI.
I sostenitori della tesi dell'applicazione ristretta argomentano che anche noi dobbiamo fare riferimento alle singole
situazioni. Cassazione non accoglie questa impostazione, e accoglie quella più generalistica. v. Sentenza a pagina 11.
Il legislatore del 1942 ha incluso nelle situazioni di indebito oggettivo tutte le situazioni di indebito,
fra cui quelle in cui le parti erano legate da una causa negoziale.
Il rimando alle fonti romane che giustificano l'interpretazione sull'indebito fatta dagli antichi è
riportata in documento:
L'obbligazione nel mutuo (re) sorge con la dazione di una cosa. Gaio, accede ad una intuizione:
questa dazione di cosa che fa sorgere un'obbligazione, fino ad adesso posso farla sorgere da
contratto. Invece, nella ripetizione d'indebito accade il contrario: che le parti non vogliono far
sorgere una obbligazione, ma vogliono estinguerla. C'è un'analogia in quel dare, che fa sorgere
un'obbligazione, ma le parti l'obbligazione vogliono estinguerla. Gaio coglie il substrato psicologico
alla quale viene attribuito il valore giuridico. Le parti vogliono estinguere un'obbligazione e in
realtà la fanno sorgere. Come possiamo rapportare questa nozione di indebito di Gaio al tema di cui
ci stiamo occupando?
Gaio concepisce l'indebito come figura unitaria che si occupa anche quando la prestazione non è
dovuta, quindi anche quando è oltre la prestazione concordata: che è precisamente il caso della
sentenza in oggetto, dove il pagamento non è dovuto indipendentemente dal rapporto negoziale fra
le parti. Ecco dunque che il 2033 dopo tante discussioni costituisce una specie di
ritorno alle origini, già presente in diritto romano, cioè in Gaio. La normazione
attuale recupera una normazione originaria del diritto romano che poi si è sfrangiata in tante
particolari, ciascuna retta da sue regole.
Stesso tema nelle Res cottidianae di Gaio (o elaborazione da parte di altri autori). Le Istituzioni
sono un manuale. Le res cottidianae sono lo stesso contenuto, ma più approfondito: sono un
trattato.
Gaio, Res Cottidianea: Colui che accetta per errore ciò che non gli è dovuto, è obbligato quasi*
come per dazione di mutuo ed è tenuto per lo stesso effetto dell'azione che compete ai creditori.
Varia causarum figurae (figure da accostare ai contratti [-> *quasi contratto] o ai delitti [quasi
delitto] )
In molti codici europei la quadri-classificazione è recepita e le fonti delle obbligazioni sono quattro,
laddove il
nostro codice del 1942 ne richiama tre e rappresenta un recupero
del pensiero di Gaio (che ne richiama 3: contratto, delitto e "varia causarum
figurae").
1173 c.c. Le obbligazioni derivano dacontratto(1), da fatto illecito(2), o
da ogni altro atto o fatto idoneo [2043] a produrle in conformità
dell'ordinamento giuridico(3).
Spiegazione su Brocardi.it
Spiegazione dell'art. 1173 Codice Civile
Per l'art. 1097 del codice del 1865 le fonti delle obbligazioni erano [5], com' è noto, il contratto, il
quasi contratto, il delitto, il quasi delitto e la legge. Si ricordano, ancor oggi, le varie dispute cui
questa quintuplice distinzione aveva dato luogo, dispute che si concentravano, in particolare,
sulla ricerca di un criterio differenziatore non tanto del contratto dalla legge quanto del contratto
dal quasi contratto e, inoltre, del delitto dal quasi delitto. Quella classificazione era stata peraltro
severamente criticata, in quanto priva di una solida base sin dal diritto romano, anche se l'art.
1097, in ossequio al desiderio di ritornare ai puri principi romanistici, era ritenuto la traduzione
quasi letterale del famoso testo di Gaio(Inst 3, 13, § 2), in cui si dice che le obbligazioni « aut ex
contractu sunt, aut quasi ex contractu, aut ex maleficio aut quasi ex maleficio ». Si tratta della
seconda e, pare, ultima alterazione elaborata dalle scuole bizantine delle due
classificazioni gaiane: una, contenuta nelle Institutiones, che enunciava soltanto due fonti
delle obbligazioni (contractus e delictum), l'altra, contenuta nelle Res cottidianae, che ne
considerava tre (obligationes aut ex contractu nascuntur, aut ex maleficio, aut proprio quodam
iure ex variis causarum figuris).
La contrapposizione del quasi contratto al contratto e del quasi delitto al delitto non solo fu
riprodotta dalle legislazioni che precedettero quella italiana del 1865, ma fu anche giustificata. In
realtà, però, la quintuplice distinzione si rivelavaincompleta (ad es. non vi si menzionava il
testamento, fonte di obblighi per l'erede) e risultava priva di qualsiasi reale fondamento,
specialmente riguardo alle figure del quasi contratto e del quasi delitto. E così, mentre si
riconosceva un contenuto diverso al contratto ed al delitto - sia pure con alcuni rilievi che
potevano dirsi decisivi per questa distinzione -, si stentava nel trovare un'analogia - che l'avverbio
«quasi» stava appunto ad indicare - tra il contratto ed il quasi contratto, il delitto ed il quasi
delitto. Erano, infatti, erronee le teorie che volevano vedere una rispondenza tra il contratto ed il
quasi contratto ora o nell'accordo di volontà che nel primo era esplicito e nel secondo tacito o
presunto o finto — come se si fosse potuto escludere un accordo tacito o ammettere una
presunzione di consenso nel contratto — ora in una analogia rilevata da un punto di vista
oggettivo, considerando, cioè, i requisiti del contratto e del quasi contratto — poichè era proprio
da questo angolo visuale che il contratto si differenziava dal quasi contratto. Incomplete (se non
errate) erano pure le teorie che vedevano una differenza tra le due figure del delitto e del quasi
delitto, basandosi sui testi di Pothier, ora nel diverso grado di imputabilità del fatto illecito (il
fatto doloso avrebbe dato origine al delitto, quello colposo al quasi delitto); ora, invece,
nell'attività (fatto doloso) e nell'omissione (fatto colposo) della persona; ora, infine, nel fatto
proprio personale (fatto doloso) e nel fatto altrui (fatto colposo).
L' insufficienza di queste dottrine aveva indotto taluni (ed erano i più) ad affermare che tutte le
fonti delle obbligazioni dovevano ridursi a due uniche categorie: la volontà dell'uomo — la
quale può dar vita ad un contratto o ad un fatto illecito — e la legge, considerata però non nella
sua funzione di riconoscere e sanzionare rapporti obbligatori creati dalla volontà e perfetti ad
opera di essa, ma come fonte e causa generatrice immediata dei rapporti stessi. Che tale
distinzione avesse avuto una rilevanza sostanziale e, quindi, anche una corrispondenza nella
realtà, si poteva constatare dal fatto che diversi erano i presupposti di un'obbligazione voluta
dalle parti, nei limiti fissati all'autonomia della loro volontà, dalla legge, rispetto ai presupposti di
un'obbligazione che nella legge trovava direttamente la sua causa generatrice: solo per i primi e
non pure per i secondi si richiedevano i comuni elementi esistenziali e di validità del negozio
giuridico.
Nella compilazione del progetto del nuovo libro delle obbligazioni, mentre si era inizialmente
deciso di non mantenere più la quintuplice distinzione giustinianea dell'art. 1097, si discusse se,
volendo indicare le fonti delle obbligazioni, fosse più esatto restringerle tutte a due soltanto (fatto
dell'uomo e legge) oppure aggiungerne altre. Ma già l'art. 5 del progetto del 1936 aveva
enunciato come fonti delle obbligazioni «il contratto, l'atto illecito ed ogni altro fatto idoneo a
produrle in virtù della legge», e l'articolo che si esamina ne ha sostanzialmente ripetuto il
contenuto, sostituendo, nell'ultima parte, alle parole «in virtù della legge», le altre «in conformità
dell'ordinamento giuridico»: modifica meramente formale che non incide sul contenuto della
norma.
L'indicazione delle cause dell'obbligazione dell'art. 1173 francamente non sembra migliore di
quella dell'art. 1097, poichè se si voleva apportare una modificazione a quest'ultima disposizione
(come, senza dubbio, si doveva fare), non era opportuno sostituirla con un'altra dal contenuto
incerto, quale appare quella in commento. Infatti la terza fonte (ogni altro atto o fatto idoneo a
produrle in conformità dell'ordinamento giuridico) contiene in sè le altre due: non si può, invero,
dubitare che il contratto e il fatto illecito siano rispettivamente atti idonei a far sorgere, il primo
per volontà dell'uomo e il secondo per legge, un'obbligazione in conformità dell'ordinamento
giuridico sotto questo punto di vista la tautologia si rivela evidente.
Si potrebbe, è vero, giustificare la disposizione ritenendo: a) che con il termine atto il legislatore
abbia voluto indicare il negozio unilaterale obbligatorio, poichè pure da questo l'art. 1937 fa
derivare effetti obbligatori nei casi ammessi dalla legge, come ad es. testamento (articoli 647,
653), promessa di pagamento (art. 1988 del c.c.), promessa al pubblico (art. 1989 del c.c.).
Sennonché, anche di fronte a questa esegesi va osservato che la fonte primaria dell'obbligazione
che scaturisce da un negozio unilaterale rimane pur sempre la volontà dell'uomo, come la volontà
dell'uomo è quella che da vita al contratto; b) che nell'espressione generica «atto o fatto idoneo a
produrle in conformità dell'ordinamento giuridico» il legislatore abbia voluto sussumere, come in
una categoria in bianco, tutte quelle cause che, diverse dal contratto e dal fatto dell'uomo,
l'ordinamento giuridico considera produttive di rapporti obbligatori: nell'espressione utilizzata
dall'articolo in esame si avrebbe, in sostanza, un richiamo a quelle « variae causarum figurae»
delle Res cottidianae di Gaio, comprensive, per il diritto romano, di casi eterogenei diversi dal
contratto e dal delitto, ed individuate, poi, nelle figure del quasi ex contractu e quasi ex delicto.
Ma, a parte l'opportunità del richiamo ad una fonte già in quel diritto vaga ed indeterminata, è da
rilevare che l'indicazione di quella generica causa si risolverebbe, in definitiva, nell'indicazione o di
una norma di legge o di un atto volontario, cioè di quelle cause dell'obbligazione già menzionate
dallo stesso art. 1173, per cui anche qui la ripetizione appare evidente. Con terminologia più
esatta a al tempo stesso comprensiva di qualsiasi fonte dell'obbligazione, si sarebbe dovuto
menzionare soltanto la volontà dell'uomo e la legge.
Passando, ora, all'esegesi dell'art. 1173, mentre nessuna spiegazione appare necessaria per le
fonti «contratto» e «fatto illecito», per le altre che il codice individua nell' «atto o fatto ecc.», si
rileva che
con tali termini si è inteso far rispettivamente rientrare nella categoria delle fonti delle
obbligazioni ogni manifestazione di volontà (testamento, promessa al pubblico, ecc.) e ogni fatto
dell'uomo (gestione d'affari (articoli 2028-2032), pagamento dell'indebito (articoli 2033-2040),
arricchimento senza causa (articoli2041-2042) cui la legge riconnette l'efficacia di far sorgere un
vincolo giuridico.
Questa volta il riferimento romano ha una proiezione storica, scalvalca il codice di giustiniano per
attingere direttamente a Gaio.
LEZIONE 13 (30.3.2021)
Ancora qualche sentenza della Corte di Cassazione n.7093/2015 (danno da animali) per poi
passare alla trattazione del II modulo sulla responsabilità.
Si trattava di decidere se fosse applicabile il 2050 oppure il 2052 del Codice civ.
Art. 2050 - Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose.
Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura o per
la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee a evitare il danno.
(-> se il gestore prova di aver apprestato tutte le misure idonee, non c'è colpa.)
L'accertamento, stabiliva la Cassazione, per il maneggio è da fare di volta in volta. Non c'è una
regola di applicabilità generale dell'uno o dell'altro. Per questo casa, si trattava di danno da animali
(2052).
Trattandosi nel maneggio di una circostanza di istruzione, il gestore è tenuto ad apprestare delle
attenzioni in più sulla qualità del cavallo, tale per cui non può considerarsi fortuito il caso che il
cavallo si imbizzarrisca. Ciò è prevedibile (forse per qualunque cavallo).
Argomentazione sul presupposto a pagina 5 della sentenza:
Actio de pauperie
D.9.1.1, Ulpianus libro 18 ad edictum
pr. Si quadrupes pauperiem fecisse dicetur, actio ex
lege duodecim tabularum descendit: quae lex voluit
aut dari id quod nocuit, id est id animal quod noxiam
commisit, aut aestimationem noxiae offerre.
[...]
2. Quae actio ad omnes quadrupedes pertinet.
3. Ait praetor "pauperiem fecisse". Pauperies est
damnum sine iniuria facientis datum: nec enim potest
animal iniuria fecisse, quod sensu caret.
4.
4. Itaque, ut Servius scribit, tunc haec actio locum
habet, cum commota feritate nocuit quadrupes, puta si
equus calcitrosus calce percusserit, aut bos cornu
petere solitus petierit, aut mulae propter nimiam
ferociam: quod si propter loci iniquitatem aut propter
culpam mulionis, aut si plus iusto onerata quadrupes
in aliquem onus everterit, haec actio cessabit
damnique iniuriae agetur.
XII tavole consentivano di uccidere il ladro notturno. L'agire di notte era una aggravante.
Nella sentenza si osserva che ancora oggi il furto compiuto di notte può dare luogo
all'aggravante. Statuizioni del diritto romano si scoprono all'interprete come fondamenti alla
base dell'esperienza giuridica moderna.
II modulo – Sulla responsabilità
Per i testi: fascicolo V delle dispense.
Partiamo dalla definizione più ampia in tema di obbligazioni, e poi restringiamo il cerchio.
Tutte le situazioni in cui un soggetto è tenuto a una prestazione nei confronti di un altro.
La nozione di contratto di Gaio, comprendendo anche queste, risponde infatti a quella moderna di
negozio giuridico.
Nell'uso linguistico talora si parla di responsabilità da atto lecito e da atto illecito. Ciò presenta
qualche inconveniente dal punto di vista logico-giuridico. Siccome anche l'inadempimento
contrattuale è un atto illecito, allora tale distinzione è ambigua, impropria.
Meglio parlare di resp. negoziale e extra-negoziale.
Per la resp. extra-negoziale: -> da atto del soggetto che diventa responsabile
Nel corso ci occupiamo solo di _______, (non dunque della responsabilità da adempimento di neg.)
Diritto romano ha impianto casistico: poche leggi e soprattutto casi, di cui disponiamo su questo
argomento.
Gli altri 3 delicta (rapina, furto e ingiuria) erano colpiti solamente quando dolosi,
questo – il danno – era invece represso, oltre che per dolo*, anche in caso di colpa.
Ciò – la colposità - fu campo di aperta riflessione nella giurisprudenza romana.
Sulla lex aquilia ci informa Gaio nel libro III delle Istituzioni:
LEZIONE 14 (1.4.2021)
212. Nell'azione di questa norma non si valuta solo il corpo;
ma, certo, se per l'uccisione di un servo il padrone riceva un danno
superiore al suo prezzo, anche questo si valuta. Ad esempio se il
mio servo, istituito erede da qualcuno, sia stato uccìso prima che per
mio ordine adisse formalmente l'eredità, non si stima solo il suo
prezzo, ma anche l'importo dell'eredità perduta. Cosi, se di gemelli, ratio maggior valore:
comici o suonatori, sia stato ucciso uno, non si fa la stima solo dell'ucciso, -> abitutati
ma, in più, si computa anche il deprezzamento degli altri a esibirsi in
che restano. Si applica lo stesso critèrio anche se di una coppia di coppia
mule ne abbia ucciso una, o di una quadriga di cavalli uno
Il calcolo (valore schiavo ucciso > del valore della metà della coppia) che si deve fare in questo
caso è dato dal valore aggiunto dato dal valore schiavo superstite in base al rendimento negli
spettacoli (che può esser 0 se da solo non può esibirsi).
Quantificazione schiavo istituito erede. Il destinatario effettivo dell'eredità era il padrone. Occorreva
però che lo schiavo adisse formalmente l'eredità. Se veniva ucciso prima che potesse adire
formalmente l'eredità, ma dopo la morte del testatore, allora il risarcitore doveva risarcire non solo
l'importo dello schiavo ma anche dell'eredità.
La lex aquilia in quanto repressiva di un illecito ha carattere penale: la sanzione è proprio il
maggior valore dal danno prodotto. Ciò si vede bene nel furto, che comporta il risarcimento di un
multiplo della cosa rubata. Il derubato aveva azione di rivendica (o formula corrispondente) sulla
cosa più richiesta di un multiplo (3-4 volte) di risarcimento rispetto al valore della cosa.
Nella formula recitata il promissario poteva indicare un altro beneficiario della stipulazione (non
intesa come stipulatio pro -al posto di- alio) nel senso di obbligazione alternativi: centum dari
spondes mihi aut Aulo?
Promissario aggiunto aveva potere (anche falsamente) di rimettere il debito, e dichiarare che la
obbligazione era stata estinta. Se lo dichiarava pubblicamente tramite acceptilatio (anche in frode) il
primo dei due non aveva azione per rivalersi. Per rimediare a ciò si diede alla possibilità a questi di
agire, nel caso appunto di rimessione fatta in frode.
217. Nel terzo capo si provvede per ogni altro danno. Cosi
se uno abbia ferito il servo o il quadrupede che rientri fra il bestiame,
o abbia ferito o ucciso un quadrupede che non vi rientri, come
un cane, o una bestia feroce quale l'orso o il leone, è data azione in
questo caso. Anche il danno ingiustamente arrecato agli altri animali,
e slmilmente -a tutte le cose inanimate, lo si punisce in questa parte.
Se qualche cosa invero sia stata bruciata o rotta o infranta, è data
azione in questo capo; per quanto la sola indicazione di 'rotta'
sarebbe potuta bastare per tutti questi casi: per rotto si intende infatti
ciò che in qualunque modo fu guastato. Onde con questo termine
sono comprese non soltanto le cose bruciate o infrante, ma
anche quelle lacerate, schiacciate, rovesciate, e in qualunque modo
rovinate, distrutte e deteriorate.
In questi due paragrafi ci sono precetto e sanzione del III capo della lex aquilia.
Il precetto puniva l'uccisione o il ferimento di uno schiavo o di un quadrupede.
Poi comprendeva l'uccisione o il ferimento di un animale che non rientrasse nella definizione di
quadrupede, e infine il danneggiamento di una cosa materiale.
Sanzione: la cosa che aveva avuto negli ultimi 30 giorni. Ciò ha comportato un dubbio: il maggior
valore della cosa, come nel primo capo, o il valore discrezionalmente applicato dal giudice? Con
Sabino la giurisprudenza si orienta con il sottointeso di "maggior valore", ossia la prima soluzione.
Testo n.8:
Si stabilisce che se il derubato ha ecceduto nella difesa non può invocare la lex aquilia.
Nel caso di specie, egli poteva avvalersi dell'esimente perché la sua lesione non era volontaria. Non
è stato violato consapevolmente il 2° criterio della lex aquilia, ossia la proporzionalità.
Di altre cause di giustificazione abbiamo notizia negli altri frammenti. Testo n.6:
In questo caso (colpa dei venti) si determina un danno alle reti del loro proprietario (III capo lex
aquilia: danneggiamento di cose materiali).
Sono in questo caso responsabili ex lex aquilia? No:
Ricorre la causa di giustificazione dello stato di necessità o forza maggiore.
Ma se ciò fosse avvenuto per colpa del nocchiero (2a parte frammento)?
Il Professore ha qualche riserva che si possa agire in forza della lex aquilia, come qui afferma il
giurista. Come va trattato processualmente questo danno? Immaginiamo che il proprietario delle
funi tagliate agisca contro i marinai. Cosa succede in questo caso? Il marinaio avrebbe potuto dire:
"Io ho agito in causa di necessità". La causa dell'incagliamento per lui era irrilevante. Il proprietario
allora chiama in causa il nocchiero ex lege aquilia: cosa risponde il nocchiero? "Io non ho tagliato
nulla" -> mancanza del requisito corpore corpori. A questo punto due ipotesi: se si ritiene che il
contatto materiale ci sia stato comunque con l'incagliamento, si potrebbe essere d'accordo con
l'azione del giurista. Altrimenti, bisognerebbe chiedere un'azione utile (actio utilis) al pretore per
questo caso in cui il requisito del contatto è invero dubbio.
Ultimo periodo del frammento. Qual è l'argomento trattato? La quantificazione del danno. Ci si
chiede se possa essere computato il contenuto della rete, per quanto esso era ancora in mare.
Risposta negativa. Perché? Res nullius! L'appropriazione delle quali è a titolo originario tramite
apprensione/appropriazione. Evidentemente il giurista qui ritiene che quando le reti sono ancora in
mare e non tirate sulla barca la cosa nella rete è ancora res nullius, senza proprietà di colui che, non
avendo ancora tirato le reti in barca, non può dirsi proprietario di ciò perché non le ha ancora
acquistate tramite l'appropriazione.
Abbattimento della casa intermedia nel timore che l'incendio possa estendersi alla propria.
Il giurista ritiene si possa invocare lo stato di necessità. Ma qual è la novità concettuale che
aggiunge al riguardo? Che il pericolo viene apprezzato soggettivamente, non oggettivamente.
Occorre fare riferimento alla percezione (in buona fede) soggettiva dell'agente. Se percepiva
soggettivamente il pericolo, allora non si applica la lex aquilia.
Ultimo requisito riguarda l'elemento soggettivo: viene cioò richiesto dalla lex aquilia che il danno
fosse compiuto in modo doloso o almeno colposo. Frammento n.10:
Frammento non chiarissimo, ma ci serve per mettere a fuoco le nozioni che ci interessano.
C'è un soggetto che viene aggredito: reagisce lanciando pietra contro l'aggressore, ma colpisce il
passante, che è lo schiavo dell'aggressore. E' risarcibile il danno arrecato al passante? Sì, in base a
lex aquilia. C'è la colpa. L'oggetto della colpa è la condotta.
La moderna distinzione fra dolo e colpa sono qui attestati:
– dolo è volontà di produrre l'evento;
– la colpa come volontà di tenere una determinata condotta.
Il fatto che Paolo non si profonda nella spiegazione attesta che ciò era implicito e chiaro alla
nozione della giurisprudenza acquisita dell'epoca.
L'emersione di dolo e colpa è antichissima come ci attesta la lettura dei frammenti 15 e 16:
Passo di Servio (non il giurista), grammatico della tarda antichità, che commentò verso per verso le
opere di Virgilio (qui si tratta del commento alle Bucoliche, Iva -> puer, medievalmente fortunato):
Raffronto fra visione pagana e cristiana. Concezione della storia dell'umanità di era greco-romana
era ciclica: età felici e di decadenza (oro e ferro). Quelli di età augustea la ritenevano (politicamente
sollecitati) a che la loro fosse età dell'oro: il puer per Virgilio era un rampollo della casa augustea.
Quella cristiana è una concezione escatologica: tende verso le cose ultime, giudizio universale, esito
definitivo della storia universale.
Contenuto Bucoliche di Virgilio: I pastori dovevano lasciare le terre, per accontentare i veterani
delle guerre augustee, cui erano destinati i loro fondi. Humilesque Myricae... sarà ripreso da Pascoli
Myricae, rovesciandone il significiato: "arbusta iuvant humilesque myricae" -> vuole dare dignità
poetica alle cose umili. Laddove Virgilio aveva scritto non arbusta iuvant humilesque myricae.
LEZIONE 15 (6.4.2021)
Leggi rege, età arcaica. Già in erà arcaica era stabilito che se qualcuno senza volerlo (imprudens) avesse
ucciso un uomo, doveva offrire un ariete (rito espiatorio).
Emerge la distinzione fra omicidio doloso e non doloso.
Questo frammento ci consente di riflettere sull'interferenza dei fenomeni esterni (vis maior o casu)
sull'accertamento dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa. In questo caso si discute della sola
colpa.
Come viene analizzata la situazione? Primo, per l'esclusione della colpa, si richiedeva che ci avesse
acceso il fuoco, l'avesse fatto in un giorno non ventoso: altrimenti già configurava colpa.
Poi, acceso il fuoco in giorno non ventoso, si richiedeva l'aver disposto tutte le azioni in suo potere
per evitare la propagazione al fondo del vicino -> diversamente, vi era colpa (nel caso cioè che sia
rimasto inerte).
In tutti e due i casi si tratta di una colpa sotto il segno della negligenza
La negligenza riguarda i casi di attività non professionali, tra cui appunto l'accendere un fuoco.
Come interferisce il fattore esterno irresistibile o imprevedibile sull'accertamento della colpa o del
dolo. Il nesso di causalità fra fattore esterno ed evento, venendo accertato, rescinde l'addebito del
dolo o della colpa.
Vis flumini, vis venti, terremoto: in età giustinianea viene ricomprensivamente inteso sotto la
denominazione di VIS MAIOR.
In età classica il caso fortuito si definisce solo casus, in seguito viene aggiunto "fortuito".
Si tratta di un caso di responsabilità oggettiva: gli incendi fortuiti sono equiparati a quelli che
avvengono per l'incuria di qualcuno.
Testo n.17 da conto di una specia di svolta nella definizione della colpa aquiliana, avvenuta per
opera di Quinto Mucio (lo stesso della causa aquiliana):
Quale mutamento di criteri di valutazione della colpa si svolge con l'opera di Quinto Mucio?
Prima -come si capisce- andava indenne chi potava sul suolo privato per una concezione di tutela
assoluta della proprietà privata: il proprietario sarebbe stato responsabile solo per dolo.
Testi 19 e 20:
Qui, nel frammento di sopra, il parametro della diligenza è valutata su quello che generalmente si può
prevedere che accada. Non aver valutato la propria infermità al momento di accingersi dall'effettuare
la propria attività di condurre le mule. Questo frammento ci insegna come anche nell'esperienza giuridica
romana si affermi la nozione di imprudenza. Siamo già alla 3a specie di colpa, come da noi moderni
considerata.
Ora prendiamo di nuovo in esame il testo 21 già considerato per l'actio de pauperie (dagli studiosi viene
considerata un chiaro caso di responsabilità oggettiva, ma qui la consideriamo sotto l'aspetto della
responsabilità aquiliana):
In questo caso la colpa, considerata sotto due profili, che troviamo entrambi:
a) colpa sotto la specie dell'imprudenza, per l'incapacità di aver trattenuto il cane (corpore
corpori c'è -seppur indiretto; c'è il danno; non ci sono cause di giustificazione)
b) Colpa per violazione di leggi, regolamenti per aver portato il cane in luogo dove
non doveva essere
In sintesi, la colpa già in diritto romano presenta i quattro aspetti fondamentali in cui la
riconosciamo ancora oggi nella teoria generale del diritto penale:
Danno ingiusto punito per colpa e per dolo in base alla lex aquilia, sussistendo i requisiti
del: contatto, anti-giuridicità (mancanza cause di giustificazione), elemento soggettivo
(dolo e colpa).
La Colpa si presenta fin dall'età romana sotto le specie della:
negligenza; imprudenza; imperizia; inosservanze di legge.
Quanto alla responsabilità aquiliana, basta.
Veniva esercitata da un passante che fosse stato colpito da un lancio di una di queste due
cose contro l'abitator-resonsabile della gestione di quella unità immobiliare (poteva essere
un pater familias proprietario/conduttore/comodatario).
L'azione era rivolta dunque contro l'abitator, non contro colui che aveva gettato l'oggetto ->
chiara responsabilità oggettiva.
Rivolta contro l'abitator di una casa dalla quale pendessero oggetti pericolosi. Non contro
colui che li aveva posti, ma contro l'abitator. Rispetto alla prima, oltre alla responsabilità
ritenuta oggettiva, conteneva un elemento in più: si poteva agire anche in caso di
pericolo/possibilità, prima della realizzazione dell'evento -> non solo a seguito del danno
inferto -> base della moderna nozione dei reati di pericolo.
--
Può essere, come visto (cf. Sopra ) , primaria o secondaria, quando l'inadempimento è impossibile o
scaduto il termine.
Le ipotesi di non imputabilità d'inadempimento sono riconducibili a due motivi, al riguardo testo
Il fattore che può rendere non imputabile l'inadempimento: 1) rifiuto del creditore a ricevere la
prestazione, o comportamento equivalente al rifiuto protratto nel tempo. Diversamente, a carico
dell'obbligato si manifesta una non imputabilità parziale.
Terza ipotesi: 3) il creditore può andare in giudizio, ma se a suo tempo non ha collaborato,
andando in giudizio deve tenere un certo comportamento processuale, per evitare di perdere la
causa. Deve agire per la prestazione dovuta, con riduzione del petitum (dedotta la stima del costo
che il debitore aveva dovuto sopportare per mantenere la cosa fino all'adempimento).
LEZIONE 16 (8.4.2021)
Dopo aver visto la prima delle cause di non imputabilità della responsabilità a seguito di un
negozio giuridico (nell'esempio fatto era il legato per damnationem), cioè il protratto
rifiuto del creditore a ricevere la prestazione, nonché l'azione dolosa per chiedere
quanto non prestato per il suo riufiuto, vediamo oggi la seconda delle cause di non
imputabilità:
– forze incoercibili o imprevedbili.
Testo n. 3 (II parte fascicolo disp. IV): Ulpiano, nel libro 74° all'editto...
L'istituto di cui si tratta è la Cautio iudicio Sisti, in base alla quale se una delle parti
chiedeva un rinvio, esso veniva concesso al giudicante in base a stipulatio (in funzione
cautelare) di pagare una certa somma se la parte che aveva chiesto il rinvio non fosse
comparsa nel luogo della successiva udienza.
Accadeva poi che in qualche caso la parte non potesse presenziare: occorreva allora stabilire
se l'adempimento fosse imputabile oppure no. Ma il promissario, se dotato di ragioni
oggettive per comparire, poteva fondare una actio ex stipulato, eccependo tali ragioni.
Quale frammento ci ricorda questa situazione? La stipulatio Efesi dari (il termine).
In tutte e due casi si tratta di adempiere in un certo luogo. A differenza di quella, qui viene
proposto l'esempio in cui il mancato inadempimento non è certamente imputabile, cioè il
caso in cui il luogo ove comparire fosse allagato o distrutto. In tutti gli altri casi deve
procedersi a cognizione della causa, come nella stipulatio Efesi dari: solo il giudice,
comparando il comportamento dell'obbligato con quello di una persona di normale diligenza
nelle le condizioni esterne oggettivamente date (viabilità e fenomeni atmosferici), si può
stabilire se l'adempimento era imputabile o non imputabile.
Ulpiano al paragrafo 6 ("quanto a ciò che abbiamo detto...") troviamo che offre un
fondamento metodologico, usato anche nelle trattazioni giuridiche moderne, nel
commentare la clausola edittale, mediante un metodo lemmatico che cerca di dare la
definizione giuridica dei termini impiegati nella disposizione (da distinguere dalla
norma):
Passiamo adesso a un frammento che illustra due situazioni particolari, testo 13.7.30 n.4
(Paolo nel libro V delle epitomi)...
Un prestito a un traghettatore non viene restituito; il mutuante gli prende e trattiene la barca e
lasciandogliela in mezzo al fiume; una piena la porta via e disperde. C'è responsabilità?
Si danno due casi: che il traghettatore abbia trattenuto con il consenso, oppure senza il consenso del
barcaiolo.
Se l'ha trattenuta senza il consenso del traghettatore, si applica l'actio ex lege aquilia per
danneggiamento (iniuria, dolo, contatto materiale: ci sono i presupposti).
Ma se l'ha trattenuta con il consenso del traghettatore, quale contratto si può ravvisare? Il contratto
di pegno.
-> il creditore pignoratizio risponderà solo se non ha tenuto un comportamento abbastanza diligente
nella conservazione della barca ricevuta in pegno.
-> ma se la forza del fiume era tale, da esser impossibile resistergli, non risponde.
Storia dell'ipoteca nel diritto romano.
*Nel caso dell'acquirente di res mancipi (e il fondo arborato era tale!), l'acquirente è solo
possessore: non è dominus, ma la res perit a suo rischio! Ma in questo caso non è perita, è
proprio mutato l'oggetto della compravendita. Se avesse comperato il fondo, anziché il
fondo arborato: si applicava il principio suddetto periculum est emptoris.
Frammento n. 7 "Se, dopo l'ispezione del fondo, degli alberi sono stati abbattuti dal
vento..."
In che cosa differisce questo frammento dal precedente? L'oggetto è il fondo, non gli alberi.
Però gli alberi sono ancora sul fondo, adagiati. Perché non vengono acquistati
dall'acquirente? Per separazione materiale. Il fondo è un bosco; gli alberi, rispetto al bosco,
sono frutti. Quando i frutti acquistano oggettività giuridica, come elemento distinto da ciò
che li ha prodotti? Nella separazione. Per separazione deglia alberi-frutti, che in quanto si
sono separati /staccati dal fondo, costituiscono un oggetto diverso nella disponibilità del
venditore, e dunque non sono acquistati con il fondo dal compratore.
Se invece il proprietario del fondo avesse saputo che vi era stato abbattimento di alberi, ma
non avesse detto nulla all'acquirente-compratore prima del perfezionamento della compra-
vendita, secondo le categorie di responsabilità si parla di responsabilità pre-contrattuale.
Per lesione della buona fede. Con quali conseguenze per il compratore: la scomputazione
dell'- id quod interest – l'interesse ad acquisire anche gli alberi.
La stima attiene ad una valutazione soggettiva: non il valore oggettivo di mercato, ma
l'utilità che il venditore può dimostrare che ne avrebbe tratto.
Stiamo andando in direzione del lucro cessante.
Id quod interest non solum ex damno dato constat, sed etiam ex lucro cessante
Testo 11: periculum est emptoris, se il fondo -una volta comperato- viene diminuito da una
frana, da un'inondazione, di un terremoto o di qualsiasi caso fortuito. Il principio non è
passibile di deroghe.
LEZIONE 17 (13.4.2021)
Si tratta, come genere, di un contratto aleatorio sotto l'aspetto di vendita di cosa futura. Il prezzo
della cosa futura viene stabilito, prima che essa venga all'esistenza.
Se il contratto fosse stato: "venduto tutto il raccolto che verrà, a prezzo fissato in X"
invece, se le parti, dicessero: "viene venduto il raccolto a prezzo X per unità di capacità (modio=8
litri ca.)"
Quali rischi sopportano le parti, nel caso dell'acquisto dell'intero raccolto a prezzo fisso nel primo
caso - emptio spei? In genere, il rischio principale è sopportato dall'acquirente. Ma non possiamo
neanche escludere che il raccolto di quell'anno potesse essere oltre le aspettative.
Inoltre, oltre al profilo di rischio quantificazione del raccolto, più o meno abbondante, il secondo
profilo di rischio è rappresentato dall'oscillazione dei prezzi di mercato. Se il prezzo di mercato
aumenta, ci rimette il venditore; se diminuisce, ci rimette l'acquirente.
Nel secondo caso - emptio rei speratae: qui il rischio, siccome il prezzo è ad unità di misura, è
distribuito, tendenzialmente si annulla. Non è allocato ad una sola parte. Invece, dal punto di vista
di mercato, essendo predeterminato, il contratto incide sulla distribuzione del rischio.
Il profilo del frammento di cui sopra è più accostabile a una compravendita di empio spei.
E' la clausola successiva alla prima che ci orienta a ciò: "se le condizioni atmosferiche che si
verificheranno prima della percezione del raccolto saranno straordinarie, allora il venditore sarà
tenuto a tenere indenne l'acquirente". Se avessero venduto a unità di raccolto (emptio rei
speratae), tale clausola di prevenzione dal rischio non avrebbe avuto senso.
Tale clausola incide in via di attenuazione del rischio negoziale dell'empio spei, riducendo l'alea
sopportata dall'acquirente.
Il giurista ne dà conto nella spiegazione degli effetti della clausola. Chiara nei giuristi romani della
facoltà di modulare il rischio. La clausola, in sé considerata, può accostarsi ad una clausola di
assicurazione dal rischio di un evento fortuito. La differenza è che nell'esperienza giuridica
moderna le pattuizioni di natura assicurativa vengono in genere stipulate con un terzo. Qui è
inserita in un contratto di compravendita, ma la funzione è la stessa.
Locazione.
La affrontiamo dalla lettura del frammento n.9 (Lo stesso Ulpiano nel libro 32°...) e n.10.
L'obbligazione principale del locatore è mettere a disposizione del conduttore una cosa di modo
tale che essa permanga nell'uso utile per il quale è stata convenuta per il periodo della locazione.
L'utilità qui riguarda dunque gli usi agricoli. Questa circostanza deve garantirla il locatore e
sopportarne le conseguenze. Succede che un'inondazione e una frana compromettano il raccolto.
Come riflette il giurista in quest'evenienza?
Servio dice che il rischio è sul locatore, e dunque implicitamente che al locatore non è dovuto il
canone: remissio mercedis (remissione del canone).
Domanda: noi abbiamo la perdita del raccolto per effetto di fenomeni atmosferici straordinari. In
questo caso il locatore sopporta gli effetti e non è dovuto il canone. Il rischio contrattuale, dunque,
è addossato tutto al locatore? No! Perché il conduttore perde il raccolto. Nella realtà complessiva
della contrattazione si verifica anche la perdita del raccolto, e quindi la proposta di Servio attiene
ad una ripartizione del rischio. Il conduttore sopporta infatti la perdita del raccolto, il locatore
quella del canone.
Seconda ipotesi: il raccolto è perduto per altre ragioni: erbe infestanti, vino che diventa aceto. Una
corretta tecnica di vinificazione avrebbe impedito il fenomeno -> imperizia del conduttore -> Il
rischio è tutto sul conduttore, che è tenuto al pagamento del canone.
Le parole riferite alla “perduta semenza” fanno riferimento alla nozione di danno emergente ->
conduttore non deve pagare il canone. Una frana ha danneggiato il raccolto e non deve pagare il
canone.
Malattia Ulivi e Insolazione insolita: la differenza è che la malattia delle piante potrebbe essere
curata. Malattia delle piante assimilata all'evento esterno/forza maggiore, ma in realtà se è
controllabile, il rischio dovrebbe essere del conduttore.
Cerchiamo di dare ordine alle varie ipotesi che si susseguono nelle fattispecie in esame da parte
del giurista romano.
Finora abbiamo visto fenomeni di perdita per cause naturali di forza maggiore, qui il fattore è
antropico: l'aspetta che le accomuna è la irresistibilità e si dà la medesima soluzione a entrambe le
fattispecie -> a sopportare la perdita è il locatore che deve garantire l'utilitas del fondo locato al
conduttore.
3a ipotesi: è il locatore stesso che impedisce il godimento di ciò che ha locato, onde -oltre
alla remissio mercedis- gli deve la quantificazione patrimoniale della perdita del godimento, che
deve essere interamente pagata -> si tratta del lucro cessante
La nozione è quella dell' id quod interest: l'interesse dovuto giuridicamente alla parte
La componente dell' id quod interest è data dal danno emergente e dal lucro cessante. Quindi in
termini di interesse soggettivo e non oggettivo.
Il principio è periculum est emptoris, indipendentemente dalla consegna. Gli eventi che incidono
sulla res dopo la compravendita, anche se non consegnata, sono sopportati dall'acquirente.
Ma qui il giurista afferma che il prezzo deve essere restituito, e quindi non sembra applicarsi al
principio suddetto. La ragione è che l'acquirente, per l'esproprio, ha ricevuto un lauto indennizzo!
Per questa motivazione, generalmente accolta, il venditore ha percepito due volte il prezzo del
fondo. Quindi, a seguito di ingiusto arricchimento, è corretto che restituisca il corrispettivo del
pagamento al compratore, che peraltro non è proprietario, ma solo possessore temporaneo (fino a
usucapione o in iure cessio o mancipatio) per il diritto romano (quindi l'indennizzo è stato pagato al
venditore, non all'acquirente).
LEZIONE 18 (15.4.2021)
Reponsabilità contrattuale da locazione d'opera per vitium soli oppure per vitium operis
La nozione di contraente debole è ambivalente, mobile. Potrebbe darsi il caso in cui il contraente
debole sia il locatore: il Professore fa il caso del contadino che assume un'impresa per scavare il
fosso.
Per Labeone (I secolo a.C.) la responsabilità del conduttore vale in ogni caso per il fatto che, chi si
mette all'opera deve sapere se il suolo è viziato: questa perizia fa parte del prendersi in carico
l'onere di costruzione fin dal principio, e cioè fin dalla valutazione dei presupposti per l'opera.
Capacità di valutare l'idoneità dell'oggetto all'atto di trasformazione. Il vitium soli deve far parte di
una valutazione preliminare. Onde, se ne verificasse la inidoneità, dovrebbe rinunciare.
La soluzione di Paolo (fra II e III secolo a.C.) è solo apparentemente più avanzata.
La cosa fungibile oggetto di restituzione del mutuo è di qualità dello stesso genere e
specie.
Agli effetti dell'intensità della responsabilità per inadempimento, cosa significa che il
mutuatario debba restituire il tantundem? E' intensa: deve restituire sempre. Non può
eccepire caso di forza maggiore: io non trovo il danaro, è venuta una valanga e l'ha
sommerso. Il denaro c'è.
-> l'unico caso di non imputabilità è rarissimo: allor quando sia perito l'intero genere delle cose che
deve restituire. E' un esempio da manuale, che peraltro è inapplicabile al danaro. Però ad es. una
qualità di vino di una determinata qualità di una particolare annata. Se un taverniere si era fatto dare
a mutuo una certa quantità del vino di Chio, che avrebbe restituito allor quando la nave con l'ultimo
carico, facendo questa naufragio, responsabilità non imputabile. Ma normalmente le cose fungibili
possono essere reperite.
i) del buon padre di famiglia16; ii) diligentia quam suis (diligenza nel custodire
le proprie cose); iii) diligentia diligentissimi patris familias (la diligenza del più
diligente tra i padri di famiglia, ovvero la massima diligenza in rapporto alle
condizioni psico-fisiche dell'obbligato).
Per definire la resp. del comodatario alla fine fra i giuristi è prevalso il criterio
della massima diligenza possibile, perché? Cioè, perché la diligenza deve essere
16 L'elaborazione concettuale è della pandettistica tedesca, seconda metà '800, che ne abusò, astratizzandolo:
"l'adempimento di una ballerina sarebbe valutato secondo il criterio della diligenza del buon padre di famiglia".
particolarmente intensa? Perché il comodante merita maggior tutela?
* Tranne quando il comodante di argenteria vuol fare bella figura anche lui con gli ospiti. Giuristi
concordi per attenuare la diligenza in questo caso.
Quanto detto viene risconstrato sui testi (fascicolo V) p.9, XIV n.2, 3; p. 10,
frammento di Ulpiano, dal paragrafo 2: "E' ora da vedere..."
Ultimo testo del corso, Ulpiano 50, 17, 23: pregevolissimo tentativo di sintetizzare i
criteri da applicare per l'inadempimento:
"Alcuni contratti ammettono solianto il dolo, alcuni dolo e colpa. Solo il dolo,
deposito e precario. Dolo e colpa il mandato, il comodato, la vendita, il pegno
manuale, la locazione, come pure la dotis datio, i vari casi di tutela e la
gestione d'affari: in questi e pure rilevante la diligenza. Tutto ciò, beninteso, se
nel concludere il singolo contratto non si sia espressamente convenuto
diversamente (in più o in meno), tranne per quel che Gelso ritiene invalido, e
cioè se si sia convenuto che non si presti il dolo: ciò è infatti in contraddizione
con un giudizio di buona fede: e così ci regoliamo. Nessuno è responsabile
per gli eventi e le morti che toccano gli animali e che han luogo senza colpa, le
fughe degli schiavi che non sogliono essere custoditi, le rapine, i tumulti, gli
incendi, le inondazioni, gli attacchi dei predoni".
Ultimo ripasso