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STUDI IN RICORDO DI

CARLO AUGUSTO CANNATA


a cura di
Luigi Garofalo e Letizia Vacca

E S TR A TT O

JOVENE EDITORE 2021


Questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo
del Dipartimento di Diritto Privato e Critica del Diritto dell’Università
degli Studi di Padova.

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Printed in Italy Stampato in Italia


Paola Lambrini

I FASTI DI OVIDIO E I DIGESTA DI ALFENO VARO

1. ‘Tempora cum causis Latium digesta per annum’. – Carlo Augusto Cannata
è stato per me un’importante figura di riferimento, che con generosità ha guidato
i miei primi passi nel mondo del diritto romano; ricordo con nostalgia i pome-
riggi passati nel suo studio a Neuchâtel a discutere di testi del Digesto, di teorie
possessorie e di aneddoti della romanistica.
Tra le sue opere più importanti si può ricordare il libro Per la storia della
scienza giuridica europea, in cui magistralmente ha trattato la nascita e gli sviluppi
della prima giurisprudenza europea. In questo saggio dedicato alla sua memoria
mi piacerebbe aggiungere una piccola notazione in merito a un possibile collega-
mento tra Alfeno Varo e il poeta Ovidio.
Il sulmonese, più famoso per i suoi scritti intimistici sull’amore e per l’opera
sulle metamorfosi, è autore anche di un monumentale volume dedicato al ca-
lendario romano, i Fasti 1, di cui già dal titolo è evidente lo stretto collegamento
con temi giuridici. Dies fasti, infatti, erano i giorni in cui i magistrati supremi po-
tevano convocare l’assemblea del popolo 2 e il pretore (ma prima ancora l’organo
che esercitava nell’epoca più antica la giurisdizione) era autorizzato, nell’ambito
della procedura delle legis actiones 3, a pronunciare, sine piaculo, i famosi tria

1
Sull’opera in generale cfr., più di recente, D. Porte, L’étiologie religieuse dans les ‘Fastes’
d’Ovide, Paris, 1985; G. Herbert-Brown, Ovid and the Fasti: An Historical Study, Oxford, 1994;
C.E. Newlands, Playing with Time: Ovid and the Fasti, Ithaca - London, 1995; Ovid’s Fasti.
Historical Readings at its Bimillennium, a cura di G. Herbert-Brown, Oxford, 2002; M. Labate, Tra
Grecia e Roma: l’identità culturale augustea nei Fasti di Ovidio, in ‘Fecunda licentia’. Tradizione e
innovazione in Ovidio elegiaco, a cura di R. Gazich, Milano, 2003, 71 ss.; M. Pasco-Pranger,
Founding the Year: Ovid’s Fasti and the Poetics of the Roman Calendar, Leiden, 2006.
2
Liv. 1.19.7: Idem nefastos dies fastosque fecit, quia aliquando nihil cum populo agi utile futurum
erat. Cfr. B. Liou-Gille, Le calendrier romain: histoire et fonctions, in Euphrosyne, XX, 1992, 311
ss.; R. Santoro, Il tempo e il luogo dell’‘actio’ prima della sua riduzione a strumento processuale, in
AUPA, XLI, 1991, 300 ss.; C. Pelloso, Ricerche sulle assemblee quiritarie, Napoli, 2018, 145 ss.
3
Ai dies fasti fa espresso riferimento Ovidio nei versi 1.45-48, in cui dice che insegnerà quelli
che sono gli iura dierum e precisa che fasti sono i giorni in cui lege licebit agi, cioè vi sarà la possi-
bilità di agire in giudizio nella forma delle legis actiones (Ne tamen ignores variorum iura dierum, /
non habet officii Lucifer omnis idem. / Ille nefastus erit per quem tria verba silentur; / fastus erit per
quem lege licebit agi).
472 PAOLA LAMBRINI

verba 4: do, dico, addico 5. Già leggendo la prima riga dei Fasti di Ovidio salta
all’occhio la presenza di un termine tecnico del diritto romano:
Tempora cum causis Latium digesta per annum
lapsaque sub terras ortaque signa canam.
Questo incipit 6, al quale è stata dedicata molta minor attenzione rispetto ai
versi iniziali delle Metamorfosi 7, «definisce le affiliazioni letterarie dell’opera con
una precisione quasi meticolosa, che ha pochi riscontri nella tradizione dei
proemi» 8.
Come ben ha osservato Alessandro Barchiesi, con la parola causis è chiara-
mente richiamato il modello di Callimaco, autore degli Aitia in cui era spiegata
l’origine delle consuetudini religiose greche; tutto il secondo verso rinvia ad
Arato, autore del poema astrologico Fenomeni che descrive le apparizioni celesti,
le leggende che vi si riferiscono e i segni del tempo nel mondo greco.
Per annum può essere visto come un rinvio agli annales dei pontefici, ma
anche all’opera omonima di Ennio (importante riferimento per alcune parti dei
Fasti) e forse pure a quella di Accio, che doveva riguardare da vicino il tema del
calendario e della sua eziologia 9.
Il legame con il modello latino più recente e importante, quello dell’amico
Properzio, che nell’ultimo libro delle sue Elegie si allontana dal poema d’amore e
si dedica a narrare miti e culti della tradizione italica 10, è dichiarato meno diret-
tamente in quanto già evidente per il lettore.

4
Cfr. Varro ling. 6.29-30: dies fasti, per quos praetoribus omnia verba sine piaculo licet fari; con-
trarii horum vocantur dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem ‘do, dico, addico’; itaque non potest
agi …; Sen. tranq. an. 3.7; Macr. Sat. 1.16.10; 14. V. anche CIL, I.1, 231 (Fast. Praen. ad ian. 2):
<hic dies fastus est. fasti dies appe>llantur, quod iis licet fari apud <magistratus populi Romani ea sine
quibu>s verbis lege agi non potest. Sul tema v. M. Wlassak, Der Gerichtsmagistrat im gesetzlichen
Spruchverfahren, in ZSS, XXIV, 1904, 92; F. Stella Maranca, ‘Ius pontificium’ nelle opere dei giu-
reconsulti e nei fasti di Ovidio, in Annali del Seminario Giuridico Economico della R. Università di
Bari, I, 1927, 1 ss.; J. Paoli, Les définitions varroniennes des jours fastes et néfastes, in RHD, XXIX,
1952, 295 s.; C. Gioffredi, Diritto e processo nelle antiche forme giuridiche romane, Roma, 1955,
179 ss.; da ultimi M. Falcon, ‘Praetor impius’: ‘ius dicere’ nei ‘dies nefasti’, in Religione e diritto ro-
mano. La cogenza del rito, a cura di S. Randazzo, Tricase, 2014, 187 ss.; A. Kirsopp Michels, Ca-
lendar of Roman Republic, Princeton, 2015, 36 ss.; B. Cortese, Giurisdizione e ‘iurisdictio’, in La
giurisdizione. Una riflessione storico-giuridica, Roma, 2019, 11 ss.
5
Per il significato attribuibile a ciascuno dei tre verbi cfr. R. Düll, Eröffnungsakt ‘in iure’ und
die ‘tria verba praetoris’, in ZSS, LVII, 1937, 83 ss.
6
Che viene ripreso all’inizio del libro quarto (4.11-12): tempora cum causis, annalibus eruta
priscis, / lapsaque sub terras ortaque signa cano.
7
Cfr. A. Barchiesi, The Poet and the Prince. Ovid and Augustan Discourse, Berkeley, 1997, X.
8
Così A. Barchiesi, Il poeta e il principe. Ovidio e il discorso augusteo, Roma - Bari, 1994, 42.
9
Cfr. A. Barchiesi, Il poeta, cit., 43; M. Labate, Passato remoto. Età mitiche e identità augu-
stea in Ovidio, Pisa - Roma, 2010, 174 ss.; L. Landolfi, Tentativi di mediazione con il potere.
Ovidio, Germanico e il proemio dei Fasti, in Intorno a Tiberio, I. Archeologia, cultura e letteratura del
Principe e della sua epoca, a cura di F. Slavazzi e C. Torre, Firenze, 2016, 121.
10
Al verso 1.69 della quarta elegia Properzio dichiara sacra diesque canam et cognomina prisca
I FASTI DI OVIDIO E I DIGESTA DI ALFENO VARO 473

Infine, il termine dies presente in Fasti 1.7-8 e in altri sparsi nell’opera 11 può es-
sere letto come un ricordo della più antica opera calendariale, I giorni di Esiodo 12.
In questo contesto, non può essere casuale l’uso del termine digesta 13.
Alessandro Barchiesi ha proposto di leggervi la chiave di volta del poema ele-
giaco, in parallelo al carmen perpetuum delle Metamorfosi che sta a designare il
poema epico.
A un giurista, tuttavia, tale termine richiama alla mente la grandiosa opera di
Giustiniano, il quale ‘ha digerito’, ha riorganizzato in modo sistematico ed esau-
stivo il meglio della giurisprudenza classica; analogamente, Ovidio si proponeva
di distribuire ordinatamente secondo l’anno latino le date delle festività e le loro
origini. A riprova dell’intenzionalità nell’uso da parte di Ovidio di questa termi-
nologia, si può osservare come il verbo digerere torni poco più avanti nei Fasti,
dove si dice che Romolo suddivise il tempo dell’anno in dieci mesi 14, e come
nelle prime righe delle Metamorfosi il poeta parli al contrario di una rudis indige-
staque moles, di una mole informe, confusa e disorganizzata 15.

2. Alfeno Varo e i poeti. – Stando alle fonti che possediamo, il primo a scrivere li-
bri di Digesta fu Publio Alfeno Varo 16, giurista vissuto intorno alla metà del I seco-
lo a.C., allievo del più grande giureconsulto di quei tempi, Servio Sulpicio Rufo 17.
Proprio all’interno della cerchia di allievi di Servio nacque il nuovo genere

locorum; chiari richiami a tale programma si trovano in Fasti 1.7-8: sacra recognosces annalibus eruta
priscis / et quo sit merito quaeque notata dies.
11
Ad esempio in 1.101 (vates operose dierum) e 3.177 (Latinorum vates operose dierum).
12
Cfr. A. Barchiesi, Il poeta, cit., 43.
13
Anche in considerazione del fatto che esso non ricorre con frequenza nella letteratura latina
dell’epoca: cfr. Prop. 2.31.3; Cic. Rosc. com. 3; orat. 1.186; Verg. georg. 2.47; Plin. nat. 13.27; Plin.
Iun. ep. 3.10; più tardi v. Macr. Sat. 1.11.50: anni … ordinationem a C. Caesare digestam.
14
Fasti 1.27-28: Tempora digereret cum conditor urbis, in anno / constituit menses quinque bis esse
suo. V. anche Fasti 2.625: cui pater est vivax, qui matris digerit annos.
15
Met. 1.5-9: Ante mare et terras et, quod tegit omnia, caelum / unus erat toto naturae vultus in
orbe / quem dixere Chaos, rudis indigestaque moles / nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem
/ non bene iunctarum discordia semina rerum. Il Caos si è poi riorganizzato, ha ‘digerito’ la primitiva
mole informe, come ci ricorda sempre Ovidio in ex Pont. 4.8.57-58: Sic Chaos, ex illa naturae mole
prioris / digestum partes scimus habere suas.
16
Cfr. C. Ferrini, Intorno ai Digesti di Alfeno, in BIDR, IV, 1891, 8 ss., ora in Opere, II, Mi-
lano, 1929, 175 ss.; L. De Sarlo, Alfeno Varo e i suoi ‘Digesta’, Milano, 1940; C.A. Cannata, Per
una storia della scienza giuridica europea, I. Dalle origini all’opera di Labeone, Torino, 1997, 270; H.-
J. Roth, ‘Alfeni Digesta’. Eine spätrepublikanische Juristenschrift, Berlin, 1999, 20 ss.; B. Albanese,
L’‘ars iuris civilis’ nel pensiero di Cicerone, AUPA, XLVII, 2002, 23 ss.; D. Liebs, P. Alfenus Varo. Eine
Karriere in Zeiten des Umbruchs, in ZSS, CXXVII, 2010, 32 ss.; M. Miglietta, «Servius respondit».
Studi intorno a metodo e interpretazione nella scuola giuridica serviana. ‘Prolegomena’, Trento, 2010,
38 ss.; F. Tamburi, Il ruolo del giurista nelle testimonianze della letteratura romana. I. Cicerone, Na-
poli, 2013, 219 ss.; A. Schiavone, ‘Ius’. L’invenzione del diritto in Occidente2, Torino, 2017, 242 ss.;
C. Lehne-Gstreinthaler, ‘Iurisperiti et oratores’. Eine Studie zu den römischen Juristen der Repu-
blik, Köln, 2019, 221 ss.
17
Sul quale cfr. M. Miglietta, «Servius respondit», cit., con tutta la letteratura precedente, cui
è da aggiungere C. Lehne-Gstreinthaler, ‘Iurisperiti’, cit., 165 ss.
474 PAOLA LAMBRINI

letterario che prende il nome dall’operazione di digerere, cioè di organizzare or-


dinatamente i responsi, genere che avrà grande fortuna fino a tutto il II secolo
d.C. 18. La fonte più importante per la conoscenza del pensiero di Servio è rap-
presentata appunto dai 40 libri di Digesta di Alfeno Varo 19.
Originario di Cremona 20, nonostante fosse di umili origini Alfeno Varo riu-
scì a raggiungere il consolato 21, forse proprio grazie alla sua fama di giurista, e fu
un intellettuale che aveva anche stretti legami con l’ambiente culturale. Probabil-
mente fu l’amico irriconoscente di Catullo 22, al quale dedica il carmen 30 23, la-
mentandosi del tradimento di Alfeno, che è definito immemore, ingrato e per-
fido, che un giorno dovrà pentirsi delle sue azioni, perché la Fides tradita non di-
mentica 24. In questa poesia Catullo utilizza una terminologia molto vicina alla
cultura giuridica, forse proprio per sottolineare l’aspetto più significativo «en el
perfil intelectual del amigo traidor: su condición de jurista» 25.
Anche Orazio ricorda il nostro giurista in una satira, definendolo vafer 26, cioè
astuto, sottile, probabilmente proprio in riferimento alle sue doti di acuta inter-
pretazione giuridica 27; dallo stesso contesto apprendiamo che il giurista sarebbe
provenuto da una famiglia di calzolai 28.

18
Questa è la forma letteraria che sarà «adottata da Aristone, Celso, Giuliano, Marcello, Cer-
vidio Scevola e forse da Marciano, e che si imporrà come necessaria per realizzare il compendio giu-
stinianeo»: così F. Casavola, Giuristi adrianei, Roma, 2011, 100.
19
Cfr. C. Ferrini, Intorno ai Digesti, cit., 175 ss.; C.A. Cannata, Per la storia, cit., 274; H.-J.
Roth, ‘Alfeni Digesta’, cit., passim (cfr. anche la Recensione di V. Carro, Su Alfeno Varo e i suoi
‘Digesta’, in Index, XXX, 2002, 235 ss.).
20
Secondo la testimonianza del commentatore Porphyrio: urbane Alfenum Varum Cremonen-
sem deridet, qui abiecta sutrina, quam in municipio suo exercuerat, Romam petit magistroque usus
Sulpicio iuris consulto ad tantum pervenit, ut et consulatum gereret et publico funere efferretur (ad Hor.
Serm. 1.3.130). Sul punto cfr. D. Liebs, P. Alfenus, cit., 40 s.
21
Fu consul suffectus nel 39 a.C.
22
Cfr. T. Frank, Catullus and Horace on Suffenus and Alfenus, in CQ, XIV, 1920, 160 ss.; A.
Castro Sáenz, Catulo y Alfeno Varo. Ecos de un jurista en la poesía latina del siglo I a.C.: del corpus
catuliano a los ‘Sermonum’ de Horacio, in Filía. Scritti per G. Franciosi, II, Napoli, 2007, 523 ss.
23
Sembra che si possa identificare con Alfeno Varo anche il Varus citato nei carmina 10 e 22;
«los tres poemas catulianos de Alfeno Varo configuran un crescendo de la amistad, o sea, de la vida:
una amistad de los amores y los libros …»: così A. Castro Sáenz, Catulo, cit., 536.
24
Catull. Carm. 30.1: Alfene immemor atque unanimis false sodalibus, / iam te nil miseret, dure,
tui dulcis amiculi? / Iam me prodere, iam non dubitas fallere, perfide? / Nec facta impia fallacum ho-
minum caelicolis placent. / Quae tu neglegis ac me miserum deseris in malis. / Eheu quid faciant, dic,
homines cuive habeant fidem? / Certe tute iubebas animam tradere, inique, me / inducens in amorem,
quasi tuta omnia mi forent. / Idem nunc retrahis te ac tua dicta omnia factaque / ventos irrita ferre ac
nebulas aereas sinis. / Si tu oblitus es, at di meminerunt, meminit Fides, / quae te ut paeniteat postmodo
facti faciet tui. Cfr., in particolare, P. Fedeli, Il carme 30 di Catullo, in ‘Studia florentina Alexandro
Ronconi sexagenario oblata’, Roma, 1970, 213 ss.; F. Della Corte, Personaggi catulliani 2, Firenze,
1976, 213 ss.; D. Liebs, P. Alfenus, cit., 40 ss.
25
Così A. Castro Sáenz, Catulo, cit., 547.
26
Serm. 1.3.130: … ut Alfenus vafer … V. D. Liebs, P. Alfenus, cit., 34 ss.
27
Nella seconda satira è il diritto stesso a essere definito vafer: Illum aut nequities aut vafri
inscitia iuris (Sat. 2.2.131).
28
Sat. 1.3.130-132: … omni / abiecto instrumento artis clausaque taberna / sutor erat. …
I FASTI DI OVIDIO E I DIGESTA DI ALFENO VARO 475

Ottimi rapporti doveva avere con Virgilio, proveniente dalla vicina Mantova,
tanto che il sommo poeta gli dedica la sesta ecloga 29 e lo ricorda nella nona 30: si
suppone che Alfeno sia stato di aiuto al poeta quando stava per perdere i terreni
di sua proprietà in conseguenza delle confische ordinate dai triumviri a favore dei
loro veterani 31.

3. Ovidio giurista. – Considerato lo stretto rapporto di Alfeno con i letterati


dell’epoca, possiamo immaginare che anche Ovidio lo avesse frequentato e che
conoscesse bene i suoi digesta, perché il sulmonese iuris scientia consultissimus
fuit 32.
Ovidio, infatti, per accondiscendere alla volontà del padre, studiò, insieme al
fratello Lucio, maggiore di lui di un anno, retorica e diritto nelle scuole migliori
di Roma 33. Certo, come lui, ebbero una educazione giuridica anche Virgilio 34,
Orazio 35 e in generale tutti quelli che svolsero il loro primo apprendimento sco-
lare a Roma in quel torno di tempo. All’epoca la conoscenza del diritto non era
ristretta alla cerchia dei professionisti, ma si estendeva a un numero di intellet-
tuali molto più ampio, e non si limitava alla conoscenza del testo delle XII Tavole
che, come ben sappiamo, era imparato a memoria da tutti i fanciulli dell’epoca 36.

29
Verg. ecl. 6.6-12: Nunc ego (namque super tibi erunt, qui dicere laudes, / Vare, tuas cupiant, et
tristia condere bella) / agrestem tenui meditabor harundine musam. / Non iniussa cano. Si quis tamen
haec quoque, si quis / captus amore leget, te nostrae, Vare, myricae, / te nemus omne canet; nec Phoebo
gratior ulla est / quam sibi quae Vari praescripsit pagina nomen.
30
Verg. ecl. 9.26-29: Immo haec quae Varo, necdum perfecta, canebat: / «Vare, tuom nomen, su-
peret modo Mantua nobis, / Mantua uae miserae nimium uicina Cremonae, / cantantes sublime ferent
ad sidera cycni».
31
Cfr. F. Wieacker, Augustus und die Juristen seiner Zeit, in TR, XXXVII, 1969, 341; R.A.
Bauman, Lawyers in Roman Transitional Politics. A Study of the Roman jurists in their political setting
in the Late Republic and Triumvirate, München, 1985, 92 ss.; H.-J. Roth, ‘Alfeni Digesta’, cit., 18
s.; D. Liebs, P. Alfenus, cit., 45 ss.; R. Syme, Approaching the Roman Revolution: Papers on Republi-
can History, Oxford, 2016, 221 ss.
32
Così lo definì Johannes van Iddekinge nella Dissertatio (philologico-juridica) de insigni in
poeta Ovidio Romani juris peritia, pubblicata ad Amsterdam nel 1811, testo in cui per la prima volta
si affermava che nelle opere del sulmonese si trovano molti passi che possono accrescere la cono-
scenza del diritto romano.
33
Studiò presso insignes urbis ab arte viros: trist. 4.10.16.
34
Cfr. F. Stella Maranca, Il diritto romano e l’opera di Virgilio, in Historia, IV, 1930, 580 ss.;
R. Hassan, Tradizione giuridica romana e ideologia augustea. Il catalogo dei dannati del Tartaro vir-
giliano (Aen. 6.608-614), in La repressione criminale nella Roma repubblicana fra norma e persuasione,
a cura di B. Santalucia, Pavia, 2009, 493 ss.
35
Cfr. R. Hassan, La poesia e il diritto in Orazio tra autore e pubblico, Napoli, 2014, passim.
36
Cic. leg. 2.23.59. Cfr. G. Nicosia, La legislazione decemvirale e la conoscenza del diritto, in
‘Fides, humanitas, ius’. Studii in onore di L. Labruna, VI, Napoli, 2007, 3777 ss.; O. Diliberto, ‘Ut
carmen necessarium’ (Cic. leg. II, 59). Apprendimento e conoscenza della legge delle XII Tavole nel I sec.
a.C., in Letteratura e ‘civitas’: transizioni dalla Repubblica all’Impero. In ricordo di E. Narducci, a cura
di M. Citroni, Pisa, 2012, 141 ss.; Le parole del diritto. L’età arcaica, a cura di O. Diliberto e M.V.
Sanna, Cagliari, 2016. V. anche D. Mantovani, Allusione poetica a una ‘lex regia’ (Ovidio, ‘amores’
I 7, 5), in Athenaeum, XC, 2002, 231 ss.
476 PAOLA LAMBRINI

In molti letterati vissuti tra la fine della Repubblica e il primo Principato si nota
una particolare attenzione per il diritto, come se il ceto intellettuale avesse acqui-
sito consapevolezza che proprio il diritto era «il vero unicum della cultura ro-
mana, il patrimonio peculiare e la grandezza culturale di Roma» 37.
Il caso di Ovidio è, tuttavia, un po’ diverso rispetto a quello degli altri intel-
lettuali dell’epoca, innanzitutto perché per lui non si trattò di una semplice for-
mazione giuridica, ma anche di un esercizio pratico di quelle competenze. Se-
condo quello che egli stesso ci racconta nei Tristia, per qualche anno si dedicò alla
vita forense, primo passo di quella carriera politica a cui potevano aspirare i ram-
polli di una benestante famiglia equestre come era la sua, carriera alla quale per
di più lo spingeva molto il padre. Vediamo rapidamente quali cariche rivestì
Ovidio.
Nei Tristia afferma che in età giovanile mosse i primi passi del cursus honorum
ed eque viris quondam pars tribus una fui 38: in questa indicazione si legge di solito
un riferimento ai tresviri capitales, un collegio eletto annualmente dai comizi tri-
buti e facente parte di quel gruppo di magistrature minori rientranti nel cosid-
detto vigintiviratus, che costituiva il punto di partenza del cursus honorum.
In particolare, i tresviri capitales avevano il compito di prevenire e reprimere
illeciti minori che davano luogo a una semplice castigatio, in quanto non costi-
tuivano veri e propri reati per la persecuzione dei quali sarebbe stato necessario
un giudizio criminale intentato dinanzi all’assemblea popolare o alle giurie delle
quaestiones perpetuae. Tra le competenze di questo collegio vi era anche quella di
sovrintendere alle esecuzioni capitali, da cui il nome di treviri capitales, e molti
autori pensano che l’assistere a queste esecuzioni abbia contribuito ad allontanare
l’animo sensibile di Ovidio dal Foro.
Un’altra carica ricoperta da Ovidio si evince sulla base di un’affermazione
contenuta nei Fasti: trovandosi a teatro, il suo vicino avrebbe affermato di aver di-
ritto a quel posto in ragione dei servizi da lui prestati come militare, mentre Ovi-
dio avrebbe acquisito quel privilegio prestando un servizio in tempo di pace 39,
cioè grazie all’appartenenza ai decemviri 40. Molto probabilmente si tratta dei de-
cemviri slitibus iudicandis, un’altra magistratura minore, sempre facente parte del
vigintivirato; secondo consuetudine si poteva accedere a una soltanto di queste
cariche 41, ma sembra che tale sistema non fosse inderogabile: «due cariche vigin-
tivirali sono certo singolari, ma non impossibili» 42.
37
Così R. Hassan, La poesia, cit., 182. V. già H. Marrou, Histoire de l’éducation dans l’anti-
quité, II. Le monde romain, Paris, 1948, 93 ss.; cfr. F.M. D’Ippolito, Poesia e diritto, in Politica, cul-
tura, diritto nel mondo romano. Scritti ultimi, Napoli, 2014, 11 ss.
38
Trist. 4.10.34.
39
Fasti 4.383-384: hanc ego militia sedem, tu pace parasti / inter bis quinos usus honore viros.
40
Il riferimento a questo collegio si trova in trist. 2.93-94: nec male commissa est nobis fortuna
reorum / lisque decem deciens inspicienda viris.
41
Cfr. E.J. Kenney, Ovid and the Law, in Studies in Latin Poetry, a cura di C.M. Dawson e T.
Cole, Cambridge, 1969, 245, nt. 7.
42
C. Cascione, ‘Treviri capitales’. Storia di una magistratura minore, Napoli, 1999, 217 s.
I FASTI DI OVIDIO E I DIGESTA DI ALFENO VARO 477

Questo collegio aveva competenze giudiziarie in campo civile, in particolare


in materia di processi di libertà. Augusto attribuì loro anche la presidenza del tri-
bunale centumvirale, competente in particolare per le cause ereditarie 43. È proba-
bile che Ovidio abbia svolto anche questa funzione, alla quale fa riferimento
un’affermazione contenuta in un’epistula ex Ponto, rivolta a Massimo Cotta, il
quale gli aveva inviato un’orazione giudiziaria e il poeta risponde che un tempo
avrebbe potuto decidere sulle sue parole, quando era solito sedere come giudice
tra i centumviri 44.
L’appartenenza al tribunale centumvirale permette di capire meglio la cono-
scenza approfondita del procedimento in iure tipico del sistema delle legis actio-
nes, conoscenza che traspare da molte opere ovidiane 45. Sappiamo che alla fine del
primo secolo a.C. il processo civile si svolgeva ormai secondo la nuova procedura
per formulas, che lo stesso Augusto con la lex Iulia de iudiciis privatis del 17 a.C.
aveva reso sistema ordinario per lo svolgimento dei processi privati, con l’unica ri-
levante eccezione proprio dei processi davanti ai centumviri, dove continuava a es-
sere utilizzata l’antica procedura delle legis actiones.
Nelle sue opere Ovidio ricorda spesso l’attività di giudice che svolse in gio-
ventù e afferma che, malgrado egli non l’amasse, la svolse con serietà e non senza
lode; sostiene che, sia quando gli fu affidata la sorte degli imputati, sia quando
decise questioni di diritto privato, svolse la sua attività senza biasimo, al punto
che anche la parte perdente riconosceva la sua correttezza 46.
Ricordiamo, infine, che rinunciò alla dignità di senatore perché, come dice
egli stesso, era un peso troppo grande per le sue forze; «il corpo non era paziente
e la mente non era adatta alla fatica, e io rifuggivo dagli affanni dei pubblici
onori» 47. Inoltre, a un certo momento egli rifiutò di proseguire nel cursus hono-
rum: anche se l’esercizio degli uffici giudiziari gli meritò onori e considerazione,
questa attività non faceva per lui e perfino le sentenze gli venivano sotto forma di
poesie 48. Mentre il fratello maggiore, che purtroppo morirà ventenne, era incline
all’eloquenza giuridica fin dalla giovane età 49, il nostro poeta era molto più atti-
rato dalle Muse e non voleva imparare a memoria leggi prolisse e neppure prosti-
tuire la propria voce nell’odiato foro 50.

43
Per le competenze di questo collegio v. Cic. orat. 1.173. In tema cfr. L. Gagliardi, ‘Decem-
viri’ e ‘centumviri’. Origini e competenze, Milano, 2002, 81 ss.
44
Pont. 3.5.23-24: utque fui solitus, sedissem forsitan unus / de centum iudex in tua uerba uiris.
45
Sul punto cfr. R. Düll, ‘Ovidius iudex’. Rechtshistorische Studien zu Ovids Werken, in Studi in
onore di B. Biondi, I, Milano, 1965, 83 ss.
46
Trist. 2.93-96: nec male commissa est nobis fortuna reorum / lisque decem deciens inspicienda
viris. / Res quoque privatas statui sine crimine iudex, / deque mea fassa est pars quoque victa fide.
47
Trist. 4.25-28: Curia restabat; clavi mensura coacta est / majus erat nostris viribus illus onus. /
Nec patiens corpus, nec mens fuit apta labori / sollicitaeque fugax ambitionis eram.
48
Quod tentabam dicere versus erat (trist. 4.10.26).
49
Trist. 4.10.17 s.: Frater ad eloquium viridi tendebat ab aevo, / fortia verbosi natus ad arma fori.
50
Amores 1.15.5-6: verbosas leges ediscere, nec me / Ingrato vocem prostituisse foro?
478 PAOLA LAMBRINI

In ogni caso, il poeta portò con sé molto di quell’attività giudiziaria, nell’uso


della terminologia e della dogmatica giuridica; fu proprio la pratica forense a la-
sciare un marchio indelebile nella sua poesia: i termini legali che troviamo spesso
nelle sue opere derivano non tanto dalle scuole, quanto dalla pratica delle corti 51.
Infatti, anche se manca ancora uno studio specifico e sistematico del linguag-
gio giuridico nelle opere di Ovidio 52, è indubbio che dalle sue opere traspaia una
notevole familiarità nell’impiego della terminologia tecnica e nell’utilizzo di allu-
sioni alla realtà giuridica contemporanea e antica di Roma.
Certo, neppure questa è una novità, nel senso che i poeti latini, a differenza
di quelli greci, spesso utilizzano termini e concetti giuridici 53 e sappiamo che il
pubblico aveva l’orecchio ‘giuridico’ ed era abituato a simili collegamenti: i testi
letterari latini «presuppongono, non solo negli autori ma anche nei destinatari di
quei testi, la capacità di intendere, magari superficialmente, le sottese implica-
zioni di carattere giuridico-istituzionale-politico. Ciò, naturalmente, riusciva più
facilmente a coloro che, appartenendo ad ambienti sociali elevati, colti e raffinati
della società, ne erano i fruitori più avvertiti e privilegiati; ma non era precluso
neppure alla maggior parte dei cittadini romani comuni che, per lo più, possede-
vano quantomeno una generica conoscenza delle questioni legali e delle loro im-
plicazioni politiche e istituzionali nella vita di ogni giorno» 54.
La terminologia giuridica, tuttavia, veniva più spesso utilizzata a scopo illu-
strativo o di metafora 55; in Ovidio, invece, oltre a essere presente in misura quan-
titativamente più rilevante rispetto agli altri autori, si trova un uso specifico del
linguaggio giuridico e di aree terminologiche non sfruttate da altri 56. Inoltre, egli
ne fa un uso ‘flessibile’, nel senso che il linguaggio giuridico viene inserito negli
ambiti più vari, assumendo significati differenti a seconda del contesto 57.

51
Così E.J. Kenney, Ovid, cit., 263.
52
Cerca di colmare questa lacuna un recente progetto avviato da Luigi Garofalo, di cui i primi
risultati saranno a breve pubblicati nel volume I Fasti di Ovidio.
53
Si vedano gli innumerevoli riferimenti segnalati da R.O. Benech, Études sur les classiques la-
tins, appliquées au droit civil romain, Paris, 1853 e da E. Henriot, Les poëtes juristes ou remarques
des poëtes latins sur les lois, le droit civil, le droit criminel, la justice distributive et le barreau, Paris,
1858; Id., Moeurs juridiques et judiciaires de l’ancienne Rome d’après les poëtes latins, Paris, 1865; in
particolare sui richiami alla lex v. E. Romano, Echi e riuso della legge nella letteratura latina, in ‘Le-
ges publicae’. La legge nell’esperienza giuridica romana, a cura di J. Ferrary, Pavia, 2011, 178: «dalla
commedia alla satira, dalla poesia giambica all’elegia, dall’antiquaria alla trattatistica tecnica, forme
di scrittura differenti lasciano cogliere gli echi dell’attività legislativa, a conferma dell’importanza
dell’esperienza della legge nella cultura romana».
54
Così L. Labruna, ‘Relegatus, non exul’: Ovidio e il diritto, in Antologia giuridica romanistica
ed antiquaria, II, a cura di L. Gagliardi, Milano, 2018, 122. V. anche O. Diliberto, La giurispru-
denza romana nelle opere letterarie, in Giuristi romani e storiografia moderna. Dalla ‘Palingenesia
iuris civilis’ agli ‘Scriptores iuris Romani’, a cura di A. Schiavone, Torino, 2018, 146.
55
V., di recente, U. Gebhardt, ‘Sermo iuris’. Rechtssprache und Recht in der augusteischen
Dichtung, Leiden - Boston, 2009.
56
Cfr. E. J. Kenney, Ovid, cit., 252 s.
57
Cfr. E. J. Kenney, Ovid, cit., 254.
I FASTI DI OVIDIO E I DIGESTA DI ALFENO VARO 479

Alla luce di tutto ciò, si può ritenere verosimile che nella prima riga della sua
opera ‘giuridica’ Ovidio, oltre a convocare Callimaco, Arato, Properzio ed Esiodo,
richiamasse anche un suo predecessore giurista, Alfeno Varo appunto 58, e si rifa-
cesse al suo modello per distribuire il vasto materiale necessario a trattare tutti i
riti e le festività dell’anno romano; come i Fasti, anche i Digesta, infatti, seppur
strutturati in un sistema ordinato, erano «quanto di meno sistematico si potesse
immaginare. Non la circolarità predisposta di una struttura conclusa, ma un
combinarsi molteplice e imprevedibile di fili che si annodano e si sciolgono. Un
universo aperto, con confini labili, morbidi, sempre in fuga» 59.

58
Del resto, come ben ha osservato O. Diliberto, La giurisprudenza, cit., 149: «i giuristi ro-
mani … sono noti ad un pubblico di lettori anche non specialisti di diritto. Le fonti non giuridi-
che … offrono anche, oltre alla semplice menzione onomastica, notizie biografiche sui giuristi, la
loro formazione, le frequentazioni».
59
A. Schiavone, ‘Ius’, cit., 262.

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