1997)
fascismo. È nata dal secondo matrimonio del padre, quello con l’attrice
della sua prima moglie, Maria Scicolone. Questa è la prima volta che
Rachele parla: «Per farlo non potevo che raccontare di mia nonna, la quale
ha avuto una vita straordinaria al fianco di un uomo che, comunque lo si
Rachele junior ha accettato di parlare 53 anni dopo che lo ha fatto sua nonna.
Alessandro Mussolini», dice sua nipote, «ha seguito il marito nella scalata al
potere. Poi ha visto la storia voltare pagina, con suo marito e quell’Hitler da
Rachele jr ha gli stessi luminosi occhi verdi della nonna che affascinarono
Benedetto Mosca
mio padre Romano Mussolini con Carla Puccini, nonna Rachele non solo
non fece salti di gioia, ma nei primi tempi si mostrò molto fredda. Per lei, io
ero «la figlia del peccato». Mio padre, infatti, non aveva ancora ottenuto il
divorzio da Maria Scicolone, dalla quale aveva avuto due figlie: Alessandra
nel 1964 ed Elisabetta nel 1966. Se fossi nata in Italia non mi avrebbe potuto
raccontato che, un giorno in cui lui era andato a trovarla a Villa Carpena,
donna Rachele gli disse: «Evidentemente non è colpa tua. Quella di non
maschi».
La nonna non aveva torto. Seduttori o sedotti, i Mussolini non potevano fare
a meno di corteggiare ogni donna. Prima di Benito, così era stato suo padre,
però, dopo le proteste e gli sfoghi, finiva per difendere il suo Benito. Di lui
diceva: «Ha tutti i difetti del mondo, ma in tanti anni non ha mai passato una
notte fuori di casa, né mi ha mai fatto mancare niente». Con quel «mancare
niente» non si riferiva solo ai beni materiali, ma anche al fatto che Benito
volta si diceva. Quanto alle «notti fuori», sapeva benissimo che suo marito
memorie dell’usciere Quinto Navarra. Pochi sanno che quel libro, in realtà, è
stato rivisto e sistemato da uno dei più grandi giornalisti italiani, Leo
Longanesi, famoso per la sua beffarda fantasia. In ogni caso non era
Rachele.
Ho letto anche i suoi diari e i due libri di memorie che ha scritto, oltre
naturalmente ai ricordi di mio padre (Il Duce mio padre, Rizzoli, 2004) e
alle famose interviste di Anita Pensotti pubblicate da Oggi nel 1957. Adesso,
a tanti anni di distanza, di donna Rachele parlo io. E dico subito che definirla
chiudere in uno schema. Era una donna dell’Ottocento ma, al tempo stesso, è
stata protagonista del Novecento accanto a Mussolini. Fra i due c’era un
faceva la sua vita e incontrava le sue donne; lei aveva accettato di vivere,
sue azioni. Quando lo fece (e, al proposito, io racconterò due o tre cose
fece sempre un passo indietro perché aveva capito che, eliminando la rivale,
da parte.
Una cosa è certa: Benito è stato il grande amore della sua vita. Qualcuno ha
marito; vero è piuttosto che nel momento più buio della sua vita, quando
amico di cui dirò più avanti. «Altro che vendette», mi diceva mio padre,
«altro che inganni. Tua nonna si era innamorata di Mussolini quando lui era
farle le capriole nel petto», aveva otto anni, e il responsabile della sua
Rachele era la più piccola di sei fratelli (quattro femmine e due maschi) e la
un’idea di quel tempo la dà molto bene. Ogni mattina lei, scalza perché non
aveva scarpe e in casa non c’erano soldi per comprargliene, si faceva sette
scarpe.
Rosa era la moglie del fabbro Alessandro Mussolini. «Un giorno che si
suo figlio maggiore, che studiava per diplomarsi maestro». Quel ragazzo era
Benito intanto era emigrato in Svizzera e per dieci anni non si incontrarono
ancora una volta fui subito colpita dai suoi occhi ardenti». Intanto era
successo che il padre di Benito, stanco di fare il fabbro, aveva aperto una
Anna Lombardi, che era stata una sua antica fiamma. Doveva essere solo per
qualche tempo; poi invece lui si era trovato bene, lei anche, e così avevano
formato una coppia molto affiatata. Ci sarebbe stato posto anche per Benito,
Rachele serviva ai tavoli. Era diventata una ragazza molto bella, con lunghe
trecce bionde che a volte annodava sul capo e «occhi che sembravano biglie
trasferì nel Trentino (che allora era una provincia austriaca) fu presa dal
panico. Perché tra i clienti della trattoria ce n’era uno, il geometra Olivieri di
Ravenna, che aspettava solo di avere campo libero per farsi avanti. È vero
quando torno ti sposo»; ma è vero anche che lei non sapeva se avrebbe avuto
una testa matta e non può certo darti un avvenire sicuro». Alessandro
fare il maestro, non vuoi fare l’impiegato comunale. Insomma, che cosa
sbalordito vedendo che la sua battuta ironica si era avverata: suo figlio non
era diventato re, ma primo ministro sì. Comunque, da vera testa matta, un
punto tirò fuori, e mio padre mi diceva di non essere mai riuscito a farsi dire
quell’occasione. Credo che la versione più vicina alla realtà sia questa: «Se
non ci date il consenso per sposarci, qui ci sono sei colpi: due per Rachele e
quattro per me». Poi aggiunse qualcosa di molto simile a: «Se non possiamo
Cosa dovevano fare quei due poveretti dei vecchi Mussolini? Diedero il
Chellina, ma sui motivi dell’opposizione del mio bisnonno alla loro unione
continuarono per un bel po’ a girare strane voci. Erano solo calunnie, ma io
«cedere» al figlio. Voci, ma per mia nonna il tormentone delle «voci» durò
tutta la vita. Una delle più insistenti riguardava la relazione tra mio nonno e
Svizzera agli inizi del 1900 e proseguita poi nel Partito socialista e nella
la primogenita di Benito e Rachele - Edda, nata nel 1910 - era stata iscritta
miei nonni non erano sposati, che Rachele era minorenne e che allora, in
Mia nonna, umiliata, non poteva reagire. Faceva finta di non sapere, di non
sentire. Fino a che un giorno sbottò in pubblico: «So io quanto ho patito per
metterla al mondo, la mia Edda, mica lei!». Nonostante tutto, però, donna
Rachele non provò mai odio per la Balabanoff, che giudicava una donna
continuava ad avere un debole per lei, della quale diceva: «Devo molto ad
Sarfatti, una donna affascinante che aveva avuto una grande influenza su
best seller o no, a mia nonna la Sarfatti non andava giù. Lo diceva a tutti e
mio padre ricordava che lo disse anche a lui. «Avevo una decina d’anni», mi
fece questa confidenza: “Vedi, Romano, di tutte le signore che hanno girato
attorno a tuo nonno, io sono stato gelosa soltanto di quelle che hanno
quel periodo, una mattina mio padre vide la nonna che in giardino si
allenava a fare il tiro a segno con la pistola. Lei fu seccata di essere stata
storia di Ida Dalser, figlia del sindaco di un paese in provincia di Trento, alla
quale mio nonno fu legato dal 1913 al 1915, quando lei diede alla luce un
bambino, Benito Albino. Mia nonna e mio padre hanno parlato ampiamente
di questa storia nelle loro memorie. Ne parlerò anch’io; adesso però ne salto
che si presentava a tutti come «la moglie di Benito Mussolini», lei era
devo essere grata, perché è anche merito suo se mi sono sposata». Non aveva
Sono stata in molti dei luoghi in cui si è svolta la saga dei miei nonni. Ho
visto alcuni degli edifici in cui hanno abitato, ho confrontato le loro vecchie
fotografie con quelle - più recenti - di mio padre ritratto negli stessi posti. Ho
calendario del 1915 appeso al muro, accanto alla data del 17 dicembre
nonna allo zio Vittorio, il secondo dei suoi cinque figli (la prima era la zia
Edda) nato il 27 settembre 1916. Torno per un momento alla storia della
Dalser. Ancora prima del matrimonio con Rachele, mio nonno volle
occuparsi del bambino che aveva avuto da quella donna e davanti al notaio
quale garantì un sostegno di 200 lire al mese. Non erano tante nemmeno per
Dalser. Invece fu peggio: per lei infatti, con quell’atto davanti al notaio, mio
L’inevitabile scontro fra lei e mia nonna non tardò a verificarsi. Avvenne
nello stesso ospedale militare dove mio nonno era convalescente. Mio padre
diceva, «dalla parte della nonna», la quale raccontava: «Lì per lì non
riconobbi la Dalser che, entrando come una furia nella stanza dove mi
com’era sembrava una mummia, non si fosse faticosamente alzato dal letto
da Stan Laurel e Oliver Hardy che, anni più tardi, avrebbero divertito mio
nonno nella sala cinematografica privata di Villa Torlonia, dove per suo
desiderio venivano spesso proiettati i film dei due comici americani. Stanlio
dallo stesso Benito erano le loro. Ma torniamo alla rissa in ospedale. Per
separare donna Rachele dalla Dalser, oltre a mio nonno dovettero intervenire
un medico e due infermieri. Nel suo diario mia nonna conclude così:
piangere».
QUANDO NELLA VITA DI BENITO COMPARE CLARETTA
figlio, che aveva studiato in un collegio dei Barnabiti e poi si era arruolato in
quello che allora era il manicomio di Mombello, presso Milano, dove morì
nel 1942 a 27 anni. Ci fu, diceva mio padre, una violenza inaccettabile nei
storia, a un certo punto, fosse sfuggito a mio nonno per passare nelle mani
idea che il manicomio fosse il posto più adatto per neutralizzarla. Molti mi
24 novembre
Il memoriale di Rachele Mussolini: la caduta del Duce
Villa Torlonia, che dal 1930 al ’43 fu la residenza privata del capo del
fascismo a Roma.
Nella prima puntata dei suoi ricordi (LEGGI QUI LA PRIMA PARTE)
Rachele Mussolini jr., che parla per la prima volta della straordinaria
Ida Dalser con il piccolo Albino nato dalla relazione con il Duce, sono state
testimonianze a volte inedite, dei suoi lunghi colloqui con il padre, Romano
svelati, come donna Rachele seppe della relazione del marito con la Petacci.
Benedetto Mosca
Fin dal 1932 si sapeva (ma non si diceva) che mio nonno Benito aveva una
sarebbe rimasta al suo fianco fino all’ultimo, dividendo con lui anche la
tragica fine. Mio padre Romano pensava che, pur detestando la Petacci, mia
nonna Rachele avesse per lei una sorta di rispetto. Da buona romagnola dagli
impulsi forti e dalle decisioni senza appello, capiva quello che Claretta (da
La storia del primo incontro di mio nonno con la Petacci è nota: lui era
diretto a Ostia, lungo la Via del Mare che collega Roma con il litorale, al
volante della sua Alfa Romeo spider 1750 Gran Turismo rossa carrozzata
entusiasmo.
chiamata, si sentì dire dalla voce inconfondibile di mio nonno: «Parla quel
signore che avete incontrato sulla strada per Ostia». «Sì», fece lei smarrita; e
poi, alzando la voce: «Dio del cielo, Claretta… è Lui! E vuole te».
sapere della relazione con la Petacci fui io nel giugno 1943, quando avevo
ricordo dei Campionati del mondo di calcio vinti dalla nostra Nazionale nel
Nel giugno 1943, dunque, nel piatto-ricordo dei Campionati del Mondo fu
deposta una lettera anonima indirizzata «al signor Romano Mussolini». Mio
padre la aprì e restò senza fiato leggendo: «Claretta Petacci fa visita tutti i
capelli.
C’è una parola, in dialetto romagnolo, che definisce bene cos’è stata donna
Rachele per la sua famiglia: la «azdora», cioè colei che aveva il pieno
controllo della casa. Fuori, il suo uomo poteva fare tutto quello che voleva.
intromessa negli affari di mio marito, ma quando l’ho fatto lui ha sempre
accettato i miei consigli. Quando non lo ha fatto, le cose sono andate molto
male. E di me aveva una certa paura…» Con il passare degli anni, in effetti,
mio nonno aveva maturato una sorta di soggezione nei confronti della
moglie. Una volta le disse: «Ma sai che mi fai più paura tu che l’America?».
Non sono soltanto io a pensare che, se mio nonno avesse ascoltato di più
donna Rachele, tante cose sarebbero andate diversamente. Per esempio non
ci sarebbe stato quel fatale 25 luglio 1943 in cui, dopo la seduta del Gran
Mussolini. «Già nel maggio del ‘43», lei stessa ha raccontato, «una dama di
Corte mi aveva avvertita che nella tenuta dei Savoia a Castel Porziano si
tenevano riunioni segrete per far perdere il posto a mio marito». Diceva
proprio così mia nonna: «perdere il posto», perché per lei fare il primo
ministro era un lavoro come un altro. Spiegava: «Mio marito non sapeva, o
non voleva sapere, che i capi del complotto contro di lui erano Grandi,
mi preoccupa sono i carri armati americani, altro che Badoglio e gli intrighi
informazioni erano precise: «Guarda che l’intrigo è grosso: sono già stati
dati i passaporti per l’estero ai congiurati, alle loro mogli e anche alle loro
amanti». Mussolini allora si spazientiva: «Sai che ti dico, Rachele?
Il 24 luglio 1943 donna Rachele si alzò prestissimo, dopo una notte agitata.
Ha scritto nei suoi ricordi: «Non ho quasi chiuso occhio e, quando busso alla
porta di Benito, trovo che anche lui è già sveglio. Si sta vestendo, io mi
siedo sul bordo del suo letto e domando: “Ma è proprio necessaria la
circonda?”». Mio nonno sapeva, io dico, che donna Rachele aveva ragione,
ma non voleva sentire i suoi avvertimenti. Era nella sua indole, intrisa di
palazzo Venezia, fece solo una cosa differente: abbracciò donna Rachele.
cadde un foglio, che io raccolsi mentre lui si dirigeva verso l’automobile che
lo aspettava. “Falli arrestare tutti”, gli disse, “ancora prima di cominciare la
riunione”».
Nicolò De Cesare. Era mezzanotte e quello le disse che la seduta del Gran
dicendomi che secondo lui la seduta si sta per concludere. Gli chiedo se
dice solo che è arrivato il capo della polizia, il generale Lorenzo Chierici».
altre, era sola davanti a un destino più grande di lei, con il terrore che le
nonna si sente un po’ rincuorata. Poi però l’attesa ricomincia, più snervante
di prima, mentre a vegliare con lei a villa Torlonia c’è solo la fedele
cameriera Irma. Raccontava mia nonna: «Solo alle quattro della mattina
le cose. Gli avevano tolto la fiducia, ne fui certa ancor prima che me lo
dicesse. E così, mentre entravo con lui nello studio, gli chiesi: “Almeno, li
piangendo, perché è una donna forte e nei momenti più difficili diventa
la fine. Nei giorni scorsi, quando sono andata a villa Torlonia per farmi
mia nonna ha scritto. E dire quindi con voce spenta: «Sta’ calma, sta’ calma
Rachele. Ormai è tutto inutile, non c’è più niente da fare». Poi, in questa
scena che mi è sembrato di rivivere, vedo mia nonna preparare una tazza di
camomilla per il marito. Nel suo studio rischiarato dalla luce dell’alba, lui le
quando sente che anche Galeazzo Ciano, il marito di Edda, gli ha votato
Alla fine (sono le cinque del mattino) i miei nonni si abbracciano. Si sono
sdraiati sul letto ma non riescono a chiudere occhio e tre ore dopo, alle otto,
lui è già in piedi, pronto per andare a palazzo Venezia. Incontro alla sua
dura. Però non poté fare nulla per convincere mio nonno a non andare
Emanuele III, del resto, non lo aveva sempre appoggiato? O quanto meno:
non gli aveva sempre permesso di andare avanti nei suoi progetti dandogli la
Donna Rachele non ci credeva e quando, per tre volte, telefonarono da Casa
Per mio nonno era assurdo che il re si schierasse contro di lui. «Insieme a
lasceranno tornare». Questa scena, per averne tanto sentito parlare mio
intimo, si aspettava di essere tradito. Sapeva anche che avrebbe potuto fare
soldati tedeschi. Non basta: nella sala del Gran Consiglio c’era un congegno
che bloccava all’istante tutte le porte. Fatto questo, mio nonno avrebbe
potuto fare arrestare Grandi e soci. La ragione per cui invece subì senza
Dunque Mussolini, nel pomeriggio del 25 luglio 1943, andò a villa Savoia.
voce del Duce quella che le sussurrò: «In questo momento lo hanno
arrestato». Lascio che sia lei stessa a proseguire: «Anche se me lo aspettavo,
Passò qualche minuto; poi, a conferma che qualcosa di grave era accaduto,
parco. Accanto a me era Buffarini Guidi, l’ex segretario agli Interni che
Mio padre non sospettava di nulla: aveva chiamato donna Rachele solo
sapendo che la linea su cui mio padre aveva chiamato era controllata, cercò
di dirgli per accenni quello che era successo. «Fui però così poco chiara», ha
ricordato, «che Romano non capì nulla e riferì alla sorella che io temevo un
la notte arrivarono a villa Torlonia le voci e le grida della gente che insultava
L’unica cosa che le importava era avere notizie del marito. Il desiderio di
donna Rachele fu esaudito solo il mattino del 26 luglio: «La manicure della
in Sociologia, vive a Roma con la madre Carla Puccini che il padre Romano
(penultimo dei cinque figli del Duce e di Donna Rachele) sposò dopo il
divorzio da Maria Scicolone (che gli aveva dato due figlie, Alessandra ed
Benedetto Mosca
LA SECONDA PARTE)
dell’uomo più potente d’Italia, pochi sanno quanto anche lei sia stata una
protagonista. Come pochi immaginano fino a che punto abbia sofferto: per
gelosia, certo; ma soprattutto perché non poteva essere d’aiuto a suo marito,
era tardi.
I ricordi che state leggendo sono il cuore del romanzo di Donna Rachele.
Nel quale c’è di tutto: intrighi e amori proibiti, scenette di vita familiare e
Padre Pio. Proprio a lui, il Santo di Pietrelcina al quale mia nonna chiese
aiuto nel 1945, quando rimase vedova. «Per tanti anni le nostre strade»,
diceva a proposito di Padre Pio, «sono corse parallele senza incrociarsi. Poi
Alla nonna piaceva raccontare la nascita dei suoi due figli più giovani, mio
padre Romano e mia zia Anna Maria. Lui nel 1927 e lei nel 1929, entrambi
Forlì che Donna Rachele aveva comperato con i soldi guadagnati dal marito
come direttore dell’Avanti!. Ne aveva preso possesso nel 1924, l’anno in cui
manifestazioni.
campagna con i figli, lasciando la casa di via Mario Pagano a Milano. «Ogni
volta che uno dei nostri figli veniva al mondo», mia nonna diceva con la sua
tutti i costi assistere alla nascita di Edda, la maggiore, ma non sentì il suo
primo vagito perché era svenuto per l’emozione. Non vide nascere né
Vittorio né Bruno perché era impegnato a Roma. Giurò allora che si sarebbe
rifatto “con i prossimi figli”, ma anche con Romano e Anna Maria gli andò
storta».
Nonna Rachele non faceva mai drammi. Ma certo non dovette essere facile
per lei tenere a bada il celebre marito che, appena la sapeva incinta, le
inviava «ondate», come lei diceva, «di ginecologi, ostetriche e ogni genere
della sua Alfa Romeo, impiegando appena cinque ore. Entrò trafelato nella
non era ancora nato. «E adesso come si fa?», disse. «Io ho già annunciato la
sdraiò vestito su un divano nella stanza accanto a quello della moglie. «Mi
momento».
mezz’ora. Era stato lavato e vestito e mia nonna sentì attraverso la parete la
sfuriata del Duce. «In quel momento giurai a me stessa», raccontava, «che la
solo a cose fatte. Così, quando nel settembre 1929 il ginecologo mi avvertì
che la mia quinta maternità era imminente, mentii a mio marito dicendogli
che l’evento era ancora lontano. Due giorni dopo, il 3 settembre, nacque
nuova nata era stato imposto il nome di Anna Maria, «come da lungo tempo
Fu anche grazie a mia zia Anna Maria che la famiglia Mussolini si riunì a
Roma. Villa Carpena piaceva a tutti, ma il Duce voleva i figli accanto a sé,
«almeno nelle poche ore», diceva, «che il lavoro mi lascia libere». Così,
quando si seppe che cercava casa a Roma, in molti fecero a gara per
Torlonia avevano grandi proprietà terriere, c’era un detto con cui si prendeva
in giro chi si dava troppe arie: “Ma chi ti credi di essere, il principe
romana…».
anni dopo Romano, era forte e robusta: sembrava la sua gemella. Stavano
sempre insieme e giocavano tra loro, anche perché c’era una gran differenza
d’età con i tre fratelli maggiori. Anna Maria era estroversa, fin troppo
ingenua e sincera. In famiglia erano famosi i suoi temi in classe. Mio padre
così: «Vorrei tanto fare il pilota d’aeroplano come i miei fratelli più grandi,
papà».
A sette anni mia zia si ammalò di pertosse e, come a quel tempo si usava, le
calvario. So che mio nonno, quando i giornalisti della stampa estera gli
consegnarono una bambola per lei, riuscì solo a sorridere e disse a Dino
erano seduti accanto al letto di Anna Maria, un colpo di vento spalancò una
mia bambina!”».
miracolo», annota donna Rachele nel suo diario, «in casa tutti lo crediamo!».
Occorre dire, pur con tutte le cautele e prudenze del caso, che il giorno
prima era stata chiesta l’intercessione di Padre Pio di Pietrelcina, per il quale
sia Donna Rachele sia Benito (e in seguito anche mio padre Romano)
in pericolo».
salvare la vita ad Anna Maria: Donna Rachele lo vide nella sua camera
mentre baciava il rosario di sua madre, che teneva sempre sul comodino. Fu
in quei giorni che alla figlia, ormai non più in pericolo di vita, mio nonno
Anna Maria veniva spinta lungo i viali del giardino di villa Torlonia. E
mondo sceglieva sempre una bambola parlante donatale dalla regina Elena e
Ora, nel romanzo di Donna Rachele, faccio un salto avanti nel tempo.
Arriviamo al luglio 1945 quando lei, catturata a Como dai partigiani assieme
ai figli Romano e Anna Maria, prima è consegnata agli Alleati e poi - dopo
sognare il marito. Più che sogni erano visioni: si parlavano, lui le raccontava,
«visita» ai figli, commentandola con loro. «La prima volta», mio padre ha
ricordato, «il Duce le era apparso triste e con la giacca trapassata dai
Infine si era trasformato: bello, giovane, con i capelli neri e i baffi, com’era
nella foto che donna Rachele teneva in camera sua». Ecco che le si avvicina
sorridendo e le dice: «Qui c’è una gran pace, Rachele, qui non ci sono
rancori…». E lei, commossa, pensa: se ha un’aria così serena non può essere
un’anima del Purgatorio, e tanto meno dell’Inferno, vuol dire che è stato
accolto dal Signore. Donna Rachele voleva però che qualcuno d’autorevole
dall’unico sant’uomo di cui davvero mi fidassi: Padre Pio, che con la sua
assistette alla Messa celebrata dal futuro Santo e ottenne udienza da lui.
Rachele Mussolini