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Il Carteggio Churchill-Mussolini
e i National Archives di Londra

La caccia al carteggio segreto tra Churchill e Mussolini, dove il premier


britannico, prima del 10 giugno 1940, avrebbe inviato il capo del fascismo
a far entrare l’Italia in guerra a fianco della Germania per mitigare, in caso
di sconfitta del Regno Unito, le pretese di Hitler al tavolo delle trattative, ha
impegnato per quasi settanta anni, storici della domenica, inguaribili nostalgici
del Ventennio nero, giornalisti in cerca di scoop, spregiudicati editori. Solo, nel
marzo di quest’anno questa caccia si è ufficialmente chiusa, definitivamente
spero, grazie all’importante lavoro di Mimmo Franzinelli: L’arma segreta del
Duce. La vera storia del carteggio Churchill-Mussolini (1).
Nel suo studio Franzinelli ci ha narrato con meritoria pignoleria la lunga
storia di falsificazioni e di manipolazioni che si è sviluppata intorno al fanto-
matico commercio epistolare. Inventato di sana pianta e costruita con molta
rozzezza è, infatti, lo schema di accordo dell’11 aprile con il quale l’inquilino
di Downing Street chiedeva all’ospite di Palazzo Venezia di catapultare il nostro
Paese nella tragedia del secondo conflitto mondiale, in modo da «aiutare la
Gran Bretagna nella futura conferenza di pace a frenare il militarismo tedesco
e a ottenere la vittoria finale contro di esso», promettendo l’intervento del go-
verno di Sua Maestà per sostenere le rivendicazioni italiane verso la Francia e
per «ripristinare i diritti dell’Italia sul Mediterraneo». Egualmente contraffatta,
come numerose altre missive, era la risposta 4 maggio, dove il Capo del governo
italiano informava Churchill di aver ottenuto il consenso di Vittorio Emanuele
III a quell’accordo (2).
Tutto falso, tutto da buttare in quel carteggio? Assolutamente sì. E, a titolo
di direttore di una rivista storica, voglio qui pubblicamente ringraziare Franzinelli,

(1) M. Franzinelli, L’arma segreta del Duce. La vera storia del Carteggio Churchill-Mussolini,
Milano, Rizzoli, 2015.
(2) Ivi, pp. 341 ss.
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sicuro che, dopo il suo libro, la mia redazione non sarò più invasa, come tante
volte è accaduto, da clamorose rivelazioni sulla diplomazia segreta di Mussolini,
opera di pseudo-studiosi dominati dalla teoria del complotto. Come analista
del passato, devo però rimproverare all’autore dell’Arma segreta del Duce un
errore di metodo e un’insufficienza nella ricerca archivistica che si collegano
l’uno all’altra, dando vita a un circolo vizioso storiografico.
Per il primo punto devo dire che l’aver dimostrato che lo scambio di missive
tra Churchill e Mussolini della primavera-estate del 1940, in nostro possesso, è
un apocrifo non vuol dire che non siano esistiti in quello stesso periodo, come
Franzinelli presume, negoziati o magari semplici pourparlers con l’Italia, attraverso
i quali Francia e Inghilterra cercarono di ottenere l’assicurazione che il Duce
in una futura conferenza di pace avrebbe speso la sua influenza a loro favore,
in cambio di una sostanziosa contropartita ma soprattutto al fine di arginare la
preponderanza del «Reich Millenario». Per il secondo punto, mi spiace dover
osservare che quanto afferma l’autore dell’Arma segreta del Duce, e cioè che ogni
rapporto tra Mussolini e i leaders delle democrazie liberali si sarebbe interrotto il
18 maggio, dopo il secco rifiuto di Palazzo Venezia a prendere in considerazioni
gli inviti di Churchill e Roosevelt a non seguire Hitler nell’avventura bellica iniziata
nel settembre 1939, costituisce una grave imprecisione (3). Un’imprecisione che
Franzinelli si sarebbe potuta facilmente risparmiare con un più lungo e fruttuoso
soggiorno di studio nei National Archives britannici o più semplicemente grazie
a un’attenta lettura dell’ultimo capitolo del lavoro di Emilio Gin, edito nel 2012,
dedicato alle ultime settimane della «non belligeranza» italiana (4).

(3) M. Franzinelli, L’arma segreta del Duce. La vera storia del Carteggio Churchill-Mussolini,
cit., pp. 204 ss. Su questo punto, Franzinelli segue ad litteram il poco concludente saggio di H.
Woller, Churchill e Mussolini. Conflitto aperto e cooperazione segreta?, in «Contemporanea», 4,
2001, 4, pp. 615-648, dove si esclude apoditticamente, sulla base di considerazioni meramente
storiografiche e senza nessun riscontro archivistico, l’esistenza di contatti tra il premier britannico
e il Duce, precedenti o seguenti il 10 giugno 1940. Su alcune falle della ricostruzione della vicenda
editoriale del Carteggio fatta da Franzinelli, si veda, infine, F. Andriola, Carteggio Churchill-
Mussolini. Tutta un’altra storia..., in «Storia in Rete», maggio 2015, pp. 88-96.
(4) E. Gin, L’ora segnata dal destino. Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’intervento. Set-
tembre 1938 - Giugno 1940, Roma, Nuova Cultura Editore, 2012, in particolare pp. 372 ss.; Id.,
Speak of War and Prepare for Peace: Rome, 10 June 1940, in «Nuova Rivista Storica», 98, 2014,
3, pp. 991-1014. Sullo stesso punto si veda anche J. Lucáks, Five Days in London: May 1940,
New Haven-London, Yale University Press, 1999, in particolare pp. 82-103; 104-135; 136-161.
Di questo volume esiste anche una traduzione italiana: Milano, Corbaccio, 2001. Sugli aspetti
diplomatici della neutralità italiana tra settembre 1939 e giugno 1940, rimando a B. S. Viault,
Mussolini et la recherche d’une paix négociée (1939-1940), in «Revue d’Histoire de la Deuxième
Guerre Mondiale», 22, 1977, 107, pp. 1-18; D. Bolech Cecchi, Non bruciare i ponti con Roma:
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Negli archivi di Londra, sono conservati, sotto il titolo Suggested Approach


to Signor Mussolini, i verbali della riunione del War Cabinet del 26 maggio 1940.
In quella data, previa intesa con il governo di Parigi, l’esecutivo britannico de-
cideva di inviare a Roosevelt una bozza di accordo, che il Presidente degli Stati
Uniti avrebbe dovuto sottoporre all’attenzione di Mussolini. Nel testo, le Potenze
occidentali, nel momento in cui il fronte francese si era letteralmente sbriciola-
to sotto la spallata della Blitzkrieg scatenata dall’esercito tedesco, chiedevano al
Duce di offrire la sua collaborazione nelle future trattative con la Germania per
assicurare una soluzione di tutte le questioni europee, da cui dipendeva «la sicu-
rezza e l’indipendenza degli Alleati» e la possibilità di garantire «una pace giusta
e duratura all’Europa». A questo fine i governi alleati domandavano a Roosevelt
d’invitare Mussolini a notificare loro «the claims of Italy the fulfilment of which
would in his view ensure the establishment in the Mediterranean of a new order
guaranteeing to Italy satisfaction of Italian legitimate aspirations in that sea» (5).
Qualora Mussolini avesse accettato questa proposta, Londra e Parigi s’im-
pegnavano a non aprire nessun negoziato con Hitler, se questi avesse impedito
all’Italia di partecipare, a causa del suo status di non belligerante, alla confe-
renza di pace. Inoltre Churchill e il Primo ministro francese, Paul Reynaud,
promettevano formalmente, sotto la malleveria degli Stati Uniti, di ricompen-
sare il governo di Roma soddisfacendo «tutte le sue legittime aspirazioni nel
Mediterraneo» (6). Aspirazioni che all’epoca comprendevano, in primo luogo,
l’internazionalizzazione di Gibilterra e la partecipazione al controllo del Canale
di Suez, oltre il soddisfacimento di rivendicazioni territoriali e politiche nei
confronti della Francia (il possesso di Gibuti e un regolamento più favorevole
all’Italia della questione tunisina) (7).

Le relazioni fra l’Italia, la Gran Bretagna e la Francia dall’accordo di Monaco allo scoppio della
seconda guerra mondiale, Milano, Giuffré, 1986; R. Quartararo, Roma tra Londra e Berlino,
Roma, Jouvence, 2001, 2 voll., II, pp. 737 ss.; A. Cassels, Reluctant Neutral: Italy and the Strategic
Balance in 1939, in B. J. C. B. McKercher - R. Legault (eds.), Military Planning and the Origins
of the Second World War in Europe, Westport, Praeger, 2000, pp. 37-58.
(5) Suggested Approach to Signor Mussolini, 26th May, 1940, in National Archives Kew (Lon-
don), Records of the Cabinet Office (d’ora in poi CAB) 66/7/50, ff. 6, f. 3.
(6) Ivi, f. 2.
(7) E. Gin, L’ora segnata dal destino. Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’intervento. Set-
tembre 1938 - Giugno 1940, cit., pp. 325 ss. L’idea che l’accordo con Palazzo Venezia potesse
essere raggiunto con la concessione all’Italia di compensi coloniali a spese della Francia aveva
rappresentato, dal settembre 1939, uno dei punti fermi della strategia diplomatica di Chamberlain.
Sul punto, si veda la testimonianza di uno dei più stretti e fidati collaboratori di Churchill, M.
H. MacMillan, War Diaries. The Mediterranean: January 1943- May 1945, London, Mac Millan,
1984, pp. 649-654, e 710.
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Questa iniziativa non fu certo né isolata né estemporanea. Tra il 22 aprile e il


30 maggio, infatti, gli Alleati avevano tentato di intavolare, al di fuori dei circuiti
diplomatici ufficiali, un approccio con Roma per mantenere l’Italia nel suo stato
di ambigua di neutralità. In quelle convulse settimane, infatti, se, a Londra, il
Foreign Secretary, Edward Frederick Lindley Wood, visconte di Halifax, ipotizzò
un intervento personale di Giorgio VI su Vittorio Emanuele III e autorizzò un
vecchio sostenitore dell’intesa italo-britannica in funzione antitedesca (Robert
Gilbert Vansittart, già Permanent Under-Secretary for Foreign Affairs) a compie-
re un sondaggio presso l’ambasciata italiana a Londra, retta fino al luglio 1939
dall’anglofilo Dino Grandi, a Parigi, il ministro della Difesa e degli Esteri, Édouard
Daladier, manifestò l’intenzione di inoltrare «a direct communication to Signor
Mussolini» per operare un riavvicinamento tra Italia e Alleati (8).
Il cammino per arrivare al passo del 26 maggio era stato, comunque, dif-
ficile e contrastato. Halifax aveva dovuto, superare l’opposizione di Churcill e
le resistenze di Reynaud, che alla fine si era arreso, contando sullo «sconforto
che l’idea di un’Europa dominata da Hitler doveva causare in Mussolini» (9).
Anche Roosevelt aveva recalcitrato all’idea di un nuovo intervento su Palazzo
Venezia, dopo la cattiva accoglienza ricevuta dal suo precedente messaggio,
che era stato definito dal Duce un’indebita ingerenza nella politica italiana. Per
vincere la ritrosia di Washington, Halifax aveva conferito con l’ambasciatore
italiano a Londra, Giuseppe Bastianini, per sondare gli umori di Palazzo Vene-
zia. L’incontro, svoltosi nel pomeriggio del 25 maggio, durante il quale Halifax
aveva consegnato al nostro diplomatico la bozza della lettera di Roosevelt, era
stato incoraggiante.
Con tutte le cautele del caso, Bastianini informava il Segretario agli Esteri
che il Presidente del Consiglio italiano non avrebbe opposto nessun pregiudiziale
rifiuto a partecipare a una «peace conference by the side of the belligerents».
Mussolini, aggiungeva Bastianini, era interessato a risolvere tutte le questioni
europee, e in particolare ad arrivare a un’equa sistemazione politica e territo-
riale della Polonia, e aveva sempre pubblicamente manifestato il vivo desiderio
di costruire un «accordo generale sull’Europa» che non avrebbe dovuto essere
«un semplice armistizio» ma piuttosto un patto di sicurezza collettiva in grado
di «salvaguardare la pace del continente per almeno un secolo» (10).
Nella mattinata del 27, l’ambasciatore americano William Phillips, dopo
aver appreso il rifiuto di Mussolini di concedergli udienza, consegnava la lettera

(8 CAB 65/13/23; 65/13/24; 65/7/33; 65/7/37; 65/7/43; 65/6/45; 65/6/49; 65/6/52.


(9 Suggested Approach to Signor Mussolini, cit., f. 2.
(10) Ivi, ff. 4-5.
Questioni storiche 889

di Roosevelt a Ciano, ribadendo che, in caso di risposta positiva, il Presidente


degli Stati Uniti sarebbe divenuto «personalmente responsabile per l’esecuzione,
a guerra finita, degli eventuali accordi». Con perfetto tempismo, in quella stessa
giornata, anche il plenipotenziario francese a Roma André François-Poncet,
incontrava il nostro ministro degli Esteri, annunciandogli che, con l’esclusione
della Corsica, la Francia era disposta a trattare «sulla Tunisia e forse anche
sull’Algeria». La replica di Ciano non lasciava, però, adito a nessuna speranza.
La decisione di entrare in guerra era stata ormai presa e «se anche il Duce
avesse potuto avere pacificamente il doppio di quanto da lui reclamato, egli
avrebbe rifiutato» (11).
Come ha scritto Emilio Gin, la rinuncia di Mussolini a prendere in consi-
derazione il piano di Halifax obbediva a un calcolo razionale che poco aveva a
che fare con l’infatuazione bellicista che parte della storiografia anglosassone gli
attribuisce (12). Il Duce, infatti, non avrebbe potuto tollerare di partecipare ai
colloqui per la pace, accanto ad un Hitler trionfante, per gentile concessione del
Regno Unito e di una Francia non solo malamente sconfitta ma di fatto annien-
tata (13). Anche se Londra e Parigi avessero potuto strappare a Berlino quella
concessione (cosa di cui era più che lecito dubitare), la sua posizione sarebbe
stata irrituale, debolissima, del tutto ininfluente, e il Führer, divenuto padrone
assoluto del gioco, avrebbe potuto imporre il Neue Ordnung nazionalsocialista a
tutta l’Europa, eliminando dalla scena politica Paesi occupati, Nazioni Neutrali,
Alleati e in prospettiva la stessa Italia. Solo dopo aver partecipato al conflitto, al
“modico” prezzo di «un pugno di morti» per sedersi al tavolo delle trattative,
Mussolini poteva far sentire la sua voce con la fondata speranza di essere ascoltato.
Come, il 28 maggio, Ciano fece intendere al Ministro d’Inghilterra, Percy
Lyham Loraine, non esisteva altra via d’uscita dalla guerra scatenato dal Reich se
non la partecipazione italiana al conflitto (14). Si trattava un messaggio cifrato,

(11) G. Ciano, Diario, 1937-1943, a cura di R. De Felice, Milano, Rizzoli, 1998, pp. 434-435.
Commentando le proposte francesi con Phillips, Ciano aveva detto che queste arrivavano «troppo
tardi», ricordando «quando la Francia, nel 1938, ci contestava persino quei quattro scogli che
l’Inghilterra ci aveva ceduto in Mar Rosso». Si veda anche ID., L’Europa verso la catastrofe, a
cura di R. Mosca, Milano, Il Saggiatore, 1964, 2 voll., II, pp. 197-199.
(12) H. J. Burgwyn, Italian Foreign Policy in the Interwar period, 1918-1940, Westport, Praeger,
1997, pp. 179 ss.; R. Mallett, Mussolini and the Origins of the Second World War, 1933-1940,
Basingstoke, Macmillan, 2003; A. De Grand, Mussolini’s Follies: Fascism in its Imperialists and
Racist Phase, 1935-1936, in «Contemporary European History», 13, 2004, 2, pp. 127-147; G.
Bruce Strang, On the Fiery March: Mussolini Prepares for War, Westport, Praeger, 2003.
(13) Sul punto e per quel che segue salvo diversa indicazione, si veda E. Gin, L’ora segnata
dal destino. Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’intervento. Settembre 1938 - Giugno 1940, cit.,
pp. 372 ss; Id., Speak of War and Prepare for Peace: Rome, 10 June 1940, cit.
(14) G. Ciano, Diario, 1937-1943, cit., p. 435.
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volutamente ambiguo, che pure non sfuggì all’attenzione delle Cancellerie alleate.
Fu però soltanto Parigi a penetrare fino in fondo il senso di quell’enigmatico
avvertimento e a comprendere che nei piani di Palazzo Venezia l’intervento
italiano doveva costituire il contrappeso necessario alla vittoria di Hitler. Il
2 giugno, Daladier sosteneva che il governo di Roma intendeva iniziare una
«guerra a termine», che non aveva «precedenti nella storia diplomatica». Dopo
sei giorni, il Sottosegretario del Quai d’Orsay Baudouin manifestava al nostro
ambasciatore a Parigi, Raffaele Guariglia, la speranza che Italiani e Francesi
potessero adoperarsi nel futuro per colmare l’abisso che ora li separava perché
alle due Nazioni latine non conveniva «né una pax britannica né la vittoria
completa di Hitler». La risposta del diplomatico italiano, sebbene fornita a
titolo strettamente personale, apriva uno spiraglio all’avverarsi di quel deside-
rio. Guariglia replicava che, considerando che il Duce aveva sempre avuto a
cuore «la necessità della ricostruzione europea», da raggiungere mediante «una
giusta e intelligente politica evolutiva», era forse possibile ipotizzare che egli,
in questo triste momento, pensasse di «arrivare agli stessi risultati attraverso la
via della guerra».
La più forte conferma al fatto che, anche dopo l’inizio delle ostilità, Musso-
lini non intendeva comunque recidere il filo del colloquio con Parigi e Londra
è, sempre secondo Emilio Gin, nelle istruzioni impartite, tra il 5 e il 7 giugno,
agli Stati Maggiori delle nostre Forze Armate, poco prima dell’inizio delle osti-
lità (15). Se si eccettua l’offensiva italiana sulle Alpi occidentali, iniziata con
inspiegabile ritardo solo il 21 giugno, la guerra del Duce doveva essere, per
sua stessa ammissione, la replica di quella «guerra seduta» (Sitzkrieg), che per
quasi un anno aveva opposto, senza grande spargimento di sangue, gli Alleati e
i Tedeschi. All’Esercito, che con una manovra a tenaglia dalla Libia e dall’Etio-
pia, avrebbe potuto seriamente minacciare l’Egitto, fu ingiunto di restare con
l’arma al piede, senza prendere nessuna iniziativa. Alla Regia Marina, che era
in condizioni di disturbare efficacemente, se non addirittura di interrompere,
i movimenti dei convogli britannici nel Canale di Suez, con un’iniziativa che
l’Ammagliato britannico aveva messo nel conto fin dal 1936, si ordinò di aprire
il fuoco solo se attaccata.
All’Aeronautica, infine, si diedero disposizioni di soprassedere «fino a nuovo
ordine a qualsiasi operazione offensiva», di vietare ai propri velivoli di portarsi a
più di dieci chilometri dal confine con la Francia e di non oltrepassare, in ogni
caso, la frontiera italiana. Furono, inoltre, annullate le incursioni su Gibilterra

(15) Sul punto E. Gin, L’ora segnata dal destino. Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’inter-
vento. Settembre 1938 - Giugno 1940, cit., pp. 405 ss.
Questioni storiche 891

e Alessandria d’Egitto, già da tempo programmate e fu ridotto d’intensità il


bombardamento di Malta dell’11 giugno. Fino a quando i raids effettuati da
trentasei velivoli della Raf, che nella notte del 12 giugno colpirono Torino e
Genova completamente illuminate, come in tempo di pace, non provocarono
un’escalation militare italiana, era dunque intenzione del Duce di limitarsi a una
«guerra di parata», per non pregiudicare il rapporto con Churchill nella futura
conferenza di pace, dove sarebbe iniziata la guerra vera, quella contro Hitler.
Dopo questo lungo periplo, torno, ora, al punto di partenza. A differenza
di Franzinelli e di altri studiosi, io concordo ancora con Renzo de Felice nel
ritenere che, con buona verosimiglianza, la logora borsa di cuoio che Mussolini
trascinò con sé nella sua fuga da Milano doveva contenere almeno materiale
scottante se non davvero esplosivo (16). Forse non dei documenti che potevano
valere per l’Italia «più di una guerra vinta», come il Duce confidò a Pavolini,
ma certo delle testimonianze in grado di mettere in seria difficoltà il governo
britannico. Allo stesso tempo reputo però che, se questa documentazione è
esistita, sia del tutto inutile cercarla perché essa è stata distrutta o sepolta
in luogo inaccessibile, nei giorni immediatamente successivi l’uccisione di
Mussolini. Uccisione resa possibile, occorre ricordarlo, da un colpo di mano
organizzato, come recenti lavori hanno dimostrato, dallo Special Operations
Executive (Soe) (17), il braccio armato dell’intelligence britannica che proprio
nel luglio 1940 Churchill aveva posto sotto la sua giurisdizione (18).
Altre testimonianze che possono avvalorare questa supposizione sono, ancora
una volta, nella documentazione conservata nei National Archives, dalla quale

(16) R. De Felice, Rosso e Nero, a cura di P. Chessa, Milano, Baldini e Castoldi, 1995, pp.
146-148.
(17) E. Di Rienzo, Agente Leo Valiani il caso Duce è tuo, in «il Giornale», 27 maggio 2010;
M. Canali, Leo Valiani e Max Salvadori. I servizi segreti inglesi e la Resistenza, in «Nuova Storia
Contemporanea», 15, maggio-giugno 2010, 3, pp. 29-64, in particolare pp. 61-64; T. Piffer, Gli
Alleati e la Resistenza italiana, Bologna, il Mulino, 2010, pp. 322-323.
(18) Organizzato nel 1938, lo Special Operation Executive (Soe) era stato posto, dal 19 luglio
del 1940, sotto il diretto comando di Churchill per organizzare, in tutti i territori controllati
dall’Asse «operazioni di sabotaggio, assassini politici, propaganda sovversiva, scioperi, insurrezioni,
a supporto della resistenza civile». Si veda CAB/66/10/1. Sulla storia di questo ramo dell’Intel-
ligence britannica, rimando a W. J. M. Mackenzie, The Secret History of Soe: Special Operations
Executive, 1940-1945, London, St Ermin’s Press, 2000. In particolare per l’azione svolta dal Soe
in Italia, si veda M. De Leonardis, La Gran Bretagna e la Resistenza Partigiana in Italia (1943-
1945), Napoli, Esi, 1988; W. Deakin, Lo Special Operations Executive e la lotta partigiana, in
L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, a cura di F. Ferratini Tosi, G. Grassi, M.
Legnani, Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 94-126; T. Piffer, Gli Alleati e La Resistenza italiana,
cit.; M. Berrettini, La Gran Bretagna e l’antifascismo italiano. Diplomazia clandestina, intelligence,
operazioni speciali, Firenze, Le Lettere, 2010.
892 Questioni storiche

apprendiamo che il collasso del regime di Mussolini era reputato dal governo
inglese, già nella primavera del 1943, un’eventualità certa e prossima a verificar-
si. Nel promemoria, consegnato ai membri del War Cabinet dal ministro degli
Esteri, Anthony Eden, il 24 aprile 1943, si leggeva, infatti, che «le tante sconfitte
dell’Asse in Russia e in Africa settentrionale e la difficile condizione del corpo
di spedizione in Tunisia avevano fatto si che gli Italiani auspichino, ormai, una
rapida vittoria degli Alleati per uscire dalla guerra» (19). Questo sentimento,
rafforzato dal timore di una vittoria tedesca, che avrebbe ridotto l’Italia a un
semplice «protettorato del Terzo Reich», non era stato incrinato dalle imponenti
incursioni effettuate dalla Raf e dall’Usaaf nelle maggiori città della Penisola,
con il loro largo seguito di perdite umane e materiali. La strategia del moral
bombing, personalmente voluta da Churchill non aveva rinvigorito l’odio contro
il nemico né rinsaldato la volontà di resistergli, come invece era accaduto in
Germania. Le rovinose incursioni su obiettivi civili, causando l’evacuazione di
massa dalle aree urbane, l’infarto nella rete delle comunicazioni, la conseguente
paralisi dell’approvvigionamento alimentare, avevano, invece, avevano acuito
la «stanchezza per la guerra». L’Italia era dunque sull’orlo di un’«automatica
disintegrazione» che poteva essere accelerata da «un incremento della resistenza
passiva contro la dittatura da parte della popolazione civile».
Quella resistenza sembrava comunque destinata a non tramutarsi in insurre-
zione, poiché le uniche forze disposte ad attuarla erano costituite dalle «isolate
cellule del Partito comunista, attive nelle fabbriche e in alcune università del
Nord». Nella stragrande maggioranza, gli Italiani temevano ancora, come nel
1922, la «minaccia bolscevica» e non avrebbero mai fornito il loro concorso a
«una rivolta iniziata da forze sovversive». Contro Mussolini e i suoi «yes-men»
potevano però mobilitarsi altri centri di potere. Poco affidamento sembrava
dare, tuttavia, la monarchia rappresentata da Vittorio Emanuele III («un uomo
invecchiato, privo d’iniziativa, terrorizzato dall’idea che la fine del fascismo
avrebbe aperto un periodo di anarchia incontrollabile») e dal suo erede, Umberto,
incapace di passare all’azione nonostante le pressioni della consorte, Maria José,
che costituiva «l’elemento più energico della coppia reale».
Casa Savoia avrebbe appoggiato un rovesciamento del regime, solo in un se-
condo momento, quando si fosse verificato un alzamiento dell’esercito provocato
da Badoglio e dal vecchio Maresciallo Enrico Caviglia o una congiura di Palazzo
orchestrata da «fascisti opportunisti», come Ciano, Bottai, Grandi, da industriali e

(19) Internal Situation in Italy. Memorandum by the Secretary of State for Foreign Affairs,
CAB 66/36/26.
Questioni storiche 893

finanzieri, come il conte Giuseppe Volpi di Misurata, che miravano, comunque, a


far sopravvivere un «fascismo senza Mussolini» per salvaguardare i loro personali
interessi. In questo modo la Gran Bretagna era sul punto di realizzare il suo obiettivo
di eliminare l’Italia dallo scenario bellico, utilizzando quegli stessi “poteri forti”,
politici, economici, militari, dinastici che, fin dal gennaio 1940 e poi nell’agosto del
1941, erano apparsi potenzialmente disposti a rovesciare la dittatura (20).
Lo scenario del 25 luglio appariva, in questo documento, già perfettamente
tracciato con una dovizia e un’esattezza di particolari che non possono essere
spiegati dal pure importante afflusso di notizie ricavate dai rapporti della vasta
rete spionistica impiantata in Italia già prima del conflitto. Le fonti per la stesura
del rapporto Eden erano sicuramente altre. Esse provenivano dalla decrittazione,
realizzata dallo spionaggio statunitense, della corrispondenza diplomatica degli
ambasciatori giapponesi residenti a Roma, Berlino e nei Paesi neutrali (Spagna,
Turchia, Portogallo, Svezia), che parlava diffusamente del «declino della volon-
tà di combattere dell’Italia» (21). Grazie a questi documenti tempestivamente
inviati a Londra, il “golpe bianco” di Palazzo Venezia e il successivo arresto
di Mussolini non trovarono impreparato il governo di Sua Maestà Britannica.
Già il 26 maggio 1943, infatti, dopo approfonditi contatti, stabiliti dagli agenti
del Soe con gli emissari di Badoglio, i circoli di Casa Reale, il Vaticano e vecchi
antifascisti, revenants dell’Italia liberale, come Croce, Ivanoe Bonomi, Marcello
Soleri, Eden aveva elaborato il testo del Draft Armistice with Italy, da utilizzare

(20) Sul punto si vedano i verbali del War Cabinet (dove si menzionavano esplicitamente
Badoglio e il duca d’Aosta) del 22-23 gennaio, 7 febbraio, 4 aprile, 18 aprile, 4 settembre, 23
dicembre 1940, CAB 65/57; 67/4/21; 65/11/25; 65/6/26; 67/6/9; 66/11/42. Il nome di Ba-
doglio, come possibile promotore di una sollevazione militare contro il regime, appariva con
maggiore rilevanza nel memorandum, Italian Morale (CAB 66/18/14), presentato da Eden l’11
agosto del 1941. Sui tentativi, intrapresi fin dal 1940, per provocare la caduta di Mussolini e
conseguentemente spingere l’Italia fuori del conflitto, si veda, tra la ricchissima letteratura, M.
Toscano, Dal 25 luglio all’8 settembre. Nuove rivelazioni sugli armistizi fra l’Italia e le Nazioni
Unite, Firenze, Le Monnier, 1966; A. Varsori, Italy, Britain and the Problem of Separate Peace
during the Second World War: 1940-1943, in «The Journal of Italian History», 1, 1978, 3, pp.
455-491; W. S. Linsenmeyer, Italian Peace Feelers before the Fall of Mussolini, in «Journal of
Contemporary History», 16, 1981, 4, pp. 649-662; V. Vailati, 1943-1944. La storia nascosta.
Documenti inglesi segreti che non sono stati mai pubblicati, Torino, Gcc, 1986; E. Aga Rossi,
Una Nazione allo sbando. 8 settembre 1943, Bologna, il Mulino, 1993, in particolare pp. 33-71;
Ead., L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani del settembre 1943, Roma,
Ministero per i Beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i Beni archivistici, 1993, in
particolare, pp. 85-272.
(21) E. Di Rienzo- E. Gin, Le Potenze dell’Asse e l’Unione Sovietica, 1939-1945, Soveria
Mannelli, Rubbettino Editore, 2013, pp. 307 ss.
894 Questioni storiche

appunto quando l’Italia avesse deciso di arrendersi «while the war with Germany
continues» (22).
Non stupisce quindi che il 26 luglio, all’indomani della caduta del Duce,
Churchill fosse in grado di presentare al War Cabinet la bozza di un detta-
gliato piano d’azione (Thoughts on the Fall of Mussolini) per sfruttare, nel
modo più opportuno, le conseguenze dell’ormai prossima «resa incondiziona-
ta» dell’Italia (23). Lo sganciamento del nostro Paese dall’alleanza tedesca e il
suo conseguente allineamento con Londra e Washington potevano consentire,
secondo il Primo ministro britannico, di accorciare il cammino verso la vit-
toria finale. Una parte almeno della Mediterranean Fleet sarebbe stata libera
di spostarsi in Estremo oriente per fronteggiare il Giappone, fornendo un
rilevante contributo allo sforzo bellico alleato in quel settore. Lo sbarco di un
contingente anglo-americano nei Balcani, fino a quel momento presidiati dalle
truppe italiane insieme alla Wermacht, avrebbe provocato il collasso del blocco
orientale dell’Asse (Ungheria, Romania, Bulgaria), con un forte alleggerimento
della situazione militare dell’Urss. Infine, la conquista degli aeroporti a nord
di Roma avrebbe permesso di sferrare una serie di raids contro la Germania
meridionale e centrale, fino a quel momento difficilmente raggiungibile dalle
basi britanniche.
All’Italia, divenuta nello spazio di un mattino antifascista e antinazista,
Churchill, non intendeva però assegnare un ruolo attivo nel conflitto. Se il
Regio Esercito poteva essere utilizzato per ostacolare la ritirata della Wermacht
dalla Penisola e per presidiare il territorio metropolitano, fino all’arrivo degli
Alleati, le navi da battaglia della Regia Marina e i velivoli della Regia Aeronau-
tica dovevano essere messi fuori gioco come unità combattenti e sottoposti a
un’«effective demobilisation and paralysis». Cancellare quel che restava della
potenza marittima italiana, seguendo il modello d’intervento sperimentato il 3
luglio 1940, nella base algerina di Mers El Kebir, con l’affondamento di buona
parte della flotta francese cannoneggiata dalla Royal Navy, per trasformare il
Mediterraneo in un «lago inglese», rientrava, infatti, negli obiettivi della guerra
di Churchill esattamente come l’annientamento del Leviatano nazista.
Di eguale importanza era anche l’eliminazione fisica di Mussolini che, il 13
luglio 1943, Charles Frederick Algernon Portal, Visconte Portal di Hungerford
(Chief of the Air Staff, e cioè comandante in capo della Raf), aveva progettato di
fare fuori con un bombardamento chirurgico su Palazzo Venezia e la residenza

(22) National Archives Kew (London), HS 6/777.l


(23) CAB 66/39/39.
Questioni storiche 895

privata di Villa Torlonia (24). Nella riunione del War Cabinet del 26 luglio Chur-
chill ribadiva la necessità di eleminare fisicamente il capo del governo italiano,
affermando che le gerarchie fasciste dovevano essere imprigionate in attesa di
essere processate come «criminali di guerra», senza però minimamente esclu-
dere la più sbrigativa soluzione di «una esecuzione sommaria senza processo»
(a prompt execution without trial).
Eugenio Di Rienzo
Università degli Studi di Roma – La Sapienza

The book by Mimo Franzinelli, L’arma segreta del Duce, shows the apo-
cryphal character of the so-called “Correspondence Churchill-Mussolini”. In his
analysis, Franzinelli makes, however, a serious mistake. The non-authenticity of
the correspondence between Churchill and Mussolini, during the spring 1940, to
the best our knowledge, does not mean, in fact, as Franzinelli assumed, that, after
18 May, the negotiations between Italian Government and the Allies had ceased.
These negotiations continued until May 26, when Churchill and the French Prime
Minister, Paul Reynaud tried to persuade Mussolini to co-operate with France
and United Kingdom «in the future Peace conference, in securing a settlement
of all European questions, which safeguard the independence and security of the
Allies» If Mussolini had accepted this proposal, Churchill and Reynaud would
have promised to meet «the fulfillment of the claims of Italy which would in his
view ensure the establishment in the Mediterranean of a new order guaranteeing
satisfaction of Italian legitimate aspirations in that sea».

key wor ds
Correspondence Churchill-Mussolini
Negotiations between Italian Government and the Allies
Spring 1940

(24) E. Di Rienzo, 13 luglio 1943: «Operazione Dux». Quando gli Inglesi volevano bombardare
Villa Torlonia e Palazzo Venezia (http://www.nuovarivistastorica.it/?p=1635).

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