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1 Giulio Cesare
Barbara Biscotti, già curatrice per La vicenda dei Gracchi è una storia memorabile, piena di afflato

GRANDI DELITTI NELLA STORIA


2 Francesco Ferdinando dʼAsburgo
il «Corriere della Sera» delle collane I narrativo e avvertita già nella cultura antica come un evento cruciale 3 Jack lo Squartatore
grandi processi della storia (2019) e Grandi della storia romana. Tra il 133 e il 122 a.C. Tiberio e Caio Gracco, i 4 Martin Luther King
donne della storia (2020), è titolare delle «gioielli» di Cornelia, perseguirono una politica riformista facendosi 5 Cicerone
cattedre di Storia del diritto romano nominare tribuni della plebe, magistratura di rottura all’interno del 6 Abramo Lincoln
e di Diritto romano presso il Diparti- complesso gioco della repubblica romana. I due fratelli cercarono 7 Giuliano deʼ Medici
mento di Giurisprudenza dell’Univer- di creare una nuova forma di governo, più democratica e fondata 8 I Borgia
sità di Milano-Bicocca. È autrice di sulla centralità del popolo; l’aristocrazia, per conservare il proprio 9 Marat
numerosi saggi e monografie di diritto potere, scelse di ricorrere alla violenza e di uccidere senza processo i 10 Pier Paolo Pasolini
pubblico e privato antico, oltre che di due fratelli, insieme a migliaia di cittadini romani, e di infangarne la 11 Elisabetta dʼAustria
libri di carattere storico divulgativo. memoria, dipingendoli come pericolosi rivoluzionari che volevano GRANDI DELITTI NELLA STORIA 12 JFK
sovvertire l’ordine sociale. 13 Tiberio
Paola Lambrini 14 Aldo Moro
15 Umberto I
« G LI A N I M A LI C H E A B ITA N O I GRACCHI 16 Gandhi
215 mm 17 I Gracchi 215 mm

I Gracchi
L’ I TA L I A H A N N O C I A S C U N O IL MITO DEI DUE FRATELLI RIVOLUZIONARI 18 Masaniello
19 Caligola
Paola Lambrini è professoressa di UN RIFUGIO IN CUI RIPOSARE; 20 Il Mostro di Firenze
Fondamenti del diritto europeo e di 21 Giacomo Matteotti
C O L O R O C H E P E R L’ I TA L I A
Diritto romano presso l’Università di 22 Che Guevara
Padova e presso la facoltà di Diritto ca- COM BAT TO N O E M U O I O N O N O N 23 Falcone e Borsellino
nonico «San Pio X» di Venezia. Ha al 24 Ipazia
suo attivo numerosi saggi e monografie H A N N O , I N V E C E , C H E L’A R I A 25 Lev Trotsky
dedicati al diritto antico e vigente. 26 Enrico Mattei
E L A L U C E , N U L L’A LT R O .»
27 Rosa Luxemburg
28 Yitzhak Rabin
PLUTARC O, TI . G R ., 9. 5- 6
29 Filippo di Macedonia
30 John Lennon

Foto di copertina:
in alto, Cornelia e i figli Tiberio e Caio Gracco in un dipinto di
LE INIZIATIVE DEL CORRIERE DELLA SERA Joseph Benois Suvee via Photo12/Universal Images Group via
GRANDI DELITTI NELLA STORIA Getty Images
17 – I GRACCHI in basso, dettaglio di una pagina miniata del XV secolo raffigurante
i fratelli Tiberio e Caio Gracco via DeAgostini/Getty Images.
Pubblicazione settimanale da vendersi esclusivamente
in abbinamento a Corriere della Sera
€ 6,90 + il prezzo del quotidiano Progetto grafico: Studio Dispari – Milano

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GRANDI DELITTI NELLA STORIA

a cura di Barbara Biscotti

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Paola Lambrini

I GRACCHI
IL MITO DEI DUE FRATELLI RIVOLUZIONARI

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Grandi delitti nella storia
17. Paola Lambrini, I Gracchi

© 2020 RCS MediaGroup S.p.A., Milano

LE INIZIATIVE DEL CORRIERE DELLA SERA n. 47 del 12/12/2020


Direttore responsabile: Luciano Fontana
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Via Solferino 28, 20121 Milano
Sede legale: via Rizzoli 8, 20132 Milano
Reg. Trib. N. 378 del 06/6/2006
ISSN 1828-5520

Realizzazione editoriale: Studio Dispari, Milano

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INDICE

introduzione 7
eventi 15

Antefatto 19
I delitti 41
Le vittime 73
I colpevoli 129
per approfondire 153
referenze fotografiche 159

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INTRODUZIONE

Viaggio alle origini dell’uso politico della violenza

Non c’è più nessun re, nessun popolo, nessuna nazione


che voi dobbiate temere, non c’è nessun male esterno
né straniero che possa insinuarsi nel corpo del nostro
stato; se volete che questa nostra città sia immortale,
questo nostro impero eterno e che in eterno duri la sua
gloria, siamo noi che dobbiamo premunirci contro le
nostre cupidigie, contro i sovversivi bramosi di rivol-
gimenti politici (novarum rerum cupidis), contro le
trame interne.

Sono parole di Cicerone tratte dalla Pro Rabirio

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I G R AC C H I

(33, UTET 1981), l’orazione a difesa di colui che


era accusato dai popolari di essere stato, molti an-
ni prima, il responsabile dell’uccisione del tribuno
della plebe Saturnino, che nel 100 a.C. aveva avan-
zato una proposta di riforma agraria riprendendo il
progetto che già era stato di Caio Gracco. Vi viene
propugnata l’idea che sta al cuore del pensiero po-
litico, antipopolare e antiriformista, della fazione
degli ottimati, di cui l’Arpinate è la voce più no-
ta: sconfitti ormai i nemici esterni, ciò che si deve
temere e scacciare, ove si voglia salvaguardare la
grandezza e la potenza di Roma, sono le minacce
interne, cioè l’azione di coloro che desiderano «co-
se nuove» rispetto al consolidato status quo, in cui
redattrice unica dell’agenda politica repubblicana
è l’aristocrazia senatoria.
Ma è nella prima Catilinaria che Cicerone legit-
tima in modo compiuto l’uso della forza come pras-
si politica, volta ad attuare quel tipo di prospettiva
considerata dal suo partito prioritaria, e idealizza
l’utilizzo della repressione violenta come unico
praesidium, difesa fortificata, della res publica. Nel
suo attacco a colui che viene considerato responsa-
bile della congiura cui dà il nome, l’oratore si avva-

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introduzione

le, al fine di sostenere la necessità di reprimere du-


ramente quel tentativo sovversivo, dei precedenti
rappresentati da altre circostanze del passato in
cui la repubblica era stata, dal suo punto di vista,
messa in pericolo da «agitatori» desiderosi di res
novae, ricordando come, a fronte dell’indecisione
del senato, solo un intervento fermo avesse potuto
riportare in quei casi la situazione sotto controllo.
Proprio in questo contesto oratorio, Cicerone evo-
ca, tra le altre, come necessaria l’uccisione di Ti-
berio Gracco, che pure «in modo non troppo grave
cercava di indebolire la condizione della repubbli-
ca», per iniziativa privata di Scipione Nasica, pon-
tefice massimo e «uomo eccezionale». In un’iden-
tificazione totale della repubblica con il ceto che
la governa e degli interessi del secondo con quelli
della prima, l’idea che le parole di Cicerone sot-
tendono è che ogni proposta riformista filopopolare
integri un’inopinata minaccia per la stabilità dello
stato, la cui gravità è tale da giustificare il ricorso
all’uso della violenza come strumento politico; per
l’oratore una prassi del presente che, dunque, trae
proprio dal passato la sua autorevolezza e la sua
necessaria applicazione in vista del bene supremo

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I G R AC C H I

della conservazione della res publica: «Ci fu, sì, ci


fu un tempo in questa repubblica quel tipo di virtù
morale per cui uomini forti reprimevano con pene
più dure un concittadino pericoloso che il peggiore
dei nemici» (Catilinaria I 3).
L’uso della violenza come strumento di lotta po-
litica, che vediamo qui compiutamente teorizzato
attraverso le sue abilità oratorie da Cicerone, co-
stituisce dunque la risposta dell’aristocrazia desi-
derosa di conservare i propri privilegi ai tentativi
della fazione popolare di porre a essi dei freni. Una
risposta elevata a sistema al tempo dell’oratore, ma
introdotta per la prima volta sulla scena politica ro-
mana in quello in cui si svolsero le vicende riguar-
danti i due fratelli Gracchi e si avviò un movimento
democratico (la cui definizione come «popolare» è
successiva e da ascrivere proprio, in termini spre-
giativi, a Cicerone) inteso a dare ascolto a una serie
di pressanti istanze del popolo, che concretamen-
te stava facendo le spese, nella seconda metà del
II secolo a.C., delle lunghissime guerre che pure
avevano portato Roma a trionfare in particolare su
Cartagine e sulla Grecia, facendone la forza ege-
mone nel Mediterraneo che tutti conosciamo.

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introduzione

Legge agraria, legge frumentaria, legge colonia-


ria: è questo il pacchetto di riforme con cui Caio
Gracco, erede dell’azione e del pensiero del fra-
tello Tiberio, si proponeva di fornire un’adeguata
risposta politica ai problemi che opprimevano le
masse rurali e urbane. Nell’idea che le tre proposte
di legge costituissero un unicum inscindibile, un
pacchetto riformista integrale, le cui tre parti si in-
tegravano a vicenda, si manifesta tutta la levatura
politica di Caio e una lucidità di visione straordi-
naria e modernissima nel tener conto delle diffe-
renze fondamentali già esistenti tra plebe urbana
e rurale, nonché delle dinamiche sociali messe in
atto dagli esiti delle guerre e da una politica cui
l’oligarchia senatoria aveva imposto la propria ege-
monia.
L’uccisione di Tiberio, prima, e il «suicidio»
forzato di Caio poi, nonostante le intenzioni re-
pressive di tale oligarchia, non fanno che avvalo-
rare il senso della loro lotta politica, alimentando
un mito che porterà proprio Saturnino, vent’anni
dopo, non solo a seguirne la strada, ma, stando a
Valerio Massimo, a cercare addirittura di riportar-
ne a Roma la presenza, convincendo un tale Lucio

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I G R AC C H I

Equizio a spacciarsi per figlio naturale di Tiberio


e farsi eleggere tribuno per il 99, salvo poi resta-
re a sua volta ucciso negli scontri di quell’anno.
Ma, soprattutto, l’impegno politico dei due fra-
telli rivelerà la sua lungimiranza sul finire del se-
colo di lotte civili che seguirà il loro, allorché, in
modi probabilmente assai diversi da quanto essi
avrebbero voluto, la parte dei «populares» metterà
a tacere irrimediabilmente l’arroganza degli otti-
mati, deponendo le sorti della cosa pubblica nelle
mani di un uomo di nome Cesare e avviando così lo
stato romano verso il principato.
Le vicende connesse alle morti dei Gracchi,
dunque, costituiscono davvero una svolta epocale
non solo nella storia di Roma, in cui si può a ragio-
ne affermare che abbiano segnato l’inizio della fine
della repubblica, ma anche nella storia del pensie-
ro politico, dal momento che offrono un’occasione
e una griglia di riflessione sulle dinamiche tra forze
nel discorso politico e sui mezzi intesi a governar-
le, ancora oggi assai interessante.
Per questo motivo il volume che qui si presen-
ta, e in cui Paola Lambrini esamina con precisione
metodologica e aderenza alle fonti rigorosa tali vi-

12

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introduzione

cende, è di un’attualità sconcertante e mostra ap-


pieno la vera funzione della storia, anche di quella
così lontana da noi, che consiste nel fornire validi
strumenti di interpretazione e critica del presente.

Barbara Biscotti

13

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EVENTI

(tutte le date in questo volume sono da intendersi avanti


Cristo)

163-162: nasce Tiberio Sempronio Gracco, figlio di Tibe-


rio e di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano Maggiore
154: nasce il fratello Caio Sempronio Gracco
150: muore il padre Tiberio Gracco
147: Tiberio segue Scipione Emiliano nella terza guerra
punica, che porta alla distruzione di Cartagine
137: Tiberio viene eletto questore e inviato in Spagna al
seguito del console Gaio Ostilio Mancino
134: Caio segue Scipione Emiliano nella guerra di Numanzia

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I G R AC C H I

133 gennaio-febbraio: Tiberio è tribuno della plebe e pro-


pone la lex Sempronia agraria. Per aggirare il veto del
collega Ottavio lo fa destituire dall’assemblea plebea
estate: Tiberio Gracco si candida alla carica di tribuno
della plebe per la seconda volta di seguito. Durante le
votazioni scoppiano dei tumulti, ma il console Publio
Mucio Scevola si rifiuta di far approvare un provve-
dimento emergenziale che autorizzi la messa a morte
di cittadini romani senza preventivo processo. Il pon-
tefice massimo Scipione Nasica si pone alla guida di
coloro che vogliono salvare la repubblica: i senatori
si lanciano contro Tiberio e i suoi seguaci, uccidendo
almeno trecento cittadini, tra i quali anche Tiberio. I
corpi sono gettati nel Tevere
132: viene costituito un tribunale straordinario per per-
seguire i seguaci dei Gracchi. Per salvarlo dall’ira del
popolo, Scipione Nasica viene inviato in missione in
Asia Minore, dove muore di lì a poco
126: Caio è eletto questore e inviato in Sardegna al seguito
del console Lucio Aurelio Oreste
125: il console Fulvio Flacco propone la concessione della
cittadinanza agli alleati Italici, ma il senato si oppone
123: primo tribunato di Caio Gracco, durante il quale ini-
zia una intensa attività legislativa che mira a ridise-

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EVENTI

gnare la mappa del potere politico. Propone la dedu-


zione di alcune nuove colonie, tra cui una nel territorio
in cui sorgeva Cartagine
122: secondo tribunato di Caio Gracco; prosegue il proget-
to di riforma costituzionale con l’approvazione in parti-
colare della lex Sempronia iudiciaria. Viene invece re-
spinta la proposta di concedere la cittadinanza romana
ai Latini e il diritto di voto a tutti gli Italici. Il collega
di tribunato Marco Livio Druso propone riforme dema-
gogiche per sottrarre potere a Caio
122 estate: Caio cerca di essere eletto tribuno per la terza
volta, ma fallisce. Al consolato viene eletto Lucio Opimio
121 giugno: in occasione della proposta di legge diretta ad
abrogare la deduzione della colonia di Cartagine scoppia-
no dei disordini che forniscono il pretesto per l’emanazio-
ne del senatusconsultum ultimum; quest’atto attribuisce
ai consoli ampi poteri affinché la repubblica non subisca
alcun danno. Il console Opimio, seguito dai senatori ar-
mati e da un corpo di arcieri cretesi, attacca i graccani
che si erano rifugiati sull’Aventino. Caio Gracco cerca
di fuggire e, quando sta per essere raggiunto, si suicida
120: l’ex console Lucio Opimio è chiamato a rispondere
davanti al popolo delle violenze perpetrate contro i
graccani, ma viene assolto

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A N T E FAT TO

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L a questione agraria

Le fiere che abitano l’Italia hanno ciascuna una tana,


un giaciglio, un rifugio in cui riposare. Coloro che per
l’Italia combattono e muoiono non hanno, invece, che
l’aria e la luce, null’altro. Li ingannano i generali quan-
do nelle battaglie li esortano a difendere dagli assalti
del nemico il proprio focolare e la tomba degli antenati,
poiché nessuno di questi Romani, e sono moltissimi,
dispone in realtà di un suo altare familiare e di un se-
polcro avito. Essi combattono e muoiono per la ricchez-
za e il lusso altrui. Vengono chiamati signori del mon-
do, ma non hanno una sola zolla di terra che sia loro.

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I G R AC C H I

Con queste parole (Plutarco, Ti. Gr., 9.5-6) Tiberio


Gracco infiammava gli animi dell’assemblea ple-
bea nel 133, allo scopo di ottenere l’approvazione
della sua proposta di legge agraria.
Per capirne il senso, occorre fare un passo indie-
tro e ricordare che i terreni conquistati nei secoli
precedenti dai Romani a danno delle popolazioni
vinte ricadevano nel patrimonio dello stato roma-
no, divenendo ager publicus, il quale non poteva
diventare proprietà dei privati, salvo un’espressa
autorizzazione legislativa.
Alcuni di questi terreni erano utilizzati diretta-
mente dallo Stato oppure erano concessi in sfrutta-
mento a privati cittadini, i quali dovevano pagare
un canone periodico. La maggior parte dell’ager
publicus, però, rimase a lungo in attesa di una de-
stinazione specifica e divenne ager occupatorius:
qualunque cittadino romano poteva impossessarsi
della porzione di queste terre pubbliche che riu-
sciva a coltivare con il lavoro proprio e della sua
famiglia. Si pensava in questo modo di favorire
l’incremento demografico della popolazione agri-
cola, che appariva la più adatta a sopportare le
dure fatiche del lungo servizio militare necessario

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A ntefatto

per conquistare quel vasto impero che sarà assog-


gettato alla potenza romana.
Ciò che accadde fu l’esatto contrario: i ricchi si
impossessarono della maggior parte delle terre in-
divise e, invece di piccoli poderi, si ebbero grandi
latifondi, per coltivare i quali si usavano i sempre
più numerosi schiavi, in quanto il servizio militare
sottraeva all’attività agricola i lavoratori liberi.
In questo modo i potenti diventavano sempre più
ricchi, la classe degli schiavi proliferava su tutte
le terre, mentre le ristrettezze e il calo demogra-
fico stringevano in una morsa i contadini, rovinati
dall’indigenza, dalle tasse e dal servizio militare.
In passato vi erano stati dei tentativi di ripristi-
nare la funzione fisiologica dell’ager publicus: una
delle tre leges Licinia Sextiae approvate nel 367 –
leggi che avrebbero portato al consolidamento del-
la costituzione romana nella quale erano finalmen-
te integrati anche i plebei – era dedicata proprio
alla questione dell’ager publicus; essa stabiliva che
anche i plebei potessero occuparne delle porzioni
e fissava per tutti, patrizi e plebei, il limite massi-
mo di 500 iugeri (125 ettari); prevedeva, inoltre,
l’obbligo di servirsi di una certa aliquota di lavoro

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I G R AC C H I

libero, nonché il divieto di far pascolare sui terre-


ni pubblici più di cento capi di bestiame grosso e
cinquecento di minuto.
Tale limite legislativo non era stato rispettato
e nel tempo si erano creati enormi latifondi nelle
mani di pochi, che erano sicuri di poter conservare
le terre in perpetuo, anche se non ne erano proprie-
tari. Infatti, i possessori di queste terre non pote-
vano aspirare a diventarne proprietari neppure con
il passare del tempo, perché i beni di cui godevano
erano res extra commercium e quindi non usucapi-
bili; tuttavia, i pretori avevano introdotto a favore
dei possessori di ager publicus appositi strumenti
di protezione, detti interdicta, allo scopo di impe-
dire i frequenti episodi di violenza e tutelare chi
fosse stato spossessato arbitrariamente delle terre
pubbliche che stava possedendo.
Così i latifondisti svilupparono l’idea che nessu-
no avrebbe potuto togliere loro quei possedimenti,
anche perché contavano sull’inattività degli organi
statali che non muovevano un dito per far rispet-
tare il limite imposto dalla legge e per permettere
a tutti i cittadini di godere equamente delle terre
pubbliche.

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A ntefatto

Più di duecento anni dopo la lex Licinia Sextia de


modo agrorum, e dopo molteplici altre inutilmente
approvate per limitare gli abusi, la situazione era
peggiorata sempre più, al punto che ormai lo sfrut-
tamento illecito delle terre pubbliche, unito alla di-
sponibilità di un grande numero di schiavi, aveva
avviato una grave crisi economico-sociale. Infatti,
la rovina dei piccoli proprietari, in concomitanza
con l’estendersi dei latifondi e dell’utilizzazione su
larga scala del lavoro servile, conduceva all’abban-
dono delle antiche tradizioni, al depauperamento
delle fonti di reclutamento dell’esercito cittadino,
al pericolo di sollevazioni di schiavi.
Inoltre, dopo la spinta imperialistica del III
secolo, la res publica romana si confrontava con
nuove difficoltà anche nella dialettica sociale, che
vedeva contraddizioni interne tra ceti sociali tradi-
zionali e ceti emergenti, ai quali era da aggiungere
la manodopera servile sempre più numerosa.
Tutte queste difficoltà non erano in alcun modo
risolvibili con le strutture, ormai inadeguate, della
vecchia città-Stato. A questi problemi, che mina-
vano dalle fondamenta la tenuta dello stesso stato
romano, cercarono di trovare una soluzione prima

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I G R AC C H I

Tiberio e poi Caio Gracco, due fratelli riformatori


appartenenti a una delle famiglie più prestigiose
della nobiltà romana, i quali, dopo avere combattu-
to come ufficiali dell’esercito, divennero magistra-
ti, prima questori e poi tribuni della plebe.
Tiberio propose una riforma agraria che limita-
va il possesso dell’ager publicus a 500 iugeri (più
altri 250 per ogni figlio maschio, fino a un massi-
mo di 1000), prevedendo l’esproprio delle terre in
esubero e la loro redistribuzione ai più poveri. In
questo modo si sarebbe ricostituita quella picco-
la proprietà contadina che era stata il fondamento
dell’antica repubblica e del potente esercito roma-
no; inoltre, rendere i cittadini partecipi dei beni
pubblici significava fare in modo che fossero più
interessati alla conservazione dello Stato.
Caio riprese con ancora più forza il progetto del
fratello, associandovi anche una politica di fonda-
zione di colonie in Italia e in Africa, che avrebbero
potuto portare lavoro e benessere, e di progressi-
va estensione della cittadinanza romana a Latini
e Italici.
La loro azione politica si scontrò con l’opposizio-
ne del senato e condusse alla loro morte violenta

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A ntefatto

in circostanze altamente drammatiche, assieme a


quella di molti altri cittadini romani; anche i loro
sostenitori sopravvissuti al massacro furono, infat-
ti, incarcerati e giustiziati.
Dopo il 133, anno in cui fu ucciso Tiberio, non
ci fu più alcuna remora all’utilizzo della violenza
come mezzo per la soluzione di gravi controversie
politiche; perciò, l’età graccana è considerata un
periodo di svolta epocale nella storia di Roma ed è
indicata come il momento di inizio delle guerre ci-
vili che infiammeranno la città per circa un secolo.

L a posizione dei tribuni della plebe all’interno


della costituzione repubblicana

Tiberio e Caio Gracco perseguirono la loro politica


riformista facendosi nominare tribuni della plebe.
Il tribunato della plebe era stato creato nel 494,
durante la famosa secessione della plebe sull’Aven-
tino, allo scopo principale di proteggere i plebei con-
tro eventuali abusi dei magistrati patrizi, scopo dal
quale derivò il loro formidabile potere negativo di in-
tercessio, cioè la possibilità di paralizzare con il veto
l’attività di qualunque altro organo della repubblica.

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I G R AC C H I

Ulteriore prerogativa dei tribuni della plebe era


la sacrosanctitas: con un solenne giuramento, una
lex sacrata, la plebe li aveva resi sacri e inviolabili,
di modo che chiunque recasse oltraggio a un tribu-
no sarebbe diventato sacer agli déi inferi e sarebbe
quindi stato liberamente uccidibile da qualunque
cittadino.
Com’è noto, la res publica romana è stata definita
dallo storico greco Polibio come il migliore esempio
di costituzione mista, grazie all’equilibrio esistente
fra i tre organi depositari del potere, i consoli, il se-
nato e le assemblee popolari, rappresentanti delle
tre possibili forme di governo secondo il pensiero
antico: monarchia, aristocrazia, democrazia. La di-
visione dei poteri tra questi organi costituzionali
avrebbe permesso al sistema politico di mantenersi
in equilibrio e non rischiare di degenerare nelle
corrispondenti forme negative di governo, tiranni-
de, oligarchia, oclocrazia.
All’interno di questo sistema quasi perfetto si
erano inseriti, già all’inizio del V secolo, gli orga-
nismi plebei.
Innanzitutto, l’assemblea della plebe, i conci-
lia tributa plebis, che con il tempo aveva acqui-

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A ntefatto

sito sempre maggior importanza: le deliberazioni


approvate da questo consesso, dette plebisciti,
inizialmente vincolavano solo i plebei, ma a par-
tire dal 287, grazie alla lex Hortensia, le decisioni
assunte nei concilia plebis vennero del tutto equi-
parate alle leggi approvate dall’assemblea di tutto
il popolo, tanto da essere direttamente denomi-
nate leggi. A partire da quel momento gran parte
della produzione normativa, soprattutto quella di
più spiccato carattere tecnico, fu emanata proprio
dall’assemblea plebea, perché le sue modalità di
convocazione erano molto più semplici rispetto a
quelle richieste per la convocazione di tutto il po-
polo riunito nei comizi centuriati.
L’assemblea plebea ogni anno eleggeva dieci
tribuni della plebe, che si possono considerare co-
me dei jolly all’interno del complesso gioco della
repubblica romana; sul loro ruolo vi erano opinioni
discordanti, Cicerone per esempio ne aveva una
pessima opinione e affermava che si trattava di un
organismo nato dalla sedizione e per la sedizione
(De legibus 3.19).
Nati per tutelare gli interessi della plebe, nel
II secolo avanti Cristo i tribuni della plebe erano

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I G R AC C H I

ormai sempre più spesso delle pedine manipolate


dall’oligarchia nobiliare allo scopo di paralizzare i
tentativi di riforma democratica che uno degli altri
tribuni o altri magistrati cercavano di proporre.
I Gracchi ambirono a riportare il tribunato della
plebe alle originarie funzioni e a dare vita a una
nuova forma di governo fondata proprio sulla cen-
tralità di tale magistratura.
Non avevano considerato, però, che i tribuni
eletti ogni anno erano dieci e che il veto, posto
anche da uno solo dei tribuni, era sufficiente a
paralizzare ogni iniziativa di qualunque magistra-
to, compresi gli altri tribuni. Esattamente quello
che accadde nei confronti della proposta di legge
agraria presentata nel 133; come vedremo, per su-
perare questo ostacolo Tiberio Gracco si appellò
all’assemblea, affermando che la plebe, come ave-
va eletto un tribuno, aveva anche il potere di re-
vocargli il mandato, qualora quel tribuno non ne
tutelasse gli interessi.
Per impedire a Caio Gracco di raggiungere i pro-
pri obiettivi, la nobilitas adottò un meccanismo più
subdolo: convinse uno degli altri tribuni a presen-
tare delle proposte di legge ancora più favorevoli al

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delitti 17_fede 30 11/11/20 11:19


A ntefatto

popolo, allo scopo di accattivarsene le simpatie e


togliendo così forza politica a Caio.

L’inizio delle lotte tra fazioni avverse

L’epoca dei Gracchi prefigura il processo di aggre-


gazione di gruppi desiderosi di nuovi equilibri at-
torno a una forte leadership individuale e coincide
con l’inizio della lotta fra alcuni gruppi sociali.
La loro politica di distribuzione della ricchez-
za e del potere all’interno della società a favore
dei ceti subalterni e a danno di pochi portò alla
creazione di due opposte fazioni: da una parte gli
esponenti della nobilitas interessati alla difesa dei
propri interessi economici di grandi proprietari
terrieri, dall’altra i contadini poveri e il proletaria-
to urbano che aspirava all’assegnazione delle terre.
Cicerone così descrive la situazione: «ormai ser-
peggia un male che, una volta risvegliato, scivola
giù a seminar rovina. […] Mi sembra già di vedere
il popolo opporsi al senato e le più importanti que-
stioni risolversi secondo i capricci della folla. E la
gente imparerà a fomentar rivoluzioni piuttosto che
a porvi rimedi» (De amicitia, 12.41).

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delitti 17_fede 31 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Nasce così la contrapposizione – che caratteriz-


zerà il secolo successivo della storia romana e che
va a sostituire quella originaria tra patrizi e plebei
– fra le due factiones degli optimates, i «migliori»,
gli aristocratici che salvaguardavano le tradizioni
e i privilegi della classe dominante, e i populares,
i «democratici», spesso sempre esponenti della
classe dirigente, ma più sensibili alle istanze delle
classi popolari.
A ben vedere, però, la società romana dell’epoca
era composta da più gruppi eterogenei.
All’interno dei ceti più ricchi bisogna distin-
guere tra gli appartenenti all’aristocrazia senato-
ria, quella ristretta cerchia di famiglie che vanta-
no tra gli avi persone che erano arrivate alle più
alte cariche dello stato, e gli equites, i cavalieri
che si distinguevano dai senatori solo perché non
partecipavano alla vita politica e si dedicavano
spesso a intense attività commerciali, vietate in-
vece ai senatori.
In origine appartenevano entrambi alla stessa
classe, erano famiglie tra le quali esistevano molti
legami di amicizia e parentela; i cavalieri avevano
poco o nullo potere politico, ma detenevano una

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delitti 17_fede 32 11/11/20 11:19


A ntefatto

fetta sempre più importante del potere economico


e, a differenza della nobilitas, gestivano la quasi to-
talità di quello commerciale e finanziario, avendo
essi assunto anche tutti gli appalti dei lavori pub-
blici e di riscossione delle imposte.
A partire dalle riforme introdotte da Caio Grac-
co, tra i due ordini comincia ad aprirsi un solco
sempre più ampio e alla fine del II secolo i cavalie-
ri formano ormai un gruppo sociale con una propria
identità e precisa coscienza dei propri interessi,
che entra in aperta collisione con la componente
più autorevole del senato.
Anche all’interno del popolo si possono distin-
guere gruppi non omogenei: da una parte, i sempre
più numerosi cittadini dell’Urbe, spesso disoccu-
pati, privi di obiettivi che non siano le attribuzioni
gratuite di frumento e la partecipazione ai giochi e
agli spettacoli teatrali.
Dall’altra, la popolazione rurale, ormai immise-
rita dalle ben più competitive strutture latifondi-
stiche coltivate da schiavi. All’interno dell’assem-
blea plebea quest’ultima aveva ufficialmente la
maggioranza dei voti; infatti, i concilia plebis erano
divisi in trentacinque tribù territoriali e ognuna era

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delitti 17_fede 33 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

un’unità votante: la popolazione che viveva a Roma


era suddivisa in quattro tribù, quindi aveva a di-
sposizione solo quattro voti, mentre i cittadini che
vivevano fuori dell’urbe erano distribuiti nelle re-
stanti trentuno tribù. Tuttavia, la popolazione rura-
le spesso non riusciva a partecipare alle votazioni
perché non era in grado di affrontare il lungo viag-
gio per recarsi a Roma dove si riuniva l’assemblea.
Infine, vi erano gli Italici, che controllavano la
maggior parte della penisola, ma erano privi dei
fondamentali diritti politici; anch’essi erano divisi
in classi, tutte però accomunate dal desiderio di
equiparazione ai cittadini romani.

L e fonti antiche

La vicenda dei Gracchi è memorabile e travagliata,


piena di afflato narrativo grazie ai molti elementi
tragici e ai particolari quasi teatrali; essa era av-
vertita già dalla cultura antica come un evento cru-
ciale nella storia romana, anche se di interpreta-
zione problematica, di cui si sono date spiegazioni
contrastanti fin dai primi racconti storici.
Lo stato delle fonti rende difficile capire quali

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delitti 17_fede 34 11/11/20 11:19


A ntefatto

siano stati i reali proponimenti che li spinsero a


sfidare l’oligarchia dominante; arduo decidere se
fossero dei puri idealisti o dei biechi arrivisti, dei
demagoghi dalle aspirazioni tiranniche, come pen-
sava Mommsen, oppure dei conservatori illuminati.
I testi che ci parlano dei Gracchi sono tutti mol-
to posteriori all’epoca in cui si sono svolti i fatti e
risentono delle contrapposte passioni suscitate dai
due fratelli nella loro breve, ma intensa, stagione
politica. Inoltre, gli autori antichi spesso furono
condizionati dall’ideologia dominante che cercò
di giustificare la violenza politica proponendo una
ricostruzione dei fatti che delegittimava i Gracchi
agli occhi dei contemporanei. Influenzata dalla vi-
sione senatoria, la storiografia romana non riuscì
ad affrancarsi da un giudizio negativo, che aleggia
perfino nella ricostruzione di storici, come Sallu-
stio, vicini al partito dei populares.
Essi furono dipinti come pericolosi rivoluzionari
che volevano sovvertire l’ordine sociale e la stessa
costituzione, perché avrebbero aspirato a regnare;
l’accusa di sovversione politica era funzionale alla
loro damnatio memoriae, attraverso la quale l’oli-
garchia voleva impedire il sorgere di un culto eroi-

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delitti 17_fede 35 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

co dei due fratelli. Questo orientamento è evidente


in Cicerone, che condanna pesantemente la prete-
sa di rimettere in discussione la proprietà fondia-
ria e giustifica la soppressione fisica dei due fra-
telli eversori da parte della nobiltà, in quanto essi
avrebbero cercato di arrogarsi un potere regale.
Gli autori che più diffusamente si occupano del-
la vicenda, Plutarco e Appiano, sono di origine gre-
ca e, anche se talora riferiscono argomenti derivati
dall’avversa tradizione antigraccana – in partico-
lare quando sottolineano l’ambizione che avrebbe
spinto i Gracchi all’azione politica – nessuno dei
due sembra condividere il giudizio negativo che la
tradizione latina fornisce sui due fratelli.
Nel racconto di Plutarco – una biografia incen-
trata sul carattere dei nostri protagonisti, a con-
fronto con quello dei re spartani riformatori Agide
e Cleomene – Tiberio appare idealista e tragico,
mentre Caio è descritto con un temperamento ar-
dente, impetuoso, a volte collerico, allo scopo di
contrapporlo retoricamente al fratello; la simpatia
per i due nasce dalla solidarietà filantropica tipica
dell’epoca, che spinge lo storico a schierarsi dalla
parte dei poveri e degli oppressi.

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delitti 17_fede 36 11/11/20 11:19


A ntefatto

Appiano tratteggia, invece, un profilo più poli-


tico che biografico, prestando costante attenzione
alla dimensione economica dei fatti e soffermando-
si sui contrasti di natura sociale che scatenarono le
violenze; egli pone l’accento sulla questione della
parificazione degli Italici ai cittadini romani e sulla
crisi demografico-militare cui i Gracchi avrebbero
cercato di porre rimedio. È favorevole alla legge
agraria di Tiberio, che intendeva restaurare la pic-
cola proprietà, e naturalmente alle leggi di Caio
in favore degli alleati Latini e Italici; individua il
seme della discordia che causerà la guerra sociale
tra Roma e gli Italici e le successive guerre civili
proprio nel fallimento dell’azione politica dei due
fratelli, attribuendone la responsabilità al compor-
tamento oltremodo conservatore dell’aristocrazia.

Le interpretazioni moderne

La forte idealizzazione popolare dei protagonisti e


la componente patetica con cui furono arricchite le
vite dei Gracchi hanno fatto sì che il loro mito sia
giunto fino alla modernità, portando con sé anche
le ambiguità ermeneutiche.

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delitti 17_fede 37 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Spesso sono stati immaginati come i paladini


per eccellenza delle masse, campioni di giustizia,
eroi della causa dei poveri e degli oppressi; a loro
si ispirò il rivoluzionario francese François-Noël
«Gracco» Babeuf nelle sue istanze proletarie di
giustizia economica e sociale, sostenendo nel Ma-
nifesto dei plebei la necessità di abolire la proprietà
privata per istituire una comunione dei beni.
Più tardi, il materialismo storico ha strumenta-
lizzato le riforme graccane nella prospettiva di una
rivoluzione democratica, mentre la storiografia di
estrazione liberale ha letto le vicende in modo for-
malistico, criticando i due fratelli per il mancato
rispetto delle consuetudini costituzionali.
La critica moderna, seppur con diverse sfumatu-
re e pur ammettendo che un eccesso di amor pro-
prio può aver offuscato la sincerità della loro causa,
è propensa a vedere nella politica dei Gracchi un
autentico tentativo di rinnovamento democratico
della società, mirante a una restaurazione dell’an-
tico ordine repubblicano che rischiava di sgreto-
larsi. La loro azione politica si mantenne nei binari
della legalità e, se fecero ricorso alla violenza, fu
solo per difendersi dall’attacco degli aristocratici.

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delitti 17_fede 38 11/11/20 11:19


A ntefatto

La vicenda si può, dunque, descrivere come una


rivoluzione conservatrice che idealizzava un pas-
sato di supposta uguaglianza, nel tentativo di in-
nescare un meccanismo redistributivo; i Gracchi
furono dei conservatori nei fini, anche se talvolta
adottarono dei mezzi rivoluzionari, nel senso di
strumenti che non erano mai stati usati in prece-
denza nel sistema repubblicano.

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delitti 17_fede 40 11/11/20 11:19
I DELITTI

delitti 17_fede 41 11/11/20 11:19


delitti 17_fede 42 11/11/20 11:19
Tiberio e la rielezione a tribuno della plebe

Nell’estate del 133 Tiberio Gracco è tribuno della


plebe, ma il suo mandato scadrà di lì a pochi mesi.
Quando tornerà a essere un privato cittadino,
perderà l’immunità che è garantita ai magistrati
in carica, in quanto non possono essere sottoposti
a processo; terminato l’incarico, quasi sicuramen-
te egli sarà incriminato con l’accusa di tradimen-
to, per aver fatto deporre il collega Ottavio. Se
potesse essere rieletto per un altro anno, posti-
ciperebbe – e forse eviterebbe – questo rischio;
inoltre, potrebbe consolidare i risultati raggiunti

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delitti 17_fede 43 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

con la sua politica di redistribuzione dei terreni


pubblici.
Tiberio vorrebbe poi conservare la prerogativa
dell’inviolabilità caratteristica dei tribuni della ple-
be perché teme per la propria vita; è consapevole di
aver tirato troppo la corda e di essersi inimicato la
maggior parte dell’aristocrazia.
Decide, perciò, di ricandidarsi alla carica di tri-
buno della plebe, violando così, ancora una volta, le
consuetudini costituzionali. Infatti, anche se vi erano
stati vari casi di deroga, una legge vietava di accedere
per una seconda volta alla stessa magistratura prima
che fossero trascorsi dieci anni.
Non si accorge di fare, in questo modo, il gioco di
quegli esponenti dell’oligarchia senatoria che lo ac-
cusavano di aspirare alla tirannide e di adottare co-
stumi di vita inappropriati alla tradizione romana; si
trattava di un’accusa molto grave, perché dalla cac-
ciata di Tarquinio il Superbo nessun romano accet-
tava neanche lontanamente l’idea di un ritorno della
monarchia.
Secondo uno schema classico della storiografia
antica, Plutarco riferisce che prima del giorno delle
elezioni si erano presentati molti segnali sfavorevoli

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delitti 17_fede 44 11/11/20 11:19


I delitti

al tribuno: aveva trovato nel suo elmo delle uova di


serpente che si erano poi schiuse; i polli che aveva
a casa per prendere gli auspici, la mattina delle vo-
tazioni non volevano proprio abbandonare gabbia e
l’unico che lo aveva fatto si era rifiutato di toccare il
cibo; nell’uscire di casa, Tiberio era inciampato con-
tro la soglia, rompendosi l’unghia dell’alluce, e dalla
ferita era uscito del sangue.
Anche se turbato da tutti questi segnali sfavorevo-
li, il tribuno aveva deciso di andare comunque incon-
tro al proprio destino, come farà un secolo più tardi
Cesare, ideale epigono dell’impostazione graccana.
Ha un attimo di esitazione solo quando una pietra,
spinta da alcuni corvi in lotta sul tetto, cade dinan-
zi ai suoi piedi sfiorandogli la testa; è allora il suo
precettore Blossio di Cuma a richiamarlo al dovere,
ricordandogli il valore, il coraggio e la dignità della
sua famiglia e la necessità di rispettare l’assemblea
dei cittadini che lo sta aspettando.

Le votazioni

Molti dei sostenitori di Tiberio provenivano dalla


campagna, perché appartenevano a quella popola-

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delitti 17_fede 45 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

zione rurale che era stata avvantaggiata dalla sua


riforma agraria; in quel periodo estivo, però, molti
non potevano partecipare alla votazione, perché
impegnati nei raccolti.
Perciò Tiberio aveva cercato di accattivarsi in
tutti i modi il popolo cittadino, non solo proponen-
do di introdurre una legge che riducesse gli anni
di servizio militare, ma anche girando per le strade
e pregando singolarmente ogni cittadino. Secondo
Valerio Massimo, per ottenere il favore del popolo
Tiberio distribuiva soldi a tutti quelli che incontrava
e affermava apertamente che bisognava eliminare
con la forza il senato e dare ogni potere alla plebe.
Durante la prima votazione le cose sembrano an-
dare per il meglio: le prime due tribù avevano già
espresso il voto a favore di Tiberio, quando i rap-
presentati del partito senatorio iniziano a sollevare
proteste, sostenendo che non era legale ricoprire
la carica di tribuno per due anni di seguito; la di-
scussione è così accesa che si preferisce rinviare la
votazione al giorno seguente.
Per il resto di quella giornata Tiberio, vestito di
nero, conduce nel Foro il figlioletto, presentandolo
e raccomandandolo a tutti quelli che incontra, come

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delitti 17_fede 46 11/11/20 11:19


I delitti

fa chi è sul punto di morire per mano dei nemici;


suscita così nel popolo una commozione tale che la
sera molti si accampano davanti a casa sua, per fare
la guardia e proteggerlo. Secondo il racconto di Ap-
piano, nottetempo Tiberio avrebbe anche concorda-
to con i suoi seguaci il segnale che sarebbe stato
dato se si fosse arrivati alla necessità di uno scontro.
Il nuovo giorno vede le due fazioni opposte pre-
parate alla battaglia, non solo verbale.
L’assemblea plebea si riunisce, anziché nel Fo-
ro come di solito, sull’altura del Campidoglio di
fronte al tempio di Giove; sempre là, ma nel vicino
tempio della Fides Publica, è convocato il senato.
Nell’assemblea plebea l’azione di disturbo at-
tuata dagli altri tribuni e dai possidenti impone di
nuovo la sospensione della votazione e fa scatenare
un tumulto (Appiano, Bell. civ., 1.15):

alcuni graccani si disposero a protezione del tribuno,


come guardie del corpo. Altri si cinsero le vesti al-
la vita, afferrarono le verghe e le aste di legno delle
guardie e le ruppero in molti pezzi; quindi si dettero
a spingere i possidenti fuori dall’assemblea provocan-
do grande scompiglio e ferendo gli avversari, al punto

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delitti 17_fede 47 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

che anche i tribuni temettero per la loro vita e ab-


bandonarono velocemente il centro dell’assemblea. I
sacerdoti sbarrarono le porte del tempio. Vi fu gran
correre e fuga caotica, mentre si diffondevano le voci
più incontrollate: chi diceva che Gracco aveva esau-
torato gli altri tribuni (e cosí sembrava perché essi non
si vedevano più), chi affermava che egli senza elezioni
si fosse autoproclamato tribuno per l’anno successivo.

A questo punto, i nemici di Tiberio corrono in Se-


nato a denunciare il fatto; tra le altre cose, riferi-
scono che Tiberio sta pretendendo la corona da re:
così interpretano un gesto del tribuno, il quale si
era invece toccato la testa solo per indicare ai suoi
seguaci lontani che era in pericolo di vita e rischia-
va di perdere la testa.

Il dibattito in senato e l’evocatio hostium

A questa, non inattesa, notizia molti senatori af-


fermano che è necessario ripristinare la legalità a
ogni costo. Il pontefice massimo Scipione Nasica,
cugino per parte materna di Tiberio, esorta Publio
Mucio Scevola, l’unico console presente a Roma

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delitti 17_fede 48 11/11/20 11:19


I delitti

in quel momento (l’altro console, Lucio Calpurnio


Pisone Frugi, era impegnato a debellare una rivol-
ta di schiavi), affinché ordini un intervento armato
per soccorrere la repubblica e per abbattere Tiberio
che si stava trasformando in un tiranno.
Appiano nel suo racconto si meraviglia che il
senato non abbia pensato di nominare un dittatore,
mentre in passato molte volte si era affidata la sal-
vezza della repubblica a questa magistratura stra-
ordinaria con pieni poteri. Ora invece sembra che i
senatori vogliano approvare un provvedimento che
sancisca lo stato di emergenza e che li autorizzi a
usare la violenza contro altri cittadini romani.
È probabile che il senato avrebbe approvato un
simile provvedimento emergenziale, se il console
lo avesse messo ai voti, ma Publio Mucio Scevola,
che era un eminente giurista, si rifiuta di avallare
una tale decisione, perché non vuole che sia ucciso
un cittadino romano senza processo. Così si espri-
me Valerio Massimo: «contro l’unanime decisione
che affidava al console il compito di difendere con
le armi la repubblica, Scevola dichiarò che non
avrebbe fatto ricorso alla violenza» (3.2.17).
Allo stesso tempo il console garantisce che, se la

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delitti 17_fede 49 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

plebe dovesse approvare dei provvedimenti in mo-


do contrario alla legalità, questi non saranno da lui
in alcun modo accettati o ratificati; fa così intende-
re che l’eventuale rielezione di Tiberio al tribunato
avrebbe potuto essere bloccata da un successivo
intervento senatorio.
La posizione di Publio Mucio Scevola è inecce-
pibile dal punto di vista giuridico, in quanto «un
magistrato della repubblica, pur se insignito della
carica suprema di console, nei confronti dei liberi
concilii plebei e dei tribuni da essi espressi» non
avrebbe potuto far altro che «rifiutarsi, se del caso,
di eseguirne o di farne eseguire provvedimenti che
fossero apertamente incostituzionali» (Guarino). A
nessun magistrato di rango patrizio era lecito inter-
rompere un’adunanza della plebe; eventualmente
competeva al tribuno presidente richiedere l’in-
tervento del console, qualora lo svolgimento delle
operazioni fosse sfociato in disordini eccessivi.
Ancora più inammissibile sembrava l’uso della
violenza su Tiberio Gracco, che non solo era un
cittadino romano con diritto alla provocatio ad po-
pulum, cioè a pretendere un processo davanti al
popolo prima di essere messo a morte, ma era an-

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delitti 17_fede 50 11/11/20 11:19


I delitti

cora un tribuno della plebe in carica, coperto dalla


sacrosanctitas tipica di questa magistratura.
Vista l’impossibilità di convincere il console a
ufficializzare l’intervento armato, Scipione Nasica
assume su di sé la responsabilità di salvare la re-
pubblica: «poiché il console collabora, nell’ambito
della legalità, alla rovina dell’autorità dello Stato,
io, da privato, mi offro alla guida nella realizzazio-
ne dei vostri voleri»; quindi, fatta passare la sini-
stra attorno all’estremità della toga e sollevata la
destra, proclamò: «chi vuole che la repubblica sia
salva, mi segua!» (Egomet me privatus voluntati
vestrae ducem offero; qui republicam salvam esse
volunt, me sequantur, Valerio Massimo 3.2.17).
Egli sembra servirsi, in forma deformata, dell’anti-
chissimo istituto dell’evocatio hostium che, in caso di
pericolo, consentiva a qualunque cittadino di usare le
armi per difendere la patria contro i nemici esterni della
res publica. In questo caso, per la prima volta, si utiliz-
zerebbe tale procedura per eliminare dei cittadini ro-
mani, considerati alla stessa stregua dei nemici esterni.
Dette quelle parole, Scipione Nasica si avvia verso
l’assemblea della plebe; molti senatori lo seguono,
accompagnati dai loro schiavi e clienti, tutti armati

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delitti 17_fede 51 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

di mazze, bastoni e pietre. Merita rileggere la de-


scrizione di questo momento riportata dalla Rheto-
rica ad Herennium (4.55): «Scipione Nasica, pieno
di malvagità e di cattivi pensieri, sudando e con gli
occhi infiammati d’ira, i capelli rizzati sul capo, la
toga attorcigliata, comincia ad avviarsi con passo
frettoloso insieme con molti altri».
A questo punto si prospetta uno scontro tra due
personaggi fortemente simbolici per il pensiero ro-
mano, entrambi depositari di una lunghissima tradi-
zione: il supremo sacerdote e il tribuno della plebe
sacro e inviolabile.

Il massacro di Tiberio e dei suoi seguaci come


inizio della crisi

Arrivati nell’assemblea, i senatori si lanciano con-


tro Tiberio e i suoi seguaci; le uniche armi di cui
disponevano i graccani erano dei brandelli ricavati
dalle verghe e dalle aste di legno che di solito usa-
vano le guardie per tenere a bada la plebe. Essi
però non provano neppure a usarle, quasi per un
senso di deferenza davanti a uomini di cosí alta
nobiltà: «nessuno li ostacolava, considerata la loro

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delitti 17_fede 52 11/11/20 11:19


I delitti

dignità, ma cedevano loro il passo, travolgendosi


tra loro» (Plutarco, Ti. Gr., 19.6).
I senatori e i loro seguaci cominciano a percuo-
tere tutti quelli che cercano di difendere Tiberio;
usano armi di fortuna, tra cui molti pezzi di sedie
spezzate dalla massa in fuga; percuotono gli av-
versari e li spingono indietro finché non li fanno
precipitare giù dalle rupi. La folla instabile, presa
da improvviso panico, cerca di allontanarsi per
ogni dove.
Ne deriva una carneficina nella quale perdono la
vita oltre trecento cittadini romani, tutti della parte
graccana. In questo tumulto viene ucciso lo stesso
Tiberio, che aveva allora solo 29 anni.
Secondo una tradizione storiografica egli sareb-
be stato colto nei dintorni del tempio e ammazzato
davanti alla porta, vicino alle statue dei re; Sci-
pione Nasica «schiumando dal volto scelleratezza,
spirando crudeltà dal più profondo del petto, gli
afferra e torce un braccio, e mentre Tiberio non
aveva ancora capito che cosa stesse succedendo,
lo colpisce alla tempia. Tiberio, senza emettere
alcuna parola che tradisse l’innata virtù, cadde in
silenzio» (Rhetorica ad Herennium, 4.55).

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delitti 17_fede 53 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Secondo Plutarco, invece, qualcuno lo avrebbe


afferrato per la toga mentre cercava di scappare;
Tiberio si sarebbe liberato dell’abito e avrebbe
continuato a fuggire, finché non inciampò e cadde
sui corpi di quelli che erano già morti davanti a lui.
Avrebbe ricevuto allora il primo colpo: il tribuno
Publio Satureio lo avrebbe percosso con il grosso
frammento di una sedia. Del secondo colpo si sa-
rebbe poi vantato Lucio Rufo, gloriandosene come
d’un bellissimo gesto.
Plutarco sottolinea come morirono tutti a col-
pi di bastone o di sasso e nessuno fu ucciso con
la spada; in città non era concesso girare armati.
Del resto, è difficile credere che si sia trattato di
un incidente imprevisto; da come si sono svolti i
fatti sembra più probabile che i senatori avessero
predisposto ogni cosa per arrivare al premeditato
assassinio di un tribuno della plebe tutelato dalla
sacrosanctitas.
I corpi di Tiberio e di tutti i suoi seguaci sono
poi gettati nel Tevere: privare di sepoltura un cit-
tadino è una pesante pena accessoria, finalizzata a
stigmatizzare i ribelli, oltre che a evitare il rischio
di rivolte popolari in occasione dei funerali.

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delitti 17_fede 54 11/11/20 11:19


I delitti

Il fratello Caio chiede il permesso di ripescare il


cadavere e di dargli sepoltura, ma glielo negano
per impedire che si possa identificare un luogo
preciso dove ricordare e venerare la sua figura di
martire politico.
In realtà, Tiberio e i suoi sostenitori non costi-
tuivano un reale pericolo per lo Stato, perché non
disponevano di alcuna forza armata; la loro ucci-
sione può essere perciò considerata un’esecuzione
ingiustificata di cittadini innocenti, un vero e pro-
prio assassinio avvenuto nel centro sociale e reli-
gioso di Roma. Da questo momento nulla avrebbe
più ostacolato il ricorso alla violenza come mezzo
per la soluzione di gravi controversie politiche e
l’uso di misure eccezionali da parte dell’oligarchia
dominante sarebbe diventato la regola.
La morte di Tiberio Gracco, e già prima l’intera
condotta di lui durante il tribunato, divide il popolo
romano in due parti. Dopo questi avvenimenti «la cit-
tà si divise fra dolore e compiacimento. Gli uni pian-
gevano per Tiberio, per se stessi e per questa che non
era più una repubblica, ma un regno della forza e del-
la violenza. Gli altri pensavano che si fosse realizza-
to tutto ciò che volevano» (Appiano, bell. civ., 1.17).

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delitti 17_fede 55 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

L’uccisione di Tiberio Gracco segna uno snodo


cruciale nella storia di Roma: rende sempre più
profondo il solco tra gli ottimati e il popolo e dà
inizio a quel secolo di sconvolgimenti che porterà
alla fine della res publica e che terminerà solo con
Augusto.

L a rovina di Caio

Dieci anni dopo la morte di Tiberio, inizia a calca-


re la scena politica suo fratello Caio, cercando di
portare a compimento il progetto di rinnovamento
democratico; tuttavia, dopo due anni di grande po-
polarità e successo, nel corso del 122 le fortune di
Caio cominciano a calare.
Le ampie riforme da lui introdotte incutono timore
nell’aristocrazia e portano al convincimento che egli
tenda al sovvertimento dell’ordine pubblico e aspi-
ri alla tirannide nella forma di un tribunato a vita.
Perciò, il suo collega di tribunato Marco Livio
Druso, vicino all’aristocrazia, comincia a condurre
una politica demagogica per accattivarsi il favore
del popolo, ridimensionando in questo modo la
leadership di Caio Gracco. D’altra parte, la fon-

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delitti 17_fede 56 11/11/20 11:19


I delitti

dazione della colonia Iunonia, nel luogo dove un


tempo sorgeva Cartagine, aveva sollevato molte
critiche perché l’atto era stato dichiarato infausto
e ciò gli aveva procurato nemici in tutti gli ordini
sociali.
La principale causa della caduta in disgrazia
di Caio si può individuare nella sua intenzione di
concedere la cittadinanza romana agli Italici; mal-
grado la proposta di Caio sia una soluzione mode-
rata, che prevede la concessione della cittadinanza
ai soli Latini, l’opposizione al suo disegno di legge
trova concordi il senato, la maggior parte dei cava-
lieri e pressoché tutta la plebe, gelosa dei propri
privilegi.
Così, nel giugno del 122, Caio Gracco viene scon-
fitto nel suo tentativo di essere rieletto per la ter-
za volta al tribunato; nel contempo diviene console
Lucio Opimio, suo irriducibile avversario, il quale
si prepara non solo a far votare una serie di provve-
dimenti che tendono a cancellare tutte le leggi in-
novative promulgate da Caio, ma anche a eliminare
fisicamente lo stesso autore di quei provvedimenti.
L’occasione per lo scontro armato che porterà al-
la soppressione di Caio si offre di lì a poco, quando

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delitti 17_fede 57 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

il tribuno Minucio Rufo, spinto dal Senato, pro-


pone di abrogare la legge relativa alla deduzione
della nuova colonia che doveva sorgere dove un
tempo era Cartagine, in ragione dell’ostilità divina
rivelata dai presagi sfavorevoli.
Il giorno della discussione di questo provvedi-
mento, Caio e i suoi seguaci si presentano all’as-
semblea per fare pressione contro la proposta:
Caio è inquieto, va a prendere posizione al lato
dell’assemblea, avanzando fino al portico, e qui
cammina avanti e indietro in attesa degli eventi.
In questa atmosfera tesa avviene un sanguinoso
incidente: nel corso del sacrificio rituale che pre-
cedeva la riunione, un inserviente del console, un
plebeo di nome Quinto Antillio, avrebbe offeso i
graccani; Caio lo avrebbe guardato malamente e i
suoi seguaci, senza che fosse stato dato alcun se-
gnale o impartito un ordine, ma pensando di ben
interpretare la volontà del loro capo, prontamente
lo uccidono con un pugnale.
Ne deriva grande scompiglio e allarme generale;
si levano grida dappertutto e tutti quelli che erano
là intorno fuggono dal tempio, temendo di subire la
stessa sorte dell’inserviente.

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delitti 17_fede 58 11/11/20 11:19


I delitti

Caio si arrabbia molto per l’accaduto e cerca


di discolparsi; nessuno però lo ascolta, anzi tutti
fuggono da lui come da una persona colpevole di
sacrilegio.
L’assemblea viene sospesa e tutti rientrano
nelle proprie abitazioni.
Il giorno seguente il console che in quel mo-
mento si trovava in città, Lucio Opimio, dispone
che alcuni uomini armati si radunino sul Cam-
pidoglio nel primo mattino e manda dei messi a
convocare il senato; ordina poi che il cadavere di
Antillio venga trasportato fino alla Curia, dove era
riunito il senato, passando per il Foro tra cittadini
in lamenti e pianti: si vuole così diffondere l’idea
che la città si trova in una situazione di estremo
pericolo.
In realtà, si tratta di una messa in scena per in-
criminare Caio e creare una scusa per eliminarlo.
Il popolo non cade nel tranello e si indigna per
il diverso trattamento riservato a Tiberio Gracco,
che era stato ucciso ingiustamente e gettato nel
Tevere, mentre a questo Antillio, che in qualche
modo aveva dato causa alla propria morte, erano
concessi gli onori di un funerale pubblico.

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delitti 17_fede 59 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

L a convocazione in senato

Prima di passare alle vie di fatto, il console Lucio


Opimio – anche in questo caso, in quel momento
era presente a Roma solo uno dei consoli, mentre
l’altro, Quinto Fabio Massimo, stava guidando la
guerra contro gli Allobrogi in Gallia Transalpina
– convoca in senato i due principali capi dei po-
polari, Caio Gracco e Marco Fulvio Flacco, perché
giustifichino il loro comportamento: l’intenzione è
quella di porre in essere un processo pubblico con-
tro i leader popolari.
I due accusati non concordano sull’atteggiamento
da tenere: Flacco, che è un agitatore nato, vuole su-
bito prendere le armi, mentre Caio è più propenso a
cercare un compromesso.
Alla fine scelgono di non presentarsi, perché pen-
sano di non aver nulla di cui discolparsi, e decidono
che il giorno seguente si sarebbero asserragliati sul
colle Aventino, come nel 494 aveva fatto la plebe
per non sottomettersi alla volontà del senato e per
sottrarsi alla persecuzione armata: l’antica divisione
fra patrizi e plebei veniva riproposta da entrambe le
parti come archetipo e metafora del tempo presente.

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delitti 17_fede 60 11/11/20 11:19


I delitti

Caio è ben consapevole della precarietà della


situazione e si ferma a lungo davanti alla statua
di suo padre, allontanandosene poi in lacrime; ciò
suscita un forte senso di solidarietà nel popolo,
che decide di passare la notte davanti alla sua ca-
sa per proteggerlo: «rendendosi conto che si era in
presenza di una disgrazia comune a tutta la patria,
erano silenziosi e preoccupati per il futuro» (Plu-
tarco, Ca. Gracch., 35.4-5).
La mattina successiva, quando Caio sta per
uscire di casa, sulla porta la moglie gli si getta ai
piedi; con una mano trattenendolo per la toga e con
l’altra mostrandogli il figlioletto, dice:

Non alla tribuna, Caio, ti vedo andare, come prima,


quando ci andavi da tribuno o da legislatore, né a
una guerra gloriosa, ove, se anche dovessi soffrire l’i-
nevitabile, mi lasceresti in un lutto onorato; tu ti con-
segni agli uccisori di Tiberio, nobilmente disarmato,
per subire più che per fare qualcosa, ma morendo
non apporterai alcun vantaggio alla repubblica.
Ormai il peggio è al potere: si risolvono i problemi
con la violenza armata. Se tuo fratello fosse caduto a
Numanzia, il suo cadavere ci sarebbe stato restituito

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delitti 17_fede 61 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

secondo gli accordi; forse anch’io ora dovrò suppli-


care un fiume, o il mare, che prima o poi mi rivelino
dove si troverà il tuo corpo. Come infatti ancora si
può credere alle leggi e agli dei dopo l’uccisione di
Tiberio? (Plutarco, Ca. Gracch., 36.15).

Caio si scioglie dolcemente dal suo abbraccio e si


allontana senza lasciarsi commuovere; Licinia ca-
de al suolo e vi resta svenuta per molto tempo.

L e trattative e l’attribuzione dei pieni poteri

Caio aveva con sé soltanto un piccolo pugnale na-


scosto sotto la toga, mentre Flacco e i suoi avevano
preso le armi tolte ai nemici durante la campagna
nella Gallia Cisalpina, condotta dallo stesso Flac-
co quando era console nel 125. Secondo Plutarco
furono anche le scelte non pacifiche né assennate
di questo che rovinarono Caio, sul quale ricade-
va l’odio dei senatori scatenato dall’atteggiamento
turbolento e provocatorio di Flacco.
Come si era deciso, mentre i senatori si riuniva-
no nel Campidoglio presso il tempio dei Dioscuri,
i graccani muovono alla conquista dell’Aventino.

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delitti 17_fede 62 11/11/20 11:19


I delitti

Caio Gracco, 1840, Pierre-Nicolas Brisset, Parigi, Scuola nazio-


nale superiore di Belle Arti.

Con questo allontanamento dal centro della città


sperano che l’aristocrazia scenda a patti, così co-
me era successo in occasione della prima seces-
sione plebea.
Il carattere rivoluzionario e sovversivo di questo
gesto appare anche dal fatto che, mentre di cor-
sa attraversano la città diretti verso l’Aventino,

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delitti 17_fede 63 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

pronti a tutto pur di raccogliere uomini, cercano


di coinvolgere anche gli schiavi, offrendo loro in
cambio la libertà.
Giunti sull’Aventino si barricano nel tempio di
Diana: la contrapposizione tra le due parti in lotta
è resa evidente anche dal punto di vista della loro
collocazione fisica.
A questo punto i graccani decidono di mandare
come messaggero al senato, affinché chieda una
riconciliazione per vivere in concordia, Quinto, il
figlio minore di Flacco, un bellissimo giovane che
non ha nemmeno diciotto anni e che nulla ha a che
fare con le attività del padre.
La maggior parte dei senatori è favorevole a tro-
vare un accordo, ma il console Opimio è irremo-
vibile e trasmette questo messaggio ai graccani:
devono deporre le armi e presentarsi personal-
mente davanti al senato per domandare quel che
desiderano. Li mette anche in guardia dall’inviare
nuovamente un messaggero.
Il console avrebbe accettato soltanto una resa a
discrezione e avrebbe poi proceduto a incriminare
in giudizio i responsabili dell’accaduto. Malgrado
le condizioni offerte fossero inique, Caio desidera

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delitti 17_fede 64 11/11/20 11:19


I delitti

presentarsi personalmente in Senato, ma gli altri


si oppongono e mandano una seconda volta il gio-
vane Quinto; il console lo fa arrestare, non con-
siderandolo più un messaggero, e invia contro i
graccani molti uomini armati.
A questo punto il senato, per la prima volta
nella storia di Roma, emana un senatusconsultum
ultimum, cioè un provvedimento con il quale si
dichiara lo stato di emergenza e si danno ai conso-
li ampi poteri affinché la repubblica sia messa in
salvo: Videant consules ne quid detrimenti res pu-
blica capiat (i consoli provvedano affinché lo Stato
non subisca alcun danno).
Questo decreto autorizza i consoli a eliminare
con la forza chi rappresenti un pericolo per lo Sta-
to e sia da considerare come un nemico pubbli-
co: «i senatori affidarono con decreto al console
Opimio l’incarico di salvare la città con qualsiasi
mezzo e di abbattere i tiranni. Per prima cosa egli
dispose che i senatori si armassero e a ciascuno
dei cavalieri diede l’ordine di portare con sé due
schiavi armati» (Plutarco, Ca. Gracch. 35.3-4).

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delitti 17_fede 65 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

La morte di Caio Gracco, olio su tela, Museo di Belle Arti di


Valenciennes.

L a fuga , il suicidio di Caio e lo sterminio


dei suoi seguaci

Forte di questo espresso incarico, il console Opi-


mio in persona parte dunque all’attacco dell’Aven-
tino, seguito dai senatori, dai cavalieri, dagli schia-
vi armati e da un corpo di temibili arcieri cretesi,
che aveva fatto appositamente venire a Roma.
Le fonti prestano particolare attenzione agli at-
timi finali della vicenda di Caio, soffermandosi sui

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delitti 17_fede 66 11/11/20 11:19


I delitti

dettagli drammatici, dalle prove di amicizia dei


suoi compagni, pronti a morire pur di preservare
il leader, fino ai particolari cruenti relativi ai corpi
dei caduti.
Caio Gracco fin dall’inizio rinuncia a combatte-
re e si rifugia nel tempio di Diana, antica patrona
della lega latina; vorrebbe darsi subito la morte,
ma due fedeli amici gli tolgono la spada e lo con-
vincono a fuggire.
Fulvio Flacco all’inizio cerca di resistere con le
armi; quando però il console Opimio promette l’im-
punità ai graccani che si fossero allontanati dall’A-
ventino, molti preferiscono abbandonare la resi-
stenza e cambiare schieramento e Flacco è costretto
a fuggire; cerca riparo in un bagno pubblico ab-
bandonato, dove presto viene raggiunto e sgozzato.
Come lui, nella battaglia dell’Aventino muoiono
circa 250 graccani.
Prima di uscire dal tempio di Diana e comincia-
re a fuggire, si dice che Caio avrebbe pregato la dea
affinché il popolo romano non cessasse mai di esse-
re schiavo come punizione per il tradimento posto
in essere dai seguaci che lo avevano abbandonato.
I nemici inseguono Caio e lo raggiungono all’al-

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delitti 17_fede 67 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

tezza del ponte Sublicio, dove due suoi amici si


fermano a trattenere gli assalitori, per permettere
a Caio di proseguire la fuga; combattono strenua-
mente fino alla morte.
Caio nel frattempo continua a fuggire: Plutarco
dice che tutti lo incitano come se si trattasse di una
gara, ma nessuno lo aiuta concretamente né vuole
prestargli un cavallo per agevolare la fuga.
Alla fine si rifugia, insieme allo schiavo Filocra-
te, nel bosco sacro dedicato alla ninfa Furrina (lu-
cus Furrinae), sulle pendici del Gianicolo. Quando
gli inseguitori raggiungono il bosco, trovano solo
due cadaveri: si pensa che Caio abbia chiesto allo
schiavo di ucciderlo; Filocrate avrebbe obbedito e
poi si sarebbe tolto la vita. All’epoca Caio Gracco
aveva solo 33 anni.
Le teste di Caio e Flacco sono portate al console
Opimio, il quale paga – come era stato promesso
prima dell’inizio della battaglia – tanto oro quanto
è il loro peso; secondo una tradizione, la testa di
Caio sarebbe stata portata da un certo Settimuleio,
che aveva tolto il cervello e riempito di piombo la
scatola cranica per renderla più pesante.
I loro corpi vengono gettati nel Tevere e viene

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delitti 17_fede 68 11/11/20 11:19


I delitti

vietato ai parenti sia di organizzare i funerali sia


di vestirsi a lutto. I loro beni vengono sequestrati,
compresa la dote della moglie Licinia; la casa di
Flacco è rasa al suolo.
Com’era già successo dopo la morte di Tiberio,
segue una pesante repressione nei confronti di tutti
i seguaci, che vengono accusati di complicità in un
tentativo di colpo di Stato.
Quelli che non vengono uccisi negli scontri so-
no ricercati, incarcerati e lì strangolati, e viene lo-
ro impedito di esercitare il diritto di appellarsi al
popolo riunito in assemblea; a Quinto, il figlio di
Flacco, viene concesso di scegliere come morire.
In totale vengono uccise circa tremila persone,
per lo più senza essere state sottoposte a un pre-
ventivo processo.

L a damnatio memoriae e il tempio della concordia

L’aristocrazia non si limitò a cancellare la memo-


ria di Caio Gracco, cercò di fabbricare un ricordo
falsificato della vicenda: si sviluppò una tradizio-
ne storiografica che forniva una giustificazione per
l’assassinio, proponendo una ricostruzione dei fatti

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delitti 17_fede 69 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

volta a delegittimare i Gracchi agli occhi dei con-


temporanei.
Il console Opimio eseguì un rito per purificare
la città dal sangue dell’eccidio e, su incarico del
senato, fece ricostruire, con il denaro ricavato dal-
le confische dei beni, il tempio dedicato alla Con-
cordia nell’estremità occidentale del Foro; esso era
stato iniziato nel 367 per commemorare la ricon-
ciliazione tra patrizi e plebei e ora sarebbe servito
come perenne ricordo dell’unione civile ristabilita
dopo la strage dei concittadini di parte graccana.
In questo modo Opimio cercava di celebrare il
ritorno della pace richiamandosi a un valore facil-
mente condivisibile da parte di tutta la cittadinan-
za; era sottinteso che questa concordia ordinum
era stata ripristinata grazie all’intervento senatorio
ed era dunque necessario sottomettersi all’oligar-
chia dominante per poterla conservare, accettando
talora anche il ricorso alla violenza allo scopo di
mantenerla.
Il popolo non apprezzò questo gesto, perché
sembrava che il console fosse orgoglioso di aver
messo a morte migliaia di cittadini e quasi ne ce-
lebrasse un trionfo; il culto ufficiale di Concordia

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delitti 17_fede 70 11/11/20 11:19


I delitti

non era affatto condiviso, perché ormai la civitas si


era definitivamente spaccata in due parti.
Perciò, quando il tempio fu completato, notte-
tempo comparvero sulle pareti dell’edificio va-
rie invettive; Plutarco ricorda la scritta «l’opera
dell’Incoscienza crea il tempio della Concordia»,
in cui è presente nella lingua greca il gioco di pa-
role basato sulla comune radice di ἀπονοία (inco-
scienza) e ὁμονοία (Concordia).
Qualche secolo più tardi, Agostino affermerà
che erigere un tempio a quella dea non fu altro se
non un irridere agli dei (De civitate Dei, 3.25).
Secondo Plutarco, la reazione della fazione po-
polare non si limitò alle scritte sul tempio della
Concordia, ma consistette anche nell’innalzare in
luogo pubblico statue in onore di Caio e di Flacco
e rendere sacri i luoghi in cui erano stati uccisi:
molti vi facevano sacrifici ogni giorno, offrivano le
primizie di tutte le stagioni e si inginocchiavano,
come se si trovassero di fronte a templi di dei.
Dopo il massacro, il senato smontò pezzo per
pezzo le principali riforme introdotte dai due fra-
telli Gracchi: i lotti di terra già assegnati ai poveri
divennero alienabili, di modo che cominciarono a

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delitti 17_fede 71 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

essere riacquistati dai grandi proprietari, spesso


con violenze e minacce; rallentarono e poi si inter-
ruppero il recupero dell’agro pubblico illegalmente
occupato e la sua ridistribuzione ai nullatenenti; la
commissione agraria fu sciolta; i grandi possessori
dell’agro pubblico ottennero il diritto di conservare
per sempre le terre occupate in cambio di un ca-
none di affitto molto basso, che ben presto fu del
tutto abolito.

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delitti 17_fede 72 11/11/20 11:19


LE VITTIME

delitti 17_fede 73 11/11/20 11:19


delitti 17_fede 74 11/11/20 11:19
L a famiglia di origine

Tiberio e Caio Gracco provenivano da due famiglie


della più alta nobiltà romana.
Il padre, omonimo del primogenito, anche se di
origini plebee aveva percorso con grande dignità
tutti i gradini del cursus honorum ed era stato uno
degli uomini più potenti della sua epoca.
Aveva cominciato la carriera politica dal tribuna-
to della plebe nel 187 e in tale veste è ricordato per
aver posto il veto all’arresto di Lucio Cornelio Sci-
pione, fratello dell’Africano, accusato di non aver
reso conto del denaro ricevuto dal re Antioco III.

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delitti 17_fede 75 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Edile curule nel 182, offrì spettacoli così costosi


da spingere il Senato a vietare per il futuro analo-
ghe dissipazioni di denaro. Fu pretore nel 180 e gli
fu poi assegnata la Spagna Citeriore, dove si distin-
se per essere riuscito a concludere una pace equa e
duratura con i Celtiberi. Tornato in Roma nel 178,
vi celebrò un trionfo e l’anno seguente venne eletto
console; in tale veste fu inviato a domare una ribel-
lione che era scoppiata in Sardegna.
Nel 169 fu nominato censore e svolse con se-
verità il suo compito, cancellando alcuni nomi
dall’albo senatorio, gestendo con correttezza gli
appalti delle opere da eseguire e relegando i liberti
arricchiti in una sola delle tribù urbane, allo scopo
di limitarne il diritto di voto. Fu anche augure e più
volte ambasciatore presso diversi principi e città
dell’Asia.
Fu eletto al consolato per una seconda volta nel
163, grazie a una campagna elettorale ricordata dai
Romani come una delle più dispendiose; morì in-
torno al 154.
Grazie all’intervento in favore degli Scipioni,
compiuto quando era tribuno, Tiberio aveva potuto
sposare nel 175 Cornelia, figlia minore di Publio

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delitti 17_fede 76 11/11/20 11:19


L e vittime

Cornelio Scipione l’Africano – il generale che era


riuscito a sconfiggere Annibale e aveva fatto capi-
tolare Cartagine nella battaglia di Zama (202) – e
nipote, da parte di madre, di Lucio Emilio Paolo, il
console caduto eroicamente nella famigerata batta-
glia di Canne (216).
Ebbero dodici figli, ma solo tre superarono l’in-
fanzia; oltre a Tiberio e Caio, raggiunse l’età adulta
la sorella maggiore Sempronia, che sposò Publio
Cornelio Scipione Emiliano, il console che con-
dusse vittoriosamente la terza guerra punica di-
struggendo Cartagine e che riuscì a conquistare
Numanzia.
Cornelia rimase vedova ancora giovane, quan-
do aveva meno di quarant’anni, e il suo primoge-
nito divenne capofamiglia a soli nove anni. Non
volle passare a nuove nozze e si dice che abbia ri-
fiutato di sposare perfino Tolomeo VIII, re d’Egit-
to; voleva dedicarsi completamente all’educazio-
ne dei figli, che secondo un notissimo aneddoto
considerava veri propri gioielli: haec ornamenta
sunt mea, avrebbe risposto indicando i figli a una
matrona che ostentava le proprie gemme (Valerio
Massimo, 4.4).

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delitti 17_fede 77 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Oltre a essere un esempio di virtù e rigore mo-


rale, Cornelia era una donna molto colta, che sa-
peva scrivere e parlare correttamente sia il latino
sia il greco; cresciuta all’interno del circolo degli
Scipioni, quel gruppo di aristocratici accomunati
da ideali filoellenici e centro attivissimo di cultu-
ra letteraria, fece istruire i figli dai migliori ma-
estri greci, come il filosofo Blossio di Cuma e il
noto retore Diofane di Mitilene.
L’ottima educazione ricevuta dai due fratelli
non li spingeva solo alla celebrazione del sapere
e della bellezza, ma serviva soprattutto per pre-
pararli a raggiungere i livelli più alti della scala
politico-sociale, conquistando fama e gloria. Ti-
berio e Caio crebbero dunque amanti dell’arte e
della cultura ellenistica, istruiti e colti, con una
spiccata attitudine all’oratoria giudiziaria e poli-
tica, consapevoli dei propri meriti e pronti a dare
il proprio contributo per il buon andamento della
res publica.
Sembra che la madre abbia assecondato le
imprese dei figli, ai quali auspicava una grande
carriera, tanto da rimproverarli spesso perché in
città tutti continuavano a indicarla come la figlia

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delitti 17_fede 78 11/11/20 11:19


L e vittime

di Scipione l’Africano e la suocera di Scipione


Emiliano e non ancora come la madre dei Gracchi.
Venne presto accontentata, e anche dopo la loro
morte ne parlava con sereno orgoglio e affermava
che in ogni caso era stata fortunata a essere la ma-
dre dei due. Non si lamentava neppure del fatto
che non avessero avuto degna sepoltura, anzi con-
siderava i luoghi sacri nei quali erano stati uccisi
come tombe più che dignitose per loro.
Plutarco racconta che, dopo la morte dei figli,
Cornelia visse a lungo presso il capo Miseno, con-
tinuando a ricevere molti amici e ad avere intorno
a sé uomini di lettere, che la ascoltavano con pia-
cere mentre narrava le vicende e il modo di vive-
re del padre Africano e la trovavano straordinaria
quando ricordava senza dolore e senza lacrime il
destino e il dramma dei figli, parlando di loro come
di personaggi dell’antichità.

Il carattere dei due fratelli

Plutarco, nel capitolo delle Vite parallele dedicato


al confronto tra i due re spartani Agide e Cleomene,
accomunati dalla politica riformatrice, e i Gracchi,

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delitti 17_fede 79 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

si sofferma a lungo sugli aspetti caratteriali dei due


fratelli, evidenziandone sia i tratti comuni sia le
differenze.
Entrambi erano dotati di razionalità, magnani-
mità, coraggio di fronte ai nemici; erano giusti e
temperanti nei riguardi degli amministrati, zelan-
ti nell’esercizio delle proprie funzioni, moderati
nei piaceri.
Tiberio nel suo rigore stoico era estremamen-
te parsimonioso, mite, sereno e misurato anche
nell’eloquenza, che era assai gradevole e sapeva
suscitare pietà, pur essendo controllata.
Con il suo anacronistico vagheggiamento del
ritorno ai contadini-soldati egli appare più ideali-
sta del fratello minore. Secondo Plutarco, Tiberio
era un sognatore che «lottava per un’idea bella e
giusta, a servizio della quale metteva un’eloquenza
che avrebbe adornato perfino una causa abietta».
Caio era impetuoso, impulsivo e focoso, non
spendaccione, ma ricercato e attento al lusso in
confronto al fratello; aveva in mente un progetto
politico ben definito, a monte del quale non vi era
alcuna spinta emozionale, ma solo attenta riflessio-
ne sulle condizioni generali dello Stato.

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delitti 17_fede 80 11/11/20 11:19


L e vittime

La sua capacità oratoria corrispondeva al carat-


tere: appassionata fino all’esagerazione, ricca di
effetti; con una voce molto forte, egli era un vero
trascinatore di popolo.
Sembra che abbia anche introdotto delle impor-
tanti innovazioni nell’arte retorica: fu il primo ro-
mano a muoversi sulla tribuna mentre parlava e a
lasciar cadere la toga dalla spalla; inoltre, iniziò
la consuetudine di parlare rivolti verso il popolo,
anziché verso i senatori: «mentre tutti gli oratori
prima di lui parlando si orientavano verso il sena-
to e il cosiddetto comizio, egli per primo, quando
presentò la legge giudiziaria, parlò rivolgendosi al
foro, e dopo di lui si fa sempre così. Perciò con un
piccolo spostamento, modificando la postura, diede
origine a un grande rivolgimento e in un certo qual
senso trasformò il regime politico da aristocratico a
democratico» (Plutarco, Ca. Gracch., 26.4).
Siccome a volte si faceva troppo prendere dal-
la foga dell’orazione, tanto da lasciarsi andare a
espressioni sconvenienti, alzare troppo il tono del-
la voce e perfino perdere il filo del discorso, aveva
adottato lo stratagemma di farsi sempre accompa-
gnare da un servo che, quando notava che la voce

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delitti 17_fede 81 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

di Caio si inaspriva, con un flauto faceva risuonare


un dolce suono, in modo che egli potesse rendersi
subito conto degli eccessi e così attenuare la con-
citazione del sentimento e della voce.
Plutarco suppone che, se i due fratelli avessero
potuto unire le loro forze e collaborare nell’attività
politica, il loro potere sarebbe stato grande e in-
superabile; purtroppo la differenza di età fece sì
che non potessero operare nello stesso tempo alla
realizzazione del comune progetto politico.

I primi passi di Tiberio nella politica

Tiberio Sempronio Gracco era nato nel 162; an-


cora molto giovane, godeva di una tale fama da
essere ritenuto degno di entrare nel collegio sa-
cerdotale degli auguri e da ottenere in sposa la fi-
glia di Appio Claudio Pulcro, esponente di spicco
della nobilitas.
A 17 anni era già arruolato nell’esercito di suo
cugino e cognato Publio Cornelio Scipione Emi-
liano, operativo sul fronte della terza guerra pu-
nica; in quell’occasione si distinse per il proprio
valore, al punto da ottenere la corona muralis, in

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delitti 17_fede 82 11/11/20 11:19


L e vittime

quanto fu il primo soldato romano a saltare da una


torre mobile sulle mura di fortificazione di Carta-
gine, durante l’attacco finale alla città assediata.
Aveva iniziato il cursus honorum nel 137 ve-
nendo eletto questore e in tale veste era stato in-
viato in Spagna al seguito del console Caio Ostilio
Mancino, ove aveva dimostrato ancora una volta
notevoli doti di militare e di buon diplomatico.
Infatti, quando l’esercito si era trovato in una
situazione disperata, circondato dai Numantini e
senza via di scampo, Tiberio era riuscito a tratta-
re una resa, non proprio onorevole, ma che ave-
va permesso di salvare più di ventimila soldati.
I nemici si erano convinti ad accettare l’accordo
– malgrado fossero stati delusi da precedenti ge-
nerali romani, che a più riprese si erano rifiuta-
ti di rispettare i patti – perché avevano un buon
ricordo del padre di Tiberio, il quale, durante le
operazioni in Spagna dal 181 al 179, aveva sapu-
to conquistarsi la reputazione di uomo fermo, ma
accomodante e soprattutto di parola. Perciò ac-
cettarono il trattato proposto dal figlio, che peral-
tro era a loro favore, e lasciarono libera l’armata
consolare.

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delitti 17_fede 83 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Il senato si rifiutò però di ratificare quella pa-


ce, che appariva come un episodio di vigliacche-
ria disonorevole per tutto l’esercito; di ciò venne
chiamato a rispondere il console Ostilio Mancino,
che venne consegnato ai Numantini, nudo e con
le mani legate sulla schiena. I Numantini, sde-
gnati per l’ennesimo tradimento, lo lasciarono li-
bero di tornarsene a casa, dove non era però più
considerato cittadino romano in quanto era stato
consegnato come schiavo ai nemici e fu necessa-
rio approvare un’apposita legge per concedergli
nuovamente la cittadinanza.
Tiberio, che era stato il vero artefice della pace,
era riuscito a cavarsela per il rotto della cuffia,
probabilmente grazie all’intervento dei suoi po-
tenti protettori, primo tra tutti suo cognato Scipio-
ne Emiliano e il suocero Appio Claudio Pulcro,
all’epoca princeps senatus. Tuttavia, questa pe-
sante macchia sembrava minacciare la sua car-
riera politica e forse per questo motivo decise di
ripiegare sul tribunato della plebe, anziché ten-
tare di proseguire nei gradini delle magistrature
patrizie.

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delitti 17_fede 84 11/11/20 11:19


L e vittime

Il tribunato della plebe di Tiberio e la legge


agraria del 133

Nel 133 Tiberio venne dunque eletto tribuno della


plebe e cominciò a mettere in atto quella riforma
agraria che, restituendo dignità e mezzi economici
al ceto medio, avrebbe potuto risolvere molti dei
pesanti problemi che affliggevano la repubblica
romana.
Alcuni autori latini affermano che Tiberio
avrebbe intrapreso questa politica riformistica,
che andava contro gli interessi degli aristocratici
conservatori, perché nutriva un forte risentimento
verso quei nobili che avevano disapprovato la sua
azione diplomatica in Spagna.
Secondo Caio Gracco, invece, l’idea della ne-
cessità di una riforma agraria sarebbe venuta al
fratello quando aveva attraversato l’Etruria per
recarsi in Spagna: in quell’occasione si sarebbe
reso conto della condizione disperata in cui si tro-
vava la popolazione contadina. Plutarco aggiun-
ge che lo stesso popolo avrebbe chiesto, tramite
scritte sui muri, di restituire le terre dell’ager pu-
blicus ai poveri.

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delitti 17_fede 85 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Non è da escludere che Tiberio sia stato in-


fluenzato anche dal pensiero stoico, tramite il suo
maestro Blossio di Cuma, che fu in buona parte
ispiratore di tutta la politica del tribuno. La dot-
trina stoica sosteneva l’uguaglianza di tutti gli uo-
mini, principio da cui scaturiva l’esigenza di una
più equa distribuzione della ricchezza e di una
partecipazione di tutti ai beni comuni. Tale idea
si inseriva in un diffuso movimento culturale, con-
diviso anche da una parte dell’aristocrazia, di viva
deplorazione degli abusi nelle occupazioni di ager
publicus.
Bisogna, infine, ricordare che il disegno di legge
per la riforma agraria fu preparato grazie ai consi-
gli di alcuni tra i più autorevoli rappresentanti del-
la nobilitas: il giurista Publio Mucio Scevola e suo
fratello, Licinio Crasso, insieme a Appio Claudio
Pulcro, suocero di Tiberio. Una parte importante
dell’aristocrazia, dunque, ben consapevole dell’op-
portunità di procedere a una redistribuzione delle
terre, era la vera ispiratrice della riforma graccana.
Del resto, la proposta presentata da Tiberio non
era affatto rivoluzionaria dal punto di vista giuridi-
co e costituzionale: secondo Plutarco, non sareb-

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delitti 17_fede 86 11/11/20 11:19


L e vittime

be mai stata scritta una legge più mite e moderata


contro una ingiustizia e una prevaricazione tanto
grande.
Essa si rifaceva alla lex Licinia Sextia de modo
agrorum del 367 e al sistema, seguito per secoli
dai Romani, di elargire terre in proprietà ai privati
attraverso la fondazione di colonie. Più di recente,
un tentativo di riforma agraria era stato compiuto
da Caio Lelio, amico di Scipione Emiliano e conso-
le nel 140, ma la dura opposizione dei proprietari
lo aveva indotto a desistere.
La legge proposta da Tiberio (lex Sempronia
agraria) prevedeva la necessità di restituire il ter-
reno detenuto in eccesso rispetto al limite già pre-
visto in antico di 500 iugeri (125 ettari), al quale si
potevano aggiungere altri 250 iugeri per ogni figlio,
fino a un massimo di 1000 iugeri (250 ettari).
Si trattava comunque di estensioni molto am-
pie e in conseguenza di questa legge ogni posses-
so rientrante nei limiti veniva riconosciuto come
esclusivo, per sempre irrevocabile e non sottoposto
a tributo, quindi con i caratteri di vera e propria
proprietà privata. Questo importante beneficio ave-
va lo scopo di incoraggiare la presentazione spon-

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delitti 17_fede 87 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

tanea degli occupanti abusivi per regolare in via


convenzionale la questione.
L’offerta volontaria era incentivata anche dal
fatto che poteva essere riconosciuto un indennizzo
in danaro a fronte delle eventuali migliorie appor-
tate alle terre che dovevano essere espropriate.
I terreni recuperati sarebbero stati distribuiti,
da un’apposita commissione di triumviri agris dan-
dis iudicandis adsignandis, ai nullatenenti, i qua-
li avrebbero ricevuto da venti a trenta iugeri (da
cinque a sette ettari e mezzo), sufficienti al man-
tenimento di una famiglia; i nuovi assegnatari non
sarebbero diventati proprietari di questi lotti di
terreno, che restavano inalienabili, ma avrebbero
potuto trasmetterli agli eredi.
Si trattava di una legge di riforma moderata, che
si scontrava però contro enormi difficoltà di ordi-
ne politico, economico e tecnico. Gli occupatori
illegittimi non ne volevano sapere di abbandonare
terre possedute da generazioni e generazioni e nel-
le quali a volte avevano investito capitali ingenti:
«questo soprattutto angustiava i possidenti, che
non potevano più aggirare la legge, in quanto ora
vi sarebbero stati dei magistrati per sovrintendere

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delitti 17_fede 88 11/11/20 11:19


L e vittime

alla ripartizione; e neanche potevano recuperare i


lotti comprandoli da coloro che li avrebbero avuti
per sorteggio, perché Gracco, previdente, aveva in-
trodotto il divieto di metterli in vendita» (Appiano,
Bell. civ., 1.10).
D’altro canto, sarebbe stato molto difficile con-
vincere a esercitare il mestiere di contadino perso-
ne ormai disabituate da tempo ai sacrifici che esso
richiede: il popolino aspirava a godere del benes-
sere gratuito e ozioso che derivava dall’impero.
Infine, era necessario impegnare somme sostan-
ziose per trasformare i latifondi in piccoli appezza-
menti a coltivazione intensiva.

Il veto di Marco Ottavio

Non ancora consapevole delle difficoltà contro le


quali si sarebbe scontrata la sua riforma, Tiberio
presentò la sua proposta di legge agraria all’assem-
blea della plebe.
L’aristocrazia, i cui appartenenti erano i mag-
giori possessori di ager publicus, era fortemente
contraria a questa riforma e riuscì a impedire la
votazione convincendo uno degli altri dieci tribuni,

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delitti 17_fede 89 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Marco Ottavio, a porre il veto alla votazione stessa,


con la scusa che tale legge sarebbe andata contro
gli interessi della plebe.
Il potere più forte dei tribuni della plebe era ap-
punto quello dell’intercessio, che dava a ciascuno
di loro la possibilità di paralizzare qualunque at-
tività non solo degli altri tribuni, ma anche di tutti
i magistrati patrizi (con esclusione del dittatore).
Anche all’interno del collegio dei dieci tribuni chi
si opponeva aveva il sopravvento: la maggioranza,
infatti, non poteva nulla quando anche uno solo di
loro si opponeva.
Era però la prima volta che l’intercessione tri-
bunizia veniva utilizzata per intralciare il voto
dell’assemblea plebea; ciò suscitò la collera di
Tiberio, che cercò in tutti i modi di convincere il
collega a ritirare il veto.
Ottavio, che era un giovane di carattere pensoso
ed equilibrato, amico e familiare di Tiberio, avreb-
be volentieri desistito; siccome però molti dei po-
tenti lo sollecitavano con insistenza, quasi forzato,
continuò a schierarsi contro Tiberio.
Tiberio presentò allora una seconda rogatio
Sempronia, riveduta e ancora più gradita al popolo

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delitti 17_fede 90 11/11/20 11:19


L e vittime

e più dura contro gli occupanti abusivi; Ottavio,


dopo aver cercato inutilmente di seguire la via del-
la discussione pubblica e di spostare la questione
in senato, oppose un ulteriore veto.
Secondo Plutarco, Tiberio avrebbe allora assun-
to un provvedimento estremo, il cosiddetto iusti-
tium, in base al quale tutti gli altri magistrati do-
vevano astenersi da ogni attività, finché non fosse
approvata la sua legge; pose inoltre il suo sigillo
sulle casse dello Stato affinché i questori non po-
tessero né prelevare né versare alcunché. Tradizio-
nalmente questo atto di intercessione generale di
qualsiasi azione di governo era emanato in caso di
guerra e per brevi intervalli, di solito per agevolare
la chiamata alla leva di tutti i cittadini. Ora Tiberio
ne fa un uso ostruzionistico, con un valore più che
altro dimostrativo, considerato che in quel momen-
to non vi erano affari urgenti da sbrigare.
In forma di protesta contro questo atto, i ricchi
proprietari indossarono abiti da lutto e si aggirava-
no per il foro in atteggiamento dimesso per susci-
tare compassione; nel frattempo tramavano di na-
scosto contro Tiberio e raccoglievano gente decisa
a ucciderlo, tanto che Tiberio cominciò a tenere

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delitti 17_fede 91 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

sempre con sé un pugnaletto da brigante nascosto


sotto alla veste.

L a sovranità popolare e la deposizione


del collega Marco Ottavio

A questo punto Tiberio si decise a compiere un’a-


zione prepotente e fino ad allora impensabile a
Roma: propose all’assemblea una legge che di-
chiarasse Ottavio decaduto dal tribunato a causa
del suo atteggiamento palesemente contrario agli
interessi della plebe.
Infiammò il consesso affermando che il tribu-
no è sacro solo perché difende la plebe e finché
si dedichi davvero al popolo; qualora il tribuno si
metta contro gli interessi popolari e ne attenui il
potere, impedendo addirittura all’assemblea di vo-
tare, allora si toglie da solo la carica, perché non fa
ciò per cui l’ha ottenuta: «un tribuno che distrugga
il Campidoglio e dia fuoco all’arsenale bisognerà
lasciarlo fare: agendo in quel modo è un cattivo
tribuno, ma pur sempre un tribuno; quando invece
distrugga l’autorità del popolo, non è più un tribu-
no» (Plutarco, Ti. Gracc., 15.3).

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delitti 17_fede 92 11/11/20 11:19


L e vittime

Tiberio sosteneva, poi, che neppure l’inviola-


bilità del tribuno della plebe poteva valere come
argomento per trattenere il popolo dal revocare Ot-
tavio, se si pensa che anche le Vestali, le sacerdo-
tesse più sacre e venerabili di Roma, se peccano,
perdono la loro inviolabilità e niente può impedire
che vengano sottoposte all’atroce pena della sepol-
tura da vive. Dato che la sacrosanctitas tribunizia
è attribuita dalla assemblea plebea, la stessa può
anche revocarla.
Nella tradizione romana la legittimazione del
potere di tutti i magistrati, patrizi e plebei, non si
basava solo sul consenso popolare, ma era sempre
necessaria un’integrazione da parte della volontà
divina; ora è evidente come Tiberio cercasse di lai-
cizzare il potere dei tribuni, fondandolo esclusiva-
mente sul voto popolare.
Prima di procedere alla votazione della propo-
sta di destituzione, Tiberio cercò di convincere per
l’ultima volta il collega a lasciar votare la proposta
di legge agraria o perlomeno a rinunciare di pro-
pria volontà al tribunato.
Siccome Ottavio non intendeva cambiare opi-
nione, Tiberio affermò che, nel caso in cui due

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delitti 17_fede 93 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

magistrati di egual potere fossero in disaccordo su


questioni di grosso rilievo, il popolo doveva ripren-
dere su di sé il potere concesso ai magistrati e re-
vocare la carica a uno dei due.
La destituzione di un magistrato, anche se rap-
presentava un’assoluta novità per la prassi costi-
tuzionale repubblicana – non lo era invece nelle
repubbliche democratiche greche –, non doveva
essere così rivoluzionaria in relazione al tribunato,
che era sorto come organo eletto dalla plebe allo
scopo di difenderla. Sono però evidenti le poten-
zialità dirompenti del ragionamento di Tiberio, che
avrebbero potuto condurre addirittura alla desti-
tuzione di uno dei due consoli in caso di un loro
scontro frontale su decisioni di primo piano.
Inoltre, siccome ormai da parecchio tempo il
tribunato della plebe era diventato uno strumento
della nobilitas senatoria, pretendere di riportarlo
alla sua originaria funzione di organo di classe, a
tutela dei ceti popolari avverso agli optimates, po-
teva davvero essere considerato un atto contrario
alla consuetudine costituzionale consolidata.
Tiberio suggerì addirittura a Ottavio di essere
lui stesso a proporre la destituzione del collega: se

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delitti 17_fede 94 11/11/20 11:19


L e vittime

così avesse deciso il popolo, Tiberio avrebbe ab-


bandonato subito la tribuna, riducendosi allo stato
di privato cittadino.
Di fronte all’ennesimo rifiuto di Ottavio, a Tibe-
rio non restò altro che chiedere all’assemblea di
togliergli per legge il tribunato e invitò i cittadini a
esprimere il proprio voto.
Vennero dunque chiamate a pronunciarsi le
trentacinque tribù, una dopo l’altra; questa volta
non venne opposto alcun veto né da parte di Ot-
tavio, né da parte di uno degli altri otto tribuni in
carica.
Dopo che le prime diciassette tribù ebbero vo-
tato, tutte a favore dell’abrogatio di Marco Ottavio,
Tiberio fece un estremo tentativo per convincerlo
a ritirare il veto o in alternativa a dimettersi spon-
taneamente dalla carica: «sotto gli occhi di tutti lo
baciò e abbracciò pregandolo e supplicandolo di
non lasciarsi disonorare in tal modo e di non per-
mettere che ricadesse su di lui la responsabilità di
un’azione politica così grave e odiosa» (Plutarco,
Ti. Gracc., 12.2).
Ottavio si commosse e rimase a lungo con gli
occhi pieni di lacrime, ma preferì comunque at-

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delitti 17_fede 95 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

tendere il voto decisivo della diciottesima tribù,


che fu favorevole alla sua abrogazione e portò al
raggiungimento della maggioranza e alla chiusura
delle operazioni di voto.
Da quel momento Ottavio tornò alla condizione
di privato cittadino e fu sostituito con un altro tri-
buno. «Quel giorno […] era abbattuta virtualmente
la costituzione e, nell’assenza di un ordine lega-
le riconosciuto, si iniziava la rivoluzione romana.
Quel giorno Tiberio segnò inconsapevolmente la
sentenza di morte propria e d’infiniti altri.»
La lex Sempronia agraria venne dunque ripresen-
tata all’assemblea, che poté finalmente approvarla.
Tiberio fu però accusato di aver provocato un
grave strappo alla costituzione cittadina e di aspi-
rare a un potere regale, perché il suo comporta-
mento sottintendeva la possibilità che un tribuno
della plebe avesse il pieno controllo dell’assem-
blea popolare e riuscisse così a governare anche
contro la volontà del senato.
A sua difesa si può dire che la costituzione ro-
mana era molto flessibile e tra l’assemblea della
plebe e i tribuni da quella eletti vi era un rappor-
to così stretto che il controllo sul concreto operare

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delitti 17_fede 96 11/11/20 11:19


L e vittime

dei tribuni, ed eventualmente la loro revoca, non


avrebbe dovuto in realtà essere considerato né im-
possibile, né scandaloso.

L a nomina della commissione agraria e il tesoro


del re Attalo iii

Approvata infine la legge agraria senza ulteriori


intoppi, si procedette alla nomina della commis-
sione incaricata di dare attuazione alla stessa: ven-
nero eletti lo stesso Tiberio, suo fratello Caio e suo
suocero Appio Claudio Pulcro. Il fatto che fosse
composta da persone tutte appartenenti alla stessa
famiglia suscitò grande scontento nell’aristocrazia,
perché i triumviri agris adsignandis avevano poteri
molto estesi e non vi sarebbe stato nessuno a con-
trollarli: essi dovevano non solo individuare i ter-
reni da espropriare e assegnare le terre ai proletari,
ma anche risolvere ogni controversia al riguardo,
riunendo così in un unico organo le fasi istruttoria,
decisoria e giurisdizionale.
Le operazioni si rivelarono subito più complesse
del previsto, perché mancavano esatti rilievi cata-
stali dei territori dell’Italia meridionale; spesso le

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delitti 17_fede 97 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

pietre di confine erano state spostate; porzioni di


agro pubblico erano state vendute e i compratori
non volevano restituirle; soprattutto, mancavano i
fondi per poter lavorare e il senato rifiutava di con-
cedere denaro alla commissione.
Tiberio cercò di superare questa impasse pro-
ponendo di utilizzare le ricchezze che Attalo III,
re di Pergamo, aveva lasciato in eredità al popolo
romano. Egli era venuto a conoscenza di questo la-
scito per primo, perché l’ambasciatore arrivato da
Pergamo con il testamento del re era stato ospitato
proprio a casa di Tiberio, in quanto suo padre ave-
va stretto buoni legami con gli abitanti di Pergamo
durante una delle sue molte ambascerie. Inoltre,
Tiberio era in quel momento uno degli uomini po-
litici più in vista e le sue tendenze democratiche
facevano sperare in un buon utilizzo del patrimo-
nio lasciato in eredità.
Perciò, Tiberio propose subito alla plebe di
approvare una legge (rogatio Sempronia de pecu-
nia regis Attali) che prevedeva la distribuzione di
quelle ricchezze ai cittadini assegnatari delle ter-
re, che avrebbero così potuto sostenere le spese di
avvio dell’attività agricola.

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delitti 17_fede 98 11/11/20 11:19


L e vittime

Si trattava di una grave violazione dei poteri del


senato, che per antica tradizione era l’unico a de-
cidere in materia di politica finanziaria ed estera;
perciò, l’aristocrazia non permise neppure che si
arrivasse alla votazione e fece valere a gran voce la
propria competenza.
Gli avversari del tribuno sottolinearono come
ancora una volta avesse cercato di sovvertire l’or-
dinamento costituzionale e cominciarono a scredi-
tarne la persona con false accuse: misero in giro la
voce che l’ambasciatore aveva regalato a Tiberio
un diadema regale e una veste di porpora, quasi
che egli dovesse utilizzarli una volta divenuto re
di Roma.
A questo punto, Tiberio era sicuro che, al termi-
ne della carica, sarebbe stato sottoposto a processo
o forse direttamente ucciso; per cercare di evita-
re una tragica fine, non aveva altra possibilità che
provare a farsi rieleggere tribuno, restando in tal
modo giuridicamente inattaccabile.
Come abbiamo visto, a quel punto la situazione
precipitò.
Dopo la sua morte, il senato non ebbe però il
coraggio di abrogare la legge agraria e i lavori della

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delitti 17_fede 99 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

commissione incaricata di distribuire le terre con-


tinuarono: Tiberio Gracco fu sostituito da Publio
Licinio Crasso; successivamente morirono anche
Appio Claudio e Licinio Crasso e al loro posto
subentrarono Marco Fulvio Flacco e Caio Papirio
Carbone. Alcuni ritrovamenti archeologici testimo-
niano l’ampiezza dei lavori svolti da questa com-
missione: in varie zone dell’Italia centro-meridio-
nale sono stati rinvenuti i cippi che delimitavano i
terreni interessati dalla riforma graccana.
Nel 129 Scipione Emiliano, marito della sorella
di Tiberio, cercò di rallentare i lavori di distribu-
zione, proponendo di togliere alla commissione la
competenza di decidere sui casi controversi e sol-
levando il problema degli Italici, i quali non solo
non avrebbero beneficiato della legge agraria, ri-
servata ai cittadini romani, ma anzi ne sarebbero
stati seriamente danneggiati.
L’Emiliano divenne perciò molto impopolare,
al punto che venne trovato morto nel proprio letto
giusto alla vigilia del suo intervento in senato sulla
questione degli Italici e della legge agraria. Cor-
sero voci che fosse stato avvelenato dalla moglie o
che i graccani lo avessero strangolato; tuttavia, non

100

delitti 17_fede 100 11/11/20 11:19


L e vittime

venne aperta alcuna indagine e nessuno venne in-


criminato. Dopo la sua morte cessarono gli attacchi
alla legge agraria.

Gli inizi della carriera politica di Caio e la


questione italica

La vita di Caio Sempronio Gracco, nato nel 154,


ricalca da vicino quella del fratello: anche Caio
esordisce sulla scena pubblica al comando del cu-
gino Publio Cornelio Scipione Emiliano, nel 134
durante l’ultima guerra celtiberica, svolgendo a
sua volta un ruolo importante nella presa della cit-
tà nemica di Numanzia.
Come abbiamo visto, Caio nel 133 viene nomi-
nato triumviro nella commissione agraria insieme
al fratello.
Dopo la morte di Tiberio, per qualche anno si
tiene lontano dalla politica e si dedica all’oratoria
forense, dando prova delle sue eccezionali doti di
eloquenza e dialettica.
Il suo primo discorso politico di rilievo è quel-
lo pronunciato a difesa della proposta di legge
presentata da Caio Papirio Carbone e avente per

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delitti 17_fede 101 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

oggetto la possibilità di essere eletti due volte di


seguito alla carica di tribuno; dai frammenti che
ci sono pervenuti sappiamo che in quell’occasione
egli svolse una appassionata difesa del fratello e
condusse una pesante invettiva contro gli uomini
che lo avevano ucciso come una bestia.
I rappresentanti del potere oligarchico comin-
ciavano già a temere questo oratore brillante e
impetuoso, che poteva rapidamente trasformarsi
in un trascinatore di folle: con i suoi appassionati
discorsi «aveva dimostrato che tutti gli altri poli-
tici erano, nei suoi confronti, solo dei bambini, e
gli ottimati ne ebbero paura e a lungo discussero,
convenendo che non avrebbero consentito a Caio
di diventare tribuno della plebe» (Plutarco, Ca.
Gracch., 22.3).
Caio inizia il cursus honorum nel 126, quando
viene eletto alla questura e inviato in Sardegna al
seguito del console Lucio Aurelio Oreste, dove vie-
ne trattenuto fino al 124, forse proprio per tenerlo
lontano dalla politica cittadina e così impedirgli di
riprendere le iniziative proposte dal fratello. Qui
si distinse sia per le sue capacità militari, sia per
la propria morigeratezza e l’umanità con cui trattò

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delitti 17_fede 102 11/11/20 11:19


L e vittime

i sudditi; ebbe anche modo di dimostrare ulterior-


mente le proprie doti di persuasione, quando riuscì
a convincere le città sarde a offrire spontaneamen-
te dei vestiti caldi per i soldati che stavano paten-
do il freddo dell’inverno. La notizia giunse a Roma
e turbò ulteriormente i senatori perché sembrava
una preparazione per azioni demagogiche.
Nella primavera del 124 Caio di propria inizia-
tiva tornò a Roma e venne perciò accusato di aver
disertato il suo ufficio; pronunciò allora un’appas-
sionata autodifesa, così convincente da trasforma-
re completamente la disposizione d’animo degli
ascoltatori, convinti alla fine che fosse stato trattato
con somma ingiustizia; queste erano le sue parole:

Mi sono comportato in provincia come pensavo fosse


utile a voi, e non come pensavo potesse giovare alla
mia ambizione. Non mi sono avvicinato a nessuna
osteria, e non mi attorniavano giovani di bell’aspetto,
mentre i vostri figli erano più interessati ai banchetti
che all’esercito. E in provincia ho vissuto in modo
che nessuno potesse affermare che io avessi ricevuto
in dono anche un soldo solo o effettuato spese per-
sonali. Ho trascorso ben due anni nella provincia;

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delitti 17_fede 103 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

se una prostituta si è introdotta in casa mia o se un


qualche giovane schiavo è stato sedotto da me, pote-
te ritenermi la persona più scellerata e depravata del
mondo. Se mi sono comportato così castamente con
degli schiavi, potete da ciò dedurre come io mi sia
comportato con i vostri figli! E così, o Quiriti, quelle
borse che all’andata erano piene d’argento, al mio
ritorno a Roma le ho riconsegnate vuote, mentre altri
hanno riportato a casa piene di soldi quelle anfore
che si erano portati dietro piene di vino» (Aulo Gel-
lio, 15.12).

Già prima di essere eletto tribuno della plebe, Caio


si appassionò alla questione degli Italici e all’op-
portunità di concedere loro la cittadinanza romana.
I socii italici, pur sostenendo molti oneri bellici e
costituendo ormai oltre la metà dell’esercito ro-
mano, godevano solo in minima parte dei vantaggi
dell’impero ed erano esclusi dai diritti politici pro-
pri dei cittadini romani.
Quando nel 126 fu approvata una legge che im-
pediva a tutti gli stranieri l’accesso a Roma, Caio
tenne un pubblico discorso in cui si schierava con
passione a difesa degli interessi degli Italici.

104

delitti 17_fede 104 11/11/20 11:19


L e vittime

Nel 125 il console Marco Fulvio Flacco presentò


una proposta di legge in base alla quale tutti gli
Italici che ne avessero fatto richiesta avrebbero
potuto ottenere la cittadinanza romana oppure, a
loro scelta, il diritto di appellarsi al popolo contro
le decisioni dei magistrati (provocatio ad populum),
ma il senato si oppose strenuamente e la legge non
venne approvata.
Ciò provocò molto malcontento tra le popolazio-
ni alleate, tanto che la colonia latina di Fregelle
si ribellò e il pretore Lucio Opimio fu inviato a
soffocare violentemente la rivolta, in modo da dis-
suadere le altre città dal seguirne l’esempio. I capi
della rivolta vennero processati per alto tradimento
e Caio fu accusato di aver istigato la ribellione e
di aver partecipato alla congiura, in quanto era già
considerato un acceso sostenitore dei diritti degli
alleati; anche questa volta verrà assolto, sempre
grazie alla sua convincente dialettica.

L’elezione a tribuno della plebe

Nell’estate del 124 Caio presentò la propria can-


didatura al tribunato della plebe: una gran folla

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I G R AC C H I

accorse in città per votarlo; vennero anche molti


Italici, che non avevano diritto di voto, ma vole-
vano comunque sostenere la candidatura del loro
paladino: la piazza in cui si tenevano le elezioni
era talmente affollata che molte persone dovettero
arrampicarsi sui tetti circostanti.
Anche l’aristocrazia però aveva condotto un’effi-
cace campagna elettorale, tanto che Caio fu sì eletto,
ma soltanto come quarto nella lista dei dieci tribuni,
dopo tre candidati più graditi al partito senatorio.
Appena in carica, Caio cercò di riabilitare la
memoria del fratello e di vendicarne l’uccisione,
anche allo scopo di impedire ulteriori episodi di
violenza illegale.
Il primo plebiscito da lui proposto prevedeva
che i magistrati deposti dal popolo non potessero
più ricandidarsi per nessun’altra carica; è evidente
come esso fosse diretto a sanzionare la condotta del
tribuno Ottavio, il cui incarico era stato revocato
dal popolo perché insisteva nel porre il veto alla
legge agraria di Tiberio, e come volesse in tal modo
legalizzare la procedura che era stata adottata dal
fratello e che tanto scalpore aveva suscitato. Sem-
bra però che lo stesso Caio abbia ritirato la propo-

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delitti 17_fede 106 11/11/20 11:19


L e vittime

sta, forse per accondiscendere alle preghiere della


madre Cornelia che voleva proteggere Ottavio, vec-
chio amico di famiglia.
Il primo provvedimento che venne approvato
(lex Sempronia de capite civis) fu quello che riba-
diva la fondamentale garanzia della provocatio ad
populum, cioè il diritto di ogni cittadino romano
a non essere messo a morte senza un preventivo
giudizio popolare. All’interno della città soltanto il
popolo riunito nell’assemblea dei comizi centuriati
poteva condannare a morte un cittadino romano e
sempre soltanto il popolo poteva delegare, con una
legge, la propria competenza a delle commissioni
più ristrette (quaestiones).
Tale legge era chiaramente diretta contro coloro
che avevano ucciso Tiberio e i suoi seguaci sen-
za rispettare il diritto di provocatio ad populum e
mirava a colpire anche i membri della corte stra-
ordinaria creata dal senato nel 132 che avevano
condannato senza un voto popolare i sostenitori
sopravvissuti all’eccidio.
Non è certo che la legge fatta approvare da Ca-
io contenesse una clausola retroattiva che avrebbe
permesso di perseguire anche i fatti accaduti in

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delitti 17_fede 107 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

precedenza; comunque, Popilio Lenate, presidente


della corte straordinaria che aveva condannato a
morte i graccani nel 132, preferì andare volontaria-
mente in esilio piuttosto che rischiare di affrontare
un processo.

Il progetto politico di Caio

Caio si dedicò poi a un’intensa attività legislativa


che mirava a ridisegnare la mappa del potere poli-
tico. Dei due fratelli, Caio era il vero uomo politico,
lucido e originale, che aveva ben chiara la grave
crisi sociale ed economica in cui si trovava lo stato
romano e intendeva porvi rimedio attraverso una
riforma meditata, ampia e radicale.
Avrebbe voluto ristabilire la sovranità del popo-
lo, che da tempo era stata erosa dalla preponde-
ranza del senato, e restaurare nella sua pienezza
le funzioni del tribunato della plebe, che un tempo
era un importante meccanismo del sistema costitu-
zionale e ormai era divenuto uno strumento sempre
più spesso manipolato dalla nobilitas per ottenere
dalle assemblee popolari la legalizzazione della
propria volontà.

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delitti 17_fede 108 11/11/20 11:19


L e vittime

Si rese soprattutto conto di come fosse neces-


sario adeguare alla nuova realtà imperiale i mec-
canismi ormai obsoleti dello Stato-città, nonché
razionalizzare l’amministrazione secondo le nuove
esigenze di un vasto territorio da gestire.
In questa visione lungimirante dello Stato, Caio
cercò anche di aumentare le entrate dell’erario, al-
lo scopo di permettere all’amministrazione di svol-
gere i molti nuovi compiti necessari per la gestione
di un impero.
L’insieme delle sue riforme tendeva ad aumen-
tare l’indipendenza economica delle classi più po-
vere e ad accrescere l’influenza del ceto interme-
dio dei cavalieri, diminuendo al contempo il potere
del senato; secondo il parere di Mommsen, sotto
l’ampio progetto di innovazioni si nascondeva, in
realtà, il proposito di introdurre una nuova forma
costituzionale.
Così leggeva il suo progetto politico anche l’ari-
stocrazia, che vedeva in lui soltanto un demagogo
aspirante alla tirannide e interpretava le sue rifor-
me come un tentativo di sovvertire dalle fondamen-
ta il sistema costituzionale, per trasformarlo non in
una democrazia, bensì in una monarchia:

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delitti 17_fede 109 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Gracco parlava in pubblico di abbattere l’aristocra-


zia e di instaurare la democrazia; era riuscito a gua-
dagnare il favore di tutte le classi di cittadini e aveva
in loro non soltanto dei fiancheggiatori, ma piuttosto
dei promotori dei suoi audaci piani. Infatti, ciascu-
no di loro, sospinto dalla speranza di ottenere dei
vantaggi, era pronto ad affrontare ogni rischio per
difendere le leggi presentate, come se si trattasse di
interessi personali (Diodoro Siculo, 34-35.25.1).

In realtà, egli aveva chiara visione di molte debo-


lezze del regime repubblicano e aveva cercato di
introdurre possibili rimedi, evitando forme mili-
taresche di dittatura e qualsiasi repressione delle
libertà civili. Certo, per raggiungere i propri obiet-
tivi Caio non rifuggì da armi demagogiche né da
tratti di prepotenza tirannica; tuttavia, non voleva
instaurare una monarchia, anche se forse pensava
che il tribunato della plebe avrebbe potuto assu-
mere caratteri e funzioni sovrane, transitorie nelle
persone, ma permanenti nella vita dello Stato.
Per portare a temine questo vasto programma
politico, Caio riuscì a essere rieletto tribuno anche
per l’anno successivo, il 122. Ottenne la rielezione

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delitti 17_fede 110 11/11/20 11:19


L e vittime

senza che vi fosse alcuna contestazione da parte


dell’aristocrazia, non perché fosse cambiato qual-
cosa a livello costituzionale rispetto a dieci anni
prima: infatti, la legge proposta nel 131 da Papirio
Carbone, che avrebbe stabilito espressamente la
possibilità di una seconda elezione consecutiva al
tribunato, non era stata approvata.
Secondo alcune fonti, Caio sarebbe riuscito a ot-
tenere il risultato usando l’astuzia, in quanto non
avrebbe presentato una esplicita candidatura per
essere rieletto, in modo da evitare ogni atteggia-
mento di ostilità della parte avversa, ma sarebbe
stato eletto spontaneamente dal popolo. Così, lo
stesso fatto che aveva portato alla morte violenta
di Tiberio, non fu avvertito come irregolare e non
suscitò alcuna opposizione da parte del senato.

L a legislazione diretta a ottenere


consenso sociale

Alcune delle leggi fatte approvare da Caio erano


finalizzate a conquistarsi il favore popolare e sem-
brano quasi dirette a introdurre uno «Stato socia-
le» ante litteram: alla plebe urbana concesse le

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delitti 17_fede 111 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

frumentazioni, ai disoccupati destinò importanti


lavori pubblici, ai contadini poveri provvide con
l’istituzione di nuove colonie in Italia e in Africa.
Con altre riforme Caio cercò di creare un ine-
dito sistema di alleanze sociali; tra queste, il suo
capolavoro strategico fu il conferimento del potere
giudiziario all’ordine equestre, che introdusse una
scissione in seno alla stessa classe dei proprietari
e la fondazione di un nuovo ceto politico in grado
di abbattere la potenza del senato.
Tra le varie leggi, ricordiamo la lex Sempronia
frumentaria, che non solo prevedeva la distribuzio-
ne di frumento a prezzo ridotto ai cittadini, ma era
finalizzata a garantire regolarità nei rifornimenti
di grano a Roma tramite un’organizzazione statale
permanente che si sarebbe sostituita all’assisten-
zialismo clientelare praticato fino a quel momento
dalle famiglie aristocratiche.
Altra legge che favoriva i ceti più umili è quella
che introdusse alcune importanti riforme in tema
di servizio nell’esercito, di cui la più eclatante era
la fornitura gratuita dell’equipaggiamento militare.
Sembra che Caio abbia fatto approvare anche
un’altra legge agraria, di cui non si conosce con

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delitti 17_fede 112 11/11/20 11:19


L e vittime

sicurezza il contenuto; si ipotizza che Caio non si


fosse limitato a ripetere le disposizioni già propo-
ste dal fratello, ma che la sua legge fosse collegata
con la fondazione di nuove colonie, sistema che
Caio privilegiò per cercare di risolvere i problemi
della popolazione nullatenente. In base alla lex de
coloniis deducendis da lui proposta, furono fondate
le colonie di Neptunia a Taranto e di Minervia a
Squillace e con la legge Rubria, formalmente roga-
ta dal suo collega Rubrio, si deliberò la deduzio-
ne della colonia Iunonia lì dove un tempo sorgeva
Cartagine.
Caio si rendeva conto che non era possibile ri-
tornare alla piccola agricoltura di sussistenza che
aveva caratterizzato i primi secoli di Roma; perciò,
cercò di sostenere anche i ceti mercantili e impren-
ditoriali che costituivano l’ossatura del commercio
nel vasto Impero romano, ottenendo così l’appoggio
anche dei ceti benestanti. In quest’ottica, elaborò
un ampio piano di costruzione di una rete viaria
che rendesse agevole attraversare l’Italia; così fa-
cendo fornì anche lavoro alla manodopera disoc-
cupata, acquistando ulteriore consenso presso il
popolo: «aveva sotto di sé una massa di appaltatori

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delitti 17_fede 113 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

e operai, che gli sarebbero stati compagni in tutto


ciò che egli ordinasse» (Appiano, bell. civ., 1.23).
Infine, si può citare la lex Sempronia de provin-
cia Asia che sottraeva al senato la competenza a
decidere della condizione giuridica dei territori
ereditati da Attalo III e assegnava ai pubblicani,
appartenenti all’ordine equestre, la riscossione
delle tasse in quel territorio, sottraendone l’appalto
ai governatori senatorii.
In questo modo non soltanto si accattivava il fa-
vore della classe emergente dei cavalieri, garan-
tendo loro i lauti guadagni che derivavano dalla
provincia asiatica, ma al contempo assicurava al-
lo Stato un gettito sicuro e importante di denaro
proveniente da questo ricco territorio, in quanto le
moderne societates di pubblicani erano molto più
abili nel riscuotere la decima in un Paese in cui la
situazione era alquanto complicata.
Allo stesso tempo, per tutelare i provinciali da
uno sfruttamento incontrollato, Caio aveva stabi-
lito preventivamente quali fossero i confini della
provincia, individuando i terreni immuni e quelli
tassabili e fissando con precisione le regole per la
riscossione delle decime.

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delitti 17_fede 114 11/11/20 11:19


L e vittime

L a legge giudiziaria e il crimen repetundarum

Una dirompente novità fu l’approvazione della lex


Sempronia iudiciaria che trasferiva dai senatori ai
cavalieri la funzione di giudici nella quaestio de
repetundis.
Il crimen repetundarum consisteva nelle estor-
sioni o appropriazioni indebite esercitate ai dan-
ni dei sudditi provinciali dai magistrati romani in
occasione dei loro incarichi di governatori delle
provincie; si trattava di un sistema molto diffuso
che serviva a recuperare le ingenti spese sostenute
per lo svolgimento della carriera politica, all’epo-
ca considerata un onore e quindi in nessun modo
retribuita.
Inizialmente questi illeciti non erano puniti, se
non nei casi più gravi e semplicemente invitando il
governatore a dimettersi.
Il primo processo de pecuniis repetundis si tenne
nel 171, quando una legazione di cittadini ispanici
presentò in senato delle pesanti lamentele contro i
governatori e si decise di costituire un collegio di
5 recuperatores, tutti senatori, incaricati di valuta-
re i fatti ed eventualmente condannare i colpevoli

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delitti 17_fede 115 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

alla restituzione del maltolto, da cui deriva il nome


dell’illecito, pecuniae repetundae, cioè denaro che
deve essere restituito.
Nel 149, con la lex Calpurnia, tale sistema ven-
ne reso ordinario: da quel momento in avanti i
provinciali che avessero subito estorsioni poteva-
no chiedere un risarcimento pecuniario, rivolgen-
dosi a una corte giudicante permanente composta
da appartenenti all’ordine senatorio, quindi della
stessa classe dalla quale provenivano tutti i gover-
natori provinciali.
Caio Gracco sottrasse questa competenza ai se-
natori e la trasferì ai cavalieri, che davano maggior
garanzia di imparzialità; nel contempo, un suo col-
lega di tribunato fece approvare la lex Acilia repe-
tundarum che trasformò le repetundae da semplice
illecito privato a crimine perseguito pubblicamente.
In questo modo i rapporti di forza nella compagi-
ne statale si andavano rapidamente rovesciando; «al
senato restava soltanto la dignità formale, mentre il
potere reale apparteneva ai cavalieri, i quali non si
limitavano a dominare, ma abusavano apertamente
dei procedimenti giudiziari per calpestare i membri
dell’ordine senatorio» (Appiano, Bell. civ., 1.22).

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delitti 17_fede 116 11/11/20 11:19


L e vittime

L a proposta di legge sulla procedura


di votazione

Un’altra proposta di legge che, se fosse stata ap-


provata, avrebbe modificato profondamente i rap-
porti tra le classi sociali, era quella relativa alla
procedura elettorale nei comizi centuriati, la quale
tradizionalmente permetteva ai ceti più ricchi di
avere sempre la maggioranza.
I comizi centuriati erano l’immagine dell’esercito
in città ed erano organizzati in 193 centurie; la centu-
ria costituiva l’unità votante: non si calcolava, infatti,
un voto per ogni testa, ma uno per ogni centuria.
Come indica il nome stesso, in origine ogni centu-
ria doveva essere composta da 100 cittadini; presto
però il numero degli appartenenti alle varie centurie
divenne variabile, in quanto i cittadini iniziarono a
essere distribuiti tra le varie centurie in base alla ric-
chezza posseduta, affinché i ricchi disponessero di un
potere politico proporzionale al maggior onere milita-
re loro assegnato.
In concreto, la fanteria era distribuita in 170 cen-
turie, di cui 80 erano attribuite alla prima classe di
censo (cioè i cittadini che possedevano una ricchezza

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delitti 17_fede 117 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

di almeno 100.000 assi), 20 erano assegnate sia alla


seconda classe (costituita da chi aveva almeno 75.000
assi) che alla terza (50.000 assi) e alla quarta (25.000
assi), 30 infine alla quinta classe (11.000 assi).
Cinque centurie erano poi riservate ai disarmati
ausiliari (fabbri, carpentieri, suonatori) e in una di
queste erano raggruppati tutti coloro che avevano un
censo inferiore a quello richiesto per far parte della
quinta classe, i cosiddetti capite censi, cioè le persone
che venivano censite solo per la loro testa e non per i
loro averi, detti anche proletarii perché le loro uniche
fortune erano i figli.
Vi erano poi gli equites, che avevano l’obbligo di
procurarsi e di mantenere il cavallo con cui andare
in guerra; essi avevano un censo superiore a quello
dei cittadini della prima classe ed erano distribuiti
in 18 centurie.
È evidente come il voto del singolo cittadino aves-
se un peso ben diverso a seconda della classe alla
quale egli apparteneva, in quanto si può a buon di-
ritto presumere che le 80 centurie della prima classe
non fossero molto popolate, mentre in ognuna delle
20 centurie della quinta classe dovevano essere rag-
gruppati tanti cittadini quanti ve ne erano in tutte le

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delitti 17_fede 118 11/11/20 11:19


L e vittime

centurie della prima classe; si può immaginare, poi,


quanto affollata fosse l’ultima centuria dei proletari!
Inoltre, questo complesso sistema era costruito in
modo tale che, se si fossero accordati tra di loro, i
più ricchi avrebbero avuto automaticamente la mag-
gioranza dei voti: avevano infatti a disposizione 80
centurie della prima classe oltre alle 18 centurie dei
cavalieri, quindi 98 voti su 193.
Per di più l’ordine di votazione seguiva rigorosa-
mente le classi sociali: iniziavano a votare i cavalie-
ri, poi le centurie della prima classe e via di seguito;
in questo modo, molto spesso le centurie delle classi
dalla seconda in avanti non venivano neppure chia-
mate a esprimere il proprio voto, perché era già stata
raggiunta la maggioranza.
Caio Gracco non si sognava di intervenire in pro-
fondità su questa fondamentale istituzione della tra-
dizione repubblicana; egli avrebbe soltanto voluto
modificare l’ordine di votazione, stabilendo che le
centurie venissero chiamate a votare in base a un
sorteggio tra tutte le classi. In questo modo non so-
lo avrebbe dato la possibilità di manifestare la pro-
pria opinione anche ai cittadini meno abbienti, ma
avrebbe pure eliminato la potente arma di pressione

119

delitti 17_fede 119 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

sui ceti subalterni costituita dall’influenza esercitata


dai voti espressi dalle prime centurie.
La proposta veniva avvertita dalla nobilitas come
una misura eversiva che avrebbe diminuito l’in-
fluenza degli uomini più ricchi e potenti, mettendoli
sullo stesso piano dei più umili; perciò non arrivò
neppure a essere votata.

Marco L ivio Druso e la proposta di legge per


concedere la cittadinanza romana agli Italici

Come abbiamo detto, Caio viene rieletto tribuno


per il 122.
In quel momento è all’apice della sua popola-
rità: il popolo lo magnificava ed era pronto a fare
qualunque cosa per dimostrargli la sua benevo-
lenza. Caio ne approfitta per chiedere un favore;
molti si aspettano che aspiri a essere eletto an-
che console, tuttavia, «quando arriva il momento
delle elezioni consolari, e tutti erano in attesa, si
vide Caio che accompagnava nel Campo Marzio
Fannio Strabone e con i suoi amici sosteneva la
sua candidatura» (Plutarco, Ca. Gracch., 29.1).
Grazie all’appoggio di Caio, Fannio Strabone

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delitti 17_fede 120 11/11/20 11:19


L e vittime

venne eletto al consolato, insieme a Gneo Domizio


Enobarbo, lasciando a bocca asciutta l’altro can-
didato Lucio Opimio, che riuscirà però ad arrivare
alla suprema magistratura l’anno successivo e si
vendicherà a dovere dell’affronto subito per causa
di Caio Gracco.
Nel collegio dei dieci tribuni della plebe risul-
ta nominato per il 122 anche Marco Livio Druso,
un sostenitore della causa aristocratica, che viene
strumentalizzato dai senatori per combattere Ca-
io con le sue stesse armi. Questa volta, infatti, si
preferisce non utilizzare il diritto di veto, ma in-
durre Druso a proporre una politica di riforme an-
cora più favorevoli alla plebe, al fine di distoglie-
re l’interesse dalle innovazioni introdotte da Caio.
Così si esprime Plutarco: «il senato, nel timore
che Caio diventasse del tutto irresistibile, tentò
di staccare il popolo da lui con un procedimento
nuovo e inusuale, ricorrendo a misure demago-
giche che compiacevano la massa popolare, ma
erano contro l’interesse della collettività» (Ca.
Gracch., 29.4).
Le leges Liviae prevedevano la creazione di
dodici nuove colonie, in ognuna delle quali sa-

121

delitti 17_fede 121 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

rebbero stati insediati 3000 cittadini provenienti


dalle classi più povere; eliminavano il contributo
che avrebbero dovuto versare nelle casse dello
Stato gli assegnatari di ager publicus e tutelavano
i Latini contro i soprusi dei magistrati.
Nessuna di queste leggi fu poi messa davvero
in pratica, perché il loro reale scopo era solo di
incrinare la forza e il potere di Caio Gracco.
Nel frattempo Caio stava perdendo popolarità
anche a causa della proposta di concedere ai Lati-
ni e agli Italici la cittadinanza romana: «chiedeva
di estendere ai Latini gli stessi diritti dei Roma-
ni, un progetto cui sarebbe stato sconveniente per
il senato opporsi, considerata l’affinità di stirpe.
Voleva concedere il diritto di voto anche agli altri
alleati, al fine di avere pure il loro apporto quando
si trattava di votare le leggi che aveva in mente»
(Appiano, Bell. civ., 1.23).
Nella sua lungimiranza aveva ben chiara la
necessità di allargare la base sociale dello stato
romano, ma i tempi non erano ancora pronti: si
scontrò non solo contro l’opposizione dell’aristo-
crazia senatoria ed equestre – consapevole che il
gran numero di nuovi elettori avrebbe prodotto un

122

delitti 17_fede 122 11/11/20 11:19


L e vittime

pesante sconvolgimento del sistema politico –, ma


anche contro l’ostilità del popolo, che non voleva
dividere i propri privilegi con le popolazioni itali-
che. «Se darete ai Latini la cittadinanza, pensate
che in avvenire ci sarà ancora posto per voi nelle
assemblee, che potrete ancora partecipare ai gio-
chi e alle feste? Non capite che quelli là vi por-
teranno via tutto?», così diceva, per aumentare la
resistenza del popolo a dividere con altri i vantag-
gi della cittadinanza, il console Fannio Strabone,
lo stesso che Caio aveva portato al consolato e che
ora si era schierato contro di lui.
L’ironia del destino vorrà che, trent’anni più
tardi, a battersi appassionatamente fino alla morte
per la concessione della cittadinanza romana agli
Italici e ai Latini sarà proprio il figlio, omonimo,
di Marco Livio Druso: tribuno della plebe nel 91,
fu assassinato durante i tumulti che seguirono alla
sua proposta di legge e la sua morte sarà la scin-
tilla che darà inizio alla guerra sociale. La rivolta
degli Italici durò tre anni, comportò spargimenti
di sangue da entrambe le parti e mise in pericolo
le sorti della stessa Roma, per sfociare infine nel-
la tanto agognata concessione della cittadinanza.

123

delitti 17_fede 123 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

L a fondazione della colonia iunonia

L’ultimo errore di Caio fu la fondazione di una


colonia (colonia Iunonia) sul terreno ove sorgeva
Cartagine, che era stata rasa al suolo da Scipione
Emiliano nel 146, durante la campagna alla quale
aveva partecipato anche Tiberio Gracco.
Questa proposta era eccezionale sotto vari punti
di vista: innanzitutto, era la prima volta che si pro-
poneva di fondare una colonia oltremare, nel terri-
torio provinciale che era sempre stato monopolio
del senato; inoltre, il numero dei coloni da inviare
era molto elevato ed essi provenivano da tutta Ita-
lia e non solo da Roma; infine, molto vasti erano i
lotti assegnati a ciascun colono.
Caio Gracco e il suo collega Fulvio Flacco erano
stati scelti come fondatori, anche per allontanar-
li momentaneamente da Roma e allentare così la
pressione popolare sul senato. Essi disegnarono il
tracciato urbano della colonia nel sito dove un tem-
po sorgeva Cartagine, senza darsi cura del fatto che
quel terreno fosse stato sconsacrato e destinato per
sempre a pascolo di bestiame.
L’opposizione senatoria giocò allora la carta del-

124

delitti 17_fede 124 11/11/20 11:19


L e vittime

la superstizione, che ancora impressionava molto il


popolo ignorante: dal momento che Cartagine era
stata la più pericolosa nemica di Roma e il terreno
su cui sorgeva era stato maledetto e cosparso di
sale perché fosse per sempre sterile, l’idea di rico-
struire la città venne considerata sacrilega.
Non a caso di lì a poco comparvero molti presagi
di malaugurio: durante la cerimonia inaugurale la
prima insegna della colonia venne strappata di ma-
no all’alfiere e spezzata da un’improvvisa folata di
vento; anche le viscere degli animali poste sull’al-
tare per trarre gli auspici furono disperse oltre i
confini della colonia dalla furia del vento; infine,
alcuni lupi sradicarono addirittura le pietre di con-
fine della colonia.
Quando Caio rientrò nell’Urbe trovò un clima a lui
molto sfavorevole e scoprì che alcuni dei suoi princi-
pali seguaci avevano cambiato schieramento, come
Papirio Carbone e il console Fannio; cercò dunque di
accattivarsi nuovamente il favore sociale trasferendo
la propria abitazione nel quartiere popolare vicino al
Foro e proponendo altre leggi a favore della plebe.
Si candidò per la terza volta al tribunato della
plebe nel 121, ma non venne eletto.

125

delitti 17_fede 125 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

A quel punto i tempi erano maturi perché la


classe dominante riprendesse in mano le redini
della repubblica procedendo all’eliminazione vio-
lenta di Caio e dei suoi seguaci.
Il movimento popolare venne soffocato nel san-
gue, perché non aveva ancora né una propria co-
scienza politica né la forza militare per fronteggiare
l’unione dei nobili e dei ricchi possidenti, appog-
giati dalle clientele e da tutto l’apparato statale.

Gli eventi successivi alla morte di Caio Gracco

Neppure dopo i tragici eventi del 121 il senato


ebbe il coraggio di abolire immediatamente la ri-
forma agraria dei graccani; la commissione trium-
virale, integrata con esponenti degli interessi
dell’aristocrazia latifondista (Caio Sulpicio Galba
e Lucio Calpurnio Bestia), proseguì la distribu-
zione di ager publicus in piccoli lotti ai nullate-
nenti romani.
Ben presto, tuttavia, la riforma agraria cominciò
a essere smantellata: prima fu emanata una legge
che abolì il vincolo di inalienabilità gravante sui
fondi assegnati dai triumviri, in modo che i nuovi

126

delitti 17_fede 126 11/11/20 11:19


L e vittime

piccoli contadini in difficoltà potessero tranquilla-


mente vendere le terre ai ricchi latifondisti.
La successiva lex Thoria pose fine alle distribu-
zioni di lotti: la terra in eccedenza sarebbe rima-
sta a coloro che la possedevano e in cambio essi
avrebbero pagato un’imposta da distribuire tra il
popolo. Infine, nel 111 un’ulteriore legge eliminò
anche il pagamento di questo tributo e consolidò
il regime privato dell’ager publicus permettendo la
ripresa dell’illimitato espandersi dei latifondi.
Venendo a mancare i bacini di reclutamento, era
sempre più difficile trovare nuovi soldati, malgra-
do il patrimonio richiesto per far parte dell’ultima
classe dell’ordinamento centuriato (in origine di
almeno 11.000 assi) fosse stato abbassato nel cor-
so degli anni fino a cifre irrisorie, per permettere
la coscrizione di sempre più cittadini, e malgrado
lo Stato fornisse ormai anche gli armamenti, dopo
l’apposita legge fatta approvare da Caio Gracco.
Caio Mario, console nel 107, per combattere la
guerra giugurtina (112-105) decise di arruolare
a pagamento chiunque si presentasse, compresi
dunque anche i capite censi, cioè coloro che non
avevano reddito, per i quali la carriera militare co-

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delitti 17_fede 127 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

minciò a rappresentare la possibilità di una vita


dignitosa e di un futuro migliore. Tramontava così
l’ideale del contadino-soldato e iniziava l’epopea
dei grandi eserciti di mercenari legati per la vita ai
propri generali.
Così, dopo un secolo di guerre civili, nella nuova
era, a sostegno dello stato romano – che non sarà
più una repubblica, ma una «monarchia che non si
chiama monarchia», come dice Appiano – non ci
saranno più i contadini-soldati per cui si erano bat-
tuti i Gracchi, bensì dei soldati di mestiere pronti a
morire per il loro imperator; la professionalizzazio-
ne delle forze armate diede un immenso potere ai
generali, che divennero i veri signori della guerra
e dell’impero.

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I COLPEVOLI

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delitti 17_fede 130 11/11/20 11:19
Tiberio e Publio Cornelio Scipione Nasica
Serapione

Le fonti non sono concordi nell’indicare chi abbia


materialmente ucciso Tiberio.
Scipione Nasica si vantava di averlo soppresso
di propria mano: macchiato del miserevole sangue
di un uomo nobilissimo, si guardava intorno come
se avesse compiuto una gloriosa impresa, e porge-
va lieto la mano scellerata a coloro che si rallegra-
vano con lui (Rhetorica ad Herennium, 4.55).
Secondo Plutarco, invece, il primo colpo sarebbe
stato sferrato, con un frammento di sedia, dal col-

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I G R AC C H I

lega di tribunato Publio Satureio, che lo avrebbe


percosso violentemente alla testa; un certo Lucio
Rufo andava fiero di averlo bastonato per secondo.
In ogni caso, si può sicuramente individuare il
principale responsabile della sua uccisione nel
pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasi-
ca Serapione, che prese l’iniziativa del massacro,
malgrado l’opposizione del console e grande giu-
rista Publio Mucio Scevola, il quale si era rifiutato
di avallare l’uso della violenza e di mettere a morte
un cittadino romano che non fosse stato condanna-
to in un regolare processo.
Valente oratore, aveva salito tutti i gradini del
cursus honorum, pontefice massimo a partire dal
141 a.C., console nel 138 a.C., Publio Cornelio
Scipione Nasica, per natura e per educazione era
avverso al demagogismo. Nella sua intransigente
lotta al populismo dei tribuni della plebe aveva
negato loro la tradizionale facoltà di esimere dal
servizio militare dieci cittadini per ciascuno, la-
sciandosi per ciò anche trascinare in carcere; per
vendicarsi di tale gesto un tribuno gli aveva ap-
pioppato il soprannome di Serapione, per la sua so-
miglianza con lo schiavo di un mercante di maiali.

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delitti 17_fede 132 11/11/20 11:19


I colpevoli

Scipione Nasica era stato da subito contrario


alla legge agraria fatta approvare da Tiberio, del
quale era peraltro cugino per parte di madre: era
riuscito a far assegnare un’indennità irrisoria ai
triumviri incaricati della sua esecuzione e aveva
fatto fallire la proposta di utilizzare a quello scopo
le ricchezze che il re Attalo III aveva lasciato in
eredità ai Romani.
Secondo Plutarco la sua profonda ostilità nei
confronti di Tiberio era determinata da interessi
personali, in quanto egli era possessore di grandi
appezzamenti di ager publicus; anche se ciò non
dovesse corrispondere a verità, è certo che egli si
era fatto promotore di un movimento a difesa dei
privilegi di un gruppo di ricchi possessori terrieri.
Come abbiamo visto, quando Tiberio Gracco
cercò di farsi rieleggere tribuno, Scipione Nasica
chiese al senato che lo dichiarasse nemico dello
Stato perché ne sovvertiva le consuetudini e, di
fronte al rifiuto di Publio Mucio Scevola, si fece da
solo promotore dell’iniziativa di porre fine a quella
che riteneva una pericolosa violazione della legali-
tà costituzionale.
Malgrado l’azione di Scipione Nasica uscisse

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I G R AC C H I

chiaramente dai confini del lecito, essa venne in


seguito legittimata dall’oligarchia dominante, che
non prese alcun provvedimento contro i colpevoli
di quella strage.

L a toga sulla testa : un sacrificio rituale ?

Gli storici moderni hanno proposto vari tentativi di


inquadramento della vicenda all’interno delle sfere
del sacro e del giuridico.
Secondo alcuni, per cercare di legittimare l’i-
niziativa assunta a titolo privato, Scipione Nasi-
ca avrebbe approfittato del suo ruolo di pontifex
maximus, capo del supremo collegio religioso ro-
mano, cercando di far apparire il suo intervento
come l’offerta di Tiberio e dei suoi seguaci in sa-
crificio agli dei.
Tutte le fonti a nostra disposizione mostrano una
particolare attenzione per la posizione della toga del
pontefice massimo nel momento in cui chiama a rac-
colta i senatori che vogliano difendere la repubbli-
ca; in particolare, Plutarco e Appiano concordano
nell’affermare che in quel frangente Scipione Nasi-
ca si sarebbe portato un lembo della toga sulla testa.

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delitti 17_fede 134 11/11/20 11:19


I colpevoli

Appiano propone tre distinte spiegazioni di que-


sto gesto: forse con questo segno distintivo voleva
richiamare al proprio seguito un maggior numero
di persone, oppure pensava di crearsi una sorta di
elmo, simbolo di guerra per chiunque lo vedesse,
o ancora desiderava nascondersi dagli dei nel mo-
mento in cui compiva quell’azione.
Parecchi storici moderni interpretano, invece,
tale gesto come quello di un sacerdote che si appre-
sta a compiere un sacrificio e pensano che Nasica
volesse sottolineare il fatto che stava agendo pro-
prio nella sua qualità di pontefice massimo, colui
che, in quanto iudex atque arbiter rerum divinarum
humanarumque (giudice e arbitro delle questioni
divine e umane), si accingeva a eseguire un sacri-
ficio rituale necessario per la salvezza dello Stato.

Tiberio era diventato un homo sacer?

Ipotesi suggestiva è quella avanzata da alcuni au-


tori, secondo la quale l’uccisione di Tiberio da par-
te di un privato cittadino poteva essere considerata
legittima perché il tribuno era caduto nello stato di
sacertà, era cioè diventato sacro agli dei che aveva

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delitti 17_fede 135 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

turbato con il proprio comportamento, incrinando


così la pax deorum, quel rapporto di armonia tra
uomini e dei che garantiva la prosperità della so-
cietà romana.
Vi erano almeno due valide ragioni per ritenere
che Tiberio fosse divenuto un homo sacer.
Da un lato, egli era ritenuto responsabile del cri-
mine di adfectatio regni, in quanto avrebbe cercato
di restaurare la monarchia attentando alla costitu-
zione repubblicana; la sanzione prevista per tale
gravissimo delitto sembra fosse proprio la caduta
in sacertà del colpevole.
D’altra parte, la deposizione del collega di tri-
bunato Ottavio poteva essere considerata una le-
sione della sacrosanctitas da cui era protetto ogni
tribuno, lesione che comportava violazione delle
antiche leges sacratae plebee e conseguente stato
di sacertà.
Chi diviene sacer appartiene alla divinità che
ha offeso, così come i templi o gli arredi per i riti
religiosi. Per questo motivo, l’homo sacer non può
essere oggetto di sacrificio: non può essere ritual-
mente offerto alla divinità, perché a essa già ap-
partiene. D’altronde, proprio perché si tratta di un

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delitti 17_fede 136 11/11/20 11:19


I colpevoli

bene entrato ormai nella sfera divina, neppure può


essere messo a morte da organi della civitas, che
altrimenti si sovrapporrebbero alla volontà divina.
Solo un privato cittadino si può fare interprete
ed esecutore della volontà divina e, quando questa
desideri la morte dell’homo sacer, può procedere a
realizzare tale desiderio. Questo dunque sarebbe
stato il ruolo svolto da Scipione Nasica, quello di
un privato che uccide la persona caduta in stato di
sacertà.

Gli apprezzamenti per l’operato di Scipione Nasica

Talvolta la comunità sottoponeva a processo l’uc-


cisore dell’homo sacer, per verificare che davvero
l’ucciso avesse tenuto il comportamento incrimina-
to; di questo genere potrebbe essere stata l’inchie-
sta cui fu sottoposto nel 132 Scipione Nasica per
iniziativa di Marco Fulvio Flacco insieme a Caio
Gracco.
Potrebbe essere proprio in tale contesto che
Publio Mucio Scevola riconobbe la legittimità
dell’operato del pontefice affermando che Scipione
Nasica aveva preso le armi iure optimo, cioè con

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delitti 17_fede 137 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

pieno diritto, in modo legittimo. Dunque, la stes-


sa persona che aveva consigliato Tiberio, seppur
in modo molto riservato, nella preparazione della
legge agraria e che si era rifiutata di sostenere uffi-
cialmente la violenza contro il tribuno, a posteriori
giudica costituzionalmente corretta l’iniziativa di
Scipione Nasica.
In altro contesto, Cicerone dice che Scevola
avrebbe addirittura esaltato l’operato di Nasica:
Tiberio attentava all’integrità dello Stato e dunque
avrebbe fatto bene il pontefice massimo Scipione
Nasica, in veste di privato cittadino, a ucciderlo.
Anche Scipione Emiliano, cugino e cognato di
Tiberio, quando la notizia della sua morte violenta
lo raggiunse a Numanzia, citò un verso di Omero
con il quale implicitamente la legittimava: «così
perisca chiunque commetta simili azioni».
Più tardi, nel 131, quando il tribuno Papirio
Carbone chiese a Scipione Emiliano cosa pensasse
dell’uccisione di Tiberio, rispose che, se davvero
Tiberio aveva intenzione di impadronirsi dello Sta-
to, allora era stato ucciso a buon diritto. La formu-
lazione della sua opinione ha tutti i tratti caratteri-
stici di un responso giuridico e anche l’espressione

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delitti 17_fede 138 11/11/20 11:19


I colpevoli

utilizzata in quell’occasione dall’Emiliano, iure


caesus, richiama un’antica formula presente nelle
dodici tavole, con la quale si ammetteva la legit-
tima difesa nei confronti del ladro notturno: l’uc-
cisione di Tiberio poteva, dunque, essere conside-
rata una sorta di legittima difesa della repubblica
contro un aggressore che aveva tentato di appro-
priarsi di nascosto di tutto il potere.
In sostanza, quando ormai gli animi si erano pa-
cati, Scipione Emiliano cercava di dare una giusti-
ficazione giuridica per ciò che era stato illegale per
la sua stessa natura e per i modi utilizzati.
In seguito il dictum Scipionis si trasformò in
un modello paradigmatico della lotta politica, ve-
nendo utilizzato, tra l’altro, anche da Cicerone e
da Svetonio per commentare l’uccisione di Giulio
Cesare.
In ogni caso, la giustificazione da parte del con-
sole Publio Mucio non bastò a conciliare a Scipio-
ne Nasica il favore popolare: quando passava per
strada molti lo insultavano e dicevano che era un
maledetto tiranno, che aveva contaminato con la
morte di un uomo inviolabile il luogo più santo e
venerabile della città.

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delitti 17_fede 139 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Sia per salvarlo dall’ira del popolo, sia per evi-


tare il rischio di una vera e propria incriminazione,
il senato inviò Scipione Nasica in Asia Minore, a
Pergamo, come membro di una commissione che
doveva regolare la questione dei beni lasciati dal
re Attalo III in eredità a Roma; non era mai acca-
duto prima che un pontefice massimo fosse inviato
lontano dall’Urbe per una missione.
Morì poco dopo, forse avvelenato da agenti del
partito graccano, proprio a Pergamo, dove è stato
ritrovato un frammento del suo epitaffio.
Come successore alla carica di pontefice massi-
mo venne nominato Publio Licinio Crasso Mucia-
no, vicino alla parte graccana, e dopo la sua morte,
nel 131, il fratello Publio Mucio Scevola.

I successivi provvedimenti contro


i seguaci di Tiberio

Ammettendo che una delle spiegazioni proposte


dagli storici possa davvero legittimare l’uccisione
di Tiberio, nessuna può scagionare il massacro
dei suoi sostenitori; tuttavia, non venne incrimi-
nato alcuno dei responsabili, anzi l’oligarchia al

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delitti 17_fede 140 11/11/20 11:19


I colpevoli

potere fece quadrato e perseguitò anche i graccani


sopravvissuti.
Per tutto il resto dell’anno 133, finché Publio
Mucio rimase al potere come console, malgrado le
molte discussioni sollevate dal sanguinoso episo-
dio, non venne promosso alcun processo contro i
seguaci di Tiberio.
L’anno successivo, invece, i nuovi consoli, Pu-
blio Popilio Lenate e Publio Rupilio, furono in-
vitati dal senato a perseguire i seguaci di Tiberio
Gracco con delle quaestiones extra ordinem, tribu-
nali straordinari che potevano condannare a morte
dei cittadini romani senza che vi fosse neppure un
preventivo voto del popolo, quindi senza rispetta-
re quella che i Romani sentivano come una delle
principali garanzie costituzionali, la provocatio ad
populum.
I due consoli del 132 non esercitarono però
una repressione a tappeto e non infierirono contro
i numerosi amici dei Gracchi che non si fossero
macchiati di violenze. A dire il vero, gli oligarchi
non potevano accusare alcun graccano di aver fat-
to ricorso alla violenza, dato che non vi era stato
alcun morto dalla parte dell’aristocrazia; i grac-

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I G R AC C H I

cani erano piuttosto accusati di aver seguito un


capo che aveva attentato all’ordinamento legittimo
dello Stato.
Molti furono esiliati e altri morirono in arresto;
tra questi l’oratore Diofane, che era stato tra i pre-
cettori dei due fratelli. L’altro maestro, il filosofo
Blossio di Cuma, riuscì a evitare l’incriminazio-
ne, probabilmente grazie alla sua abilità nell’ar-
gomentare replicando alle insistenti domande
postegli da Scipione Nasica. Egli si difendeva
affermando di aver agito per ordine di Tiberio; il
pontefice massimo allora gli chiese: «Se Tiberio
ti avesse ordinato di incendiare il Campidoglio,
lo avresti fatto?» ed egli rispose che, se Tiberio
avesse ordinato qualcosa del genere, allora sareb-
be stato giusto farlo, perché Tiberio non avrebbe
mai ordinato qualcosa che non fosse nell’interes-
se del popolo.
Infine, sembra che un seguace dei Gracchi di
nome Gaio Villio abbia subíto addirittura una
pena simile a quella riservata all’uccisore di un
parente stretto, in quanto Plutarco dice che venne
chiuso in un cesto insieme a serpi e vipere.

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delitti 17_fede 142 11/11/20 11:19


I colpevoli

Caio Gracco e il console Lucio Opimio

A differenza del fratello, Caio scelse spontane-


amente la morte, piuttosto che farsi uccidere dai
suoi nemici; tuttavia, anche in questo caso si può
individuare un principale responsabile della sua
morte: il console Lucio Opimio, che aveva con foga
cercato lo scontro con i graccani e che si era lan-
ciato alla testa degli aggressori, dopo aver ottenuto
dal senato l’emanazione dello stato di emergenza.
Opimio era stato pretore nel 125 e in quel ruo-
lo aveva guidato la feroce repressione della rivolta
scoppiata nella colonia di Fregelle, che venne rasa
al suolo. Si era candidato al consolato per il 122,
ma non era stato eletto, perché Caio aveva sostenu-
to con successo Fannio Strabone; aveva riproposto
la candidatura per il successivo anno 121 ottenen-
do finalmente l’elezione a console.
Dopo aver guidato l’attacco contro Caio e i suoi se-
guaci, fu capo della quaestio straordinaria che deci-
se di mettere a morte molti altri partigiani di Gracco.
Come abbiamo detto, dedicò anche un tempio
alla Concordia, che egli si vantava di avere in tal
modo ristabilita.

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delitti 17_fede 143 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Nel 120, tornato a essere privato cittadino,


venne citato in giudizio davanti al popolo dal tri-
buno Publio Decio, per aver incarcerato e ucciso
migliaia di cittadini senza un regolare processo,
ma venne assolto.
Nel 115 fu a capo di una commissione senatoria-
le che aveva l’incarico di dividere la Numidia tra
Giugurta e Aderbale; in quest’occasione si sarebbe
lasciato corrompere da Giugurta e perciò, nel 109,
fu condannato e morì in esilio a Durazzo, disonora-
to e odiato dal popolo.

Il senatusconsultum ultimum

Come abbiamo visto, la prima attività che Caio


aveva realizzato appena entrato in carica nel suo
primo anno da tribuno era stata quella di far ap-
provare una legge che tutelasse i cittadini romani
dalle uccisioni non autorizzate da un processo po-
polare: con ciò egli cercava non solo di vendicare il
fratello, ma anche di proteggere se stesso da futuri
atti di illegittima violenza.
Nel momento decisivo la reazione degli aristo-
cratici si pose però sul piano politico, più che su

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delitti 17_fede 144 11/11/20 11:19


I colpevoli

quello giuridico: infatti, quando la situazione si fe-


ce incandescente, il senato decise di adottare un
senatusconsultum ultimum, cioè un provvedimento
eccezionale che dichiarava lo stato di emergenza,
attribuendo di conseguenza ai consoli ampi poteri,
in modo che la res publica non subisse alcun danno
dall’imminente pericolo (Videant consules, ne quid
detrimenti res publica capiat: i consoli provvedano
affinché lo Stato non subisca alcun danno).
Non si era mai giunti a tanto e, come si diceva,
tale strumento aveva un valore più politico che giu-
ridico: il suo contenuto era estremamente generico,
tanto che non si precisavano in alcun modo le mo-
dalità dell’azione che i consoli avrebbero dovuto
tenere e nemmeno si specificava se il pericolo per
la res publica giungesse da aggressioni interne o
esterne. Dal punto di vista pratico, la conseguen-
za principale era che si dava ai supremi magistrati
una giustificazione per l’intervento armato contro i
graccani, conferendo ai consoli pieni poteri, com-
preso quello di uccidere senza processo tutti coloro
che rappresentassero, a opinione dei consoli stessi,
un pericolo per la repubblica.
In questo caso, Caio e i suoi seguaci non ave-

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delitti 17_fede 145 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

vano trasgredito alcuna legge, né violato tradizio-


ni consolidate, come aveva invece fatto Tiberio; si
presumeva soltanto che essi volessero instaurare
un regime tirannico e se ne rendeva perciò neces-
saria l’immediata eliminazione fisica, allo scopo di
tutelare la libertà di tutti.
In realtà, l’aristocrazia non era disposta a tolle-
rare che un uomo solo, facendo leva sul principio
di sovranità popolare, distruggesse la sua indiscus-
sa autorità.
Con il senatusconsultum ultimum gli autori del-
la sedizione venivano posti fuori dell’ordinamento,
come se fossero dei nemici dello Stato e perciò pri-
vi di ogni protezione legale; a questo punto qualun-
que azione violenta contro di loro era giustificata,
perché assunta per il bene comune.
La pretestuosità dell’accusa era abbastanza evi-
dente, dato che l’uccisione di Antillio era stata ac-
cidentale e non aveva certo costituito un pericolo
per la repubblica nel suo insieme.
Per di più, nel momento in cui il decreto fu
emanato, Caio non avrebbe certo potuto aspirare a
conquistare un potere personale, perché la sua po-
polarità era ormai scemata; in realtà, proprio per-

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delitti 17_fede 146 11/11/20 11:19


I colpevoli

ché ormai Caio era politicamente debole e privo


di appoggio, l’oligarchia poteva ora impunemente
colpirlo.
In definitiva, il senatusconsultum ultimum servi-
va a dare una parvenza di legalità alla repressione
violenta organizzata dall’oligarchia senatoria e a
evitare che i suoi promotori venissero in seguito
incriminati; esso sospendeva di fatto le garanzie
dei cittadini, in particolare il diritto di pretendere
un processo davanti al popolo prima di essere mes-
si a morte, diritto che proprio Caio Gracco aveva
recentemente ribadito.
Tutto l’ultimo secolo della repubblica fu attra-
versato dal dibattito relativo alla questione se il se-
nato avesse o meno il diritto di sospendere unilate-
ralmente i diritti dei cittadini e autorizzare azioni
illegali.
Anche se non venne mai specificamente rego-
lamentato, nel corso del I secolo a.C. si ricorse
spesso a questo potente strumento, per autorizza-
re azioni repressive oltre la legalità e per fornire
legittimazione retrospettiva a operazioni violente
contro cittadini romani; gli esempi sono famo-
sissimi, basti qui ricordare quello del 63 contro

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delitti 17_fede 147 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

Catilina e quello del 49 emanato contro Cesare,


provvedimento che lo spinse a varcare il Rubicone
e a muovere in armi contro Roma.
Ancora oggi è uno degli istituti che più accen-
dono le discussioni, non solo tra gli studiosi del
diritto e della storia di Roma, ma anche tra i fi-
losofi.

Il processo contro Lucio Opimio

Malgrado l’emanazione del senatusconsultum ul-


timum, non appena cessò dalla carica il console
Lucio Opimio venne chiamato a rispondere da-
vanti al popolo delle violenze perpetrate contro i
graccani: il tribuno Quinto Decio lo accusava di
aver violato le leggi sulla provocatio; il processo
si svolse dinnanzi ai comizi centuriati, la suprema
assemblea popolare.
La difesa, assunta dall’allora console Caio Pa-
pirio Carbone, che era stato in passato partigiano
di Caio, cercò di far leva sul provvedimento se-
natorio per giustificare il comportamento di Opi-
mio, ma questo argomento venne energicamente
respinto dall’accusatore.

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delitti 17_fede 148 11/11/20 11:19


I colpevoli

Infatti, il senatusconsultum ultimum non era altro


che un parere autorevole rivolto ai consoli affinché
si prendessero cura dello Stato in un momento di
difficoltà e non aveva il potere di aumentare i com-
piti istituzionali dei supremi magistrati, né tanto-
meno di sciogliere le loro azioni dai vincoli legali.
Opimio fu perciò costretto a dimostrare che il
proprio comportamento non era giuridicamente
attaccabile in quanto egli aveva agito per la sal-
vezza della repubblica: «Iure feci, salutis omnium
et conservandae reipublicae causa» («Quello che
ho fatto l’ho fatto legittimamente, per la salute di
tutti e per salvare la repubblica»).
Riuscì a convincere i giudici di aver agito per il
bene della res publica e venne assolto.
Questa assoluzione convalidò nell’opinione po-
polare l’idea che il decreto d’emergenza emanato
dal senato aveva protetto il magistrato dal rispon-
dere penalmente dell’uccisione di cittadini ro-
mani e fu utilizzata come importante precedente
per affrontare le analoghe controversie politiche
interne che si sarebbero presentate nei decenni
seguenti.

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delitti 17_fede 149 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

I veri colpevoli

In definitiva, da un punto di vista strettamente le-


gale l’uccisione dei due fratelli Gracchi rappresen-
tò senza dubbio un delitto, di cui fu responsabile il
ceto dirigente nel suo complesso.
Pur di conservare le loro prerogative minacciate
dai due tribuni, gli optimates non trovarono altra
soluzione che ricorrere alla violenza, uccidendo
senza processo dei cittadini romani e cercando
di far passare l’assassinio per un tirannicidio che
avrebbe ripristinato la concordia tra le parti sociali.
Anche se Tiberio e Caio non furono spinti all’at-
tività politica solo dal desiderio disinteressato di
riformare l’ordinamento giuridico ormai in crisi e
di certo giocò un ruolo importante l’ambizione per-
sonale, tuttavia, mossero i loro passi entro i confini
della legalità e non si servirono mai delle armi per
ottenere i propri scopi.
Pure la reazione successiva agli omicidi dei due
fratelli e dei loro seguaci seguì i binari del diritto:
contro Scipione Nasica e Lucio Opimio furono in-
tentati dei regolari processi e, anche se portarono
formalmente alla loro assoluzione grazie al soste-

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delitti 17_fede 150 11/11/20 11:19


I colpevoli

gno di tutta l’aristocrazia, l’opinione popolare li


considerò degli assassini.
Concludendo, i veri rivoluzionari non furono i
Gracchi, che anzi osservarono sempre un atteggia-
mento tradizionalista e legalista; fu piuttosto l’inte-
ra nobilitas a tenere un comportamento azzardato e
destabilizzante allo scopo di non perdere la propria
supremazia politica.

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delitti 17_fede 151 11/11/20 11:19


delitti 17_fede 152 11/11/20 11:19
PER APPROFONDIRE

Per conoscere meglio la storia dei Gracchi il consi-


glio è quello di far parlare direttamente le fonti, in
particolare il capitolo delle Vite parallele che Plutar-
co dedica al confronto tra i due fratelli e i re spar-
tani Agide e Cleomene, approfondendo in modo av-
vincente gli aspetti biografici dei protagonisti; molto
chiaro e interessante anche il racconto che ne traccia
Appiano nel suo Le guerre civili.
La letteratura critica sulle vicende dei due sfortu-
nati fratelli è sterminata; si segnalano le opere anco-
ra fondamentali di Plinio Fraccaro, Studi sull’età dei
Gracchi. La tradizione storica sulla rivoluzione grac-
cana, Lapi, Città di Castello 1914 (riedito da L’Erma

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delitti 17_fede 153 11/11/20 11:19


I G R AC C H I

di Breitschneider, Roma 1967); Jérôme Carcopino,


Autour des Gracques. Études critiques2, Les Belles
Lettres, Paris 1967 e Claude Nicolet, Les Gracques.
Crise agraire et révolution à Rome, Julliard, Paris 1967.
Importante è anche il contributo di G. De Sanctis,
Reazione e rivoluzione nell’età dei Gracchi, in Atene e
Roma, 2, 1921.
Per un primo approccio di semplice lettura, ma al-
lo stesso tempo completo e approfondito, si rinvia al
bel libro di Luciano Perelli, I Gracchi, Salerno Editri-
ce, Roma 1993. Tra le opere più recenti si segnalano
Mattia Balbo, I dodici anni che cambiarono Roma.
La vicenda dei Gracchi nella crisi della Repubblica,
Saecula, Zermeghedo (VI) 2018 e Natale Barca, I
Gracchi. Quando la politica finisce in tragedia, L’Er-
ma di Breitschneider, Roma 2019, nei quali è pre-
sente un ricco repertorio di strumenti per orientarsi
nella documentazione antica e nei principali dibattiti
moderni.
Per un approfondimento sugli aspetti giuridico-
istituzionali della storia della tarda repubblica, si
consiglia di leggere la lucida e profonda disamina
degli eventi proposta da Antonio Guarino nel libro
La coerenza di Publio Mucio, Jovene, Napoli 1981

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P er approfondire

(reperibile online), che ha come punto prospettico


privilegiato quello del grande giurista Publio Mucio
Scevola, coprotagonista del tragico finale della vita
di Tiberio. Suggestivo è l’inquadramento dell’ucci-
sione dei fratelli nello schema della sacertà propo-
sto da Roberto Fiori nel libro Homo sacer. Dinamica
politico-costituzionale di una sanzione giuridico-re-
ligiosa, Jovene, Napoli 1996; sul tema si vedano le
interessanti osservazioni di Luigi Garofalo contenute
nel volume Studi sulla sacertà, Cedam, Padova 2005,
anche per quanto riguarda il tema della sacrosancti-
tas dei tribuni.
Sul modello delle vite parallele di Plutarco, Ezio
Berti nel libro I colori della luna. Vite parallele di
Caio Sempronio Gracco e Robert Kennedy, Ibiskos
Editrice Risolo, Firenze 2002 e Francesco Di Pietro
nel volume Gracchi e Kennedy. Vite parallele, Mna-
mon, Milano 2013 hanno comparato le vicende delle
due coppie di fratelli nati da famiglie altolocate, af-
fascinanti, ambiziosi e idealisti e tutti morti giovani
violentemente, lasciando gli interpreti a discutere sul
valore delle loro azioni.
Tra la fine del 1700 e nel corso dell’Ottocento la
vicenda fu di ispirazione per molteplici opere lette-

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I G R AC C H I

rarie, a partire dalla tragedia scritta da Marie-Joseph


Chenier nel 1792, Caius Gracchus, apologia del fa-
moso tribuno, espressa in termini eloquenti, fino alla
retorica, e fitta di allusioni alle vicende contempora-
nee all’autore. Dieci anni più tardi Vincenzo Monti
mise in scena una tragedia omonima, Caio Gracco,
che rappresenta una revisione critica del personag-
gio storico e una testimonianza delle delusioni e delle
speranze della Repubblica Cisalpina. Nel 1912 Ro-
mualdo Pantini si ispirò al fratello maggiore per la sua
tumultuosa ed esuberante tragedia Tiberio Gracco.
Nel corso dell’Ottocento alcuni pittori hanno tratto
ispirazione dalla triste vicenda, ritraendo in partico-
lare il momento in cui Caio esce di casa e la moglie
cerca di trattenerlo (Caio Gracco trattenuto dalla mo-
glie Licinia dipinto da Attilio Rundaliernel nel 1828;
Caïus Gracchus, di Pierre-Nicolas Brisset del 1840)
oppure quello del suicidio di Caio (La morte di Caio
Gracco, per opera prima di Francois Topino-Lebrun
nel 1798 e poi di Félix Auvray nel 1830).
Minor attenzione ha dedicato alle storie dei tribuni
la quinta arte: si possono comunque ricordare il film
muto Caio Gracco Tribuno del 1911 e il Caio Gracco
del 1968 diretto da Piero Schivazappa.

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REFERENZE FOTOGRAFICHE

© Di VladoubidoOo - Opera propria, CC BY-SA 3.0,


https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, Trasferito da Wikimedia
Commons p. 63
© Di Félix Auvray (1800-1833), Trasferito da Wikimedia Commons, Pubblico
dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1395024 p. 66

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Finito di stampare nel mese di novembre 2020
a cura di RCS MediaGroup S.p.A.
presso Grafica Veneta, Trebaseleghe (PD)
Printed in Italy

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