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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI L’AQUILA

Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica,


Scienze della Vita e dell'Ambiente

Corso di Laurea in Scienze dell’Investigazione


(classe di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche - classe 34)

TESI DI LAUREA
IN

Devianze e tecnologie educative e di contrasto

La Banda della Magliana: da fenomeno criminale a fenomeno mediatico

Relatore: Correlatore:
Chiar.mo Prof. Chiar.ma Prof.ssa
Paolo Carretta Anna Maria Mancuso

Laureando:
Mariano Leonardo Giuseppe
(matricola: 182419)

Anno Accademico 2012/2013


INDICE

INTRODUZIONE …................................................................................................... 2

CAPITOLO I

LA BANDA DELLA MAGLIANA

1. La nascita ….................................................................................................... 4
1.1 La totale conquista del potere …............................................................. 11
1.2 Il coinvolgimento nell'omicidio Pecorelli ….......................................... 16
2. La successione …......................................................................................... 19
3. L'espansione …............................................................................................. 26
4. La caduta ...................................................................................................... 35
4.1 L'implicazione di De Pedis nel caso Orlandi …..................................... 37
4.2 I processi …............................................................................................ 41
4.3 Il pentimento di Abbatino ….................................................................. 47

CAPITOLO II

ROMA MALAVITOSA: TRENT'ANNI DOPO

1. Vivi e deceduti della Banda …...................................................................... 53


2. I nuovi boss …............................................................................................... 58

CAPITOLO III

ROMANZO CRIMINALE

1. Il libro, il film e la serie tv …........................................................................ 67


2. L'attrazione del rischio nei giovani …........................................................... 71
2.1 Il Mito di Romanzo Criminale …............................................................ 83
3. Intervista ad Alfredo Sicilia …...................................................................... 93

CONCLUSIONI …................................................................................................... 96

BIBLIOGRAFIA …............................................................................................ 99

2
Introduzione

La presente trattazione si propone di esaminare il fenomeno della Banda della


Magliana, gruppo criminale di Roma degli anni ’80, analizzandone i vari
aspetti, dalla nascita, passando per l’espansione che ha avuto sul territorio
romano, fino a raccontarne la caduta e l’eredità raccolta da due dei suoi ex
esponenti più marginali, che tutt’oggi controllano i propri traffici su Roma.
In questo lavoro si è voluto evidenziare l’importanza che questa banda ha
avuto nella storia della criminologia del nostro Paese. A tal fine è stato
necessario conoscere la storia personale dei singoli soggetti coinvolti,
analizzando il loro ruolo all’interno dell’organizzazione criminale.
Si sono descritte le caratteristiche fisiche e psicologiche dei vari protagonisti,
accennando alle varie personalità di spicco e sottolineando la crudeltà delle
loro azioni in considerazione del loro background socioculturale. La notorietà
di questa banda è esplosa nell’occasione della messa in onda di una serie
televisiva a lei dedicata, trenta anni dopo la sua nascita. Questo fenomeno
mediatico non è stato un caso isolato, infatti è stato realizzato successivamente
alla pubblicazione del libro “Romanzo Criminale” e del fumetto “La Banda
della Magliana, Cronaca a fumetti”, che si ispiravano alla storia di questo
gruppo criminale.
Questi successi narrativi e mediatici, sono stati oggetto di studio per capire
l’influenza che hanno avuto queste vicende sui giovani di oggi, tramite analisi
psicologiche e sociologiche.
Per completare questa analisi, sono stati riportati parti di testi sull’argomento
oltre a testimonianze dei diretti interessati, come ad esempio l'intervista ad
Alfredo Sicilia che non solo ha partecipato come attore alla serie televisiva
Romanzo Criminale, ma è anche figlio di uno dei protagonisti della Banda (Il
Vesuviano).

3
Dall’insieme dei dati raccolti si evince quale fosse il contesto in cui hanno
operato, quale fosse il loro modo di agire e cosa è rimasto ancora oggi della
banda sul territorio romano.

4
CAPITOLO I

LA BANDA DELLA MAGLIANA

1. La nascita

Verso la fine degli anni Settanta, una nuova generazione criminale si fa largo
tra le strade di Roma. Sono ragazzi di borgata, molto violenti e disposti a tutto.
Franco Giuseppucci detto Il Negro e Maurizio Abbatino conosciuto come
Crispino danno vita a quella organizzazione criminale che, da un giornalista
di cronaca nera, sarà denominata Banda della Magliana 1.
Franco Giuseppucci nasce il 3 marzo 1947 a Roma nel quartiere Trastevere.
Data l’attività di famiglia viene soprannominato Il Fornaretto. Frequenta una
sala corse ad Ostia e qui impara che i criminali godono di grande rispetto.
Nel 1976 Giuseppucci comincia a stringere amicizie con il mondo criminale e
si offre di custodire delle armi nella roulotte di sua proprietà al Gianicolo. Ma
il piano si rivela un fallimento, poiché la polizia scopre tutto
l'equipaggiamento nascosto e lo arresta.
A Regina Coeli viene denominato Il Negro per la sua carnagione scura,
soprannome che gli rimarrà per tutta la vita.

La permanenza in carcere dura poco poiché sarà rilasciato per insufficienza di


prove.
Il carcere non sopisce la sua tendenza alla criminalità e nel 1977 riprende a
custodire armi per conto di terzi. Questa volta però preferisce portarle sempre
con sé nascoste in un borsone all'interno della sua Volkswagen, fino al giorno
in cui il suo Maggiolone viene rubato. Le armi appartengono anche ad un suo
fidato amico nonché rapinatore e futuro elemento di spicco della Banda:
Enrico De Pedis detto Renatino.

1 La Magliana è il nome di una zona urbanistica al sud di Roma. Il suo nome deriva dal corso d'acqua
che vi scorre vicino. È stata costruita negli anni '60 sotto il livello del Tevere.
5
Le ricerche per rintracciare i responsabili del furto, portano Il Negro a un ladro
alle dipendenze di un giovane ed ambizioso criminale del quartiere Magliana:
Maurizio Abbatino detto Crispino, per via dei suoi capelli ricci. A quell'epoca
ha solo 23 anni ma è già un piccolo boss ed è famoso perché durante i colpi
non perde mai la testa ma rimane sempre freddo e lucido.
Giuseppucci conquistato dalla personalità di Abbatino ,invece di vendicarsi del
furto subito, sceglie di stringere un'alleanza con lui, il suo amico De Pedis e
quelli della Magliana per formare una batteria2.
L'intuito del Negro porta a proporre a Crispino di usare insieme quelle armi
per tentare un colpo che li possa arricchire davvero. Abbatino non ha dubbi e
accetta la proposta, nasce così la Banda della Magliana.
Ai tre, più avanti, si aggiungeranno altri compagni e fidati amici come
Marcello Colafigli detto Marcellone, Edoardo Toscano L'Operaietto, Claudio
Sicilia Il Vesuviano, Renzo Danesi ed altri ancora.
In quegli anni il sequestro di persona è una piaga che affligge la società
italiana infatti, solo nel 1977, ne vengono messi a segno più di cinquanta. È
con questa tipologia di crimine che Giuseppucci intende arricchirsi.
La vittima designata per il sequestro è il duca Massimiliano Grazioli Lante
della Rovere, facente parte di una famiglia il cui ceppo risale alla Roma dei
Papi. I possedimenti di questa famiglia rendono i Grazioli particolarmente
esposti ai rischi di un sequestro ma scelgono di condurre una vita normale,
senza scorta, tra la residenza di palazzo Grazioli e la tenuta di Settebagni.
Ad indicare al Negro il colpo della svolta è un amico di Giulio Grazioli, figlio
del duca, tale Enrico Mariotti. Quest'ultimo sembra un uomo per bene, è abile
nel camuffarsi negli ambienti che contano ma in realtà gestisce una sala corse
ad Ostia. Tra le sue losche amicizie c'è anche quella di Franco Giuseppucci,al
quale comunica tutti gli spostamenti del duca.
Il sequestro si compie la sera del 7 novembre 1977, quando due automobili
bloccano la Bmw del duca poco al di fuori della tenuta di Settebagni.

2 Nel gergo criminale, una struttura composta da un numero limitato di personaggi che si associano
per un delitto, dividono i proventi e poi si sciolgono per passare ad altre imprese.
6
«Al momento del sequestro a bordo della Fiat 131 rubata c'eravamo io, Emilio
Castelletti, Franco Giuseppucci e Marcello Colafigli. Sull'Alfetta c'erano
Renzo Danesi, Giovanni Piconi e Giorgio Paradisi», racconterà agli inquirenti,
15 anni dopo, Maurizio Abbatino3.
Giuseppucci affida intanto il duca a un gruppo di Montespaccato, in modo da
iniziare le trattative del riscatto.
Mariotti continua a interpretare la sua parte e consegna al figlio del duca un
apparecchio per registrare le telefonate dei rapitori. Ma è una trappola poiché
Mariotti stesso è il basista 4 del sequestro. Tramite questo pretesto tiene così
sotto controllo la famiglia e le mosse delle forze dell'ordine. La prima richiesta
da parte dei banditi è una cifra enorme, si tratta di dieci miliardi di lire ma le
trattative vanno avanti per mesi. La Banda non ha intenzione di arrendersi
anche quando i sospetti delle forze dell'ordine iniziano a ricadere su Enrico
Mariotti, il quale sentendo il fiato sul collo decide di sparire e rifugiarsi a
Londra.
Ora che la talpa non c'è più, Giuseppucci ha fretta di chiudere la trattativa e
riduce la somma del riscatto a un miliardo e mezzo di lire, minacciando Giulio
Grazioli, scelto per la consegna del denaro, di non fargli rivedere più il padre
se non avesse dato loro i soldi.
Il figlio del duca decide allora di mettersi in proprio senza l'aiuto della polizia
e così fa cambiare un assegno con la cifra richiesta dai banditi aspettando la
telefonata dei rapitori. Telefonata che arriva il 4 marzo 1978 e per Giulio
Grazioli comincia una vera e propria ricerca frenetica degli indizi lasciati dai
rapinatori per le periferie di Roma, evitando così che potesse essere seguito
dalle forze dell'ordine. Il figlio del nobiluomo arriva all'ultima tappa, ovvero
un parcheggio di fianco ad un cavalcavia sulla Roma-Civitavecchia e qui trova
la prova che aspettava prima di consegnare i soldi: la foto del padre vivo con
un quotidiano del giorno in mano. Avvicinatosi al ponte e sentendo da sotto

3 Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 25 novembre 1992. In particolare, A. Camuso, Mai ci fu


pietà: La vera storia della banda della Magliana dal 1977 ai giorni nostri, cit., p. 28.
4 Colui che organizza e acquisisce informazioni per la riuscita di un atto criminale, fornendo i dati agli
esecutori, senza che egli stesso partecipi all'azione criminosa.
7
la parola d'ordine, Giulio Grazioli lancia nel vuoto il borsone pieno di
banconote.
In un messaggio, i criminali si impegnano a restituire il sequestrato entro le
24-36 ore dopo la consegna dei soldi. Ma il duca Massimiliano Grazioli Lante
della Rovere non fa ritorno a casa e non tornerà più, ucciso per aver
riconosciuto uno dei rapitori. Il corpo non sarà mai ritrovato.

«L'ostaggio non venne mai rilasciato sebbene al momento del pagamento del
riscatto fosse ancora in vita. Il gruppo di Montespaccato ci informò del fatto
che aveva visto in faccia uno dei carcerieri, di tal che ci fu detto che non si
poteva fare a meno di ucciderlo. A questa decisione, la quale non fu nostra,
non ci opponemmo, in quanto l'individuazione dei complici poteva significare
anche la nostra individuazione»5.

Anche se l'esito finale non è quello che la Banda si aspetta, data la morte
dell'ostaggio, riescono comunque ad agguantare un miliardo e mezzo in
banconote da centomila lire, da dividere in due con la batteria di
Montespaccato e meno il 12% per trasformarli in franchi svizzeri puliti.
A questo punto, Franco Giuseppucci ha un'idea che cambia il panorama
criminale capitolino. Invece di dividere tutti i soldi tra i vari esponenti delle
batterie, se ne può prendere una parte e reinvestirla in altre attività criminali.
Infatti è sua la congettura di evitare la divisione a stecca para6.
La proposta viene accettata da Abbatino e la sua batteria della Magliana, così
come acconsente un altro gruppo del Tufello di cui fa parte Gianfranco Urbani
detto Il Pantera, che durante le sue detenzioni si è fatto molti amici tra i
calabresi della 'Ndrangheta e ci sta anche un altro gruppo che si muove tra le
nuove borgate tra Ostia e Acilia e di cui fa parte Nicolino Selis 7, che porterà in
5 Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 25 novembre 1992. In particolare, A. Camuso, Mai ci fu
pietà: La vera storia della Banda della Magliana dal 1977 ai giorni nostri, cit., p. 30.
6 Nel gergo criminale è la stessa quota di bottino che viene diviso per ogni membro della banda,
indipendentemente da quello che ha fatto.
7 È di Nicolino Selis la prima idea di creare una grande banda su Roma. Nel 1975 si trova all'interno
del carcere di Regina Coeli e confessa a un altro detenuto, tale Antonio Mancini, la volontà di mettere
in pratica ciò che Raffaele Cutolo stava compiendo a Napoli con la sua Nuova Camorra Organizzata.
8
dote alla banda i legami con la Camorra. Il modo più veloce per moltiplicare i
guadagni è il traffico di droga e così Giuseppucci tesse una rete fitta e
organizzata per controllare ogni quartiere e in breve diventa l'unico fornitore
della città. L'organizzazione del gruppo è scientifica e capillare, infatti Roma
viene suddivisa in zone di competenza. I quartieri Testaccio e Trastevere
vanno a De Pedis, Giuseppucci e Abbruciati, alla Magliana e al Trullo restano
Abbatino, Sicilia e Danesi, ad Acilia ed Ostia troviamo Selis, Mancini e
Toscano, più tutti gli altri componenti della banda.
Così Giuseppucci diventa il dominatore indiscusso di tutto il territorio romano
e le sue idee portano all'organizzazione malavitosa il controllo totale dello
spaccio di stupefacenti nella capitale. La droga arriva alla banda attraverso
vari canali: dalla Sicilia, dalla Calabria, dal Cile, direttamente dalla Cina e
anche dal carcere. Gianfranco Urbani tramite un detenuto, usato dai magistrati
come interprete negli interrogatori, prende contatto con gli spacciatori stranieri
che non sanno come gestire la droga che arriva mentre loro sono dietro le
sbarre.
La droga arriva a Roma, a gestire lo spaccio è Fulvio Lucioli detto Il Sorcio.
Tutti gli spacciatori sono obbligati a rifornirsi da loro, pena la morte. Questo
sistema è lo stesso usato contro i rivali in affari.

Qualcosa di tragico sconvolge l’Italia: Il 16 marzo del 1978, il presidente della


Democrazia Cristiana, Aldo Moro, viene rapito dalle Brigate Rosse.
La polizia è disposta a tutto anche a chiedere aiuto ai criminali. Secondo le
testimonianze di alcuni pentiti si rivolgono al boss della NCO 8 Raffaele
Cutolo, il quale a sua volta da l’incarico a Nicolino Selis suo basista a Roma.
Quest'ultimo coinvolge immediatamente Giuseppucci poiché sa che è l'unico
ad avere i contatti giusti e quindi a poter scoprire il covo in cui è nascosto
Moro.

Quindi una banda ben strutturata che potesse gestire tutte le attività criminose in autonomia. Patto che
poi verrà siglato con De Pedis, Abbatino e Giuseppucci.
8 Nuova Camorra Organizzata.
9
Singolare, in questo tragico avvenimento, è la storia di Antonio Chichiarelli
detto Tony, pittore che riproduce opere d'arte contemporanea e che lavora per
la Banda della Magliana, falsificando per loro soprattutto certificati e
documenti. Il 18 aprile 1978 viene ritrovato dalla polizia un comunicato delle
Brigate Rosse, il comunicato numero sette con il quale annuncia che il corpo
del presidente della DC si trova nel lago della Duchessa, in provincia di Rieti.
Quel comunicato è falso e lo ha scritto proprio Tony Chichiarelli, assassinato
in seguito il 28 settembre 1984 a colpi di pistola.

Oggi sembra certo che quel depistaggio gli fu ordinato dai servizi segreti per
cercare di smuovere la difficile situazione in cui si trovava il Paese.
La Banda intanto continua a muoversi per trovare il presidente Moro e
secondo la testimonianza di Maurizio Abbatino, viene anche fissato un
incontro con l'onorevole Flaminio Piccoli mandato da Raffaele Cutolo.
Tuttavia la collaborazione tra Giuseppucci e le più alte cariche dello Stato non
dà i frutti sperati poiché Moro viene ucciso il 9 maggio 1978 dalle BR.
Nel 1993 Cutolo, in un'intervista rilasciata in carcere, afferma che avrebbe
potuto salvare Moro (tenuto in ostaggio in un appartamento in via Montalcini),
dato che Nicolino Selis (uomo di sua fiducia e che in quel periodo abitava
vicino il palazzo in cui era sequestrato il politico) e Franco Giuseppucci
individuarono il covo delle Brigate Rosse. Dopo che Cutolo convocò il suo
avvocato Francesco Cangemi per trattare la liberazione di Moro con un
esponente della DC, il legale, nei giorni successivi, l'informò che non era
possibile percorrere questa strada. Cutolo, il boss camorrista, precisa che il suo
luogotenente, Vincenzo Casillo, gli fece pervenire un messaggio che precisava
di non interessarsi più alla vicenda Moro.9
Resta così un mistero del perché il presidente della DC sia stato abbandonato
alla sua sorte.

9 Cfr. F. Scottoni, Potevo salvare Moro, Articolo su La Repubblica, 12 dicembre 1993, Sezione
cronaca. Per approfondimento controllare su:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/12/12/potevo-salvare-moro.html
10
Il sequestro Moro permette a Giuseppucci di stringere un forte legame con
Nicolino Selis e i componenti della sua batteria di Acilia e Ostia, tra cui
Antonio Mancini detto l'Accattone, nato a Castiglione a Casauria il 4 febbraio
1948, il quale partecipa ai più efferati omicidi del gruppo.

11
1.1 La totale conquista del potere

Antonio Mancini entra dunque a far parte della più spietata compagnia di
fuoco della capitale, il gruppo di Giuseppucci che mira al racket delle
scommesse clandestine.
Il suo desiderio di grandezza deve fare i conti con Franco Nicolini, conosciuto
come Franchino Il Criminale (per la bassa statura e un carattere orrendo), che
gestisce gli ippodromi di Roma, con base a Tor di Valle, al confine con la
Magliana. Nicolini è un vecchio e acerrimo nemico di Mancini e Selis.
Proprio quest'ultimo schiaffeggiato da Nicolini durante una precedente
detenzione al carcere di Regina Coeli.

«Questo Franchino Il Criminale, durante la nostra detenzione […] faceva il


prepotente […] e una sera ebbe uno scontro con me e Selis. E noi ce lo siamo
legato al dito»10.

Nicolini, infatti, possiede una scuderia e riesce sempre a condizionare


l'andamento delle corse, incassando milioni di lire
Per conquistare allora il territorio di Franco Nicolini c'è solo un modo:
l'omicidio che è uno degli strumenti di cui si serve un gruppo criminale che
intende affermare il proprio dominio sul territorio.

Il battesimo di fuoco, la nascente Banda della Magliana, lo ottiene con


l'uccisione di Franco Nicolini, la sera del 25 luglio 1978, nel parcheggio
dell'ippodromo di Tor di Valle.
Circondato da un manipolo di uomini (Nicolino Selis, Marcello Colafigli,
Enzo Mastropietro, Edoardo Toscano, Maurizio Abbatino, Giovanni Piconi e
Renzo Danesi), Franchino viene sparato alla schiena. Chi determina la sua
morte è proprio Nicolino Selis.

10 History Channel, Intervista ad Antonio Mancini, Ex componente Banda della Magliana.


12
Anche l'ultimo fortino dei guadagni illeciti, l'ippodromo di Tor di Valle, è ora
in mano alla Banda della Magliana.
Gli inquirenti, però, archiviano l'omicidio di Nicolini come un banale
regolamento di conti nell'ambiente delle scommesse clandestine, continuando
a ignorare l'esistenza di un gruppo criminale organizzato.
Tra i malavitosi romani non si è mai vista tanta spietatezza e potenza di fuoco.
Per la prima volta si spara in mezzo alla gente, con una dinamica che ricorda
gli agguati di stampo mafioso.
Tanta ricchezza e potere rende i ragazzi di Giuseppucci sicuri e decisi nel
regolare i conti. L'omicidio colpisce chi non paga il pizzo, chi reagisce ai
soprusi e perfino chi si ritrova coinvolto in una banale lite da bar.
Per esempio, c'è un tale che si chiama Sergio Carrozzi che ha una boutique ad
Ostia. Ha la fama da duro, poiché ha precedenti penali e quando quelli della
Magliana gli chiedono il pizzo per il suo negozio, lui rifiuta e in più li
denuncia.
Un affronto che la Banda non digerisce. Il 29 agosto 1978 Carrozzi viene
ucciso da Edoardo Toscano, l'Operaietto, che gli spara tre colpi di pistola alla
nuca.
Un'altra vittima è Amleto Fabiani detto Il Voto, cioè vuoto, che è stato in
galera per sequestro di persona, furto e associazione a delinquere. Proprio in
carcere ha avuto un diverbio con Enrico De Pedis e fuori anche con
Marcellone Colafigli in un bar della Garbatella. Il 15 aprile 1980 quelli della
Magliana lo convocano per un lavoro (una rapina a un deposito degli autobus
della Magliana11) ma per vendetta Fabiani viene freddato con quattro colpi di
pistola.
Una settimana prima un'altra esecuzione che però nasconde qualcosa di
diverso. Il 9 aprile 1980 un tabaccaio di 26 anni, Teodoro Pugliese, entrato in
conflitto con Franco Giuseppucci perché di ostacolo nel traffico di
stupefacenti, viene ucciso al Prenestino, sparato alle spalle.

11 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La vera storia della Banda della Magliana dal 1977 ai giorni nostri,
cit., p. 164.
13
Questo omicidio segna un momento di unità operativa tra gli esponenti della
Banda della Magliana ed esponenti del terrorismo nero12.
Ad ammazzare il giovane tabaccaio, infatti, non è stato un componente della
banda romana ma, secondo le testimonianze di alcuni pentiti, un certo
Massimo Carminati, un giovane fascista facente parte dei Nuclei Armati
Rivoluzionari.
I NAR sono terroristi di estrema destra che negli anni Settanta mettono a ferro
e fuoco la capitale. Sono figli della Roma bene e tra i capi distinguiamo
Valerio e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro e Massimo Carminati.
Inoltre tra il 1977 e il 1981 i NAR uccidono 33 volte, per di più Valerio
Fioravanti e Francesca Mambro verranno condannati per la strage di
Bologna13.
Giuseppucci e Carminati si conoscono nel 1977, in uno dei bar controllati
dalla Banda e tra i due c'è subito una forte intesa e rispetto reciproco, tanto che
il rivoluzionario diventerà nel giro di poco tempo uomo fidato del Negro.
Carminati capisce allora che si può servire della Banda per raggiungere i suoi
fini politici, di eversione e di destabilizzazione.

I NAR si finanziano attraverso le rapine e Giuseppucci propone loro di


reinvestire i proventi dei loro colpi nell'usura. Il connubio viene sancito dalla
creazione di un'arsenale comune e in questo caso la realtà supera di gran lunga
la finzione. Come nascondiglio per le armi scelgono un palazzo governativo,
ovvero i sotterranei del Ministero della Sanità all'EUR.
Un altro elemento, attivo nell'area dell'eversione nera, comincia a prendere
contatti con la Banda: Aldo Semerari, medico legale, professore ordinario
dell'Università “La Sapienza”, direttore dell'Istituto di Psicopatologia forense,
perito, criminologo ed iscritto alla loggia P2. La sua idea è quella di
12 Terrorismo stragista. È un terrorismo indiscriminato che può essere considerato un'espressione
sintomatica dell'incapacità di dare vita a un progetto politico, di trasmettere un messaggio che vada
cioè al di là della diffusione del panico. Ciò consente di riferirlo, nella sua matrice ideologica e nelle
sue manifestazioni formali, ai movimenti della destra eversiva. Bobbio, Matteucci, Pasquino,
Dizionario di Politica, UTET.
13 Atto terroristico compiutosi il 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna. 85 i morti e oltre
200 i feriti. C. Lucarelli, Blu notte – La strage di Bologna.
14
organizzare gruppi para-militari, con l'idea di sovvertire l'ordine costituito.
Ai ragazzi della Magliana, il professore può fornire compiacenti perizie in sedi
giudiziarie e così viene sancita l'alleanza tra il criminologo e la Banda.
Il connubio con i NAR, però, ha un risvolto negativo per Giuseppucci che la
mattina del 23 gennaio 1980 viene arrestato ancora una volta ed accusato di
riciclare traveler's cheque14 rubati, frutto di una rapina di Massimo Carminati e
Valerio Fioravanti.
A fermare Giuseppucci è Mario Amato, sostituto procuratore di Roma, con le
sue indagini che si concentrano proprio sui NAR. Per risalire ai componenti
Amato inizia a indagare sulle rapine rivendicate dai giovani fascisti e dopo
vari riscontri per lui non ci sono dubbi: Giuseppucci è uno dei membri della
destra eversiva.

Amato ancora non sospetta invece di avere tra le mani il boss più violento
della mala romana: il capo della Banda della Magliana.
Ora il rischio per Giuseppucci e la sua Banda è altissimo, perché un giudice
incorruttibile può arrivare alla verità.
Sei mesi più tardi però le indagini che il giudice Amato conduce sul criminale
si interrompono nel sangue.
Il 23 giugno 1980, Mario Amato viene crudelmente ucciso in un agguato in
viale Ionio, a freddarlo sono due sicari dei NAR.
Per Giuseppucci questa è una notizia inattesa che per lui significa libertà.

Fuori dal carcere, Il Negro riallaccia subito le sue attività criminali,


dedicandosi soprattutto alle scommesse clandestine di Tor di Valle, ippodromo
ormai in mano alla Banda, da quando hanno ucciso Franchino Il Criminale,
del cui omicidio ancora non è stata fatta giustizia. Lo spirito di vendetta è forte
nei fratelli Proietti, chiamati Pesciaroli per il banco di pesce che gestiscono a
Monteverde (un quartiere tra la Magliana e Trastevere).
14 Assegni che permettono al turista di portare con sé la somma di denaro che desidera, rimborsabile
al 100%. Sono emessi solo da istituti di credito autorizzati. Per approfondimento controllare su:
http://comeviaggiareinformati.it/viaggiare-informati/traveller-cheque-a-che-cosa-servono/
15
La loro attività è in realtà una copertura per i traffici con la malavita e in
particolare con quelli stretti nel tempo con Franco Nicolini.

Il 13 settembre 1980, Franco Giuseppucci è a Trastevere, in piazza san


Cosimato. Appena entrato in auto arriva un ragazzo che gli spara un colpo di
pistola attraverso il finestrino, colpendolo ad un fianco. Nonostante lo sparo
ricevuto, il Negro riesce a mettere in moto e raggiungere l'ospedale Regina
Margherita. Sono le otto di sera e poco dopo è già in sala operatoria ma non ce
la farà.
Franco Giuseppucci, detto Il Negro, muore per mano di Fernando e Mario
Proietti, causa anche un debito di gioco non pagato.
È un colpo per la banda che subito grida vendetta.

«Dalla mattina alla sera era tutto un toccare palmo per palmo gli angoli di
Roma, alla ricerca di questi Proietti»15.

15 History Channel, Intervista ad Antonio Mancini, Ex componente Banda della Magliana.


16
1.2 Il coinvolgimento nell'omicidio Pecorelli

L'anno precedente la morte di Giuseppucci, un altro spaventoso omicidio


sconvolge l'opinione pubblica.
Carmine Pecorelli, conosciuto come Mino, viene assassinato a Roma in via
Orazio la sera del 20 marzo 1979 con quattro colpi di pistola.
Pecorelli nasce a Sessano del Molise in provincia di Isernia. Diventa avvocato
prima e giornalista poi fondando con il tempo una propria agenzia di stampa:
OP (Osservatore Politico), trasformata poi in una rivista giornalistica
settimanale, che diventa ben presto conosciuta ed ha anche una certa centralità
soprattutto nel settore politico, di intelligence e militare.
La rivista è specializzata in scandali politici tra i quali: il caso Moro, lo
scandalo Italcasse che getta discredito su Giulio Andreotti e il crack della Sir.
Data la sua natura, il settimanale è considerato un mezzo di ricatto per la
classe politica.
L'unica certezza è che il direttore di OP è legato ad alcuni corpi dello Stato per
i suoi scoop, in nome di Nicola Falde (colonnello del SID), Vito Miceli (capo
dei servizi segreti militari) e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a cui
passava informazioni importanti.
Il collegamento tra la morte del giornalista e la Banda della Magliana sta nei
proiettili che lo hanno freddato. Proiettili molto particolari, calibro 7,65 di
marca Gevelot, rari da trovare sul mercato e dello stesso tipo verranno poi
scovati dalle forze dell'ordine all'interno dell'arsenale che la Banda della
Magliana aveva, come abbiamo visto, negli scantinati del Ministero della
Sanità.
Durante il futuro processo emergerà un coinvolgimento della Banda e di
Massimo Carminati, il quale verrà imputato, insieme a Michelangelo La
Barbera per l'omicidio del giornalista nell'interesse di Giulio Andreotti, dato
che Mino Pecorelli stava per pubblicare materiale imbarazzante scritto da Aldo
Moro, ritrovato in un covo delle Brigate Rosse dal generale Carlo Alberto

17
Dalla Chiesa.

«Giuseppucci disse che tale richiesta era stata fatta da Pippo Calò, che era in
contatto con Danilo Abbruciati e lui. Aggiunse inoltre che Pecorelli era un
giornalista che aveva fatto troppe indagini e stava ricattando un personaggio
politico»16.

Ma chi ha ucciso davvero Carmine Pecorelli?


Vent'anni di indagine, si sono battute più strade, dalla destra eversiva, alla
loggia della P217 (a cui era anche iscritto il giornalista), alla mafia per volere di
Andreotti.
Il risultato è stata un'enigmatica costruzione storico-giudiziaria da parte dei
magistrati della procura di Perugia, dove Giulio Andreotti e gli altri imputati
come Claudio Vitale (magistrato e politico della corrente andreottiana),
Gaetano Badalamenti (criminale legato a Cosa Nostra), Giuseppe Pippo Calò
(il cassiere della mafia), Michelangelo La Barbera (uomo fidato del mafioso
Stefano Bontade) e Massimo Carminati (componente dei NAR e vicino alla
Banda della Magliana) saranno assolti tutti in primo grado nel settembre del
1999.
Nel novembre del 2002 invece vengono condannati a sorpresa, in appello, a
24 anni di reclusione il senatore Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti,
individuati come mandanti del delitto. Sentenza che viene completamente
ribaltata in Cassazione nell'ottobre 2003, assolvendo tutti gli imputati.

16 Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 23 settembre 1994. In particolare A. Camuso, Mai ci fu


pietà, La vera storia della banda della Magliana dal 1977 ai giorni nostri, cit., p. 141.
17 Loggia Propaganda Due di Licio Gelli, conosciuta meglio come P2. Una loggia massonica segreta
volta ad influenzare indebitamente le attività di governo tramite l'occupazione di posti chiave nelle
istituzioni e nei partiti di suoi uomini, cercando di sovvertire l'ordinamento democratico del Paese.
La Commissione parlamentare d'inchiesta Anselmi la denuncia come una vera e propria
organizzazione criminale ed eversiva, sciolta tramite la legge n. 17 del 25 gennaio 1982, “Norme di
attuazione dell'art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della
associazione denominata Loggia P2”, di cui all'art. 5: «L'associazione denominata “Loggia P2” è
disciolta. Il Ministero dell'Interno, sentito il Consiglio dei Ministri, provvede alle conseguenti misure,
inclusa la confisca dei beni». In merito, cfr. Gazz. Uff., 28 gennaio 1982, n. 27.
18
Possiamo affermare che in definitiva la morte di Pecorelli fa ancora parte di
tutti quei misteri italiani irrisolti, così come non è risolta la provenienza
dell'arma del delitto anche se nel covo del Ministero della Sanità, dove la
Banda custodiva le armi, fu ritrovata una Beretta compatibile con i proiettili
Gevelot, tuttavia mai identificata perché tutte le armi dell'arsenale risulteranno
inspiegabilmente manomesse prima che fosse eseguita qualsiasi perizia
balistica.

19
2. La successione

Tornando al 1980, precisamente alla morte di Franco Giuseppucci, gli uomini


della Magliana sono pronti a vendicarlo e a guidarli adesso è Maurizio
Abbatino detto Crispino, un ragazzo cresciuto per strade della Magliana
vecchia. Fin da giovanissimo ha la passione per le auto da corsa e ha un
talento eccezionale per i motori, ma per uno come lui c'è solo un mezzo per
ottenere ciò che desidera: rubare. Proprio con un furto d'auto, nel 1976,
quando ha appena 23 anni conosce Franco Giuseppucci.
Con gli anni diventa un boss spietato. Viaggia su auto di lusso e ha un gran
potere ma per dimostrare di avere il carisma di un capo deve vendicare
l'omicidio di Giuseppucci.
Le indagini della polizia però sembrano essere più efficaci delle voci di
quartiere che in passato avevano dato un vantaggio alla Banda. Le forze
dell'ordine sono già sulle tracce dei killer di Giuseppucci e la notte stessa
vengono arrestati due sospettati: i fratelli Fernando e Mario Proietti.
Il primo viene trattenuto in carcere dalla polizia mentre il secondo esce e fa
perdere le sue tracce. Per la Banda della Magliana è aperta la caccia.

Da allora abbiamo in rapida successione una serie di omicidi che segnano gli
anni tra ottobre del 1980 e il 1983.
Il primo tentativo scatta appena sei giorni dopo la morte di Giuseppucci e nelle
mire della Banda finisce Enrico Proietti, Il Cane. La sua unica colpa è quella
di essere cugino dei sicari del Negro.
Abbatino e tre dei suoi commettono però un errore: uno scambio di persona.
Sul litorale romano sparano ad una vettura fuori da una villa ma le vittime
dell'agguato non c'entrano niente, sono solo due sfortunati passanti.
Un mese più tardi, il 27 ottobre 1980, la Banda ci riprova e sorprende Il Cane
vicino casa sua, gli sparano mentre è in compagnia di sua moglie, ma scampa
miracolosamente all'assalto rifugiandosi tra due automobili.

20
Lo sanno tutti che sono stati quelli della Magliana ma ancora una volta la
polizia ne ignora l'esistenza.
L'occasione per saldare il conto arriva due mesi più tardi, in una serata di
dicembre quando Mario Proietti viene avvistato a Ponte Milvio. Abbatino
questa volta non vuole sbagliare ma il perseguitato riesce ancora a mettersi in
fuga tra le raffiche di mitra sparate. È l’ennesimo errore.
Quella che tesse Abbatino è una rete fittissima ma i Pesciaroli sanno muoversi
anche attraverso le maglie più strette e un altro, ancora una volta, paga al posto
loro. La vittima è Orazio Benedetti, detto Orazietto, ucciso perché è un uomo
del clan dei Pesciaroli.

«Orazietto ha fatto una morte stupida perché dopo che era stato ucciso
Giuseppucci lui aveva brindato e gioito per la sua morte. Questa cosa è stata
riportata a noi e lo abbiamo aggiunto alla lista dei cattivi. L'incarico se lo
presero Edoardo Toscano e Renatino De Pedis. Edoardo quando è entrato nel
locale gli ha sparato due o tre colpi in testa e se n'è andato»18.

Con l'inizio del nuovo decennio l'Italia cambia pelle. Le violenze di piazza, la
lotta armata e il terrorismo degli anni Settanta stanno volgendo alla
conclusione. In aggiunta, il Parlamento italiano vota l'approvazione del
decreto sui pentiti19, un freno per le organizzazioni terroristiche.
Così il giro di vite delle forze dell'ordine può stringersi anche intorno a quelli
della Magliana, che, nella caccia ai Proietti, hanno lasciato dietro di loro
troppo sangue che rischia di condurre gli inquirenti sino ad essi.
Abbatino concede una tregua ai Pesciaroli, anche perché intanto lo preoccupa
una nuova e più subdola minaccia: Nicolino Selis, che trama per scalzare
Crispino dal comando.

18 History Channel, Intervista ad Antonio Mancini, ex componente Banda della Magliana.


19 Legge del 6 febbraio 1980 n. 15, Legge Cossiga. Conversione in legge, con modificazioni del d.l.
15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della
sicurezza pubblica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 7 febbraio 1980, n.
37.
21
Per capire come Selis sia riuscito a scalare i vertici della criminalità, bisogna
ritornare agli anni Sessanta, quando la sua famiglia decide di emigrare dalla
Sardegna. Ad Ostia i Selis tentano un futuro migliore. Negli anni '60 il lido di
Roma è un agglomerato di case adagiate sulle sponde del Tirreno, abitate
principalmente da pescatori e operai. Lontana dalla luci della capitale, Ostia
diventa porto franco per traffici di ogni tipo ed è qui che il giovane Nicolino
Selis capisce qual è la sua strada. A soli 14 anni ha già una pendenza per
detenzione e porto abusivo di armi. Da qui la sua ascesa criminale è
inarrestabile, fuori e dentro il carcere.

È nel manicomio di Aversa che Nicolino Selis conosce lo spietato boss della
Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, il quale guida un esercito di
cinquemila uomini reclutati nei lunghi anni di detenzione. Per il vecchio boss,
il giovane sardo diventa l'allievo prediletto.

Selis comincia così a coltivare il sogno di formare un'unica banda su Roma


simile alla NCO. Nel 1975, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli inizia il suo
reclutamento e il primo ad essere assoldato è il suo compagno di cella Antonio
Mancini l'Accattone che di seguito porterà un altro affiliato, ovvero Edoardo
Toscano, l'Operaietto, ex idraulico che ha trovato un'attività più redditizia nei
furti con scasso. I tre formano così un gruppo compatto, quello che in gergo i
romani definiscono batteria.

All'inizio del 1978 Nicolino Selis è di nuovo un uomo libero, disponibile a


riprendere possesso della sua zona e ampliare il suo giro d'affari.
Infatti è convinto di avere via libera per la conquista della capitale con
l'appoggio di Raffaele Cutolo e un gruppo di uomini di sua fiducia. Ma a
Roma esiste già un'organizzazione criminale, la Banda della Magliana, fondata
appena un anno prima da Giuseppucci, Abbatino e De Pedis.

22
Solo nell'estate del 1978 le strade del Sardo e dei giovani malavitosi romani si
incrociano per viaggiare insieme, alleanza sancita con l'omicidio di Franchino
Il Criminale.
Selis dimostra subito la sua spavalderia e nei mesi seguenti ordina ai
Maglianesi esecuzioni per suoi conti personali, come l'omicidio di Sergio
Carrozzi.

Dopo due anni, nel 1980, le strade di Roma si riempiono di polvere bianca 20 e
cadaveri e a controllare lo spaccio di sostanze stupefacenti sulla capitale è solo
la Banda della Magliana, con ogni boss che comanda la sua zona di pertinenza
e a tenere unite le fila dopo la morte del Negro, ci pensa Maurizio Abbatino.
Le indagini della polizia arrivano a incastrare solo qualche piccolo spacciatore
ma nessuno sospetta di un'unica tentacolare organizzazione che agisce su
Roma. Finché restano uniti, i Maglianesi non hanno nulla da temere.

In questo contesto Nicolino Selis la pensa diversamente. Nei primi anni '80
Abbatino e gli uomini della banda sono impegnati a dare la caccia ai Proietti
mentre Selis è di nuovo rinchiuso in carcere, luogo in cui è capace di stringere
affari meglio che altrove.
Incurante di cosa pensino gli altri, Selis si autoproclama capo assoluto della
Banda.
Chiuso nel manicomio criminale di Aversa, invia i suoi ordini su come gestire
gli affari all'esterno, quanto gli devono i suoi alleati e chi deve essere
eliminato.
Selis ha perso la ragione e si muove su un limite pericoloso. Come ultimo atto
tratta una partita di eroina tenendone due chili per sé e solo uno per gli altri.
Il tradimento va punito ma bisogna aspettare che Raffaele Cutolo sia fuori dai
giochi perché fino a quando la Camorra lo protegge, Nicolino Selis è
intoccabile.

20 Nel gergo criminale indica la cocaina, sostanza stupefacente.


23
Una resa dei conti che la storia consegna ad Abbatino il 23 novembre 1980.
Alle ore 19.30 di quella tragica sera, l'Irpinia è squarciata da una violentissima
scossa di terremoto. In novanta secondi un'intera regione cade in ginocchio.
Quasi tremila morti, più di ottomila feriti, 280.000 gli sfollati è il tragico finale
a cui andrà ad aggiungersi l'infame speculazione della Camorra.
Infatti i clan rivali sono pronti a darsi battaglia per vincere gli appalti della
ricostruzione, una faida che porterà nuovi morti, macerie e devastazione.
La Nuova Camorra Organizzata ne esce gravemente indebolita dato che molti
dei suoi affiliati vengono uccisi. Il carisma di Raffaele Cutolo, nel frattempo
trasferito nel carcere di massima sicurezza dell'Asinara, è fortemente in
discesa.
Ora il capo della banda campana non è più una minaccia per i ragazzi della
Magliana e Selis non è più al sicuro.
Il 3 febbraio 1981 per Maurizio Abbatino e i suoi arriva il momento di
chiudere i conti con Nicolino Selis. Il boss sardo è a piede libero grazie a un
favorevole permesso premio e viene convocato dalla banda alla fiera di Roma,
nel quartiere EUR, per chiarire i dissapori che si sono creati.
Selis prende le sue precauzioni facendosi scortare da suo cognato, Antonio
Leccese, pregiudicato di lungo corso.
Dopo l'incontro il Sardo viene accompagnato in una villa nei pressi di Ostia,
proprio nel territorio in cui più di ogni altro si sente al sicuro.
Ovviamente non può sospettare quale fatale destino si nasconda per lui in una
scatola di cioccolatini. Entrati in casa, in un attimo Abbatino estrae dalla
scatola la pistola e la punta alla tempia dell'ormai nemico.
Crispino non ha esitazioni e con un solo colpo uccide il rivale e dimostra ai
compagni il carisma e la forza di un capo.
Per evitare scomodi testimoni, la banda uccide anche Antonio Leccese che
durante l'omicidio del cognato si era allontanato per andare a firmare in
commissariato.

24
Nicolino Selis muore a 29 anni, ucciso come un cospiratore e trattato da
infame. Il suo corpo sepolto sotto l'argine del Tevere non verrà mai più
ritrovato.
Ora che Abbatino si è liberato del suo rivale, può riprendere la caccia ai
Pesciaroli.
Crispino sa però che la polizia lo sta cercando perché i sospetti per l'omicidio
di Leccese e la scomparsa di Nicolino Selis girano intorno a lui. Allora compie
uno dei gesti più eclatanti che potesse fare.
Il 2 marzo 1981 si presenta di sua spontanea volontà in questura e dichiara di
essere estraneo ai fatti, fornendo alibi e spiegazioni concrete per essere
lasciato libero e di fatti viene rilasciato.
Ora può riprendere la guerra con i Proietti e ha intenzione di farlo nella
maniera più spettacolare. Questa volta le sue braccia da fuoco saranno:
l'affidabile Antonio Mancini e Marcellone Colafigli, fedelissimo di
Giuseppucci.
Il 16 marzo 1981 Mario Proietti detto Palle d'Oro, sua moglie e i loro tre
bambini stanno camminando sul marciapiede di via Donna Olimpia, a
Monteverde e poco dietro di loro Maurizio il Pescetto e sua moglie. Nel
momento in cui tutta la famiglia sta entrando in un palazzo, Mancini e
Colafigli accelerano il passo, infilano i passamontagna e cominciano a sparare.
Maurizio cade morto subito dopo i primi colpi e vengono feriti anche il fratello
Mario e le rispettive consorti.
Proprio in quel momento passa un'auto della polizia e gli agenti vedono i due
aggressori che cominciano a sparare contro le forze dell'ordine, salgono le
scale, entrando infine in un appartamento. È l'unica via di fuga che resta a
Mancini e Colafigli. Da lì chiamano il bar di via Chiabrera 21, dove si trova il
resto del gruppo, per avvertirli che sono nei guai.

21 Bar in cui si ritrovavano i componenti della banda della Magliana.


25
Via di Donna Olimpia è invasa di lampeggianti di volanti e ambulanze e le
telecamere arrivate sul posto registrano un arresto spettacolare. È un film la
Banda della Magliana, un romanzo, quasi fossero sul set di un gangster movie.
La folla tenta il linciaggio dei due killer ma Marcello Colafigli cammina
incurante di quanto sta accadendo intorno a lui.

«Io mi sono consegnato per primo e ho tirato la pistola fuori dalla porta e mi
sono saltati addosso. Colafigli invece non voleva mollare la pistola e
gliel'hanno dovuta strappare dalle mani i poliziotti però continuava a chiedere
se Pescetto era morto, perché era un infame e aveva ammazzato Franco...» 22.

Il 30 giugno 1982 è la volta di Fernando Proietti, Il Pugile, appena uscito di


galera. Uno di quelli della Magliana lo vede mentre sta passando per viale
Marconi e corre al bar ad avvertire gli altri, che saltano subito sulle moto e
corrono sul posto. Edoardo Toscano punta l'obiettivo, gli si avvicina e gli
scarica addosso tutti i colpi della sua pistola.
La memoria di Franco Giuseppucci è stata così onorata e la caccia ai Proietti è
conclusa. Abbatino ha dimostrato sul campo di avere la tempra del capo,
eliminando il suo rivale Nicolino Selis e vendicando l'omicidio del Negro.
Il compito che ha adesso è quello di mantenere l'ordine all'interno della Banda
e mediare tra i diversi componenti che la compongono.

22 History Channel, Intervista ad Antonio Mancini, Ex componente banda della Magliana.


26
3. L'espansione

Agli inizi degli anni Ottanta la Banda della Magliana è diventata


un'organizzazione a tal punto ramificata che sfugge al controllo del suo stesso
capo, ovvero Abbatino. Il rischio in cui si può incorrere è quello di una nuova
faida sanguinaria poiché all'interno dei consociati si sta facendo largo una
nuova corrente, che presto diventerà un fiume in piena. È il gruppo del
quartiere di Testaccio, guidato da Enrico De Pedis e Danilo Abbruciati.
Soprattutto quest'ultimo è un “cane sciolto”, che negli ambienti della mala è
conosciuto con il nome di Camaleonte, per le sue frequentazioni in gioventù di
un'omonima gang criminale.
Abbruciati è un guerriero solitario sin da giovane, quando ancora ragazzino
infilava i guantoni da pugile. Ma la strada del pugilato è troppo stretta per un
ribelle come lui e allora preferisce unirsi a una piccola banda criminale per
scalare ben presto i vertici della malavita romana.
In seguito, ancora giovanissimo, Il Camaleonte, si lega a Jacques Berenguer e
al suo clan, il Clan dei Marsigliesi. Questi, a metà degli anni Settanta,
gestiscono ogni tipo di racket a Roma, come i sequestri, le rapine e lo
sfruttamento della prostituzione. Abbruciati sembra così lanciato verso una
promettente carriera criminale almeno fino al 1976, quando Berenguer viene
arrestato a New York mentre tenta di vendere droga a degli agenti di polizia.
Il temuto Clan dei Marsigliesi viene sgominato e Danilo Abbruciati, scampato
all'arresto, torna ai margini della criminalità capitolina, finché nel 1979 il suo
vecchio amico Franco Giuseppucci, lo convince ad associarsi alla nascente
Banda della Magliana.
Abbruciati però mantiene sempre una certa autonomia rispetto
all'organizzazione e infatti si serve spesso della Banda per i propri traffici
personali. Dal suo canto, agli uomini di Giuseppucci e Abbatino porta in dote
una lunga esperienza criminale e una giovane ed abile spacciatrice come la
compagna Fabiola Moretti.

27
Agli inizi del 1980, il tempestoso Abbruciati controlla il traffico di
stupefacenti nella zona di Testaccio, un quartiere di Roma adagiato sulle
sponde del Tevere.
Alla fine degli anni Settanta, Testaccio è un quartiere popolare. Cresciuto
all'ombra del “Monte dei cocci”, la più antica discarica romana, Testaccio è
popolata in gran parte da contadini e operai e la notte diventa territorio franco
per ogni genere di traffico.
A vegliare su questi traffici ci sono i boss De Pedis e Abbruciati e la droga che
riversano sulle strade del loro quartiere proviene da organizzazioni mafiose di
tutto lo stivale, come l'eroina che arriva dalla cosca siciliana di Cosa Nostra.
Il principale fornitore della banda infatti è il boss Stefano Bondate, il quale
agisce sulla capitale attraverso il suo luogotenente Pippo Calò, conosciuto
come il cassiere della mafia. A lui spetta riciclare il denaro sporco in attività
lecite ed è sempre lui il tramite con la mafia dei colletti bianchi 23.

Gli affari tra il gruppo romano e Cosa Nostra proseguono indisturbati fino al
1981, quando il 23 aprile a Palermo viene ucciso Stefano Bondate, vittima
della seconda sanguinosa guerra di mafie che vede l'ascesa dello spietatissimo
Totò Riina.
Quella che si consuma in Sicilia è una vera e propria carneficina, infatti a
centinaia cadono sotto i colpi dei corleonesi. Ma è anche un duro attacco allo
Stato, che trova il suo apice nell'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, inviato come prefetto a Palermo per contrastare la mafia.
Intanto Pippo Calò, uomo dell'ormai trapassato Stefano Bondate, si allea ai
corleonesi e ha salva la vita.

23 In merito la criminalità dei colletti bianchi, F. Sidoti, Criminologia e Investigazione, Giuffrè


Editore, cit., p. 115: «Sutherland coglie innanzi tutto la rete sociale che permette e promuove il
singolo evento criminale. Ad esempio: Il ladro viene assistito da persone e agenzie che sono
considerate legittime, talvolta persino i protettori ufficiali della società legittima. In tali persone e
organizzazioni egli spesso riscontra atteggiamenti di controllo predatorio […] Il ladro professionale e
l'uomo politico cooperano quindi con reciproco vantaggio. Ciò significa anche cooperazione con la
polizia e con i giudici...».
28
A questo punto si arriva a un momento decisamente particolare per quanto
riguarda i ragazzi del bar di via Chiabrera, perché la Banda della Magliana si
divide in due gruppi. Quello della Magliana, guidato da Abbatino, che resta
ancorato allo spaccio di stupefacenti e il gruppo di Testaccio, di De Pedis e
Abbruciati, i quali saldano l'alleanza con Calò ed entrano in affari molto più
redditizi, con Il Camaleonte che si riesce perfettamente a mimetizzare negli
ambienti che contano e ad intraprendere una scalata inarrestabile.
Tra le sue nuove amicizie, infatti, si contano faccendieri, palazzinari e
criminali doppio-petto. Come Domenico Balducci, detto Memmo, usuraio già
in affari con Pippo Calò.
Balducci ha un negozio di elettrodomestici a Campo de' Fiori, piazza nel cuore
della capitale ed un eloquente cartello è appeso fuori dal suo negozio, che così
recita: «Qui si vendono soldi». Il titolare è quello che in gergo i romani
chiamano cravattaro, ovvero uno strozzino. L'usura e gli affari con la mala dei
colletti bianchi lo hanno arricchito e i soldi gli hanno dato alla testa. È così che
Memmo Balducci commette un errore imperdonabile, quello di trattenere per
sé una quota di denaro da un versamento di Pippo Calò, un gesto che il
mafioso siciliano non gradisce affatto.
È la sera del 16 ottobre 1981 e Balducci mentre rientra a casa viene ucciso da
tre uomini con cinque colpi di pistola.
Secondo i vari pentiti, i sicari di Balducci sono Danilo Abbruciati e il suo
fedele compagno Enrico De Pedis.
Di questo omicidio, i ragazzi di Abbatino erano invece all'oscuro di tutto.

Danilo Abbruciati così ha siglato con il sangue di Domenico Balducci la


preziosa alleanza con il cassiere della mafia. Ormai le sue mire sono altre,
oltre il confine romano e al di là dell'orizzonte che lo lega a quelli della
Magliana, cosa che ad Abbatino e soci non piace affatto.

29
Cominciano ad esserci sospetti, odio e rancore perché i Testaccini stanno
prendendo una strada che non è quella che tutti insieme avevano deciso
dovesse essere per la loro organizzazione e chiaramente questa tendenza alla
frantumazione rappresenta l'inizio di una guerra all'interno dell'intera Banda.
Quella che fino a poco tempo prima era un'organizzazione compatta e solida,
si piega ai desideri dei singoli gruppi, che ora si studiano con reciproco
sospetto, con Abbatino che non resterà a lungo a guardare indifferente gli
affari dei suoi ex compagni, aspettando il momento giusto per la resa dei conti.
A intralciare i piani di Crispino è però un'imprevista indagine di polizia.
Il 27 novembre 1981, gli agenti della Digos fanno irruzione al Ministero della
Sanità, nel cui sottoscala, la Banda della Magliana, ha nascosto il proprio
arsenale. È un duro colpo e intanto il custode, Biagio Alesse, viene arrestato.
Vengono individuati come suoi complici Marcello Colafigli, già in carcere dal
16 di maggio e Maurizio Abbatino, arrestato il 14 ottobre con in tasca una
pistola proveniente dall'arsenale che custodiva Alesse.

Gli inquirenti, più avanti, comprenderanno che in questo deposito si servivano


numerose organizzazioni. Infatti la Magliana presta armi a tutti, alla Camorra,
ai NAR, alla mafia e al gruppo di Calò, per cui la sua scoperta diventa
estremamente importante per le forze dell'ordine, anche in relazione ai misteri
legati agli anni di piombo.
Accusati da Biagio Alesse, Maurizio Abbatino e i suoi uomini vengono
arrestati e devono rispondere di quell'arsenale. Ma ancora una volta la Banda
aggira la giustizia perché proprio Alesse, dopo pochi giorni, ritratta le sue
dichiarazioni e scagiona i ragazzi della Magliana, individuando come
depositari solo chi è già in carcere, come Marcello Colafigli.
Maurizio Abbatino ha i suoi metodi per tenersi lontano dalla prigione, infatti
con i ragazzi della Banda ha messo a punto negli anni una rete di corruzione e
clientele che lo tiene al sicuro da ogni arresto improvviso.
Per i ragazzi della Magliana c'è solo una regola: restare in carcere il meno

30
possibile e viverlo da padroni.
È l'inizio del 1982, Abbatino è di nuovo fuori, libero di regolare il conto
aperto con il Camaleonte, un tempo alleato e ora rivale. Tra i due è in atto una
guerra fredda, Testaccini e Maglianesi devono dimostrare la loro egemonia al
resto della malavita romana e continuano a farlo con i soliti metodi.
Il 18 gennaio 1982 viene ritrovato, in un cantiere edile sulla via Ostiense, un
cadavere carbonizzato. Il corpo appartiene al trentunenne Massimo Barbieri,
un vecchio conto da saldare per Danilo Abbruciati.
Un mese dopo, Crispino ordina l'esecuzione di Claudio Vannicola, detto la
Scimmia, uno spacciatore che non vuole rifornirsi dalla Banda della Magliana
giudicandola finita. È un pessimo errore di valutazione che viene regolato il 23
febbraio 1982, quando Vannicola viene ucciso dai pallettoni di un fucile a
canne mozze all'interno di una sala giochi.
Massimo Barbieri e Claudio Vannicola sono omicidi commessi per punire chi
si era messo contro l’organizzazione.

Agli inizi degli anni Ottanta, un altro scandalo senza precedenti scuote le
coscienze degli italiani. A Castiglion Fiboccho, in una villa in provincia di
Arezzo, la Guardia di Finanza trova un foglio di carta destinato a cambiare la
storia della Repubblica italiana. Un mistero rimasto chiuso per anni nella
cassaforte dell'imprenditore Licio Gelli.

Una lista di nomi altisonanti e importanti, tra cui si evidenziano ministri,


militari, giornalisti e imprenditori, tutti uniti sotto il nome della loggia
massonica P2, di cui Gelli è il capo.
Una loggia che rappresenta un recipiente maleodorante di interessi politici,
economici, finanziari e criminali, che ha come obiettivo quello di condizionare
in maniera occulta il potere costituito.

31
Inoltre dopo pochi giorni, Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano,
viene arrestato e processato. Nelle liste della P2 c'è anche il suo nome e
l'accusa è grave perché secondo gli inquirenti, Calvi con la sua banca avrebbe
appoggiato le attività economiche della loggia di Gelli.
Un groviglio di denaro riciclato ed interessi privati, nascosto in società
fantasma estere che coinvolge anche Cosa Nostra e istituti insospettabili come
lo IOR24.
È un mistero ancora fitto che consegnerà Roberto Calvi alla storia con il nome
Banchiere di Dio.
Di seguito, quello che è stato dimostrato, ovvero quello che la Corte d'Assise
ha accertato, è che Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano sono stati veicolo di
attività di riciclaggio immesso da soggetti appartenenti all'organizzazione
Cosa Nostra.

È un'ennesima triste storia italiana, di cui Danilo Abbruciati sarà protagonista


perché a coinvolgerlo è Pippo Calò, il quale ha molti interessi su Roma ma
uno in particolare sembra preoccuparlo più di tutti: recuperare le ingenti
somme che la mafia ha perso negli investimenti di Calvi. Quest'ultimo diventa,
ovviamente, non più affidabile perché si teme possa parlare e accusare i
soggetti coinvolti nelle attività illecite che egli stesso ha posto in essere con
altri personaggi. Quindi è una persona che deve essere punita.

Roberto Calvi viene rimesso in libertà provvisoria e riassume il controllo del


Banco Ambrosiano anche se la situazione continua ad essere disperata. Entra
così in contatto con l'uomo delle soluzioni, tal Flavio Carboni, un mediatore
amico di alti prelati e politici ma anche di Pippo Calò e Danilo Abbruciati.
Carboni, all'inizio degli anni Ottanta, si presenta come un finanziere d'assalto,
un faccendiere, un soggetto che è alla ricerca di denaro altrui da investire in
affari lucrosi e infatti, conquistando la fiducia di Calvi, lo convince a farsi
24 Istituto per le Opere di Religione, conosciuto come Banca Vaticana.
32
cedere un forte prestito dal Banco Ambrosiano e gli promette che con quella
somma di denaro lo potrà aiutare ad uscire da quel brutto contesto.
Ma su questo prestito Roberto Rosone, il vicepresidente della banca, non è
d'accordo.
Rosone è un uomo di saldi principi, entrato nel Banco da semplice impiegato
fino a diventarne vicepresidente. Capisce che Calvi è in serie difficoltà e
rischia di trascinare l'intero istituto in quel baratro e così critica apertamente
l'operazione. Secondo qualcuno Rosone merita di essere punito.
È a questo punto che le vicende del Banco Ambrosiano riguardano anche la
Banda della Magliana.
Infatti il 26 aprile 1982, Danilo Abbruciati è diretto a Milano per svolgere un
compito che lo porta lontano da Roma.
Il giorno seguente a Milano, in via Oldofredi, sono passate da poco le otto di
mattina quando Roberto Rosone esce dal suo appartamento per dirigersi in
ufficio. In quel momento gli si avvicina un uomo col volto coperto colpendolo
alle gambe. Il killer è Danilo Abbruciati che velocemente si allontana dal
luogo del tentato omicidio mentre ad attenderlo c'è un complice su una moto.
Il Camaleonte sembra aver compiuto la sua missione ma commette un errore
imperdonabile, quello di voltare le spalle alla sua vittima e alle sue guardie,
infatti una guardia giurata con tre spari della sua 357 Magnum lo strappa dalla
moto e lo sbatte a terra, uccidendolo sul colpo.

Danilo Abbruciati cade sconfitto nel suo ultimo decisivo combattimento e


sfuma per sempre il sogno di siglare l'alleanza con le più alte sfere del mondo
finanziario e dominare l'impero romano dall'alto.
Ma perché ci è andato proprio lui a ferire il vicepresidente del Banco
Ambrosiano? Allora ci sono davvero dei legami tra parte della Banda della
Magliana e gli affari di Roberto Calvi che coinvolgono la P2, il Vaticano e la
mafia e che porteranno all'omicidio del finanziere, trovato impiccato sotto il
ponte dei Frati Neri a Londra. È una domanda che si fanno in molti ma che

33
rimane, purtroppo, senza risposta.
Ancora una volta però Il Camaleonte ha agito senza informare il resto del
gruppo e per Maurizio Abbatino, i Testaccini si sono comportati di nuovo da
traditori.
Per Crispino non c'è più tempo per rimandare la resa dei conti con l'ormai
gruppo rivale, adesso guidati da Renatino De Pedis. Ma mentre le due bande si
preparano a uno scontro aperto, la polizia ormai è sulle loro tracce. Accecati
dall'ambizione e dalle lotte di potere, i ragazzi della Banda non si sono accorti
che i tanti omicidi compiuti hanno tracciato il sentiero che porterà le forze
dell'ordine fino ad essi. Così il cerchio della giustizia si stringe intorno alla
Banda della Magliana, anche se i potenti boss ancora non sanno di avere i
giorni contanti.

Il lavoro di magistrati e investigatori si avvicina pericolosamente agli uomini


della Magliana e la Banda rischia di essere sgominata in un sol colpo. Inoltre
la magistratura si rende conto di avere un'arma senza precedenti contro le
organizzazioni criminali: i collaboratori di giustizia.

Il 15 dicembre 1983 è il giorno dell'operazione “Lucioli”.


Duecentocinquanta agenti di polizia passano a setaccio la capitale,
concludendo 64 ordini di custodia cautelare che rinchiudono l'intera
organizzazione dietro le sbarre.
Da Abbatino a De Pedis, dai capi alle seconde linee ai fiancheggiatori. La
Banda ha subito un colpo durissimo senza quasi accorgersene. I capi di
imputazione sono tanti e dei più gravi: associazione a delinquere, sequestro di
persona, pluriomicidio e traffico di stupefacenti.
Anche se negli anni la Banda della Magliana ha sempre potuto contare su una
giustizia compiacente, grazie alle amicizie nei corridoi dei tribunali, questa
volta a tradirli è uno da loro : Fulvio Lucioli, detto Il Sorcio. Un uomo che
negli anni diventa un prezioso collaboratore di giustizia, il quale testimonierà

34
anche nel processo sulla strage di Bologna.
Per capire come la giustizia sia arrivata alla Banda, bisogna tornare a due mesi
prima, esattamente alla mattina del 15 ottobre 1983, perché in questa data
Fulvio Lucioli è a colloquio con un Pubblico Ministero e un commissario della
narcotici.
Il Sorcio comincia una confessione fiume parlando di estorsioni, sequestri di
persona, omicidi mai risolti e traccia le linee di un unico disegno criminale,
un'organizzazione che regna indisturbata su Roma grazie all'appoggio di
politici, mafiosi e uomini potenti.

«C'era poco da ridere perché la situazione era più che seria. Ho pensato che
era un brutto affare, perché già i capi d'accusa lasciavano presupporre che
sarebbe passato del tempo, molto tempo»25.

25 History Channel, Intervista a Renzo Danesi, Ex componente Banda della Magliana.


35
4. La caduta

Il boss che tiene ora le fila dell'organizzazione, l'unico che può salvare la
Banda o portarla a una fatale guerra intestina è il testaccino Enrico De Pedis.
Da lui, adesso, dipendono i destini di tutti i componenti della Magliana.
Fin da giovanissimi, i compagni di strada lo chiamano Renatino, perché
sempre attento al proprio look, curato ed elegante.

«De Pedis era a modo suo un megalomane, ma un megalomane bello […] Era
un principe Renato, d'animo e di modi. Io avevo tutto da imparare, era un
uomo ambizioso e chi gli stava vicino, se voleva, poteva migliorare a sua
volta»26.

Renatino ha poco più di vent'anni quando la sua strada si incrocia con i ragazzi
della Magliana. Per un giovane ambizioso criminale come lui, la banda di
Giuseppucci rappresenta l'occasione giusta per sottrarsi alla povertà e al
degrado della periferia.
In pochi anni diventa il boss di Testaccio e sotto il suo rigido controllo è
organizzato lo spaccio di droga nella zona. Ma non basta perché De Pedis
vuole sempre di più.
Per ottenere ciò che vuole, nei primi anni Ottanta, Renatino coltiva le amicizie
giuste per reinvestire il denaro sporco in attività lecite, come negozi, imprese
edili e locali. Diventa un bandito dal volto pulito, un imprenditore rampante.

In quel periodo, il motore della ripresa italiana è nelle idee di una nuova classe
politica e del suo uomo simbolo, il leader del PSI 27 Bettino Craxi. La sua
ascesa spezza il lungo corso del monopolio democristiano e introduce una
politica più mirata allo sviluppo finanziario del Paese. Tuttavia con il rovescio
della medaglia maturano le condizioni per lo sviluppo della mafia dei colletti
26 History Channel, Intervista a Fabiola Moretti, Ex componente Banda della Magliana ed ex
compagna di Danilo Abbruciati.
27 Partito Socialista Italiano.
36
bianchi e la convivenza tra imprenditori, politici e faccendieri diventa una
prassi comune.
L'abilità di De Pedis sta proprio nel cavalcare quest'onda e in poco tempo
riesce egli stesso a sedere al tavolo di finanzieri, politici e alti funzionari
ecclesiali. I rapporti con quest'ultimi probabilmente iniziano proprio dalle sue
varie detenzioni, che lo mettono in contatto con personaggi del mondo
ecclesiale. Ovviamente questi collegamenti con alcuni esponenti religiosi
appaiono del tutto sproporzionati al ruolo e alla figura pubblica di De Pedis,
che è pur sempre un pregiudicato o comunque un soggetto coinvolto in
vicende giudiziarie.
I rapporti tra Renatino e le alte sfere del Vaticano sono ancora oggi al centro
delle indagini degli inquirenti per questioni riguardanti la misteriosa
scomparsa di Emanuela Orlandi.

37
4.1 L'implicazione di De Pedis nel caso Orlandi

Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, 15 anni, figlia di un commesso della


Prefettura del Vaticano, scompare nel nulla. Le ricerche partono
immediatamente e si affacciano i primi testimoni, come un vigile urbano,
l'ultimo ad averla vista in vita, che ha notato Emanuela salire su una Bmw
scura in compagnia di un uomo.
La scomparsa della ragazza è un mistero talmente fitto da far dubitare anche di
ogni certezza. Ancora oggi, dopo anni di indagini, non è possibile conoscere
la verità.
Solo all'inizio del terzo millennio un nuovo indizio sembra riaprire il caso.
È il 2005 ed Enrico De Pedis è morto da quindici anni. Il programma
televisivo Chi l'ha visto? sta ripercorrendo la storia della scomparsa di
Emanuela Orlandi, quando ai centralini della redazione arriva una telefonata
anonima:

«Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso,


andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant'Apollinare e del
favore che Renatino fece al cardinal Poletti all'epoca...»28.

È qui che la storia di Enrico De Pedis si intreccia con quella di Emanuela


Orlandi.
La salma di Renatino, dopo un breve deposito nel cimitero del Verano, viene
tumulata all'interno della cripta della Basilica di Sant'Apollinare, tra le spoglie
di papi, cardinali e martiri.
Ci si chiede il perché De Pedis sia stato sepolto lì.

28 Contenuto della telefonata anonima arrivata alla redazione del programma televisivo Chi l'ha
visto? nel 2005. In seguito, l'autore della chiamata, sarà identificato in tal Giuseppe De Tomasi,
malavitoso romano vicino ai Testaccini e stretto collaboratore di Enrico De Pedis.
38
Il 6 marzo 1990 il Monsignor Vergari sostiene in una lettera quanto segue:
«Si attesta che il signor Enrico De Pedis […] è stato un grande benefattore dei
poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante
iniziative di bene […]»29.
Quattro giorni dopo il cardinale Ugo Poletti, Vicario della diocesi di Roma,
rilascia l'autorizzazione alla sepoltura di De Pedis all'interno della Basilica. Il
24 aprile la salma viene tumulata e le chiavi del cancello consegnate alla
moglie dell'ormai defunto boss della Magliana.
L'inchiesta sul rapimento della Orlandi si riapre solamente nel 2008 e la strada
da seguire sembra definita dalle rivelazioni della pentita ed ex amante di De
Pedis, Sabrina Minardi, la quale ha più volte affermato che Renatino avrebbe
eseguito il sequestro della ragazza per ordine dell'allora capo dello IOR,
monsignor Paul Marcinkus30 e tenuta prigioniera in un sotterraneo nel
quartiere di Monteverde.
Sebbene le dichiarazioni della Minardi siano state ritenute incoerenti dai
giudici, anche a causa dell'uso abitudinario di stupefacenti, gli investigatori
hanno provato a riaprire il caso, trovando effettivamente il sotterraneo, ma
senza arrivare a nulla di concreto.
Quanto affermato dall'amante di De Pedis viene in un certo modo riscontrato
anche nelle parole di un altro pentito della Banda della Magliana, Antonio
Mancini detto l'Accattone: «Si diceva in carcere che la ragazza era robba
nostra. Che l'aveva presa uno dei nostri […] è opera della Banda della
Magliana, di quelli di Testaccio […] per una questione di denaro che si collega
all'attentato di Rosone […] per recuperare i soldi che la banda aveva investito
su Calvi […] e visto e considerato che i soldi non tornavano, allora, per far
capire che chi aveva investito, cioè De Pedis, non si sarebbe fermato davanti a
niente, stabilirono di portare via questa ragazzina»31.

29 Y. Selvetella, Banditi, criminali e fuorilegge di Roma, Newton Compton Editori, cit., p. 109.
30 M. Bisso, G. Gagliardi, Caso Orlandi, parla la superteste: “Rapita per ordine di Marcinkus”,
Repubblica.it, 23-06-2008.
31 A. Camuso, Mai ci fu pietà. La vera storia della Banda della Magliana, Castelvecchi Rx, cit.,
pp.149-150.
39
Dichiarazioni a cui fanno seguito, nel 2009, quelle di Maurizio Abbatino,
anch'egli divenuto collaboratore di giustizia, secondo cui Emanuela Orlandi è
stata scelta come arma del ricatto, per un grande prestito elargito dalla Banda
allo IOR e che non è tornato indietro32.
In seguito a tutte queste rivelazioni, il 14 maggio 2012, per allontanare il
dubbio che nella tomba di Renatino fossero sepolti i resti dell'Orlandi, i
magistrati incaricati hanno disposto l'esumazione del corpo del boss, che è
stato identificato attraverso i rilievi del DNA e l'analisi delle impronte digitali.
È giusto specificare che all'interno della bara non sono stati ritrovati resti di
terze persone anche se, in una stanza di fronte la cripta, è stato abbattuto un
muro dietro il quale è stato ritrovato un ossario risalente al Settecento, con
almeno duecento cassette, le quali saranno esaminate per scoprire se
nascondono le ossa di Emanuela Orlandi.
Le indagini di questo ennesimo mistero italiano sono ancora in corso e nulla
può spiegare in modo certo e definitivo l'enigmatica scomparsa della ragazza,
avvenuta trent'anni fa. Non è possibile nemmeno spiegare perché il boss di
Testaccio sia stato sepolto per così tanti anni a fianco di cardinali e vescovi.
Per i familiari è stato l'ultimo vezzo di un Dandi, così ricco da diventare un
benefattore per la Chiesa.
Ciò che è certo è che nel 1983, quando Emanuela Orlandi scompare e quando
tutti gli uomini della Magliana vengono arrestati, Enrico De Pedis è un boss
dalle mille sfaccettature. Il suo impero economico l'ha reso il più agiato tra gli
uomini della Banda e ha imparato a gestire gli affari solo per i suoi interessi
personali e questo ai suoi compagni di strada non piaceva affatto.

32 Per approfondimento: «È stato Renatino a rapire la Orlandi», articolo Corriere della Sera,
28/12/09.
40
Piantina della tomba di Enrico De Pedis

41
4.2 I processi

Durante le prime udienze in tribunale, gli imputati entrano uniti, dando così un
segno di sicurezza e di sfida a chi li vuole rinchiudere in galera. In realtà,
dietro quella sfrontatezza, i banditi nascondono sospetti, rancori e gelosie
reciproche.
Maurizio Abbatino è però disposto a tutto pur di uscire dal carcere e ai
compagni spiegherà che è l'unico modo per garantire la salvezza di tutti.
Negli anni Abbatino ha imparato un modo per sottrarsi alla detenzione, quello
di usare il proprio corpo come cavia. Infatti si è iniettato sangue infetto, si è
sottoposto a biopsie, gastroscopie e operazioni di ogni tipo. Tutto per essere
trasferito in case di cura, dove la sorveglianza è certamente più blanda. Questa
volta i medici che ha corrotto gli procurano nuove false prove. Con uno
scambio di vetrini, Crispino ottiene una finta diagnosi: tumore allo stadio
terminale. Ma non basta, perché la messa in scena deve essere perfetta e il
bandito trova il modo di disertare udienze e interrogatori o presenziare, al
massimo, in barella accompagnato dall'ambulanza.
La sua strategica farsa lo porta ad essere ricoverato a Villa Gina, casa di cura
sita in Roma. Così inizia per Crispino un lento e inesorabile allontanamento
dalla Banda e questo ai compagni di strada non piace, soprattutto per il modo
in cui si sottrae alle responsabilità di un capo.
I giovani banditi, abbandonati dal loro storico boss, si rivolgono allora a
Renatino De Pedis, l'unico ad avere le carte giuste per deviare il corso della
giustizia. Ma non tutti si fidano di lui, come Edoardo Toscano, L'Operaietto,
che rischia l'ergastolo e accusa De Pedis di non aver fatto abbastanza per
trovare gli avvocati giusti.

42
Le accuse reciproche vanno avanti per tutto il processo, fino al giorno della
sentenza. In aula i ragazzi della Banda non entrano più uniti, a dividerli è un
rancore che presto tracimerà in violenza.
Il 23 giugno 198633, a quasi tre anni dalla prima deposizione di Fulvio Lucioli,
la sentenza della Corte d'Assise, condanna in primo grado 37 dei 60 imputati.
È una sentenza mite, che riconosce principalmente la colpevolezza per il
traffico di stupefacenti. Così quasi la metà degli uomini della Banda torna a
piede libero, incluso De Pedis.
La condanna più pesante invece va proprio ad Edoardo Toscano che dovrà
scontare vent'anni di carcere per omicidio.
La prima battaglia con la giustizia sembra vinta, ma una nuova minaccia è in
arrivo da un affiliato che fin'ora ha agito nell'ombra. Si chiama Claudio Sicilia,
conosciuto da tutti come Il Vesuviano, per le sue origini campane. È uno dei
pezzi grossi della Banda ed è tra i pochissimi scampati alla retata del 1983,
prendendo così in mano le redini dell'organizzazione e del patrimonio di tutta
la Magliana.
Tale reggenza però finisce all'improvviso nell'autunno del 1986, il 17 ottobre
Sicilia è sorpreso, dalle forze dell'ordine, in un appartamento della Garbatella
con armi e droga. Ad attenderlo in questura c'è un giovane commissario
destinato a fare carriera: Niccolò D'Angelo.

«Eravamo l'uno di fronte all'altro e presi un pezzo di carta con una penna e fui
investito da una valanga, una valanga di nomi, di fatti, di circostanze»34.

Claudio Sicilia teme per la sua incolumità e decide di parlare. Conferma così i
racconti degli altri pentiti e aggrava la posizione dei compagni con nuove
accuse. Infatti è lui a parlare degli affari che la Banda ha su Roma, dei rapporti
con la Camorra, del rapimento dell'assessore Ciro Cirillo, di corruzione
all'interno del palazzo di Giustizia. Fornisce prove, circostanze documentate e
33 Singolare in quell'anno l'evasione di Vittorio Carnovale, detto Il Coniglio, dall'aula «Occorsio»
della Corte d'Assise di Roma.
34 History Channel, Intervista a Nicolò D'Angelo, Capo Squadra Mobile di Roma anni '80-'90.
43
contatti estremamente discutibili con una serie di legali, regali fatti a tutti i
livelli e una capacità di penetrazione all'interno del Tribunale di Roma e nei
tribunali di libertà. Infine parla anche delle finte malattie di Abbatino,
inchiodato su una sedia a rotelle in una clinica romana.
A questo punto Crispino capisce che la sua copertura può saltare, sa che molti
suoi compagni sono in libertà vigilata e vuole riprendere il controllo
dell'organizzazione. Cerca gli amici di sempre ma viene ignorato.
Abbatino si rende conto che a Roma non ha più alleati ma solo pericolosi
nemici ormai. La sorveglianza su di lui è debole perché un pregiudicato su una
sedia a rotelle sembra non preoccupare più, così riesce a scappare grazie anche
all'aiuto del fratello Roberto.
In questo modo, il 23 dicembre 1986, Maurizio Abbatino, storico capo della
Banda della Magliana, scompare nel nulla. Diviene un latitante, perdendo ogni
contatto con la Banda, con le sue attività e con i suoi ex amici di sempre. Ora a
regnare incontrastato su Roma è solo Enrico De Pedis.
Ma gli effetti della denuncia del Vesuviano non tardano a colpire anche De
Pedis e il resto della Banda. Infatti pochi mesi dopo la rocambolesca evasione
di Abbatino, il 17 marzo 1987 la Procura di Roma emette 91 ordini di cattura
contro le persone chiamate in causa da Claudio Sicilia.
Potrebbe essere l'affondo decisivo della giustizia ma ancora una volta Enrico
De Pedis e i suoi uomini hanno preso le dovute contromisure. Secondo Sicilia
la Banda della Magliana è riuscita a corrompere perfino i tribunali ma le sue
parole, inspiegabilmente, cadono nel vuoto. Quello stesso tribunale che ha
accusato respinge le sue dichiarazioni, considerando la sua persona
inattendibile a causa del suo passato criminale.

Il Vesuviano adesso è senza alcuna protezione (all'epoca non era previsto uno
speciale programma di protezione per i collaboratori di giustizia) e con gli ex
compagni presto liberi pronti a metterlo a tacere. Può solo scappare.

44
La fuga di Claudio Sicilia finisce qualche anno dopo, il 18 novembre 1991, in
un negozio in via Mantegna a Tor Marancia, dove lo raggiungono alla testa
quattro colpi di pistola, sparati da un ragazzo di cui non si saprà mai l'identità.

Precedentemente però, il 14 giugno del 1988, i ragazzi della Magliana


aspettano l'ultimo grado di giudizio di un processo che li vede imputati per i
reati più gravi, ma ancora una volta i banditi romani trovano il corridoio giusto
per uscire di galera. La Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale,
soprannominato il giudice “ammazza-sentenze” (per aver annullato
quattrocento condanne di mafia), demolisce l'intero impianto accusatorio del
processo, lasciando liberi gli imputati. È una sentenza che nega l'esistenza di
una Banda vera e propria su Roma, per il semplice fatto che questi banditi non
hanno una formula sacrale di riconoscimento, come può avvenire in Sicilia
con la mafia o in Calabria con la 'ndrangheta.

Dopo anni di carcere, gelosie e accuse reciproche i ragazzi della Banda ora
sono di nuovo liberi. Enrico De Pedis, mentre guadagna miliardi, che reinveste
in attività pulite, si mette alla caccia dei suoi nemici. Il suo primo obiettivo è
l'uomo che durante gli anni del carcere ha provato a mettersi contro di lui:
Edoardo Toscano.
C'è un uomo che mantiene i soldi (cinquanta milioni di lire) di Toscano
quando lui è in carcere e L'Operaietto, uscito da poco, vuole recuperarli.
Renatino lo sa perché si è messo d'accordo con quell'uomo per tendere una
trappola al suo ex compagno di strada. Così la mattina del 16 marzo 1989
Edoardo Toscano, il più abile killer della Magliana, si fa cogliere impreparato,
quando due uomini, alle dipendenze di De Pedis, gli sparano tre volte
lasciandolo morire.
Agli inizi degli anni Novanta, Renatino gestisce un vero impero economico,
diventando un intoccabile. Sulla piazza nessuno osa colpirlo e chi vuole
vendicare la morte di Edoardo Toscano deve rivolgersi altrove.

45
Marcello Colafigli, a capo dei maglianesi, all'interno dei manicomi conosce
due uomini toscani, Dante Del Santo detto Il Cinghiale e Alessio Gozzani che
si offrono di ammazzare De Pedis. Per completare il piano manca solo l'esca
giusta che Marcellone individua in un amico di Renatino, Angelo Angelotti, un
piccolo criminale che sotto minaccia collabora con i futuri aguzzini del boss di
Testaccio.
L'appuntamento con la morte glielo procura proprio Angelotti, il quale sta
trattando con De Pedis un affare.
Il 2 febbraio 1990, in via del Pellegrino, nei pressi di Campo de' Fiori a Roma,
all'incontro di De Pedis con il suo amico, si presenta poco dopo anche il
plotone di esecuzione, formato da: Marcello Colafigli, Vittorio Carnovale,
Antonio D'Inzillo e i due toscani. Proprio quest'ultimi gli iniziano a sparare
contro.
Enrico Renatino De Pedis rimane a terra, ucciso nel centro di Roma. Con la
sua morte la Banda della Magliana, di fatto, non esiste più. Gli ex componenti
del gruppo ora sono persone consumate dalla droga e dal carcere. I pochi
superstiti sono uniti dal rancore verso gli infami e uno su tutti Maurizio
Abbatino, ormai latitante da anni e con la polizia che gli sta dando la caccia.

46
4.3 Il pentimento di Abbatino

L'unico capo sopravvissuto, quindi, è Maurizio Abbatino, custode di tutti i


segreti della Banda della Magliana. Fuggito clamorosamente durante la sua
detenzione, è latitante dal 1986.
Per i malavitosi romani è un “infame” e nelle mani della polizia potrebbe
trasformarsi in un pericoloso delatore. Per una volta le forze dell'ordine e i
banditi condividono lo stesso obiettivo, seppur per motivi diversi: rintracciare
al più presto Abbatino.
Per i ragazzi della rimanente Banda c'è solo un modo per stanare Crispino,
ovvero far parlare i suoi familiari e Roberto Abbatino, fratello del criminale, è
la vittima designata.

«Robertino era un ragazzo che non c'entrava niente […] L'hanno preso e se lo
sono portati via […] e poi l'hanno seviziato per farsi riferire dove fosse
nascosto il fratello Maurizio»35.

Il 18 marzo 1990 il corpo di Roberto Abbatino viene restituito dal Tevere


martoriato da trenta coltellate. Il giovane fratello di Crispino non ha voluto
parlare e ha pagato con la tortura e la morte il suo silenzio.
Maurizio intanto continua ad essere inafferrabile, anche per la polizia che da
cinque anni aspetta un suo passo falso, che arriva inaspettatamente il 31
dicembre 1991 durante la notte di capodanno. La causa è la madre di Crispino,
la quale lo chiama al telefono (messo sotto intercettazione da parte della
squadra mobile di Roma). Nel giro di mezz'ora le forze dell'ordine conoscono,
attraverso l'aiuto dell'INTERPOL36, indirizzo e abitazione dove si nasconde
Abbatino.

35 History Channel, Intervista ad Antonio Mancini, Ex componente Banda della Magliana.


36 Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale, dedita al contrasto del crimine
internazionale.
47
L'appuntamento con il latitante romano, il 25 gennaio 1992, è a Caracas, in
Venezuela, dove in tutti questi anni Abbatino intrattiene contatti con la piccola
criminalità del posto e con lo spaccio di stupefacenti. Alla vista della polizia
italiana, Crispino non cerca di scappare e non oppone resistenza.
Non è più la stessa persona Maurizio Abbatino, non è più quel giovane
criminale che nel 1976 segue Franco Giuseppucci nella sua idea di fare a
Roma quello che sono riusciti a realizzare i napoletani della Camorra o i
siciliani della mafia; creare il primo gruppo organizzato nella storia della
malavita romana. È un uomo che vuole uscire al più presto da quella
situazione.
Il 4 ottobre del 1992 all'aeroporto di Fiumicino, Maurizio Abbatino torna nella
sua Roma in manette, ma sa perfettamente cosa deve fare.

Il 1992 è l'anno della fine della prima Repubblica italiana. L'anno delle stragi
di Mafia in cui perdono la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino, l'anno di Tangentopoli e del crollo di un'intera classe politica, in
cui segretari di partito e uomini d'affari vengono accusati di corruzione,
sfilando nelle aule di tribunali come criminali comuni. È l'umiliazione
pubblica della politica.

Sono gli anni in cui si possono chiudere finalmente i conti con il passato,
Maurizio Abbatino è dunque pronto per passare dalla parte della giustizia
come collaboratore.

48
All'alba del 16 aprile 1993 scatta l'operazione “Colosseo”: cinquecento agenti
di polizia si sparpagliano per Roma. La manovra è gigantesca e la squadra
mobile effettua 56 arresti e sequestra ai boss della Magliana ottanta miliardi di
lire tra bene mobili ed immobili.
L'accusa è associazione a delinquere di stampo mafioso 37. La Banda della
Magliana è considerata così al pari di Cosa Nostra, Camorra e 'ndrangheta.
Per i superstiti della Banda si riaprono le aule dei tribunali. Per anni, Maurizio
Abbatino e i successivi collaboratori di giustizia come Antonio Mancini,
Fabiola Moretti e Vittorio Carnovale, diventano protagonisti della letteratura
criminale e preziosi testimoni nei processi dei più oscuri misteri d'Italia.
L'ultimo processo alla Banda della Magliana si è tenuto il 6 ottobre del 2000,
in cui la Corte d'Assise d'Appello di Roma ha confermato la maggior parte
delle condanne per gli esponenti della banda ma nega, completamente, ogni
carattere di associazione mafiosa.

Cos'è allora la Banda della Magliana? È una “mafia” capitolina? È un'impresa


criminale atipica? O è una vera è propria holding criminale al cospetto di
potenti persone?
Le sue gesta spavalde e violente hanno assunto oggi i contorni di un romanzo,
un Romanzo Criminale, anche se la vera storia, quella che dal '77 fino agli
anni '90 terrorizza la città di Roma, è scritta nelle cronache più nere, cupe e
misteriose di quegli anni. In quelle pagine non ci sono eroi, regole e onore, ma
un lungo elenco di omicidi, soprusi e vittime innocenti.

37 Cfr., Art. 416-bis Codice Penale: Associazione di tipo mafioso.


49
Taluni componenti della «Banda della Magliana»

Franco Giuseppucci, detto


Enrico De Pedis, detto Maurizio Abbatino, detto
«Il Negro»
«Renatino» «Crispino»

Danilo Abbruciati, detto Claudio Sicilia, detto Antonio Mancini, detto


«Il Camaleonte» «Il Vesuviano» «L'Accattone»

50
Roma, Via del Pellegrino, 2 febbraio 1990: Enrico "Renatino" De Pedis viene
freddato da due killer a bordo di una moto.

Roma, Via Orazio, 20 marzo 1979: Carmine “Mino” Pecorelli viene assassinato
da un sicario, nei pressi della redazione del suo giornale Osservatore Politico.

51
Cronaca di Roma – Articolo sull'omicidio di Franco Giuseppucci

52
Cronaca di Roma – Articolo sull'attentato di via di Donna Olimpia

53
CAPITOLO II

ROMA MALAVITOSA: TRENT'ANNI DOPO

1. Vivi e deceduti della Banda della Magliana

«Sono anni che dico che la Magliana è viva. I magistrati mi danno retta a
intermittenza, ma nessuno ha la forza di sentirmi».

A parlare è Antonio Mancini, ex componente della Banda, il quale è convinto


che i vecchi elementi del gruppo, supportati da nuovi banditi, riescano ancora
a governare la città.
Anche se il gruppo storico della Banda della Magliana è diminuito di numero
in seguito ad arresti, omicidi e pentimenti, sembra che in parte sia ancora
attivo su Roma.

Ma che fine hanno fatto i componenti della Banda, che ha comandato su Roma
negli anni Ottanta?

Di seguito un elenco dei vecchi banditi legati alla Magliana, reduci e deceduti:

▪ Franco Giuseppucci, Il Negro: Ideatore della Banda della Magliana, ucciso


il 13 settembre 1980 in Piazza San Cosimato a Roma;

▪ Maurizio Abbatino, Crispino: Arrestato a Caracas, in Venezuela, il 24


gennaio 1992, è divenuto con il tempo collaboratore di giustizia. Condannato a
22 anni di carcere, sono da attribuirgli dodici omicidi e tre tentati omicidi. È
detenuto ai domiciliari in una località segreta;

54
▪ Enrico De Pedis, Renatino: Capo dei Testaccini e coinvolto nel caso
Orlandi, viene assassinato il 2 febbraio 1990 in Via del Pellegrino a Roma.
Non è più seppellito nella basilica di Sant'Apollinare dal maggio 2012 e la sua
salma è stata cremata;

▪ Danilo Abbruciati, Il Camaleonte: Portatore dei legami con Cosa Nostra,


viene ucciso il 27 aprile 1982, a Milano, da una guardia giurata, mentre
tentava di fuggire su una moto dopo aver attentato alla vita del vicepresidente
del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone;

▪ Antonio Mancini, L'Accattone: Divenuto collaboratore di giustizia, è libero


dal 2012;

▪ Renzo Danesi, El Cabajo: Attualmente è in regime di semilibertà. Oggi è


membro della compagnia teatrale “Stabile Assai”, composta da detenuti-attori
del penitenziario di Rebibbia. Finirà la sua pena nel 2015;

▪ Fabiola Moretti: Alterna periodi di detenzione ad altri ai domiciliari. Dopo


essere stata collaboratrice di giustizia è tornata a delinquere. Infatti il 19
maggio 2012 è stata nuovamente arrestata durante un controllo antidroga;

▪ Vittorio Carnovale, Il Coniglio: Arrestato nel 1993, diviene collaboratore di


giustizia. Accusato di sette omicidi (di cui: per tre omicidi non ha scontato
alcuna pena, in altri due casi è stato assolto, mentre per un altro omicidio è
intervenuta la prescrizione), attualmente è libero;

▪ Giuseppe Carnovale, Il Tronco: Fratello di Vittorio, muore nel 1992 per


cause naturali;

55
▪ Marcello Colafigli, Marcellone: Detenuto presso l'ospedale psichiatrico di
Aversa, è stato condannato all'ergastolo, per aver commesso tre omicidi;

▪ Claudio Sicilia, Il Vesuviano: Portatore dei legami con la camorra di


Corrado Iacolare, Michele Zaza e Lorenzo Nuvoletta, pentitosi nel 1986, ma
non creduto dai giudici, viene ucciso il 18 novembre 1991 in via Mantegna a
Roma, all'interno di un negozio d'abbigliamento;

▪ Edoardo Toscano, L'Operaietto: Ucciso il 16 marzo 1989, ad Ostia, per


mano di due killer alle dipendenze di Enrico De Pedis;

▪ Fulvio Lucioli, Il Sorcio: Divenuto prezioso collaboratore di giustizia, è


attualmente libero. La sua ultima condanna risale al 1986. Da allora ha
cambiato stile di vita;

▪ Gianfranco Urbani, Il Pantera: Punto di contatto con esponenti della


'Ndrangheta e della mafia catanese, spicca nei suoi confronti un mandato di
cattura ordinato dal giudice Giovanni Falcone. Attualmente è detenuto dopo
esser stato arrestato nel maggio 2013 come complice di un furto ai danni di un
istituti di vigilanza;

▪ Giuseppe De Tomasi, Il Ciccione: Sospettato di essere il telefonista che nel


1983 chiamò a casa di Emanuela Orlandi per depistare le indagini, è
attualmente libero. In precedenza fu condannato a quattro anni e sei mesi di
reclusione per l'appartenenza alla Banda della Magliana;

▪ Libero Mancone: Introdotto da Nicolino Selis all'interno della Magliana,


aveva il controllo degli stupefacenti nella zona di Acilia. Muore nel 1993 in
seguito ad un incidente stradale;

56
▪ Giorgio Paradisi, Il Capece: Inserito da Franco Giuseppucci, ha partecipato
al sequestro del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere. Condannato,
muore di infarto nel 2006 nel carcere di Secondigliano;

▪ Giovanni De Gennaro, Faccia d'angelo: Omicida del duca Massimiliano


Grazioli, viene catturato nel 2000 dopo una lunga latitanza. È stato condannato
all'ergastolo;

▪ Nicolino Selis, Il Sardo: Boss di Acilia ed Ostia, porta in dote alla Banda i
legami con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Viene ucciso da
Maurizio Abbatino il 3 febbraio 1981. Il suo corpo non è mai stato ritrovato;

▪ Antonio D'Inzillo: Killer assoldato per uccidere Enrico De Pedis, risulta


latitante dal 1990, ma secondo un certificato di morte esibito in Procura da
parte dei familiari, sarebbe deceduto in Kenya per cause naturali. La
controprova non c'è, dato che il corpo sarebbe stato cremato;

▪ Enrico Mariotti: Basista del sequestro Grazioli, è stato arrestato a Londra


nel 1995. È tutt'ora in carcere;

▪ Raffaele Pernasetti, Il Palletta: Condannato a 30 anni, è in semilibertà dal


2011. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze gli ha dato il permesso di
lavorare in un ristorante di famiglia nel quartiere Testaccio;

▪ Enrico Nicoletti: Sospettato di essere il “cassiere” della Banda della


Magliana, attualmente è detenuto nel carcere di Rebibbia. È stato condannato
nel 2011 a sette anni per il reato di associazione a delinquere finalizzata ad
usura, estorsione e rapina;

57
▪ Giovanni Girlando, Gianni Il Roscio: Affermatosi nel gruppo di Nicolino
Selis prima e poi introdotto dallo stesso ed Edoardo Toscano all'interno della
Banda della Magliana, gestiva il traffico di stupefacenti nella zona di Ostia.
Dopo le prime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, fuggì in Olanda,
dove fu poi arrestato ed estradato. Viene ucciso il 25 maggio 1990 con un
colpo alla nuca;

▪ Massimo Carminati: Componente dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari),


con Franco Giuseppucci contribuisce alla creazione della Banda romana, la cui
appartenenza gli costerà sei anni e sei mesi di carcere. Oggi è a piede libero;

▪ Michele Senese, Il Pazzo: Ambasciatore a Roma della Camorra, stringe


legami con la Banda della Magliana soprattutto attraverso Enrico Nicoletti,
amico di vecchia data. Attualmente è libero dopo aver finito di scontare la sua
pena di otto anni per detenzione di stupefacenti.

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2. I nuovi boss

La Banda della Magliana, almeno nei nomi di due suoi ex esponenti, ha ancora
un ruolo all'interno del panorama criminale capitolino.
Questi due nominativi sono quelli di Massimo Carminati e Michele Senese, ad
oggi liberi di controllare i propri traffici su Roma.
Il primo ha una biografia incredibile, tanto da aver ispirato anche il
personaggio de Il Nero, nel film “Romanzo Criminale” di Michele Placido e
nell'omonima serie televisiva di Stefano Sollima.
Ex componente dei NAR, sicario alle dipendenze della Banda della Magliana,
oltre ad essere arrestato per rapine e delitti, è stato incriminato anche per
l'omicidio Pecorelli e per i legami con i servizi segreti deviati.

«È uno […] pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di


droga, scommesse e usura».

Nelle aule di tribunale è sempre stato sul filo dell'ergastolo, riuscendo però a
cavarsela con pene minori od assoluzioni. Oggi a 54 anni non ha più pendenze
nei confronti della giustizia. Ma detiene ancora un gran potere, tanto da essere
considerato il padrone dei traffici illeciti su Roma e di decidere vita e morte
dei suoi oppositori.
Attualmente a Carminati, si affiancano altri tre boss per il controllo del
crimine sulla capitale, che sono: Michele Senese (anch'egli ex affiliato della
Magliana), Giuseppe Casamonica e Carmine Fasciani (coadiuvato dal fratello
Giuseppe). Al momento queste quattro figure si stanno dividendo l'egemonia
su Roma.
Il commercio più importante è la cocaina, che viene spacciata in quantità
estremamente superiore rispetto alle altre zone d'Italia e che regala affari di
milioni di euro al mese ai quattro nuovi boss, i quali si limitano a regolare e
approvare il traffico di stupefacenti nelle loro zone di competenza.

59
In particolare Massimo Carminati è ritenuto il capo della zona più produttiva,
che riguarda il centro e i quartieri Parioli di Roma Nord. Ha legami con
imprenditori, commercianti e potenti persone, come Gennaro Mokbel, gestore
dei fondi neri per conto della Telecom e Fastweb e Lorenzo Cola, consulente
di Finmeccanica che ha negoziato accordi per miliardi di euro, depositario di
milioni in banche svizzere ed americane e legato ad agenti segreti in tutto il
continente.

L'altro capo su Roma è Michele Senese, Il Pazzo (perché tramite perizie


psichiatriche compiacenti è sempre riuscito a stare lontano dagli istituti
penitenziari), che domina il Sud-Est della città.
Arrivato a Roma con l'incarico, da parte della Nuova Famiglia, di uccidere i
fuggiaschi “cutoliani” della Nuova Camorra Organizzata, con il tempo è
diventato un boss autosufficiente.

«Michele Senese è stato un grande killer...veniva da Roma, faceva gli omicidi


e se ne risaliva».

Ultimamente Il Pazzo, dopo l'arresto del suo avvocato Cavaliere, è scomparso,


pur mantenendo il suo potere.

Inoltre, nel territorio di Senese, si trova una piccola zona (tra Tuscolano ed
Anagnina) in mano alla famiglia dei Casamonica. Questi sono soggetti di etnia
nomade, insediati ormai da anni nella capitale, nella quale fanno girare il
mercato degli stupefacenti. Attivi da più di trent'anni, solo nel gennaio 2012
gli è stata contestata l'associazione per delinquere. Il boss, Giuseppe
Casamonica, catturato un anno fa, ha lasciato le redini del clan alla moglie.

60
Carmine e Giuseppe Fasciani invece spadroneggiano nella zona Sud-
Occidentale della capitale, da San Paolo fino ad arrivare ad Ostia. Soprattutto
il primo era già conosciuto alle cronache ai tempi della Magliana, per i suoi
rapporti con il presunto cassiere della Banda, Enrico Nicoletti.
Patto che don Carmine Fasciani ha anche con i reduci del terrorismo nero, un
legame che sembra trovare conferma in un'intercettazione telefonica in cui
Gennaro Mokbel, parlando con il don, afferma che il rilascio di Valerio
Fioravanti e Francesca Mambro, nel 2009, è stata opera sua:

«Li ho tirati fuori tutti io […] lo sai quanto mi sono costati? Un milione e
due...».

Un indizio su come le storie criminali, a Roma, risultino incredibilmente tutte


incrociate.

Sicuramente, Roma, è una città aperta per le grandi mafie, le quali possono
impiegare il proprio denaro in attività legali come ristoranti, negozi e immobili
a patto di non intralciare i quattro boss. Personaggi come Benedetto Graviano
o Giuseppe Guttadauro, appartenenti alla mafia siciliana, vivono stabilmente a
Roma.

In zona Flamina invece, dove il capo è Carminati, si trovano i Morabito


affiliati alla 'ndrangheta di Africo. Non a caso, il capostipite Giuseppe
Morabito è il nonno di Giuseppe Sculli, ex giocatore della Lazio, coinvolto
nelle indagini sulle partite falsate del campionato di calcio di serie A e secondo
gli investigatori, il giocatore avrebbe avuto contatti proprio con Massimo
Carminati.
Praticamente in tutta la regione si sono insediati gruppi campani e calabresi
anche se nella capitale vera e propria la situazione è ben diversa, perché per
qualsiasi operazione illecita devono chiedere il permesso ai quattro capi e

61
riconoscergli un guadagno.
A Roma, oggi, spesso sono proprio i commercianti e gli imprenditori a
chiedere protezione, prestiti o offrire investimenti alla malavita nell'acquisto di
sostanze stupefacenti. Infatti le indagini degli inquirenti hanno portato a capire
l'importanza di costruttori ed esercenti coinvolti come finanziatori
nell'importazione della cocaina, soprattutto nelle zone che fanno capo a
Carminati e questa capacità di “lavorare” quasi indisturbati sul territorio è
frutto di un patto siglato tra i capi zona: ridurre drasticamente il numero di
omicidi di stampo mafioso, in modo da non avere ripercussioni, da parte delle
forze dell'ordine, nei loro affari illeciti.
Gli undici delitti che ci sono stati nel 2011 a Roma, e riconducibili a gruppi
criminali, sono stati avvenimenti di un disegno atto a imporre il nuovo
modello criminale deciso dai capi.

Il delitto principe di questo sistema, è stato quello di Flavio Simmi. Figlio di


Roberto Simmi (un gioielliere e ristoratore coinvolto anche nel maxi-processo
che seguì l'Operazione Colosseo ai danni della Banda della Magliana), viene
ucciso il 5 luglio 2011 da nove colpi di pistola calibro 9 in via Grazioli.
L'errore di Flavio Simmi è stato quello di esser venuto meno a un patto sancito
con un calabrese legato alla n'drangheta, riguardo a proventi di attività
comuni.

La questione di fondo è che in tutti questi anni, le istituzioni non sono riuscite
a demolire questo sistema, perché, la maggior parte delle volte, il reato di
stampo mafioso non è mai stato riconosciuto in quanto tale da parte dei
tribunali. Infatti, già dai tempi della Magliana, i giudici hanno sempre
valorizzato l'idea che a Roma un'organizzazione criminale unita non possa
esistere. E questo è quello che serve alla bande per arricchirsi sempre di più.

Niente più omicidi ma solo affari svolti in silenzio con l'aiuto di politica e

62
mafia.

Questo silenzio potrebbe far indurre qualche investigatore a dichiarare che la


mafia non è presente nella capitale. Ma così non è.
Infatti il nuovo procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, è
intervenuto così in un convegno al Salone della Giustizia:

«Roma è una città estremamente complessa perché mentre a Palermo e Reggio


Calabria tutto viene ricondotto alla mafia, nella capitale i problemi sono tanti.
Credo che da un lato non bisogna negare, come accaduto a Milano, che ci sia
un problema di infiltrazioni mafiose […] Facciamo appello agli imprenditori
perché stiano attenti: diventare soci di un mafioso significa prima o poi
perdere l'azienda […] Bisogna reagire a questo stato di cose».

Per scardinare questo sistema, il procuratore Pignatone si è circondato di validi


magistrati e di una squadra di investigatori che con lui hanno partecipato al
“modello Reggio Calabria”, attraverso il quale sono riusciti a smontare il
carattere unitario della 'ndrangheta.
C'è bisogno di un lavoro di squadra, tra forze dell'ordine e istituzioni, per poter
riuscire a demolire la struttura innalzata dai nuovi quattro re di Roma.

63
La nuova mappa criminale di Roma

● Centro e Nord: Massimo Carminati;


● Est e Sud Est: Michele Senese;
● Zona Tuscolano ed Anagnina: Famiglia dei Casamonica;
● Zona da San Paolo ad Ostia: Giuseppe e Carmine Fasciani.

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40

35

30

25

20 Omicidi

15

10

0
2007 2008 2009 2010 2011 2012

Numero di omicidi riconducibili a gruppi criminali a Roma dal 2007 al 2012

Cocaina sequestrata a Roma negli ultimi mesi del 2012

– Agosto: 30, 174 Kg;


– Settembre: 16, 402 Kg;
– Ottobre: 30, 754 Kg.

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Nel 2013 invece la tendenza è variata, sia per quanto riguarda lo spaccio di
stupefacenti, sia per gli omicidi. Infatti la polizia afferma che Roma è
diventata la capitale del traffico di cocaina, a cui sta facendo ritorno quello
dell'eroina, mentre in alcuni quartieri si spaccia prevalentemente marijuana.
La notizia, divulgata da Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento Politiche
Antidroga, è giunta nel giorno in cui, a Roma, vengono ritrovate il 28 maggio
2013 tre vittime uccise, con precedenti per droga, a cui si cerca ancora di dare
una spiegazione esaustiva.
La pista intrapresa dagli investigatori è quella di essere di fronte ad agguati
maturati nell'ambiente della malavita capitolina.

Solo nell'omicidio di Claudio D'Andria, usciere di un municipio romano, si


pensa a un movente legato all'usura. Ucciso da un colpo a distanza ravvicinata,
l'omicidio si è consumato in una delle zone a più alta densità micro-criminale
della capitale, Tor Sapienza. Solo le indagini delle forze dell'ordine potranno
rivelare se i loschi affari di Claudio D'Andria abbiano ostacolato quelli di
qualche boss criminale di rilievo.

Diversi sembrano invece gli altri due delitti avvenuti nello stesso giorno. A
Fiumicino, Gianpiero Rasseni, quarantenne e dipendente dalla cocaina, è stato
ucciso davanti casa, con un colpo in faccia. Dalle voci che circolano, pare che
Rasseni avesse già avuto la sentenza di morte da parte di qualcuno che voleva
fargliela pagare.

Poco dopo, ad Anzio verso il sud Pontino, viene freddato invece Daniele
Righini, giovane di ventitré anni.
La zona da anni è al centro delle indagini da parte dell'Antimafia, poiché si
tratta di un territorio ad alto tasso di criminalità organizzata, per la
partecipazione della 'Ndrangheta e della Camorra, che hanno l'egemonia sullo
spaccio di stupefacenti, sull'usura ed estorsioni, oltre ad una grande forza

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intimidatoria, che secondo le forze dell'ordine viene usata per aggregare i
cittadini locali come affiliati.
Infatti nel territorio di Ostia, Anzio e Nettuno, continuano ad avvicendarsi
sempre di più attentati verso le attività commerciali.

Con questi omicidi, a Roma, si sale a quota ventidue morti nel 2013 a causa
della malavita, frutto della presenza radicata della criminalità organizzata nella
capitale.
Soprattutto la 'Ndrangheta, in quest'ultimo anno, sta prendendo sempre più
piede, grazie agli investimenti in attività legali e alla compravendita di
immobili di lusso. Inoltre possiedono il monopolio degli stupefacenti, che
fanno girare in quartieri ricchi come il Pigneto, a sud della città, o San
Lorenzo, dove lo spaccio avviene alla luce del giorno.

Oltre a ciò, si rileva di nuovo un aumento dell'uso di eroina tra i più giovani,
che di solito viene anche mischiata con la marijuana da parte di chi la vende.

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CAPITOLO III

ROMANZO CRIMINALE

1. Il libro, il film e la serie tv

Giancarlo De Cataldo, Giudice di Corte d'Assise a Roma e scrittore italiano,


nel 2002 sale alla ribalta grazie alla pubblicazione del suo libro “Romanzo
Criminale”, un'opera letteraria in cui vengono narrate le vicende della famosa
Banda della Magliana, realizzando un mix perfetto tra realtà e finzione.
L'autore seleziona e valorizza alcuni personaggi principali della storia reale,
modificandone tratti e biografie per dare origine a figure memorabili, quali Il
Libanese, Il Dandi e Il Freddo.
E’ però un errore ritenere Romanzo Criminale una completa narrazione
storica sulla Banda della Magliana. Tanto è vero che il dovere dello scrittore è
quello di tradire la storia vera e propria e di sottometterla alle esigenze del
Mito, ricavando dai fatti un tracciato metaforico e mitologico che punta al
cuore di una falsa storia, più attraente e profonda di quella ufficiale.
Il senso di Romanzo Criminale è proprio questo, quello di far prevalere il Mito
sulla cronaca e sulle note vicende analizzate dal circo mediatico, introducendo
nel nostro Paese il “Noir d'inchiesta”, applicato soprattutto in America dallo
scrittore statunitense James Ellroy.
Anche se con un linguaggio forte, un romanesco figlio del cambiamento
sociale provocato dal boom degli anni Sessanta e dei mass media, De Cataldo
riesce ad introdurre nel romanzo una linea comica rappresentata dalla
commedia, la quale raffigura uno dei gli aspetti più importanti e indispensabile
del carattere nazionale. Non a caso, la commedia ha fatto grande il cinema
italiano e nel particolare esistono molti criminali provvisti di un forte, seppur
macabro, sense of humor.

68
Tre anni più tardi, nel 2005, Michele Placido ricava dal libro di De Cataldo 38
una pellicola per il grande schermo con l'omonimo titolo “Romanzo
Criminale”.
Si può affermare, in primis, che il film è sicuramente uno spettacolo gangster,
che, come il libro, racconta le vicende criminali a Roma tra gli anni Settanta
ed Ottanta, instaurando in esse una valenza storica, inesatta per certi versi ma
che grazie a giochi di collegamenti, montaggi e musiche riesce a dare a
Romanzo Criminale la giusta collocazione, non tanto per quello che riferisce,
ma per come lo racconta.
Il cast che dirige Placido è composto da nomi altisonanti come Pierfrancesco
Favino (Il Libanese), Claudio Santamaria (Il Dandi), Stefano Accorsi (il
Commissario Nicola Scialoja) e Kim Rossi Stuart (Il Freddo), il quale in
un'intervista a Rai-Internazionale tiene a precisare che:

«Assunto che i personaggi sono comunque del polo negativo, il Romanzo


porta ad un amore, un trasporto, una fascinazione per i protagonisti»39.

Non lasciano indifferenti nemmeno la città di Roma catturata dalla fotografia


di Luca Bigazzi e le musiche notevoli di Paolo Buonvino.
Non privo di difetti, leggeri in ogni caso, e pur non possedendo la stessa forza
del libro (inverosimile in 154 minuti riprodurre tutte le gesta riferite nell'opera
letteraria), il film è diventato un vero e proprio cult cinematografico.

Infine, apparse indiscutibili le potenzialità del materiale e l'apprezzamento da


parte del pubblico, è giunta l'intuizione di programmare una serie televisiva, in
cui, tra l'altro, Michele Placido partecipa in qualità di consulente artistico.

38 Giancarlo De Cataldo, autore del romanzo e da cui è tratto il film “Romanzo Criminale”, interpreta
nella pellicola il giudice che legge le condanne per i componenti della Banda della Magliana.
39 Italica, Rai-Internazionale, Romanzo Criminale: Intervista agli attori.
69
Di certo il telefilm si scopre immediatamente come un genere più adeguato per
migliorare la considerevole trama dell'omonimo libro “Romanzo Criminale”.
Trova lo spazio opportuno per focalizzare al meglio tutte le personalità dei
soggetti coinvolti, impiegando la serialità per scandire l'evoluzione degli
eventi e per utilizzare nel migliore dei modi l'effetto suspense, riuscendo così a
gestire i tanti protagonisti e le tante connessioni storico-sociali, dal sequestro
Moro al terrorismo nero, alla strage di Bologna fino ai collegamenti con la
Mafia.
“Romanzo Criminale – La serie” si divide in due stagioni televisive andate in
onda nel biennio 2008-2010. La prima dedica più spazio alla “scena del
crimine”, quindi alle azioni criminose dei vari soggetti che compongono la
Banda della Magliana, mentre la seconda indaga maggiormente il “retroscena”
del crimine, come se i vari protagonisti venissero interrogati dalle proprie
coscienze, una conseguenza che deriva dalla morte del loro capo indiscusso.

Per quanto riguarda il cast, il regista Stefano Sollima è voluto andare incontro
ad una nuova generazione di attori, semi-sconosciuti, come Francesco
Montanari (Il Libanese), Alessandro Roja (Il Dandi), Vinicio Marchioni (Il
Freddo), Andrea Sartoretti (Bufalo), Marco Bocci (Il Commissario Scialoja) e
molti altri. Un racconto grandioso e toccante come Romanzo Criminale ha
richiesto una particolare attenzione per la ricerca del cast.
Questo perché la vasta narrazione storica esigeva dei giovani interpreti,
portatori tuttavia di una maturità umana e competente che permettesse loro di
riportare e incarnare la fase adulta e drammatica dei propri personaggi.

Un'altra prerogativa indispensabile, che si nota guardando la serie tv, era


quella che gli interpreti avessero qualità fisiche ben definite, ai limiti della
maschera, favorendo così l'immediata riconoscibilità dei numerosi personaggi
della storia, per restituire sullo schermo il maggior realismo possibile.

70
In definitiva “Romanzo Criminale – La serie” può essere considerato un
successo ancora più grande rispetto al libro e al film, perché è riuscito a
collocarsi in diversi target di pubblico, costruendo al proprio interno un
concetto e dei contenuti che si trovano alla base dei modelli televisivi
americani.
Qui la Banda capitolina è uno strumento per far viaggiare lo spettatore tramite
un'epoca, una Roma anni Settanta, attraverso il crimine e la giustizia, ma
anche attraverso la solitudine, l'accanimento o addirittura l'amore che si
instaura tra i molteplici personaggi.
Il Libanese, Bufalo, Il Dandi, Patrizia e i protagonisti tutti, costituiscono un
intreccio di relazioni che supera in un certo modo la classica battaglia del
bene contro il male, creando così empatia con il pubblico che guarda.
Tuttavia il valore che sta alla base di Romanzo Criminale, se visto con occhio
critico, è l'amicizia. Seppur la televisione racconta le gesta di banditi e
criminali, i dialoghi e le sequenze di ironia e comicità che si alternano con le
scene violente e brutali, fanno trasparire qualcosa di romantico all'interno del
lavoro scenografico.
Questo romanticismo (da qui la parola “Romanzo” nel titolo del libro, film e
serie tv) che accomuna i personaggi, riesce ad attribuire umanità a coloro che
rappresentano il male.

71
2. L'attrazione del rischio nei giovani

Il fascino del rischio nei ragazzi di oggi è cosa risaputa, anche perché nel
senso comune è divulgata l'idea che l'adolescenza sia un'età certamente
movimentata e difficile.

La celebre antropologa statunitense Margaret Mead, quasi ottant'anni fa,


esponeva la complessità della nostra società con queste parole:

«Qualunque studioso di questi problemi deve rendersi conto dell'alto prezzo


che paghiamo per la nostra eterogenea e rapidamente mutevole civilizzazione;
paghiamo con alte percentuali di delitti e di criminalità, coi conflitti della
gioventù, con il numero sempre crescente delle nevrosi, paghiamo con la
mancanza di una tradizione coerente, senza la quale lo sviluppo dell'arte non
può che soffrire. Ma ciò che paghiamo non deve farci dimenticare i nostri
profitti; anzi, dobbiamo valutarli accuratamente per non sentirci scoraggiati»40.

La condizione di sospensione in cui si trova l'adolescente si è ulteriormente


amplificata nell'ultimo decennio in quasi tutti i Paesi, perché la società spinge
i giovani a crescere rapidamente ma d’altro canto le possibilità di avere una
propria indipendenza scarseggiano.
In particolare in Italia questo processo è molto lento, data la carenza di servizi,
la diffusa disoccupazione e forme di occupazioni precarie.
È a questo sistema che bisogna far riferimento per capire il comportamento
degli adolescenti in generale e tutte le condotte problematiche che possono
mettere a rischio l'equilibrio psichico e sociologico dei ragazzi.

40 S. Bonino, Il fascino del rischio negli adolescenti, Giunti Ed., cit., p. 8.


72
Il fumo, l'uso di sostanze stupefacenti, l'abuso di alcol, gli atti vandalici,
rubare, sono tutti comportamenti che oggi, più che in passato, sono all'ordine
del giorno.

Per capire le funzioni dei comportamenti a rischio bisogna far riferimento ai


legami che l'adolescente ha con il suo contesto di vita. Le sue azioni a rischio
vengono utilizzate in un momento preciso della sua crescita, per raggiungere
scopi, seppur dannosi, gratificanti per esso. La costruzione di una propria
identità converge in due grandi raggruppamenti che sono: lo sviluppo
dell'identità stessa e la partecipazione sociale.
D'altro canto è opinione comune che nel periodo adolescenziale ci sia un
aumento delle condotte antisociali, che portano a comportamenti trasgressivi e
di contestazione. La sensazione che in quest'età l'aggressione o la violenza
aumentino, può essere rapportata al fatto che queste azioni “criminose” in
taluni soggetti persistono in forme visibili ed appariscenti.
A questo si deve aggiungere che con lo sviluppo delle capacità cognitive,
nell'adolescente gli attacchi possono essere organizzati con maggiore
precisione e più lesivi del solito.
Da statistiche effettuate, si evince che il comportamento aggressivo è più
individuabile nei soggetti maschi, in cui l'attacco fisico viene inteso come un
segno di forza, legato all'esigenza di fare “colpo” dinanzi al resto del gruppo.
Si trovano nella fascia d'età tra i sedici e i diciassette anni e sono caratterizzati
per lo più da una bassa inclinazione alla positività e da un'alta autosufficienza
nei confronti degli adulti, in particolare con i genitori. Infatti gli adolescenti
hanno la maggior parte delle volte un ruolo conflittuale con la famiglia di
appartenenza.
Nelle ragazze invece l'aggressione fisica e il vandalismo risultano collegati
prettamente all'abuso di alcol.

73
All'aggressione, perpetrata dalla gioventù, possono poi accompagnarsi anche
azioni come il rubare qualcosa o arrecare danni ad una proprietà, avendo così
come obiettivo, non la persona intesa in quanto tale, ma le cose da essa
possedute.
Nella società di oggi, in cui vale più l'apparire che l'essere, lasciare un proprio
segno “criminale”, come procurarsi tramite il furto dei beni di valore
simbolico o innalzarsi a “capo” di una banda di quartiere, sembra uno dei
modi per essere rispettati, sia individualmente che come gruppo.

Ma in questo sistema poi entrano in gioco delle congetture quali:

– Il confronto vantaggioso: il soggetto tende a confrontare la propria


azione con una peggiore in modo da percepirla meno negativa.
(“Non è poi così grave rubare oggetti di poco valore i un grande
magazzino, al confronto dei grandi furti commessi dai politici”);
– La distorsione delle conseguenze: il soggetto minimizza e selezione le
conseguenze positive o negative delle proprie azioni.
(“Si sono dai soltanto pochi cazzotti e nessuno si è fatto davvero
male”);
– L'attribuzione della colpa alla vittima: il soggetto tende ad attribuire le
colpe della sua condotta violenta alla controparte in modo da
giustificare la propria.
(“Se l’è proprio andata a cercare”);
– La deumanizzazione della vittima: il soggetto attribuisce
caratteristiche non umane alla vittima, per evitare i sensi di colpa.
(“Persone che ragionano così sono animali”);
– La diffusione della responsabilità: il soggetto distribuisce tra membri
diversi la responsabilità derivante dall’azione rischiosa.
(“lo fanno tutti”).

74
Sono tutti processi di auto-assoluzione che il giovane usa per giustificarsi, in
cui manca sicuramente la riflessione sulla coerenza delle proprie azioni e dei
propri principi.
Perché la maggior parte degli adolescenti si comporta in questo modo?
Una società moderna come la nostra, così all'avanguardia e altamente
tecnologizzata, non riesce comunque ad imporre un freno alla violenza che
accomuna questi giovani.
Ma che cos'è la violenza? Nel cercare una motivazione, è definita come una
declinazione del comportamento umano intenzionale, che può avere diversa
origine, a seconda della prospettiva da cui si analizza 41.

Prospettive che possono far riferimento ai rapporti familiari, in cui anche gli
adulti vivono forti conflitti che di conseguenza vengono scaricati all'interno
del nucleo familiare e maggiormente sui figli; la società che mette in mostra il
più delle volte il suo lato peggiore, che si riflette nell'adolescente, il quale non
ha ancora il senso critico delle cose; infine il fervore per la libertà e per il
rischio, a cui si aggiunge la violenza intesa come normalità, come mezzo per
risolvere i problemi che si presentano.
Ciò che chiamiamo devianza è vissuta quindi come una “norma”, però in una
rappresentazione “teatrale”. Il tipo di gruppo di coetanei frequentato sembra in
effetti essere un fattore centrale dell’insorgenza del Disturbo della condotta.
L’espressione è stata introdotta come categoria clinica autonoma in psichiatria
infantile per definire proprio quei bambini o giovani, più spesso maschi, che
hanno in modo costante come caratteristica peculiare del loro comportamento
atteggiamenti di tipo oppositorio-provocatorio, condotte aggressive verso
persone o animali o cose, e condotte antisociali come furti, vandalismo, fughe.
in età adolescenziale, questo disturbo ha origine dall’imitazione da parte
dell’adolescente del comportamento dei suoi pari.

41 F. A. Marinelli, Devianze e tecnologie educative e di contrasto, Libreria Universitaria Benedetti,


cit., p. 57.
75
È ben noto che, a partire dalla preadolescenza, il gruppo dei coetanei
rappresenta un fattore maturativo indispensabile sia all’allentamento dei
legami infantili famigliari che alla gestione e alla socializzazione delle proprie
pulsioni sessuali ed aggressive. Tuttavia, in alcune situazioni il gruppo perde
questa funzione propulsiva per diventare aggregazione patologica che si presta
ad un passaggio rapido e non pensato degli impulsi violenti dallo stato di
fantasia a quello di comportamenti agiti.
Quando la violenza è agita in gruppo è come se le individualità si
dissolvessero a favore di un’identità di gruppo vincolante, cui ciascuno
partecipa perdendo le proprie caratteristiche personali. Il rischio che questo
gruppo si trasformi in una banda deviante è alto soprattutto se gli adolescenti,
spesso guidati da un adulto, si organizzano in ambienti socialmente degradati.
Le bande giovanili di tipo delinquenziale presenti negli aggregati urbani
metropolitani sono un fenomeno quasi isolato. Solitamente, per i casi più
gravi legati a particolari contesti geografici, queste bande sono collegate ad
organizzazioni di stampo mafioso ed il loro operato deve essere rapportato
all’ipotesi delittuosa contemplata dall’Associazione mafiosa ex art. 416 bis del
codice penale.

In queste situazioni gli adulti sono al corrente delle potenzialità aggressive dei
bambini e dei ragazzi, e sono pronti a “organizzare” i loro comportamenti
violenti impulsivi. Così si spiegano la formazione del gruppo deviante e
delinquenziale, la vita di strada, l'uso di gerghi giovanili e di riproduzioni
grafiche per lasciare un segno e l'omertà che regna tra i ragazzi42.

42 F. A. Marinelli, Devianze e tecnologie educative e di contrasto, Libreria Universitaria Benedetti,


cit., p. 58.
76
Che cosa fare? Come trovare una risposta a tanta impulsività e aggressività nei
giovani?
Di certo esistono dei fattori di protezione, i quali possono in un certo modo
ridurre la probabilità di coinvolgimento, del ragazzo o della ragazza, in
comportamenti negativi. È grazie a questi fattori che adolescenti, che vivono
già in contesti non favorevoli, possono cercare di realizzare un percorso
positivo o comunque limitare i loro pericolosi interessi.
Ad esempio la famiglia rappresenta un fondamentale fattore di protezione, che
si compie con lo stile educativo messo in atto dai genitori, che non
considerano fuori luogo porre ai figli adolescenti delle regole e dei controlli
ben precisi. Di riflesso, i figli, in questo modo, possono contare su genitori che
non sono indifferenti alle domande e ai problemi che gli vengono presentati,
creando così dei punti di riferimento molto importanti. Da un lato le regole
provvedono ad un'autoregolazione del comportamento e incoraggiano la
progettualità a lungo termine, dall'altro il dialogo in famiglia garantisce la
fattibilità di aprirsi con i genitori, parlando di sé e del proprio futuro.

Un altro indispensabile fattore di protezione e spazio di realizzazione per


l'adolescente è la scuola, in cui giocano degli elementi che possono rafforzare
l'autostima dei giovani, come la soddisfazione per l'esperienza scolastica, il
benessere ed il successo scolastico. Molto utile è il lavoro degli insegnanti, i
quali devono potenziare l'efficacia dei ragazzi stessi e l'attitudine a risolvere i
problemi.
Infatti, sentendosi realizzati nel positivo cammino a scuola, anche nei
confronti delle aspettative sociali e familiari, gli adolescenti si mettono al
riparo dal cercare altre forme di auto-soddisfazione che possono sfociare in
condotte negative.

77
Anche la comunità può svolgere un ruolo di protezione, attraverso:

– La riduzione della spinta verso l'anticipazione dell'età adulta;


– La presenza di un ruolo educativo da parte degli adulti;
– La richiesta di comportamenti responsabili nei confronti della comunità
di appartenenza;
– L'offerta di spazi per la sperimentazione e la riflessione su di sé.

Infatti sono proprio gli adolescenti meno muniti sul piano della riflessione ad
essere poi coinvolti nei miti della pubblicità, delle mode o dei mass media, e
quindi ad incorrere in comportamenti rischiosi per se stessi e per gli altri.

Anche l'interessamento che l'adolescente esegue tramite alcune attività, come


la partecipazione a funzioni religiose od a gruppi organizzati, viene visto come
una funzione protettiva.

Tutti questi diversi fattori, sia a livello individuale che di condizione sociale,
delineano un profilo complesso ma nell'insieme coerente, poiché svolgono un
ruolo di protezione per gli adolescenti.
Si tratta di prevenire quindi, in modo tale che i ragazzi e le ragazze abbiano il
vantaggio di raggiungere gli obiettivi prefissati con comportamenti positivi e
vantaggiosi per la propria personalità.

78
Questi trattamenti, se presi singolarmente però, sono gravati da alcuni limiti:

– Vi è sempre un'ampia porzione di ragazzi che non rispondono


positivamente;
– Sono meno efficaci nei ragazzi più grandi;
– La generalizzazione è scarsa (ad esempio, non sempre la scuola fa
funzionare al meglio le capacità del soggetto);
– I risultati sono transitori.

Tutto questo ha portato ad individuare modelli terapeutici che tengano in


maggiore considerazione la natura multi-determinata dei comportamenti
violenti.

Il primo tipo di questi trattamenti è la terapia Multisistemica (Mst), che è un


intervento che tende ad agire sulla comunità e che non enfatizza gli aspetti
tecnici dei vari interventi. Esso enfatizza piuttosto il fatto che gli interventi
devono:

– Essere collocati nel contesto familiare e sociale;


– Agire sui punti di forza esistenti come leve per il cambiamento;
– Promuovere i comportamenti responsabili nei familiari;
– Focalizzare l'intervento sul presente, suggerendo azioni corrette a
riguardo di specifici problemi;
– Agire sui vari contesti che sostengono il problema;
– Fare programmi per la famiglia giornalieri o al massimo settimanali;
– Valutare l'efficacia dell'intervento in modo continuativo;
– Adeguare il trattamento a livello di sviluppo del ragazzo;
– Verificare il mantenimento a lungo termine dei risultati.

79
Il secondo tipo di trattamento è il Fast track program, dove Fast è l'acronimo
di Family and schools together. Si tratta di un programma sviluppato per far
fronte alle forme più gravi, prevedendo una terapia cognitivo-
comportamentale del ragazzo.
Il programma consiste nel monitorare costantemente lo sviluppo dell'identità e
dell'adattamento dell'adolescente, il funzionamento familiare, il grado del
coinvolgimento degli adulti, i risultati scolastici e le relazioni con i pari.

In definitiva, rispetto al comportamento violento si contrappongono due


logiche diverse: quella punitiva e quella riabilitativa.
Da una parte si sostiene che l'applicazione della pena favorisca la
responsabilizzazione e l'abbandono del modello delinquenziale; dall'altra si
sostiene che ogni sforzo va indirizzato verso il recupero di soggetti ancora
immaturi che hanno bisogno di essere educati alla responsabilizzazione
evitando l'ingresso precoce nel sistema penale.
La distinzione tra pena e cura affonda le radici nella possibilità di discriminare
tra la normalità, alla quale applicare le pene, e patologia, da indirizzare ad un
sistema di cura.
Spesso tuttavia si confonde il concetto di responsabilità con la capacità di
intendere e di volere. Raramente i ragazzi violenti non sono capaci di
intendere e di volere, ma hanno forti ritardi nell'assunzione di responsabilità,
se per quest'ultima si intende un atto soggettivo che implica la capacità di
assumersi un impegno all'interno di legami sociali positivi, di riconoscere le
conseguenze del proprio comportamento, di essere disponibile a sentire la
colpa e quindi di essere disponibile a riparare gli errori commessi.

80
Per concludere, Stanley Kubrick, regista del film “Arancia Meccanica”43, nel
1972 affermava:

«Certamente uno dei problemi sociali più difficili da risolvere oggigiorno è


come lo Stato possa mantenere il necessario grado di controllo sulla società
senza divenire repressivo. […] La domanda è: come è possibile, se ancora è
possibile, realizzare un equilibrio? Io non conosco la risposta»44.

Domanda a cui dobbiamo, in ogni caso, cercare di dare una risposta, perché
solo così facendo si può perseguire la verità sul mondo che riguarda i giovani
di oggi.

43 Film diretto da S. Kubrick nel 1971, il quale tratta di una società completamente in mano alla
violenza giovanile e al condizionamento della mente umana.
44 F. A. Marinelli, Devianze e tecnologie educative e di contrasto, Libreria Universitaria Benedetti,
cit., p. 70.
81
Dipartimento Giustizia Minorile
Servizio Statistica45
Ingressi e presenza media giornaliera negli istituti penali negli anni
2008/2009/2010

2008
IPM Nuovi Rientri Trasferime Trasferime Presenza
ingressi nti da nti da altri media
istituti per IPM giornaliera
adulti
Bari 47 26 5 66 25,9
Firenze 58 5 3 42 18,7
L'Aquila 12 - 1 20 11,2
Napoli 98 24 2 52 56,6
Milano 241 25 10 65 71,4
Palermo 74 23 1 46 32,4
Roma 130 12 6 49 52,2
Torino 130 9 12 28 38

2009
IPM Nuovi Rientri Trasferime Trasferime Presenza
ingressi nti da nti da altri media
istituti per IPM giornaliera
adulti
Bari 61 18 6 74 32
Firenze 65 8 3 36 21,4
L'Aquila 3 3 - 1 3,4
Napoli 122 46 1 46 61,7
Milano 157 32 11 58 66,7
Palermo 32 20 4 55 36,8
Roma 130 12 4 47 55,2
Torino 88 6 13 29 32,1

45
82
2010
IPM Ragazzi Italiani- Ragazze Italiane- Totale
Stranieri Straniere
Bari 25,9 0 25,9
Firenze 18,4 0 18,4
L'Aquila 0 0 0
Napoli
Milano 52,9 10,3 63,4
Palermo 29,4 0 29,4
Roma 39,2 11,1 50,4
Torino 24,8 6,1 30,8

83
2.1 Il Mito in Romanzo Criminale

«Ragazzi che imitano gli eroi negativi di Romanzo Criminale»;

«Quando il crimine diventa Mito. Da Gomorra a Romanzo Criminale, piccoli


criminali crescono»;

«Sgominata banda di giovanissimi con il Mito della Banda della Magliana».

Questi sono solo alcuni dei titoli che è possibile leggere quotidianamente, che
riportano cruente vicende perpetrate da giovani ragazzi e ragazze in nome
della Banda della Magliana e di Romanzo Criminale.
Di solito si tratta, comunque, di baby gang già con una carriera criminale ben
avviata, già integrate nella malavita prima dell'uscita di Romanzo Criminale,
capeggiate però da adolescenti che in quegli attimi si ritengono attori del male
e di successo, usando gli stessi pseudonimi del libro e fiction, come Il
Libanese, Il Dandi, Il Sorcio e molti altri ancora.
Ma la realtà ci dice che in questi casi non siamo su un set cinematografico, e
quando la televisione divulga modelli di comportamento negativi, può
succedere che in una scuola di Fiumicino, a Roma, una classe di bambini tra
gli otto e i nove anni comincino ad imitare i personaggi di Romanzo
Criminale, assumendo atteggiamenti da piccoli banditi, infastidendo gli altri
coetanei. Il caso si è risolto grazie all'intervento di genitori e insegnanti, i quali
hanno ripreso e corretto i comportamenti devianti, riuscendo a risolvere il
tutto.
È vero che in casi come questi le colpe dei bambini sono quasi nulle, dato che
non riescono a discernere e comprendere la complessità di un fenomeno
mediatico, ma quanto accaduto deve comunque far riflettere, visto che in certi
casi la realtà supera di gran lunga la finzione.

84
Infatti dopo l'arresto, sempre a Roma, di sei bulli tra i 18 e i 21 anni con il
mito della Magliana, accusati di estorsione, sequestro di persona, rapina, porto
abusivo di armi e lesioni aggravate, è intervenuto sul fatto l'ex sindaco di
Roma Gianni Alemanno, spiegando che specialmente la serie tv “Romanzo
Criminale” rischiava di creare dei miti all'interno della società, perché
personaggi troppo affascinanti ed attraenti.

«Non voglio criminalizzare nessuno ma serve una maggiore attenzione dal


punto di vista culturale»46.

D'altro canto Giancarlo De Cataldo, autore del libro “Romanzo Criminale”,


spronato nella conversazione pubblica, circa l'enfasi che la sua opera ha creato
tra i più giovani, ha tenuto a precisare che non c'è il rischio di creare eroi
negativi.

«I miei personaggi muoiono o finiscono per marcire in carcere. Nella realtà ex


leader della Banda della Magliana hanno avuto un futuro ben più roseo che
quello dietro le sbarre»47.

È pur vero che il telefilm e i suoi personaggi sono diventati oggetto,


soprattutto a Roma, di una mitizzazione al di fuori della normalità, che ha
prodotto altresì pagine pubbliche sui social network, come Facebook,
inneggianti la Banda della Magliana e gli attori di film e serie tv.
Nel 2007 è stato anche pubblicato un volume a fumetti intitolato proprio “La
Banda della Magliana” che racconta la vita criminale di questi uomini che
negli anni ’80 arrivarono a dominare Roma. Lo sceneggiatore Leonardo
Valenti, ne fa un ritratto poco indulgente sottolineando l’inutilità delle gesta
della Banda.

46 Per approfondimento, il Giornale.it, Eroi Negativi.


47 Dichiarazione rilasciata da Giancarlo De Cataldo a Giacomo Marinelli Andreoli, direttore di TGR
network.
85
Si è generato attorno a questo marchio perfino un merchandising, che include
capi d'abbigliamento, accendini ed altri gadget con stampati sopra i nomi e le
facce del Libanese, Freddo, Dandi, Bufalo e tutti gli altri componenti della
banda.

A riguardo Andrea Sartoretti, attore che interpreta nella fiction televisiva il


personaggio de Il Bufalo, precisa:

«La mitizzazione deriva, secondo me, da una glorificazione di un prodotto


fatto bene, curato fino all'ultimo dettaglio, con molta professionalità. Quando
il pubblico recepisce questo, succede che ti restituisce quell'amore e quella
passione, per cui poi è normale che sulle magliette e accendini ci finiscano i
volti o i protagonisti, i simboli di quel prodotto. […] E credetemi, il libro, il
film di Placido e la serie tv stessa sono molto romanzati»48.

Il processo di esaltazione era già iniziato con l'opera letteraria e di riflesso con
il seguente film di Michele Placido, tanto che “Romanzo Criminale” era
diventato un emblema di sicura attrazione, con Il Libanese e Il Freddo due eroi
(negativi) di enorme carisma. A completare il quadro esteriore dell'opera,
troviamo caratteristiche come sfrontatezza, pugno di ferro e sprezzo del
pericolo, che fanno presa sui più giovani.

Perché questi personaggi, però, vengono così idolatrati?


Andando più a fondo, nella ricostruzione letteraria e cinematografica, si
distingue come la carriera criminale rappresentata in questa storia, sia una
forma di riscatto sociale che di affermazione personale. Con i personaggi dalle
mille sfaccettature, è molto più semplice identificarsi, grazie anche a quel
codice morale che comprende alcuni degli affetti più importanti, come l'amore,
l'amicizia o il senso di appartenenza ad un gruppo, collegati però a quella
ribellione contro i poteri costituiti.
48 La vita in diretta, Intervista ad Andrea Sartoretti, Gli eroi negativi.
86
Infatti è poco probabile che il pubblico riesca ad identificarsi nel commissario
di polizia, che pur rappresentando il lato positivo della trama, non ha di certo
un ruolo da protagonista, un personaggio senza passato e senza bisogno di
riscatto, che non fa presa purtroppo sullo spettatore.

La capacità di De Cataldo, Placido e infine Sollima è stata quella di essere


riusciti a dare un forte richiamo narrativo alla figure principali della storia,
senza celarne i lati oscuri e violenti, svelando infine che le vere vittime sono
loro stessi.
Se di mitizzazione si può parlare, è di un genere che di certo non dovrebbe
invogliare all'imitazione, perché in Romanzo Criminale la malavita scelta dai
personaggi (così come nella realtà) non rende mai felici, anzi, porta nel giro di
poco tempo a bruciare la propria esistenza, quindi all'autodistruzione,
all'arresto e alla morte.

«Io a volte mi sento a disagio veramente perché ci sono persone che mi


conoscono, che sono quasi affascinati da tutto questo e a me, una cosa del
genere mette a disagio. Non riesco a capire cosa ci trovano di affascinante.
Posso capire la curiosità per una storia, scoprire uno spaccato di quello che
può essere stata la Banda della Magliana, però da lì a tramutarla in qualcosa
che crea quasi desiderio, lo trovo assurdo»49.

49 History Channel, Intervista a Renzo Danesi, Ex componente della Banda della Magliana.
87
Attori principali della Serie Tv “Romanzo Criminale”

Francesco Montanari, alias Alessandro Roja, alias


«Il Libanese» «Il Dandi»

Vinicio Marchioni, alias Andrea Sartoretti, alias


«Il Freddo» «Il Bufalo»

88
La Banda della Magliana – Il fumetto.
A cura di Leonardo Valenti, Simone Tordi e Stefano Landini, Ed.
BeccoGiallo

89
I busti raffiguranti i boss di «Romanzo Criminale»

La foto mostra i quattro busti dei personaggi della serie tv “Romanzo


Criminale” che sono stati disposti nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 2008 nel
quartiere EUR di Roma, di fronte al Palazzo della Civiltà Italiana.
A collocarli in quel determinato posto, sono stati ragazzi che, compiuto il
lavoro, hanno inneggiato cori come “Libanese uno di noi”.
Un atto vandalico o solo uno scherzo di cattivo gusto?
Nulla di tutto questo, perché i busti che rappresentano Il Nero, Il Libanese, Il
Dandi e Il Freddo, sono in realtà una forma di «marketing virale», ovvero una
campagna pubblicitaria che si basa sulla strategia di commercializzazione
della Rete, fondata sull'accattivante e, spesso, indiretta diffusione della
conoscenza di un prodotto entro gruppi omogenei di consumatori, che si fanno
essi stessi, volontariamente o involontariamente, propagatori del messaggio
pubblicitario50.
Il tutto per promuovere la serie Tv “Romanzo Criminale” che racconta le gesta
della Banda della Magliana.

D'altronde la trovata pubblicitaria non è stata ben accolta dal popolo romano,
50 Definizione di Marketing Virale, Enciclopedia Treccani.
90
soprattutto nella persona dell'ex sindaco Gianni Alemanno, che diede
immediata disposizione di rimuovere i busti degli attori-criminali.

Tuttavia possiamo affermare però che, anche tramite questo stratagemma, il


nome di “Romanzo Criminale” resta ancora impresso nella mente di quei
soggetti che trovano in questi personaggi dei modelli da seguire.

91
Corrispondenze dei personaggi della fiction con i banditi reali

▪ Il Libanese: Franco Giuseppucci - Il Negro

▪ Il Dandi: Enrico De Pedis - Renatino

▪ Il Freddo: Maurizio Abbatino - Crispino

▪ Il Bufalo: Marcello Colafigli - Marcellone

▪ Patrizia: Sabrina Minardi

▪ Fierolocchio: Libero Mancone

▪ Scrocchiazeppi: Edoardo Toscano - L'Operaietto

▪ Il Sorcio: Fulvio Lucioli - Il Sorcio

▪ Il Sardo: Nicolino Selis - Il Sardo

▪ Il Nero: Massimo Carminati

▪ Trenatadenari: Claudio Sicilia - Il Vesuviano

▪ Il Puma: Gianfranco Urbani - Il Pantera

▪ Nembo Kid: Danilo Abbruciati - Il Camaleonte

▪ Ricotta: Antonio Mancini - L'Accattone

92
▪ Ruggero Buffoni: Vittorio Carnovale - Il Coniglio

▪ Sergio Buffoni: Giuseppe Carnovale - Il Tronco

▪ Satana: Giovanni Girlando - Gianni Il Roscio

▪ Donatella: Fabiola Moretti

▪ Il Terribile: Franco Nicolini - Franchino Il Criminale

▪ Zio Carlo: Giuseppe Calò - Pippo Calò

▪ Il Secco: Enrico Nicoletti

▪ Il Larinese: Antonio Chichiarelli - Tony

▪ Prof. Renato Sargemi: Aldo Semerari

▪ Giudice Fernando Borgia: dottor Ferdinando Imposimato

▪ Remo Gemito: Mario Proietti - Mario Palle d'Oro

▪ Maurizio Gemito: Maurizio Proietti - Il Pescetto

▪ Don Mimmo: Raffaele Cutolo

93
3. Intervista ad Alfredo Sicilia

Alfredo Sicilia, romano di nascita, è figlio di Claudio Sicilia. Quest'ultimo, ex


componente della Banda della Magliana, è conosciuto come Il Vesuviano, per
le sue origini campane. È stato tra i primi della Banda a pentirsi, ma le sue
dichiarazioni cadono, inspiegabilmente, nel vuoto tra le mura dei Tribunali.
Senza protezione, Claudio Sicilia viene ucciso il 18 novembre 1991, da ignoti,
nella zona di Tor Marancia (Roma), all'interno di un negozio d'abbigliamento.

Il personaggio di Claudio Sicilia ha ispirato quello di Trentadenari nel libro


“Romanzo Criminale” di De Cataldo e nell'omonima serie tv di Sollima, a cui
ha preso parte anche il figlio, Alfredo Sicilia, il quale mi ha rilasciato
un'intervista.

● Oggi gran parte della critica considera la serie tv migliore del film. Qual è
secondo te il segreto del successo?

Il successo della serie tv, a mio avviso, è dovuto in primis alla scelta del
format televisivo, che ha permesso di poter raccontare una storia più
rappresentativa di quella che è stata la vera storia della Banda della
Magliana: questo senza nulla togliere al film di Michele Placido, riuscire a
raccontare comunque una storia di venti anni e personaggi alquanto diversi
tra loro in due ore è molto più complesso rispetto a due serie tv da dieci
puntate ciascuna.
Non solo, la scelta di questo format ha permesso anche di descrivere meglio i
personaggi principali e non: esempio lampante è il personaggio di mio padre
che nonostante sia stato uno dei personaggi di spicco della Banda, nel film di
Placido, è stato appena menzionato.
Concorrono poi al successo della serie anche la scelta di un cast sconosciuto
alla maggior parte del pubblico ma sicuramente di grande spessore, basti

94
pensare per esempio a Vinicio Marchioni che considero un grandissimo
attore.

● Tu sei romano. Quanto c'è di Roma in Romanzo Criminale? La città è la


vera protagonista?

C'è tanto di Roma secondo me, soprattutto per chi come me vive questa città e
conosce bene la storia. Quartieri storici come la Magliana, Trastevere
sembrano non essere mai cambiati, sembra sempre la stessa Roma di quegli
anni.

● L'ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, dichiarò che gli episodi di


violenza che si verificano nella capitale sono da imputarsi alla serie tv
"Romanzo Criminale". C'è veramente un rischio di emulazione?

Non credo. Indubbiamente film di questo genere soprattutto se ben riusciti


creano un'atmosfera euforica. Soldi facili, belle macchine, donne e potere a
chi non piacciono? Ma da qua a trasformarsi in veri e propri fatti di cronaca
ce ne passa.
Gli episodi di violenza sono dovuti al fatto che ancora esiste la banda della
Magliana, esiste con personaggi diversi e con un modus operandi soprattutto
diverso. Una Banda meno visibile rispetto al passato, ma sempre presente.

● A Roma è ancora vivo il ricordo delle vicende della Banda della Magliana?

Si è ancora vivo e credo lo sarà ancora per molto tempo, almeno fino a che
esisteranno certi personaggi legati in qualche modo alla Banda.

95
● Perché, secondo te, gli eroi al negativo sono i più affascinanti?

Come ho detto prima perché soldi facili, belle auto, macchine e oggetti di
lusso fanno gola a tutti.
Se consideriamo che oggi la maggior parte delle persone non arriva a fine
mese e ci sono tantissimi giovani disoccupati, è normale provare
ammirazione per questi personaggi.

● Cosa si potrebbe fare, dal tuo punto di vista, per prevenire la nascita o
comunque la crescita di queste baby-gang?

Indubbiamente maggior controllo del territorio da parte delle autorità e


applicazione delle leggi perché solo con la consapevolezza che se commetti
reato vai in galera si può prevenire la nascita o comunque la crescita di
queste realtà criminali.

● Tuo padre, in un lungo memoriale scritto a penna, affermava:"Mi


prendevano i rimorsi e telefonavo a dare informazioni quando vedevo i miei
figli [...] Mi chiedevo perché facevo quella vita". Hai un ricordo in particolare,
maturato negli anni, di tuo padre?

Ho molta stima di mio padre . Penso che ognuno nella sua vita fa le proprie
scelte , giuste o sbagliate che siano, e ne paga le conseguenze. Mio padre ha
scelto di fare il criminale è vero, ma ha pagato con la sua stessa vita per le
scelte prese. Nonostante tutto continuo ad avere un buon ricordo di mio padre,
e questo per me è la cosa più importante. Le persone poi possono giudicare o
pensare quello che vogliono a me non interessa.
Per onestà il memoriale lascia il tempo che corre, nel senso che penso che
mio padre abbia deciso di collaborare solo perché l'alternativa sarebbe stato
il carcere a vita.

96
Conclusioni

Ho scelto di trattare questo argomento perché lo ritengo importante dal punto


di vista criminologico e sociologico e quindi strettamente legato al mio corso
di studi e ai miei interessi personali.
Dal punto di vista criminologico la Banda della Magliana si presenta come la
più efferata organizzazione criminale con influenza capillare sulla città di
Roma che la storia ricordi. È esplicativa del mondo e del modo in cui agivano
i vari componenti della Banda e di ciò che è rimasto ancora sul territorio.
L'interesse dal punto di vista sociologico riguarda gli effetti e le conseguenze
che una tale banda può avere sulla società e sopratutto sui comportamenti dei
giovani, particolarmente sensibili o fragili, per i quali il reato diventa un
elemento di valutazione di potenza per raggiungere più facilmente certi scopi.
L'importanza data alla Banda, sia dai media che dagli scrittori, ha fatto da
cassa di risonanza per alcuni giovani particolarmente violenti.
Ci si chiede però chi sono questi ragazzi violenti. I fattori biopsicosociali, che
sono alla base di ogni comportamento umano, possono giocare ruoli diversi.
Un comportamento violento specifico in cui i fattori sociali sono
predominanti, è ad esempio quello di ragazzi che abitano in territori ad alta
densità criminale, che porta alcuni di loro ad assumere comportamenti violenti
come proprio stile di vita.
Per altri invece i gesti violenti sembrano dettati da un obbligo sociale che
permette loro di sopravvivere in una società dove è solo il caso a determinare
le scelte tra il bene e il male.
Al giorno d’oggi ha grande influenza sui giovani anche la violenza virtuale,
che rispetto alla violenza televisiva subita passivamente, richiede un intervento
interattivo.

97
Per prevenire questa deriva violenta non bisogna demonizzare il problema, ma
analizzarla per poter intervenire nell'interesse, non solo dei soggetti a rischio
ma dell'intera comunità.

98
Ringraziamenti

Desidero ringraziare il prof. Carretta e la prof.ssa Mancuso, relatore e


correlatrice di questa tesi, per la disponibilità e la cortesia dimostratemi.

Un sentito ringraziamento ai miei genitori e mio fratello, che, con il loro


costante supporto, anche nei momenti più difficili, mi hanno permesso di
raggiungere questo traguardo.

Desidero inoltre ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato per la stesura di
questa tesi: Fiorita, Dario, Alfredo, Silvia e Luca, i quali hanno collaborato in
maniera attiva.

Ringrazio anche Valentina, la nostra rappresentante, per aver risposto sempre


ad ogni mia domanda.

Un ringraziamento alla città de L'Aquila e alla facoltà di Scienze


dell'Investigazione che mi hanno fatto conoscere belle persone come Karen,
Gaetano, Alessandra, Noemi, Nicla, Ilaria, Francesca, Andrea T., Giovanni,
Marco, Luisana, Serena e molti altri ancora.

Non posso dimenticare Massimo, Camillo, Daniele e Pierluigi con cui ho


vissuto il 6 aprile 2009.

Un grazie speciale ad Andrea N. e Gabriele per la forte amicizia che ci lega e


per aver allietato le mie giornate aquilane dentro e fuori l'università.

Ed infine un grazie a me stesso.

99
BIBLIOGRAFIA

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2009.

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101

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