Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
TESI DI LAUREA
IN
Relatore: Correlatore:
Chiar.mo Prof. Chiar.ma Prof.ssa
Paolo Carretta Anna Maria Mancuso
Laureando:
Mariano Leonardo Giuseppe
(matricola: 182419)
INTRODUZIONE …................................................................................................... 2
CAPITOLO I
1. La nascita ….................................................................................................... 4
1.1 La totale conquista del potere …............................................................. 11
1.2 Il coinvolgimento nell'omicidio Pecorelli ….......................................... 16
2. La successione …......................................................................................... 19
3. L'espansione …............................................................................................. 26
4. La caduta ...................................................................................................... 35
4.1 L'implicazione di De Pedis nel caso Orlandi …..................................... 37
4.2 I processi …............................................................................................ 41
4.3 Il pentimento di Abbatino ….................................................................. 47
CAPITOLO II
CAPITOLO III
ROMANZO CRIMINALE
CONCLUSIONI …................................................................................................... 96
BIBLIOGRAFIA …............................................................................................ 99
2
Introduzione
3
Dall’insieme dei dati raccolti si evince quale fosse il contesto in cui hanno
operato, quale fosse il loro modo di agire e cosa è rimasto ancora oggi della
banda sul territorio romano.
4
CAPITOLO I
1. La nascita
Verso la fine degli anni Settanta, una nuova generazione criminale si fa largo
tra le strade di Roma. Sono ragazzi di borgata, molto violenti e disposti a tutto.
Franco Giuseppucci detto Il Negro e Maurizio Abbatino conosciuto come
Crispino danno vita a quella organizzazione criminale che, da un giornalista
di cronaca nera, sarà denominata Banda della Magliana 1.
Franco Giuseppucci nasce il 3 marzo 1947 a Roma nel quartiere Trastevere.
Data l’attività di famiglia viene soprannominato Il Fornaretto. Frequenta una
sala corse ad Ostia e qui impara che i criminali godono di grande rispetto.
Nel 1976 Giuseppucci comincia a stringere amicizie con il mondo criminale e
si offre di custodire delle armi nella roulotte di sua proprietà al Gianicolo. Ma
il piano si rivela un fallimento, poiché la polizia scopre tutto
l'equipaggiamento nascosto e lo arresta.
A Regina Coeli viene denominato Il Negro per la sua carnagione scura,
soprannome che gli rimarrà per tutta la vita.
1 La Magliana è il nome di una zona urbanistica al sud di Roma. Il suo nome deriva dal corso d'acqua
che vi scorre vicino. È stata costruita negli anni '60 sotto il livello del Tevere.
5
Le ricerche per rintracciare i responsabili del furto, portano Il Negro a un ladro
alle dipendenze di un giovane ed ambizioso criminale del quartiere Magliana:
Maurizio Abbatino detto Crispino, per via dei suoi capelli ricci. A quell'epoca
ha solo 23 anni ma è già un piccolo boss ed è famoso perché durante i colpi
non perde mai la testa ma rimane sempre freddo e lucido.
Giuseppucci conquistato dalla personalità di Abbatino ,invece di vendicarsi del
furto subito, sceglie di stringere un'alleanza con lui, il suo amico De Pedis e
quelli della Magliana per formare una batteria2.
L'intuito del Negro porta a proporre a Crispino di usare insieme quelle armi
per tentare un colpo che li possa arricchire davvero. Abbatino non ha dubbi e
accetta la proposta, nasce così la Banda della Magliana.
Ai tre, più avanti, si aggiungeranno altri compagni e fidati amici come
Marcello Colafigli detto Marcellone, Edoardo Toscano L'Operaietto, Claudio
Sicilia Il Vesuviano, Renzo Danesi ed altri ancora.
In quegli anni il sequestro di persona è una piaga che affligge la società
italiana infatti, solo nel 1977, ne vengono messi a segno più di cinquanta. È
con questa tipologia di crimine che Giuseppucci intende arricchirsi.
La vittima designata per il sequestro è il duca Massimiliano Grazioli Lante
della Rovere, facente parte di una famiglia il cui ceppo risale alla Roma dei
Papi. I possedimenti di questa famiglia rendono i Grazioli particolarmente
esposti ai rischi di un sequestro ma scelgono di condurre una vita normale,
senza scorta, tra la residenza di palazzo Grazioli e la tenuta di Settebagni.
Ad indicare al Negro il colpo della svolta è un amico di Giulio Grazioli, figlio
del duca, tale Enrico Mariotti. Quest'ultimo sembra un uomo per bene, è abile
nel camuffarsi negli ambienti che contano ma in realtà gestisce una sala corse
ad Ostia. Tra le sue losche amicizie c'è anche quella di Franco Giuseppucci,al
quale comunica tutti gli spostamenti del duca.
Il sequestro si compie la sera del 7 novembre 1977, quando due automobili
bloccano la Bmw del duca poco al di fuori della tenuta di Settebagni.
2 Nel gergo criminale, una struttura composta da un numero limitato di personaggi che si associano
per un delitto, dividono i proventi e poi si sciolgono per passare ad altre imprese.
6
«Al momento del sequestro a bordo della Fiat 131 rubata c'eravamo io, Emilio
Castelletti, Franco Giuseppucci e Marcello Colafigli. Sull'Alfetta c'erano
Renzo Danesi, Giovanni Piconi e Giorgio Paradisi», racconterà agli inquirenti,
15 anni dopo, Maurizio Abbatino3.
Giuseppucci affida intanto il duca a un gruppo di Montespaccato, in modo da
iniziare le trattative del riscatto.
Mariotti continua a interpretare la sua parte e consegna al figlio del duca un
apparecchio per registrare le telefonate dei rapitori. Ma è una trappola poiché
Mariotti stesso è il basista 4 del sequestro. Tramite questo pretesto tiene così
sotto controllo la famiglia e le mosse delle forze dell'ordine. La prima richiesta
da parte dei banditi è una cifra enorme, si tratta di dieci miliardi di lire ma le
trattative vanno avanti per mesi. La Banda non ha intenzione di arrendersi
anche quando i sospetti delle forze dell'ordine iniziano a ricadere su Enrico
Mariotti, il quale sentendo il fiato sul collo decide di sparire e rifugiarsi a
Londra.
Ora che la talpa non c'è più, Giuseppucci ha fretta di chiudere la trattativa e
riduce la somma del riscatto a un miliardo e mezzo di lire, minacciando Giulio
Grazioli, scelto per la consegna del denaro, di non fargli rivedere più il padre
se non avesse dato loro i soldi.
Il figlio del duca decide allora di mettersi in proprio senza l'aiuto della polizia
e così fa cambiare un assegno con la cifra richiesta dai banditi aspettando la
telefonata dei rapitori. Telefonata che arriva il 4 marzo 1978 e per Giulio
Grazioli comincia una vera e propria ricerca frenetica degli indizi lasciati dai
rapinatori per le periferie di Roma, evitando così che potesse essere seguito
dalle forze dell'ordine. Il figlio del nobiluomo arriva all'ultima tappa, ovvero
un parcheggio di fianco ad un cavalcavia sulla Roma-Civitavecchia e qui trova
la prova che aspettava prima di consegnare i soldi: la foto del padre vivo con
un quotidiano del giorno in mano. Avvicinatosi al ponte e sentendo da sotto
«L'ostaggio non venne mai rilasciato sebbene al momento del pagamento del
riscatto fosse ancora in vita. Il gruppo di Montespaccato ci informò del fatto
che aveva visto in faccia uno dei carcerieri, di tal che ci fu detto che non si
poteva fare a meno di ucciderlo. A questa decisione, la quale non fu nostra,
non ci opponemmo, in quanto l'individuazione dei complici poteva significare
anche la nostra individuazione»5.
Anche se l'esito finale non è quello che la Banda si aspetta, data la morte
dell'ostaggio, riescono comunque ad agguantare un miliardo e mezzo in
banconote da centomila lire, da dividere in due con la batteria di
Montespaccato e meno il 12% per trasformarli in franchi svizzeri puliti.
A questo punto, Franco Giuseppucci ha un'idea che cambia il panorama
criminale capitolino. Invece di dividere tutti i soldi tra i vari esponenti delle
batterie, se ne può prendere una parte e reinvestirla in altre attività criminali.
Infatti è sua la congettura di evitare la divisione a stecca para6.
La proposta viene accettata da Abbatino e la sua batteria della Magliana, così
come acconsente un altro gruppo del Tufello di cui fa parte Gianfranco Urbani
detto Il Pantera, che durante le sue detenzioni si è fatto molti amici tra i
calabresi della 'Ndrangheta e ci sta anche un altro gruppo che si muove tra le
nuove borgate tra Ostia e Acilia e di cui fa parte Nicolino Selis 7, che porterà in
5 Interrogatorio di Maurizio Abbatino del 25 novembre 1992. In particolare, A. Camuso, Mai ci fu
pietà: La vera storia della Banda della Magliana dal 1977 ai giorni nostri, cit., p. 30.
6 Nel gergo criminale è la stessa quota di bottino che viene diviso per ogni membro della banda,
indipendentemente da quello che ha fatto.
7 È di Nicolino Selis la prima idea di creare una grande banda su Roma. Nel 1975 si trova all'interno
del carcere di Regina Coeli e confessa a un altro detenuto, tale Antonio Mancini, la volontà di mettere
in pratica ciò che Raffaele Cutolo stava compiendo a Napoli con la sua Nuova Camorra Organizzata.
8
dote alla banda i legami con la Camorra. Il modo più veloce per moltiplicare i
guadagni è il traffico di droga e così Giuseppucci tesse una rete fitta e
organizzata per controllare ogni quartiere e in breve diventa l'unico fornitore
della città. L'organizzazione del gruppo è scientifica e capillare, infatti Roma
viene suddivisa in zone di competenza. I quartieri Testaccio e Trastevere
vanno a De Pedis, Giuseppucci e Abbruciati, alla Magliana e al Trullo restano
Abbatino, Sicilia e Danesi, ad Acilia ed Ostia troviamo Selis, Mancini e
Toscano, più tutti gli altri componenti della banda.
Così Giuseppucci diventa il dominatore indiscusso di tutto il territorio romano
e le sue idee portano all'organizzazione malavitosa il controllo totale dello
spaccio di stupefacenti nella capitale. La droga arriva alla banda attraverso
vari canali: dalla Sicilia, dalla Calabria, dal Cile, direttamente dalla Cina e
anche dal carcere. Gianfranco Urbani tramite un detenuto, usato dai magistrati
come interprete negli interrogatori, prende contatto con gli spacciatori stranieri
che non sanno come gestire la droga che arriva mentre loro sono dietro le
sbarre.
La droga arriva a Roma, a gestire lo spaccio è Fulvio Lucioli detto Il Sorcio.
Tutti gli spacciatori sono obbligati a rifornirsi da loro, pena la morte. Questo
sistema è lo stesso usato contro i rivali in affari.
Quindi una banda ben strutturata che potesse gestire tutte le attività criminose in autonomia. Patto che
poi verrà siglato con De Pedis, Abbatino e Giuseppucci.
8 Nuova Camorra Organizzata.
9
Singolare, in questo tragico avvenimento, è la storia di Antonio Chichiarelli
detto Tony, pittore che riproduce opere d'arte contemporanea e che lavora per
la Banda della Magliana, falsificando per loro soprattutto certificati e
documenti. Il 18 aprile 1978 viene ritrovato dalla polizia un comunicato delle
Brigate Rosse, il comunicato numero sette con il quale annuncia che il corpo
del presidente della DC si trova nel lago della Duchessa, in provincia di Rieti.
Quel comunicato è falso e lo ha scritto proprio Tony Chichiarelli, assassinato
in seguito il 28 settembre 1984 a colpi di pistola.
Oggi sembra certo che quel depistaggio gli fu ordinato dai servizi segreti per
cercare di smuovere la difficile situazione in cui si trovava il Paese.
La Banda intanto continua a muoversi per trovare il presidente Moro e
secondo la testimonianza di Maurizio Abbatino, viene anche fissato un
incontro con l'onorevole Flaminio Piccoli mandato da Raffaele Cutolo.
Tuttavia la collaborazione tra Giuseppucci e le più alte cariche dello Stato non
dà i frutti sperati poiché Moro viene ucciso il 9 maggio 1978 dalle BR.
Nel 1993 Cutolo, in un'intervista rilasciata in carcere, afferma che avrebbe
potuto salvare Moro (tenuto in ostaggio in un appartamento in via Montalcini),
dato che Nicolino Selis (uomo di sua fiducia e che in quel periodo abitava
vicino il palazzo in cui era sequestrato il politico) e Franco Giuseppucci
individuarono il covo delle Brigate Rosse. Dopo che Cutolo convocò il suo
avvocato Francesco Cangemi per trattare la liberazione di Moro con un
esponente della DC, il legale, nei giorni successivi, l'informò che non era
possibile percorrere questa strada. Cutolo, il boss camorrista, precisa che il suo
luogotenente, Vincenzo Casillo, gli fece pervenire un messaggio che precisava
di non interessarsi più alla vicenda Moro.9
Resta così un mistero del perché il presidente della DC sia stato abbandonato
alla sua sorte.
9 Cfr. F. Scottoni, Potevo salvare Moro, Articolo su La Repubblica, 12 dicembre 1993, Sezione
cronaca. Per approfondimento controllare su:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/12/12/potevo-salvare-moro.html
10
Il sequestro Moro permette a Giuseppucci di stringere un forte legame con
Nicolino Selis e i componenti della sua batteria di Acilia e Ostia, tra cui
Antonio Mancini detto l'Accattone, nato a Castiglione a Casauria il 4 febbraio
1948, il quale partecipa ai più efferati omicidi del gruppo.
11
1.1 La totale conquista del potere
Antonio Mancini entra dunque a far parte della più spietata compagnia di
fuoco della capitale, il gruppo di Giuseppucci che mira al racket delle
scommesse clandestine.
Il suo desiderio di grandezza deve fare i conti con Franco Nicolini, conosciuto
come Franchino Il Criminale (per la bassa statura e un carattere orrendo), che
gestisce gli ippodromi di Roma, con base a Tor di Valle, al confine con la
Magliana. Nicolini è un vecchio e acerrimo nemico di Mancini e Selis.
Proprio quest'ultimo schiaffeggiato da Nicolini durante una precedente
detenzione al carcere di Regina Coeli.
11 A. Camuso, Mai ci fu pietà: La vera storia della Banda della Magliana dal 1977 ai giorni nostri,
cit., p. 164.
13
Questo omicidio segna un momento di unità operativa tra gli esponenti della
Banda della Magliana ed esponenti del terrorismo nero12.
Ad ammazzare il giovane tabaccaio, infatti, non è stato un componente della
banda romana ma, secondo le testimonianze di alcuni pentiti, un certo
Massimo Carminati, un giovane fascista facente parte dei Nuclei Armati
Rivoluzionari.
I NAR sono terroristi di estrema destra che negli anni Settanta mettono a ferro
e fuoco la capitale. Sono figli della Roma bene e tra i capi distinguiamo
Valerio e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro e Massimo Carminati.
Inoltre tra il 1977 e il 1981 i NAR uccidono 33 volte, per di più Valerio
Fioravanti e Francesca Mambro verranno condannati per la strage di
Bologna13.
Giuseppucci e Carminati si conoscono nel 1977, in uno dei bar controllati
dalla Banda e tra i due c'è subito una forte intesa e rispetto reciproco, tanto che
il rivoluzionario diventerà nel giro di poco tempo uomo fidato del Negro.
Carminati capisce allora che si può servire della Banda per raggiungere i suoi
fini politici, di eversione e di destabilizzazione.
Amato ancora non sospetta invece di avere tra le mani il boss più violento
della mala romana: il capo della Banda della Magliana.
Ora il rischio per Giuseppucci e la sua Banda è altissimo, perché un giudice
incorruttibile può arrivare alla verità.
Sei mesi più tardi però le indagini che il giudice Amato conduce sul criminale
si interrompono nel sangue.
Il 23 giugno 1980, Mario Amato viene crudelmente ucciso in un agguato in
viale Ionio, a freddarlo sono due sicari dei NAR.
Per Giuseppucci questa è una notizia inattesa che per lui significa libertà.
«Dalla mattina alla sera era tutto un toccare palmo per palmo gli angoli di
Roma, alla ricerca di questi Proietti»15.
17
Dalla Chiesa.
«Giuseppucci disse che tale richiesta era stata fatta da Pippo Calò, che era in
contatto con Danilo Abbruciati e lui. Aggiunse inoltre che Pecorelli era un
giornalista che aveva fatto troppe indagini e stava ricattando un personaggio
politico»16.
19
2. La successione
Da allora abbiamo in rapida successione una serie di omicidi che segnano gli
anni tra ottobre del 1980 e il 1983.
Il primo tentativo scatta appena sei giorni dopo la morte di Giuseppucci e nelle
mire della Banda finisce Enrico Proietti, Il Cane. La sua unica colpa è quella
di essere cugino dei sicari del Negro.
Abbatino e tre dei suoi commettono però un errore: uno scambio di persona.
Sul litorale romano sparano ad una vettura fuori da una villa ma le vittime
dell'agguato non c'entrano niente, sono solo due sfortunati passanti.
Un mese più tardi, il 27 ottobre 1980, la Banda ci riprova e sorprende Il Cane
vicino casa sua, gli sparano mentre è in compagnia di sua moglie, ma scampa
miracolosamente all'assalto rifugiandosi tra due automobili.
20
Lo sanno tutti che sono stati quelli della Magliana ma ancora una volta la
polizia ne ignora l'esistenza.
L'occasione per saldare il conto arriva due mesi più tardi, in una serata di
dicembre quando Mario Proietti viene avvistato a Ponte Milvio. Abbatino
questa volta non vuole sbagliare ma il perseguitato riesce ancora a mettersi in
fuga tra le raffiche di mitra sparate. È l’ennesimo errore.
Quella che tesse Abbatino è una rete fittissima ma i Pesciaroli sanno muoversi
anche attraverso le maglie più strette e un altro, ancora una volta, paga al posto
loro. La vittima è Orazio Benedetti, detto Orazietto, ucciso perché è un uomo
del clan dei Pesciaroli.
«Orazietto ha fatto una morte stupida perché dopo che era stato ucciso
Giuseppucci lui aveva brindato e gioito per la sua morte. Questa cosa è stata
riportata a noi e lo abbiamo aggiunto alla lista dei cattivi. L'incarico se lo
presero Edoardo Toscano e Renatino De Pedis. Edoardo quando è entrato nel
locale gli ha sparato due o tre colpi in testa e se n'è andato»18.
Con l'inizio del nuovo decennio l'Italia cambia pelle. Le violenze di piazza, la
lotta armata e il terrorismo degli anni Settanta stanno volgendo alla
conclusione. In aggiunta, il Parlamento italiano vota l'approvazione del
decreto sui pentiti19, un freno per le organizzazioni terroristiche.
Così il giro di vite delle forze dell'ordine può stringersi anche intorno a quelli
della Magliana, che, nella caccia ai Proietti, hanno lasciato dietro di loro
troppo sangue che rischia di condurre gli inquirenti sino ad essi.
Abbatino concede una tregua ai Pesciaroli, anche perché intanto lo preoccupa
una nuova e più subdola minaccia: Nicolino Selis, che trama per scalzare
Crispino dal comando.
È nel manicomio di Aversa che Nicolino Selis conosce lo spietato boss della
Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, il quale guida un esercito di
cinquemila uomini reclutati nei lunghi anni di detenzione. Per il vecchio boss,
il giovane sardo diventa l'allievo prediletto.
22
Solo nell'estate del 1978 le strade del Sardo e dei giovani malavitosi romani si
incrociano per viaggiare insieme, alleanza sancita con l'omicidio di Franchino
Il Criminale.
Selis dimostra subito la sua spavalderia e nei mesi seguenti ordina ai
Maglianesi esecuzioni per suoi conti personali, come l'omicidio di Sergio
Carrozzi.
Dopo due anni, nel 1980, le strade di Roma si riempiono di polvere bianca 20 e
cadaveri e a controllare lo spaccio di sostanze stupefacenti sulla capitale è solo
la Banda della Magliana, con ogni boss che comanda la sua zona di pertinenza
e a tenere unite le fila dopo la morte del Negro, ci pensa Maurizio Abbatino.
Le indagini della polizia arrivano a incastrare solo qualche piccolo spacciatore
ma nessuno sospetta di un'unica tentacolare organizzazione che agisce su
Roma. Finché restano uniti, i Maglianesi non hanno nulla da temere.
In questo contesto Nicolino Selis la pensa diversamente. Nei primi anni '80
Abbatino e gli uomini della banda sono impegnati a dare la caccia ai Proietti
mentre Selis è di nuovo rinchiuso in carcere, luogo in cui è capace di stringere
affari meglio che altrove.
Incurante di cosa pensino gli altri, Selis si autoproclama capo assoluto della
Banda.
Chiuso nel manicomio criminale di Aversa, invia i suoi ordini su come gestire
gli affari all'esterno, quanto gli devono i suoi alleati e chi deve essere
eliminato.
Selis ha perso la ragione e si muove su un limite pericoloso. Come ultimo atto
tratta una partita di eroina tenendone due chili per sé e solo uno per gli altri.
Il tradimento va punito ma bisogna aspettare che Raffaele Cutolo sia fuori dai
giochi perché fino a quando la Camorra lo protegge, Nicolino Selis è
intoccabile.
24
Nicolino Selis muore a 29 anni, ucciso come un cospiratore e trattato da
infame. Il suo corpo sepolto sotto l'argine del Tevere non verrà mai più
ritrovato.
Ora che Abbatino si è liberato del suo rivale, può riprendere la caccia ai
Pesciaroli.
Crispino sa però che la polizia lo sta cercando perché i sospetti per l'omicidio
di Leccese e la scomparsa di Nicolino Selis girano intorno a lui. Allora compie
uno dei gesti più eclatanti che potesse fare.
Il 2 marzo 1981 si presenta di sua spontanea volontà in questura e dichiara di
essere estraneo ai fatti, fornendo alibi e spiegazioni concrete per essere
lasciato libero e di fatti viene rilasciato.
Ora può riprendere la guerra con i Proietti e ha intenzione di farlo nella
maniera più spettacolare. Questa volta le sue braccia da fuoco saranno:
l'affidabile Antonio Mancini e Marcellone Colafigli, fedelissimo di
Giuseppucci.
Il 16 marzo 1981 Mario Proietti detto Palle d'Oro, sua moglie e i loro tre
bambini stanno camminando sul marciapiede di via Donna Olimpia, a
Monteverde e poco dietro di loro Maurizio il Pescetto e sua moglie. Nel
momento in cui tutta la famiglia sta entrando in un palazzo, Mancini e
Colafigli accelerano il passo, infilano i passamontagna e cominciano a sparare.
Maurizio cade morto subito dopo i primi colpi e vengono feriti anche il fratello
Mario e le rispettive consorti.
Proprio in quel momento passa un'auto della polizia e gli agenti vedono i due
aggressori che cominciano a sparare contro le forze dell'ordine, salgono le
scale, entrando infine in un appartamento. È l'unica via di fuga che resta a
Mancini e Colafigli. Da lì chiamano il bar di via Chiabrera 21, dove si trova il
resto del gruppo, per avvertirli che sono nei guai.
«Io mi sono consegnato per primo e ho tirato la pistola fuori dalla porta e mi
sono saltati addosso. Colafigli invece non voleva mollare la pistola e
gliel'hanno dovuta strappare dalle mani i poliziotti però continuava a chiedere
se Pescetto era morto, perché era un infame e aveva ammazzato Franco...» 22.
27
Agli inizi del 1980, il tempestoso Abbruciati controlla il traffico di
stupefacenti nella zona di Testaccio, un quartiere di Roma adagiato sulle
sponde del Tevere.
Alla fine degli anni Settanta, Testaccio è un quartiere popolare. Cresciuto
all'ombra del “Monte dei cocci”, la più antica discarica romana, Testaccio è
popolata in gran parte da contadini e operai e la notte diventa territorio franco
per ogni genere di traffico.
A vegliare su questi traffici ci sono i boss De Pedis e Abbruciati e la droga che
riversano sulle strade del loro quartiere proviene da organizzazioni mafiose di
tutto lo stivale, come l'eroina che arriva dalla cosca siciliana di Cosa Nostra.
Il principale fornitore della banda infatti è il boss Stefano Bondate, il quale
agisce sulla capitale attraverso il suo luogotenente Pippo Calò, conosciuto
come il cassiere della mafia. A lui spetta riciclare il denaro sporco in attività
lecite ed è sempre lui il tramite con la mafia dei colletti bianchi 23.
Gli affari tra il gruppo romano e Cosa Nostra proseguono indisturbati fino al
1981, quando il 23 aprile a Palermo viene ucciso Stefano Bondate, vittima
della seconda sanguinosa guerra di mafie che vede l'ascesa dello spietatissimo
Totò Riina.
Quella che si consuma in Sicilia è una vera e propria carneficina, infatti a
centinaia cadono sotto i colpi dei corleonesi. Ma è anche un duro attacco allo
Stato, che trova il suo apice nell'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, inviato come prefetto a Palermo per contrastare la mafia.
Intanto Pippo Calò, uomo dell'ormai trapassato Stefano Bondate, si allea ai
corleonesi e ha salva la vita.
29
Cominciano ad esserci sospetti, odio e rancore perché i Testaccini stanno
prendendo una strada che non è quella che tutti insieme avevano deciso
dovesse essere per la loro organizzazione e chiaramente questa tendenza alla
frantumazione rappresenta l'inizio di una guerra all'interno dell'intera Banda.
Quella che fino a poco tempo prima era un'organizzazione compatta e solida,
si piega ai desideri dei singoli gruppi, che ora si studiano con reciproco
sospetto, con Abbatino che non resterà a lungo a guardare indifferente gli
affari dei suoi ex compagni, aspettando il momento giusto per la resa dei conti.
A intralciare i piani di Crispino è però un'imprevista indagine di polizia.
Il 27 novembre 1981, gli agenti della Digos fanno irruzione al Ministero della
Sanità, nel cui sottoscala, la Banda della Magliana, ha nascosto il proprio
arsenale. È un duro colpo e intanto il custode, Biagio Alesse, viene arrestato.
Vengono individuati come suoi complici Marcello Colafigli, già in carcere dal
16 di maggio e Maurizio Abbatino, arrestato il 14 ottobre con in tasca una
pistola proveniente dall'arsenale che custodiva Alesse.
30
possibile e viverlo da padroni.
È l'inizio del 1982, Abbatino è di nuovo fuori, libero di regolare il conto
aperto con il Camaleonte, un tempo alleato e ora rivale. Tra i due è in atto una
guerra fredda, Testaccini e Maglianesi devono dimostrare la loro egemonia al
resto della malavita romana e continuano a farlo con i soliti metodi.
Il 18 gennaio 1982 viene ritrovato, in un cantiere edile sulla via Ostiense, un
cadavere carbonizzato. Il corpo appartiene al trentunenne Massimo Barbieri,
un vecchio conto da saldare per Danilo Abbruciati.
Un mese dopo, Crispino ordina l'esecuzione di Claudio Vannicola, detto la
Scimmia, uno spacciatore che non vuole rifornirsi dalla Banda della Magliana
giudicandola finita. È un pessimo errore di valutazione che viene regolato il 23
febbraio 1982, quando Vannicola viene ucciso dai pallettoni di un fucile a
canne mozze all'interno di una sala giochi.
Massimo Barbieri e Claudio Vannicola sono omicidi commessi per punire chi
si era messo contro l’organizzazione.
Agli inizi degli anni Ottanta, un altro scandalo senza precedenti scuote le
coscienze degli italiani. A Castiglion Fiboccho, in una villa in provincia di
Arezzo, la Guardia di Finanza trova un foglio di carta destinato a cambiare la
storia della Repubblica italiana. Un mistero rimasto chiuso per anni nella
cassaforte dell'imprenditore Licio Gelli.
31
Inoltre dopo pochi giorni, Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano,
viene arrestato e processato. Nelle liste della P2 c'è anche il suo nome e
l'accusa è grave perché secondo gli inquirenti, Calvi con la sua banca avrebbe
appoggiato le attività economiche della loggia di Gelli.
Un groviglio di denaro riciclato ed interessi privati, nascosto in società
fantasma estere che coinvolge anche Cosa Nostra e istituti insospettabili come
lo IOR24.
È un mistero ancora fitto che consegnerà Roberto Calvi alla storia con il nome
Banchiere di Dio.
Di seguito, quello che è stato dimostrato, ovvero quello che la Corte d'Assise
ha accertato, è che Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano sono stati veicolo di
attività di riciclaggio immesso da soggetti appartenenti all'organizzazione
Cosa Nostra.
33
rimane, purtroppo, senza risposta.
Ancora una volta però Il Camaleonte ha agito senza informare il resto del
gruppo e per Maurizio Abbatino, i Testaccini si sono comportati di nuovo da
traditori.
Per Crispino non c'è più tempo per rimandare la resa dei conti con l'ormai
gruppo rivale, adesso guidati da Renatino De Pedis. Ma mentre le due bande si
preparano a uno scontro aperto, la polizia ormai è sulle loro tracce. Accecati
dall'ambizione e dalle lotte di potere, i ragazzi della Banda non si sono accorti
che i tanti omicidi compiuti hanno tracciato il sentiero che porterà le forze
dell'ordine fino ad essi. Così il cerchio della giustizia si stringe intorno alla
Banda della Magliana, anche se i potenti boss ancora non sanno di avere i
giorni contanti.
34
anche nel processo sulla strage di Bologna.
Per capire come la giustizia sia arrivata alla Banda, bisogna tornare a due mesi
prima, esattamente alla mattina del 15 ottobre 1983, perché in questa data
Fulvio Lucioli è a colloquio con un Pubblico Ministero e un commissario della
narcotici.
Il Sorcio comincia una confessione fiume parlando di estorsioni, sequestri di
persona, omicidi mai risolti e traccia le linee di un unico disegno criminale,
un'organizzazione che regna indisturbata su Roma grazie all'appoggio di
politici, mafiosi e uomini potenti.
«C'era poco da ridere perché la situazione era più che seria. Ho pensato che
era un brutto affare, perché già i capi d'accusa lasciavano presupporre che
sarebbe passato del tempo, molto tempo»25.
Il boss che tiene ora le fila dell'organizzazione, l'unico che può salvare la
Banda o portarla a una fatale guerra intestina è il testaccino Enrico De Pedis.
Da lui, adesso, dipendono i destini di tutti i componenti della Magliana.
Fin da giovanissimi, i compagni di strada lo chiamano Renatino, perché
sempre attento al proprio look, curato ed elegante.
«De Pedis era a modo suo un megalomane, ma un megalomane bello […] Era
un principe Renato, d'animo e di modi. Io avevo tutto da imparare, era un
uomo ambizioso e chi gli stava vicino, se voleva, poteva migliorare a sua
volta»26.
Renatino ha poco più di vent'anni quando la sua strada si incrocia con i ragazzi
della Magliana. Per un giovane ambizioso criminale come lui, la banda di
Giuseppucci rappresenta l'occasione giusta per sottrarsi alla povertà e al
degrado della periferia.
In pochi anni diventa il boss di Testaccio e sotto il suo rigido controllo è
organizzato lo spaccio di droga nella zona. Ma non basta perché De Pedis
vuole sempre di più.
Per ottenere ciò che vuole, nei primi anni Ottanta, Renatino coltiva le amicizie
giuste per reinvestire il denaro sporco in attività lecite, come negozi, imprese
edili e locali. Diventa un bandito dal volto pulito, un imprenditore rampante.
In quel periodo, il motore della ripresa italiana è nelle idee di una nuova classe
politica e del suo uomo simbolo, il leader del PSI 27 Bettino Craxi. La sua
ascesa spezza il lungo corso del monopolio democristiano e introduce una
politica più mirata allo sviluppo finanziario del Paese. Tuttavia con il rovescio
della medaglia maturano le condizioni per lo sviluppo della mafia dei colletti
26 History Channel, Intervista a Fabiola Moretti, Ex componente Banda della Magliana ed ex
compagna di Danilo Abbruciati.
27 Partito Socialista Italiano.
36
bianchi e la convivenza tra imprenditori, politici e faccendieri diventa una
prassi comune.
L'abilità di De Pedis sta proprio nel cavalcare quest'onda e in poco tempo
riesce egli stesso a sedere al tavolo di finanzieri, politici e alti funzionari
ecclesiali. I rapporti con quest'ultimi probabilmente iniziano proprio dalle sue
varie detenzioni, che lo mettono in contatto con personaggi del mondo
ecclesiale. Ovviamente questi collegamenti con alcuni esponenti religiosi
appaiono del tutto sproporzionati al ruolo e alla figura pubblica di De Pedis,
che è pur sempre un pregiudicato o comunque un soggetto coinvolto in
vicende giudiziarie.
I rapporti tra Renatino e le alte sfere del Vaticano sono ancora oggi al centro
delle indagini degli inquirenti per questioni riguardanti la misteriosa
scomparsa di Emanuela Orlandi.
37
4.1 L'implicazione di De Pedis nel caso Orlandi
28 Contenuto della telefonata anonima arrivata alla redazione del programma televisivo Chi l'ha
visto? nel 2005. In seguito, l'autore della chiamata, sarà identificato in tal Giuseppe De Tomasi,
malavitoso romano vicino ai Testaccini e stretto collaboratore di Enrico De Pedis.
38
Il 6 marzo 1990 il Monsignor Vergari sostiene in una lettera quanto segue:
«Si attesta che il signor Enrico De Pedis […] è stato un grande benefattore dei
poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante
iniziative di bene […]»29.
Quattro giorni dopo il cardinale Ugo Poletti, Vicario della diocesi di Roma,
rilascia l'autorizzazione alla sepoltura di De Pedis all'interno della Basilica. Il
24 aprile la salma viene tumulata e le chiavi del cancello consegnate alla
moglie dell'ormai defunto boss della Magliana.
L'inchiesta sul rapimento della Orlandi si riapre solamente nel 2008 e la strada
da seguire sembra definita dalle rivelazioni della pentita ed ex amante di De
Pedis, Sabrina Minardi, la quale ha più volte affermato che Renatino avrebbe
eseguito il sequestro della ragazza per ordine dell'allora capo dello IOR,
monsignor Paul Marcinkus30 e tenuta prigioniera in un sotterraneo nel
quartiere di Monteverde.
Sebbene le dichiarazioni della Minardi siano state ritenute incoerenti dai
giudici, anche a causa dell'uso abitudinario di stupefacenti, gli investigatori
hanno provato a riaprire il caso, trovando effettivamente il sotterraneo, ma
senza arrivare a nulla di concreto.
Quanto affermato dall'amante di De Pedis viene in un certo modo riscontrato
anche nelle parole di un altro pentito della Banda della Magliana, Antonio
Mancini detto l'Accattone: «Si diceva in carcere che la ragazza era robba
nostra. Che l'aveva presa uno dei nostri […] è opera della Banda della
Magliana, di quelli di Testaccio […] per una questione di denaro che si collega
all'attentato di Rosone […] per recuperare i soldi che la banda aveva investito
su Calvi […] e visto e considerato che i soldi non tornavano, allora, per far
capire che chi aveva investito, cioè De Pedis, non si sarebbe fermato davanti a
niente, stabilirono di portare via questa ragazzina»31.
29 Y. Selvetella, Banditi, criminali e fuorilegge di Roma, Newton Compton Editori, cit., p. 109.
30 M. Bisso, G. Gagliardi, Caso Orlandi, parla la superteste: “Rapita per ordine di Marcinkus”,
Repubblica.it, 23-06-2008.
31 A. Camuso, Mai ci fu pietà. La vera storia della Banda della Magliana, Castelvecchi Rx, cit.,
pp.149-150.
39
Dichiarazioni a cui fanno seguito, nel 2009, quelle di Maurizio Abbatino,
anch'egli divenuto collaboratore di giustizia, secondo cui Emanuela Orlandi è
stata scelta come arma del ricatto, per un grande prestito elargito dalla Banda
allo IOR e che non è tornato indietro32.
In seguito a tutte queste rivelazioni, il 14 maggio 2012, per allontanare il
dubbio che nella tomba di Renatino fossero sepolti i resti dell'Orlandi, i
magistrati incaricati hanno disposto l'esumazione del corpo del boss, che è
stato identificato attraverso i rilievi del DNA e l'analisi delle impronte digitali.
È giusto specificare che all'interno della bara non sono stati ritrovati resti di
terze persone anche se, in una stanza di fronte la cripta, è stato abbattuto un
muro dietro il quale è stato ritrovato un ossario risalente al Settecento, con
almeno duecento cassette, le quali saranno esaminate per scoprire se
nascondono le ossa di Emanuela Orlandi.
Le indagini di questo ennesimo mistero italiano sono ancora in corso e nulla
può spiegare in modo certo e definitivo l'enigmatica scomparsa della ragazza,
avvenuta trent'anni fa. Non è possibile nemmeno spiegare perché il boss di
Testaccio sia stato sepolto per così tanti anni a fianco di cardinali e vescovi.
Per i familiari è stato l'ultimo vezzo di un Dandi, così ricco da diventare un
benefattore per la Chiesa.
Ciò che è certo è che nel 1983, quando Emanuela Orlandi scompare e quando
tutti gli uomini della Magliana vengono arrestati, Enrico De Pedis è un boss
dalle mille sfaccettature. Il suo impero economico l'ha reso il più agiato tra gli
uomini della Banda e ha imparato a gestire gli affari solo per i suoi interessi
personali e questo ai suoi compagni di strada non piaceva affatto.
32 Per approfondimento: «È stato Renatino a rapire la Orlandi», articolo Corriere della Sera,
28/12/09.
40
Piantina della tomba di Enrico De Pedis
41
4.2 I processi
Durante le prime udienze in tribunale, gli imputati entrano uniti, dando così un
segno di sicurezza e di sfida a chi li vuole rinchiudere in galera. In realtà,
dietro quella sfrontatezza, i banditi nascondono sospetti, rancori e gelosie
reciproche.
Maurizio Abbatino è però disposto a tutto pur di uscire dal carcere e ai
compagni spiegherà che è l'unico modo per garantire la salvezza di tutti.
Negli anni Abbatino ha imparato un modo per sottrarsi alla detenzione, quello
di usare il proprio corpo come cavia. Infatti si è iniettato sangue infetto, si è
sottoposto a biopsie, gastroscopie e operazioni di ogni tipo. Tutto per essere
trasferito in case di cura, dove la sorveglianza è certamente più blanda. Questa
volta i medici che ha corrotto gli procurano nuove false prove. Con uno
scambio di vetrini, Crispino ottiene una finta diagnosi: tumore allo stadio
terminale. Ma non basta, perché la messa in scena deve essere perfetta e il
bandito trova il modo di disertare udienze e interrogatori o presenziare, al
massimo, in barella accompagnato dall'ambulanza.
La sua strategica farsa lo porta ad essere ricoverato a Villa Gina, casa di cura
sita in Roma. Così inizia per Crispino un lento e inesorabile allontanamento
dalla Banda e questo ai compagni di strada non piace, soprattutto per il modo
in cui si sottrae alle responsabilità di un capo.
I giovani banditi, abbandonati dal loro storico boss, si rivolgono allora a
Renatino De Pedis, l'unico ad avere le carte giuste per deviare il corso della
giustizia. Ma non tutti si fidano di lui, come Edoardo Toscano, L'Operaietto,
che rischia l'ergastolo e accusa De Pedis di non aver fatto abbastanza per
trovare gli avvocati giusti.
42
Le accuse reciproche vanno avanti per tutto il processo, fino al giorno della
sentenza. In aula i ragazzi della Banda non entrano più uniti, a dividerli è un
rancore che presto tracimerà in violenza.
Il 23 giugno 198633, a quasi tre anni dalla prima deposizione di Fulvio Lucioli,
la sentenza della Corte d'Assise, condanna in primo grado 37 dei 60 imputati.
È una sentenza mite, che riconosce principalmente la colpevolezza per il
traffico di stupefacenti. Così quasi la metà degli uomini della Banda torna a
piede libero, incluso De Pedis.
La condanna più pesante invece va proprio ad Edoardo Toscano che dovrà
scontare vent'anni di carcere per omicidio.
La prima battaglia con la giustizia sembra vinta, ma una nuova minaccia è in
arrivo da un affiliato che fin'ora ha agito nell'ombra. Si chiama Claudio Sicilia,
conosciuto da tutti come Il Vesuviano, per le sue origini campane. È uno dei
pezzi grossi della Banda ed è tra i pochissimi scampati alla retata del 1983,
prendendo così in mano le redini dell'organizzazione e del patrimonio di tutta
la Magliana.
Tale reggenza però finisce all'improvviso nell'autunno del 1986, il 17 ottobre
Sicilia è sorpreso, dalle forze dell'ordine, in un appartamento della Garbatella
con armi e droga. Ad attenderlo in questura c'è un giovane commissario
destinato a fare carriera: Niccolò D'Angelo.
«Eravamo l'uno di fronte all'altro e presi un pezzo di carta con una penna e fui
investito da una valanga, una valanga di nomi, di fatti, di circostanze»34.
Claudio Sicilia teme per la sua incolumità e decide di parlare. Conferma così i
racconti degli altri pentiti e aggrava la posizione dei compagni con nuove
accuse. Infatti è lui a parlare degli affari che la Banda ha su Roma, dei rapporti
con la Camorra, del rapimento dell'assessore Ciro Cirillo, di corruzione
all'interno del palazzo di Giustizia. Fornisce prove, circostanze documentate e
33 Singolare in quell'anno l'evasione di Vittorio Carnovale, detto Il Coniglio, dall'aula «Occorsio»
della Corte d'Assise di Roma.
34 History Channel, Intervista a Nicolò D'Angelo, Capo Squadra Mobile di Roma anni '80-'90.
43
contatti estremamente discutibili con una serie di legali, regali fatti a tutti i
livelli e una capacità di penetrazione all'interno del Tribunale di Roma e nei
tribunali di libertà. Infine parla anche delle finte malattie di Abbatino,
inchiodato su una sedia a rotelle in una clinica romana.
A questo punto Crispino capisce che la sua copertura può saltare, sa che molti
suoi compagni sono in libertà vigilata e vuole riprendere il controllo
dell'organizzazione. Cerca gli amici di sempre ma viene ignorato.
Abbatino si rende conto che a Roma non ha più alleati ma solo pericolosi
nemici ormai. La sorveglianza su di lui è debole perché un pregiudicato su una
sedia a rotelle sembra non preoccupare più, così riesce a scappare grazie anche
all'aiuto del fratello Roberto.
In questo modo, il 23 dicembre 1986, Maurizio Abbatino, storico capo della
Banda della Magliana, scompare nel nulla. Diviene un latitante, perdendo ogni
contatto con la Banda, con le sue attività e con i suoi ex amici di sempre. Ora a
regnare incontrastato su Roma è solo Enrico De Pedis.
Ma gli effetti della denuncia del Vesuviano non tardano a colpire anche De
Pedis e il resto della Banda. Infatti pochi mesi dopo la rocambolesca evasione
di Abbatino, il 17 marzo 1987 la Procura di Roma emette 91 ordini di cattura
contro le persone chiamate in causa da Claudio Sicilia.
Potrebbe essere l'affondo decisivo della giustizia ma ancora una volta Enrico
De Pedis e i suoi uomini hanno preso le dovute contromisure. Secondo Sicilia
la Banda della Magliana è riuscita a corrompere perfino i tribunali ma le sue
parole, inspiegabilmente, cadono nel vuoto. Quello stesso tribunale che ha
accusato respinge le sue dichiarazioni, considerando la sua persona
inattendibile a causa del suo passato criminale.
Il Vesuviano adesso è senza alcuna protezione (all'epoca non era previsto uno
speciale programma di protezione per i collaboratori di giustizia) e con gli ex
compagni presto liberi pronti a metterlo a tacere. Può solo scappare.
44
La fuga di Claudio Sicilia finisce qualche anno dopo, il 18 novembre 1991, in
un negozio in via Mantegna a Tor Marancia, dove lo raggiungono alla testa
quattro colpi di pistola, sparati da un ragazzo di cui non si saprà mai l'identità.
Dopo anni di carcere, gelosie e accuse reciproche i ragazzi della Banda ora
sono di nuovo liberi. Enrico De Pedis, mentre guadagna miliardi, che reinveste
in attività pulite, si mette alla caccia dei suoi nemici. Il suo primo obiettivo è
l'uomo che durante gli anni del carcere ha provato a mettersi contro di lui:
Edoardo Toscano.
C'è un uomo che mantiene i soldi (cinquanta milioni di lire) di Toscano
quando lui è in carcere e L'Operaietto, uscito da poco, vuole recuperarli.
Renatino lo sa perché si è messo d'accordo con quell'uomo per tendere una
trappola al suo ex compagno di strada. Così la mattina del 16 marzo 1989
Edoardo Toscano, il più abile killer della Magliana, si fa cogliere impreparato,
quando due uomini, alle dipendenze di De Pedis, gli sparano tre volte
lasciandolo morire.
Agli inizi degli anni Novanta, Renatino gestisce un vero impero economico,
diventando un intoccabile. Sulla piazza nessuno osa colpirlo e chi vuole
vendicare la morte di Edoardo Toscano deve rivolgersi altrove.
45
Marcello Colafigli, a capo dei maglianesi, all'interno dei manicomi conosce
due uomini toscani, Dante Del Santo detto Il Cinghiale e Alessio Gozzani che
si offrono di ammazzare De Pedis. Per completare il piano manca solo l'esca
giusta che Marcellone individua in un amico di Renatino, Angelo Angelotti, un
piccolo criminale che sotto minaccia collabora con i futuri aguzzini del boss di
Testaccio.
L'appuntamento con la morte glielo procura proprio Angelotti, il quale sta
trattando con De Pedis un affare.
Il 2 febbraio 1990, in via del Pellegrino, nei pressi di Campo de' Fiori a Roma,
all'incontro di De Pedis con il suo amico, si presenta poco dopo anche il
plotone di esecuzione, formato da: Marcello Colafigli, Vittorio Carnovale,
Antonio D'Inzillo e i due toscani. Proprio quest'ultimi gli iniziano a sparare
contro.
Enrico Renatino De Pedis rimane a terra, ucciso nel centro di Roma. Con la
sua morte la Banda della Magliana, di fatto, non esiste più. Gli ex componenti
del gruppo ora sono persone consumate dalla droga e dal carcere. I pochi
superstiti sono uniti dal rancore verso gli infami e uno su tutti Maurizio
Abbatino, ormai latitante da anni e con la polizia che gli sta dando la caccia.
46
4.3 Il pentimento di Abbatino
«Robertino era un ragazzo che non c'entrava niente […] L'hanno preso e se lo
sono portati via […] e poi l'hanno seviziato per farsi riferire dove fosse
nascosto il fratello Maurizio»35.
Il 1992 è l'anno della fine della prima Repubblica italiana. L'anno delle stragi
di Mafia in cui perdono la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino, l'anno di Tangentopoli e del crollo di un'intera classe politica, in
cui segretari di partito e uomini d'affari vengono accusati di corruzione,
sfilando nelle aule di tribunali come criminali comuni. È l'umiliazione
pubblica della politica.
Sono gli anni in cui si possono chiudere finalmente i conti con il passato,
Maurizio Abbatino è dunque pronto per passare dalla parte della giustizia
come collaboratore.
48
All'alba del 16 aprile 1993 scatta l'operazione “Colosseo”: cinquecento agenti
di polizia si sparpagliano per Roma. La manovra è gigantesca e la squadra
mobile effettua 56 arresti e sequestra ai boss della Magliana ottanta miliardi di
lire tra bene mobili ed immobili.
L'accusa è associazione a delinquere di stampo mafioso 37. La Banda della
Magliana è considerata così al pari di Cosa Nostra, Camorra e 'ndrangheta.
Per i superstiti della Banda si riaprono le aule dei tribunali. Per anni, Maurizio
Abbatino e i successivi collaboratori di giustizia come Antonio Mancini,
Fabiola Moretti e Vittorio Carnovale, diventano protagonisti della letteratura
criminale e preziosi testimoni nei processi dei più oscuri misteri d'Italia.
L'ultimo processo alla Banda della Magliana si è tenuto il 6 ottobre del 2000,
in cui la Corte d'Assise d'Appello di Roma ha confermato la maggior parte
delle condanne per gli esponenti della banda ma nega, completamente, ogni
carattere di associazione mafiosa.
50
Roma, Via del Pellegrino, 2 febbraio 1990: Enrico "Renatino" De Pedis viene
freddato da due killer a bordo di una moto.
Roma, Via Orazio, 20 marzo 1979: Carmine “Mino” Pecorelli viene assassinato
da un sicario, nei pressi della redazione del suo giornale Osservatore Politico.
51
Cronaca di Roma – Articolo sull'omicidio di Franco Giuseppucci
52
Cronaca di Roma – Articolo sull'attentato di via di Donna Olimpia
53
CAPITOLO II
«Sono anni che dico che la Magliana è viva. I magistrati mi danno retta a
intermittenza, ma nessuno ha la forza di sentirmi».
Ma che fine hanno fatto i componenti della Banda, che ha comandato su Roma
negli anni Ottanta?
Di seguito un elenco dei vecchi banditi legati alla Magliana, reduci e deceduti:
54
▪ Enrico De Pedis, Renatino: Capo dei Testaccini e coinvolto nel caso
Orlandi, viene assassinato il 2 febbraio 1990 in Via del Pellegrino a Roma.
Non è più seppellito nella basilica di Sant'Apollinare dal maggio 2012 e la sua
salma è stata cremata;
55
▪ Marcello Colafigli, Marcellone: Detenuto presso l'ospedale psichiatrico di
Aversa, è stato condannato all'ergastolo, per aver commesso tre omicidi;
56
▪ Giorgio Paradisi, Il Capece: Inserito da Franco Giuseppucci, ha partecipato
al sequestro del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere. Condannato,
muore di infarto nel 2006 nel carcere di Secondigliano;
▪ Nicolino Selis, Il Sardo: Boss di Acilia ed Ostia, porta in dote alla Banda i
legami con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Viene ucciso da
Maurizio Abbatino il 3 febbraio 1981. Il suo corpo non è mai stato ritrovato;
57
▪ Giovanni Girlando, Gianni Il Roscio: Affermatosi nel gruppo di Nicolino
Selis prima e poi introdotto dallo stesso ed Edoardo Toscano all'interno della
Banda della Magliana, gestiva il traffico di stupefacenti nella zona di Ostia.
Dopo le prime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, fuggì in Olanda,
dove fu poi arrestato ed estradato. Viene ucciso il 25 maggio 1990 con un
colpo alla nuca;
58
2. I nuovi boss
La Banda della Magliana, almeno nei nomi di due suoi ex esponenti, ha ancora
un ruolo all'interno del panorama criminale capitolino.
Questi due nominativi sono quelli di Massimo Carminati e Michele Senese, ad
oggi liberi di controllare i propri traffici su Roma.
Il primo ha una biografia incredibile, tanto da aver ispirato anche il
personaggio de Il Nero, nel film “Romanzo Criminale” di Michele Placido e
nell'omonima serie televisiva di Stefano Sollima.
Ex componente dei NAR, sicario alle dipendenze della Banda della Magliana,
oltre ad essere arrestato per rapine e delitti, è stato incriminato anche per
l'omicidio Pecorelli e per i legami con i servizi segreti deviati.
Nelle aule di tribunale è sempre stato sul filo dell'ergastolo, riuscendo però a
cavarsela con pene minori od assoluzioni. Oggi a 54 anni non ha più pendenze
nei confronti della giustizia. Ma detiene ancora un gran potere, tanto da essere
considerato il padrone dei traffici illeciti su Roma e di decidere vita e morte
dei suoi oppositori.
Attualmente a Carminati, si affiancano altri tre boss per il controllo del
crimine sulla capitale, che sono: Michele Senese (anch'egli ex affiliato della
Magliana), Giuseppe Casamonica e Carmine Fasciani (coadiuvato dal fratello
Giuseppe). Al momento queste quattro figure si stanno dividendo l'egemonia
su Roma.
Il commercio più importante è la cocaina, che viene spacciata in quantità
estremamente superiore rispetto alle altre zone d'Italia e che regala affari di
milioni di euro al mese ai quattro nuovi boss, i quali si limitano a regolare e
approvare il traffico di stupefacenti nelle loro zone di competenza.
59
In particolare Massimo Carminati è ritenuto il capo della zona più produttiva,
che riguarda il centro e i quartieri Parioli di Roma Nord. Ha legami con
imprenditori, commercianti e potenti persone, come Gennaro Mokbel, gestore
dei fondi neri per conto della Telecom e Fastweb e Lorenzo Cola, consulente
di Finmeccanica che ha negoziato accordi per miliardi di euro, depositario di
milioni in banche svizzere ed americane e legato ad agenti segreti in tutto il
continente.
Inoltre, nel territorio di Senese, si trova una piccola zona (tra Tuscolano ed
Anagnina) in mano alla famiglia dei Casamonica. Questi sono soggetti di etnia
nomade, insediati ormai da anni nella capitale, nella quale fanno girare il
mercato degli stupefacenti. Attivi da più di trent'anni, solo nel gennaio 2012
gli è stata contestata l'associazione per delinquere. Il boss, Giuseppe
Casamonica, catturato un anno fa, ha lasciato le redini del clan alla moglie.
60
Carmine e Giuseppe Fasciani invece spadroneggiano nella zona Sud-
Occidentale della capitale, da San Paolo fino ad arrivare ad Ostia. Soprattutto
il primo era già conosciuto alle cronache ai tempi della Magliana, per i suoi
rapporti con il presunto cassiere della Banda, Enrico Nicoletti.
Patto che don Carmine Fasciani ha anche con i reduci del terrorismo nero, un
legame che sembra trovare conferma in un'intercettazione telefonica in cui
Gennaro Mokbel, parlando con il don, afferma che il rilascio di Valerio
Fioravanti e Francesca Mambro, nel 2009, è stata opera sua:
«Li ho tirati fuori tutti io […] lo sai quanto mi sono costati? Un milione e
due...».
Sicuramente, Roma, è una città aperta per le grandi mafie, le quali possono
impiegare il proprio denaro in attività legali come ristoranti, negozi e immobili
a patto di non intralciare i quattro boss. Personaggi come Benedetto Graviano
o Giuseppe Guttadauro, appartenenti alla mafia siciliana, vivono stabilmente a
Roma.
61
riconoscergli un guadagno.
A Roma, oggi, spesso sono proprio i commercianti e gli imprenditori a
chiedere protezione, prestiti o offrire investimenti alla malavita nell'acquisto di
sostanze stupefacenti. Infatti le indagini degli inquirenti hanno portato a capire
l'importanza di costruttori ed esercenti coinvolti come finanziatori
nell'importazione della cocaina, soprattutto nelle zone che fanno capo a
Carminati e questa capacità di “lavorare” quasi indisturbati sul territorio è
frutto di un patto siglato tra i capi zona: ridurre drasticamente il numero di
omicidi di stampo mafioso, in modo da non avere ripercussioni, da parte delle
forze dell'ordine, nei loro affari illeciti.
Gli undici delitti che ci sono stati nel 2011 a Roma, e riconducibili a gruppi
criminali, sono stati avvenimenti di un disegno atto a imporre il nuovo
modello criminale deciso dai capi.
La questione di fondo è che in tutti questi anni, le istituzioni non sono riuscite
a demolire questo sistema, perché, la maggior parte delle volte, il reato di
stampo mafioso non è mai stato riconosciuto in quanto tale da parte dei
tribunali. Infatti, già dai tempi della Magliana, i giudici hanno sempre
valorizzato l'idea che a Roma un'organizzazione criminale unita non possa
esistere. E questo è quello che serve alla bande per arricchirsi sempre di più.
Niente più omicidi ma solo affari svolti in silenzio con l'aiuto di politica e
62
mafia.
63
La nuova mappa criminale di Roma
64
40
35
30
25
20 Omicidi
15
10
0
2007 2008 2009 2010 2011 2012
65
Nel 2013 invece la tendenza è variata, sia per quanto riguarda lo spaccio di
stupefacenti, sia per gli omicidi. Infatti la polizia afferma che Roma è
diventata la capitale del traffico di cocaina, a cui sta facendo ritorno quello
dell'eroina, mentre in alcuni quartieri si spaccia prevalentemente marijuana.
La notizia, divulgata da Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento Politiche
Antidroga, è giunta nel giorno in cui, a Roma, vengono ritrovate il 28 maggio
2013 tre vittime uccise, con precedenti per droga, a cui si cerca ancora di dare
una spiegazione esaustiva.
La pista intrapresa dagli investigatori è quella di essere di fronte ad agguati
maturati nell'ambiente della malavita capitolina.
Diversi sembrano invece gli altri due delitti avvenuti nello stesso giorno. A
Fiumicino, Gianpiero Rasseni, quarantenne e dipendente dalla cocaina, è stato
ucciso davanti casa, con un colpo in faccia. Dalle voci che circolano, pare che
Rasseni avesse già avuto la sentenza di morte da parte di qualcuno che voleva
fargliela pagare.
Poco dopo, ad Anzio verso il sud Pontino, viene freddato invece Daniele
Righini, giovane di ventitré anni.
La zona da anni è al centro delle indagini da parte dell'Antimafia, poiché si
tratta di un territorio ad alto tasso di criminalità organizzata, per la
partecipazione della 'Ndrangheta e della Camorra, che hanno l'egemonia sullo
spaccio di stupefacenti, sull'usura ed estorsioni, oltre ad una grande forza
66
intimidatoria, che secondo le forze dell'ordine viene usata per aggregare i
cittadini locali come affiliati.
Infatti nel territorio di Ostia, Anzio e Nettuno, continuano ad avvicendarsi
sempre di più attentati verso le attività commerciali.
Con questi omicidi, a Roma, si sale a quota ventidue morti nel 2013 a causa
della malavita, frutto della presenza radicata della criminalità organizzata nella
capitale.
Soprattutto la 'Ndrangheta, in quest'ultimo anno, sta prendendo sempre più
piede, grazie agli investimenti in attività legali e alla compravendita di
immobili di lusso. Inoltre possiedono il monopolio degli stupefacenti, che
fanno girare in quartieri ricchi come il Pigneto, a sud della città, o San
Lorenzo, dove lo spaccio avviene alla luce del giorno.
Oltre a ciò, si rileva di nuovo un aumento dell'uso di eroina tra i più giovani,
che di solito viene anche mischiata con la marijuana da parte di chi la vende.
67
CAPITOLO III
ROMANZO CRIMINALE
68
Tre anni più tardi, nel 2005, Michele Placido ricava dal libro di De Cataldo 38
una pellicola per il grande schermo con l'omonimo titolo “Romanzo
Criminale”.
Si può affermare, in primis, che il film è sicuramente uno spettacolo gangster,
che, come il libro, racconta le vicende criminali a Roma tra gli anni Settanta
ed Ottanta, instaurando in esse una valenza storica, inesatta per certi versi ma
che grazie a giochi di collegamenti, montaggi e musiche riesce a dare a
Romanzo Criminale la giusta collocazione, non tanto per quello che riferisce,
ma per come lo racconta.
Il cast che dirige Placido è composto da nomi altisonanti come Pierfrancesco
Favino (Il Libanese), Claudio Santamaria (Il Dandi), Stefano Accorsi (il
Commissario Nicola Scialoja) e Kim Rossi Stuart (Il Freddo), il quale in
un'intervista a Rai-Internazionale tiene a precisare che:
38 Giancarlo De Cataldo, autore del romanzo e da cui è tratto il film “Romanzo Criminale”, interpreta
nella pellicola il giudice che legge le condanne per i componenti della Banda della Magliana.
39 Italica, Rai-Internazionale, Romanzo Criminale: Intervista agli attori.
69
Di certo il telefilm si scopre immediatamente come un genere più adeguato per
migliorare la considerevole trama dell'omonimo libro “Romanzo Criminale”.
Trova lo spazio opportuno per focalizzare al meglio tutte le personalità dei
soggetti coinvolti, impiegando la serialità per scandire l'evoluzione degli
eventi e per utilizzare nel migliore dei modi l'effetto suspense, riuscendo così a
gestire i tanti protagonisti e le tante connessioni storico-sociali, dal sequestro
Moro al terrorismo nero, alla strage di Bologna fino ai collegamenti con la
Mafia.
“Romanzo Criminale – La serie” si divide in due stagioni televisive andate in
onda nel biennio 2008-2010. La prima dedica più spazio alla “scena del
crimine”, quindi alle azioni criminose dei vari soggetti che compongono la
Banda della Magliana, mentre la seconda indaga maggiormente il “retroscena”
del crimine, come se i vari protagonisti venissero interrogati dalle proprie
coscienze, una conseguenza che deriva dalla morte del loro capo indiscusso.
Per quanto riguarda il cast, il regista Stefano Sollima è voluto andare incontro
ad una nuova generazione di attori, semi-sconosciuti, come Francesco
Montanari (Il Libanese), Alessandro Roja (Il Dandi), Vinicio Marchioni (Il
Freddo), Andrea Sartoretti (Bufalo), Marco Bocci (Il Commissario Scialoja) e
molti altri. Un racconto grandioso e toccante come Romanzo Criminale ha
richiesto una particolare attenzione per la ricerca del cast.
Questo perché la vasta narrazione storica esigeva dei giovani interpreti,
portatori tuttavia di una maturità umana e competente che permettesse loro di
riportare e incarnare la fase adulta e drammatica dei propri personaggi.
70
In definitiva “Romanzo Criminale – La serie” può essere considerato un
successo ancora più grande rispetto al libro e al film, perché è riuscito a
collocarsi in diversi target di pubblico, costruendo al proprio interno un
concetto e dei contenuti che si trovano alla base dei modelli televisivi
americani.
Qui la Banda capitolina è uno strumento per far viaggiare lo spettatore tramite
un'epoca, una Roma anni Settanta, attraverso il crimine e la giustizia, ma
anche attraverso la solitudine, l'accanimento o addirittura l'amore che si
instaura tra i molteplici personaggi.
Il Libanese, Bufalo, Il Dandi, Patrizia e i protagonisti tutti, costituiscono un
intreccio di relazioni che supera in un certo modo la classica battaglia del
bene contro il male, creando così empatia con il pubblico che guarda.
Tuttavia il valore che sta alla base di Romanzo Criminale, se visto con occhio
critico, è l'amicizia. Seppur la televisione racconta le gesta di banditi e
criminali, i dialoghi e le sequenze di ironia e comicità che si alternano con le
scene violente e brutali, fanno trasparire qualcosa di romantico all'interno del
lavoro scenografico.
Questo romanticismo (da qui la parola “Romanzo” nel titolo del libro, film e
serie tv) che accomuna i personaggi, riesce ad attribuire umanità a coloro che
rappresentano il male.
71
2. L'attrazione del rischio nei giovani
Il fascino del rischio nei ragazzi di oggi è cosa risaputa, anche perché nel
senso comune è divulgata l'idea che l'adolescenza sia un'età certamente
movimentata e difficile.
73
All'aggressione, perpetrata dalla gioventù, possono poi accompagnarsi anche
azioni come il rubare qualcosa o arrecare danni ad una proprietà, avendo così
come obiettivo, non la persona intesa in quanto tale, ma le cose da essa
possedute.
Nella società di oggi, in cui vale più l'apparire che l'essere, lasciare un proprio
segno “criminale”, come procurarsi tramite il furto dei beni di valore
simbolico o innalzarsi a “capo” di una banda di quartiere, sembra uno dei
modi per essere rispettati, sia individualmente che come gruppo.
74
Sono tutti processi di auto-assoluzione che il giovane usa per giustificarsi, in
cui manca sicuramente la riflessione sulla coerenza delle proprie azioni e dei
propri principi.
Perché la maggior parte degli adolescenti si comporta in questo modo?
Una società moderna come la nostra, così all'avanguardia e altamente
tecnologizzata, non riesce comunque ad imporre un freno alla violenza che
accomuna questi giovani.
Ma che cos'è la violenza? Nel cercare una motivazione, è definita come una
declinazione del comportamento umano intenzionale, che può avere diversa
origine, a seconda della prospettiva da cui si analizza 41.
Prospettive che possono far riferimento ai rapporti familiari, in cui anche gli
adulti vivono forti conflitti che di conseguenza vengono scaricati all'interno
del nucleo familiare e maggiormente sui figli; la società che mette in mostra il
più delle volte il suo lato peggiore, che si riflette nell'adolescente, il quale non
ha ancora il senso critico delle cose; infine il fervore per la libertà e per il
rischio, a cui si aggiunge la violenza intesa come normalità, come mezzo per
risolvere i problemi che si presentano.
Ciò che chiamiamo devianza è vissuta quindi come una “norma”, però in una
rappresentazione “teatrale”. Il tipo di gruppo di coetanei frequentato sembra in
effetti essere un fattore centrale dell’insorgenza del Disturbo della condotta.
L’espressione è stata introdotta come categoria clinica autonoma in psichiatria
infantile per definire proprio quei bambini o giovani, più spesso maschi, che
hanno in modo costante come caratteristica peculiare del loro comportamento
atteggiamenti di tipo oppositorio-provocatorio, condotte aggressive verso
persone o animali o cose, e condotte antisociali come furti, vandalismo, fughe.
in età adolescenziale, questo disturbo ha origine dall’imitazione da parte
dell’adolescente del comportamento dei suoi pari.
In queste situazioni gli adulti sono al corrente delle potenzialità aggressive dei
bambini e dei ragazzi, e sono pronti a “organizzare” i loro comportamenti
violenti impulsivi. Così si spiegano la formazione del gruppo deviante e
delinquenziale, la vita di strada, l'uso di gerghi giovanili e di riproduzioni
grafiche per lasciare un segno e l'omertà che regna tra i ragazzi42.
77
Anche la comunità può svolgere un ruolo di protezione, attraverso:
Infatti sono proprio gli adolescenti meno muniti sul piano della riflessione ad
essere poi coinvolti nei miti della pubblicità, delle mode o dei mass media, e
quindi ad incorrere in comportamenti rischiosi per se stessi e per gli altri.
Tutti questi diversi fattori, sia a livello individuale che di condizione sociale,
delineano un profilo complesso ma nell'insieme coerente, poiché svolgono un
ruolo di protezione per gli adolescenti.
Si tratta di prevenire quindi, in modo tale che i ragazzi e le ragazze abbiano il
vantaggio di raggiungere gli obiettivi prefissati con comportamenti positivi e
vantaggiosi per la propria personalità.
78
Questi trattamenti, se presi singolarmente però, sono gravati da alcuni limiti:
79
Il secondo tipo di trattamento è il Fast track program, dove Fast è l'acronimo
di Family and schools together. Si tratta di un programma sviluppato per far
fronte alle forme più gravi, prevedendo una terapia cognitivo-
comportamentale del ragazzo.
Il programma consiste nel monitorare costantemente lo sviluppo dell'identità e
dell'adattamento dell'adolescente, il funzionamento familiare, il grado del
coinvolgimento degli adulti, i risultati scolastici e le relazioni con i pari.
80
Per concludere, Stanley Kubrick, regista del film “Arancia Meccanica”43, nel
1972 affermava:
Domanda a cui dobbiamo, in ogni caso, cercare di dare una risposta, perché
solo così facendo si può perseguire la verità sul mondo che riguarda i giovani
di oggi.
43 Film diretto da S. Kubrick nel 1971, il quale tratta di una società completamente in mano alla
violenza giovanile e al condizionamento della mente umana.
44 F. A. Marinelli, Devianze e tecnologie educative e di contrasto, Libreria Universitaria Benedetti,
cit., p. 70.
81
Dipartimento Giustizia Minorile
Servizio Statistica45
Ingressi e presenza media giornaliera negli istituti penali negli anni
2008/2009/2010
2008
IPM Nuovi Rientri Trasferime Trasferime Presenza
ingressi nti da nti da altri media
istituti per IPM giornaliera
adulti
Bari 47 26 5 66 25,9
Firenze 58 5 3 42 18,7
L'Aquila 12 - 1 20 11,2
Napoli 98 24 2 52 56,6
Milano 241 25 10 65 71,4
Palermo 74 23 1 46 32,4
Roma 130 12 6 49 52,2
Torino 130 9 12 28 38
2009
IPM Nuovi Rientri Trasferime Trasferime Presenza
ingressi nti da nti da altri media
istituti per IPM giornaliera
adulti
Bari 61 18 6 74 32
Firenze 65 8 3 36 21,4
L'Aquila 3 3 - 1 3,4
Napoli 122 46 1 46 61,7
Milano 157 32 11 58 66,7
Palermo 32 20 4 55 36,8
Roma 130 12 4 47 55,2
Torino 88 6 13 29 32,1
45
82
2010
IPM Ragazzi Italiani- Ragazze Italiane- Totale
Stranieri Straniere
Bari 25,9 0 25,9
Firenze 18,4 0 18,4
L'Aquila 0 0 0
Napoli
Milano 52,9 10,3 63,4
Palermo 29,4 0 29,4
Roma 39,2 11,1 50,4
Torino 24,8 6,1 30,8
83
2.1 Il Mito in Romanzo Criminale
Questi sono solo alcuni dei titoli che è possibile leggere quotidianamente, che
riportano cruente vicende perpetrate da giovani ragazzi e ragazze in nome
della Banda della Magliana e di Romanzo Criminale.
Di solito si tratta, comunque, di baby gang già con una carriera criminale ben
avviata, già integrate nella malavita prima dell'uscita di Romanzo Criminale,
capeggiate però da adolescenti che in quegli attimi si ritengono attori del male
e di successo, usando gli stessi pseudonimi del libro e fiction, come Il
Libanese, Il Dandi, Il Sorcio e molti altri ancora.
Ma la realtà ci dice che in questi casi non siamo su un set cinematografico, e
quando la televisione divulga modelli di comportamento negativi, può
succedere che in una scuola di Fiumicino, a Roma, una classe di bambini tra
gli otto e i nove anni comincino ad imitare i personaggi di Romanzo
Criminale, assumendo atteggiamenti da piccoli banditi, infastidendo gli altri
coetanei. Il caso si è risolto grazie all'intervento di genitori e insegnanti, i quali
hanno ripreso e corretto i comportamenti devianti, riuscendo a risolvere il
tutto.
È vero che in casi come questi le colpe dei bambini sono quasi nulle, dato che
non riescono a discernere e comprendere la complessità di un fenomeno
mediatico, ma quanto accaduto deve comunque far riflettere, visto che in certi
casi la realtà supera di gran lunga la finzione.
84
Infatti dopo l'arresto, sempre a Roma, di sei bulli tra i 18 e i 21 anni con il
mito della Magliana, accusati di estorsione, sequestro di persona, rapina, porto
abusivo di armi e lesioni aggravate, è intervenuto sul fatto l'ex sindaco di
Roma Gianni Alemanno, spiegando che specialmente la serie tv “Romanzo
Criminale” rischiava di creare dei miti all'interno della società, perché
personaggi troppo affascinanti ed attraenti.
Il processo di esaltazione era già iniziato con l'opera letteraria e di riflesso con
il seguente film di Michele Placido, tanto che “Romanzo Criminale” era
diventato un emblema di sicura attrazione, con Il Libanese e Il Freddo due eroi
(negativi) di enorme carisma. A completare il quadro esteriore dell'opera,
troviamo caratteristiche come sfrontatezza, pugno di ferro e sprezzo del
pericolo, che fanno presa sui più giovani.
49 History Channel, Intervista a Renzo Danesi, Ex componente della Banda della Magliana.
87
Attori principali della Serie Tv “Romanzo Criminale”
88
La Banda della Magliana – Il fumetto.
A cura di Leonardo Valenti, Simone Tordi e Stefano Landini, Ed.
BeccoGiallo
89
I busti raffiguranti i boss di «Romanzo Criminale»
D'altronde la trovata pubblicitaria non è stata ben accolta dal popolo romano,
50 Definizione di Marketing Virale, Enciclopedia Treccani.
90
soprattutto nella persona dell'ex sindaco Gianni Alemanno, che diede
immediata disposizione di rimuovere i busti degli attori-criminali.
91
Corrispondenze dei personaggi della fiction con i banditi reali
92
▪ Ruggero Buffoni: Vittorio Carnovale - Il Coniglio
93
3. Intervista ad Alfredo Sicilia
● Oggi gran parte della critica considera la serie tv migliore del film. Qual è
secondo te il segreto del successo?
Il successo della serie tv, a mio avviso, è dovuto in primis alla scelta del
format televisivo, che ha permesso di poter raccontare una storia più
rappresentativa di quella che è stata la vera storia della Banda della
Magliana: questo senza nulla togliere al film di Michele Placido, riuscire a
raccontare comunque una storia di venti anni e personaggi alquanto diversi
tra loro in due ore è molto più complesso rispetto a due serie tv da dieci
puntate ciascuna.
Non solo, la scelta di questo format ha permesso anche di descrivere meglio i
personaggi principali e non: esempio lampante è il personaggio di mio padre
che nonostante sia stato uno dei personaggi di spicco della Banda, nel film di
Placido, è stato appena menzionato.
Concorrono poi al successo della serie anche la scelta di un cast sconosciuto
alla maggior parte del pubblico ma sicuramente di grande spessore, basti
94
pensare per esempio a Vinicio Marchioni che considero un grandissimo
attore.
C'è tanto di Roma secondo me, soprattutto per chi come me vive questa città e
conosce bene la storia. Quartieri storici come la Magliana, Trastevere
sembrano non essere mai cambiati, sembra sempre la stessa Roma di quegli
anni.
● A Roma è ancora vivo il ricordo delle vicende della Banda della Magliana?
Si è ancora vivo e credo lo sarà ancora per molto tempo, almeno fino a che
esisteranno certi personaggi legati in qualche modo alla Banda.
95
● Perché, secondo te, gli eroi al negativo sono i più affascinanti?
Come ho detto prima perché soldi facili, belle auto, macchine e oggetti di
lusso fanno gola a tutti.
Se consideriamo che oggi la maggior parte delle persone non arriva a fine
mese e ci sono tantissimi giovani disoccupati, è normale provare
ammirazione per questi personaggi.
● Cosa si potrebbe fare, dal tuo punto di vista, per prevenire la nascita o
comunque la crescita di queste baby-gang?
Ho molta stima di mio padre . Penso che ognuno nella sua vita fa le proprie
scelte , giuste o sbagliate che siano, e ne paga le conseguenze. Mio padre ha
scelto di fare il criminale è vero, ma ha pagato con la sua stessa vita per le
scelte prese. Nonostante tutto continuo ad avere un buon ricordo di mio padre,
e questo per me è la cosa più importante. Le persone poi possono giudicare o
pensare quello che vogliono a me non interessa.
Per onestà il memoriale lascia il tempo che corre, nel senso che penso che
mio padre abbia deciso di collaborare solo perché l'alternativa sarebbe stato
il carcere a vita.
96
Conclusioni
97
Per prevenire questa deriva violenta non bisogna demonizzare il problema, ma
analizzarla per poter intervenire nell'interesse, non solo dei soggetti a rischio
ma dell'intera comunità.
98
Ringraziamenti
Desidero inoltre ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato per la stesura di
questa tesi: Fiorita, Dario, Alfredo, Silvia e Luca, i quali hanno collaborato in
maniera attiva.
99
BIBLIOGRAFIA
Landini S., Tordi S., Valenti L., La banda della Magliana: cronaca
a fumetti, BeccoGiallo, Ponte Piave (PD) 2007.
101