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Ibridazioni.

I giudici contro la mafia nel cinema italiano contemporaneo


Isabella Pezzini

Osservazioni preliminari

Criminalità e mafia sono una componente forte sia della storia sia dellÊimmaginario del nostro paese:
innumerevoli sono i testi – libri, film, prodotti televisivi e audiovisivi, musiche e canzoni⁄ – che ne
trattano, secondo stili e sulla base di intenzioni anche molto diverse fra loro. Nel loro insieme contri-
buiscono a formare una sorta di grande nebulosa, in cui a prima vista appare difficile orientarsi.
Nella produzione audiovisiva, in particolare, i meccanismi stereotipanti trovano potenti alleati nel si-
stema produttivo, che fra un testo e lÊaltro offrono allo spettatore elementi di familiarità, agganci a vol-
te fuorvianti: possono essere le facce degli attori, che a distanza di tempo e di atmosfere ricompaiono
in modo costante, sempre nel ruolo del cattivo, o più spesso in ruoli alterni o scambiati, qui come ca-
pomafia, là come commissario di polizia. La figlia del mafioso è altrove figlia del magistrato, dove il
fidanzato assassino era nella scorta del padre. Scambi di ruolo che generano una confusione che si
riverbera sulle vicende narrate, di per sé complesse, e che potrebbe suggerire che le vicende di mafia,
vere o dÊinvenzione che siano, siano un canovaccio a disposizione, un genere testuale più italiano degli
altri. Fra i tratti del quale ve nÊè uno dominante, la location: la Sicilia, del resto, è una metafora (Scia-
scia 1963 e 1979). Ed ecco la sua insularità che la oppone al continente, in particolare a Roma. Ecco le
sue campagne, le sue terre assolate e sassose contro i bellissimi paesi e gli straordinari angoli di città.
La Palermo fatiscente dei vicoli ancora da dopoguerra e poi improvvisamente il Palazzo di Giustizia,
monumentale, fascista, metafisico. La città della speculazione edilizia guardata dallÊaltro, contro Punta
Raisi, con un fiume di auto sempre in movimento, lacerato a tratti dalle sirene spiegate delle scorte,
tutte auto di produzione nazionale, e fuori moda. E poi il mare: porticcioli meravigliosi in cui si scarica
però la droga, spiagge dorate in cui si corre, ci si bagna, si cammina mano nella mano, si medita, si
guarda lontano, „fuori‰. E ancora altre immagini ricorrenti: le processioni, i fuochi dÊartificio, le feste, i
matrimoni, i timballi, i cannoli, le musiche. Ma anche le lupare, i kalashnikov, i funerali di Stato, gli
incaprettamenti, i riti iniziatici col santino in mano, gli agguati con le moto, i morti ammazzati per la
strada, le auto imbottite di tritolo, le esplosioni, le stragi.1
Può questo caleidoscopio in apparenza caotico essere anche „morale‰, cioè offrire al suo fruitore i
mezzi per acquisire unÊeffettiva competenza riguardo i temi trattati, contribuire a offrirgli una memo-
ria, a coinvolgerlo, a trasformarlo almeno in parte da spettatore in cittadino? In vista di un possibile
contributo critico a questa difficile questione, ci concentreremo qui su alcuni dei principali film e do-
cumentari che hanno come argomento la lotta della magistratura alla mafia culminata nellÊopera e nel

1 Cfr. il capitolo sulla mafia al cinema in Deaglio 2012.


sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quale immagine del loro lavoro di magistrati, e qua-
le idea di giustizia vi fa da sfondo o vi emerge esplicitamente? Quali funzioni paiono assumere rispetto
al cosiddetto immaginario collettivo?
Fissare una cronologia, sebbene per sommissimi capi, è intanto indispensabile. Iniziamo dal 1979: con-
ta unÊimpressionante serie di omicidi, ognuno dei quali meriterebbe una sua storia, e di essere inserito
in una rete di precisi collegamenti con gli altri, cosa che non abbiamo lo spazio di fare qui. In Sicilia
sono assassinati Mario Francese, cronista del Giornale di Sicilia (26 gennaio), Michele Reina, segreta-
rio provinciale della DC (9 marzo); Boris Giuliano, capo della mobile di Palermo (21 luglio), Cesare
Terranova, giudice istruttore, con il suo autista maresciallo Lenin Mancuso (25 settembre); a Roma è
ucciso il giornalista Mino Pecorelli (20 marzo), a Milano lÊavvocato Ambrosoli, liquidatore della Banca
Privata di Michele Sindona (12 luglio). LÊanno dopo è ucciso Piersanti Mattarella, presidente della re-
gione siciliana (6 gennaio); a Monreale Emanuele Basile, capitano dei carabinieri (4 maggio); Gaetano
Costa, giudice istruttore, (6 agosto). Nel frattempo si inasprisce la guerra di mafia fra le vecchie fami-
glie mafiose di Palermo e la nuova mafia dei corleonesi – Buscetta ripara in Brasile, cadono Bontade,
gli Inzerillo. NellÊestate, venti morti in pochi giorni. Il 30 aprile 1982 è assassinato a Palermo Pio La
Torre, deputato e segretario regionale del PCI. Il giorno dopo, Spadolini nomina prefetto di Palermo
il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che dopo 120 giorni e una sequenza impressio-
nante di omicidi di mafia, più di 100, il 3 settembre è a sua volta ucciso con la moglie Emanuela Setti
Carraro e lÊagente di scorta Domenico Russo in via Carini. Sempre nel 1982 è sterminata gran parte
della famiglia di Buscetta rimasta in Sicilia. Si costituisce il pool antimafia, prima sotto la direzione di
Rocco Chinnici, assassinato a Palermo il 28 luglio 1983, e poi di Antonino Caponnetto. Contro il pro-
gresso delle indagini su Cosa Nostra nel 1985 è ucciso il commissario Giuseppe Montana (28 luglio), e
poi subito dopo il dirigente della mobile Ninni Cassarà (6 agosto 1985)⁄ Falcone e Borsellino sono
allora „deportati‰ allÊAsinara per permettere lÊistruzione del più grande processo della storia italiana
contro la mafia, celebrato tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987. A Palermo nel carcere
dellÊUcciardone è realizzata la costruzione dellÊaula bunker per contenere le centinaia di imputati, poi
finalmente le condanne⁄ ma poi ancora lÊuccisione a Mondello, il 12 marzo 1992, di Salvo Lima, refe-
rente della Dc in Sicilia, e a Palermo il 17 settembre di Ignazio Salvo, ex proprietario delle esattorie
siciliane. Infine le stragi compiute il 23 maggio 1992 e il 19 luglio del 1992 per eliminare gli stessi Fal-
cone e Borsellino.
Queste ultime uccisioni, così tragicamente spettacolari, si stagliano sullo sfondo di molte altre, assu-
mono un valore assolutamente emblematico. La particolare vicenda biografica delle vittime aiuta a
dipanare una materia molto complessa: in questi anni, infatti, ad affrontarsi non sono semplicemente
lo Stato, personificato negli uomini dei suoi apparati, e la mafia, la legge e il crimine: questo conflitto è
assai più complicato. Per esempio dal fatto che ci sono in Sicilia ampie zone di contiguità fra la mafia
e la società civile, come forma specifica di organizzazione del potere e degli interessi, e che quindi
allÊinterno di tutte le istituzioni, forze dellÊordine e magistratura comprese, locali e nazionali, la mafia
ha i suoi alleati, diretti e indiretti. Senza contare attori più sfuggenti da individuare, come i servizi se-
greti. Nello stesso periodo si consuma allÊinterno di Cosa Nostra una violentissima lotta interna, scate-
nata dai cosiddetti corleonesi, Riina e Provenzano in testa, che fa più di mille morti fra il 1978 e il
1983. Un suo derivato è il fenomeno del pentitismo, che spacca per la prima volta il fronte interno
mafioso e permette finalmente di comprendere lÊeffettiva struttura gerarchica e unitaria della Cupola.
˚ grazie alle rivelazioni dei pentiti, fra le quali quelle fondamentali di Tommaso Buscetta che il pool
antimafia ha la possibilità di istruire il maxi-processo e di infliggere per la prima volta un durissimo
colpo allÊorganizzazione. Inoltre, nel corso del tempo, le leggi cambiano: solo dopo gli omicidi di La
Torre e di Dalla Chiesa sono varate le prime leggi che permettono unÊazione di contrasto efficace alla
mafia, la prima delle quali in assoluto è solo del 1965, in una tensione altalenante, a seconda dei mo-
menti e dei governi.2

2Ringrazio Riccardo Bortolotti per la sua preziosa consulenza sul tema delle leggi sulla mafia e sui collaboratori
di giustizia, indispensabile strumento di lettura sottotesto, e che meriterebbe un maggiore approfondimento.

2
A questa materia complessa e a tratti incandescente, attingono prodotti che ne articolano i temi e i
motivi in sottogeneri specifici anche molto distanti fra loro. Dal cinema di impegno civile che oltre a
narrare e a informare si propone di comprendere e di spiegare, di ristabilire o condividere la memoria
e renderla attiva forma di vigilanza democratica, si arriva infatti fino al film di avventura, o allÊaction
movie, dove la vicenda mafiosa è soprattutto un pretesto, e fornisce degli stereotipi riconoscibili per
uno scopo che è sostanzialmente quello dellÊintrattenimento. Inoltre, progressivamente, emerge una
funzione più esplicitamente celebrativa e commemorativa del prodotto mediale, soprattutto se destina-
to al piccolo schermo.
Come vedremo anche allÊinterno dellÊambito che ci siamo assegnati, le strategie discorsive prescelte e
gli esiti ottenuti possono essere anche molto diversi fra loro. Un primo problema che un film ispirato a
fatti realmente accaduti deve porsi è il grado di aderenza a questi stessi fatti, e a come situarsi fra i due
estremi intuitivamente rappresentati da un approccio cronachistico-storiografico da un lato e narrativo-
finzionale dallÊaltro, offrendo al proprio destinatario un „patto di fruizione‰ conseguente.3 La scelta
non pregiudica né predefinisce il tipo di efficacia comunicativa del testo, ma è la sua realizzazione che
andrebbe poi interrogata in base a criteri espliciti. Un caso istruttivo ci sembra quello di un film espli-
citamente narrativo come I cento passi di Marco Tullio Giordana (2000), sulla morte di Peppino Im-
pastato. il film è stato unanimemente riconosciuto come unÊopera molto riuscita sia dal punto di vista
cinematografico sia – forse per questo – nel riportare nella giusta luce la vicenda del giovane giornali-
sta ucciso dalla mafia e da questa fatto credere suicida. Eppure su Internet si trovano siti in cui il film è
passato puntigliosamente al vaglio del particolare biografico „vero‰ e di quello „inventato‰, distinzione
a quanto pare considerata molto importante, a discapito di una visione meno anodina della verosimi-
glianza, e cioè del fatto che si può provocare nello spettatore un senso intimo di verità anche attraver-
so il ricorso a elementi di finzione. ˚ cioè significativa e veritiera la strategia comunicativa nel suo in-
sieme, al di là di un rapporto pedissequo tra il racconto e la cosiddetta realtà: in termini più tecnici, è
meno significativa la corrispondenza con il referente di quanto non sia interessante indagare la strate-
gia enunciativa. Bisogna al contempo prendere atto dellÊemergere di questa esigenza di esattezza e
precisione, quando si parla di eventi così drammatici: ma il grado richiesto di realismo varia da genere
a genere. La scelta di trasporre i „fatti‰ e i loro dettagli su un piano retorico-figurativo nel nostro siste-
ma culturale dei generi del discorso, così, è concessa a un testo cinematografico e non a unÊinchiesta
giornalistica o a un capitolo di storia. E, soprattutto, uno non può sostituire lÊaltro. Esemplare, ancora,
il caso del libro-inchiesta del giornalista Alexander Stille, Exellent cadavers4, dal quale sono tratti due
film di genere radicalmente diverso, come vedremo: da un lato uno straordinario film-documentario, e
dallÊaltro un film patinato di genere biografico, in cui è dato largo spazio alla vita personale dei magi-
strati.
Emergono diverse visioni che diversamente enfatizzano enunciazione e riferimento: per gli uni la favo-
la a volte riesce molto meglio della storia vera a ottenere effetti sul reale sul quale si vuole agire. Per
altri, se ciò di cui si narra non è completamente vero, allora non è credibile.

La lezione di Rosi

In Italia, è Francesco Rosi che con il suo Salvatore Giuliano (1961) crea un testo di riferimento esem-
plare, indicando non solo un modo ma un senso specifico del fare cinema su questi temi, un „cinema
civile‰.5 Cinema come forma di testimonianza, di partecipazione e di impegno, volto non solo alla ri-
presentificazione di eventi particolarmente significativi per la storia comune, ma contributo alla loro

3 Su questi problemi cfr. Jost 2003, ripreso in Santangelo 2008.


4 Il titolo riprende lÊespressione usata dalle forze dellÊordine di Palermo per comunicare un omicidio eccellente,
ma anche il titolo del film di Rosi del 1976, tratto dal libro di Sciascia „Il contesto‰ (1971), in cui i magistrati rien-
travano però in un complotto eversivo.
5 Del 1961 è anche Il giorno della civetta di Damiano Damiani, tratto dal romanzo di Sciascia. Sempre un film di
Damiani, Io ho paura (1977), su un agente che non vuole morire facendo la scorta, sembra chiudere la stagione
migliore del cinema civile italiano.

3
stessa ricostruzione critica. Allo scopo di riattivare la memoria dei fatti ma anche degli interrogativi
che essi pongono, di rinnovare la pietas e il compianto per le vittime, ma anche di denunciare le in-
congruenze delle versioni ufficiali, le eventuali mistificazioni e inadempienze, collaborando a diffonde-
re un sapere critico. A rendere giustizia con i propri mezzi laddove la giustizia ufficiale ancora manca.
Nel rapporto con lo spettatore, a essere offerta e cercata non è certo unÊesperienza estetica in sé ba-
stante, ma una condivisione di elementi e di argomenti che possano suscitare un movimento delle co-
scienze, un loro risveglio e quindi lÊinnesco di un senso dÊingiustizia, lÊindignazione che può rafforzare
le coscienze e crearvi il senso di un debito di giustizia da compiere.6
Il film di Rosi mette a punto una strategia specifica nellÊaffrontare le vicende narrate: si divide princi-
palmente in due grandi atti, uno dedicato alla storia, alla caccia e alla uccisione di Salvatore Giuliano
e quello dedicato al processo di Viterbo per la strage di Portella della Ginestra, 11 persone uccise a
colpi di moschetto durante la manifestazione del 1 maggio 1947 proprio dalla banda Giuliano. Il pro-
cesso si conclude con la condanna del luogotenente di Giuliano e suo probabile traditore, Gaspare
Pisciotta, allÊergastolo, a sua volta tradito dai suoi stessi mandanti. Il film lo segue fra le mura del car-
cere dove un caffé alla stricnina lo zittisce per sempre. Il sospetto che aleggia nel film è che Giuliano
agisse in base a un accordo fra la criminalità organizzata e i poteri forti dello Stato, che lo avrebbero
poi eliminato per distruggere uno scomodo testimone.
Un cinema documentato, ma non un documentario: la costruzione del film poggia su un lavoro preli-
minare il più ampio possibile, di cui reca traccia in vari modi. Ad esempio nella scelta dei luoghi e
delle comparse, che sono gli stessi delle vicende accadute: il paese di Montelepre, le terre riarse e pe-
trose del monte Kumeta di cui Giuliano era „re‰, ma anche lÊaula del tribunale, dove si fronteggiano
magistrati e picciotti, in uno spazio di totale e sistematica incomunicabilità. Un ancoraggio che va a
costituire un piano di referenza interno al film capace di emanare un fortissimo effetto di realtà. La
costruzione drammatica è altrettanto rigorosa, come emerge dallÊinsieme delle marche autoriali:
dallÊuso contrastato della luce che risalta nello splendido bianco e nero, alla costruzione per innesti e
disinnesti fra piani spazio-temporali diversi; alle varie modalità di ripresa che sottolineano le relazioni
fra chi guarda e chi è guardato, fra chi spara e chi muore; alla voce narrante fuori campo che spesso
interviene pacata a completare il racconto per frammenti delle immagini.7 Il film inizia con una plon-
gé sul cadavere di Giuliano, riverso in un cortile assolato, faccia a terra, con la canottiera inzuppata di
sangue, la pistola a poche spanne del braccio destro allungato in avanti, circondato dai funzionari che
procedono ai rilevamenti, e poi dai fotografi e dai giornalisti: un set, effettivamente, di cui emergono
subito le incongruenze, e che enuncia subito la tesi abbracciata dal film, di una morte e di una versio-
ne ufficiale assai di comodo. ˚ così posta una delle questioni fondamentali della nostra storia: il costan-
te sdoppiamento fra ciò che è e ciò che appare, la difficoltà di pervenire alla certezza sulle dinamiche
degli eventi e di avere piena fiducia in istituzioni che appaiono opache e distanti. ˚ fissata anche la
genealogia del rapporto fra di esse e la Sicilia, prima ancora che con la mafia: il dopoguerra, le spinte
indipendentiste, lÊautonomia regionale, il pericolo comunista da abbattere e sradicare.

Instant-
Instant-movies e biografie

Giuseppe Ferrara è uno degli autori che hanno dedicato il loro cinema alle vicende più scabrose della
nostra storia. Secondo le sue affermazioni di poetica, il cinema è „scrittura della percezione audiovisi-
va‰: questÊultima può essere registrata; funzionare, se necessario, come base di un pensiero audio-
visivo, e come forma di testimonianza. Ferrara rivendica per il suo lavoro un approccio simile a quello

6 Sui questi temi, fondamentale Boltanski 1993.


7 Afferma Rosi: „⁄ Non esistono fonti dÊispirazione più ricche della realtà, ma il regista non deve tradirla appli-
cando una forma che non sia dettata dalla realtà stessa. Io cerco di far nascere i miei film dalla realtà che osservo
ed esamino. Faccio in modo che lÊambiente che analizzo e la verità umana che studio mi dettino una storia.‰
Intervista a Francesco Rosi, in Ciment, 2008, p.87.

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dello storico, che impara a riunire in un unico discorso la dimensione oggettiva, data dalla raccolta dei
dati e dei documenti, a quella soggettiva, che li organizza insieme, li interpreta e li propone agli altri
sulla base di una visione unitaria. Il suo primo film sulla mafia è Il sasso in bocca (1970), un documen-
tario che ingloba elementi di finzione, secondo una tecnica che riutilizzerà costantemente. Ne I cento
giorni di Palermo, del 1984, Lino Ventura impersona il generale Dalla Chiesa, dandogli lÊallure de-
terminata e al contempo disincantata dei tanti ruoli noir interpretati nella sua carriera. Il film ricostrui-
sce in modo piuttosto asciutto la vicenda del generale che „aveva sconfitto il terrorismo‰ e che è invia-
to dal governo alla prefettura di Palermo in seguito allÊassassinio di Pio La Torre, con la promessa di
avere presto poteri adeguati alla situazione. Il film lo mostra deciso, competente su tutti gli aspetti del
crimine mafioso, dagli omicidi agli affari, accolto dapprima con ossequio e poi con fastidio crescente.
Presto isolato, cerca consenso nella società civile: nelle scuole con gli studenti, al porto con gli operai.
La sua vicenda sentimentale è trattata con sobrietà: in un primo tempo rispedisce a Roma la giovane
Emanuela che lÊha raggiunto, poi la sposa. Dopo lÊiniziale felicità a Villa Paino, si addensano i presagi:
passando per la Vucciria, fra gli animali macellati; a una grande festa a Monreale, dove gli stessi nota-
bili che li applaudono si spartiscono una enorme cassata a forma di sirena, simbolo di Palermo. Intan-
to a Roma non passa la legge sulle esattorie siciliane, controllate nella loro totalità dai fratelli Salvo,
unÊevidente, ingiusto beneficio: le cose precipitano. Dalla Chiesa rilascia a Giorgio Bocca una celebre
intervista, in cui denuncia la situazione e il proprio isolamento. ˚ ucciso con la moglie, mentre una
sera lascia la Prefettura per andare a cena. Il film ha insistito sulla sua prudenza, suggerisce che a fare
segno ai suoi assassini sia un suo stretto collaboratore.
ll film fissa una sorta di caso esemplare dellÊuomo di un ambiguo Stato avviato al sacrificio, sostan-
zialmente solo, che tutto sa e che lotta freddamente contro il tempo e contro il suo stesso ambiente.
Uno schema tragico che sarà ripercorso nella sostanza dieci anni dopo, dal film su Giovanni Falcone,
anchÊesso girato subito dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui 500 chili di tritolo fanno
saltare la strada fra lÊaeroporto e Palermo nel momento in cui vi transita il giudice con la moglie e la
scorta8. Stavolta la narrazione è più sciolta, il pubblico ritrova nel film attori popolari come Michele
Placido, il consacrato commissario Corrado Cattani della Piovra televisiva di Damiano Damiani
(1983), per quattro serie consecutive, e Giancarlo Giannini. Hanno più spazio i rapporti umani: i giu-
dici parlano molto e commentano tra di loro le molte cose che accadono: il che forse aiuta la com-
prensione dello spettatore, anche se indebolisce lÊimpianto drammatico. La vicenda dei giudici è fissa-
ta in due parti complementari. La prima in cui Falcone e i suoi compagni sono vincenti, malgrado tut-
to e tutti: il pool lavora blindato prima nel Palazzo di Giustizia, poi nel supercarcere dellÊAsinara. Si
celebra il maxi-processo, si conclude con le clamorose condanne. La seconda parte, invece, avversa
fino alla catastrofe: a cominciare dalla mancata nomina di Falcone a capo della procura di Palermo,
dove il CSM gli preferisce Vincenzo Meli. ˚ la stagione dei veleni, oltre che dei delitti che si susse-
guono in una guerra senza esclusione di colpi. Esposto a una campagna di delegittimazione, dopo le
lettere anonime del Corvo, e un fallito attentato allÊAddaura, Falcone accetta di trasferirsi a Roma al
Ministero, come Direttore generale per gli affari penali, nella speranza di ottenere dalla politica un
maggiore ascolto e un maggior sostegno. Nel frattempo le sentenze del maxi-processo sono state in
gran parte annullate dal giudice Carnevale, in Appello: ma sono riconfermate in Cassazione. Imme-
diata la reazione della mafia: uccide il potente democristiano Salvo Lima, esponente della corrente
andreottiana in Sicilia. Falcone decide di partire per Palermo, ed ecco gli accurati e svelti preparativi
della strage di Capaci. Falcone, alla guida dellÊauto al momento dellÊesplosione, muore dopo qualche
ora allÊospedale, vegliato da Borsellino. Muoiono la moglie e altri cinque uomini della scorta. Dopo
pochi mesi, toccherà a Borsellino essere ucciso con unÊautobomba, in un delitto annunciato.
Il film si propone come biografia autorizzata di Falcone, di cui abbraccia senza esitare anche le scelte
più discusse: ne fa un personaggio combattivo, coraggioso, lungimirante. Certo si percepisce la difficol-
tà di tenere insieme un materiale così ricco e complesso: un compito forse eccessivo per un solo film,
sebbene lÊurgenza che caratterizza la sua fattura non sia il minore dei suoi meriti. Dal punto di vista
compositivo, il film, alla ricerca di effetti di autenticità e presenza, fa ampiamente ricorso allÊinserzione

8 Giovanni Falcone, 1993, con Michele Placido, Anna Bonaiuto e Giancarlo Giannini nella parte di Paolo Borsellino.

5
di pezzi in B/N nel caso di ricordi, eventi paralleli o passati, un procedimento che ritroveremo spesso.9
Fra di essi vi è la sequenza della partita a scacchi con la morte tratta da Il settimo sigillo di Ingmar
Bergman, che Falcone vede e rivede, consapevole premonizione, in video, in sogno o
nellÊimmaginazione: la morte assomiglia molto a un collega del Palazzo di Giustizia, a un certo punto i
loro volti si confondono. Non mancano le citazioni, come la frase che nel suo libro-intervista con Mar-
celle Padovani è dedicata alle vittime degli omicidi politici: „Si muore generalmente perché si è soli o
perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie
alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non
è riuscito a proteggere‰ (Falcone, 1991, p. 171).
LÊanno seguente (1994), fra i film che tengono comunque desta la tradizione del nostro cinema civi-
le,10 vale la pena di soffermarsi su Il giudice ragazzino, di Alessandro Di Robilant.11 Siamo ad Agri-
gento, alla fine degli anni 80: la storia narrata è quella del giudice Rosario Livatino, ammazzato per
ordine della Stidda di Agrigento mentre era in viaggio da solo fra Agrigento e Canicattì, il 21 settem-
bre 1990, a 38 anni, un anno dopo aver assunto lÊincarico di giudice a latere presso il Tribunale di
Agrigento ed aver proceduto contro la mafia anche attraverso la confisca dei beni. Anche questo film
inizia con una sequenza premonitrice: siamo in un rigoglioso giardino del locale Rotary club, durante
la conferenza di Livatino sul tema: „Il posto del giudice nella società contemporanea‰. Ma gli ascolta-
tori non manifestano nessuna condivisione alle sue parole, cui il giovane giudice si atterrà invece scru-
polosamente. Il film, piuttosto televisivo anche per la scelta degli attori – un giovanissimo Giulio Scar-
pati e Sabrina Ferilli, avvocato dÊufficio – tematizza bene le gravi difficoltà ambientali di un magistrato
che intenda effettivamente svolgere il proprio mandato. Livatino infatti vive con gli anziani genitori
proprio sotto lo stesso tetto di uno dei principali imputati della sua inchiesta, in una vischiosissima si-
tuazione sociale: la mafia è dentro casa. Gli indagati gli mancano di rispetto, fanno riferimento alla
sua vita personale nel corso degli interrogatori, rispondono con gesti plateali di arroganza e di minac-
cia al suo rifiuto di accettare i regali in uso.12 Fin qui il film, che ne onora la memoria: ma dopo la
sua morte persino il papa Giovanni Paolo II definì Livatino „martire della giustizia e indirettamente
della fede‰. Ed effettivamente dal 21 settembre 2011 è iniziato il processo per la sua beatificazione:
ecco un caso, non isolato, in cui la sfera religiosa e quella mediatica si incontrano in una stessa ricerca
di riconoscimento.
Qualche anno dopo, ne I giudici di Ricky Tognazzi (1999), lÊattualità è già più lontana, e più forte
lÊimpronta della „storia di mafia‰ come genere cinematografico. Il film in realtà è girato per la televi-
sione americana (HBO), e si dice tratto dallo stesso libro di Alexander Stille che in seguito diventerà
un documentario di denuncia. Qui la prospettiva è decisamente narrativa, ed enfatizza anche la vicen-
da privata di Falcone e Borsellino, la loro amicizia, i loro affetti.
Il motivo premonitore è allÊinizio: una lunga scena in tonnara al momento della mattanza, al porto di
Trapani dove Falcone si incontra con Borsellino, deluso per la separazione della moglie. Emergono i
tratti di una forte sicilianità: le radici nella tradizione, lÊamicizia virile, la conversazione sulle „femmi-
ne‰. Borsellino, felicemente sposato, presenterà a Falcone Francesca Morvillo, anchÊessa magistrato: di
qui unÊampia parentesi rosa per raccontare la loro storia: dapprima contrastata, fino al matrimonio e al
comune destino. Un altro topos è la Procura di Palermo: ambiente ostile, ufficio senza sedie né penne,
colleghi respingenti. ˚ proprio prestando una penna al giudice Costa, perché possa firmare gli ordini
di cattura che tutti si rifiutano di firmare, che Falcone passa dalla sezione Fallimenti a occuparsi di ma-

9 Su questi dispositivi, fondamentale Montani 2010.


10 Come Il Muro di Gomma (Marco Risi, 1991), Il Portaborse (Daniele Luchetti, 1991), Un Eroe Borghese (Mi-
chele Placido, 1996), Un Uomo Perbene (Maurizio Zaccaro, 1999). Cfr. Argentieri, 2000, p.73.
11 Il film è liberamente tratto dal libro omonimo di Nando Dalla Chiesa (1994), che riprende lÊepiteto di „giudice
ragazzino‰ da una infelice esternazione di Cossiga.
12 „˚ incredibile quanti regali si fanno in Sicilia‰, osservava Falcone nella sua celebre intervista con Marcelle
Padovani (1990, p. 87). In effetti nel film su Livatino cÊè unÊinsistita provocazione nellÊofferta di doni e nella
drammatizzazione del loro rifiuto, come quando le bottiglie di vino di una cassa rinviata al mittente sono spacca-
te una ad una contro il muro di casa del giudice.

6
fia. Il film si sviluppa anche come una collezione di motivi biografici,13 che sono altrettanti tasselli di
una vicenda ormai tutta emblematica: dalla passione di Falcone per lÊopera lirica, al suo rispetto per la
vecchia mafia e i suoi codici. Questo permette lo stabilirsi di un inedito sodalizio con Tommaso Bu-
scetta: dopo il fatidico incontro iniziale, dove Falcone, tra una sigaretta e lÊaltra, è sfidato ad andare
avanti e avvertito della morte che li attende, giudice e pentito mangiano insieme in carcere, di notte, a
sottolineare il riconoscimento reciproco e lÊurgenza dellÊobiettivo comune, sebbene per motivi diversi,
di distruggere la nuova mafia.
I limiti del film sono nellÊeccesso di glamour che lo pervade: dalla scelta di un compiaciuto e piuttosto
rigido Chazz Palmenteri come attore protagonista, agli ambienti lussuosi di una Sicilia ad uso di un
turismo, almeno visivo, dÊélite. E però si tratta probabilmente del linguaggio più verosimile per un
pubblico americano di televisione. Il trattamento è assolutamente lo stesso di un film di finzione, a par-
te la fine, dove sÊinnesta il solito rituale del passaggio al B/N delle scene documentarie della strage di
Falcone, e di una didascalia finale che completa la vicenda ricordando lÊuccisione di poco seguente
anche di Paolo Borsellino, e poi le dimissioni del governo Andreotti nel 1992 e finalmente lÊarresto di
Totò Riina (15 gennaio 1993).
Un film come questo contribuisce a sancire lÊingresso delle vicende di Falcone-Borsellino
nellÊimmaginario cinematografico, che enfatizza la mitologia dei personaggi, trasforma tutte le azioni e
le battute in gesti simbolici e in frasi celebri, contribuendo a fissarne i caratteri di eroi, civili e mediali
allo stesso tempo, oggetto cioè di forme ed espressioni di riconoscimento e a tratti di culto.14
Il meccanismo di tipizzazione e di raccolta degli episodi e delle frasi celebri diventa ancor più evidente
nei prodotti per la televisione italiana, come la miniserie Paolo Borsellino ( 2004) diretta da Gianluca
Maria Tavarelli. Anche qui la prima puntata è di segno euforico, mentre la seconda, dopo lÊuccisione
di Falcone, si divide fra il compianto per questÊultimo e lÊattesa della fine di Borsellino. Il trattamento-
fiction/melodramma è palese, si manifesta ad esempio nellÊeccesso di esplicitezza, con conseguente
lentezza: tutto è detto, tutto è mostrato nei minimi dettagli.15 Poiché Borsellino era un accanito fuma-
tore, non vÊè scena in cui non si accenda una sigaretta. Oppure la sua passione per la bicicletta diventa
un motivo ricorrente, simbolo delle sue umane passioni e delle rinunce a cui deve sottostare. Questa
esplicitezza puoÊ essere funzionale alla leggibilità generale delle vicenda, offrire, soprattutto nella prima
parte, una buona ricostruzione delle indagini, o della svolta concettuale – non perseguire tanto i singoli
delitti di mafia quanto la mafia in sé – che portò allÊistruzione del maxi-processo. Le logiche narrative
del piccolo schermo al tempo stesso inducono effetti di sostanziale irrealtà, come quando la decisione
di costituire il pull antimafia è presa al volo in un corridoio, o il patto fra i due giudici („il segugio e il
ragioniere‰) viene rinnovato con esuberanza durante un pranzo allÊaperto, sotto lo sguardo diffidente
degli altri avventori e le „spiate‰ di occhi misteriosi. Anche lÊambientazione è orizzontale rispetto al
supposto telespettatore: gli interni sono mediamente borghesi, il giudice e la sua famiglia si dividono
fra la casa di città e quella del mare. I rapporti famigliari sono centrali: la moglie è perennemente an-
gosciata ma attenta ai fornelli e sempre a sostegno del marito, le dinamiche coi figli insistono
sullÊinterazione edificante con il padre e sui problemi generati dal suo lavoro, dal cronico ritardo a
pranzo allÊanoressia di una delle figlie, qui molto meno aggressiva che non in altri film.16 La seconda
parte è lÊinfinita angosciosa attesa che si compia lÊattentato: le indagini restano sullo sfondo, anche per-
ché misteriose, mentre in primo piano è il senso di abbandono da parte delle istituzioni, cui si con-
trappone il sostegno della famiglia e della scorta, che il giudice tenta di proteggere. LÊidentificazione
sollecitata è di tipo personale, Falcone e Borsellino sono eccezioni in un mondo che li guarda con sor-
presa, paura se non fastidio, la lotta contro la mafia sembra quasi una questione loro, avulsa dal suo

13 „Biografemi‰, per Roland Barthes.


14 Sui culti mediali cfr. Volli, a cura, 2002.
15 Sui tratti tipici della fiction cfr. ad esempio Casetti-Villa 1992 (pp. 61-67) , che li identificano appunto nel reali-
smo dei sentimenti; la descrizione soggettiva degli eventi; la „miticità‰ dello scioglimento degli eventi; la ripeti-
zione la continua risemantizzazione di strutture narrative modulari ; lÊallentamento dei legami spazio-temporali
con il reale; la logica del „frattempo‰ o delle storie parallele.
16 Manfredi, più grande che nella realtà, dove aveva 9 anni, è interpretato da Elio Germano, nella parte della
figlia Fiammetta cÊè Veronica DÊAgostino, che sarà poi lÊattrice protagonista della Siciliana ribelle⁄

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significato più ampio di affermazione della giustizia e dalle sue ricadute sulla società. In questa punti-
gliosa ricostruzione, che privilegia lÊelencazione completa dei fatti e delle situazioni, diventano signifi-
cative del genere commemorativo e melò anche le omissioni o gli accenni incompleti agli episodi che
videro i giudici al centro delle polemiche.17
Non manca neppure qui lÊinterpolazione di brani documentari, come una breve sequenza dei funerali
di Falcone con il discorso della giovane moglie dellÊagente di scorta e alla fine le foto dellÊattentato, e i
discorsi. Non viene usata la tecnica dello stacco, che marca il contrasto tra i diversi tipi di materiale
audiovisivo usati, piuttosto si cerca di integrare nel testo la parte documentale, contaminandola. Con
scarsi risultati: il momento di maggiore commozione è ottenuto con i mezzi della finzione, quando,
due giorni dopo lÊattentato, la figlia Lucia si presenta in università a dare un esame di giurisprudenza,
e sui banchi dietro di lei le facce degli studenti sono quelle di tutti coloro che sono morti come suo
padre.
Allo scadere dei venti anni dalla morte dei magistrati, la Rai propone una sua fiction, sempre intitolata
a Borsellino,18 assai più asciutta della precedente, e soprattutto con la carismatica partecipazione di
Luca Zingaretti, identificato dal pubblico tv con il sicilianissimo commissario Montalbano tratto dai
romanzi di Andrea Camilleri.19 Anche questa scelta rappresenta di per sé un omaggio, ed effettiva-
mente il lavoro è più equilibrato fra la ricostruzione di una personalità e lÊinchiesta sulla morte di Fal-
cone che Borsellino tentò di condurre a termine. La trasmissione, nel giorno della morte, si configura
come una cerimonia mediale accanto alle altre previste nella giornata, dove la memoria e il ricordo
sono ormai ibridi fra realtà passata e rappresentazione attuale.20

Non solo giudici: le scorte

Sempre allÊinizio degli anni novanta, esce La scorta di Ricky Tognazzi (1993), con Carlo Checchi nella
parte del magistrato, molti giovani attori italiani ormai noti al grande pubblico, le musiche di Ennio
Morricone. „Liberamente ispirato ai fatti accaduti al giudice Francesco Taurisano e agli uomini della
sua scorta‰, riprende le vicende del sostituto procuratore a Trapani, protagonista di un clamoroso ten-
tativo di strappare alla mafia il controllo dellÊacqua, rubata alle condotte pubbliche e poi rivenduta ai
cittadini; anchÊegli dovette vivere blindato e fu sostenuto soprattutto dai suoi agenti di scorta dopo
lÊinizio della ben nota „cura‰ dellÊisolamento e della delegittimazione.
Il film non ambisce allÊesattezza storica (tutti i nomi sono di fantasia), ma focalizza lÊattenzione sulle
esistenze e le aspirazioni dei giovani agenti e delle loro famiglie:21 è efficace nel raccontare il costituirsi
di un attore collettivo, la progressiva adesione al lavoro del magistrato e la decisione generosa di pro-
teggerlo e di sostenerlo tanto più è visibilmente lasciato solo. ˚ un omaggio agli agenti uccisi, morti
non solo per un „rischio del mestiere‰, ma ben consapevoli e partecipi di una lotta e di un destino
comune a quello dei giudici. LÊaccento batte sul tipo di vita quotidiana che li scandisce: sirene spiega-

17 Come lÊinvestimento da parte della macchina della scorta di Borsellino di alcuni studenti, uno dei quali morì
sul colpo (25 novembre 1986), o lÊarticolo di Sciascia contro la sua promozione a Marsala, intitolato dal Corriere
„I professionisti dellÊantimafia‰ (gennaio 1997), che innescò una violenta polemica, o la sua stessa dichiarata ap-
partenenza politica di destra.
18 A Giovanni Falcone la Rai aveva dedicato nel 2006, due puntate, intitolate Giovanni Falcone. LÊuomo che
sfidò Cosa Nostra, di Andrea e Antonio Frazzi, con Massimo Dapporto, Emilio Solfrizzi e Elena Sofia Ricci. In
questa su Borsellino la regia è di Alberto Negrin, con Lorenza Indovina nella parte della moglie.
19 Cfr. Marrone 2003,
20 Su questo tema, cfr. Violi-Lorusso 2008, che scrivono, a proposito di una fiction „celebrative‰ dedicata a Nas-
sirya: „Si realizza in questo processo una sorta di ibridazione della memoria, che finisce con il contaminare ele-
menti fictional e ancoraggireferenziali di realtà. Nonostante lÊiscrizione sul piano dei nomi e dei volti dei military
uccisi, per lo spettatore il vero eroe di Nassirya finirà con il ciamarsi Stefano carboni e avere il volto di Raoul
Bova‰, p. 261.
21 Gli attori sono Enrico Lo Verso, Claudio Amendola, Ricky Memphis, Leo Gullotta, Tony Sperandeo⁄, già
connotati per interpretazioni in fiction e film di genere poliziesco.

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te, paranoie, alloggi blindati, minacce alle famiglie, attentati. La fine è amara: come nella realtà, il giu-
dice è trasferito altrove „per manifesta incompatibilità ambientale‰.
Due anni dopo ottiene il successo di pubblico il film di Claudio Fragasso Palermo-Milano solo andata
(1995), opera decisamente di finzione che calca la mano su quelli che orami sono i luoghi comuni del-
la narrazione di mafia, con contaminazioni spaghetti-western. Si tratta di portare a deporre a Milano
da Palermo il ragioniere della mafia Turi Angelo Leofonde, smascherato dalle dichiarazioni di un pen-
tito, il quale, dopo lÊuccisione dei famigliari, decide, per vendetta, di collaborare con la giustizia.22 Di
grande effetto, anche se completamente inverosimile, il finale in cui, bloccati dal traffico, gli agenti
decidono di attraversare con il testimone il centro di Milano, pieno di folla per lÊultimo giorno di car-
nevale. Dalla Galleria ai Tribunali si forma così un corteo che, al ritmo incalzante della musica, pro-
gressivamente sÊingrossa fino a diventare una sorta di grande manifestazione collettiva.
Benché si tratti di un chiaro esempio di sfruttamento commerciale delle vicende di mafia, è interessan-
te notare come ne tenga conto Gli angeli di Borsellino – La scorta QS21 (2003, regia di Rocco Cesa-
reo, protagonista Toni Garrani), 23 „liberamente ispirato‰ alle vicende della prima donna entrata in
una scorta e morta nellÊattentato a Borsellino, Emanuela Loi. A parte le esplicite citazioni, ad esempio
della fortunata musica di Donaggio, anche qui i personaggi delle opposte sponde sono delineati a tinte
forti, non manca lÊincontro/scontro fra il pentito e il magistrato, dappertutto si fa sentire una certa aria
di famiglia con le fiction televisive. Dato il „triste fine‰ noto in anticipo, il film è tutto costruito come
un presentimento, sia nella prospettiva della giovane che vive con angoscia il suo destino, sia negli
ampi capitoli in cui i componenti della scorta solidarizzano fra loro e con il giudice, sviluppano affetti
ed amicizie, tentano di fare una vita normale, di ribellarsi al destino di „cadaveri ambulanti‰ (altro to-
pos) che li segna. Il film ribadisce la sua dedica ai fatti reali con la consueta tecnica degli inserti iniziali
e finali tratti dal materiale dÊarchivio, stavolta però virato in blu, e ibridato con materiali di finzione. In
particolare alla fine, quando alle immagini documentali della strage di Borsellino si aggiungono quelle
di un simulato filmino di famiglia della ragazza uccisa, che gioca con un nipotino. Ed è forse proprio
questa progressiva ibridazione fra realtà e finzione, fra cinema e televisione, fra desiderio di celebra-
zione e esigenze di produzione a marcare prodotti come questo.

I collaboratori di giustizia:
giustizia: testimoni e pentiti

Tre film mostrano nel dettaglio quanto sia drammatico ribellarsi alla mafia dal suo interno, o parteci-
pare alla lotta contro di essa da comuni cittadini, e soprattutto come anche in questo caso lo Stato non
sia pienamente affidabile nel fornire il sostegno e la protezione necessari. Ancora una volta vicende
che dovrebbero rientrare nella norma mostrano tutta la loro eccezionalità e rivelano la debolezza delle
Istituzioni, solo localmente riscattate da individui di tempra del tutto particolare.
Testimone a rischio, di Pasquale Pozzessere (1997),24 si ricollega allÊomicidio di Livatino. Mette a fuo-
co la vicenda di Pietro Nava, un rappresentante di sistemi di sicurezza che il 21 settembre 1990 fu te-
stimone oculare del delitto. Il film ricostruisce assai bene le conseguenze a cui espose sé e la sua fami-
glia, offrendo volontariamente la sua collaborazione alla polizia. Di fatto la sua vita – aveva circa qua-
rantÊanni – fu cambiata per sempre, alla fine fu protetto ma a costo di perdere la propria identità, il
lavoro, lÊambiente sociale, la libertà. Il film si sofferma sul sostegno intermittente dello Stato, presente-
assente, sul ruolo a volte ambiguo dei suoi rappresentanti: del resto la prima legge sui collaboratori di
giustizia, a cui Nava fu assimilato, fu votata solo il 16 marzo 1991, e la differenza con i pentiti fu sancita
solo dieci anni dopo. Interessante il modo in cui Nava, nella solitudine e nel turbamento in cui è co-
stretto, in alcune sequenze ben costruite riordina puntigliosamente i suoi ricordi, prima di confermare

22 Anche in questo caso gli attori sono già noti al grande pubblico per avere interpretato ruoli simili (Giancarlo
Giannini, ancora Toni Sperandeo, Valerio Mastrandrea, Stefania Sandrelli...), le musiche, efficaci, sono di Pino
Donaggio.
23 Dal libro La ragazza poliziotto. Storia di Emanuela di Francesco Massaro, 1994.
24 Con Fabrizio Bentivoglio, Claudio Amendola, Margherita Buy. Si ispira al libro LÊavventura di un uomo tran-
quillo di Pietro Calderoni (1995).

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le accuse, e la valenza esistenziale che attribuisce alla propria esperienza, a distanza di tempo,
dallÊaltrove della sua nuova vita. Malgrado lÊallucinante vicenda vissuta, rivendica la scelta fatta: „non
oso pensare, osserva, come mi sentirei se non lo avessi fatto‰. Una scritta finale, in sovrimpressione,
ricorda altri 70 cittadini comuni che dopo Nava hanno contribuito alle indagini su delitti di mafia usu-
fruendo del programma di protezione. Con questo tentativo di tradurre lÊeccezione in esempio, il film
tenta di raddrizzare in extremis la morale che dovrebbe trarne lo spettatore.
Dieci anni dopo, LÊuomo di vetro, di Stefano Incerti (2007), 25 è sulle atroci vicende del primo pentito
di mafia, Leonardo Vitale. Il suo contributo alle indagini su Cosa Nostra fu pienamente riconosciuto,
ed autorevolmente dallo stesso Falcone, solo dopo la morte, quando le rivelazioni dei „nuovi‰, appa-
rentemente più attendibili pentiti, trovarono riscontro nelle sue confessioni.26 Condannato per i suoi
crimini, ma poco ascoltato per le sue rivelazioni, fu puntualmente ammazzato dalla mafia appena usci-
to dal carcere, il 2 dicembre 1984. La vicenda reale si colloca fra il 1972 e il 1984: il pentimento di Vi-
tale avviene per motivi religiosi – i giornali lo definiscono „Un mistico ossessionato dagli omicidi‰. Il
film è efficace nel raccontare la pressione dellÊambiente famigliare mafioso, nonché il calvario a cui è
sottoposto Vitale, fra perizie psichiatriche, manicomi, torture psicologiche e pestaggi, e non fa sconti
sui passaggi più crudi (omicidi, elettroshock, autolesionismi). LÊintento commemorativo del film emer-
ge in modo esplicito alla fine, ancora una volta attraverso le forma dellÊenunciazione enunciata: le pa-
role-dedica di Giovanni Falcone („˚ augurabile che, almeno dopo morto, Vitale trovi il credito che
meritava e che merita‰), una sua fotografia in B/N, in cui ride, ammanettato, e la dichiarazione che il
film racconta fatti realmente accaduti e accertati in giudizio „anche se per ragioni narrative sono stati
inseriti elementi di finzione‰. Anche in questo caso, inoltre, il gesto di commemorazione mediale trova
un rilancio sul piano del culto religioso vero e proprio: su Internet un sito, curato da un cugino, defini-
sce Leonardo Vitale „nuovo martire‰ accanto agli altri assassinati della mafia (Dalla Chiesa e la mo-
glie, padre Puglisi, ecc.), ed anche per lui auspica lÊavvio del processo di beatificazione, col sostegno di
quella Chiesa apertamente schierata contro la mafia.
UnÊaltra tragica storia di pentimento è quella narrata in La siciliana ribelle di Marco Amenta, del 2008,
dedicato a Rita Atria, giovanissima collaboratrice di giustizia di Borsellino, morta suicida pochi giorni
dopo lÊuccisione del giudice. Rita è figlia di don Michele, uomo di „vecchia mafia‰, eliminato a un
certo punto dallo zio don Salvo. Il cuore del film dissacra il mito della famiglia mafiosa: in cui ci si
ammazza fra parenti, si dissimulano odi e rancori, si violenta, si rinnegano le figlie disobbedienti. Rita
crede che il padre e il fratello siano uomini giusti, giura di vendicarli, è innamorata senza saperlo del
loro assassino. Il film racconta bene il suo percorso di conversione, stavolta non religioso, ma proprio
attinente il concetto di giustizia: partita dallÊidea di poter strumentalizzare lo Stato per perseguire la
propria vendetta, col tempo, attraverso un giudice come Borsellino, inizia a comprendere le ragioni di
unÊaltra legge, prima da „pentita‰, poi con un suicidio che suggella tutte le sue accuse. Il film si chiude
con unÊefficace scena di damnatio memoriae mafiosa, rispetto alla quale il cinema si propone in qual-
che modo come risarcimento: la madre di Rita non solo abbandona e rinnega la figlia, ma in un rap-
tus di amore e di odio ne va anche a spaccare la lapide con un martello.

La nuova stagione, inchieste e documentari

Negli anni recenti si osservano importanti novità rispetto al cinema civile del passato, che potremmo
sintetizzare in una ridefinizione, e a tratti una radicalizzazione delle scelte espressive, fra la visionarietà
da un lato (Il divo di Paolo Sorrentino, 2008, per certi versi anche Gomorra di Matteo Garrone, 2008)
e stretta documentazione dallÊaltra. Forse proprio il documentario di Marco Turco In un altro paese
(2006, distribuito nel 2008) ricostruisce il tragico e complesso capitolo di Falcone e Borsellino nel mo-

25 Il film è tratto dal libro omonimo di Salvatore Parlagreco, convincente attore protagonista Tony Palazzo (già
interprete di Ninni Cassarà nella fiction Mediaset su Borsellino).
26 „Lo Stato, dopo averne sfruttato le debolezze caratteriali, una volta avuta la sua confessione, lÊha rinchiuso in
manicomio dimenticandolo‰ (Falcone, 1991, pp. 64-65). Particolare non da poco, nella realtà il funzionario di
polizia a cui si rivolse Vitale era Bruno Contrada, poi condannato a sua volta per associazione mafiosa nel 1996.

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do più efficace, trasponendo lÊinchiesta del giornalista e scrittore italo-americano Alexander Stille Nella
terra degli infedeli. Mafia e politica (1995). Il titolo riprende la dedica a Falcone e Borsellino, che per
esteso, recita: „In un altro paese gli artefici di una tale vittoria sarebbero stati considerati un patrimonio
nazionale. Dopo aver vinto la prima battaglia a Palermo, ci si sarebbe aspettato che Falcone e i suoi
colleghi fossero messi nelle condizioni di vincere la guerra. Invece in Italia avvenne proprio il contra-
rio‰. Prodotto in piena epoca berlusconiana, il film ripercorre le vicende dei due giudici non solo per
onorarne la memoria, ma per riaprire il dossier della loro morte e denunciare lÊinterruzione della lotta
alla mafia, e le ambiguità del governo. Protagonista del film è lo stesso giornalista–scrittore, doppiato
dallÊattore Fabrizio Gifuni: la sua inchiesta si dipana tra gli archivi pubblici in cui si reca a esaminare
gli incartamenti e gli incontri con i protagonisti di quel periodo. Lo accompagnano alcuni testimoni
privilegiati, come Letizia Battaglia, giornalista de lÊOra di Palermo dal 1969, consacrata „fotografa della
mafia‰ per i suoi reportage negli anni più bui. E poi Antonino Caponnetto, compagno dei giudici
ammazzati, la cui sconsolata dichiarazione „˚ tutto finito!‰, mentre lascia la scena della strage di Bor-
sellino, apre il film. A loro si alternano altri interventi, alcuni a carattere di testimonianza diretta (i giu-
dici istruttori del primo pool anti-mafia Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello; il pm al maxiproces-
so, Giuseppe Ayala; i loro colleghi più giovani, Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia; e da amici
come il magistrato Francesco Lo Voi, il giornalista Francesco La Licata), altri di commento e ragiona-
mento, come quelli dello storico Sergio Luzzatto. Prende così forma una narrazione integrata fra paro-
le e immagini, il cui scopo fondamentale è quello di ricostruire e comprendere, ricordare ma anche
denunciare, esempio di un equilibrio riuscito tra cognizione ed emozione, approccio storico e testimo-
niale. Particolarmente efficace la documentazione visiva, spesso choccante, densa di informazioni.
Come le foto di Letizia Battaglia che fissano gli elementi di una scena tragica canonica, con il morto
ammazzato per strada, il sangue sul selciato sconnesso di una città da dopoguerra, le donne nere, i
fotografi, i poliziotti e gli spettatori. Oppure le riprese del maxi-processo, documentato fin dalla costru-
zione dellÊaula bunker, pensata per resistere a un attacco di missili: elemento simbolico di grande po-
tenza, sia allÊesterno, costruzione di guerra, sia allÊinterno, con le gabbie e gli imputati di diversa atti-
tudine, il rumore e il silenzio.
Contro i luoghi comuni del mito oscuro di una mafia invincibile e pervasiva, qui si restituisce unÊidea
precisa dei passaggi della vera e propria guerra che i giudici del pool le mossero sui diversi fronti:
quello diretto delle indagini e dei processi, ma anche quello con „Roma‰ per il sostegno legislativo, e
con il proprio stesso ambiente.
Un altro documentario, Il fantasma di Corleone (2006) di Marco Amenta e Andrea Purgatori (il primo
alla regia), inizia dove finisce il precedente, si dichiara „una forma di vigilanza‰. Marco Amenta, già
autore di La siciliana ribelle, partito dalla Sicilia a 18 anni dopo le stragi di Falcone e Borsellino e de-
ciso a non tornarci più, ci torna invece sulle orme di Bernardo Provenzano, per comprendere la sua
incredibile latitanza e documentare il lavoro di Giuseppe Linares, caposquadra della Mobile di Tra-
pani detto appunto „il cacciatore‰, in coordinamento con il commissariato di Marsala.
LÊimpianto dellÊinchiesta è quello già sperimentato In un altro paese, con maggiori concessioni alla
tensione e alla spettacolarità. Da un lato vi sono la ricostruzione della personalità e della storia di Pro-
venzano, dallÊaltro è data ampia illustrazione alle tecniche di indagine e anche allÊentusiasmo di Lina-
res, che argomenta il proprio lavoro con riferimenti colti, come alla tragedia greca e a Ettore, lÊeroe
apparentemente sconfitto ma moralmente vincente. Emergono particolari inquietanti, lÊavvocato difen-
sore del grande latitante che lo può incontrare segretamente, la storia delle operazioni mediche fatte
allÊestero e poi rimborsate dalla regione siciliana. Per arrivare al dunque, alle „coperture politiche‰. Il
film sembra partecipare direttamente alla caccia, che ora appare affidata in primo luogo alle forze
dellÊordine, sul territorio, come vere eredi del metodo del pull. Compaiono i nuovi „poliziotti‰, agenti
che in azione si mascherano, che esultano al momento delle catture riprese in tv, mentre i giudici
sembrano ora più defilati, quasi dei commentatori.27

27Un altro film-documentario uscito in occasione del ventennale di Falcone e Borsellino è Uomini soli, di Paolo
Santolini, distribuito dal quotidiano La Repubblica con il libro omonimo di Attilio Bolzoni.

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Conclusioni: il cinema
cinema come iscrizione

LÊultimo film dedicato alla memoria dei giudici a ventÊanni dalla loro morte cui accenniamo è Il Con-
vitto Falcone di Pasquale Scimeca (2012),28 tratto dal racconto La mia partita di Giuseppe Cadili, scrit-
to dopo il ritrovamento di due pagelle di Falcone, che frequentò lÊistituto dallÊottobre 1944. Racconta
la storia di un ragazzino, ospite del Convitto, deciso a truccare la partita del torneo di calcio per rival-
sa, che poi desiste dal proposito e comprende il valore dellÊonestà, si potrebbe dire convertito dalle
forme di presenza e di iscrizione dei valori di Falcone sugli stessi muri dellÊIstituto. Nelle intenzioni del
regista, anche il cinema dovrebbe contribuire ad ottenere questo effetto sugli spettatori. Ecco che i
dettagli biografici ancora una volta si trasformano in eventi simbolici, col valore di esempi, la cui effi-
cacia si può trasporre in base alla similarità che rivestono con i casi vissuti: così in Convitto Falcone la
partita a pallone nel cortile della scuola diventa la partita della vita: „qui un ragazzino si gioca tutto, il
futuro e lÊonestà, decidendo se truccare una semplice partita di calcio‰ (Falsone, 2012, p. 43).
Scimeca considera il cinema pedagogicamente più efficace della tv. Come abbiamo visto da questa
breve rassegna, è difficile prendere decisamente partito. ˚ vero che le fiction sono spesso banali, ma
può essere confuso e superficiale anche un film pieno di buone intenzioni. In realtà la formazione di
una competenza effettiva negli spettatori-cittadini, il germe di una coscienza più vigile e attenta ai valo-
ri della legalità, non può che essere un percorso graduale, in cui è fondamentale lo scatto di una vo-
lontà di sapere e di uno spirito critico. Li può innescare una notizia di telegiornale o una fiction mode-
sta, attraverso cui essere informati, indignati, impietositi, commossi: pronti a commemorare ma anche
a riflettere, e se necessario agire.

pubblicato in rete il 21 febbraio 2013

28Scimeca firma la sceneggiatura insieme a Francesco La Licata (autore della biografia Storia di Giovanni Fal-
cone, 2002). Già autore di Placido Rizzotto (2000), sul sindacalista ucciso dalla mafia il 10 marzo 1948 il cui cor-
po è stato ritrovato di recente, consentendo di celebrarne i funerali di stato, alla presenza del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano, in concomitanza con la commemorazione di Falcone e Borsellino nellÊaula
bunker dellÊUcciardone. In questo modo si è creato un effetto di continuità e di unitarietà nellÊomaggio alle vit-
time della mafia.

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