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F O N DA Z I O N E NA Z I O NA L E GIUSEPPE CAPOGRASSI

RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO

2
Anno di fondazione 1921
Serie V - aprile/giugno 2020

Di Lucia, Amedeo Giovanni Conte


Benedetti, Sull’Antigone di Anouilh
Orlandi, Istituzione e linguaggio

Spedizione in a.p. - 45% - art. 2 comma 20/b - legge 662/96 - Filiale di Varese - ISSN 1593-7135
Cerrone, Un dialogo tra Emilio e Ugo Betti
Cananzi, Modernità e secolarizzazione in Del Noce
Nitsch, Le Pagine sulla guerra di Croce
Mori, Terzo umanesimo e filosofia del diritto
Ercole, Calcolabilità giuridica e giudizio
S O M M A R I O

Paolo Di Lucia, Ricordo di un maestro: Amedeo Giovanni Conte (1934-2019).......... 261

Giuseppe Benedetti, Sull’Antigone di Anouilh


(Con una Presentazione di Valerio Pescatore e una Postfazione di Ludovico Ercole)... 281

Mauro Orlandi, Istituzione e linguaggio........................................................................ 301

Francesco Cerrone, Un dialogo fraterno tra il professore e il poeta: Emilio e Ugo


Betti................................................................................................................................... 335

Daniele M. Cananzi, Elementi carsici dell’esperienza giuridica: note su modernità e


secolarizzazione nella lettura di Del Noce.......................................................................... 379

Carlo Nitsch, La Filosofia dello spirito alla prova dei fatti. Le Pagine sulla guerra di
Benedetto Croce..................................................................................................................... 387

Valerio Mori, «Terzo umanesimo» e filosofia del diritto. A proposito della riedizione
dell’Elogio del diritto di Werner Jaeger............................................................................ 413

Ludovico Ercole, Sul bisogno di calcolabilità giuridica. Note a margine di una “Tri-
logia del giudicare”................................................................................................................ 433
Sull’Antigone di Anouilh*
Giuseppe Benedetti

Storia di una lezione (Giuseppe Benedetti a Napoli, il 10 febbraio


2004)

1. Il 10 febbraio 2004 Giuseppe Benedetti è a Napoli, ospite dell’U-


niversità “Federico II”. Invitato da Antonio Punzi, col quale ha avvia-
to un affettuoso dialogo che si rivelerà assai fecondo, tanto da orien-
tare gli studî di entrambi negli anni successivi1, Benedetti è accolto
dal preside della Facoltà di Giurisprudenza, Michele Scudiero, e da
Raffaele Rascio, decano dei civilisti dell’Ateneo.
La città offre all’ospite proveniente da Roma uno di quei pome-
riggi che soltanto chi non la conosce considera impossibili nel mese
di febbraio. L’aula dedicata ad Enrico Pessina, nell’edificio centrale
di Corso Umberto I, è gremita di dottorandi del corso di “Filosofia
del diritto: arte e tecnica della giurisprudenza. Ermeneutica dei diritti
dell’uomo”, nonché di studenti, molti dei quali costretti a seguire la
lezione da un’aula attigua, in video.

* Il testo, inedito, di una lezione dottorale tenuta da Giuseppe Benedetti, a Napoli, il 10


e 13 febbraio 2004. L’occasione e le ragioni di essa sono chiarite nella nota di Valerio Pesca-
tore (pp. 281-288). Una lettura critica del testo è offerta da Ludovico Ercole (pp. 294-299).
(1) Ne sono la testimonianza innanzitutto le due limpide ed intense Prefazioni di A.
Punzi a G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpretazione. Studi su ermeneutica e
diritto, Giappichelli, Torino 2014, pp. XV-XIX; e a Id., Oltre l’incertezza. Un cammino di
ermeneutica giuridica, il Mulino, Bologna 2020, pp. 11-17; ed anche A. Punzi, L’attitudine
ermeneutica del giurista europeo. La lezione di Giuseppe Benedetti, in «Persona e mercato»,
1, 2020, pp. 14-20.
282 GIUSEPPE BENEDETTI

Si percepisce l’atmosfera particolare dell’avvenimento accademi-


co: l’ineffabile sensazione che qualcosa sta per accadere.
L’impressione, in chi giunge da fuori, è che la preparazione di
studenti ed allievi, curata da Antonio Punzi nelle settimane prece-
denti, abbia suscitato attesa e curiosità. Alimentate da un titolo – An-
tigone: secolarizzazione del diritto naturale o gioco della politica?
– che non lascia in alcun modo prevedere lo sviluppo del discorso.
Ma perché uno dei civilisti più rigorosi della sua generazione,
educato agli insegnamenti di Filippo Vassalli e di Emilio Betti e cre-
sciuto sotto la guida di Francesco Santoro-Passarelli, di cui è stato
allievo consonante fino a diventarne alter ego, si presenta alla comu-
nità accademica napoletana su un tema come questo?

2. Assecondando un’attitudine manifestata in più scritti del suo


“periodo dogmatico”2, già da qualche anno la riflessione di Benedetti
– da sempre indirizzata alla raffinata ed acuta ricostruzione di strut-
ture ed istituti dell’autonomia privata – è attratta da argomenti nuovi:
o, meglio, da prospettive differenti3.
Dapprima stupiti, poi progressivamente abituati, gli allievi hanno
visto affollarsi sui suoi affascinanti tavoli di studio, a Roma a Ca-
nepina o a Ravello, volumi ed autori lontani dal diritto positivo: da
Nietzsche a Lyotard, da Esser a Ricœur; e con essi, via via imman-
cabili, Gadamer e l’amato Heidegger. È una compenetrazione sempre
più piena, un interesse e una passione che, coltivati fin dalla gioventù,
riemergono dirompenti, e di lì a breve lo rapiranno ed assorbiranno
in modo esclusivo. Tanto da far scrivere a Paolo Grossi, in un bigliet-

(2) Si vedano, ad esempio, G. Benedetti, Appunti storiografici sul metodo dei privatisti
e figure di giuristi, in Prelazione e retratto. Seminario coordinato da G. Benedetti, L. V.
Moscarini, Giuffrè, Milano 1988; in B. Carpino (a cura di), Raccolta di scritti in memoria
di Angelo Lener, Eci, Napoli 1989, p. 241 ss.; ora in G. Benedetti, Oggettività esistenzia-
le dell’interpretazione, cit., pp. 5-32; Id., Una testimonianza sulla teoria ermeneutica di
Emilio Betti, in «Rivista di diritto civile», 1, 1990, p. 777 ss.; col titolo Eticità dell’atto
ermeneutico. Una testimonianza sulla teoria di E. Betti, anche in V. Rizzo (a cura di), Emilio
Betti e l’interpretazione, Esi, Napoli 1991; ora in G. Benedetti, Oggettività esistenziale
dell’interpretazione, cit., pp. 105-134.
(3) Cfr. G. Vettori, Dalla dogmatica all’ermeneutica critica. Il percorso di Giuseppe
Benedetti, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 4, 2019, pp. 1203-1221.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 283

to privato inviato a Benedetti nel maggio del 2017: «Ammiro la tua


dominanza culturale: accanto al ferratissimo giurista, e in perfetta ar-
monia, c’è l’uomo di pensiero, che vola in alto, che possiede le molte
chiavi a lui fornite da una provetta conoscenza del pensiero filosofico
moderno. Un solo esempio: Heidegger».
Alla riflessione del giurista dogmatico, dunque, si va affiancan-
do, per esserne poi pressoché sostituita negli anni successivi, quel-
la sulla funzione del diritto, in particolare del diritto civile, e sulla
più ampia vocazione del giurista nella società4, e anche nel perio-
do della acuta crisi attuale. L’approdo – come ha felicemente còlto
Giuseppe Vettori – sarà, ma in realtà è già allora, nell’ermeneutica,
un’“ermeneutica critica”5.
All’inizio del nuovo millennio, la meditazione su questi temi è
già assai approfondita.
Il 7 giugno del 2002, nella giornata conclusiva di un memorabile
convegno messinese in onore di Angelo Falzea, la seduta antimeri-
diana dedicata a “La formazione del civilista” è affidata esclusiva-
mente alle relazioni proprio di Paolo Grossi e di Giuseppe Benedetti:
l’uno, su La cultura del civilista italiano (Un profilo storico)6; l’altro,
su La contemporaneità del civilista.
La preparazione di Benedetti è stata – come sempre in simili
occasioni – lunga, intensa, meticolosa. È in quel periodo che egli re-
incontra Antigone.
Dalla quale è ora attratto non più tanto per il forte valore simboli-
co, quale emerge dalla lettura tradizionale della tragedia sofoclea; ma
in chiave postmoderna, per la molteplicità di interpretazioni che la
figura ha suggerito nell’arco della storia, specie tra Otto e Novecento,
nel mondo della letteratura, del diritto e delle idee. Variazioni sul
mito, ad esempio, è il significativo sottotitolo di un libriccino, edito

(4) La svolta, o meglio il momento in cui il passaggio è più evidente, sono segnati da
G. Benedetti, La contemporaneità del civilista, in V. Scalisi (a cura di), Scienza e inse-
gnamento del diritto civile in Italia. Convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea.
Messina 4-7 giugno 2002, Giuffrè, Milano 2004, pp. 1229-1299; ora in G. Benedetti, Oltre
l’incertezza, cit., pp. 19-81 (da cui anche le successive citazioni).
(5) Cfr., in particolare, l’ultimo saggio di G. Benedetti, Sull’in-certezza del diritto. Dal
dogma della certezza a un’ermeneutica critica, in Id., Oltre l’incertezza, cit., pp. 137-168:
su cui specialmente G. Vettori, Dalla dogmatica all’ermeneutica critica, cit., p. 1208.
(6) Le si legge in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, cit., pp. 1149-1228.
284 GIUSEPPE BENEDETTI

nel 2000, su cui Benedetti ha visto fisicamente accostate le versioni


teatrali di Sofocle, di Jean Anouilh e di Bertold Brecht7.
La relazione detta a Messina nel giugno 2002 contiene riferimen-
ti ad Antigone; ma quando, nei quasi due anni successivi, il discorso
è tradotto nello scritto per gli atti del convegno, è evidente che il
pensiero ha sedimentato, giungendo ad esiti ben più profondi e inno-
vativi. Ne è nato un saggio ampio e denso, ricchissimo di spunti: che
marca, si può dire, il definitivo distacco dell’Autore dalla imposta-
zione del giurista positivo e segna l’inizio di una nuova fase di studî.

3. La lezione napoletana su Secolarizzazione del diritto naturale o


gioco della politica? si colloca precisamente in questo periodo: tra
la relazione orale messinese ed il momento in cui essa è affidata alla
stampa (il volume degli atti sarà edito nel maggio 2004).
In quegli stessi mesi, nel 2003, viene ripubblicato in Italia Le
Antigoni di George Steiner, in un’edizione che Benedetti, espres-
samente citandola nello scritto per gli atti del convegno, definisce
«fondamentale»8. La lettura steineriana del mito, tra Euripide e
Hölderlin, tra Hegel, Kierkegaard, Nietzsche e Freud, indubbiamen-
te lo colpisce.
Nello scritto messinese Antigone è «figura che attraversa duemi-
lacinquecento anni di cultura occidentale»: «indice paradigmatico»
del problema della giustizia, della «pretesa veritativa del diritto» e dei
«contenuti della norma giuridica»; essa «rappresenta assieme il pro-
blema della condizione umana e il pensare tale problema in termini
tragici, propri della civiltà occidentale, in relazione ai precetti della
polis e dell’etica»9.
In questa prospettiva, poco oltre, si svolge anche il serrato con-
fronto con Antigone e Porzia di Tullio Ascarelli10: confronto, che pone

(7) Sofocle, Anouilh, Brecht, Antigone. Variazioni sul mito, a cura di M. G. Ciani, Mar-
silio, Venezia 2000.
(8) G. Steiner, Le Antigoni, Garzanti, Milano 2003. Il giudizio è in G. Benedetti, La
contemporaneità del civilista, cit., p. 36, nota 36.
(9) G. Benedetti, La contemporaneità del civilista, cit., p. 35 ss.
(10) Ivi, pp. 46-50, in ovvio dialogo con T. Ascarelli, Antigone e Porzia, in «Rivista
internazionale di filosofia del diritto», 4, 1955, p. 756 ss.; in Id., Problemi giuridici, vol. I,
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 285

in particolare risalto lo scontro tra Antigone e Creonte, e ancor più il


ruolo di quest’ultimo. Creonte – osserva Benedetti – «non è il tiranno
come sembra ad Antigone, poiché la sua legge risponde a necessità
dello Stato, che si fonda sulla esemplarità della sanzione che va inflitta
a chi marcia sulla propria città per sovvertire l’ordine prestabilito»11.
Non è un azzardo l’ipotesi che l’adozione di questa particolare
prospettiva – vale a dire la scelta di un angolo d’osservazione che
volge lo sguardo, più che sulla eroina femminile, sul tiranno12 – sia
stata suggerita a Benedetti da Jean Anouilh.
La lezione napoletana del 10 febbraio 2004 sembra esserne la
dimostrazione.

4. Chi, in queste paginette, si prova nel ricordo, ha avuto la sorte di


assistervi. E può testimoniare che la lezione, durata ben più dell’o-
ra accademica, è proseguita anche oltre la parte qui riprodotta: con
riflessioni che, ulteriormente rielaborate, sono poi confluite proprio
nello scritto apparso negli atti del convegno messinese. Ma il testo
qui presentato, del tutto inedito, della lezione napoletana costituiva
senz’altro il cuore, la parte centrale e principale.
Va detto a chiare lettere che non si trattò di un divertissement: fu
un consapevole, ricercato ed elegante esercizio di destrutturazione:
del testo teatrale di Anouilh; del mito di Antigone; e del suo signifi-
cato, filosofico e giuridico.
Fu una lezione memorabile; una di quelle che sùbito lasciano per-
cepire l’eccezionalità del momento, e di ciò cui si assiste. Eppure,
nonostante le sollecitazioni e gli inviti che da più parti, e innanzitutto
da Antonio Punzi gli furono rivolti, Benedetti non si persuase a pub-
blicarla. Come se il suo personale dialogo con Antigone non fosse
concluso, avesse altro da dire.

Giuffrè, Milano 1959, p. 3 ss.; nonché in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, Utet,
Torino 1960, p. 107 ss.
(11) G. Benedetti, La contemporaneità del civilista, p. 35. Che prosegue: «Così Anti-
gone non è, come sembra a Creonte, chi vuole ignorare l’ordine della città. Essa in realtà
oppone alla legge valida una più alta, che anche il re non può “sovvertire”, né violare».
(12) Così pare anche a L. Ercole, L’Antigone di G. Benedetti, infra, p. 296.
286 GIUSEPPE BENEDETTI

E, in effetti, la storia di quella lezione non finisce a Napoli; e


neppure con lo scritto comparso pochi mesi dopo negli atti del con-
vegno, quello che per anni Benedetti scherzosamente rievocò, à la
nietzschienne, come “idillio messinese”.
La figura di Antigone, il suo ruolo centrale nella cultura occiden-
tale, non solo giuridica, sono stati perseverante oggetto di riflessione
e di studio. Benedetti vi tornò spesso, nei colloqui con studenti ed al-
lievi, nei seminari e nelle lezioni: anche in quelle che Antonio Punzi
gli affidò, tra il 2012 ed il 2018, nell’àmbito dei suoi corsi di “Metodo-
logia della scienza giuridica” alla Luiss Guido Carli di Roma.
Ed anche quando si persuase finalmente a ripubblicare La con-
temporaneità del civilista, la cui diffusione era stata evidentemente
penalizzata dal fatto che lo scritto era comparso soltanto negli Atti
del convegno messinese; e quando, negli ultimi anni, si dedicò alla
profonda rimeditazione di molti dei temi affrontati in quello scritto,
ragionando sul principio di certezza del diritto e sulla relativa crisi13;
ebbene, la figura di Antigone ed i nodi problematici che essa ha fatto
emergere sono rimasti centrali.
Costantemente percepibili nell’ordito del ragionamento.

5. Del riordinare una biblioteca, e tanto più se di una persona scom-


parsa, si può forse dire ciò che Natalino Irti ha scritto, anni fa, a pro-
posito di un catalogo di libreria antiquaria. Costituire la raccolta di
libri – al pari, appunto, dell’elenco contenuto nel catalogo – un «pa-
esaggio del nostro animo e del nostro intelletto»: perché ogni libro
e ogni documento, «carico di tutto il suo passato, come impregnato
dallo sguardo di tutti i lettori [...], apre il colloquio tra gli “antichi” e
noi»14.
Ordinando la biblioteca di Giuseppe Benedetti, tra le innumere-
voli cartelline che egli usava per raccogliere e (dis)ordinare schede,

(13) Cfr., in particolare, l’ultimo Sull’in-certezza del diritto. Dal dogma della certezza a
un’ermeneutica critica, in G. Benedetti, Oltre l’incertezza, cit., pp. 137-168.
(14) N. Irti, Il catalogo e la memoria, breve testo pubblicato, il 18 aprile 2001, nel
catalogo della “Libreria antiquaria Giulio Cesare” di Roma, recuperato grazie alla solerzia
di Maria Pia Pignalosa.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 287

appunti, schemi, minute, chi scrive ne ha rinvenuta una su cui erano


vergate solo due parole: «Per Antonio».
Essa conteneva il testo della lezione napoletana, e una sua fitta
traccia, e cartigli e schedule sulla “Antigone di Benedetti”. Il conte-
nuto ha inequivocamente identificato il destinatario, al di là di ogni
dubbio, in Antonio Punzi.
Da quella cartellina alla pubblicazione (e anche alle pagine di
Ludovico Ercole15, e a queste poche righe), non v’è bisogno di dire.
Dopo quindici anni, il cerchio si chiude.

6. Proprio a distanza di anni, e tanto più se letta alla luce della fitta
trama di riflessioni che l’hanno preceduta e seguìta, la lezione napo-
letana è testimonianza felice del dipanarsi del pensiero dell’Autore:
o, se si vuole, di una sua tappa.
L’insegnamento che se ne trae – uno dei tanti, tra quelli che ci
addita la vita di questo modello di «professore-insegnante»16 – è che,
per il vero studioso, il pensiero e la «fatica del pensiero»17 non si in-
terrompono mai.
È esemplare, in questo senso, il palinsesto che sorregge, a mo’ di
architrave e scheletro interno, gli studî riuniti e rivisitati in Oggetti-
vità esistenziale dell’interpretazione: un volume che non fu voluto da
Benedetti come una raccolta di scritti, quale infatti non è; ma come
un’opera nuova ed unitaria. Segnata da una intima e stringente coe-
renza interna, per certi versi struggente nella forza della fedeltà alle
convinzioni anche morali dell’Autore.

(15) L. Ercole, L’Antigone di G. Benedetti, cit..


(16) Il breve ma bel Ricordo di Giuseppe Benedetti, pubblicato il 15 febbraio 2019 su
Diritto Mercato Tecnologia (https://www.dimt.it/news/ricordo-di-giuseppe-benedetti/), ne
riproduce fedelmente uno dei dettami più noti agli allievi: «La sua fu innanzitutto una Scuo-
la di libertà, nella quale l’unico credo da osservare fu la fatica del pensiero».
(17) «Giuseppe Benedetti» – ha detto il 28 novembre 2008 Natalino Irti, in occasione
della consegna degli Studi in suo onore (Napoli, 2008) – «è stato, ed è, un professore-inse-
gnante. Insegnante (bisogna sempre consultare l’étimo delle parole) è colui che reca il segno
impresso da altri e lascia il proprio segno nel cuore e nell’intelligenza di altri. Egli sta fra
maestri di ieri ed allievi di oggi: fra maestri, che lor volta furono allievi, ed allievi, che a lor
volta saranno maestri»: ora in N. Irti, Un professore-insegnante (per Giuseppe Benedetti),
in Id., Occasioni novecentesche sul cammino del diritto, Editoriale scientifica, Napoli 2012,
pp. 117-121, corsivo nel testo.
288 GIUSEPPE BENEDETTI

È forse per questo che, nella libreria del suo studiolo romano, ben
visibile ad altezza degli occhi, stava una piccola targa, dono di un
allievo, che reca scolpito il michelangiolesco «Ancora imparo».
La storia di questa lezione, e in realtà l’intera vita di Giuseppe
Benedetti, non smettono di insegnarlo.

(di Valerio Pescatore)

***

Sull’Antigone di Anouilh
Giuseppe Benedetti

La figura di Antigone non ha sollecitato solo le diverse letture


degli interpreti, succedutesi nel tempo, ma l’ingegno degli Autori di
testi teatrali, da Sofocle a Brecht. Il mito e la tragedia greca sono stati
ripresi nel secolo appena concluso da grandi Autori: per limitarci alla
cultura francese, da Cocteau (Edipo re, 1934) a Giraudoux (Elettra,
1938), da Sartre (Le Mosche, 1943) ad Anouilh.
Quest’ultimo nel 1942 ha scritto un fortunato testo teatrale18 (rap-
presentato anche in Italia con la regia di Visconti) intitolato esatta-
mente Antigone. E fondandomi proprio su questo testo propongo la
lettura di un Autore del XX secolo per esaltare l’attualità del proble-
ma, in una sua rilettura recente.
Gli Autori ricordati mettono in scena personaggi classici, con la
manifesta intenzione di esprimere i problemi e il sentire del proprio
tempo, anche lasciando inalterati i fatti in cui si snodano le singole
vicende. Questa l’opinione conforme dei critici. S’è detto che il mito
è divenuto un “pretesto” per rappresentare la nostra età: io non di-
rei un “pretesto”, il mito con la sua inesauribile forza e ricchezza di
significati si presta a una continua rilettura: è l’interpretazione che

(18) J. Anouilh, Antigone, Le Table Ronde, Paris 1943. Per le citazioni nel testo, il rife-
rimento è alla traduzione italiana contenuta in Sofocle, Anouilh, Brecht, Antigone. Variazioni
sul mito, a cura di M. G. Ciani, Marsilio, Venezia 2000,, pp. 61-118.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 289

corre all’infinito con le novità che rimangono attaccate all’attualità


all’interprete, ormai in prima persona nel circolo ermeneutico.
Questo è vero anche per Anouilh.
Ma innanzitutto qualche dato storico non sarà del tutto inutile in
ragione di quanto sto per dire.
Anouilh scrive Antigone nel 1942, e cioè in piena occupazione
tedesca. La pièce viene rappresentata per la prima volta a Parigi il
4 febbraio 1944 al teatro de l’Atelier (messa in scena da Barsacq) e
pubblicata nell’edizione “La Table Ronde”. Le rappresentazioni sono
interrotte nell’agosto, nei giorni della liberazione di Parigi. Vengono
però presto riprese nel settembre successivo, e durano per anni. È un
successo in tutta Europa.
Dico subito che non vorrei occuparmi affatto delle interpretazio-
ni prevalentemente storiche o anche giornalistiche dominate proprio
dal contesto in cui è nato il testo teatrale. Qualcuno ha pensato che
certa difesa di Creonte dovesse suonare solidarietà verso il governo
di Vichy e il generale Petain. Se proprio si vuol trovare un aggancio
storico forse è più credibile quanto si racconta circa un gesto isolato,
dell’agosto 1942, da parte di un giovane nella resistenza francese,
Paul Colette, che fa un attentato in un incontro politico a Versail-
les, ferendo Laval: la gratuità di quel gesto isolato, assieme eroico
e vano, colpisce Anouilh: un tal gesto, per lui, rappresenta l’essenza
stessa del tragico.
Come Antigone: la resistenza di un solo individuo di fronte alla
macchina dello Stato.
Ma non vorrei affatto interessarmi di questo profilo storico, poi-
ché ho l’ambizione di cogliere un significato del testo teatrale, che,
come tutti i testi letterari, nasce da occasioni, frammenti di storia, ma
subito la trascende per dilagare nelle forme universali dello spirito.
Devo premettere che non vorrei ripercorrere qui neanche le in-
terpretazioni che di questo testo sono state offerte, ma proporne
una, forse un po’ ardita, che muta radicalmente orizzonte: una in-
terpretazione operata secondo la struttura topica del pensiero post-
moderno, con qualche inclinazione per il pensiero debole. In realtà,
il clima culturale in cui nasce la commedia di A. è quello dominato
da Sartre, che nel 1943 pubblicherà il suo capolavoro, L’essere e il
nulla. Ma allora, non può sembrare quanto meno anacronistica l’an-
nunciata interpretazione in chiave postmoderna? All’obiezione non
290 GIUSEPPE BENEDETTI

è difficile rispondere che l’arte anticipa i tempi, dice prima e meglio


di chi poi si ripiega a riflettere e che comunque, l’interprete di oggi
utilizza gli strumenti che ha19.
Sgombrato il campo da dubbi di poco conto, cerchiamo subito di
presentare l’opera di Anouilh, Antigone. I fatti son quelli, ma muta ra-
dicalmente orizzonte, come ho detto: protagonista non è più l’eroina,
Antigone, con il suo messaggio delle “leggi non scritte” esaltato dal
martirio: il vero protagonista diviene Creonte. Che si muove in un mon-
do rarefatto, svuotato di valori, lucido funzionario del calcolo della po-
litica, nell’ambiguità altamente poetica, tra il mostruoso leviatano e un
“principe senza storia”, che, nella scena finale si ritrova solo nel «palaz-
zo vuoto, dove egli», Creonte, «comincerà ad aspettare la morte».
Il punto di partenza del pensiero postmoderno è: dopo “la morte di
Dio” non vi sono annunzi, né valori, tutto è metaracconto, compreso ve-
rità e giustizia, pura metafisica. Il diritto è “Violenza originaria”: l’inter-
pretazione deve o più sinceramente smascherare l’inganno o ridurre il
diritto a retorica, come strumento di affabulazione per creare consensi.
E vediamo la struttura topica del discorso postmoderno di A., se-
condo i luoghi più noti della decostruzione, destrutturazione, demistifi-
cazione, decanonizzazione e così via.
A questo punto la cadenza del mio discorso deve mutare registro.
Dovrò fare continue citazioni del testo teatrale perché solo dalle battute
potrà emergere il mio assunto per la vivacità delle stesse, dell’azione
scenica, si dimostri da sé: dovrò necessariamente accompagnare alle
battute la chiave che intende suggerirne la lettura, e che rappresenta il
filo conduttore del mio discorso.
Creonte destruttura, smaschera, demistifica, demitizza.
Innanzitutto è bene premettere che egli “smitizza” il discorso veri-
tativo, perché dopo aver avvertito che ogni suo discorso funebre davanti
alla tomba di Eteocle (il fratello che si fa passare per buono, come ve-
dremo, morto per mano di Polinice nel difendere Tebe) «non sarà vero»,
subito aggiunge: «Niente è vero se non quello che non si dice»20.

(19) Emilio Betti, giurista ed ermeneutico, diceva che è legittimo recuperare dal fondo
del lago di Nemi le navi romane con modernissime gru piuttosto che con argani antichi (sua
notissima prolusione milanese!).
(20) J. Anouilh, Antigone, cit., p. 103.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 291

Accenna alle futilità del quotidiano come uniche gioie nella penom-
bra crepuscolare del disincanto per concludere che la vita si risolve nella
«consolazione derisoria di invecchiare».
Egli stesso si presenta, l’ho già accennato, come un “principe senza
storia”. La post histoire è la fine della storia21.
La sua «non è nemmeno un’avventura, è un mestiere per tutti i
giorni»22 . Mestiere caduto addosso per caso: «Una mattina mi sono sve-
gliato re di Tebe». E aggiunge: «Dio sa se desideravo altro nella vita che
essere potente...»23.
Creonte “demitizza” la tragedia legata al sacrificio di Antigone, il-
luminato, come dice felicemente Ascarelli, dalla purezza del gesto che
dà significato e forza alla doverosità dell’imperativo dettato dalle “leggi
non scritte”: Creonte sostituisce a tutto ciò il puro calcolo politico. Egli
vuole salvare Antigone; ma così motiva: non mi servi da morta: «In-
grassa un po’ piuttosto, per fare un bel bambinone a Emone» (il figlio di
Creonte promesso sposo di Antigone) «Tebe ne ha bisogno più della tua
morte, te lo assicuro»24.
Creonte smaschera «i due fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice»,
che, combattendosi, si sono uccisi. Non due eroi che si combattono per
un ideale, ma: «Due ladroni che s’ingannavano l’un l’altro, ingannan-
doci, e che si sono sgozzati come due teppistelli, quali erano, per un
regolamento di conti...».
Riaffiora la ragione politica: «...Solamente si è dato il caso che ho
avuto bisogno di fare di uno dei due un eroe»25.
Prima aveva detto: «Non ti voglio lasciar morire in una storia di
politica […] perché questo tuo Polinice, quest’ombra desolata, […] Non
è che una storia di politica»26.
Creonte desacralizza il rito funebre: «Credi veramente a questo sep-
pellimento in regola? Quest’ombra di tuo fratello condannata ad errare
per sempre, se non si getta sul cadavere un po’ di terra, con la formula
del prete? […] Le hai viste quelle povere teste da impiegati stanchi, che

(21) Ivi, p. 91.


(22) Ivi, p. 92.
(23) Ivi, p. 96.
(24) Ivi, p. 92.
(25) Ivi, p. 102.
(26) Ivi, p. 95.
292 GIUSEPPE BENEDETTI

abbreviano i gesti, che ingoiano le parole, che tirano via sul morto, per
prendere un altro prima del pasto di mezzogiorno?»27.
E conclude: «E tu adesso rischi la morte perché ho rifiutato a tuo
fratello questo passaporto ridicolo, questo biascicamento in serie sulla
sua spoglia, questa pantomima di cui tu saresti stata la prima a vergo-
gnarti e a soffrire se l’avessimo recitata. È assurdo!»28.
Desacralizzata la cerimonia funebre, Creonte “smitizza” anche
i funerali di Stato organizzati per Eteocle: «I corpi dei due fratel-
li erano ridotti in poltiglia... Irriconoscibili» (poiché sopra di loro
era passata tutta la cavalleria) «Ho fatto raccogliere uno dei corpi,
il meno rovinato dei due, per i miei funerali nazionali, e ho dato
l’ordine di fare marcire l’altro dov’era. Non so nemmeno quale. E ti
assicuro che per me è uguale»29.
I due fratelli, ugualmente colpevoli e meschini agli occhi di
Creonte, uno aveva attentato alla vita del padre Edipo, tutti e due si
erano venduti la città di Tebe, sono tuttavia diversamente utilizzati
per una storia che è solo di politica!
Creonte teorizza il delitto di Stato ed è pronto ad utilizzarlo: le
guardie che hanno scoperto e arrestato Antigone potrebbero essere
testimoni pericolosi: «Farò sparire questi due uomini»30.
E poi conferma: «Io mi incarico del silenzio degli altri».
L’analisi potrebbe continuare, ma credo che i passi richiamati
siano più che sufficienti a rappresentare la tesi del totale capovolgi-
mento di prospettiva, dello spicco conferito alla figura di Creonte,
tragico eroe nichilista di questa dimensione politica in cui si muove
il dramma di Anouilh.
Ma v’è di più.
Creonte ha creato il vuoto attorno ad Antigone, vuoto che in-
duce un’assoluta “perdita di senso” del gesto eroico; non le rimane
nulla perché possa credibilmente immolarsi: Dio è veramente morto
e quindi – come dice certa filosofia postmoderna – “nulla è davvero
giusto”. Non c’è più alcun valore cui ella possa ispirarsi: sugli “agra-
foi nomoi” è sceso l’oblio. Rimane solo l’“assurdo”.

(27) Ivi, p. 93.


(28) Ivi, pp. 93-94.
(29) Ivi, p. 102.
(30) Ivi, p. 90.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 293

Creonte ha accerchiato Antigone, e tira il colpo di grazia, con


la battuta clou:
«Perché compi questo gesto, allora?»31.
In questo passaggio significativo del dramma rimangono ca-
scami della struttura teleologica del discorso, secondo la tradizione
classica: voglio dire, rimane ancora la domanda di senso: Perché
(Perché compi questo gesto?). Qui, forse, siamo ancora nel cono
d’ombra di Dio.
Ma questa struttura teleologica viene radicalmente negata dalla
risposta di Antigone, eco solipsistica del “me”, che si perde nel ni-
chilismo:
«Lo faccio per me»32.
La “divina fanciulla” di Hegel, dunque, nel secolo XX consuma
nella sua esistenza di ragazza «piccola, magra, che è seduta là in
fondo» secondo la descrizione del Prologo, la grandezza del suo
gesto, che ha perduto ogni significato assoluto e non è più traman-
dabile. È la fine della Storia, come vuole Lyotard deve morire sol
perché si chiama Antigone33.
«Sarà necessario che reciti la sua parte fino in fondo...»34.
Anche Antigone domanda a Creonte «Perché».
«È il mestiere che lo vuole... Se lo si fa, bisogna farlo in questo
modo»35.
E poi emerge la ragione politica: «Perché l’ordine regni a
Tebe»36.
Un ordine senza alcuna qualificazione. Per tornare all’avvio del
discorso, l’ordine è anche quello inferto dal tiranno. Sulle “leggi
non scritte”, è caduto l’oblio, non c’è più nulla di sacro, neanche la
morte che è solo l’inevitabile fine. La giustizia è sepolta nel silenzio.
Rimane la ragione di Stato di Creonte, annegata nel cinico di-
sincanto del mestiere di Re, che è solo “cucina”.

(31) Ivi, p. 94.


(32) Ibid.
(33) Emerge la teorica dei ruoli legati al fondamentalismo funzionale. Cfr. B. Romano,
Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, Giappichelli, Torino 2004.
(34) J. Anouilh, Antigone, cit., p. 63.
(35) Ivi, p. 96.
(36) Ivi, p. 97.
294 GIUSEPPE BENEDETTI

Questo non-senso conduce, come nella tragedia greca, alla


morte:
i) di Antigone;
ii) di Emone che si uccide sul corpo di Antigone dinanzi al padre,
Creonte;
iii) al quale viene subito annunziato il suicidio della moglie Euridice.
Il commento di Creonte è: «La giornata è stata dura». Intanto batte
l’ora: «Le cinque. Cosa abbiamo oggi alle cinque?» domanda Creonte
al Paggio. E questi risponde: «Consiglio, signore». «Bene, se abbiamo
consiglio, ci andremo»37.
Questa scena finale si lascia dietro ogni forma di ironia: agghiac-
ciante com’è, tocca la grandezza della tragicità del nulla.
La tragedia non è più quel che succede, ma come succede.
La morte è una strategia, che ha perduto il senso della vita umana
e della stessa esistenza quale valore esterno dell’uomo sommerso nello
spazio-limite della fatticità della vita.
Mentre la tragedia greca si chiude con la follia di Creonte, che invo-
ca la morte, nel dramma di Anouilh il sipario cala appena uscito Creon-
te. Dalla porta della politica, sulla scena, ove le guardie giocano a carte.
Il Coro che commenta:
«Non restano che le guardie. A loro, tutto quanto è indifferente; non
sono affari loro. Continuano a giocare a carte...»38.
Sono sicuro che Anouilh avrebbe scritto: continuano a vedere la
televisione...

***

Postfazione: l’Antigone di G. Benedetti


Per chi intenda immergersi nella complessità del pensiero di un
giurista positivo profondamente vocato allo spessore filosofico del
proprio officio, la lettura di queste pagine inedite risulterà di gran va-

(37) Ivi, p. 117.


(38) Ivi, p. 118.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 295

lore. In esse, infatti, oltre l’eleganza analitica di un’opera fortemente


evocativa, vi si ritrova gran parte della cifra identitaria dello studioso
G. Benedetti39.
Questo, a parere di chi scrive, per due ordini di motivi.
In primis, queste riflessioni sono la testimonianza del coraggio
dialettico che ha sempre caratterizzato l’opera del suo Autore; il co-
raggio di chi esce dal perimetro rassicurante della tradizione di pen-
siero che lo ha formato e protetto, per incontrare e comprendere quel-
lo che si rivelerà l’ospite inquietante della maturità della propria vita
intellettuale. Questo inedito, infatti, rappresenta un momento tangi-
bile di confronto con l’altro, un altro che si presenta come distruttore
delle certezze coltivate, ai massimi livelli, per una vita; un confronto
senza timore e nella convinzione che «certo pensiero, […], i cui esiti
non sono da condividere, non può essere però gettato via: va utilizza-
to fino in fondo per assumere consapevolezza della assoluta novità,
del peso e della ineludibilità di quei problemi» in quanto «esso può
divenire coscienza critica del nostro tempo»40.
In secundis, il contributo si mostra in sé stesso come esempio
di metodo; esso, cioè, è intrinsecamente atto pratico di sensibilità
ermeneutica. Le parole dell’Autore, in questo senso, sono cristalli-
ne nel riconoscere l’inesauribile capacità del mito di generare senso
ulteriore, posto a contatto con la contemporaneità dell’interprete: «è
l’interpretazione che corre all’infinito con le novità che rimangono
attaccate all’attualità all’interprete, ormai in prima persona nel circo-
lo ermeneutico».
L’atto pratico di sensibilità ermeneutica che queste pagine rap-
presentano, a ben guardare, si svolge in un doppio livello di approfon-
dimento interpretativo, di cui è opportuno dar conto.
In primo luogo, è evidente il livello interpretativo dell’opera di
Anouilh che traduce, nel contesto a lui contemporaneo dominato dal

(39) La dinamica di pensiero del nostro A. si realizza in un percorso che origina nel-
la convinta adesione al positivismo giuridico nelle forme della dogmatica classica per poi
evolvere, criticamente, verso una lettura epistemologicamente orientata dell’ermeneutica
giuridica. L’approdo fondamentale è in G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpre-
tazione. Studi su ermeneutica e diritto, Giappichelli, Torino 2014.
(40) G. Benedetti, La contemporaneità del civilista, in V. Scalisi (a cura di), Scienza e
insegnamento del diritto civile in Italia. Convegno di studio in onore del prof. Angelo Fal-
zea. Messina 4-7 giugno 2002, Giuffrè, Milano 2004, pp. 1229-1299.
296 GIUSEPPE BENEDETTI

pensiero di Sartre, secondo una sensibilità nuova che anticipa la co-


scienza postmoderna, le vicende imperiture di Antigone e Creonte.
Benedetti ne propone «una interpretazione operata secondo la
struttura topica del pensiero postmoderno, con qualche inclinazione
per il pensiero debole», la quale, attraverso un serrato lavoro sulla
materialità del testo letterario, restituisce un affresco vivido del mo-
do di pensare l’uomo, e i sui rapporti, nel contesto della post-moder-
nità. Il riferimento alla post-modernità, è opportuno sottolinearlo, è
un riferimento specifico41; è il riferimento a quella concezione euro-
pea radicale che assume come presupposto fondante, dopo la morte
di Dio, la tesi della fine della Storia.
Il protagonista, infatti, è Creonte; un personaggio che «si muove
in un mondo rarefatto, svuotato di valori, lucido funzionario del cal-
colo della politica, nell’ambiguità altamente poetica, tra il mostruoso
leviatano e un “principe senza storia”». Niente ha un senso che sia
fondativo; in particolare il diritto e l’interpretazione non hanno senso
ulteriore se non quello di servire la funzione genitrice di «un ordine
senza qualificazione». Anche Antigone non si salva, né si salva l’eroi-
smo del suo gesto il quale, privato di ogni proiezione teleologica, di-
viene vacuo, «eco solipsistica del “me”, che si perde nel nichilismo».
Ciò che risulta, alla fine, è una trasformazione radicale del senso
del tragico: «la tragedia non è più quel che succede, ma come suc-
cede», l’eroismo non è più nell’atto di resistenza in funzione di un
valore più alto di verità e giustizia ma nella gratuità di un gesto total-
mente soggettivo e per questo assolutamente vano.

(41) Ibid. Dove l’A. mostra, analizzando criticamente la proposta postmoderna, un’at-
tenzione particolare per la tradizione filosofica che si sviluppa nel continente europeo nel
tardo Novecento; il riferimento specifico è a quella variegata corrente di studi che, in ma-
niera radicale, rilegge ed esalta le tendenze nichilistiche della linea di pensiero della prima
metà del XX secolo, disegnata da Nietzsche e da Heidegger. Resta, invece, sullo sfondo la
tradizione postmoderna americana, in quanto «l’impressione complessiva che deriva da que-
sta letteratura americana è che essa, come già accennato, si differenzi decisamente da quella,
per così dire, “europea”, perché non ne condivide la radicalità. In essa non si legge “la fine
della storia” per l’assoluta perdita di senso, ma al più una svolta decisa, caratterizzata da un
atteggiamento pragmatico volto anzi ad un arricchimento di orizzonti in senso antropologi-
co, sul quale fondare una jurisprudence complessa e pluriculturale, che ha recuperato certe
vistose emarginazioni, conquistando un “diritto uguale” di cittadinanza anche al “diverso”
sullo sfondo d’una Costituzione che prevede la tensione dell’uomo alla felicità».
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 297

Ma non solo: è possibile riconoscere un secondo livello di appro-


fondimento ermeneutico del mito; un livello carsico e indiretto, che
risulta mettendo a contatto la lettura dell’opera di Anouilh con l’intero
pensiero di Benedetti, la scoperta del quale indica e prepara quella che
nel titolo si è inteso definire propriamente L’Antigone di G. Benedetti.
Ripercorrendo l’intera fatica filosofica di Benedetti, e mettendo-
ne a frutto il più autentico insegnamento, emerge infatti la possibili-
tà di una interpretazione ulteriore del mito di Antigone. Una lettura
per cui, sia Creonte che Antigone, abbiano entrambi torto in quanto
escludono apertura, dialogo, la fatica dell’ermeneutica. In sostanza, si
ritiene che il giudizio di Benedetti sulle vicende che colpiscono i due
protagonisti dell’opera sofoclea, anche riletta da Anouilh, si condensi
nella tesi del «confronto negato»42: entrambi, pur nella validità de-
gli argomenti che professano, hanno torto in quanto negano all’altro
ascolto ed apertura.
In «un mondo sradicato e disorientato», come è quello che soprav-
vive alla tempesta scettica del secolo breve, la negazione del dialogo
stempera la bontà di qualsiasi posizione, che sia quella di Creonte o
quella di Antigone, nel cupo monocromatismo del fondamentalismo.
La tragedia, in questa lettura, si mostra allora in una veste nuova, la
veste dell’incomunicabilità.
L’ambizione, in questo contesto criticamente compreso, di «ri-
scoprire un senso e darsi un ordine», senza tornare a soluzioni pas-
sate rivelatesi insoddisfacenti, può concretizzarsi solo «con la forza
del progettare» ossia con il «misurarsi coi problemi del nostro tempo,
nuovi ed emergenti in modo nuovo»43.
La domanda di giustizia – il quesito più annoso dei giudici del
tribunale di Norimberga, il dramma del diritto: siamo infallibili perché
la nostra decisione è definitiva oppure siamo decisivi in quanto la no-
stra decisione è infallibile? – allora ha ancora un senso, seppur nuovo,

(42) In accordo con tale prospettiva cfr. G. Zagrebelsky, Il diritto di Antigone e la


legge di Creonte, in I. Dionigi, La legge sovrana, Bur, Milano 2006, p. 19 e ss., in cui viene
tematizzata «la terza interpretazione di Antigone – il dialogo carente», e Id., La legge e la
sua giustizia. Tre capitoli di giustizia costituzionale, il Mulino, Bologna 2008, p. 70, dove
l’A. conclude che «l’intera tragedia può essere interpretata come l’intransigenza delle due
parti e l’incomunicabilità tra le rispettive ragioni».
(43) G. Benedetti, La contemporaneità del civilista, cit.
298 GIUSEPPE BENEDETTI

quello dell’apertura dialogica44. L’ermeneutica, epistemologicamente


connotata, è il concetto risolutivo in grado di conciliare le asprezze
delle posizioni fondamentaliste; quel fenomeno, continuamente da rin-
novare nel tempo, di confronto dialogico tra l’autore dell’opera, il testo
in cui si è oggettivato il suo spirito e la soggettività dell’interprete45.
In quest’ottica, tanto il comando generale ed astratto di Creonte
quanto l’obiezione tutta intrisa di ragioni individuali di Antigone, in
quanto bloccati nel tempo e sottratti al dialogo, non rappresentano
più espressioni di diritto ma eventi di mera violenza. La giustizia,
imprescindibile qualificazione del fenomeno giuridico, vive nell’in-
terpretazione la quale svela la propria struttura circolare necessitata
dal riconoscimento della intersoggettività originaria quale contesto
di emersione di qualsiasi evento di comprensione.
Nella concatenazione di queste due interpretazioni del mito, quel-
la esplicita di Anouilh e l’altra implicita di Benedetti, emerge la tan-
gibilità pratica dell’insegnamento più importante di questo Maestro,
che è, usando le sue parole, l’insegnamento all’intonazione ermeneu-
tica del pensiero, un pensiero che strutturalmente non conclude.
Il risultato è di una coerenza splendida: una catena dialogica in
fieri, che nel tempo, tra passato e presente, pratica ed adegua la com-
prensione come proiezione al futuro.
Questo il valore annunciato in apertura che va assolutamente
preservato, oltreché come dato di pensiero e riflessione, come monito
di consistenza etica46.

(di Ludovico Ercole)

(44) In tal senso cfr. A. Punzi, Dialogica del diritto, Giappichelli, Torino 2009, p. 162:
«Tra le pagine dell’Antigone, il giurista, oltre all’invito a guardare il diritto da entrambi i lati,
può trarre un’altra grande lezione: credere nella forza delle parole, dunque nella capacità del
discorso di ospitare e tutelare le buone ragioni».
(45) In tal senso cfr. G. Benedetti, Oggettività esistenziale dell’interpretazione, cit., pp.
260-261: «Questi contrari, di per sé, sono da considerare poli dialettici vocati però ad una
sintesi. […] In realtà il vero problema è di misura: si tratta di precisare fino a che punto il
coinvolgimento esistenziale, ineliminabile, possa giocare o finisca con lo stravolgere l’in-
dole interpretativa dell’atto. È necessario segnare un limite oltre il quale non vi è più inter-
pretazione ma sovrainterpretazione, come la chiama Umberto Eco. Il limite c’è, è il testo».
(46) G. Benedetti, Eticità dell’atto ermeneutico. Una testimonianza sulla teoria di Emi-
lio Betti, in V. Rizzo (a cura di), Emilio Betti e l’interpretazione, Esi, Napoli 1991, p. 127
e ss.
SULL’ANTIGONE DI ANOUILH 299

Abstract

Il testo qui pubblicato, dal titolo L’Antigone di Anouilh, rappresenta un


inedito di Giuseppe Benedetti risalente ad una lectio magistralis, tenuta a
Napoli il 10 febbraio 2004. La riflessione rappresenta un elegante confron-
to con la lettura del mito di Antigone proposta da Anouilh e lascia emergere
con chiarezza il movimento di apertura del pensiero di Benedetti, oltre il
metodo positivista, nell’orizzonte ermeneutico. Anticipano e seguono, le
inedite parole del Maestro, le riflessioni commosse di due allievi: Valerio
Pescatore, Ludovico Ercole.

The text published here, entitled L’Antigone di Anouilh, represents


an unpublished paper by Giuseppe Benedetti dating back to a lectio magi-
stralis, held in Naples on February 10, 2004. The reflection represents an
elegant comparison with the reading of the myth of Antigone proposed by
Anouilh and makes the opening movement of Benedetti’s thought, beyond
the positivist method, in the hermeneutic horizon, emerge in a clear way.
The unpublished words of the Master are preceded and followed by the mo-
ved reflections of two of his students: Valerio Pescatore, Ludovico Ercole.

Keywords

Antigone; giustizia; ermeneutica; post-moderno; interpretazione.

Antigone; Justice; Hermeneutics; Post-Modernism; Intepretation.

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