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istituto veneto di scienze, lettere ed arti

Niccolò tommaseo

Il supplizio d’un italiano


in corfù

Introduzione e note di Fabio Danelon

Con uno studio di Tzortzis Ikonomou

venezia
2008
INDICE

Relazione della Commissione giudicatrice  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  . Pag. VII

Fabio Danelon, Introduzione  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .    » 1

Niccolò Tommaseo
Il supplizio d’un italiano a Corfù

Gli editori   .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  » 67
Introduzione .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 73
Parte Prima.  –  Giuridica .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  » 77
Parte Seconda  –  Morale e Civile  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 136
Appendice Prima  –  Documenti dimostranti la provocazione
anteriore   .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 200
Appendice Seconda  –  Testimonianze  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .    » 203
Appendice Terza  –  Voti e sentenze  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 233
Appendice Quarta  –  Leggi jonie in questo processo non
osservate, o malamente applicate .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .    » 249
Appendice Quinta  –  Autorità e Giureconsulti .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 253
Chiesta al Senato .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 273
Risposta del Municipio .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   » 275

Tzortis Ikonomou, Il Supplizio, le isole Ionie e la Grecia  .  .  .  .  .   » 277

Indice dei nomi  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .    »


Tzortzis Ikonomou

Le Isole Ionie, la Grecia e il Supplizio

1. Il Supplizio e la Grecia

Il Supplizio d’un italiano in Corfù1 si presenta come opera singolare


nella vasta produzione letteraria di Tommaseo; si tratta di un lavoro di
grande interesse, cui finora non è stata dedicata l’attenzione meritata.
Scritto eccezionale per lo scopo e la materia trattata, compatto, coerente e
quasi coevo ai fatti, redatto in tempi brevi, poco dopo il ritorno da Corfù,
e pubblicato nel 1855. Presentandosi come la difesa di un italiano, giu-
stiziato dopo un procedimento penale a Corfù nell’autunno del 1853, il
libro è una dimostrazione di grande impegno civile ed è un’affermazione
delle convinzioni più profonde di Tommaseo: il cristianesimo e la fede
religiosa non possono accettare la pena di morte; gli uomini e lo Stato
non possono decidere sul futuro di un uomo2. L’assoluta contrarietà di
Tommaseo alla pena di morte sarà ribadita dieci anni più tardi con la
pubblicazione del corposo volume intitolato Della pena di morte3.
Il libro può anche essere letto come espressione di altre sue convin-
zioni intellettuali, come la teoria della cultura popolare e dei suoi fonda-
menti diffusi tra popoli diversi, presentata in primis nelle Scintille e nella
raccolta dei Canti popolari. Questa teoria era ben viva in Tommaseo du-

1
  N. Tommaseo, Il Supplizio d’un italiano in Corfù. Esposizione e discussione di Nic-
colò Tommaseo, Firenze 1855 (d’ora in poi Supplizio).
2
  È interessante notare che Tommaseo, che pur ha presente il Dei delitti e delle pene
di Cesare Beccaria, probabilmente non sa che la traduzione eseguita da Adamantios Ko-
rais fu dedicata alla libertà degli abitanti delle Isole Ionie: «ΑΓΑΘΗΙ ΤΥΧΗΙ ΤΗΙ ΝΕΟΣΥ-
ΝΤΑΚΩΙ ΤΩΝ ΕΠΤΑ ΝΗΣΩΝ ΕΛΛΗΝΙΚΗΙ ΠΟΛΙΤΕΙΑΙ Ο ΜΕΤΑΦΡΑΣΤΗΣ ΤΗΝ ΒΙΒΛΟΝ
ΔΙΑ ΤΑΣ ΧΡΗΣΤΑΣ ΕΛΠΙΔΑΣ ΑΝΕΘΗΚΕ»: A. Korais, Περί αμαρτημάτων και ποινών:
Πολιτικώς θεωρουμένων σύγγραμμα, Parigi 1802, s.p. Sulla fortuna di Beccaria in Grecia
vd. I. Di Salvo, Momenti della fortuna di Beccarla in Grecia, in III Convegno nazionale di
studi neogreci. Italia e Grecia: due culture a confronto, Palermo 1991, pp. 49-68.
3
  N. Tommaseo, Della pena di morte. Discorsi due, Firenze 1865.
278 tzortzis ikonomou

rante l’esilio a Corfù. Come si ricava dal carteggio con il marchese Gino
Capponi, Tommaseo aveva in mente la composizione di una serie di ope-
re per sviluppare la questione in maniera più approfondita e sistematica.
A tale disegno appartengono tra l’altro lo scritto Italia, Grecia, Illirio, la
Corsica, le isole Ionie e la Dalmazia, del 1850, ma pubblicato soltanto nel-
la raccolta Storia Civile nella Letteraria del 18724, e l’opera Sul numero5,
in cui egli esamina la storia poetica dei paesi che aveva conosciuto e che
costituivano la base della propria teoria universalistica. In queste due ope-
re sono collegate strettamente storia e poesia. Nel soggiorno di Corfù6 e
anche per cagione dei fatti narrati dal Supplizio queste teorie sono poste a
dura prova: la crescente estraniazione della cultura italiana dalle Isole Io-
nie, il processo nazionalistico greco e l’inevitabile unione con la Grecia, il
divieto dell’uso della lingua italiana nei pubblici uffici a partire dal 1852
e la discriminazione del culto cattolico a favore di quello ortodosso in
terra greca sono i principali elementi che mettono in crisi le convinzioni
dello scrittore dalmata7. Nello stesso anno della pubblicazione del Suppli-

4
  N. Tommaseo, Storia civile nella letteraria, Torino 1872, pp. 409-544. Alcune
pagine dello scritto erano comparse nella «Rivista contemporanea» nel 1857: cfr. A. Zan-
grandi, Cronaca, politica, Letteratura: Tommaseo e la collaborazione alla «Rivista contem-
poranea» 1854-1860, in: Alle origini della comunicazione giornalistica moderna: Niccolò
Tommaseo tra professione e missione, Atti del convegno internazionale di studi, Rovereto,
4-5 dicembre 2007, in c.s.
5
  Il nome completo dell’opera è Intorno al verso del popolo greco, illirico, italiano, e in
generale sul numero, dedicata al popolo greco e slavo che ama l’Italia: N. Tommaseo - G.
Capponi, Carteggio inedito dal 1833 al 1874. Il secondo esilio - Corfù (1849-1854), III,
a cura di I. Del Lungo - P. Prunas, Bologna 1920, p. 151. L’opera, rimasta inedita, fu
pubblicata da Giovanni Papini nel 1954 come primo volume nell’Edizione Nazionale del-
le opere di Niccolò Tommaseo, ma la mancanza di un apparato critico rende ancora oggi
difficile la sua lettura; cfr. di recente L. Marcheselli Loukas, Tommaseo e il verso politico,
in Niccolò Tommaseo: Popolo e Nazioni - italiani, corsi, greci, illirici, Atti del Convegno in-
ternazionale di Studi nel bicentenario della nascita di Niccolò Tommaseo, Venezia, 23-25
gennaio 2003, a cura di F. Bruni, Padova 2004, pp. 459-466.
6
  Questo soggiorno è importante per la produzione letteraria di Tommaseo, che
nell’isola ionia compose e sistemò numerosi e notevoli libri: cfr. F. Danelon, Introduzione
[pag]; Ciampini, Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze 1945, pp. 574-609; M. Pecoraro,
Il testamento letterario del Tommaseo, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 131
(1954), pp. 33-69.
7
  Quest’ultimo problema è solo accennato nel Supplizio, perché Tommaseo è at-
tento a non attizzare contrasti tra ortodossi e cattolici. La questione è però importante
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 279

zio esce nell’«Archivio Storico Italiano» la commemorazione di Niccolò


Delviniotti8, morto nel 1850. Esso è da intendere probabilmente come
una doppia necrologia: quella della persona e quella della cultura italiana
nelle Isole Ionie, di cui lo scrittore corcirese, conosciuto personalmente
da Tommaseo, uno degli ultimi sostenitori dell’italianità ionia, era uno
dei massimi esponenti.
Il libro presenta perciò numerosi spunti di approfondimento9. Si
devono aggiungere inoltre le conseguenze di una politica internaziona-
le che, soprattutto dopo la crisi della Crimea, vide i poteri occidentali
sostenere l’Impero Ottomano nella guerra contro gli ortodossi russi10. A

per lui ed è una delle cause che porterà all’incomprensione con alcuni greci come Andrea
Mustoxidi; già nel 1843 Mustoxidi aveva reagito alle posizioni cattoliche del Tommaseo:
cfr. indicativamente A. Mustoxidi - E. De Tipaldo, Carteggio 1822-1860, a cura di D.
Arvanitakis, Atene, Museo Benaki-Kotinos, 2005, p. 565.
8
  N. Tommaseo, Della civiltà italiana nelle isole Ionie e di Niccolò Delviniotti, «Ar-
chivio Storico Italiano», n.s., t. 2, parte IV, 1855, pp. 65-88; un testo più ampio è in Id.,
Il secondo esilio. Scritti di Niccolò Tommaseo concernenti le cose d’Italia e d’Europa dal 1849
in poi, 3 voll., Milano 1862, II, pp. 378-436.
9
  Nonostante l’interesse di molti studiosi tommaseani italiani per questo libro,
l’unico saggio che lo affronta in modo sistematico, si deve a F. Danelon, Il “Supplizio
d’un italiano in Corfù” di Tommaseo, in Niccolò Tommaseo: Popolo e Nazioni, pp. 467-510;
cfr. poi la rassegna della critica proposta dello stesso nell’Introduzione del presente volume
[pag]. Per i commenti da parte degli studiosi greci vd. cap. 2.
10
  L’Impero russo fu considerato protettore dei popoli balcanici di fede ortodossa
e lo zar il loro paladino, soprattutto dopo la pace di Küçük Kaynarca (1774). Preceden-
temente va ricordato per es. l’annunciato e augurato arrivo provvidenziale del metropo-
lita Mattheos Mireon in un poema del 1618 (stampato a Venezia nel 1672) il quale fa
menzione del bisogno della “stirpe bionda” («Ελπίζομεν και εις ξανθά γένη», citato da
M. Vitti, Storia della letteratura greca, Roma 2001, pp. 97-98, 106). Tommaseo conosce
bene le speranze greche nei russi: come annota nello scritto commemorativo per Andrea
Mustoxidi: «fu sempre russo, sperando che di lì potesse venire salute alla Grecia» (Andrea
Mustoxidi, «Archivio Storico Italiano», n.s., t. 12, parte II, pp. 30-61, a p. 47), e a propo-
sito dell’influenza russa sulla Grecia Tommaseo, convinto antirusso scrisse: «l’ingrandire
di Russia sarebbe alla Grecia troppo più funesto della turca tirannide» (Secondo Esilio,
II, p. 14); cfr. S. Aloe, Tommaseo e la Russia, in Niccolò Tommaseo: Popolo e Nazioni, pp.
733-756. In Grecia tuttavia e in tutte le comunità greche della diaspora, tranne quelle
in Italia, era diffuso un forte sentimento antioccidentale e anticattolico. Sulla questione
dell’Oriente scrisse Antonio Dandolo un saggio che riporta chiaramente questi senti-
menti (Cenni sulla questione d’Oriente, Corfù 1852), pamphlet ampiamente criticato da
Tommaseo, al quale Dandolo replicò (la risposta di Dandolo è stampata su un manifesto
280 tzortzis ikonomou

Corfù si era creata una situazione difficile per gli italiani, ben evidenziata
da Tommaseo, ma anche dalle testimonianze contemporanee degli sto-
riografi ionii Ermanno Lunzi e Panaghiotis Chiotis; nonostante nessuno
dei due riporti il caso del processo contro Ricci come un avvenimento
rilevante, è interessante notare che abbiamo altre affermazioni concordi
con le tesi di Tommaseo: Giuseppe Monferrato, uno dei capi radicali
ionii, in una lettera al fratello Spiridione, parlando dei fatti del 1853 e
della condanna di Ricci, narra «dei fatti oltraggiosi che successero a Corfù
contro l’italiano accusato, e tutto quello che era successo contro i profu-
ghi italiani» e parla di fatti «deplorevoli e condannabili»11.
Noi qui tentiamo di mettere in evidenza alcuni aspetti importanti per
una migliore comprensione del Supplizio nel contesto storico-culturale gre-
co e ionio, trascendenti la semplice disputa legale12, perché altrimenti non
si capirebbero certe pagine in cui Tommaseo descrive e critica la società
corfiota e alcuni suoi personaggi eminenti frequentati per cinque anni, dal
1849 al 1854, e che lo avevano accolto con benevolenza al suo arrivo.
Questi sono oggetto di critica nel libro in primo luogo perché, nel
tentativo di cambiare la società, avrebbero trascurato le leggi ancora in vi-
gore, leggi vigenti da secoli e che né i francesi (1797-1799, 1807-1814), né
i russo-turchi (1800-1807) né gli inglesi (1814-1864) avevano cancellato.
In secondo luogo perché dimenticavano l’esistenza, o per meglio dire la co-
esistenza delle culture nell’isola, condannando un italiano per la sua stessa
origine. Contesto del libro sono la città di Corfù e il complesso contesto
sociale creatosi nella sua intricata storia plurisecolare, durante la quale si era
sviluppata una società non molto diversa da quelle da Tommaseo conosciu-
te nella patria Dalmazia. Si tratta di una realtà dove la cultura e la lingua
italiana erano predominanti: l’italiano si usava nel teatro e si prediligeva
scrivere poesia in quella lingua; era la lingua degli intellettuali che avevano
studiato nelle Università italiane, da Padova e Pavia fino a Napoli13; quindi

contro le posizioni di Tommaseo e Mattioli: si trova tra le carte della busta 18 nel Fondo
Tommaseo, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (d’ora in poi BNCF CT)).
11
  Traduco da G.G. Alisandratos, Ανέκδοτα γράμματα του Ιωσήφ Μομφερράτου
από την Ερίκουσα [Lettere inedite di Giuseppe Monferrato da Erikousa], «Kefalliniaka Chro-
nika», 3 (1978-79), pp. 237-265, a pp. 252; lettera datata il 21 settembre 1855.
12
  Ciampini, Vita, p. 604, che vide la questione entro tali termini.
13
  Vd. G. Plumidis, Gli scolari greci nello Studio di Padova, «Quaderni per la sto-
ria dell’Università di Padova», 4 (1971), pp. 127-141 e A. Sideri, Έλληνες φοιτητές στο
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 281

era la lingua dell’ambito giuridico, nella quale si stampavano le leggi e con-


versavano gli avvocati; era la lingua della medicina, perché i medici corfioti
avevano studiato in Italia. Era inoltre la lingua dei commercianti di tutto il
bacino dell’Adriatico e dello Ionio, più che il greco e il francese; era la lin-
gua degli aristocratici corfioti che, spesso di origine veneziana, guardavano
verso quella città con nostalgia e malinconia14.
E il greco? La lingua greca, che tutti i corfioti avrebbero dovuto co-
noscere, esisteva accanto all’italiano, ma con poca evidenza, perché usata
raramente nella scrittura e nell’uso pubblico. Era la lingua dei contadini
e della città, ma soprattutto del clero, motivo principale per cui soprav-
visse nonostante il ruolo prestigioso dell’italiano. Il greco parlato aveva
subìto l’influsso dell’italiano, e molte parole d’origine italiana e veneziana
avevano sostituito quelle d’origine greca. Il risultato di questa miscela
linguistica era una situazione plurilinguistica, differente dalle moderne
nozioni di lingue nazionali codificate: la lingua dominante era l’italiano,
che coesisteva con il greco ma che con il tempo perdeva influenza nel
percorso della nazionalizzazione.
Tommaseo intuì già durante la stesura del libro che il Supplizio
avrebbe suscitato polemiche a Corfù e nella popolazione isolana; poteva
dunque immaginare che avrebbe creato non poca difficoltà agli esuli ita-
liani rimasti a Corfù, in particolare a Giuseppe Camillo Mattioli, persona
molto vicina a Tommaseo negli anni corfioti.
L’opera non presenta in modo favorevole gli uomini del diritto e
in genere la classe dirigente locale, che nel processo di nazionalizzazione
dimenticava, secondo Tommaseo, il proprio ruolo: la fedeltà alle leggi
vigenti e la loro applicazione. Tommaseo non vuole nominare le perso-
ne che accusa e non ne ha bisogno: leggendo il libro tutti gli interessati
avrebbero capito; si nota tuttavia già nell’introduzione che le critiche non
sono rivolte alla Grecia intesa come nazione, e nemmeno alla popolazio-
ne corfiota. Per questo motivo mette subito in risalto i suoi sentimenti
per la Grecia e la sua cultura, per gli uomini e la loro lingua:

Πανεπιστήμιο της Πίζας (1806-1861) [Studenti greci all’Università di Pisa 1806-1861], Ate-
ne 1989.
14
  Sull’italiano nel Mediterraneo cfr. F. Bruni, Lingua d’oltremare. Sulle tracce del
“Levant Italian” in età preunitaria, «Lingua nostra», 60 (1999), pp. 65-79 e Id., Per la
vitalità dell’italiano preunitario fuori d’Italia. I. Notizie sull’italiano nella diplomazia inter-
nazionale, «Lingua e Stile», 42 (dicembre 2007), II, pp. 189-242.
282 tzortzis ikonomou

A me che da’ primi miei anni e per memorie e domestiche e lette-


rarie, e per istinto di tolleranza ed affetto, e perché nato in paese tra
Grecia e Italia dove molti e onorevoli gli uomini di rito-greco, amo la
Grecia d’amore puro d’ambizioni e di cupidità; a me che primo feci
all’Italia conoscere gl’ispirati canti del popolo greco, li commentai, se
non con sapere, con calore ai commentatori non comune forse; io che
uomini greci lodai e difesi, ed ho amici tra loro schietti e provati, e
a taluno de’ loro preti vincolo d’affezione e di stima mi stringe; a me
che ho fermamente creduto nell’avvenire splendido di questa nazione
allorché i figli suoi stessi ne dubitavano, e quando nella maravigliosa
sua guerra, caduta Missolungi, presa la cittadella d’Atene, e parendo
imminente nuova e più profonda ruina, ad un Greco esclamante Che
resta? risposi con fede Resta la Grecia15.

Collocando la Dalmazia tra l’Italia e la Grecia precisa da una parte la


posizione geografica, dall’altra definisce la geografia culturale dell’Adria-
tico: un’area ove l’elemento greco era sopravvissuto accanto a quello ita-
liano grazie alle memorie della letteratura, alla religione ortodossa e ai
commercianti attivi nel bacino. Queste affermazioni di debito e d’affetto
verso la cultura greca sono più volte ribadite nei suoi scritti.
Tommaseo insiste sull’influenza della cultura greca sulla sua for-
mazione classico-umanistica e sulla sua poetica romantica, e sottolinea
l’importanza avuta dalla raccolta dei canti popolari per il Romanticismo
italiano e per la sua fortuna di scrittore16. Ricorda gli amici di origine
greca, perché se cultura e letteratura greca erano state fondamentali, al-
trettanto lo erano state le amicizie strette con vari intellettuali greci, la
gran parte dei quali di provenienza ionia: amicizie che iniziarono nei suoi
primi anni universitari e continuarono fino agli ultimi giorni di Firenze.
Avrebbe potuto fare un elenco lunghissimo di persone che beneficiarono
e goderono di quel legame, a partire dal conte Angelo Dalla Decima, nato

15
  Supplizio, pp. 2-3 [=000].
16
  Il ruolo dei classici nella formazione di Tommaseo è ribadito spesso nei suoi
scritti; in particolare si vedano le parti antiche nella seconda e nella terza edizione del
Dizionario Estetico (1852, 1860), ma soprattutto gli Esercizi Letterarii (Firenze 1869).
Tommaseo afferma la necessità, nell’educazione dei giovani, di una buona conoscenza dei
classici ma anche dei moderni: accanto ai vari Aristotele, Pausania e Apollodoro, inserisce,
infatti, il poeta neogreco Aristotele Valaoriti (Santa Maura 1824-1879).
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 283

a Cefalonia e professore di medicina nonché prefetto all’Università di


Padova quando Tommaseo era iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, la
cui memoria fu a lungo viva nelle isole Ionie, fino ad amicizie più recenti
e importanti come quella con Emilio de Tipaldo ed Andrea Mustoxidi, e
alle ultime con Solomòs17, Marcorà, Giulio Tipaldo, Terzetti e Valaoriti18:
ricorda poi, senza nominarlo, padre Anthimo Masarachi, il suo insegnan-
te di greco negli anni in cui stese le Scintille e tradusse i Canti19.
È tuttavia l’ultima frase del passo che stupisce di più, ed è importan-
te capire per quale motivo Tommaseo riporta questo particolare episodio;
in Un affetto, le sue memorie politiche scritte attorno al 1838, quando
narra gli anni della guerra dell’indipendenza greca non ci sono ancora
tracce del pensiero liberale e del filellenismo. In quel periodo Tommaseo
si era trasferito da Milano a Firenze per partecipare meglio al lavoro offer-
togli da Giampietro Vieusseux, e aveva abbracciato, con i valori liberali, la
causa della Grecia insorta; lì apprese sicuramente le notizie che proveni-
vano dalla Grecia, più volte argomento di discussione tra i frequentatori
di quel Gabinetto fiorentino20.
Tommaseo e gli altri esponenti del Gabinetto avevano grandi spe-

17
  Tommaseo italianizza in Dionigi il nome di Solomòs; nel testo esso è traslitterato
in Dionisios, com’è di prassi tra studiosi neoellenisti.
18
  Dionisio Solomòs, Gerasimo Marcorà, Giulio Tipaldo, Giorgio Terzetti e Aristo-
tele Valaoriti, nomi importanti oggi in Grecia per il loro ruolo nella storia letteraria della
Grecia moderna. La loro importanza già emerge nelle voci dell’ultima edizione del Dizio-
nario Estetico, ma anche da una lettera nel Secondo Esilio in cui Tommaseo scrive: «è da
aggiungere ad esso [Solomòs] Giulio Tipaldo; e, se si guardi dalle amplificazioni, Aristo-
tele Valaoriti; e se più operoso fosse, sarebbe certamente da aggiungere Giorgio Terzetti;
jonici, come il Solomos, tutti e tre» (Secondo esilio, I, p. 322). Con questi Tommaseo ebbe
frequentemente contatto epistolare (le lettere sono pubblicate in gran parte da G. Zoras,
Επτανησιακά Μελετήματα Γ’. Θωμαζαίος και Επτανήσιοι (ανέκδοτος αλληλογραφία [Studi
sull’Eptaneso III. Tommaseo e gli Ioni], Atene 1966.
19
  Su Masarachi e gli insegnamenti di Tommaseo del greco moderno vd. F. Bruni,
Tommaseo “quinque linguarum”, in Niccolò Tommaseo: Popolo e Nazioni, pp. 3-36, a pp.
31-32 e Id., Introduzione, in N. Tommaseo, Scintille, a cura di F. Bruni., Parma-Milano,
in c.s.
20
  Sul filellenismo nel Gabinetto Vieusseux vd. R. Ciampini, Gian Pietro Vieusseux.
I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, Torino 1953, pp. 131-160, e C. Ceccuti, Risor-
gimento greco e filoellenismo nel mondo dell’«Antologia», in Indipendenza e unità nazionale
in Italia ed in Grecia (Atti del Convegno di studio, Atene, 2-7 ottobre 1985), Firenze 1987,
pp. 79-131.
284 tzortzis ikonomou

ranze per il futuro della Grecia, perché auspicavano di far arrivare i loro
valori liberali alla nuova nazione. Di conseguenza, secondo lui, la nuova
nazione avrebbe agito come esempio per tutte le altre e soprattutto per i
popoli combattenti in quel periodo21; questa tendenza è evidente in par-
ticolar modo in Tommaseo, il quale ribadì più volte i valori della rivolu-
zione greca negli articoli per l’«Antologia».
Come si legge per esempio in un articolo del 1829:
Verrà tempo che la storia dovrà di nuovo narrare un popolo non
già fiorente della prima gioventù, ma fiaccato dagli anni, dalle catene,
dalla barbarie, risorgente dalle sue ceneri al nuovo sole della europea
civiltà; narrare poche migliaia d’uomini degni di sfidar, come un tem-
po, la molle crudeltà d’un tiranno orgoglioso di sua barbarie, e con
l’arme sola dell’ingegno e dell’animo trionfare: narrar come in mez-
zo al pericolo e alla sventura la virtù s’affini, s’aggrandisca; come fin
l’ombra della virtù paia splendida e augusta. E voglia il cielo che non
abbia a soggiungere, come, passato il pericolo, la Grecia ringiovenita,
parte ritenendo de’ vizii dell’antico despotismo, parte assorbendone
dalle moderne civiltà, ebbe a poco a poco a dimenticare quel carattere
d’originalità libera e di natia gentilezza, che rende così esemplare ed
amabile ogni movimento dell’ingegno e dello spirito greco22.

Che la Grecia sia l’esempio da seguire si deduce da una testimonianza


eloquente, la poesia dedicata alla nuova nazione nell’ottobre del 1831:
Vedi, Italia a te guarda e con desio
alleata te chiama, e te sorella,
non men grave di colpe in faccia a Dio,
non men di te piagata, e non men bella23.

21
  Vivi erano i ricordi dei moti italiani e di quelli analoghi in Spagna, Belgio e
Polonia.
22
  K.X.Y. [N. Tommaseo], Corso storico dell’Antica Grecia, ridotto in lezioni elemen-
tari dai tempi suoi più certi fino alla con­quista che ne fecero i Romani..., «Antologia», 33
(gennaio 1829) XCVII, p. 11.
23
  N. Tommaseo, Un affetto. Memorie politiche, a cura di M. Cataudella, Roma
1974, p. 25. Tommaseo scrisse 4 poesie politiche in questo periodo, pubblicate per la pri-
ma volta da R. Ciampini, Studi e ricerche su Niccolò Tommaseo, Roma 1944, pp. 87-105,
la quartina in questione a p. 100.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 285

Di questa poesia è importante anche il commento, perché l’occhio


acuto di Tommaseo vede il pericolo dello Stato greco lontano dall’Europa
centrale e vicino al potere della Russia:
Pregare che una per fede ridiventi con l’Italia la Grecia è un pre-
garle religiosa e politica e intellettuale grandezza: Ma così membro
staccato dal corpo europeo, sarà sempre sotto il fendente russo; e non
avrà vita se non per tormentarsi e dissolversi da se stessa 24.

Siamo prossimi all’opera di maggior impegno politico, il Dell’Italia,


in cui Tommaseo esprime organicamente il proprio pensiero politico sui
mali che hanno rovinato e continuano a rovinare l’Italia, e sull’impellente
necessità di libertà, perché «senza la libertà, senza la pace d’Italia, non
avranno i popoli che la circondano libertà piena né pace onorata»25.
Nel primo libro Tommaseo dedica l’attenzione alla situazione poli-
tica in Europa e in Italia, e trova che la guerra abbia rovinato quasi tutti i
paesi; inoltre tutti i popoli oppressi che tentarono di liberarsi con la forza
hanno fallito, tranne i belgi e i greci, sebbene questi ultimi si trovino ora
ad ubbidire ad «un fanciullo bavarese» (Ottone di Baviera) e in un paese
dove «i confini del nuovo regno sono segnati non già dal greco sangue,
ma dalla verga inglese e francese e russa e ottomana»26. Vi sono evidenti
coincidenze con il Supplizio:
a me che, dolorosamente presago per uno di que’ presentimenti che
m’ispira l’esperienza illuminata dall’amore, sconsigliai le mosse di Gre-
cia recenti, perché le vedevo tutt’altro servire che a’ sacri diritti della
nazione misera e prode, e adesso compiango l’esito infausto ben più di
coloro che senza fine certo o per fine reo le incitarono (p. 3[=p. 000]).

Tommaseo non poteva però rimanere indifferente alla rivoluzione


greca, un evento storico importante dato il suo valore ideologico e mo-
rale: egli è convinto che la Grecia sia qualcosa di più di una nazione che
combatte per la libertà: la Grecia, portatrice di grandi valori di civiltà,

24
  N. Tommaseo, Un affetto, p. 25.
25
  Id., Dell’Italia, libri cinque, a cura di G. Balsamo Crivelli, Torino 1920-21,
ristampa anastatica con una postfazione di F. Bruni, Alessandria 2003, p. 3: questa è la
frase iniziale del libro.
26
  Ivi, p. 10.
286 tzortzis ikonomou

difesi più volte nel Supplizio, incarnatisi in quel popolo e in quel clero
che avevano difeso Ricci, aveva illuminato più volte l’Occidente e avreb-
be continuato a vivere, anche se la guerra si fosse risolta in un fallimento:
la Grecia sarebbe rimasta per sempre la stessa. Questo è il motivo per cui
compare frequentemente l’espressione «vera Grecia»27, in contrapposizio-
ne a quella descritta e rappresentata dai giudici del processo, che nono-
stante fossero greci, erano privi dei valori morali per difenderla. Sarà poi
la definizione geografica della ‘vera Grecia’ che irriterà i corfioti: «in Ce-
falonia comincia la Grecia vera» (p. 157[=000]), perché in questo modo
Corfù sarebbe rimasta esclusa come anche i suoi giudici, i quali votarono
per la condanna a morte28.
Tommaseo non nomina, nel passo del Supplizio citato sopra, la per-
sona con cui ebbe quello scambio di battute: era Andrea Mustoxidi. Nel
necrologio dedicatogli dallo stesso Tommaseo e pubblicato nell’«Archivio
Storico Italiano» scrive:
Lo rividi nel 1827 a Venezia, dolente delle infauste novelle di Gre-
cia: ma la rocca di Atene presa non ispegneva in me le speranze,
sorrette da un presentimento che di rado fallì29.

Non è casuale il riferimento a Mustoxidi, al quale Tommaseo attri-


buisce delle colpe indirette per la vicenda del Supplizio. Mustoxidi stesso,
una delle persone più autorevoli nell’isola di Corfù, decise di rispondere
alle accuse di Tommaseo in una lettera aperta nel 1855 e questa spiacevole
incomprensione causò la fine della loro lunga amicizia; il distacco creato
dalle loro posizioni ideologiche non consentiva un recupero della rela-
zione che durava dal tempo della collaborazione alla Collana dei classici

27
  Eloquente la seguente frase: «Chi volesse punito il misfatto commesso per la
carità della terra natale come punirebbesi il misfatto contrario, costui sbandisce sé dalla
Grecia vera, ed è doppiamente infedele» (Supplizio, p. 182[=000]).
28
  I giudici favorevoli a una pena più mite provenivano tutti dalle altre isole. Questo
particolare è uno dei punti cardine del discorso di Niccolò B. Manessi, che risponderà
a Tommaseo e al suo libro in cinque articoli apparsi nel giornale locale «Ἐφημερίς τῶν
Εἰδήσεων». La questione di Cefalonia non è sicuramente legata alla topografia ma piutto-
sto a una considerazione storiografica. L’isola di Cefalonia fu considerata l’isola del regno
di Ulisse e quindi la prima testimonianza storica della Grecia.
29
  Tommaseo, Andrea Mustoxidi, p. 39.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 287

greci volgarizzati. Bisogna però esaminare le esatte dinamiche della rice-


zione del libro a Corfù tanto da parte greca che italiana30.

2. La reazione greca al Supplizio

Tommaseo si aspettava sicuramente una reazione al libro da parte dei


corfioti, ma non poteva immaginare quale portata avrebbe assunto, né le
conseguenze negative di una controversia. Il libro arrivò presto a Corfù
e fu oggetto di discussione durante l’estate del 1855, perché la memoria
dell’evento era ancora viva. Le poche testimonianze disponibili indicano
che si parlò molto del Supplizio e dei fatti del 1853, come si ricava dalla
lettera di Monferrato31.
L’incarico di rispondere alle accuse di Tommaseo fu affidato a Nicco-
lò Beltrami Manessi32, un giovane giurista e collaboratore di Mustoxidi,
che aveva probabilmente vissuto direttamente il processo contro Ricci,
essendo stato dipendente delle corti di giustizia in quel periodo. Alcu-
ne osservazioni sul libro del signor Tommaseo intitolato “Supplizio di
un italiano in Corfù” escono in quattro puntate nel giornale «Εφημερίς
των Ειδήσεων»33. Nell’articolo Manessi attacca le posizioni di Tomma-

30
  Cfr. anche Danelon, Introduzione [pag].
31
  Il libro, in commercio dalla primavera del 1855, poté raggiungere velocemente il
mercato di Corfù attraverso le rotte commerciali di Trieste o Ancona. Oggi è presente in
più biblioteche di Corfù, nonché in alcune biblioteche ateniesi. La copia conservata alla
Società Letteraria di Corfù, per es., fu probabilmente di Pietro Braila Armeni (1812-84),
uomo politico e letterato, amico di Tommaseo. Non conosco esemplari postillati.
32
  Niccolò Beltrami Manessi (Νικόλαος Βελτράμης Μάνεσης), Corfù 1820-1896,
studiò legge sia a Padova sia nell’isola nativa agli inizi degli anni ’40. Entrò presto nel
gruppo dei riformisti (Μεταρρυθμιστές, vd. Danelon, Introduzione [pag]) e in contatto
con Andrea Mustoxidi, di cui fu fedele collaboratore e del quale redasse una necrologia,
pubblicata nella rivista ateniese «Πανδώρα» (251 1860, pp. 249-252). Dopo l’unione con
la Grecia (1864) ebbe anche l’incarico di sindaco della città di Corfù. Dedicò gli ultimi
anni della sua vita al lavoro di giurisprudenza. Emile Legrand, nella Bibliographie Ionien-
ne (Parigi 1910) identifica 8 suoi scritti di natura giuridica, letteraria e religiosa.
33
  L’«Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», redattore della quale fu Anastasio Politis, fu pub-
blicata nel 1855 e continuò le uscite anche nel 1856, ma ebbe vita breve, come la maggior
parte dei giornali corfioti dopo il 1849. Il giornale, molto vicino al gruppo dei riformisti
che si era formato attorno a Mustoxidi e Braila-Armeni, usciva il sabato; il Supplemento
288 tzortzis ikonomou

seo, dalle quali si sente offeso, con un’impostazione aggressiva e più volte
sarcastica34. Il primo articolo, uscito il 15 agosto, probabilmente conte-
neva le osservazioni generali. Manessi scrive così all’inizio del secondo
articolo:
I più dei nostri lettori crederanno probabilmente che noi abbiamo
voluto raccogliere del libro del signor Tommaseo tutto quanto vi ha di
più ingiurioso ed ostile, sia contro alcuni individui sia contro il paese35.

Manessi concentra il suo discorso sul fatto che Tommaseo sia stato mol-
to offensivo verso le famiglie, la città e il paese, e che abbia volutamente attin-
to ai fatti e alle testimonianze per usarli nella difesa di una persona che pro-
babilmente non meritava tanta attenzione. Manessi sostiene che Tommaseo
avrebbe tentato di colpevolizzare la popolazione di Corfù, sebbene questi nel
libro scrivesse che quello non era affatto il suo scopo, omettendo volutamente
i nomi di quei corfioti che non vollero aiutare Ricci: «si vedrà come il signor
Tommaseo, malgrado le sue ripetute proteste di affetto per Corfù e per i
suoi abitanti, vuole appunto far cadere sopra tutta intera la popolazione di
quest’isola la responsabilità di quella condanna»36; critica anche Tommaseo
perché non nomina mai le persone prese in considerazione per sostenere i
propri argomenti. Sotto questa luce Manessi pone anche le lodi per Solomòs,
Curzola e il conte Roma, zantioti tutti e tre, che avrebbero voluto una pena
più mite, come il cefaleno Metaxà. Evitando poi di parlare del luogo d’origi-
ne degli altri personaggi coinvolti, il lettore, scrive Manessi,

usciva di lunedì (N. Konomos, Επτανισιακός Τύπος 1798-1864, «Eptanissiaka Fylla», 5


(1964), p. 127). Come molti giornali destinava le dispute filologiche al Supplemento.
Cfr. T. Ikonomou, La presenza di Tommaseo nella stampa greca (1824-1874), in Alle ori-
gini della comunicazione giornalistica moderna: Niccolò Tommaseo tra professione e missione,
Atti del convegno internazionale di studi, Rovereto, 4-5 dicembre 2007, in c.s.
34
  Tutti gli articoli uscirono nel Supplemento del giornale: il primo articolo fu pub-
blicato nel numero 33 del 15 agosto 1855, che purtroppo non mi è stato possibile rin-
tracciare in nessuna biblioteca italiana o greca, mentre gli altri (34 del 22 agosto p. 2 , 35
del 29 agosto p. 2 e 36 del 5 settembre pp. 1-2) si trovano nella Biblioteca del Parlamento
Greco, numero microfilm «Giornali vari 25».
35
  N.B. Manessi, Alcune osservazioni sul libro del signor Tommaseo intitolato “Sup-
plizio di un italiano in Corfù”, «Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», Supplemento 34, 22 agosto
1855, p. 2.
36
  Ibid.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 289

viene indotto a credere che fra quanti presero parte in quel processo,
il Procuratore Generale sia il solo corcirese che si mostrò favorevole
all’accusato, e che tutto quello stuolo di pubblici funzionari, sitibondi
del sangue di un profugo italiano, sieno corciresi, per cui il cielo stes-
so, irritato contro questo popolo per tanta iniquità volle punirlo colla
perdita del prodotto degli ulivi!37

Manessi quindi sostiene che la provenienza isolana dei giudici che


optarono per una condanna mite o per quella a morte non era impor-
tante, visto che vi furono giudici di tutte le isole in entrambi gli schie-
ramenti, e insiste sul fatto che Tommaseo ha celato volutamente questa
informazione: «piacque al signor Tommaseo sorpassare in silenzio». Chia-
ma anche in causa il giornale «Φιλαλήθης», che, secondo Tommaseo,
in quella situazione non aveva contribuito ad attirare l’attenzione sulla
condanna, ricordando che per ben tre numeri di quell’anno il giornale
scrisse in favore della pena più mite38.
In seguito Manessi critica le testimonianze prodotte da Tommaseo
per il modo in cui sono esposte e per alcuni aspetti della traduzione:
Noteremo solo com’egli, volendo troppo anatomizzare quei suoi
compendi, ferisce sé stesso, giacché le due parole ch’egli riporta un po’
storpiate di parzionevole e di καυγά, parole certo che non sono né arcai-
che né da letterati, ma tanto volgari che lo stesso nostro poeta Solomos
non degnerebbe usarle nelle poesie le più popolari, provano che i giudici
ed i cancellieri riportarono le stesse parole dei testimoni, anche le più
volgari, onde appunto non alterare in nulla il senso dei loro deposti. Se
non che il signor Tommaseo fa prova in due altri luoghi di un’ignoranza
tale della nostra lingua che in verità muove le risa. Egli vi dice seriamen-
te che parzionevole è parola del dialetto di Corfù (p. 228 [=p. 000]) e
traduce la parola apesyrton (?), furono cacciati fuori, soggiungendo che
quel vocabolo significa ancora qualcosa di più forte (p. 245[=p. 000]).
Ora chi non conosce che il verbo ἀποσύρομαι, d’onde forse il signor
Tommaseo raffazzonò quel suo apesyrton, significa ritirarsi, rimoversi

37
  Ibid.
38
  Ibid. I numeri del «Φιλαλήθης», giornale diretto tra l’altro da Manessi e Musto-
xidi, citati nell’articolo sono il 90, il 99 e il 100; numeri che io non ho potuto reperire
durante le mie ricerche.
290 tzortzis ikonomou

spontaneamente? E quanto edificante non è la protesta ch’egli fa subito


dopo aver tradotto quel vocabolo, che nel tradurre, si attiene sempre ai
modi più temperati? Quanto poi all’altro vocabolo, chi fra gl’italiani di
Corfù non riderà nel sentire dal signor Tommaseo che nel dialetto ita-
liano di Corfù, parzionevole significa padrone o principale?39

Per quanto riguarda parzionevole, la parola era già stata presa in esa-
me nell’articolo sul dialetto corcirese inserito nella seconda edizione del
Dizionario Estetico40, e usata più volte da Tommaseo per sostenere le sue
tesi sull’italiano a Corfù. Manessi, però, insiste sulla parola perché, secon-
do lui, sarebbe assurdo sostenere che esista un dialetto italiano a Corfù;
nel dizionario dialettale di Gerasimo Chytiris del 1992 tale vocabolo è
incluso, il che sembra dare ragione a Tommaseo, sicuramente miglior
linguista di Manessi41.
Manessi attacca Tommaseo anche sulle affermazioni riguardanti la
lingua italiana nei pubblici uffici e per quella che Tommaseo chiama «la
nuova consuetudine prematuramente intrusa» dell’usare la lingua greca.
Manessi si sarebbe aspettato tale affermazione dall’odiato Ward e non da
Tommaseo, che nel 1852 ben augurò l’arrivo dell’uso del greco: «che il
signor Tommaseo, anche dopo essere divenuto l’amico ed il panegirista
di quello, abbia voluto così presto rinnegare pubblicamente alle proprie
convinzioni, è veramente cosa da scandalizzarci non poco». Per rafforzare
le proprie affermazioni Manessi cita il messaggio favorevole al greco pub-
blicato in greco da Tommaseo nel giornale corfiota «Πατρίς» al suo arrivo
nelle isole Ionie nell’agosto 184942.

39
  N.B. Manessi, Alcune osservazioni sul libro de signor Tommaseo intitolato “Suppli-
zio di un italiano in Corfù”, «Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», Supplemento 36, 5 settembre
1855, pp. 1-2. Il punto interrogativo dopo apesyrton è nell’originale.
40
  N. Tommaseo, Dizionario Estetico, I, Milano 1852, pp. 117-122.
41
  G. Chytiris, Κερκυραϊκό Γλωσσάρι (ακατάγραφες και δίσημες λέξεις). Επίμετρο
Γραμματικά Στοιχεία του Γλωσσικού Ιδιώματος της Κέρκυρας [Glossario corfiota (paro-
le non registrate e dubbie). Misurazione di elementi grammaticali dell’idioma corfiota],
Corfù 19922, p. 146: «παρτσινέβολος ο, (parzionevole = συνιδιοκτήτης πλοίου) = κύ-
ριος εγγείου ιδιοκτησίας. Προσφωνητικός τίτλος σε γαιοκτήμονες αριστοκράτες από
τους κολλήγους του».
42
  Il giornale cui fa riferimento Manessi contiene un breve saluto da parte di Tom-
maseo al popolo di Corfù per l’accoglienza che gli aveva riservato («Πατρίς», 42, 1849,
p. 3).
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 291

Più fondatamente, Manessi critica Tommaseo su un altro punto:


perché non intervenne, già durante il processo per aiutare Ricci, anche
nella questione della lingua, visto che non la conosceva bene?
Tommaseo è criticato poi per il problema dei giudici: Manessi sapeva
quali erano i difensori di Ricci, ma nemmeno lui li nomina; sente però il
bisogno di difendere l’avvocato, biasimato da Tommaseo per essere stato
avido e per aver chiesto denaro da Ricci. L’avvocato era di Itaca, ma poi-
ché Tommaseo tace la sua provenienza, il lettore è indotto a credere che
si tratti di un avvocato di Corfù, la cui popolazione, secondo Manessi,
Tommaseo intende screditare. Il fatto è che per rimanere a Corfù e difen-
dere l’imputato quell’avvocato aveva bisogno di un emolumento. Inoltre,
Manessi ricorda a Tommaseo che esisteva un quarto avvocato, italiano,
mai menzionato nel Supplizio.
L’ultima osservazione di Manessi riguarda i codici scritti in italiano e
tradotti pochi anni prima del processo: secondo lui, è l’ultima menzogna
di Tommaseo. Manessi sostiene che la traduzione greca del Codice non
sarebbe «buia», e che la prima versione, italiana, era abbastanza confusa e
imprecisa, e lasciava molti dubbi sull’interpretazione.
La conclusione di Manessi è che Tommaseo abbia scritto un libro
diffamatorio, o un «romanzo», come lo chiama; il popolo ionio non è di-
spotico ma liberale, e anche gli ionii, come Tommaseo, avrebbero potuto
usare armi uguali per sostenere la propria causa.
Le armi insidiose, a doppio taglio, a molte punte, d’ignota tempra,
che servono a ferire e ad uccidere con una carezza e con un amplesso,
quelle che usa un nemico sleale, il quale nell’avventarvi i suoi colpi
protesta di esservi amico e di amarvi, servino pure al signor Tomma-
seo. Le sue vittime, ove pure gli riuscisse di farne, col rinfacciargli la
sua viltà, sarebbero per lui di eterna onta, e forse la triste compiacenza
da lui provata nel momento che, ebbro di bile ed assettato [sic] di
vendetta, vedrebbe cadere ai suoi piedi l’oggetto del suo odio, si con-
vertirebbe ben presto in vergognoso pentimento43.

E chiude efficacemente l’articolo così:


Il signor Tommaseo sfida chi ha faccia di rispondergli, che gli ri-

  Ivi, p. 2.
43
292 tzortzis ikonomou

sponda col proprio nome. Nulla di più facile. Ma il nome, qualunque


sia, non serve a mutare le cose. Come una goffa bugia uscita di bocca
ad Arlecchino non può divenire una brillante verità, perché scritta
dalla penna del signor Tommaseo, così una verità non può divenire
una menzogna solo perché non porta seco un gran nome44.

È difficile capire se quanto sostenuto da Manessi fosse condiviso


dalla maggioranza dei corfioti e se qualcuno difese la posizione di Tom-
maseo. Dopo la partenza dall’isola, Tommaseo mantenne il contatto con
Giuseppe Mattioli, che lo informava della situazione; si apprende così di
alcune difficoltà da parte degli italiani che si trovarono a dover difendere
Tommaseo. In una lettera del primo settembre, contemporanea quindi
agli articoli del giornale corfiota, Tommaseo scrive a Mattioli, dicendo
d’essere consapevole del fatto che il Supplizio avrebbe suscitato opposi-
zioni:
Mi duole de’ vostri impicci; e li prevedevo, e anche per questo non
affrettavo la stampa. Si [sic] mi rassicurarono gli stimoli vostri. Adesso
non resta che aver pazienza, difficile più del coraggio. Attenetevi ai
consigli del Solomos che v’ama, e ama l’Italia, e ama me, e conosce i
suoi polli (se pur polli sono), e col cuore aiutato dell’attico ingegno
vi scorgerà fuor delle secche. Del Roma non mi fa maraviglia, e anco
di ciò prevedevo. Io l’ho lodato quanto la coscienza consente; e mi
parrebbe canzonatura il di più. Ma quando rammento com’egli invece
di studiare le ragioni opportune a salvare quel capo, o almeno a fare
onore a lui stesso e mettere la sua coscienza in riposo, se ne andasse la
notte precedente al giudizio di sangue, se ne andasse al teatro, al tea-
tro di Corfù, al teatro italiano; sento d’avergli soprabbondantemente
pagato il debito di gratitudine per le prudentissime sue e languide e
quasi arcadiche cure45.

Il dibattito fu molto acceso, e mentre Candiano Roma sembra aver


rivisto la sua posizione, la figura di Solomòs emerge più volte come di-
fensore degli italiani.

44
  Ibid.
45
  BNCF CT 102.53.1. La gran parte della lettera è pubblicata nel Secondo Esilio,
II, pp. 163-164.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 293

Una lettera di Tommaseo al console greco di Corfù Demetrio Papio-


lachi46 mostra quanto estesa fu la rete dei contatti e quali erano le persone
a lui care. Tommaseo gli spiega l’intento del libro:
Non v’ho mai parlato d’un certo mio libro, e né anco del fatto
atroce che n’è materia, allora che accadde; rispettando certe conve-
nienze alle quali io ho riguardo specialmente verso i da me amati e
stimati. Adesso che ne menano rumore costà, vi dico che non giudi-
chiate il libro innanzi di leggerlo: e, letto, ci troverete ragione anche
troppa; e non una parola ingiuriosa alla nazione greca, e né anco a’
preti o al popolo di Corfù. Ma era debito giudicare i pochi istigatori e
consumatori del legale misfatto: e né anco di costoro dissi tutto quel
che potevo. Hanno fatto un tristo giuoco a sé stessi: non è colpa mia
se il costoro nome rimane segnato d’infamia immortale.

Una lettera di quei giorni all’amico Giuseppe Mattioli dimostra in-


vece come Tommaseo accolse la notizia degli articoli di Manessi:
Se costoro stampano le parole dure dette da altri contro di me, non
provano che il proprio torto e la debolezza, confessando di non sapersi
altrimenti difendere, né offendermi. Ma e’ mi rendono servigio: per-
ché, o quell’accuse son false e passionate, e il vederle raccolte così, ne
dimostrerà meglio la ingiustizia e la sconoscenza, la quale non avrà
fatto che offrire un’arme ai nemici del nome italiano; o le son vere, e
io a mente riposata, senza la fatica di pescarle in tanti libri, me le farò
di tanto in tanto rileggere per rendere al possibile meno imperfetto
me stesso47.

Quando riceve gli articoli di Manessi Tommaseo crede che dietro


ci sia Mustoxidi; pubblica allora il 14 ottobre nel Diritto di Torino una
risposta, articolata in tre parti, di cui quella centrale è intitolata Al po-

46
  Demetrio Papiolachi fu console a Trieste e poi a Corfù tra il 1854 e il 1855. A
Firenze tra le carte di Tommaseo ci sono 48 lettere di Papiolachi a Tommaseo tra gli anni
1849 e 1862 (BNCF CT 109.72) e tre di Tommaseo, tutte del 1855 (BNCF CT 109.73).
La lettera riportata è la 109.73.1. Cfr. Secondo Esilio, II, pp. 159-60, lettera datata «set-
tembre 1855».
47
  Secondo Esilio, II, pp. 161-162, lettera datata «Settembre 1855».
294 tzortzis ikonomou

polo di Corfù48. Tommaseo riproduce le pagine del Supplizio dedicate a


difendere il popolo di Corfù e chiama più volte Manessi «calunniatore».
L’appello fu subito riproposto dal giornale corfiota «Τα Καθημερινά»49,
con un’introduzione del redattore Andrea Cozzanda che esprime, in gre-
co, le ragioni per cui ha trovato necessario ripubblicare l’articolo nel pro-
prio giornale: «chi, senza pregiudizi, lesse il libro del signor Tommaseo, e
tra questi evidentemente non può essere incluso N. Manessi, e vedremo
perché, trovò in esso una logica grande, una ricostruzione precisa e amare
osservazioni contro la pena capitale»50.
Tommaseo riporta tutte le sezioni in cui difende il ‘vero’ popolo e si
scaglia contro Manessi, il quale ha voluto far credere che con il Supplizio
egli abbia voluto «spargere odii tra isola e isola»; sottolinea inoltre come
non abbia nominato le persone per una questione di rispetto. Da questo
testo veniamo a sapere anche che alcuni corfioti tentarono di proibire la
vendita del libro, e si rivolsero alla polizia. Tommaseo conclude ricor-
dando di aver elogiato molti ionii nella vita e negli scritti (tra cui Andrea
Mustoxidi, il vescovo Atanasio Politi e Niccolò Delviniotti), e infine di
aver sempre lodato la Grecia e le Isole Ionie, lui originario di un paese
vicino per geografia e per cultura, e marito di una donna greca51.
Manessi replica alla risposta di Tommaseo nel «Diritto», e scrive di
nuovo nell’«Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων»52. I toni di Manessi questa volta
sono ancora più aspri e forti:
Quanto ai titoli di benevolenza, che il signor Tommaseo ha verso

48
  Dei molti discorsi politici in forma di appello scritti da Tommaseo questo è si-
curamente tra i più suggestivi; cfr. L. Beiu-Paladi, Il discorso politico di N. Tommaseo: il
genere dell’appello, in Atti del VII Congresso degli Italianisti Scandinavi. Helsinki, 3-6 giugno
2004, a cura di E. Garavelli - E. Suomela-Härmä, Helsinki 2005, pp. 187-195.
49
  Il giornale cominciò ad uscire nel 1855, segnalandosi come oppositore principale
all’«Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», e si pubblicò non oltre il 1858; Konomos annota come
l’articolo di Tommaseo sia uno dei testi più importanti pubblicati dal giornale (Kono-
mos, Επτανισιακός Τύπος 1798-1864, pp. 128-129).
50
  Traduco da «Tὰ Καθημερινά», Supplemento 33, s.d. ma 9 novembre 1855, p. 1.
51
  L’articolo sarà poi riproposto nel Secondo Esilio, pp. 174-188; alle pagine 189-193
si trova la lettera a Valerio, pubblicata anch’essa nel Diritto ma non riproposta nel giornale
corfiota.
52
  N.B. Manessi, «Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», Παράρτημα 43, 24 ottobre 1855,
pp. 1-2 (articolo senza titolo).
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 295

di noi, sono molti. Basterà citare: l’essersi egli degnato dimorare fra
noi per quattro anni, mentre poteva scegliere il soggiorno di Svizzera,
di Francia, e del Piemonte: l’essere egli, più che italiano, schiavone:
l’essersi ammogliato presso di noi; e, più ancora, l’averci regalato, in
Italia essendo e dietro le spalle nostre, degli elogi così bene conditi in
quel suo libro, dove, com’egli ci assicura, si reca ad onore di rendere giu-
stizia al nostro giudizio ed alla nostra probità! Tutte queste sono ragioni
che devono impegnarci ad ascoltarlo con attenzione.

E lo faremo. Ma in verità che là dove dice delle bugie troppo gros-


se, non potremo mostrare di crederlo o di applaudirlo. Quando esce
fuori con sofismi, quando cade in contraddizioni, quando mentisce,
quando calunnia, allora potrà egli al più farci ridere, non mai convin-
cerci ed obbligarci a tacere.

La sostanza di questo articolo non presenta particolari novità e rima-


ne il tono molto polemico.
Nell’«Εφημερίς» interviene anche Mustoxidi con una lettera aperta,
di livello ben superiore53:
Solo l’altr’jeri, qui in campagna, dove mi trovo quasi da tre mesi,
e dove mi si manda il giornale Τὰ Καθημερινά, ho letto per la prima
volta il vostro articolo diretto al popolo di Corfù. Gli articoli del si-
gnor Manessi aveva io già letto, ma dopo che furono pubblicati54, ed il
vostro libro non ho potuto che scorrerlo, alquanti giorni dopo ch’esso
è giunto fra noi, non essendomi stato concesso che per poche ore.
Ecco tutta la parte ch’io ebbi in questa lotta, della quale molte morali
ragioni m’indussero e m’inducono a non arrogarmi la pretensione di
giudice.

Mustoxidi concentra il suo discorso sul tentativo di capire le in-

53
 Pubblicato come supplemento all’«Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», n. 49, 5 dicembre
1855 pp. 1-2; la lettera è interamente riprodotta in M. Lascaris, Niccolò Tommaseo ed
Andrea Mustoxidi, Zara 1934, pp. 12-15. Mustoxidi distingue esplicitamente la sua posi-
zione dalla critica di Manessi.
54
  Questa informazione è interessante perché, secondo Mustoxidi stesso, non ebbe
niente a che fare nella formulazione degli articoli di Manessi come pensava Tommaseo.
296 tzortzis ikonomou

tenzioni di Tommaseo e i risentimenti che quest’ultimo aveva contro di


lui, ma soprattutto si impegna sul problema della nazionalità del morto
e dell’assassino: perché la Giustizia in questo caso ha funzionato e lui,
Mustoxidi, non poteva intervenire nelle decisioni dei giudici. Mustoxidi
afferma, in contrasto con quanto sostenuto da Tommaseo, di non aver
ricevuto inviti a intervenire per chiedere un provvedimento di clemen-
za, e che non sarebbe rimasto silenzioso se avesse creduto che era stata
commessa un’ingiustizia. L’intellettuale di Corfù si sente ferito nel vedere
messo in discussione il suo onore e ricorda di aver «resistito alle seduzioni
di lucro e di false dignità», per cui «ha destato contra sé possenti inimi-
cizie, ha sciolto antiche amicizie, ha consumato vigilie, ha sopportato
calunnie, ha la sua quiete sacrificato, e non teme di essere accusato di
iattanza affermando che, se Corfù e le isole ionie possono andar liete di
cittadini più abili, più valenti, non certamente gl’anteporranno altri più
zelanti e più provati». Aggiunge di aver accolto Tommaseo a Corfù, di
averlo per tre anni incontrato «giornalmente», di aver ospitato nella sua
casa tutti gli esuli italiani; si duole che il suo comportamento sia stato
dimenticato e che Tommaseo abbia mosso «guerra» contro un amico caro
all’Italia e agli italiani.
Secondo Mustoxidi il Supplizio offende gli ionii quanto gli italiani,
perché prende le difese di un omicida. Sarebbe stato meglio intitolarlo,
viste le intenzioni di Tommaseo, Martirio di un Santo in Barberia: una
semplice rissa da taverna non può diventare rissa tra nazioni e la posizione
di Tommaseo non onora la sua persona né la sua fama né il suo stile. A
suo giudizio la «dottrina» e l’«ingegno» non avrebbero dovuto permettere
a Tommaseo la pubblicazione di quel libro. Il fatto rimane: Ricci era col-
pevole e come tale doveva essere giudicato; Mustoxidi non vuole entrare
in questioni nazionalistiche.
La lettera di Mustoxidi pare molto sincera e il tono amareggiato,
quasi di un amico ferito, e produce un testo di straordinario effetto re-
torico; il vecchio maestro aveva superato l’allievo Manessi, e forse non
sarebbero sorte polemiche se fosse stato Mustoxidi per primo a scrivere
sul Supplizio. La conclusione addolorata è:
Io ho esitato alcun poco se dovessi, o no, dirigervi questa lettera, e
poi se dirigervela privata-mente, o no. Ma poiché voi asserite pubbli-
camente che tutta Corfù dice come io mi sia prestato pel suo onore,
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 297

preferisco di pubblicarla in faccia a tutta Corfù, tanto più ch’io debbo


ad un suo giornale, o, per meglio dire, al redattore temporario di esso,
la conoscenza della vostra asserzione. E con salda coscienza poss’io
affermare, che nella dolorosa circostanza che dà occasione a quest’in-
sperata nostra corrispondenza, io, ora insciente, ora silenzioso, mi so
non aver avuto altra parte sennonché una sola. Sedendo nel Consiglio
Municipale, alla cui approvazione si assoggettano le iscrizioni funebri,
ho cancellato da quella dell’infelice ucciso le parole che al passeggero
potevano rammentare la patria dell’uccisore55.

L’amarezza di Mustoxidi emerge anche dall’epistolario con il cognato


Emilio De Tipaldo, amico e collaboratore di Tommaseo; in una lettera del
7 ottobre 1855 questi scrive di aver letto il Supplizio, e di non essere d’ac-
cordo con il pensiero di Tommaseo56. Più tardi Mustoxidi gli risponderà:
Hai già visto come il Tommaseo s’è imbizzarrito. Lo credeva di più
alti sentimenti, ma non ti soggiungo di più perché tu stia neutrale.
Solone non voleva nelle discussioni coteste neutralità57.

È evidente che il libro è stato il motivo del peggioramento del rapporto


tra Tommaseo e Mustoxidi che trovò offensivo il Supplizio. Mustoxidi nel
libro riceve sicuramente la lode meritata ma si trovano anche alcune pagine in
cui emergono certe allusioni a un «uomo autorevole» che non può essere altro
che il vecchio corfiota (Supplizio pp. 112-14[=000])58. De Tipaldo preferi-
rà in seguito non parlarne e anche Mustoxidi eviterà ogni accenno, proprio
per non mettere in imbarazzo De Tipaldo, che continuava a collaborare con
Tommaseo.59 Nel loro carteggio Tommaseo non è più nominato.

55
  «Ἐφημερίς τῶν Εἰδήσεων», 49 (5 dicembre 1855), pp. 1-2. L’articolo è firmato
A. Mustoxidi.
56
  La lettera è regestata in A. Mustoxidi - E. De Tipaldo, Carteggio 1822-1860,
p. 792.
57
  Ivi, p. 793.
58
  Nel Carteggio con Vieusseux si nota un inasprimento nelle relazioni tra Mustoxidi e
Tommaseo nell’estate del 1853 quando i due sostenevano due parti querelanti diverse in una
questione testamentaria; qui emerge anche il motivo religioso (cattolico-ortodosso): Carteg-
gio Tommaseo-Vieusseux, a cura di V. Missori, Firenze 2006, pp. 229-232, 235, 244.
59
  Va identificato con De Tipaldo il destinatario anonimo della lettera del dicembre
1855, riportata nel Secondo Esilio, I, pp. 283-85, in cui Tommaseo descrive i fatti del processo;
298 tzortzis ikonomou

Prova di questa rottura è anche il capitolo dei Colloqui col Manzoni,


in cui Mustoxidi è accusato di non sapere il greco, di non essere stato
vero amico del Manzoni e di aver promosso l’abolizione dell’italiano nelle
Isole60. La rottura profonda avviene sicuramente dopo un necrologio di
Andrea Mavrommati, in cui Tommaseo pubblica una lunga nota contro
il «C.A.M.», iniziali di ‘Cavaliere Andrea Mustoxidi’, con le quali egli si
firmava spesso61. L’atteggiamento negativo verso il vecchio amico è com-
prensibile nel periodo che seguì la pubblicazione del Supplizio; tuttavia
negli anni successivi Tommaseo avrà occasione di rimediare con la pub-
blicazione di due scritti e mostrare in maniera più oggettiva gli aspetti del
lavoro letterario e intellettuale di Mustoxidi62.
A De Tipaldo invece Tommaseo rivolgeva le seguenti parole ripropo-
ste tra i documenti del Secondo Esilio, in cui sono espliciti i suoi pensieri
riguardo la questione:
Quant’io scrivo sul fatto deplorabile di Corfù, non offende la na-

vi si legge una vaga critica del Mustoxidi, ma l’informazione non emerge dal Carteggio
Mustoxidi-De Tipaldo (A. Mustoxidi - E. De Tipaldo, Carteggio 1822-1860).
60
  N. Tommaseo, Colloquii col Manzoni, a cura di T. Lodi, Firenze 1929, pp.
11-14. Il titolo è «Un greco che non sapeva il greco» ed echeggiano nel testo le polemiche
di quell’anno (i colloqui furono scritti nel 1855).
61
  L’articolo, apparso sicuramente in una rivista torinese, è ripubblicato nel Secondo
Esilio, II, pp. 455-57. Cfr. Danelon, Introduzione [pag]. Andrea Mavrommati (Corfù
1822-1855) studiò in Italia e insegnò matematica presso l’Accademia Ionia; divenne presto
amico di Tommaseo e fu uno dei suoi testimoni nelle nozze con Diamante Pavello. Per
Tommaseo l’amicizia con Mustoxidi può essere considerata terminata il 18 novembre 1853.
In questa data manda una lettera Vieusseux dicendo: «Non vo’ che [le lettere] passino per il
Mustoxidi non perch’egli non m’abbia fedelmente consegnate le vostre tutte, ma perché non
amo neanco essergli più debitore di nulla». In questa lettera è evidenziato il ruolo passivo di
Mustoxidi nella vicenda Ricci: «Non parlo di quel ch’e’ non fece e che fece, che disse e che
tacque (anche il silenzio talvolta stilla sangue) in questa malaugurata causa dell’Italiano con-
dannato a morte», e quella attiva di Solomòs: «il quale con affettuoso e eloquente coraggio
s’offerse per amore del nome italiano», che pregò il vescovo Politis a chiedere ai famigliari
della vittima la grazia per Ricci: Carteggio Tommaseo-Vieusseux, pp. 244-45.
62
  Anche se non si può parlare di un miglioramento nelle loro relazioni va registra-
to che, quando fu pubblicato a Corfù l’inno di Mustoxidi dedicato alla Grecia (1858),
Tommaseo scelse di inserirlo nell’Istitutore di Torino, forse con la mediazione di Tipaldo;
un estratto della rivista piemontese si trova oggi nell’Archivio Mustoxidi di Corfù insieme
con un fascicolo del Dizionario de’ Sinonimi (1830) con dedica a Mustoxidi, «ultimo
anello tra due civiltà».
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 299

zione greca, ma discolpa il clero e il popolo di Corfù, e versa il bia-


simo su pochi tristi. E altre cose severe, in sul primo scritte, ho poi
cancellate, o le ho temperate: e dal Proemio, se lo leggi, potrai vedere
i miei intendimenti. Non già ch’io speri attutare la costoro rabbia;
che m’aspetto villanie e calunnie: ma sicuro della mia coscienza, non
me ne turbo, né me ne turberò. Che se la Grecia è infelice, infelice
è l’Italia altresì; e da questo appunto certi fiacchi toglievano audacia
a insultarla. […] Traditore chiamarono il coltello d’un uomo lunga-
mente e ingiustamente provocato; […] Tu sai com’io abbia amata e
lodata la Grecia…63

De Tipaldo a sua volta in una lettera a Carlo Annibale Pagani fa le se-


guenti affermazioni, che mostrano la difficile situazione in cui si ritrovava:
Il Supplizio d’un italiano in Corfù ha assai belle pagine: ma uno
ch’è greco, e nello stesso tempo amico del Tommaseo, fa di mestieri
che si astenga dal parlarne; e quantunque tal libro mi sia stato donato
dallo stesso autore, non di meno non gliene ho mai parlato come se
non mi fosse pervenuto, ed egli ha rispettato il mio silenzio. A tutti
poi che di tal libro chiesero la mia opinione, ho risposto che le mie
occupazioni non mi hanno ancora permesso di leggerlo. Le ultime due
pagine, su cui descrive una notte di gennaio che il cielo all’esule già
prossimo al suo partire pareva voler dare e ricevere un estremo saluto,
sono d’una bellezza tutta greca64.

Si può mettere in discussione il fatto che la reazione di Manessi fosse


condivisa tra i corfioti e gli altri isolani; le relazioni soprattutto con gli
zantioti, i quali vengono lodati più volte per il loro atteggiamento duran-
te il processo, non sembrano essere state influenzate da questo evento, e

63
  Secondo Esilio, (Al signor … a Venezia), II, p. 13; lettera datata soltanto con l’anno
“1855”; ma la data deve essere prossima al dibattito (attorno al 1° settembre 1855); vd.
anche Danelon, Introduzione [pag].
64
  Lettera riportata da D. Rasi, Un greco amico del Tommaseo: Emilio de Tipaldo,
in Niccolò Tommaseo: Popolo e Nazioni, pp. 537-578, a p. 538; la studiosa nota come il
silenzio sia stato segno di «reciproco rispetto». Le pagine cui fa riferimento De Tipaldo
sono riportate da Giorgio Zoras come esempio del Tommaseo filelleno (Tommaseo e la
Grecia moderna, in Niccolò Tommaseo nel centenario della morte, a cura di V. Branca - G.
Petrocchi, Firenze 1977, pp. 485-518, a pp. 517-518).
300 tzortzis ikonomou

ciò è evidente in particolar modo nell’amicizia con Giorgio Terzetti, ma


anche con Panaghiotis Chiotis, il primo ad aver scritto un’opera storio-
grafica delle Isole Ionie in greco, che, attraverso l’ammirazione avuta per
Dionisio Solomòs, loda Tommaseo con parole molto affettuose.
Giuseppe Monferrato, capo dei radicali ionii, in quel periodo re-
cluso dai britannici a Erikousa, un isolotto fuori Corfù, scrivendo a suo
fratello il 21 settembre 1855, ricorda i tristi eventi di due anni prima,
concernenti le accuse contro Ricci e tutto quello che era avvenuto contro
gli italiani in quegli anni65. È evidente che questi non ha letto il Supplizio
e, nonostante faccia riferimento soltanto agli articoli di Manessi, non
sembra condividerne affatto le opinioni.
Il nome di Tommaseo tuttavia restò un punto di riferimento per
molti ionii, ma anche per alcuni greci ad Atene in contrasto con la cultura
prevalente della scuola ateniese, in cui dominavano la lingua francese e la
sua cultura «importata»66.
Uno ionio, Pietro Quartano, allievo di Solomòs, nel 1863 lodò gli
scritti di Tommaseo, soprattutto quelli giornalistici, senza dimenticare le
polemiche del Supplizio e senza negarne i pregi.
L’Italia consacrerà sempre nella storia della sua letteratura una lunga
ed onorevolissima pagina al nome di Nicolò Tommaseo. Ed in vero, a
dispetto delle sue corporee sofferenze, e dei momenti durissimi che gli
serbava l’avvicendarsi delle cose della sua patria, egli fu sempre uno de’
suoi più caldi ed indefessi collaboratori all’incremento ed alla diffusione
del sapere. Molti sono gli scritti del Tommaseo, e forse io non tutti li
conosco perché sono fra tutt’altro sparsi in differenti raccolte, ma non
potrò dimenticare mai i bellissimi articoli suoi inseriti nell’«Antologia»
di Firenze, e taluni, più recenti, nel «Diritto» che si stampa in Torino.
Su molti argomenti esercitò egli le varie doti del suo bell’ingegno, ma se
avete prestato benevole attenzione a queste mie pagine, amati giovani,

65
  G.G. Alisandratos, Ανέκδοτα γράμματα, pp. 251-53. Interessante è notare che
le lettere di Monferrato, d’origine cefalena, sono scritte volutamente in greco e non in
italiano, lingua peraltro che conosceva molto bene, perché nel suo pensiero l’uso del greco
doveva entrare in tutti i livelli della società come parte del processo della nazionalizzazione
greca.
66
  M. Vitti, Storia della letteratura, pp. 153-177; K.Th. Dimaras, Ελληνικός Ρομα-
ντισμός [Romanticismo greco], Atene 19852, pp. 167-255.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 301

avrete certamente scorto con quale cura mi sia tenuto io lontano dal
toccare nulla che abbia riguardo all’argomento de’ Libri, ed è per ciò che
non vorrete sapere da me e da questo libretto cosa io pensi sul fondo de-
gli scritti del Tommaseo. Limitandomi a proporvi que’ libri che meglio
possono guidarvi a conoscere i vari aspetti dello scrivere degli Italiani,
ed esservi di sicura scorta a formarvi una maniera che sia tutta vostra,
io non posso non incoraggiarvi a leggere i libri del Tommaseo. E qui
non provo veruna trepidanza a dirvi che in quel suo libro, al quale noi
per primi avremmo fervidamente desiderato non fosse mai stata data
occasione, si trovano delle pagine che io non esito affatto di chiamare
eccellenti, sopra molte altre delle sue, forse, credo io, perché avendo ob-
bedito più che altra volta al suo sentimento egli evitò quelle ricercatezze
di lingua, e quello stile dogmatico, sentenzioso, e sembiante spesso al
profondo, che potrebbe non sempre, e non a tutti piacere67.

È evidente che l’ultima nota riguarda il Supplizio e che, nonostante


le critiche subite da Tommaseo 8 anni prima, l’autore zantiota non esita
a consigliare la prosa di Tommaseo come esempio agli studenti ionii che
devono imparare l’italiano. Non furono pochi i greci delle isole ionie a
ricorrere all’opinione del dalmata dopo il suo rientro in Italia. Esemplare
il caso della prefazione alla tragedia in italiano di Giorgio Terzetti La
morte di Socrate68. La lettura in chiave cristiana attrae in particolar modo
Tommaseo, il quale ripropone quel saggio l’anno successivo nel Diziona-
rio Estetico69.
Una parola va spesa anche per gli studiosi moderni, i quali vedono
soprattutto motivi religiosi nella vicenda del Supplizio70; a mio avviso gli

67
 P. Quartano, Saggio sui prosatori italiani ad uso de’ licei ionii, Corfù 1863, pp.
74-75
68
  G. Terzetti, La morte di Socrate. Dramma, con proemio di Niccolò Tommaseo,
Firenze 1866.
69
  N. Tommaseo, Dizionario estetico, Quarta ristampa, Firenze 1867, pp.
1062-1067.
70
  M. Lascaris, Niccolò Tommaseo ed Andrea Mustoxidi, pp. 10-12; E. Manis, Αν-
δρεάς Μουστοξύδης. Ο επιστήμων, ο πολιτικός, ο εθνικός αγωνιστής [Andrea Mustoxidi,
Lo studioso, il politico, il combattente nazionale], Atene 1960, pp. 178-81; G. Zoras,
Επτανησιακά Μελετήματα Γ’, pp. 292, 346-348, 355; G. Zoras, Ο Θωμαζαίος και η Οθω-
νική πολιτική κατά τον παρελθόντα αιώνα [Tommaseo e la politica di Ottone nel secolo
precedente], in Επτανησιακά Μελετήματα, IV, Atene 1969, pp. 161-196, a pp. 163-168.
302 tzortzis ikonomou

studiosi greci evitano la questione perché non corrisponde all’immagine


del Tommaseo filelleno sviluppatasi alla fine dell’Ottocento, quando fu
messa in rilievo la sua attività di folklorista, di raccoglitore fra i primi dei
‘gloriosi’ canti popolari.

3. La questione linguistica nelle Isole Ionie

L’importanza della questione della lingua per Tommaseo nella vicen-


da del Supplizio si ricava dal fatto che, nella parte «Morale e civile», un
intero capitolo è dedicato alla lingua e alla cultura71. Tommaseo si rende
conto, meglio forse di ogni altro osservatore o critico contemporaneo,
della difficile e complicata situazione linguistica nelle Isole Ionie, inseren-
dosi con un notevole intervento nella questione della lingua in Grecia.
Ben consapevole dei problemi del plurilinguismo delle Isole Ionie,
perché conosceva l’esempio della nativa Dalmazia, Tommaseo non si
era mai confrontato direttamente prima con il difficile processo di na-
zionalizzazione, che sarebbe cominciato più tardi nelle sue terre natali.
Dal Diario Intimo apprendiamo che conosceva le questioni linguistiche,
molto attuali nelle isole durante il suo soggiorno; scriveva acutamente: «I

Poco è anche detto da G.G. Alisandratos, Ο Ανδρέας Μουστοξύδης και η διαθήκη του
[Andrea Mustoxidi e il suo testamento], «Thesaurismata», Bolletino dell’Istituto Ellenico
di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, 11, 1974, pp. 169-190. Tutti gli studiosi
dipendono dagli studi di Lascaris. Nella sua biografia di Mustoxidi Manis presenta il caso
di Mustoxidi e Manessi che nel 1849 scrissero contro l’enciclica di Pio IX sulla chiesa
cattolica (p. 181). A mio avviso la questione religiosa è cruciale per il loro rapporto ed è
sicuramente una delle ragioni principali per l’aggravamento della relazione tra Tommaseo
e Mustoxidi.
71
  Supplizio, pp. 187-209 [=000]. È un elemento centrale del libro, che molti stu-
diosi italiani, tra cui Benedetto Croce e Giacomo Debenedetti, trovarono estraneo al tema
del Supplizio; cfr. B. Croce, Niccolò Tommaseo, in Id., Letteratura della nuova Italia, I,
Bari 1973, pp. 43-67, a pp. 65-66 e N. Tommaseo, Il supplizio d’un italiano in Corfù, a
cura di G. Debenedetti, Milano 1960. Questa parte fu tradotta e pubblicata da Giorgos
Kalosgouros nel 1898 in cui «splendono pagine inestimabili di viva eloquenza» (traduco
dal greco), nonostante, come annota il traduttore, il Supplizio abbia molte pagine «ingiu-
ste e amare»: Η γλώσσα και ο πολιτισμός κατά τον Θωμαζαίον [La lingua e la cultura
secondo Tommaseo], «Εικονογραφημένη Εστία», 52 1898, pp. 401-404.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 303

poveri greci fanno scisma qui dalla lingua propria»72. Lo «scisma» cui fa
riferimento è definizione giusta perché vi furono discussioni aspre e dure,
seguite da molte polemiche nelle Isole Ionie in questi anni, a causa delle
due questioni linguistiche che interessarono Tommaseo. Diversi tra loro e
strettamente connessi erano il ruolo dell’italiano nelle isole e la scelta del
greco letterario e amministrativo.
La questione dell’italiano a Corfù è lunga e complicata ma Tomma-
seo era già consapevole del problema, visto che poteva leggere nell’opera
di Masarachi, le Vite degli illustri Cefaleni (1843), da lui tradotta: «Se
non che indarno fu richiesto più volte, invano pubblicamente promesso
l’uso della lingua greca ne’ civili negozi. Sempre si diferisce, e noi, con
pochi altri popoli della terra, siamo in lingua non nostra giudicati, con-
dannati in lingua non nostra, lingua che la più parte del popolo ignora,
e che siccome idioma letterato, studiasi di proposito da ben pochi»73. An-
che Ermanno Lunzi, lo storiografo zantiota, nel suo saggio sul dominio
veneziano annota: «Il lungo dominio dei Veneziani aveva a poco a poco
bandita dai pubblici negozi la lingua nazionale, e sostituitavi l’italiana,
la quale col progresso del tempo era divenuta quella degli uomini colti,
e come chi dicesse la lingua nobile, ridottasi la greca idioma del volgo e
quindi corrottasi in guisa da trasformarsi in un gergo mostruoso»74. L’idea
del greco dominato e impoverito dalla prevalenza dell’italiano era dunque
molto diffusa tra i greci nelle Isole. Alcuni studiosi greci moderni vedo-
no la permanenza della lingua di Venezia, l’italiano, come un modo per
l’aristocrazia di mantenere il controllo politico sulla popolazione greca
che non parlava italiano; questa teoria però non prende in considerazione
l’evoluzione della questione linguistica ed esclude dal ragionamento tutti
quelli che non rientrano nella teoria75. È evidente tuttavia che Masarachi
e Lunzi sottovalutano il ruolo dell’italiano nelle isole, entrato a più livelli
nella società isolana dopo secoli di dominazione veneziana76.

72
  Tommaseo, Diario Intimo, a cura di R. Ciampini, Torino 19463, p. 423.
73
  A. Masarachi, Vite degli uomini illustri di Cefalonia, Venezia 1843, p. 121.
74
  E. Lunzi, Della repubblica settinsulare, libri due, Bologna 1863, p. 9.
75
  Cfr. G.N. Leontsisis, Ελληνική Γλώσσα και Βρεταννική Πολιτική στα Επτάνησα
[Lingua greca e politica britannica nell’Eptaneso], in Το Ιόνιο Κράτος 1815-1864, Πρακτικά
του Συνεδρίου (Κέρκυρα 21-24 Μαΐου 1988), a cura di P. Moschona, Atene 1997, pp.
257-276, a pp. 259-260.
76
 Per un’immagine complessiva della dominazione veneziana delle isole Ionie, e in
304 tzortzis ikonomou

Carlo Cattaneo, attorno al 1831, scrisse un breve testo, rimasto poi


inedito, sulla questione linguistica, criticando l’abbandono della lingua
italiana nelle isole Ionie77; nel suo breve discorso ricorda la cultura italiana
di Ugo Foscolo ed evidenzia, come Tommaseo, che gli isolani, dopo aver
ricevuto la loro educazione nelle università italiane, rifiutando la lingua
italiana venivano meno alle proprie tradizioni.
La questione è ancora più complessa nella riflessione di Mario Pieri,
esponente di tale doppia cultura. In uno scritto intitolato Sfortunato chi
ha due patrie egli si chiede quale sia la lingua materna degli ionii e pone il
problema in termini nazionali, facendo riferimento alle difficoltà incon-
trate nella sua vita:
L’uomo […] il quale ha due patrie, la nativa e l’elettiva, termina
col non averne nessuna, e riman fuoruscito per tutta la vita. […] A
me pure seguì non di rado di pendere incerto nelle mie scritture, né
osar di proferire quell’ardito e nobile noi, ragionando agl’Italiani; o
proferirlo non senza dubitazione che gl’Italiani non mi buttassero in
faccia la mia peregrinità; e i Greci non se ne scandalizzassero, e mi
chiamassero disertore e traditore dell’antica e vera mia patria.78

Il problema in fondo è la questione della lingua ufficiale, la lingua che


si usava in ambito giuridico e amministrativo: l’italiano; ciò perché molti
greci, per esercitare la professione dell’avvocatura nelle Isole Ionie, doveva-
no studiare nelle Università italiane79, tanto che la lingua italiana divenne

particolare a Corfù, vd. E. Bacchion, Il dominio veneto su Corfù (1386-1797), Venezia


1956.
77
  C. Cattaneo, Scritti letterari artistici, linguistici e vari, a cura di A. Bertani,
Firenze 1948, pp. 293-295.
78
  M. Pieri, Sfortunato chi ha due patrie, in Id., Opere IV (Opere varie inedite
originali e tradotte), Firenze 1851, pp. 359-363, a pp. 359, 361. Andrea Papadopolo
Vretò invece scriveva nel 1841: «Greco […] di nascita io sono, ma Italiano di cuore e
per gratitudine» (citato in Th.I. Papadopoulos, Ιονική Βιβλιογραφία 16ος-19ος αιώνας, I,
(1508-1850), n. 2711, Atene 1998, p. 480).
79
  Alcuni studiosi vedono nella Repubblica di Venezia un impedimento alla diffu-
sione della cultura greca, perché i veneziani in tutti questi anni di dominio non avevano
fondato una tipografia e non avevano istituito scuole vere e proprie. Queste affermazioni
vengono però pronunciate in chiave nazionalistica perché Venezia non si pose mai il pro-
blema della diffusione della cultura. A Venezia operavano stamperie greche e si stampava-
no libri greci di ogni genere che arrivavano nelle isole e nelle scuole esistenti, oltre che gli
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 305

praticamente indispensabile a Corfù. La situazione era ancora tale, come


annota Tommaseo più volte nel Supplizio (pp. 26-27, p. 117[=000]): gli
avvocati conoscevano bene l’italiano, ma non ne potevano fare uso, ed era-
no così costretti ad usare un greco che non sempre riuscivano ad adottare
nei loro discorsi e che non sempre era inteso dai presenti.
Il 1° gennaio 1852 entrò in vigore la legge che finalmente sanci-
va l’ufficialità della lingua greca80; il percorso non era stato facile perché
l’italiano era ben radicato nella società ionia, come anche in Dalmazia,
benché la Serenissima fosse ormai un ricordo lontano. La lingua italiana
era riuscita a sopravvivere a dispetto del crescente uso del greco, dell’av-
vicendamento di potentati stranieri nel dominio di queste terre e delle
leggi ionie che ne limitavano l’uso. Erano passati quasi 50 anni dalla
prima decisione costituzionale che imponeva l’uso esclusivo del greco; già
nella costituzione repubblicana del 1803, nata sotto l’egida della Russia e
dell’Impero Ottomano, si legge:
Dall’anno 1810: Veruno può essere eletto per la prima volta Fun-
zionario Pubblico, se non sappia leggere, e scrivere nella lingua Nazio-
nale Greca volgare. Questa lingua dall’anno 1820, sarà esclusivamente
usata in tutti gli atti Pubblici81.

La volontà politica è però diversa dalla realtà effettiva: la nuova Re-


pubblica Settinsulare si considerava il primo Stato greco libero, e dunque

insegnanti privati, e garantivano sicuramente un’educazione adeguata per gli studi futuri.
Ciò è dimostrato dal gran numero di studenti che si recavano a Padova per la formazione
accademica, ottenendo spesso incarichi importanti nell’amministrazione della Serenissi-
ma. Soltanto con i francesi e le idee illuministiche si sentì il bisogno di creare a Corfù un
ente di alta formazione e si istituì l’Accademia Ionia nel 1808.
80
 Uso con integrazioni il lavoro di Gaetano Cozzi, Diritto veneto e lingua italiana
nelle isole jonie nella prima metà dell’Ottocento, in Omaggio a Gianfranco Folena, II, Padova
1993, pp. 1533-1547; vorrei ricordare l’elemento innovativo negli scritti di Cozzi e ricono-
scere l’importanza del suo lavoro sulla lingua giuridica italiana. Cfr. inoltre il caso dell’italia-
no giuridico a Malta riportato da F. Bruni, Presentazione. L’italiano fuori d’Italia e il caso di
Malta, in G. Brincat, Malta. Una storia linguistica, Genova 2003, pp. IX-XV.
81
  [N.B. Manessi], Le tre costituzioni (1800, 1803, 1817) delle sette Isole Jonie, ed
i relativi documenti con l’aggiunta dei due progetti di costituzione del 1802 e 1806 e delle
modificazioni e riforme alla costituzione del 1817, Corfù 1849, p. 78. Che Manessi sia stato
il compilatore si apprende da A.M. Idromenos, Ιωάννης Καποδίστριας, Atene 1900, p.
7 n. 1.
306 tzortzis ikonomou

l’introduzione del greco era un atto naturale, sebbene gli stessi legislatori
che redassero la costituzione si fossero visti costretti ad usare l’italiano
in diverse situazioni: le costituzioni e gli emendamenti furono stesi in
italiano per la mancanza di una codificazione soddisfacente del greco in
ambito giuridico, e soprattutto perché il greco non era abbastanza noto
ai legislatori che firmarono quelle carte.
La pretesa di usare il greco moderno si sarebbe rivelata ben presto
un’utopia e il processo di grecizzazione della società sarebbe stato molto
più lungo del previsto. Era un periodo di continui cambiamenti politi-
ci: alla Repubblica succedette l’occupazione francese e in seguito quella
britannica. Soltanto con l’istituzione del Protettorato britannico la calma
politica tornò nelle isole, e non si dovettero più affrontare nuove guerre.
L’autorità britannica trovò opportuno cambiare la costituzione vigente
del 1803. Nella costituzione del 1817 si legge che:
La lingua di questi stati è la Greca; e viene quindi dichiarato, essere
cosa di somma importanza, che la Lingua Nazionale divenga al più
presto possibile, quella in cui si debbano scrivere tutti gli Atti del Go-
verno, e tutti i Processi Giudiziarii, e che sia in fine riconosciuta come
la sola Lingua da usarsi in ogni scritto uffiziale (cap. I art. 3).
Non essendo però agevole il dare immediata esecuzione a tale mas-
sima, a motivo che tutti gli affari del Paese sono stati fino al presente
principalmente trattati in Lingua Italiana, viene decretato, che tutti
gli affari pubblici durante il Primo Parlamento sieno trattati in Lin-
gua Italiana; salvi ed eccettuati quelli delle Corti Minori, su i quali il
Governo potrà forse giudicare opportuno d’introdurre la Lingua del
Paese colla mira d’incoraggiarla, e di propagarla (cap. I art. 4)82.

Nella precedente costituzione l’articolo riguardante la questione


della lingua occupava l’ultimo posto mentre nella nuova si registra un
importante cambiamento. Anche se molti dei legislatori che firmarono la
vecchia costituzione collaborarono anche alla nuova, si nota un’imposta-
zione più realistica del problema: viene precisato che la lingua greca è la
lingua ufficiale del nuovo Stato ma ci si rende conto che non può essere
ancora adoperata nelle varie funzioni pubbliche. Perciò viene momenta-

  Ivi, pp. 191-192.


82
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 307

neamente mantenuta la lingua italiana senza indicare i tempi del processo


di sostituzione; inoltre, mentre la Costituzione del 1803 esige la cono-
scenza del greco da parte dei funzionari pubblici, quella del 1817, nel
fissare lo scopo di atti governativi e giudiziari in greco, proroga tuttavia
l’uso pubblico dell’italiano durante la prima legislatura e si limita a sug-
gerire l’introduzione del greco nelle “Corti Minori”83. Inoltre nella Costi-
tuzione del 1817 il successivo articolo è filobritannico (mentre le potenze
precedenti non si erano preoccupate di introdurre la propria lingua):
Coll’ulteriore mira d’incoraggiare la propagazione della Lingua
della Potenza Protettrice, e quella degli Stati Protetti, Sua Altezza il
Presidente ed il Senato saranno tenuti, sei giorni dopo la prima adu-
nanza di qualunque Parlamento, di mandare all’Assemblea Legislati-
va un Progetto di Legge, da essere discusso nella medesima, intorno
all’estensione, che si potrebbe dare all’uso della Lingua del Paese negli
altri Dipartimenti del Governo, o nella totalità degli Stati; e si debbe
chiaramente intendere, che quando verrà statuita una legge, per cui
la Lingua Greca sarà dichiarata la sola Lingua Uffiziale, l’unica altra
Lingua di cui si potrà fare uso in Copie, o in altro, sarà quella della
Potenza Protettrice, cioè la Lingua Inglese (cap. I art. 5)84.

Questa mossa politica è la medesima che gli inglesi proposero a Malta


nel processo di sostituzione dell’italiano con l’inglese e di rafforzamento
del maltese85. L’applicazione di questo articolo è infatti quasi immediata:
le decisioni dell’Alto Commissario e gli atti pubblici furono pubblicati in
italiano e in inglese. L’inglese avrà tuttavia poca circolazione nelle isole e

83
  Ancora però nel 1834 gli atti del IV Paramento dimostrano che tale sostituzione
non è ancora avvenuta: «Atto 23, Art. 1: A principiare dal 17 Febbrajo (1.° Marzo) 1836,
tutti gli Atti della Polizia Giudiziaria Civile saranno scritti in Lingua Greca, e le istanze
alla medesima saranno pure fatte in Lingua Greca. I soli Reclami e Rapporti giustificativi
delle Sentenze, e le corrispondenze colle altre Autorità verranno scritte in Lingua Italia-
na, fino al tempo in cui sarà adoperata la Lingua Greca in tutto il Ramo Giudiziario»,
Prefazione a G. Economidi, A. Vlandì, Dizionario tecnico-legale italiano-greco…, Corfù
1840.
84
  Ivi, p. 192.
85
  Brincat, Malta. Una storia linguistica, pp. 249-310; vd. anche la presentazione
di Bruni al volume, pp. v-xvi.
308 tzortzis ikonomou

non penetrerà mai nella società ionia, rimanendo per tutto il periodo del
Protettorato un corpo estraneo86.
Nel IV Parlamento (1834) la questione era ancora viva nonostan-
te gli atti fossero pubblicati in tre lingue: italiano, greco e inglese. Ciò
che mancava per rendere operativo il processo di cambiamento era la
traduzione e la pubblicazione delle leggi in vigore in greco87. Mancava
soprattutto uno strumento che facilitasse la traduzione: fu deciso allora
di indire un concorso per la compilazione di un dizionario tecnico legale
greco-italiano. In breve arrivarono i dizionari di sette candidati; la com-
missione giudicatrice decise che due dei candidati, Giovanni Economidi
e Andrea Vlandì, avevano formulato le proposte migliori e che entram-
bi, anziché dividersi il premio, avrebbero compilato insieme la versione
definitiva. Il dizionario fu approvato dal V Parlamento Ionio; stampato
nella tipografia del governo nel 1840 fu messo subito in circolazione, a
disposizione dei giudici nelle isole88.
Paradossalmente l’anno successivo fu stampata in italiano la Legge or-
ganica dell’ordine giudiziario degli Stati Uniti delle Isole Jonie, che definiva
l’organizzazione dei tribunali nelle isole, mentre la versione greca uscì sol-
tanto nel 1851, l’anno prima dell’introduzione del greco come lingua uf-
ficiale89. Le varie costituzioni tuttavia non cambiavano il sistema giuridico

86
  Cfr. G.N. Leontsinis, Ελληνική Γλώσσα, pp. 257-276.
87
  Gli avvocati avevano però a disposizione il Dizionario legale di Girolamo Sac-
chetti pubblicato in cinque volumi (Firenze 1825).
88
  Economidi - Vlandì, Dizionario tecnico-legale italiano-greco. Nel dizionario, privo
di una prefazione degli autori, sono inseriti gli atti per l’istituzione del concorso e la deci-
sione della commissione e del V Parlamento (pp. I-XI). Il dizionario propone le traduzioni
in greco e anche un’appendice con un elenco di parole greche e il loro corrispondente in
italiano. Altri due dizionari furono pubblicati in breve tempo dopo quello ‘ufficiale’: D.
Papavlassopulo, Dizionario tecnico-legale italiano greco compilato dal D. Papavlassopulo
Avvocato, Corfù 1851; A. Idromenos, Dizionario Tecnicolegale [sic] Italiano-Greco, Corfù
1852. Papavlassopulo scrive che il suo dizionario è necessario per aiutare i legali nel loro
lavoro, dal momento che sta per entrare in vigore la legge sulla lingua; dichiara di aver usato
il dizionario di Economidi-Vlandì, proponendo però notevoli miglioramenti. Al concorso
partecipò anche Marco Renieri, amico di Tommaseo e di De Tipaldo (Mustoxidi - De
Tipaldo, Carteggio 1822-1860, pp. 346-350, 362-365); si apprende anche che Mustoxidi
aiutò Economidi nella compilazione del suo dizionario (p. 365).
89
  Legge organica dell’ ordine giudiziario degli Stati Uniti delle Isole Jonie, Corfù
1841; la traduzione in greco è: Οργανισμός των δικαστηρίων του Ηνωμένου Κράτους των
Ιονίων Νήσων, Corfù 1851.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 309

che per molti anni rimase lo stesso della dominazione veneta, anzi la prima
costituzione del 1800 garantiva le stessi leggi «del governo ex-veneto»90.
Queste leggi restarono in vigore fino al 1° maggio 1841, quando ci fu la
revisione e la pubblicazione dei codici per gli Stati Uniti delle Isole Ionie:
il Codice civile, il Codice penale, il Codice di Commercio, il Codice di
procedura pei giudici civili, il Codice di procedura pei giudici penali e il
Codice di procedura penale, questi ultimi due ristampati nel 184491.
Lo storico Spyridon Flogaitis, e sulla sua scia Gaetano Cozzi, ha an-
notato come il codice civile ripete molte delle norme che esistevano in
quello veneto pur ispirandosi a quello francese e a quello del Regno delle
Due Sicilie92. Questo incremento delle pubblicazioni giuridiche è dovuto
sicuramente alle incertezze esistenti tra gli stessi giudici, i quali non sa-
pevano su quali leggi basare i loro giudizi. Gaetano Cozzi identifica nel
sistema giuridico delle Isole Ionie dopo il 1841 la combinazione, nella
definizione di Max Weber, di una «razionalità logico-formale» e di un
diritto «sostanzialmente irrazionale»93.
Non ci sono però tracce in questi anni di pubblicazioni dei codici in
greco e, viste le incertezze rimaste anche dopo la pubblicazione dei nuovi
codici, Giacomo Pojago pubblicò in tre volumi, tra il 1846 e il 1848, Le
leggi municipali delle Isole Ionie dall’anno 1386 fino alla caduta della
Repubblica Veneta, ancora in vigore allora e durante il processo Ricci:
sono queste le leggi utilizzate e citate da Tommaseo per sostenere le sue

90
  Le costituzioni, p. 10 (Costituzione particolare di cadauna isola, «articolo duode-
cimo»).
91
  Tutti stampati a Corfù, Nella tipografia del Governo, 1841; Papadopoulos,
Ιονική Βιβλιογραφία, pp. 472-73, nn. 2668-73. Il Codice di procedura penale, secondo
Ntinos Konomos, fu curato da Giulio Tipaldo: I. Typaldos, Άπαντα, [Opere complete]
a cura di N. Konomos, Atene s.a., p. 14. Già nel 1817 Pietro Petrizzopulo pubblicò a
Corfù un opuscolo in cui affermava la necessità di un aggiornato Codice Penale: Sopra la
necessità di un Codice Penale per li giudizj criminali delle Isole Ionie. Dissertazione di Pietro
P. Leucadio, Corfù 1817. Dal IV Parlamento (1834) e avanti le questioni giudiziari sono
sempre attuali. Nel 1837 vengono pubblicati una serie di rapporti da giuristi ioni con il
compito di rivedere i vari codici.
92
  S. Flogaitis, Système vénetien de successions ab intestate et structures familiares, Genève
1981, pp. 33 e 119; G. Cozzi, Diritto veneto e lingua italiana nelle isole jonie, p. 1541.
93
  Ivi, p. 1543. Cfr. M. Weber, On Law in Economy and Society, a cura di M.
Rheinstein, Cambridge 1954.
310 tzortzis ikonomou

tesi sulle irregolarità del processo94. Pojago nella sua introduzione richia-
ma l’autorità di Giambattista Vico nel confermare che «i nativi costumi
non si cangiano tutti ad un tratto, ma per gradi e con lungo tempo»95. I
motivi della pubblicazione sono: «l’indispensabile necessità che il Foro ha
di queste Leggi»; «l’interesse Politico de’ moderni Legislatori di conosce-
re la direzione che tenevano i loro predecessori a seconda del progresso
della civilizzazione e del mutare delle circostanze»; «l’interesse storico di
scoprire i costumi, gli usi, le combinazioni politiche esterne, la polizia
interna»96. Con questa compilazione Pojago voleva restaurare l’immagine
del governo veneto e richiamare, attraverso queste leggi, le tradizioni civi-
li che legavano le isole a Venezia, argomenti analoghi a quelli sostenuti da
Tommaseo nel suo articolo su Niccolò Delviniotti (vd. cap. 4).
Per tutto il decennio del 1840 furono votate dal Senato e pubblicate
successivamente dalla Tipografia del Governo varie raccolte di leggi, tra
cui il Sunto delle leggi degli Stati Uniti Ionii di Andrea Teotochy, pub-
blicato nel 184797. Del 1845 è anche una serie di regolamenti delle Cor-
ti, uno specifico per ogni isola, pubblicati a cura di Girolamo Santoro,

94
  G. Pojago, Le leggi municipali delle Isole Jonie: dall’ anno 1368, fino alla caduta
della repubblica veneta. Raccolte, disposte in ordine cronologico e pubblicate dal G. Pojago,
Corfù 1846-1848. Questo libro è la base per del lavoro di Cozzi, Diritto veneto e lingua
italiana nelle isole jonie. Pojago pubblicò nel 1872 l’indice alfabetico delle leggi municipali
nella stessa tipografia, ora con il nome di Corcyra e non più del Governo, dato che le Isole
Ionie ormai erano parte della Grecia. Si noti che queste leggi non erano più in vigore dopo
l’Unione con la Grecia e l’approvazione delle leggi greche nel 1866 (N.I. Pantazopou-
los, Εθνικό Φρόνημα, Γλώσσα και Δίκαιο στο Ιόνιο Κράτος [Opinione nazionale. Diritto e
lingua nello Stato Ionio], in Το Ιόνιο Κράτος 1815-1864, pp. 359-83, a pp. 382-83).
95
  Pojago, Le leggi municipali delle Isole Jonie, p. 12. Vico ebbe un’enorme fortuna
in Grecia nell’Ottocento e le sue teorie furono usate per contrastare la teoria della non-
grecità dei moderni greci di Jakob Fallmerayer: vd. Dimaras, Ελληνικός Ρομαντισμός,
pp. 428-441 (la questione è discussa a pp. 434-436); lo studioso greco evidenzia come
l’influenza di Vico arriva attraverso gli scritti di contemporanei italiani, soprattutto di
Tommaseo.
96
  Pojago, Le leggi municipali delle Isole Jonie, p. 5.
97
  Cozzi, Diritto veneto e lingua italiana nelle isole jonie, pp. 1546. Lo stesso anno
fu anche pubblicata l’importante Raccolta degli atti del Parlamento. Gli atti e le risoluzioni
del I, II, III, IV, V, VI, VII, e della I Sessione dell’VIII Parlamento degli Stati Uniti delle Isole
Ionie, Corfù 1847. Due anni dopo Manessi pubblicò la collezione delle Costituzioni di
cui abbiamo accennato sopra.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 311

napoletano che insegnava legge nell’Accademia Ionia, all’epoca segretario


del Supremo Consiglio delle Isole Ionie98.
La politica linguistica però risulta più chiara guardando alle Rasse-
gne di Giurisprudenza che il Senato stampava annualmente. Dal 1841
fino al 1851 uscirono in italiano; dal 1852 in poi in greco.
Il problema dell’uso della lingua greca nei pubblici uffici fu serio e
sempre attuale durante l’Ottocento, e si sa che le trasformazioni nell’am-
ministrazione non possono arrivare per mezzo di rivoluzioni; tuttavia
nel 1839 Mustoxidi partì per l’Inghilterra e presentò un promemoria sul
cattivo stato in cui erano cadute le isole ionie sotto il protettorato britan-
nico99. In tale scritto Mustoxidi espone con chiarezza le sue opinioni sul
problema linguistico e chiede al Protettorato l’attuazione della Costitu-
zione del 1817, concessa dagli inglesi:
La Costituzione stabilisce per lingua ufficiale la Greca. Dopo il
primo Parlamento, il Senato deve mandare all’Assemblea un proget-
to da esser discusso intorno all’estensione che dar si potrebbe all’uso
di questa lingua ne’ dipartimenti del Governo, e nella totalità degli
Stati100.

98
  Questi regolamenti poco noti si trovano soltanto nella Biblioteca della Società
Storico Etnologica della Grecia ad Atene e sono lunghi tra 4 e 7 pagine ciascuno; vd.
Papadopoulos, Ιονική Βιβλιογραφία, pp. 530-531, nn. 3029-35.
99
  Anche Karl Marx scrisse il 17 dicembre 1858 un articolo sulla cattiva ammi-
nistrazione delle isole Ionie da parte dei britannici: La questione delle isole Ionie, in K.
Marx - F. Engels, Opere, XVI, agosto 1858-febbraio 1860, Roma 1983, pp. 131-35.
La storiografia inglese ottocentesca evita però questi argomenti, e preferisce evidenziare i
difetti della gestione veneziana (H. Jervis-White Jervis, History of the Island of Corfù and
of the Republic of the Ionian Islands, London 1852, p. es. a p. 206: il dominio veneziano
fu «monstrous in its principles, monstrous in its barbarity, monstrous in its folly»). Sulla
politica britannica vd. anche Danelon, Introduzione [pag]. Sulla storiografia greca cfr. D.
Arvanitakis, Un viaggio nella storiografia neogreca. Immagini della Dominante e degli ordi-
ni sociali delle città Ionie (secoli XVI-XVIII), in Italia-Grecia: temi e storiografie a confronto,
a cura di C. Maltezou - G. Ortalli, Venezia 2001, pp. 91-111.
100
  A. Mustoxidi, Promemoria sulla condizione attuale delle Isole Ionie. Presen-
tato privatamente in Londra nel Mese di Agosto 1839. Dal cavaliere Andrea Mustoxidi,
C.S.M.S.G. e membro del Parlamento degli Stati Ioni a sua signoria il ministro delle colonie,
[il marchese di Normanby,] coll’aggiunta ora di alcune note e delle lettere del cavaliere Musto-
xidi a Lord Normanby e Lord John Russell, Londra 1840, p. 9.
312 tzortzis ikonomou

La continuazione del testo illustra la posizione ideologica di Musto-


xidi:
Ventidue anni son corsi, né il Senato ha mai mandato questo pro-
getto. L’Assemblea del V Parlamento, veggendo questo vergognoso
obblio, udendo le doglianze del popolo, prende alcuni provvedimenti
per agevolare l’introduzione nell’uso della lingua nazionale almeno ne’
Tribunali. Con artifizj ed incuria si differisce l’esecuzione di questi prov-
vedimenti. L’Assemblea del VI. Parlamento richiede il Progetto, ed il
Senato con evasive parole si scansa d’offerirlo. Così dall’epoca della Co-
stituzione una seconda generazione è cresciuta, ed una ter[z]a cresce, e si
fa per anche uso della lingua Italiana. Il cittadino si vede tratto dinnanzi
a’ Tribunali, accusato, difeso, giudicato nelle sostanze, condannato nella
libertà e nella vita in una lingua che ignora, e per leggi che nemmeno
gli sono mai tradotte101. Il contadino giunge nella città, cerca il nome
delle vie, ma i cartelli non servono che ad indicarle a’ Siciliani e Maltesi.
Il popolo è greco, la sua lingua è la greca, lingua de’ suoi padri, de’ suoi
affetti, delle sue contrattazioni, della sua religione, interprete delle muse
e delle grazie, che ora si riveste nella Grecia rigenerata di maggior splen-
dore, esprimendo ogn’idea della moderna legislazione e dell’Europeo
incivilimento. Perché dunque sarà ella bandita e spregiata dalla sua terra
natale, da quella terra in cui nel secolo passato per mezzo di essa due
Ionj ridestarono in tutta la Grecia la luce delle scienze e della filosofia?
Perché una parte di coloro che hanno il monopolio della cosa pubblica,
avanzo, o emanazione dell’educazione Veneziana, favellano come ben gli
rimprovera Carlo Dupin102, la lingua di Arlechino e di Pantalone. E per
trenta che balbettano l’Italiano, si sacrifica il decoro nazionale, e gl’in-
teressi di quasi dugento mila uomini. Che più? da questi ultimi tempi
l’Istruzione pubblica, che ne’ suoi interni rapporti valevasi della lingua
nazionale, dee valersi della lingua italiana, ed i Vescovi stessi che non ne
intendono sillaba, debbono accompagnare di una versione italiana le

101
  Si tenga presente ciò che dice Tommaseo nella difesa del Ricci, nella quale sostie-
ne che questi non poté difendersi adeguatamente in greco.
102
  Charles Dupin (1784-1873), matematico e politico francese che entrò nella ma-
rina francese durante l’epoca napoleonica e servì a Corfù tra il 1807-1811; era promotore
dell’uso della lingua francese nelle isole e uno dei costituenti, nonché segretario, della
prima Accademia Ionia nel 1808.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 313

loro corrispondenze ai Reggenti, i quali pur come Cristiani, almeno non


dovrebbero essere alieni alla lingua con cui pregano o odono pregare il
Signore. Così si alza un muro di separazione fra i governati ed i gover-
nanti, così i proprietari ricchi della campagna sono esclusi da’ pubblichi
impieghi, così i lor figli non gli potranno mai conseguire se non quando
si saranno snazionalizzati. E intanto per la loro redazione, per la loro
traduzione, le carte del Governo Ionio sono oggetto di derisione, per chi
sa di Greco e d’Italiano103.

Il problema secondo Mustoxidi è dunque l’esistenza della lingua


italiana nelle isole ionie, ma bisogna tener conto dell’aspetto ideologico
e retorico del discorso per trarre corrette conclusioni e non considerare
questo testo come l’immagine fedele della realtà. Può sembrare parados-
sale che Mustoxidi scriva in una lingua che nello stesso tempo critica, ma
la sua lingua, la sua cultura e la sua educazione erano prevalentemente
italiane. Mustoxidi però ha capito il processo irreversibile di nazionaliz-
zazione, che andava verso la costruzione di una società greca nelle isole,
e sa che la lingua doveva essere presente in tutti gli aspetti della società104.
Ancora nell’Accademia Ionia si davano lezioni in italiano e molti profes-
sori erano italiani. Per esempio Costantino Zavizziano (Κωνσταντίνος
Ζαβιτζιανός, Corfù 1810-1881), laureato in medicina a Napoli (1831),
si stabilì in seguito a Corfù dove lavorò come medico. Fu uno dei primi
a svolgere la funzione di medico legale nell’isola in collaborazione con i
tribunali, ed è nominato negli atti del processo contro Ricci105. A diffe-
renza dei medici precedenti scrive in greco per favorire l’emancipazione
della lingua, e dal 1843 ebbe la cattedra di medicina nell’Accademia Ionia
dove per la prima volta gli studenti potevano leggere medicina in greco.
Questo è un cambiamento notevole, considerando la presenza storica
di professori greci di medicina a Padova, come Angelo Dalla Decima il
quale tradusse le opere di William Cullen in italiano per i suoi studenti.

103
  Mustoxidi, Promemoria, p. 9.
104
  Cfr. il caso di Natko Nodilo che in Dalmazia fu a favore del serbo ai danni
dell’italiano: Bruni, Presentazione. L’Italiano, p. XIV e E. Ivetić, La patria del Tommaseo,
in Niccolò Tommaseo Popolo e nazioni, pp. 595-623.
105
  D. Zavitzianos, Κωνσταντίνος Ζαβιτζιανός, «Deltion Anagnostikis Etairias
Kerkyras» 11, (1974), pp. 21-35; BNCF CT 18.
314 tzortzis ikonomou

L’Ateneo padovano fu un esempio per la facoltà di medicina dell’Accade-


mia Ionia; le due istituzioni ebbero stretti contatti106.
La lingua greca deve arrivare per Mustoxidi non solo alle ammini-
strazioni e all’istruzione ma deve subentrare all’italiano in ogni situazione
comunicativa: si veda il cenno ai nomi delle strade, che possono essere
capiti dai maltesi e non dai contadini locali107. Mustoxidi vuole ottenere
un effetto retorico, perché deve mostrare che la società corfiota non ha
bisogno dell’italiano. Il problema è che non erano trenta quelli che bal-
bettavano in italiano108, bensì tutta la classe politica e giuridica (Mustoxi-
di compreso), formatasi nelle Università italiane, la cui lingua di cultura
era prevalentemente italiano. Mustoxidi scrisse il promemoria in italiano
perché non sapeva scrivere correttamente in greco: l’italiano era lo stru-
mento della comunicazione intellettuale e tale sarebbe rimasto ben oltre
il 1852. Per molti intellettuali l’«arrivo» del greco costituiva un problema
serio, come ha notato recentemente Dimitris Arvanitakis: si trattava di
affrontare una nuova realtà, cioè sostenere il primato del greco, mentre
erano capaci di scrivere e di trasmettere le proprie idee solo in italiano109.
Basti riportare due esempi di questa nuova coscienza storico-lingui-
stica. Nel 1797, all’arrivo dei francesi, fu pubblicato un opuscoletto dalla
Municipalità Provvisoria di Zante in cui si scriveva della grandezza della
lingua greca sognando un risorgimento della Grecia antica, scritto però
sempre in italiano110. Nel 1817 poi Antonio Dandolo scrisse il Discorso
ai Greci dell’Ionio in cui augurava una lunga libertà alle Isole Ionie e

106
  G. Pentogalos, Η Ιατρική Σχολή της Ιονίου Ακαδημίας (1824-1828, 1844-1865)
[La scuola di medicina dell’Accademia Ionia], Salonicco 1980.
107
  L’esempio delle strade è retorico perché molte parole di uso quotidiano erano
entrate nel parlato volgare delle Isole Ionie.
108
  Donato De Mordo pubblica in un saggio nel 1865 tutti i dati statistici delle Iso-
le Ionie e mostra che i dati sulla popolazione nell’Ottocento erano assai controversi. Scrive
però a riguardo della situazione linguistica: «Nelle Isole Ionie, come in Atene e Morea,
l’italiano è l’elemento predominante; […] dobbiamo però confessare che nell’Eptanesia
si parla peggio di ovunque in Grecia, e ciò in specie nelle città precipue, sendo il romai-
co molto italianizzato» (Saggio di una descrizione geografico-storica delle isolo Ionie, Corfù
1865, p. 50). Non fornisce un dato preciso sulla conoscenza dell’italiano a Corfù e il dato
reale deve essere molto più alto dei ‘30 balbettanti’ di Mustoxidi.
109
  D. Arvanitakis, Γλώσσα και εθνική ταυτότητα στο Ιόνιο [Lingua e identità na-
zionale nello Ionio], «Istorika» 46, (giugno 2007), pp. 15-24, a p. 16.
110
  Cfr. Arvanitakis, Γλώσσα και εθνική, p. 17.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 315

ogni fortuna alla lingua e cultura greca, il tutto sempre in italiano111. Non
si tratta neppure di un uso puramente veicolare della lingua, perché se
Dandolo e gli altri autori avessero voluto assicurare ampia divulgazione
ai loro scritti, avrebbero adoperato il francese, che tutti gli intellettuali e
gli aristocratici sapevano benissimo.
L’effetto retorico del Promemoria è evidente quando Mustoxidi nel
passo successivo propone un uso maggiore dell’inglese:
E con questa obbliqua e turpe guerra che si fa alla lingua del paese,
si ritarda l’uso e l’ampliazione della lingua Inglese che pur servirebbe
di vincolo di affezione fra’ due popoli, e mezzo pel quale la gioventù
Ionia anziché condursi in gran numero alle Università d’Italia, si con-
ducesse nelle Università di Oxford o di Cambridge. E perciò appunto
la Costituzione dice che quando la lingua greca sarà usata negli atti
pubblici allora l’unica altra lingua di cui si potrà far pur uso ufficiale
sarà l’Inglese. Da qualche anno s’è erroneamente creduto potere in-
trodurre questa lingua, conservando ad un tempo pur l’italiana, senza
avvedersi che nuove diverse abitudini mai non si contraggono finché
si coltivano le antiche, onde non s’è fatto che accrescere notabilmente
ed inutilmente le spese, ed il volume degli atti del governo, per pub-
blicarli in tre lingue112.

La lingua inglese però, a differenza che in altre colonie (come Malta),


non riuscì mai a penetrare nella società corfiota, per due motivi: la breve
durata del Protettorato (50 anni) e la resistenza dell’italiano. La ricezione
del promemoria da parte delle autorità britanniche non fu positiva; gli
ionii dovettero aspettare fino al 1848 per avere le prime modifiche liberali
come la libertà di stampa (25 maggio 1848), e al 1852 per avere il greco
come lingua ufficiale. Fu, infatti, durante le riunioni dell’VIII Parlamen-
to del 1849 che si discusse ampiamente della questione del cambiamento
della lingua ufficiale, e sebbene fosse stata più volte dichiarata l’impor-
tanza di usarlo, di parlarlo e in seguito di pubblicare gli atti in greco, non

111
  A. Dandolo, Discorso a’ greci dell’Ionio, del cav. A. Dandolo corcirense, Parigi
1817, ristampato lo stesso anno anche a Firenze, e una terza edizione nel 1851 a Corfù. È
interessante notare come Dandolo, in chiave utilitaristica e riprendendo le idee di Beccar-
la scrive che le leggi devono mirare «alla massima felicità del maggior numero».
112
  Mustoxidi, Promemoria, p. 9.
316 tzortzis ikonomou

furono pochi a richiedere di parlare in italiano113; solo nel IX Parlamento


(1850) si arrivò alla decisione che entrò in vigore, come abbiamo detto, il
1° gennaio 1852, e che determinò la traduzione dei codici in greco.
Tommaseo ha sicuramente letto il promemoria di Mustoxidi114 ma
non possiamo sapere che cosa ne pensava allora. All’epoca stava racco-
gliendo il materiale per la pubblicazione dei canti popolari, per la quale
si rivolse anche a Mustoxidi. La ricerca del greco popolare da parte di
Tommaseo aveva suscitato grande interesse in Mustoxidi, che contribuì
alla raccolta non solo attraverso consigli per la traduzione ma anche con
materiale edito e inedito115.
Dopo la vicenda del Supplizio e l’esperienza piuttosto negativa del
soggiorno corfiota, Tommaseo scrisse e pubblicò i suoi pensieri sulla lin-
gua italiana e la sua presenza nelle Isole Ionie nel saggio su Niccolò Del-
viniotti, cogliendo meglio di chiunque altro i veri problemi riguardanti
la sostituzione della lingua; Tommaseo evidenzia acutamente gli errori di
politica linguistica, con grande lucidità e capacità di osservazione storica:
il saggio deve essere letto come un supplemento al capitolo sulla lingua e
civiltà inserito nel Supplizio:
Sbandire a un tratto l’italiano dalle scuole e dagli usi del vivere pub-
blico, non è già un apprendere il greco. Nessuno più di me ama che
ciaschedun popolo s’attenga alla favella materna: anzi vorrei che Jonii e
Greci la purgassero meglio assai che non fanno da’ modi francesi, da’ co-
strutti tedeschi, da gerghi avvocateschi, e più da lungherie pedantesche,
che non sono di lingua niuna. Ma cotesto odio contro una lingua natu-
ralmente sorella, cospicua nel mondo per dovizia e di dottrina e d’elegan-
za; cotesto volere, con una finzione di genere nuovo in questo secolo delle

113
  L’esempio più illustre è quello di Costantino Volterra Martinengo di Zante:
Pantazopoulos, Εθνικό Φρόνημα, pp. 364-65. La discussione sulla questione della lin-
gua cominciò il 28 aprile 1849, durante la nona sessione dell’VIII Parlamento: ivi, p. 368.
Lo studioso traccia gli avvenimenti che portarono al cambiamento della lingua dall’inizio
delle procedure dell’VIII Parlamento fino all’approvazione della legge; nonostante alcune
imprecisioni, il saggio rimane comunque interessante.
114
  L’esemplare del promemoria presente nella Biblioteca Marciana a Venezia forse risa-
le a quel periodo, quando Mustoxidi si fermò nella città lagunare ospite di De Tipaldo (Mu-
stoxidi - De Tipaldo, Carteggio 1822-1860, pp. 414-423, in particolare lettera n. 149).
115
  Sull’aiuto di Mustoxidi alla raccolta vd. Lascaris, Niccolò Tommaseo e Andrea
Mustoxidi.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 317

finzioni prosaiche, voler fare le viste d’ignorare lingua bene intesa e meno
male parlata che in più parti d’Italia; cotesto esercitare per forza di decre-
to l’autorità negata agl’imperanti sugli avverbi e le copule; mi pare cosa
inaudita ne’ fasti delle accademie e delle assemblee. Le Isole Jonie ubbi-
divano fino a ieri a leggi scritte in lingua italiana, ora tradotte in modo
che mal le intende il popolo; il popolo per cui le leggi dovrebbero essere
fatte, e che paga caro perché le sian fatte; paga caro il non intenderle se
non attraverso alle glosse de’ legulei, attraverso alle sbarre della carcere.
Ed è commedia crudele e piena d’ingiuria, che questo popolo chiamato
sovrano, il qual si crea i suoi legislatori, legislatore egli stesso, abbia a
avere un codice tradotto in lingua greca, che i Greci non possono inten-
dere. E non dico del popolo solamente. Sentii io nel Parlamento jonio, la
question préalable de’ Francesi recata in una frase greco-moderno-antico-
bisantino-logiòtata116, che l’ingegnoso oratore, per farla intendere ai de-
putati ingegnosi e dotti, dovette ridirla in francese, e ripetere la question
préalable. Io affermo che gli italianisti forensi, cosi ineleganti come sono
i più, il popolo delle campagne, parlante non altro che il greco, l’intende
meglio di questo greco di fabbrica vecchio-moderna; dico che nell’Isole
Jonie nessuno scrittore sa scrivere il greco come scrisse l’italiano Nicolò
Foscolo (io gli rendo il bel greco suo nome ch’egli ha invidiato a sé stes-
so, nome denotante il vincolo tra il tempo pagano ed il cristiano, tra il
mondo d’Oriente e quel d’Occidente, tra il mare e la terra, tra gli scogli e
le scuole, tra la carità e la bellezza); di Nicolò Foscolo, dicevo, di Dionigi
Solomos, e d’altri minori. Domando che direbbe egli il Foscolo, il quale
con disdegno pietoso si doleva che dalle scuole d’Italia fosse espulso il
latino; che direbb’ egli in vedere l’italiano dalle scuole jonie proscritto?
L’espellere dall’università un professore perché insegna in lingua italiana;
il non accettare la profferta d’altr’uomo dotto, greco d’origine e di rito, il
quale offriva gratuitamente insegnare scienza ch’e’ poteva bene insegnare,
il colonnello Milanopulo;117 egli è uno strano gusto di patria carità. Se in

116
  Il composto di queste cinque parole indica la posizione tommaseana a favore
della lingua popolare.
117
  Augustino Milonopulo (Corfù 1797-1854) insegnò matematica al Collegio della
Marina e prese parte alla rivoluzione del 1848 a Venezia come comandante della marina.
Esiliato anch’egli a Corfù, tentò di avere la cattedra di matematica all’Accademia Ionia,
con il sostegno di Tommaseo, ma senza successo. Cfr. A. Papaioannou, Οι Έλληνες της
Βενετίας και η βενετική επανάσταση του 1848-49 [I greci a Venezia e la rivoluzione vene-
318 tzortzis ikonomou

Germania e in Francia e in Inghilterra accettansi lezioni in lingua non del


paese, e non divulgata come l’italiana è qui; se i Romani vincitori superbi
degnarono leggere e parlare greco; non veggo perché il mostrar d’inten-
dere lingua che s’intende, sia un perdere dignità. O se bandite l’italiano
dalle cattedre, banditelo da’ teatri, banditelo dalle pareti domestiche: e
quando un Napoletano, un Maltese, un Jonio vi parlano i suoni della
barbara Esperia, pagate un dragomanno che ve li traduca nella favella del
Duca. Gli altri popoli, a prezzo di soldi e di fatica fanno apprendere a’
loro figliuoli l’italiano; e qui si promulga una legge per disapprenderlo,
cioè per far mostra d’averlo disimparato. L’arte che desiderava Temisto-
cle, l’arte del dimenticare, s’è finalmente trovata118.

È evidente come le due questioni linguistiche si intrecciano nel pen-


siero di Tommaseo; l’italiano in quegli anni cominciò a subire attacchi,
più di quanto Tommaseo pensava fosse possibile. Secondo lui i sostenito-
ri di questa politica distruttiva non possono usare il popolo come giustifi-
cazione per l’uso del greco nei pubblici uffici visto che quel tipo di greco
artificioso e non naturale non è comprensibile per il popolo. Secondo
Tommaseo «il codice sarà tradotto in un greco, che sarà a’ Greci più duro
che agl’Italiani il latino»; e come
i contadini in Italia indovinano a un bel circa il senso di alquante pa-
role del Vangelo sentite dall’altare o dal pulpito; il contadino in Grecia
imparerà il gergo legale a forza di cause perdute, e di liti ruinose alle
case, ruinose all’anima (Supplizio, p. 205 [=000])

Per Tommaseo i due paesi, la Grecia e l’Italia, sono stati sempre col-
legati nella storia avendo costruito un ponte con reciproci influssi: en-
trambi i paesi hanno contribuito al progresso l’uno dell’altro. Lo stesso
Mustoxidi, oppositore tenace dell’italiano, scrive in italiano le poesie e le
lettere. Anche quando, sulle orme della rivoluzione greca, sceglie di dedi-
care alla nascente nazione un inno, lo scrive in italiano119.

ziana del ’48-’49], Ioannina 1984, pp. 129-138.


118
  Secondo esilio, II, pp. 405-407.
119
  A. Mustoxidi, Inno ai Greci, «L’Istitutore» 1858, pp. 252-54. Tommaseo, che ne
scrive l’introduzione, annota che bisogna «mostrarlo perché scritto nella lingua d’Italia, di
quest’Italia alla quale il Mustoxidi deve non piccola parte della sua erudizione intellettuale
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 319

La lingua è dunque una questione prioritaria e l’esempio usato da


Tommaseo, cioè che Foscolo sapeva l’italiano meglio di quanto qualun-
que ionio sapesse il greco, è interessante perché cita uno scrittore che non
gli era caro, ma che gli sembra opportuno richiamare perché funzionale:
Foscolo era il modello da seguire per gli ionii che perseguivano la fama
poetica, tra i quali Solomòs. Da questo punto di vista è meglio conservare
l’italiano finché il greco volgare, o quello che Tommaseo chiama il dia-
letto corcirese, possa essere utilizzato anche nei pubblici uffici. L’esempio
del parlamentare che doveva usare il francese per farsi capire è piuttosto
eloquente, e lo è anche la bellissima locuzione già ricordata che definisce
il greco non popolare, che includeva quello arcaico e la katharevousa:
«greco-moderno-antico-bisantino-logiòtata». In queste parole è espressa
tutta la critica linguistica di Tommaseo, in cui «logiotata»120,con il signifi-
cato ironico della parola, illustra la sua posizione nel dibattito in corso.
Tommaseo avrebbe potuto svolgere l’argomento della presenza
dell’italiano nel Supplizio, ma uno sviluppo adeguato è nel saggio su Nic-
colò Delviniotti. La brevità del Supplizio in materia dipende dal fatto
che per Tommaseo esso doveva circolare tra i greci: affrontare entrambe
le spinose questioni linguistiche non avrebbe giovato all’intento del libro.
Egli vuole inserirsi nel dibattito linguistico e sviluppa soltanto la sua po-
sizione sulla questione della lingua greca, non le sue idee sull’italiano, nel
capitolo Lingua e civiltà: la lingua greca impiegata dai giuristi a Corfù è
una lingua artificiale, purificata dagli elementi popolari che non la rendo-
no comprensibile al popolo.
La questione della lingua in Grecia è molto complicata, lunga e tal-
volta aspra121. Nella storia letteraria molti scrittori si avvalsero di scrivere

e della sua rinomanza, e che egli per ragioni e d’amor proprio e di gratitudine non può
non aver cara» (p. 252).
120
  Λογιότατος, usato anche nel Supplizio (p. 191 [=000]: «così chiamano i Greci
persona e dire letterato»), è il superlativo di λόγιος, ‘dotto’, ‘erudito’ e ha un significato
negativo la cui traduzione migliore è ‘pedante’ (e non ‘eruditissimo’).
121
  Manca uno studio che esamini la questione della lingua greca in epoca moder-
na. Lo studio più importante è V. Rotolo, A. Koraìs e la questione della lingua in Grecia,
Palermo 1965. Si vd. per ulteriori informazioni: Vitti, Storia della letteratura; G. Hor-
rocks, Greek: A History of the Language and its Speakers, London-New York 1997, pp.
344-362. Per la questione della lingua nell’Ottocento si vd. soprattutto Dimaras, Ελλη-
νικός Ρομαντισμός, in particolare le pp. 369-74, studio insuperato per quanto riguarda
320 tzortzis ikonomou

o nella lingua comune, dimotikì, (δημοτική), o in quella arcaizzante, o


più tardi usando la katharevousa (καθαρεύουσα) e si pronunciarono in
maniera più o meno ampia in favore della loro scelta linguistica. Tutte le
parti furono presto prese di mira in varie satire per dimostrare le assurdità
di queste discussioni: per esempio la Babilonia di Dimitrios Vyzandios
(1836), in cui l’elemento comico è costituito dalle incomprensioni che
nascono tra gli interlocutori provenienti da varie parti della Grecia con
diversi dialetti.
Figura eminente nella questione della lingua è Adamantino Koraìs122,
che con la sua invenzione, la katharevousa, ideò la costruzione di una lin-
gua nazionale che aveva la base nella lingua degli antichi greci accettando
però alcuni elementi nuovi. Koraìs trovò necessario recuperare la lingua
antica per ragioni nazionalistiche ma anche perché lingua storica, con la
sua grammatica, poteva regolarizzare e completare la lingua parlata; trovò
anche necessario correggere parole ed elementi moderni in una veste tra-
dizionale123. La katharevousa sarà la scelta dei letterati ateniesi dal 1830 in
poi, e lingua ufficiale del nuovo stato greco.
Gli arcaizzanti invece, che avevano in Panaghiotis Kodrikas il maggior
esponente, furono a questo punto visti come reazionari, ma con il soste-
gno del Patriarcato di Costantinopoli poterono dar peso alla loro causa. La
chiesa era riuscita a preservare e tramandare un greco conservativo, senza

l’epoca romantica in Grecia (1830-80), ma già nel 1870, l’erudito Costantino Sathas
pubblicò testi importanti e documenti riguardanti la questione della lingua evidenziando
la sua importanza storica: K. Sathas, Νεοελληνικής φιλολογίας. Παράρτημα. Ιστορία
του ζητήματος της νεοελληνικής γλώσσης, Atene 1870. Nel Novecento, quando ormai la
questione della lingua era all’apice delle discussioni, uscirono gli studi dello storico marxi-
sta Giannis Kordatos, che nonostante le molte acute osservazioni restano tuttora ignorati
dagli studiosi moderni: G. Kordatos, Δημοτικισμός και λογιωτατισμός: κοινωνιολογική
μελέτη του γλωσσικού ζητήματος [Demoticismo e eruditismo. Studio sociologico della
questione della lingua]Atene 1927; Id., Ιστορία του γλωσσικού μας ζητήματος [Storia del-
la questione della lingua], Atene 1943.
122
  Adamantios Koraìs (1748-1833) studiò in Francia ed apprese le idee liberali con
la rivoluzione francese; è considerato uno tra i grandi filologi nella Francia a cavallo tra il
Settecento e l’Ottocento e come tale lo conosce Tommaseo.
123
  È noto il caso della parola pesce: nella dimotikì è psari (ψάρι); Koraìs optava per
opsarion (οψάριον), parola inesistente ma «grecizzata», mentre gli arcaizzanti volevano
usare ichthys (ἰχθύς).
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 321

intrusioni del volgare (molto influenzato dal turco), le cui basi erano la
koiné biblica e il linguaggio (lessico e sintassi) della patristica greca.
L’istruzione assomigliò in molti casi a quella delle università europee;
si studiavano le sacre scritture, la letteratura e la filosofia dell’antica Grecia
e di Bisanzio, scienze naturali e medicina. Altrettanto importante è il fatto
che questo fu un greco parlato nella città e tra gli studenti, e si gettarono in
questo modo le basi per la standardizzazione del greco moderno. In que-
ste scuole furono educati i futuri principi della Moldavia e della Valacchia
provenienti dalle famiglie greche dei Fanarioti. Si raggiunse così una pre-
parazione di alto livello e si formò un centro importante di cultura greca,
fatto che Tommaseo notò nella sua recensione alla Storia della Grecia di
Jakovaky Rizos Neroulos124. Questi scrisse una storia della letteratura greca
moderna, la prima del genere, in cui dà importanza agli scrittori fanarioti e
a chi usa la katharevousa, mentre stronca chi fa uso della lingua volgare, in
primis Solomòs. L’importanza di Solomòs emerge proprio con l’Inno alla
Libertà che lo rese famoso in tutta Europa. Che la lingua usata fosse vera-
mente quella del popolo viene ribadito anche da Charles Claude Fauriel,
che lo include nella sua raccolta dei Canti popolari.
L’importanza di Solomòs è anche di altro tipo; la sua fortuna gli
procurò molti seguaci che lo cercarono e gli diedero le proprie poesie da
giudicare. Attorno a lui crebbe un gruppo di poeti che oggi sono noti con
il nome di «Scuola Ionia». Le sue idee linguistiche sono espresse nel Dia-
logo attorno alla lingua, scritto attorno al 1825 ma pubblicato postumo
nel 1859125. Sebbene Solomòs scrivesse le poesie nella forma dialettale
delle Isole Ionie, era conscio del problema della comprensione del pro-
prio dialetto e cercò di adattare e purgare la sua poesia da forme troppo
dialettali e italianismi troppo particolari.
Questo è il dialetto corcirese che individua Tommaseo, il quale capì
l’importanza che l’italiano aveva avuto per il greco nelle Isole Ionie, come
capiva l’importanza del turco e dello slavo nella Grecia centrale. Le paro-

124
  K.X.Y. [N. Tommaseo], Histoire moderne de la Grèce depuis la chute de l’Em-
pire d’Orient par Jacovaky Rizo Néroulos, Ancien premier ministre des Hospodars grecs de
Valachie et de Moldavie, «Antologia», t. 32 n. XCIV, ottobre 1828, pp. 83-104, a pp.
102-104. Néroulos è un sostenitore dell’arcaismo, e attaccò Koraìs nei suoi esordi; si
convertirà alla katharevousa dopo il suo trasferimento ad Atene.
125
  Cfr. V. Rotolo, Il dialogo sulla lingua di Dionisio Solomòs, Palermo 1970.
322 tzortzis ikonomou

le identificate nel saggio pubblicato nel Dizionario Estetico126 sono tut-


te derivate dall’italiano o dal veneziano ed esistono anche in altre parti
dell’Adriatico. L’esempio fornito da Tommaseo di una parola d’origine
italiana sopravissuta nel parlato corfiota è parzionevole; nel libro dà la
seguente spiegazione: «voce del dialetto italiano di Corfù, che vale pa-
drone o principale; ma nobilita quest’idea con l’idea di porzione, o parte
comune, che ha col maggiore il minore. Memoria de’ tempi veneti, for-
se meno tirannicamente aristocratici di uguaglianze fabbricate a mano e
distese in istampa» (p. 228 [=000]). Questa parola era già riportata nel
Dizionario Estetico del 1852, in un saggio sul dialetto corcirese che non
avrebbe proposto nell’ultima edizione del Dizionario nel 1867. Come
scriveva ancora ne Il serio nel faceto «in Corfù distinguesi tuttavia col
titolo di porzionevole il padrone»127. Nel Dizionario della Lingua Italiana
Tommaseo annota: «Nel dial. ven. di Corfù, il contadino chiama Parzio-
nevole il padrone del campo, in quanto egli ha parte ne’ frutti. Parrebbe
che il mezzaiuolo sia il signore e il signore il mezzaiuolo partecipante»; in
questo caso Tommaseo dice che la parola appartiene al dialetto veneziano
di Corfù. Parzionevole è oggi riconosciuta come parola appartenente al
dialetto corfiota e zantiota128.
Manca uno studio completo sull’influsso dell’italiano nel volgare
corfiota e nel greco, ma uno scritto di Henry Kahane chiarisce che questo
influsso non può essere sottovalutato129. Per capire qual è stato l’impatto

126
  N. Tommaseo, Dizionario estetico, I, Parte antica, Milano 1852, pp. 117-122.
Cfr. M. Cortellazzo, Il dialetto corcirese per Niccolò Tommaseo, in Daniele Manin e Nic-
colò Tommaseo. Cultura e società nella Venezia del 1848, a cura di T. Agostini, Ravenna
2000, pp. 321-327.
127
  N. Tommaseo, Il serio nel faceto scritti varii di Niccolò Tommaséo, Firenze 1868,
p. 265. Si vedano le voci parzionevole e porzionevole nel Dizionario della lingua italiana
di Tommaseo.
128
  G. Chytiris, Κερκυραϊκό Γλωσσάρι, ad vocem: Παρτσινέβολος – (parzionevole
= comproprietario di nave), ‘Titolo con cui si rivolgono i proprietari terrieri’. N. Kono-
mos, Ζακυνθινό Λεξολόγιο, [Lessico di Zante] Atene 20032: παρτσινέβελλος – ‘proprieta-
rio di azienda’. Ilia Tsitselis nel suo glossario di Cefalonia non segnala la voce (I. Tσιτσελησ,
Γλωσσάριον Κεφαλληνίας [Glossario di Cefalonia], (ristampa anastatica) Atene 1996).
129
  H. Kahane, Gli elementi linguistici italiani nel neogreco, «Archivum Romani-
cum», 22 (1938), pp. 120-135. Vd. ultimamente sul reciproco influsso tra il greco e il
veneziano R. Eufe, “Sta lengua ha un privilegio tanto grando”. Status und Gebrauch des
Venezianischen in der Republik Venedig, Francoforte 2006, pp. 66-76. Cfr. anche M. Cor-
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 323

dell’italiano o del veneziano nelle isole bisogna analizzare sistematica-


mente gli strumenti lessicografici disponibili. Lo studioso greco Gerasi-
mos Chytiris pubblicò nel 1987 il suo interessante lavoro sul parlato di
Corfù130. Si trovano per esempio parole italiane in ambito commerciale:
αγγιούντα < it. aggiunta, ‘accrescimento’, ινβεντάριο < it. inventario,
‘registro’, νεγότσιο < it. negozio ‘negozio’; in ambito navale/marino:
ναβεσέλα ‘navicella’ < ven. navesèla, oltre ai vari nomi di pesce come
σαμπιέρος da San Piero. In ambito topografico o appartenente alla na-
tura: αλμπέο < ven. albèo, ‘pino’, αλπέδο < it. alpe, ‘montagna’, κάλε <
ven. cale, ‘via’, κοντράδα < ven. contrada, ‘quartiere’, il che contraddice
la tesi di Mustoxidi su quanto fosse veramente radicato l’italiano a Corfù.
In ambito architettonico: αντικάμαρα < it. anticamera, ‘vestibolo’ e in
ambito militare: μπαστιόνι (το) < ven. bastiòn, ‘fortezza’; anche per le
misure: πάλμο < ven. palmo (c:a 2,9 cm). Questo è solo un assaggio di
una lista che potrebbe essere molto più lunga.
Un’altra riflessione da fare sulla penetrazione dell’italiano nel parlato
greco delle isole ionie si può ricavare dalle testimonianze scritte; in partico-
lar modo dalle lettere che la madre di Dionisio Solomòs (Angeliki Nikli)
scrisse ai suoi parenti e che sono state pubblicate da Linos Politis131. Scri-
ve famelia per ‘famiglia’ invece di οικογένια; ntopo per ‘dopo’ invece di
ύστερον, kampiale per ‘cambiale’ invece di γραμμάτιον, deskorparireis per
‘scomparire’ invece di εξαφανιστείς, touvalithia per ‘tovagliolo’, sfougko
per ‘fungo’, merito per ‘valore’ e esekouestrarise per ‘sequestrare’132.
La posizione di Tommaseo nel dibattito linguistico e nella questione
della lingua è chiaramente a favore della lingua popolare, perché il popolo

telazzo, Lingua italiana e lingua greca, «Il Veltro», 1983, 27 III-IV, pp. 414-420; N. Kon-
tossopoulos, Gli italianismi nell’odierno neogreco, in Linguistica e dialettologia veneta.
Studi offerti a Manlio Cortelazzo dai colleghi stranieri, a cura di G. Holtus-M. Metzeltin,
Tübingen 1983, pp. 205-213; J. Kramer, Parole italiane e veneziane nel dialetto greco di
Cefalonia. (AK). Linguistica e dialettologia veneta, pp. 215-224.
130
  Χytηρης, Κερκυραϊκό Γλωσσάρι. Almeno un quarto delle 5250 parole del voca-
bolario provengono dall’italiano.
131
  L. Politis, Γράμματα του Σολωμού και της μητέρας του, [Lettere di Solomòs e
della madre] in Γύρω στον Σολωμό. Μελέτες και άρθρα (1938-1982), Atene 1985, pp.
58-98, a pp. 67-82.
132
  Si nota in questa variante semicolta come i verbi greci entrati nel volgare corfiota
sono coniugati con le desinenze greche, sono, cioè, assimilati. Cfr. F. Bruni, L’italiano.
Elementi di storia della lingua e della cultura, Torino 1984, capp. IV e X.
324 tzortzis ikonomou

è il vero portatore di valori e la sua lingua è la più pura; chi tenta di recu-
perare lingue antiche tentando di staccarsi dalla lingua naturale commet-
te un errore. La lingua adoperata nelle traduzioni delle leggi Ionie non è
quella del popolo e coloro che sdegnano
di scrivere la lingua parlata dalla nazione lor madre, adducono per
ragione che in tutti i tempi sono state due lingue, una parlata, una
scritta; che il greco vivente è ignobile, indegno della carta, e che a’
Greci è ambizione legittima salire man mano la lingua d’Omero e
di Demostene, e adunare le dispersioni de’ secoli (Supplizio, p. 188
[=000]).

Sia le lingue antiche sia le lingue moderne hanno dei pregi ma nelle
«lingue viventi [c’è] appunto la freschezza della vita, il pregio dell’ori-
ginalità; dove nello scrivere lingua antica, o foggiata sull’antica, il peso
dell’imitazione sentesi a ogni passo, a ogni movenza» (p .189[=000]):
bisogna accettare il fatto che sono entrate parole dallo slavo e dall’italia-
no, popoli di «razze congeneri» (p. 192[=000]) come si nota anche nella
topografia greca moderna: «Chissavo, Livadia, Dervenaci». L’impiego di
tre toponimi così pieni di storia moderna dovrebbe far pensare ai greci
quanto importante sia stato questo influsso. Per questo motivo Tomma-
seo è contro chi usa la katharevousa, o i «paleo-novatori» come li chiama.
Per sostenere le proprie tesi, di non usare parole fuori dell’uso comune,
si appoggia ai trattatisti retorici, come Platone, Cicerone, Quintiliano,
ma soprattutto Dionigi d’Alicarnasso, scrittore che lui aveva tradotto per
Sonzogno all’interno della Collana degli storici antichi greci volgarizzati.
Nella Bibbia, poi, Tommaseo identifica la lingua del popolo e non quella
dei giuristi, degli oratori e dei grammatici.
La Grecia moderna deve avere i suoi nuovi Omero, e qui Tommaseo
ritrova un’affinità con il dibattito italiano sulla questione della lingua. Tom-
maseo ritiene che se Dante avesse scritto la Commedia in latino il futuro
dell’italiano sarebbe stato molto più difficile e lo stesso ritiene valga per la
lingua greca, se adoperasse una variante più vicina alla fase antica133.
I greci non possono tornare ad usare la lingua antica, come una fi-
glia non può rientrare nel corpo della madre, ma deve nutrirsi del latte

  Tommaseo, Supplizio, pp. 191-92 [=000].


133
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 325

materno per poi staccarsi e svilupparsi in modo autonomo; la metafora


di Tommaseo è interessante quanto efficace. La Grecia ha nei suoi canti
popolari, soprattutto in quelli cleftici (parola che grazie al Dizionario
di Tommaseo entra anche nella lingua italiana), la vera lingua, ha la sua
grammatica, e continua la lingua antica e quella ecclesiastica che non si
possono cambiare o cancellare.
Questa posizione di Tommaseo è condivisa per esempio dai seguaci
di Dionisio Solomòs ed influenzerà il pensiero linguistico della «scuo-
la ionia». Giulio Tipaldo scriverà un saggio sulla questione della lingua
in questo periodo, e del 1852 è la pubblicazione dei canti popolari di
Spiridione Zambellios, una raccolta preceduta da quasi 600 pagine da
un’introduzione storico-linguistica134. Nonostante sia noto che egli ebbe
contatti con tutti i letterati favorevoli della dimotikì, un possibile influsso
del pensiero tommaseano su di loro non è mai stato oggetto di ricerca da
parte degli studiosi.

4. Cultura italiana e cultura greca: l’esempio di Dionisio Solomòs

Nel 1708 fu stampato un libro contenente poesie scritte da giovani


studenti greci della scuola Flangini, centro culturale della diaspora greca a
Venezia, dedicato al vescovo ortodosso di Venezia Melezio Tipaldo135. Gli
studenti avevano la possibilità di scegliere il modo che credevano migliore
per esprimersi: il risultato è una raccolta molto particolare. I temi sono
esclusivamente religiosi, con frequenti riferimenti alla Madonna; stupisce
la scelta delle lingue e della metrica: accanto agli epigrammi in greco
antico e in latino e a componimenti in greco volgare ci sono 4 sonetti
in italiano. Mario Vitti trova più notevoli le prove in greco volgare136, è
interessante invece notare che quattro studenti greci scelsero di esprimer-
si in italiano. Sin dal Rinascimento le opere italiane e la lingua poetica

134
  S. Zambelli, Άσματα της Ελλάδος [Canzoni della Grecia], Corfù 1852. Zambel-
li ebbe contatto con Tommaseo e nonostante questi si trovò a Corfù quando si pubblicò la
raccolta non è chiaro quanto del pensiero zambelliano dipende da Tommaseo.
135
  Άνθη Ευλαβίας [Fiori di pietà], a cura di A. Karathanassis, Atene 1978. Questa
edizione moderna è fornita di un’ampia e notevole introduzione storica e filologica sul
problema del plurilinguismo ionio.
136
  Vitti, Storia della letteratura, p. 93.
326 tzortzis ikonomou

italiana influenzarono l’area ellenica più di qualsiasi altra letteratura; ciò


avvenne soprattutto nella Creta veneziana che conobbe nel Rinascimento
una cultura raffinatissima137.
Dopo la caduta della Creta veneziana nel 1669, il centro della cul-
tura si spostò a Corfù insieme con il Provveditore dal Mar veneziano;
molti di quelli che emigrarono portarono con sé i loro beni, tra cui libri
e manoscritti. Fulcro di questa attività culturale rimase Venezia, che con
le sue tipografie, anche greche, fece circolare opere in greco e in italiano
nelle Isole Ionie138.
L’attività letteraria in queste isole ha un percorso autonomo e diverso
dal resto della Grecia, soprattutto perché rimane nella sfera dell’influsso
italiano, in particolare con l’arrivo dell’Arcadia settecentesca, che influen-
za e suggestiona anche i poeti della Grecia continentale i quali non usano
l’italiano come lingua letteraria139.
Ciò è evidente già nel periodo in cui opera a Corfù il cardinale Angelo
Maria Querini140, ed è evidente nella partecipazione degli studenti ionii

137
  A. Vincent, Scrittori italiani di Creta veneziana, «Sincronie», 2 (1998), III, pp.
131-62. Lo studioso nota che furono presi in considerazione scrittori come Tasso e Mari-
no, ma nota anche l’influsso di scrittori cosiddetti minori come Dolce e Dell’Anguillara;
quest’ultimo, con la traduzione delle Metamorfosi, ispirò anche i pittori cretesi. Per la
società rinascimentale cretese vd. i contributi in Literature and Society in Renaissance Crete,
a cura di D. Holton, Cambridge 1991 (traduzione greca: Λογοτεχνία και Κοινωνία στην
Κρήτη της Αναγέννησης, 2002), soprattutto l’articolo di C. Maltezou, The Historical and
Social Context, pp. 17-47.
138
  A proposito delle tipografie, era idea diffusa nell’Ottocento che la Serenissima
impedisse la fondazione di una tipografia a Corfù contribuendo così a reprimere il proces-
so della nazionalizzazione. Questa tesi fu sostenuta tra gli altri da Giovanni Capodistria;
Donato De Mordo invece scrive: «La coltura non poteva essere in progresso, per l’assoluta
mancanza dei mezzi di educazione delle isole»: De Mordo, Saggio, p. 61. Non si deve
però dimenticare che a Venezia fu stampata la più famosa opera greca prima della restau-
razione dello stato greco, l’Erotokritos.
139
  L’esempio più famoso è Athanasio Christopulo, che Tommaseo lodò in un suo
articolo nell’«Antologia», chiamato dai greci «novello Anacreonte», il quale riuscì a recepi-
re le idee arcadiche e a trasportarle in greco; nonostante avesse studiato a Padova alla fine
del Settecento, non scrisse mai poesie in italiano, al contrario di molti suoi connazionali:
K.X.Y. [N. Tommaseo], Versione fatta dal greco di tre canzonette di Atanasio Cristopulo.
Alvisopoli 1831, «Antologia», 43 Settembre 1831, CXXIX, pp. 120-122.
140
  Vd. Angelo Maria Querini a Corfù, mondo greco e latino al tramonto dell’Antico
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 327

alla vita culturale dell’Università di Padova. Uno di questi, Antonio Trivoli


Pieri, scrisse le sue poesie, caratteristicamente arcadiche, anche dopo il suo
ritorno nell’isola nativa; uscirono a Corfù nel 1800141. Come i loro con-
temporanei italiani, una gran parte degli intellettuali isolani scrisse poesie,
spesso di carattere occasionale, entrando in pieno nella cultura letteraria
del Veneto di fine Settecento e inizio Ottocento; a Corfù diedero vita a una
cultura locale che va di pari passo con quella del Veneto. Il teatro di San
Giacomo, fin dal primo spettacolo (1733), ha un ruolo centrale nella vita
culturale e sociale142. Iniziano le pubblicazioni di giornali letterari come Il
Mercurio letterario, L’Ape, Il Monitore Ionio e Il Monitore Settinsulare e,
più tardi, la Gazzetta Ionia143. Le testate diventano più indipendenti dopo
il 1798 e la fondazione della prima tipografia di Dionigi Sarandopulo144.
L’istituzione dell’Accademia Ionia sotto i francesi nel 1808 e poi di una

Regime. Atti del convegno (Brescia, 11 marzo 2005), a cura di E. Ferraglio - D. Monta-
nari, Brescia 2006.
141
  A. Trivoli Pieri, Poesie, Corfù 1800; fu stampata postuma dal figlio Miche-
le e contiene poesie come Idilli di Gessner. Mario Pieri considera il cugino Antonio
(1756-1799) il caposcuola dei poeti ionii. Anche Mustoxidi nel 1804 ricorderà l’impor-
tanza del Trivoli Pieri per la cultura ionia (A. Mustoxidi, Notizie per servire alla storia
corcirese dai tempi eroici fino al secolo XII, Corfù 1804).
142
  L’edificio che ospitava il teatro, era in origine una loggia veneziana, luogo di
incontro dei nobili di Corfù; i lavori per erigere il teatro presso lo stesso edificio iniziarono
nel 1728 e finirono nel 1760, con la prima rappresentazione nel 1733. Vd. gli studi di P.
Mavromoustakos, Από τον Αρλεκίνο στο Λόενγκριν. Το θέατρο Σαν Τζιάκομο και η θεα-
τρική ζωή της Κέρκυρας (17ος -19ος αιώνας) [Da Arlecchino a Lohengrin. Il teatro di San
Giacomo e la vita teatrale di Corfù] in Κέρκυρα, Ιστορία, αστική ζωή και αρχιτεκτονική.
14ος-19ος αι., a cura di A. Nikiforou-Testone, Corfù 1994, pp. 71-78; P. Mavromou-
stakos, Το ιταλικό μελοδράμα στο θέατρο Σαν Τζιάκομο της Κέρκυρας (1733-1798) [Il me-
lodramma italiano al teatro San Giacomo di Corfù (1733-1798)], «Parabasis», 1 (1995),
pp. 147-191; W. Puchner, Η ιταλική όπερα στα Επτάνησα επι Αγγλοκρατίας (1813-1863)
[L’opera italiana nell’Eptaneso durante il Protettorato inglese (1813-1863)], «Porfyras»
114, (2005), pp. 591-624, e Id., Influssi italiani sul teatro greco, «Sincronie» 2 (1998),
III, pp. 183-232. Walter Puchner registra la popolarità dell’opera italiana anche negli
anni del Protettorato britannico (1820-1862), quando furono recitate 145 opere italiane
(Puchner, Η ιταλική όπερα, pp. 602-620).
143
 Per maggiori informazioni su questi giornali vd. Konomos, Επτανισιακός Τύπος, pp. 27-88.
144
  Giuseppe Bellini riporta la notizia che a portare la tipografia a Corfù furono i
repubblicani francesi nel 1798 per motivi ideologici e divulgativi; essa fu presa dal Semi-
nario di Padova che i corfioti conoscevano molto bene: G. Bellini, Storia della Tipografia
del Seminario di Padova 1684-1938, Padova 1938, p. 93.
328 tzortzis ikonomou

nuova per iniziativa del conte Guilford nel 1824, che gli studiosi conside-
rano la prima istituzione di alta educazione in Grecia145, deve essere vista
come il segno dello sviluppo della vita intellettuale a Corfù146. Personaggi
come Mario Pieri, Andrea Mustoxidi, Demetrio Arliotti, Giorgio Marcorà,
Evasio Leoni e Antonio Dandolo, poco noti in Italia, accanto agli studi
accademici intrapresero una carriera letteraria prevalentemente in italiano,
un’esperienza interessante e ancora poco studiata. Il loro esempio era Ugo
Foscolo, un connazionale che nonostante le umili origini isolane, riuscì ad
ottenere la fama così desiderata e inseguita da questi suoi seguaci.
Bisogna tener conto che la questione è ancora più profonda se si
prendono in considerazione le tematiche nazionalistiche comparse dopo
la rivoluzione francese. Mario Pieri, esponente di questa cultura doppia
e bilingue, si era già confrontato con il problema del bilinguismo e dello
sdoppiamento di nazionalità, proprio della maggior parte degli intellettuali
isolani, come abbiamo già ricordato sopra, incontrando il mondo italiano.
Due in particolare sono i personaggi che diventano interessanti per il
nostro discorso: Niccolò Delviniotti e Dionisio Solomòs, entrambi consi-
derati da Tommaseo in varie occasioni per sostenere le sue idee sul radica-
mento della cultura italiana nelle Isole Ionie. Niccolò Delviniotti incarna
questa figura probabilmente più di ogni altro intellettuale ionio. Dedicò
poesie a tutte le potenze e alle figure che tennero il controllo delle isole
Ionie: Napoleone, Alessandro di Russia e i commissari inglesi.
Delviniotti nacque a Corfù nel 1776 e studiò legge a Pavia dove poté
anche seguire Mattia Butturini. Le guerre napoleoniche lo costrinsero ad
assumere incarichi per sopravvivere, perché non apparteneva alla classe
aristocratica. Dopo la laurea in giurisprudenza (1805) tornò a Corfù dove
lavorò alla stesura della nuova carta costituzionale. Fu uno dei collabora-
tori della Gazzetta Ionia, nella quale pubblicò molte poesie e interventi

145
  Sul ruolo complessivo dell’Accademia Ionia nella storia culturale e pedagogica
nelle Isole Ionie vd. A. Papadopulo Vretòs, Notizie biografiche storiche su Federico conte
di Guilford, Atene 1846; G. Tipaldos Iakovatos, Ιστορία της Ιόνιας Ακαδημίας [Storia
dell’Accademia Ionia], a cura di S.I. Asdrachas, Atene 1982; N. Konomos, H Ιόνιος
Ακαδημία [L’Accademia Ionia], Atene 1965; N. Kourkoumelis, Η εκπαίδευση στην Κέρ-
κυρα κατά τη διάρκεια της βρετανικής προστασίας (1818-1864), [L’educazione a Corfù
durante il Protettorato inglese (1818-1864)] Atene 2002.
146
  Come annotano gli studiosi, fino al 1852 l’istruzione fu quasi esclusivamente in
italiano, e con insegnanti italiani tra cui Francesco Orioli e Gaetano Grassetti.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 329

filologici; le sue opere più importanti sono due poemi in terza rima e una
traduzione dell’Odissea147. Tommaseo conosceva il lavoro del corfiota, e
volle incontrarlo al suo arrivo a Corfù. Abbiamo infatti la lettera del Del-
viniotti, del 2 settembre 1849, che accoglie Tommaseo nell’isola148.
Signore.
Se la mia poco buona salute me lo concedesse, verrei a conoscere
personalmente il dotto ed elegante scrittore, l’ottimo cittadino, che non
risparmiò sagrifizio alcuno onde redimere l’Italia dai barbari; ma nol po-
tendo per ora, vi prego di accogliere questi due versi qual testimonianza
di affezione, e di stima cordiale - Avuto poi riguardo a quanto gli Italiani
soffersero, alla immensa lor moltitudine ed alle circostanze generali de’
tempi, è cosa parmi del tutto impossibile, che ciò non frutti ad essi la
libertà, avendo segnatamente a lor guida persone del vostro carattere
e di tanta conoscenza perfetta delle umane vicende - Corcira, che or
pure accoglie in voi uno degli egregi suoi ospiti, vorrebbe ricordare a
tutti, qualcuna delle antiche sue glorie, cantate dal Meonio poeta, quasi
alleviamento del vostro esulare. Se non che a Voi, che beete al fonte, ri-
escirebbe superflua ogni traduzione dell’Odissea. Quanto al metterla in
versi, è impresa, come sapete, ardua sopra ogni credere, anzi impossibile.
Non pertanto ebbi, (con poco senno) l’ardire di tentare l’impresa; ed ora
oso mandarvi il divino poema, e per lo scopo antedetto, e per giovarmi
de’ vostri autorevoli ammaestramenti. Preceduto come siete dalla vostra
fama, anche di esimio critico, son certo che molti divideranno meco
questi sensi, ma nessuno forse la sentirà si addentro nell’animo al pari
del vostro ammiratore ed amico.
N. Delviniotti Battistiades

Tommaseo incontrò lo scrittore corfiota, morto poco dopo all’età


di 74 anni, e presto ideò lo scritto che l’avrebbe celebrato e onorato149.

147
  Cfr. T. Ikonomou, Introduzione a Niccolò Delviniotti, in N. Delvinotti, Odis-
sea di Omero, a cura di V. Volpi, Iseo 2005, pp. III-VII (risorsa elettronica: http//www.
liberliber.it/biblioteca/h/homerus /odissea_traduzione_delvinotti/pdf/odisse_p. pdf ); il suo
nome oscilla tra Delvinotti e Delviniotti.
148
  BNCF CT 75.77.1.
149
 Pubblicato nel 1855, il saggio è nominato per la prima volta in una lettera a Giam-
pietro Vieusseux (20 dicembre 1850), Carteggio inedito Capponi-Tommaseo, III, p. 111.
330 tzortzis ikonomou

Ebbe a disposizione tutto l’archivio della famiglia e poté così dare luce ad
un’attività letteraria poi dimenticata e diede così spunti interessanti per
gli studi italiani150. Non sappiamo quanto dello scritto che vide la luce
nel 1855 era già pensato nel 1850 e quanto gli eventi che precedono il
Supplizio l’abbiano influenzato.
Nel saggio si trovano informazioni biografiche e filologiche e indicazio-
ni sulla cultura italiana nelle Isole Ionie, con osservazioni sull’influenza di
Venezia. La città-madre non può essere colpevole delle sfortune di Corfù:
Basterà rammentare di fuga, come Venezia riguardasse con predile-
zione quest’isole, che le erano memoria delle glorie d’Oriente: poiché
l’Oriente era un’eco del nome veneto; di veneto sangue, sparso nel
nome di Cristo e della civiltà, rosseggiavano quegli scogli, erano con-
sacrate quelle acque151.

Tommaseo osserva come Venezia spendeva più denaro nelle isole di


quanto ne ricavasse. E continua parlando della cultura:
E Venezia ha ella forse impedito a’ vostri Bulgari, a’ vostri Teo-
tochi, a’ vostri Miniati152, di scrivere e pensare e sentir grecamente?
E quella poca letteratura che avete, certo più soda e più greca della
presente, non è ella quasi tutta del tempo de’ Veneti? E il clero greco
d’allora, non era egli forse più dotto, e però più unanime col latino? E
le stamperie di Venezia non fornivano forse a tutta Grecia letture? E gli
uomini jonii non erano forse, come veneziani, accolti nelle scuole del
Veneto, onorati ed amati? E il Capodistria, e tanti benemeriti del ri-

  Vd. per es. l’interesse di Giosuè Carducci per il poeta e lo scritto di Tommaseo:
150

G. Gambarin, Il Carducci e il Tommaseo, «Nuova Antologia», settima serie, Sett. - Ott.


1930, 373, pp. 218-226 e W. Spaggiari, Carducci e Tommaseo, in Niccolò Tommaseo tra
modelli antichi e forme moderne, a cura di G. Ruozzi, Bologna 2004, pp. 239-271.
151
  N. Tommaseo, Della civiltà italiana nelle Isole Jonie e di Niccolò Delvi-
niotti, in Secondo esilio, II, pp. 378-436, a p. 399. Il saggio riproposto nel Secondo
Esilio è più ricco di quello dell’«Archivio Storico Italiano» del 1855.
152
  Tre nomi illustri del diciottesimo secolo per le lettere greche: Eugenio Bulgari
(Corfù 1716 - San Pietroburgo 1806), Niceforo Teotochi (Corfù 1731 - Mosca 1800),
Elia Miniati (Lixouri, Cefalonia 1669 - Patrasso 1714). Tommaseo conobbe l’opera di
Miniati, quando tradusse le Vite dei cefalieni illustri di Anthimo Masarachi (A. Masa-
rachi, Vite degli uomini illustri di Cefalonia, pp. 23-50) testo ripubblicato nell’ultima
versione del Dizionario Estetico (1867) pp. 663-669.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 331

sorgimento di Grecia, non attinsero forse alle scuole, a’ libri d’Italia? E


se i Veneziani non erano, e le Isole tenute da’ Veneti, Grecia sarebb’ella
oggidì altro che un nome scritto su pietre funerali e corroso dagli anni?
Eran forse educati da lord Castlreagh [sic] que’ Pargii de’ quali il rogo
fuma tuttavia nella storia e con lingua di fuoco parla al cielo? E que’
Cefaleni e quei Zacinzii che dal ventuno al trenta spesero il sangue e
l’oro per la libertà della patria greca, non erano forse nati sotto le ali
del vecchio Leone, educati da’ sudditi della cadente Repubblica?153

E conclude il suo discorso sulla cultura italiana con queste parole


forti e acute:
Ma voi finora non avete tenuto discorso che delle riforme politiche,
cioè del mezzo: del miglioramento morale, intellettuale, religioso, che
sono il fine, e che ciascun privato, per debole e legato che sia, può tentare,
quanto s’è egli detto, quanto s’è egli operato? E per non uscire dell’esem-
pio proposto, chi vieta a voi dar modelli di stile greco, e parlare nelle case e
nelle piazze per forma che Atene sia meno attica di Corfù? Né assurdo sa-
rebbe il vanto. Ulisse è più vecchio d’Isocrate; Nausicaa precede ad Aspa-
sia. Ma la Venere e le grazie dello stile ellenico, mi pare che fossero meglio
note all’età quando il Luzi traduceva Luciano in lingua d’Italia, e il Bulgari
Virgilio in greco, e tutti quasi i dotti greci concorrevano agli Studi d’Italia.
O forse i pochi modi italiani che il Miniati ha misti al suo dire, tolgono
tutto il pregio di quella calda, sincera, perspicua, abbondante, armoniosa
facondia? Qual è lo scrittore a’ di nostri più inteso di lui dal popolo greco,
e più amato, e più degno che sia? Il fatto si è che le eleganze italiane si
accordano mirabilmente alle greche; e dal tradurre le une nell’altre alla
lettera, esce assai volte un dire delicato ed eletto. E Dante è più prossimo
ad Omero, che il principe Suzzo; e il Villani ad Erodoto, più che il signor
Economos154; e le leggi romane (allegate in Atene tuttavia) son più attiche
di certi decreti nel Parlamento jonio proposti155.

153
  Ivi, pp. 403-404.
154
  Alessandro Suzzos ma anche il fratello Panaghiotis e Konstantinos Oikonomos
erano esponenti della cultura ateniese e sostenitori dell’uso della katharevousa; vd. Vitti,
Storia della letteratura, pp. 156-160 e Dimaras, Ο Ελληνικός Ρομαντισμός, pp. 242-54. Su
Oikonomos vd. Rotolo, A. Koraìs, pp. 112-115.
155
  Tommaseo, Della civiltà italiana, p. 410.
332 tzortzis ikonomou

Tommaseo dimostra una notevole conoscenza della storia moder-


na; alcune sue parole si sarebbero rivelate profetiche, per esempio quan-
do scrive di non vedere «alcun segno di ringiovanimento intellettuale
in quest’isola». Infatti, con l’unione alla Grecia nel 1864 l’Università fu
chiusa e il centro culturale si spostò verso la nuova capitale Atene. Co-
minciava così la decadenza culturale di Corfù.
Esponente di questa doppia cultura fu senz’altro anche Dionisio So-
lomòs (1798-1857), considerato in Grecia il poeta nazionale, tra i primi
a capire la necessità di una poesia in greco volgare, e posto da Tommaseo
accanto al Foscolo nel saggio su Delviniotti. Solomòs era funzionale al
discorso di Tommaseo nel Supplizio: notissimo a Corfù, era una delle
persone più rispettate, oltre ad essere il poeta più famoso; Polilàs racconta
come in vecchiaia Solomòs avesse l’abitudine di sedersi su una panchina
accanto al mare e discutere di poesia con i suoi allievi; anche Tommaseo
lo frequentò in quelle occasioni, quando giovani promettenti potevano
cogliere l’occasione e chiedere le opinioni dei due scrittori. Tommaseo
continuerà questa abitudine a Firenze, quando giovani ionii gli chiede-
ranno pareri sulle poesie italiane156. L’importanza data alla figura di So-
lomòs risulta sia dalla sua presenza in varie pagine del Supplizio, sia dal-
lo scritto intitolato Dionigi Solomòs incluso nel Secondo Esilio, subito
dopo quello su Niccolò Delviniotti, in cui Tommaseo sottolinea i debiti
verso la cultura italiana di Solomòs, ma anche il ruolo che egli ebbe nel
diffonderla e difenderla:
C’è delle nazioni che Dio pone anello tra l’una e l’altra civiltà, l’un
secolo e l’altro; c’è degli uomini che tra l’una e l’altra nazione adem-
piono questo uffizio, ne siano o no consapevoli. Una di tali nazioni fu
per lungo tempo la Grecia; Dionigi al presente è (o piuttosto potrebbe
essere se la Grecia lo vuole) uno di uomini tali157.

Gli esordi di Solomòs furono dunque in italiano; la storia su come


iniziò a scrivere in greco è piuttosto interessante per comprendere la cul-

156
  Ciò vale per Giorgio Terzetti e Giulio Tipaldo, ma anche per alcuni minori
come Epaminondas Anninos (Vd. Zoras, Επτανησιακά Μελετήματα Γ’, in cui è pubbli-
cata una ricca corrispondenza tra Tommaseo e gli intellettuali ionii.
157
  N. Tommaseo, Dionigi Solomòs, in Secondo Esilio, II, pp. 446-450 (citazione a p.
446). Lo scritto sarà riproposto nell’ultima edizione del Dizionario Estetico (1867).
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 333

tura ionia dell’epoca. In un incontro nel 1822 con Spiridione Trikou-


pis158, il giovane poeta gli recitò una poesia in italiano159. Trikoupis reagì
alla lettura dell’Ode per la prima messa e lo invitò a verseggiare in greco,
perché il Parnaso italiano, dove sicuramente avrebbe meritato un po-
sto, era già pieno di nomi illustri, mentre quello greco non aveva ancora
trovato il suo Dante. Questo episodio, tra mito e realtà, è l’avvio di una
carriera notevole, visto che poco dopo Solomòs scrisse quell’Inno alla li-
bertà che lo rese famoso; nonostante sia considerato il poeta nazionale
greco, la produzione poetica è purtroppo scarsa, fatto che stupì molto i primi
lettori dell’edizione Polilàs, Solomòs, infatti, non riuscì mai a completare la
maggior parte delle opere.
Può sorprendere oggi il continuo richiamo da parte di Tommaseo a So-
lomòs sia nel Supplizio sia nel Secondo Esilio; bisogna ricordare che la for-
mazione del poeta greco fu esclusivamente italiana, prima a Cremona e poi
a Pavia, che egli compose rime improvvisate in italiano prima di sperimen-
tare versi in greco, e che prima di morire tornò a scrivere in italiano; quanto
importante sia la lingua italiana risulta ancora meglio dall’osservare le carte
autografe di Solomòs in cui si nota come lo scrittore abbia abbozzato tutte le
poesie prima in italiano per poi stenderle in greco.160 Un esempio è il famoso
canto di Lambros, redatto in un primo momento in ottave italiane, quindi
ricomposto in greco nello stesso metro. In tarda età postillò le poesie greche
in italiano; queste postille furono omesse dal primo editore, Polilàs161. Il car-

158
  Spiridione Trikoupis (1788-1873) fu uomo politico negli anni della guerra di
indipendenza greca e primo ministro; all’epoca era segretario di Federico North, il lord di
Guilford fondatore dell’Accademia Ionia.
159
  L. Politis, Ο Σολωμός ποιητής εθνικός και ευροπαίος [Solomòs. Poeta nazionale
ed europeo], in Id. Γύρο στον Σολωμό, p. 365. L’incontro fu raccontato da Polilàs nella
sua introduzione, testo che Politis ripubblicò nell’edizione critica del poeta (Άπαντα, I,
pp. 18-19).
160
  Rotolo, La cultura italiana, pp. 102-103.
161
  D. Solomos, Τα ευρισκόμενα, a cura di I. Polilas, Corfù 1859. La letteratura
critica su Solomòs è molto ampia. Per il nostro discorso segnaliamo l’edizione critica
curata da Linos Politis: D. Solomos, Άπαντα, [Opere complete] III voll., Atene (I: Ποι-
ήματα [Poesie greche] 20029; II: Πεζά και ιταλικά [Prosa in greco e testi italiani] 20056;
III: Αλληλογραφία [Carteggio], 19913) e il saggio di V. Rotolo, Dionisios Sololmòs fra la
cultura italiana e la cultura greca, «Italo-Ελληνικά» 4 (1991-93), pp. 87-110 e la biblio-
grafia riportata (p. 87 n. 1). L’articolo di Rotolo, l’unico che presenti la cultura doppia di
Solomòs, parte però dalla convinzione che la lingua italiana fosse straniera, tesi a mio av-
334 tzortzis ikonomou

teggio, poi, è scritto per intero in italiano, fatto che molti studiosi di Solomòs
trovarono strano162; infatti la maggior parte delle lettere che videro la luce pri-
ma della prima edizione di Lino Politis, furono tradotte e pubblicate in gre-
co, trascurando con l’originale italiano la doppia identità culturale del poeta;
Solomòs al contrario riconobbe sempre il suo debito verso la cultura italiana,
come si apprende anche dalla sua poesia del 1851, La navicella greca, in cui
l’ultimo verso legge: «e ove barbaro giunsi e tal non sono», frase da Tommaseo
riportata nel Supplizio163 per ricordare ai lettori i debiti italiani riconosciuti
dal poeta.
Tommaseo aveva capito l’importanza di Solomòs già prima di in-
contrarlo164; motivo della loro conoscenza fu la composizione dei canti
popolari, per i quali Tommaseo gli scrisse nel 1841165. Infatti il suo debi-
to verso Solomòs è riconosciuto nella prefazione ai Canti popolari greci
(vol. III della raccolta). Il debito tuttavia va oltre il semplice aiuto perché
Tommaseo pubblicò nella raccolta una poesia di Solomòs, Ο θάνατος
του βοσκού (La morte del pastore)166. Per il Tommaseo Solomòs è «l’uni-
co poeta greco che sia noto all’Europa, l’unico poeta forse d’Europa i cui
canti siano cantati dal popolo» come aveva già osservato nella raccolta dei
Canti. Lo conobbe sicuramente dopo l’ottobre 1849 e i due svilupparono
un’amicizia importante durante gli anni successivi.
Non sappiamo quanto Solomòs si sia interessato al processo di Ricci,
perché la sua salute in quel periodo era molto debole. La sua voce però
contava, e si espresse a favore del condannato come Tommaseo scrisse

viso non accettabile. Il bilinguismo di Solomòs è invece effettivo in tutti i sensi e bisogna
considerare entrambe le lingue come materne; il suo caso va del resto considerato nella
situazione complessiva delle Isole Ionie.
162
  L. Politis, O Σολωμός στα γραμματά του [Solomòs nelle sue lettere], Atene s.d.,
15-16.
163
  Supplizio p. 112 [=000]; Tommaseo scrive «Ov’io barbaro giunsi, e più non
sono». La variante è dovuta al fatto che la poesia è improvvisata, come era costume di
Solomòs (cfr. Rotolo, Dionisios Solomòs, pp. 88-90).
164
 Poté leggere presto i versi dell’inno, pubblicati in appendice alla raccolta dei
canti popolari di Fauriel. Una traduzione italiana, di Giacomo Grassetti, circolò in Italia
già nel 1825.
165
  Lettera 96, nel Carteggio di Solomòs.
166
  N. Tommaseo, Canti del popolo greco, Venezia 1842, pp. 38-39: il titolo della
poesia in italiano è Il pianto della madre e Tommaseo non rivela la paternità della poesia,
della quale forse è ignaro.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 335

peraltro a Vieusseux il 18 novembre 1853167. Agli occhi di Tommaseo


questo fu un gesto di grande moralità. Da Mattioli, ma anche da altri
testimoni contemporanei, sappiamo che dopo la pubblicazione del Sup-
plizio la situazione non fu semplice per gli italiani integrati nella società
corfiota, i quali nel processo di nazionalizzazione delle Isole Ionie dovet-
tero fare i conti con un ambiente nuovo.
Nel Solomòs il bilinguismo era effettivo e reale; usò entrambe le
lingue con facilità ma l’italiano era meglio radicato e quindi, se si dovesse
metterlo a paragone con il greco, si dovrebbe considerarlo prima lingua.
La cultura italiana aveva fornito agli intellettuali ionii gli strumenti per
sviluppare le proprie idee in poesia e in prosa. La scelta di scrivere in
greco va considerata come un processo naturale nella ricerca della nuova
nazione e di una nuova coscienza linguistica nascente. Non tutti però
avevano idee radicali come Mustoxidi e per molti anni si discusse sull’im-
portanza della cultura italiana nelle Isole Ionie168.
Nel 1863 Pietro Quartano, per difendere la cultura che aveva con-
tribuito a far emergere gli intellettuali partecipi della vita sociale e civile
a Corfù, scrisse il suo libro sui prosatori italiani che la gioventù ionia
avrebbe dovuto leggere per la propria formazione:
Nel secolo XIX, che direm nostro, troviamo una Pleiade di scrit-
tori ai quali bisogna venir incontro con infinito rispetto ed amore,
e per la bellezza delle opere, e per la cura che posero nella forma, e
perché taluni di essi furono a molti di noi, e venerandi e coscienzio-
si maestri, e cortesissimi fautori, e sincerissimi amici; e se nelle Isole
Ionie ha qualche bell’ingegno ben nutrito di sani studi, non fu senza
l’amorevole e sapiente cura di que’ bravi e buoni Maestri: Chiedetene
il Cav.r Pietro Braila per Corfù, il D.r Giulio Tipaldo per Cefalonia, il
Conte Ermanno Lunzi per Zante. Ben è vero che si possono taluni di
essi ritenere, in parte, fiori del Secolo precedente, ma siccome in que-

167
  Vd. nota 58.
168
 Un esempio interessante è il lavoro di Laurenzio Vrokinis, il quale nei suoi scritti
difende gli scrittori di lingua italiana, biasimati dalla storiografia ionia come conservatori
di valori antiquati; vd. Λ. Bροκινησ, Βιογραφικά σχεδάρια των εν τοις γράμμασιν, ωραίαις
τέχναις και άλλοις κλάδοις του κοινωνικού βίου Διαλαμψάντων Κερκυραίων [Schede bio-
grafiche degli illustri corfioti nelle lettere, belle arti e altri branchi della vita sociale], II,
Corfù 1877. In quest’opera è inclusa anche una biografia di Niccolò Delviniotti.
336 tzortzis ikonomou

sto dettarono le migliori loro Opere, in questo mi piace di collocarli,


anche per onore del tempo in cui vivo169.

Lo stesso suggeriva Tommaseo pochi anni prima nella commemora-


zione di Delviniotti:
E da’ libri italiani possono ancora i Greci apprendere qualche cosa
senza vergogna. Né le eleganze italiane, come le forestiere, è da temere
che nuociano alla purità del greco idioma170.

I greci però potevano apprendere ormai poco dall’Italia; il centro di


gravità si spostava ad Atene e lo studio dell’italiano declinò. Oggi si può
dare ragione a Mustoxidi che voleva dare al suo popolo una lingua con
cui identificarsi; gli scritti di Tommaseo, tuttavia, ci fanno pensare, nella
loro posizione utopica, che varie lingue possano coesistere per giungere
alla «fratellanza de’ popoli».

5. La busta 18

Le carte che compongono la busta 18 furono donate, insieme a tutte


le altre carte di Tommaseo, alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
dalla figlia Caterina nel 1899.171 Qui sotto segue un elenco completo del
contenuto ordinato da Tommaseo stesso (le si conservano, infatti, in una
busta priva dell’intestazione della Biblioteca di Firenze), come si ricava
dal ritaglio del giornale torinese Il Riscatto. Giornale politico e ammi-
nistrativo, posto all’inizio della raccolta, e su cui è scritto di mano di un
copista: «Processo dell’Italiano giustiziato a Corfù».172
All’inizio ci sono due fascicoli di 49 e di 81 pagine scritte sul retto
e sul verso, che sono le copie autentiche del processo, tradotte in italia-
no e pubblicate come appendice del Supplizio; le trascrizioni degli atti,
eseguite da un segretario del tribunale corfiota, sono copia integrale degli
originali, secondo la dichiarazione del segretario-copista che l’ha compi-

  Quartano, Saggio sui prosatori italiani, p. 56.


169

  Della civiltà, p. 407.


170

171
  Tale informazione è stampata su foglio e inserita in ogni busta del Fondo Tom-
maseo.
172
  La data del giornale è Lunedì 26 Gennajo 1858, a. 1, n. 11.
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 337

lata.173 In questo modo Tommaseo ha potuto ricostruire gli avvenimenti


del processo Ricci, cambiando l’ordine dei testimoni secondo il suo ra-
gionamento, ma senza modificare le testimonianze. Per questo motivo,
avendo fatto fare le copie e avendole tradotte, è in grado di sostenere la
sua causa, scrivendo che sarebbe stato possibile produrre i documenti
necessari a chi avesse da obiettare alle tesi da lui difese.
Segue dunque l’elenco del contenuto della busta:
1. Titolo: Ἀληθὲς Ἀπόγραφον τῆς Δικογραφίας τῶν Ἀντεράπετ καὶ
Λατοῦγα Συγκείμενη εἰς Σελῖδες 49 καὶ Προσθήκη τῆς δικογραφίας τοῦ
Κυρίου Εἰσαγγελέως συγκείμενη εἰς φύλλα 24 [sic]. [Vera copia dell’atto
d’accusa del processo Andarapet e Lattuga, in pagine 49 e aggiunta all’atto
d’accusa del signor Procuratore in 24 [sic] pagine]Sono due fascicoli di 49
e 81 pagine non numerate scritte sulle due facciate. Il primo contiene la
raccolta delle testimonianze della polizia subito dopo l’accaduto raggrup-
pate secondo l’informazione ottenuta dei testimoni. Il secondo è il verbale
del processo svoltosi il 5 settembre 1853. All’interno dei due fascicoli si
trovano delle striscioline dei testimoni citati dal Tommaseo nel Supplizio
(vd. l’elenco al numero 5).
2.  Risposta ad una nota del chiarissimo Sig.r N. Tommaseo riferibile ai cenni del
D.r A. C.re Dandolo sulla questione d’Oriente.
Data: 25 Giugno 1853, Tipografia Scheria.
Manifesto di Antonio Dandolo contro le posizioni di Tommaseo. Dandolo
scrive che gli esuli non dovrebbero lamentarsi per il trattamento ricevuto a
Corfù, perché durante la insurrezione greca vi furono italiani che aiutarono
i Turchi: «La Legione straniera, di cui parlammo ne’ nostri Cenni» si pone
«sotto il Vessilo della mezza luna per combattere in caso emergente lo sten-
dardo di Cristo. Che ove poi ciò non fosse così, diremo che l’essersi trovato
nella gloriosa guerra della greca risurrezione un assai maggior numero di
Cristiani apertamente od in segreto collegati in quell’occasione a favore del
Turco, non verrebbe certamente a persuaderci giammai, che il delitto degli
uni scusare o diminuire menomamente potesse quello degli altri.»
3. Lettera del Lord High Commissioner’s Office (Corfù, November 18th , 1853.
A N. Tommaseo, G. C. Mattioli, O. De Donno, Dr Filippo Tornabuoni.«I
am directed by His Excellency the Lord High Commissioner acknowledge

173
  Ogni documento riporta la frase «Ἴσον ἀπαράλλακτον» che significa che la
copia è identica all’originale.
338 tzortzis ikonomou

the receipt of the Petition which you have addressed to him, in favour of
Agildo Antarapit; and to express to you his Excellency’s regret, that he can-
not, consistently with his sense of duty, interfere in a case, which the Ionian
Constitution assignes to the Representative of the Court».
4. La stessa lettera tradotta in italiano e pubblica nel Supplizio (p. 325= p.000)
ma con la data 18 dicembre 1853.
5. Elenco dei testimoni nell’ordine in cui sono presentati nel Supplizio.
Rissa Fuga
1. Pauloianni l’ostiere. (Panos) 22. Geltrude Pizzoli di anni 60
2. Langaditi garzone dell’ostiere 23. Bon
3. Logoteti 24. Criticò
4. Bogdano 25. Berti
5. Candila
6. Anastasio Metaxà Coltello
7. Langi 26. Mobili perito armaiolo
8. Saiadinò 27. Zagoriti di anni 15.
9. Bacca 28. Mauro
10. Vracleotti 29. Russò
11. Crotti
12. Battistino
13. Mamo 30. Agildo Andarapet (Francecso
Ricci)
Casa
14. Contessa Andruzzelli vedova
Bozzolini
15. Niccolò Bozzolini
16. Giovanni Bozzolini
17. Elul
18. Maria Masi cameriera
19. Miafut cameriera
20. Carbuni
21. Maria Ordida
6. L’accusa del Procuratore. Firma di Ιω. Πιέρης Χ[αλκιόπουλος].
Τῇ 18 Ἰουλίου 1853 προσήχθη παρὰ τῷ Κακουργοδικίῳ. Πρὸς τὸ
Κακουργοδικίον | Κατηγορητήριον | τοῦ Εἰσαγγελέως Κερκύρας
7. Κατάλογος τῶν Ἐγγράφων. [Elenco dei documenti]
8. Κατάλογος τῶν μαρτυρικῶν ἀποδείξεων προτεινομένων παρὰ τοῦ
Εἰσαγγελέως. [Elenco delle testimonianze suggerite dal Procuratore ]
9. Traduzione dell’accusa e dell’elenco dei documenti presentati al processo
10. Ἐνωπίων τοῦ Ἀνωτάτου Συμβουλίου τῆς Δικαιοσύνης | Ἀπολογία
Le isole ionie, la grecia e il supplizio 339

(28 Σεπτεμβρίου 1853). [Davanti al Supremo consiglio della Giustizia.


Apologia].
Il documento ha la data di 3 Ottobre e la firma del segretario del tribunale.
11. Atti d’accusa dell’Appello (In greco).
12. Decisione (In greco).
13. Sentenza del Supremo Consiglio con la pena capitale. Scritta in nove punti
(in italiano; copia autografa di Tommaseo).
14. Atto di accusa dell’avvocato fiscale di Corfù (in greco).
15. Note al documento precedente. Le note sono 18 (in italiano).
16. Foglio in cui si annuncia che gli accusati hanno 10 giorni per rispondere
alle accuse della prima istanza del 19 Luglio 1853 (in greco).
17. Interrogatorio dei testimoni (in greco).
18. Foglio illeggibile del 27 settembre
19. Foglietto su cui è scritto: «Giunte al Supplizio di un Italiano»: è il titolo dei
pezzi nn.i 20-32.
20.  «p. 3. Prefazione». Inc.: «S’io discendo a particolari troppo minuti» […]
Expl.: “la moralità più tremenda” [Supplizio, p. 4].
21.  “p. 1. Parte Prima Giuridica”. Inc.: “Correva nella state del milleottocento
[…] Expl.: “il Senato a cui» [Supplizio, pp. 7-8].
22. Sulla colonna a destra: “Va a pag. 35. Prima del capoverso «Non sarebbe»”.
Sulla colonna a sinistra: Inc.: “Ma per discorrere alcun poco dello spirito
della legge, […] Expl.: si possono dire premeditati” [Supplizio pp. 50-52]
23.  “pag. 11”. Inc.: “Ben vedeva l’egregio scozzese la ragione” […] Expl.: “dalla
propria sua ira” [Supplizio, pp. 121-122].
24.  “pag. 31”. Inc.: “Forse gli doleva di parer essere” […] Expl.: “che più
l’avrebbero freddato” [Supplizio, pp. 145-46].
25.  Manoscritti di Della Pena di Morte. Si trovano dunque dei manoscritti
che non appartengono al Supplizio ma all’opera successiva Della pena di
Morte, come si legge nel titolo del primo manoscritto.
26. Sull’angolo a destra: “pag. 1-2”. Sulla colonna sinistra: Parte II° Morale
Civile. Inc.: “Intanto che i Giudici […] Expl.: “Narreremo taluni di
particolari”; inc.: “venne in mano di Maometto secondo […] Expl.: “fosse
Turco” [Supplizio, p. 111]; inc.: “le Isole Jonie sarebbero tuttavia barbare.”
[…] Expl.: “di tali insolenti” [Supplizio, p. 112].
27.  “pag. 4”: “alla indegnazione delle anime generose” [Supplizio, p. ***];
inc.: “Per iscriversi” […] Expl.: “non giusto” [Supplizio, p. ***]; “L’uomo
autorevole venne e disse acciocché la destra non sappia quel che fa la
sinistra”; inc.: “L’uomo auorevole ch’è più vecchio del pater ejus” […]
340 tzortzis ikonomou

Expl.: “L’uomo autorevole venne e disse che la mia” [Supplizio, p. ***].


Lezioni diverse dal testo a stampa.
28. “pag. 7”: Inc.: “e del non l’aver fatto […] Expl.: “E poi che questa sconcia
parola [Supplizio, p. ***]; Inc.: “mercedee della difesa;” […] Expl.: “stati messi
uomini poveri” [Supplizio, p. ***]. Lezioni diverse dal testo a stampa.
29.  “pag. 27, 30 e 31”: Inc.: “e richiede coraggio della pazienza […] Expl.: “si
tratta di vita e di morte” [Supplizio, p. ***]; Inc.: “e picchiò alla sua porta,”
[…] Expl.: “che conosce i suoi polli” [Supplizio, p. ***]. Lezioni diverse dal
testo a stampa.
30. “pag. 40”: Inc.: “E mandarono alla legazione” […] Expl.: “la tua parola”
[Supplizio, p. ***], (è una busta con il timbro dic. 54.)
31. “pag. 57”: Né questa arte sola […] Expl.: “di leccare sangue. [Supplizio, p.
***] Lezioni diverse dal testo a stampa.
32.  “pag. 61”: Inc.: “Prete non era” […] Expl.: “che il Russo verrà” [Supplizio,
pp. 185-86]; Inc.: “che sarebbe un triplice battesimo” […] Expl.: “Un greco
d’ingegno e di probità” [Supplizio, p. 186].
Finito di stampare nel mese di dicembre 2008
da Cierre Grafica, Sommacampagna (VR)

All’indirizzo internet www.istitutoveneto.it è possi-


bile effettuare una ricerca, per autore e per titolo,
delle pubblicazioni dell’Istituto dal 1840 al 2008.

Nel corso del 2008 prenderà avvio l’acquisto on-line


dei volumi dell’Istituto e sarà consultabile anche la
forma digitale degli «Atti dell’IVSLA» (a partire dal
n. 165, 2006-2007).

I volumi possono essere acquistati presso l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti
(fax 041.5210598) oppure tramite il distributore CIERRE Distribuzione Editoriale Srl
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