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DELLA
FILOSOFIA ITALIANA
FONDATO
DA
GIOVANNI GENTILE
FIRENZE
SOMMARIO DEL FASCICOLO
Studi e ricerche:
TOMMASO DE ROBERTIS, Per una storia della ricezione del Liber de bona fortuna
nel Cinquecento italiano: Crisostomo Javelli e Girolamo Garimberti . . . 112
MARIALUISA PARISE, Francesco Colangelo, un controrivoluzionario napoletano . . 132
GIUSEPPE RUSSO, Logica ed etica nella teoria del giudizio di Carlo Antoni . . . . . 152
Discussioni e postille:
SAVERIO RICCI, Attraverso Galileo, un’idea dell’Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
GIUSEPPE COSPITO, Marx in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172
FEDERICO RAMPININI, Attualità e prospettive della filosofia di Ernst Bloch . . . . . 180
Note e notizie:
Early Modern Aristotle. On the Making and Unmaking of Authority (Marco
Sgarbi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189
Dalla «femme savante» alla madre di famiglia. La donna nell’Illuminismo francese
(Elena Giorza) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192
The Dialogues of the Dead of the Early German Enlightenment (Antonella Del
Prete) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195
Kant e la metafisica della forza (Edoardo Raimondi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197
PER UNA STORIA DELLA RICEZIONE DEL
LIBER DE BONA FORTUNA NEL CINQUECENTO ITALIANO:
CRISOSTOMO JAVELLI E GIROLAMO GARIMBERTI*
Quella della ricezione del Liber de bona fortuna nella cultura medievale e del-
la prima età moderna è una storia ancora largamente da scrivere, tanto più
che già a un primo sguardo risulta difficile sottovalutarne la diffusione e l’im-
patto1. L’origine del Liber va fatta risalire alla metà degli anni Sessanta del
Duecento, quando alcuni maestri dell’università di Parigi, probabilmente die-
tro la spinta di Tommaso d’Aquino (il primo in ordine di tempo a citare il Li-
ber come scritto a sé stante), fondono i due capitoli che alla fortuna Aristo-
* Desidero ringraziare Gian Mario Cao, Valérie Cordonier, Eva Del Soldato, e i lettori
anonimi della rivista per le critiche e i suggerimenti offertimi nella preparazione di questo
articolo.
1 Tra i recenti studi sull’argomento si segnalano: V. CORDONIER, Sauver le Dieu du
Philosophe. Albert le Grand, Thomas d’Aquin, Guillaume de Moerbeke et l’invention du ‘Liber
de bona fortuna’ comme alternative autorisée à l’interprétation averroïste de la doctrine aristo-
télicienne de la providence divine, in Christian Readings of Aristotle from the Middle Ages to
the Renaissance, ed. by L. Bianchi, Turnhout, Brepols 2011, pp. 65-114; EAD., Une lecture
critique de la théologie d’Aristote. Le ‘Quodlibet VI, 10’ d’Henri de Gand comme response à
Gilles de Rome, in L’aristotélisme exposé. Aspects du débat philosophique entre Henri de Gand
et Gilles de Rome, ed. by V. Cordonier - T. Suarez-Nani, Fribourg, Academic Press 2014,
pp. 81-180; EAD., Noblesse et bon naturel chez les lecteurs du ‘Liber de bona fortuna’ de Tho-
mas d’Aquin à Duns Scotus. Histoire d’un rapprochement, in La nobiltà nel pensiero medieva-
le, a c. di F. Bonini - A. Colli - A. Palazzo, Fribourg, Academic Press, 2016, pp. 99-134; M.
ROICK, Pontano’s Virtues. Aristotelian Moral and Political Thought in the Renaissance, Lon-
don-Oxford-New York, Bloomsbury 2017; V. CORDONIER, Giles of Rome on the Reduction
of Fortune to Divine Benevolence. The Creative Error of a Parisian Theologian in the 1270s,
in Irrtum-Error-Erreur, hrsg. von A. Speer - M. Mauriège, Berlin-New York, de Gruyter
2018, pp. 231-256; T. DE ROBERTIS, A New Source for Boccaccio’s Concept of Fortune. The
Pseudo-Aristotelian ‘Liber de bona fortuna’, «Heliotropia», XVI-XVII, 2019, pp. 169-187; V.
CORDONIER, In the footsteps of a ‘Singular Treatise’ (De Fato III, 3). Two Items to be added to
the Catalogue of Coluccio Salutati’s Library, in The Library, ed. by A. Speer - L. Reuke, Ber-
lin-New York, de Gruyter 2020, pp. 431-456; EAD., Aristotle Theologized. The Importance
of Giles of Rome’s ‘Sententia de bona fortuna’ to the Late Medieval and Renaissance Peripa-
tetism, «Quaestio», XX, 2020, pp. 137-157; M. POSTI, Medieval Theories of Divine Providen-
ce 1250-1350, Leiden-Boston, Brill 2020, pp. 194-265; V. CORDONIER - T. DE ROBERTIS, Chryso-
stomus Javelli’s Epitome of Aristotle’s ‘Liber de bona fortuna’. Examining Fortune in Early Mo-
dern Italy, Leiden-Boston, Brill 2021.
per una storia della ricezione del liber de bona fortuna 113
tele aveva dedicato, rispettivamente, nei Magna Moralia (1206b 30-1207b 19)
e nell’Etica Eudemia (1246b 37-1248b 11), e che Guglielmo di Moerbeke
aveva da poco tradotti in latino2. Nasce così un’opera unica anche all’inter-
no degli stessi scritti pseudo-aristotelici: per un verso genuinamente aristote-
lica, in quanto collage di testi attribuiti allo Stagirita dalla tradizione, per un
altro senza una matrice originale in greco, dal momento che questo scritto,
nella forma trasmessa dal Liber, esiste soltanto in latino3. Dietro la composi-
zione del Liber possiamo supporre un duplice ordine di motivazioni. Da un
lato, l’interesse da parte dell’élite intellettuale del tempo, corpo docente pa-
rigino incluso, di disporre di un’opera che fornisse accesso immediato alla dot-
trina aristotelica sulla fortuna, un problema al quale il Filosofo non aveva mai
riservato ampia trattazione autonoma nei propri scritti4; dall’altro, la possi-
bilità di costruire una teoria della divina provvidenza che, pur fondata su pre-
supposti aristotelici, risultasse pienamente compatibile con la dottrina cristia-
na5. È infatti nel secondo capitolo dell’ottavo libro dell’Etica Eudemia, con-
fluito poi nella seconda parte del Liber, che Aristotele riconduce la causa del-
la buona fortuna direttamente a Dio, il quale dispensa a proprio piacimento
agli uomini (sebbene certe categorie di individui siano più atte di altre a ri-
ceverla) questa condizione privilegiata6. Il progetto tomistico di “battezzare
Aristotele” può così dirsi, nel caso del Liber de bona fortuna, pienamente rea-
lizzato.
Il Liber inizia dunque a circolare come opera aristotelica, entra a pieno
titolo nel Corpus Recentius degli scritti del Filosofo (perlopiù collocato al ter-
7 Sull’inclusione del Liber nel Corpus Recentius, sul suo collocamento all’interno dei
Parva Naturalia, e sulla prima ricezione dell’opera, cfr. V. CORDONIER, Sauver le Dieu du Phi-
losophe, cit.; EAD., Une lecture critique de la théologie d’Aristote, cit.; EAD., Noblesse et bon
naturel chez les lecteurs du ‘Liber de bona fortuna’ de Thomas d’Aquin à Duns Scotus, cit.;
EAD., Giles of Rome on the Reduction of Fortune to Divine Benevolence, cit.; EAD., Aristot-
le Theologized, cit.; M. POSTI, Medieval Theories of Divine Providence, cit., pp. 194-265; V.
CORDONIER - T. DE ROBERTIS, Chrysostomus Javelli’s Epitome of Aristotle’s ‘Liber de bona for-
tuna’, cit., pp. 10-28. Estratti del Liber vennero inclusi anche all’interno delle numerose col-
lezioni medievali e rinascimentali di Auctoritates Aristotelis (o Florilegia Aristotelis). Cfr. J.
HAMESSE, Les ‘Auctoritates Aristotelis’. Un Florilège Médiéval. Étude Historique et Édition
Critique, Louvain-Paris, Publications Universitaires-Nauwelaerts 1974, pp. 249-250, dove il
Liber viene inserito tra le opere morali di Aristotele. Sulla questione del collocamento del
Liber all’interno del corpus aristotelico, se tra gli scritti di filosofia naturale o tra quelli di fi-
losofia morale, cfr. V. CORDONIER - T. DE ROBERTIS, Chrysostomus Javelli’s Epitome of Aristot-
le’s ‘Liber de bona fortuna’, cit., pp. 48-52.
8 Aristoteles Latinus. Codices, vol. 1, a c. di G. Lacombe - A. Birkenmajer - M. Dulong
- E. Franceschini - L. Minio-Paluello, Roma, Libreria dello Stato 1939-1961, pp. 71-72. Cfr.
anche C. PANNIER, La traduction latine médiévale des ‘Magna Moralia’. Une étude critique de
la tradition manuscripte, in La production du livre universitaire au moyen âge. Exemplar et pe-
cia, a c. di L.J. Bataillon - B.G. Guyot - R.H. Rouse, Paris, CNRS 1988, pp. 164-204; V. COR-
DONIER, La version latine des ‘Magna Moralia’ par Barthélémy de Messine et son modèle grec.
Le ms. Wien, ÖNB, phil. gr. 315 (V), in Translating at the Court. Batholomew of Messina and
Cultural Life at the Court of Manfred, King of Sicily, ed. by P. De Leemans, Leuven, Univer-
sity Press 2014, pp. 337-382.
9 Cfr. V. CORDONIER, Giles of Rome on the Reduction of Fortune to Divine Benevolen-
ce, cit.; EAD., Aristotle Theologized, cit.; V. CORDONIER - T. DE ROBERTIS, Chrysostomus Javel-
li’s Epitome of Aristotle’s ‘Liber de bona fortuna’, cit., pp. 22-27.
10 Per una ricognizione critica su questi commenti, cfr. M. POSTI, Medieval Theories of
per una storia della ricezione del liber de bona fortuna 115
Divine Providence, cit., pp. 194-265. La questione dell’attribuzione delle Quaestiones super
De bona fortuna è ancora aperta. Sul problema, cfr. V. CORDONIER, Réussir sans raison(s). Au-
tour du texte et des gloses du Liber de bona fortuna Aristotelis dans le manuscrit de Melk 796
(1308), in 1308. Eine Topographie historischer, hrsg. von A. Speer – D. Wirmer, Berlin-New
York, de Gruyter 2010, pp. 705-770 (p. 749, note 109 e 110).
11 DANTE, Convivio IV, 11, a c. di C. Vasoli - D. De Robertis, Milano-Napoli, Ricciar-
di 1987, p. 652: «E per vedere questa iniquitade, disse Aristotele che “quanto l’uomo più
subiace allo ’ntelletto, tanto meno subiace alla fortuna”». La fonte immediata di questa ci-
tazione fu, con ogni probabilità, il commento di Tommaso alla Fisica di Aristotele (lectura
VIII, dove l’Aquinate commenta II, 5, 197a 05-09), ma il passaggio va riferito in ultima ana-
lisi al Liber de bona fortuna.
12 C. SALUTATI, De fato et fortuna, a c. di C. Bianca, Firenze, Olschki 1985, pp. 131-
133: «Hanc fortunam, quam bonam vocant, philosophorum princeps Aristotiles singulari
tractatu diffiniens […] Quam ergo naturam vel quos naturales impetus diffinivit Philoso-
phus esse bonam fortunam, cum non possint in nobis tales esse quales bona fortuna requir-
it, nisi semper divine benivolentie gratia coexistat?». Su Salutati e il Liber de bona fortuna,
cfr. M. ROICK, Pontano’s Virtues, cit., pp. 152 e 274, n. 195; V. CORDONIER, In the footsteps
of a ‘Singular Treatise’, cit., che dimostra la conoscenza da parte di Salutati non solo del Li-
ber, ma anche del commento di Egidio Romano.
13 Alcuni dei capitoli del De fortuna di Pontano offrono una e vera propria riscrittura
del Liber, come dimostrato da M. ROICK, Pontano’s Virtues, cit., pp. 141-167.
14 M. FICINO, Epistolarium Libri XI, in ID., Opera Omnia, a c. di P.O. Kristeller, Tori-
no, Bottega d’Erasmo 1962, vol. 1, p. 943: «Aristotelicum illud, ubi plus intelligentiae, ibi
fortunae minus, atque vicissim, ubi plus fortunae, illic minus intelligentiae, plerique forsi-
tan sic accipient, ut sapientissimi, quique philosophique minime fortunati sint [...] Ego
autem et superiorem interpretatione [sic] minime respuo, utilius tamen atque divinius Aris-
totelicum illud interpretarer».
15 G. SAVONAROLA, Prediche sopra Giobbe, a c. di R. Ridolfi, Roma, Berlardetti 1957,
vol. 2, p. 145: «Chi vuole essere illuminato da Dio, ricorra alla orazione, perché quella vivi-
fica questo lume; e non solo questo si pruova per la Scrittura e per li dottori, ma etiam si
può cavare d’Aristotile, che fu pagano, il quale nel libro di Fortuna dice quod imprudentes
sunt magis fortunati quam alii. Cioè, che gli uomini imprudenti, idest che non procedano con
tanta sapienza umana, sono più fortunati degli altri». Savonarola riporta estratti del Liber
anche nel proprio taccuino di appunti filosofici aristotelici, il De doctrina Aristotelis. Cfr. L.
TROMBONI, Inter omnes Plato et Aristoteles. Gli appunti filosofici di Girolamo Savonarola, Por-
to, Brepols 2012, pp. 185-186.
16 P. P OMPONAZZI, Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione, a c. di V. Perrone Com-
pagni, Torino, Aragno 2004, pp. 103, 251, 347, 425, 489, 615, 617. Il luogo del Liber cui
tutte e sette le citazioni si riferiscono è 1248a 25-1248b 01.
116 tommaso de robertis
22 W.A. HINNEBUSCH, The History of the Dominican Order. Intellectual and Cultural Life
to 1500, New York, Alba House 1973, p. 31.
23 Un elenco esaustivo delle opere di Javelli e rispettive edizioni a stampa è fornito da
M. TAVUZZI, Chrysostomus Iavelli OP (c. 1470-1538). A Biobibliographical Essay. Part II. Bib-
liography, cit.
24 Sulla fortuna dei commenti aristotelici di Javelli, soprattutto in ambiente gesuita, cfr.
V. CORDONIER - T. DE ROBERTIS, Chrysostomus Javelli’s Epitome of Aristotle’s ‘Liber de bona
fortuna’, cit., pp. 43-47.
25 Tale revisione, come Michael Tavuzzi ha sostenuto, dev’essere con ogni probabilità
avvenuta nel 1529, quando un ormai maturo Javelli attendeva all’allestimento dei propri
scritti in vista della loro pubblicazione. Al folio 44r della sua celebre raccolta di Preclarissi-
mum [!] Epitoma, uscita a Venezia nel 1531, Javelli aggiunge al titolo la dicitura «Revisum
et correctum per authorem 1529 die decima Maii Placentie». Ringrazio Michael Tavuzzi per
aver condiviso questa informazione con me nel corso di uno scambio email.
118 tommaso de robertis
Adverte quod ut in pluribus quatuor hominum genera sunt bene fortunati. Pri-
mo rudes et indociles solent esse bene fortunati. Secundo insipientes, et ratio horum
una est. […] Tertio melancholici inter omnes alias complexiones solent esse bene for-
tunati. Quarto agentes vitam solitariam and simplices non dediti negotiis exterioribus34.
tus (1247a 15-21 e 1247a 21-27). Si tratta in entrambi i casi di esempi, coi
quali Aristotele intende paragonare la condizione dei bene fortunati a quella
di certi pazzi (insipientes), che sebbene sprovvisti di qualsiasi formazione nel-
l’arte della navigazione, riescono tuttavia a condurre la nave in salvo in situa-
zioni nelle quali anche il timoniere più esperto avrebbe disperato di farcela
(esempio peraltro riproposto anche da Javelli)36. In questi casi, così come ne-
gli altri dove il termine compare, gli «insipientes» vengono sistematicamen-
te chiamati in causa per esemplificare la speciale condizione dei bene fortu-
nati – sebbene non vi sia passaggio nel Liber nel quale Aristotele dica chia-
ramente che tali individui hanno maggiore possibilità di altri di risultare be-
ne fortunati. Questo passo verrà compiuto soltanto da Javelli nella propria
epitome.
La terza categoria di Javelli, quella dei melanconici, appare anch’essa at-
tinta dal Liber, ma in questo caso da un unico passaggio dell’opera, il solo
ove il termine occorra. Dopo aver ricondotto la causa prima della buona for-
tuna a Dio, Aristotele prosegue paragonando i bene fortunati agli individui
melanconici («melancolici») e ai veri profeti («recte divinantes»): come que-
ste ultime due categorie, i bene fortunati sono tali perché, messa da parte ogni
interferenza derivante dalla ragione, risultano assai più ricettivi nei confron-
ti degli influssi celesti attraverso i quali Dio dispensa la buona fortuna agli
uomini. L’argomento di Javelli è il medesimo: a causa della loro complessio-
ne, egli spiega, i melanconici ricevono questi influssi con maggiore efficacia
rispetto agli individui di qualunque altra tipologia di umore, e tendono ad
assecondarli con maggiore rigore. La dipendenza di Javelli da questo passag-
gio del Liber è ulteriormente dimostrata dal fatto che tanto Aristotele quan-
to Javelli associno a loro volta la condizione dei melanconici e dei profeti a
quella degli individui non vedenti, che risultano ben più capaci di ricordare
proprio perché meno distratti dalle interferenze del mondo esterno37.
La quarta e ultima categoria di potenziali bene fortunati elencata da Ja-
velli è quella degli individui solitari e i semplici non dediti agli affari umani
(«agentes vitam solitariam et simplices non dediti negotiis exterioribus»). In
questo caso la fonte di Javelli non è il Liber, dove non si parla né di indivi-
dui solitari né di persone semplici avulse dagli affari del mondo, ma, con ogni
probabilità, il commento di Egidio Romano alla Retorica di Aristotele, che
Javelli aveva già utilizzato nel primo capitolo della propria epitome per di-
stinguere tra due accezioni diverse del termine ‘fortuna’ in Aristotele38. È in-
fatti nel commento di Egidio che troviamo il riferimento a degli uomini sem-
viato agli studi umanistici, Garimberti è noto agli studiosi quasi esclusivamen-
te come collezionista di oggetti d’arte e antichità43. È ancora giovane, infatti,
quando entra nell’entourage del cardinal nipote Alessandro Farnese, un le-
game che gli assicura agio e protezione sufficienti per potersi dedicare, so-
prattutto a partire dagli anni cinquanta del Cinquecento, al collezionismo e
all’antiquaria44. Oltre che per questa incessante attività di procacciatore d’ar-
te, che ha ampiamente catturato l’attenzione degli studiosi, Garimberti si dis-
tinse anche per la vena letteraria. Risale agli anni giovanili, quelli cioè imme-
diatamente precedenti l’inizio della febbrile attività collezionistica, una fase
di intenso impegno letterario, nella quale Garimberti, in forza del proprio le-
game col circolo farnesiano, allaccia rapporti con numerosi intellettuali di
spicco del tempo, da Claudio Tolomei ad Antonio Bernardi, da Bernardo Tas-
so a Pietro Aretino. In questi anni compone tre opere di argomento filosofi-
co e politico destinate a godere di grande fortuna negli anni a venire: un dia-
logo politico dal titolo De regimenti publici de la città (Venezia, Girolamo Sco-
to, 1544), un trattato in sei libri Della fortuna (Venezia, Michele Tramezzino,
1547), e una raccolta di Problemi naturali e morali (Venezia, Vincenzo Val-
grisi, 1549)45. Il primo di essi ebbe ampia circolazione, ma a differenza degli
altri due non venne mai ristampato, probabilmente a causa dell’uso disinvol-
to che Garimberti vi fa delle teorie machiavelliane, soprattutto quelle riguar-
danti la religione – teorie che come noto avrebbero portato, di lì a pochi an-
ni, alla messa all’Indice degli scritti del Fiorentino (1557)46. I Problemi natu-
rali e morali, dedicati ad Antonio Bernardi «filosofo singularissimo», sono
un’opera di divulgazione filosofica d’impianto aristotelico, nella quale Garim-
berti discute 131 quesiti di filosofia naturale e morale tra i più diversi. L’ope-
ra, composta da Garimberti con lo scopo dichiarato di «giovar al volgo» e
«levar il velo dell’ignoranza loro»47, venne ristampata due volte in Italia, co-
noscendo anche una traduzione francese, realizzata nel 1559 da Jean Lou-
veau48. Altrettanto favore riscosse, infine, il trattato Della fortuna, apparso per
la prima volta nel 1547 e due volte ristampato, rispettivamente nel 1550 e nel
1554. Anch’esso, al pari dei Problemi naturali e morali, ebbe eco fuori dall’I-
talia grazie alla traduzione in castigliano che ne fece nel 1572 Juan Méndez
de Ávila49.
Il Della fortuna di Garimberti si compone di sei libri. Imitando Aristo-
tele, «il quale manifestò più distintamente e con più ordine la sua philoso-
phia che nissun’altro innanzi e dopo lui», Garimberti adotta il procedimen-
to compositivo nell’esporre il proprio argomento: tratterà infatti «primiera-
mente della fortuna in se stessa, e dipoi componendola con mille sorti d’huo-
mini e di Republica, finalmente venir insin all’individuo»50. Il primo libro, nel
quale Garimberti definisce e discute cosa sia la fortuna, è quello in cui l’uso
del Liber de bona fortuna, e del commento di Javelli in particolare, risulta più
evidente, ed è quindi su di esso che si concentrerà la mia attenzione.
Sin dai capitoli iniziali Garimberti offre quella che può essere conside-
rata una riscrittura in volgare del commento di Javelli al Liber. Seguendo Ari-
stotele, Garimberti avvia la propria analisi escludendo due particolari ‘can-
didati’ tra le possibili cause della fortuna: l’intelletto e la benevolenza di Dio.
Cominciando dal primo, sostiene:
Javelli Garimberti
Javelli Garimberti
Alicui autem videbitur quod bona fortu- Né è mancato chi habbia creduto la buo-
na sit quaedam cura et benivolentia dei na fortuna essere una particolar benivo-
cum aliquibus hominibus, ut magis sibi lenza di Dio verso alcuni huomini, sopra
charis […]. Sed id non decet attribuire gli altri a lui cari […]. Che anchor ella
deo. Omnes enim recte sentientes de deo non sia una particolar benivolenza di Dio
tenent ipsum esse dominum dignum, id verso di alcuni, non ha dubbio veruno;
est distribuentem bona hominibus ordi- perciò che è manifesta cosa, nell’etterna
nate et iuste, id est ut merentur et digni divina mente, ch’è la somma bontà, l’i-
sunt. […] Si ergo enim dixerimus bonam stessa giusticia, et perpetua stabilità, non
fortunam esse dei curam et benivolen- cader alcuna elettione men che buona,
tiam, facimus ipsum pravum, id est non giusta, et uniforme giamai54.
sufficientem iudicem53.
Da qui in avanti, fin verso la conclusione del primo libro, è possibile se-
guire Garimberti quasi passo passo allorché legge e rielabora il commento di
Javelli, i cui principali contenuti trasferisce nel proprio scritto conservando
addirittura lo stesso ordine con cui questi compaiono all’interno dell’epito-
me del domenicano. Proseguendo proprio nella lettura del primo capitolo di
Javelli, Garimberti si imbatte nella distinzione che questi presenta tra due di-
verse accezioni del termine ‘fortuna’ in Aristotele, l’una di tipo accidentale e
non connessa a un impeto direttivo (accezione legata di fatto al secondo li-
bro della Fisica), l’altra maggiormente continua e associata a un impeto di-
rettivo (accezione propria del Liber de bona fortuna). Come detto più sopra,
questa formulazione non fa capo al Liber, dove tale distinzione non compa-
re mai, ma al già citato commento di Egidio Romano al Liber de bona fortu-
na. È da questo commento, come detto sopra, che Javelli la riprende. Igna-
ro di riproporre la tesi di Egidio, Garimberti traduce alla lettera, senza mai
menzionare la propria fonte, il passaggio di Javelli riguardante la seconda ac-
cezione del termine ‘fortuna’:
Javelli Garimberti
Quaedam autem est cum impetu, et sine L’altra qualità di buona fortuna è quella
ratione et sine humana prudentia, eo mo- con impeto, priva di ragione et senza al-
do quo declaravimus, et hoc est annexa cuna prudenza humana nel modo detto
felicitati positae a Philosopho, quae est di sopra, la quale è unita molto con la fe-
duplex, scilicet speculativa et politica. Po- licità posta da Aristotele, che si divide in
liticam posuit in actionibus virtutum mo- speculativa e politica. L’una è circa le
ralium et praecipue in actionibus pruden- virtù morali et principalmente nell’opere
tiae, ut bene regere, bene consulere et be- della prudenza, come il reggere, con-
ne providere sibi bona et aliis et vitare sigliare prudentemente et procurar il
discrimina. Speculativam posuit in spe- bene per sé et per gli altri et fuggir il
culatione divinorum […]. Nam quomo- male; l’altra appartiene alla speculation
do quis bene reget populum aut familiam delle cose divine […]. Et nessun potrà
aut providebit et quomodo magnificus et giamai regger bene un popolo o una re-
liberalis et iustus erit, maxime iustitia dis- publica né mostrarsi magnifico, liberal,
tributiva, sine exterioribus bonis?55 né giusto, massimamente nella giustitia
distributiva, senza i beni della fortuna56.
Javelli Garimberti
Puta Socrates desiderat principatum. Ra- Come sarebbe a dir di uno che deside-
tio sibi dictat quod facit sibi milites et rando l’acquisto di qualche città, il gui-
expugnet aliquam civitatem, sentit in se dicio gli mette subito innanzi che all’e-
impetum quo inclinatur ire ad hanc civi- spugnation d’essa fa mestiero d’uno es-
tatem sine exercitu et occulto habito, et sercito, et nondimeno spinto dal detto
sic vadit, quando est illic invenit quod a impeto, senza essercito alcuno privata-
civibus vocatur et eligitur in principem, mente se ne va alla volta d’essa città; né
qui si cum exercitu ivisset, fugatus et prima vi gionge che chiamato dal popo-
confessus fuisset. Hic dicitur proprie be- lo è fatto signor di quella, dove che se vi
nefortunatus58. fusse ito col campo sarebbe stato o po-
sto in fuga o fatto prigione; e questa pro-
priamente si può dir buona fortuna et
costui benfortunato59.
Javelli Garimberti
Sed quaeritur a quo principio fiunt natu- Per tanto volendo noi saper donde prin-
rales motus et impetus in nobis. Dico se- cipalmente si causino questi impeti natu-
cundum Aristotelem quod a deo inquan- rali nell’huomo, truovo che hanno l’ori-
tum est motor universalis. Nam sicut ex gine loro dal motor universale ch’è Dio;
sua perfectione continet, conservat et ad perciò che mediante la sua perfettione
esse deducit omnia, ita quod nihil est ex- crea, contiene et conserva tutte le cose,
tra ipsum quod non contineatur in ipso, né alcuna è che non si contenga sotto di
sic ex sua potentia movet totum univer- lui; onde con la potenza sua muove tut-
sum et omnem naturam quae est in uni- to l’universo et ogni cosa naturale nel
verso in proprios fines et in bonum eis proprio e conveniente suo fine, di modo
conveniens. Unde quantum sit ex parte quanto sia per rispetto di Dio, essendo
dei, cum sit primum bonum, omnem na- egli il primo et sommo bene, inclina al
turam impellit ad bonum, et in omni ho- bene et causa in tutti gli huomini l’impe-
mine causat impetum ad bonum pro- to al proprio bene; ma perché infinita è
prium, verum quia diversarum disposi- la varietà delle complessioni, dispositio-
tionum et complexionum et navitatum ni et natività nostre, per questo alcuni ri-
sunt homines, ideo aliqui percipiunt et cevono esso impeto et secondo quello
acceptant hos impetus et secundum eos operano et alcuni altri no, o vero che sia
operantur, aliqui autem non, vel quia ni- perché sono dati in preda alle cose este-
mis dediti exterioribus vel quia suo inge- riori o vogliono secondar troppo all’inge-
nio metiri volunt omnia, quodque ratio- gno et al giudicio loro, senza il quale han-
ni suae non consonat, pro inconvenien- no ogni cosa per inconveniente et giudi-
ti; hinc provenit bona et mala fortuna60. cano ogni impresa esser fuori di ragione
et pacia senza esso, et di qui si può dire
che nasca la buona e la mala fortuna61.
Garimberti riproduce qui, senza averne piena contezza, uno dei passag-
gi filosoficamente più densi di tutto il commento di Javelli. In esso il dome-
nicano mette mano a un dibattito di lungo corso nella storia del pensiero oc-
cidentale, quello riguardante il ruolo giocato da Dio e dagli enti sublunari (gli
esseri umani in primis) nella produzione degli effetti naturali62. E lo fa ripro-
ponendo (surrettiziamente) la spiegazione fornita in merito da una delle vo-
ci più originali di questo dibattito, ovvero Egidio Romano. In un passo già
citato del suo commento al Liber de bona fortuna, Egidio risponde alla do-
manda sul perché taluni individui paiano più ricettivi di altri a percepire e ad
accogliere gli impulsi che sono causa della buona fortuna formulando un ar-
gomento noto come «dottrina dell’azione uniforme di Dio»:
Notandum etiam quod ait quod bene fortunatus est simile patiens hiis qui a deo
aguntur, quia deus secundum istum ordinem quem videmus, quantum est de se, si-
militer movet, tamen propter diversitatem recipientum non omnes similiter perci-
piunt huius motum. Quantum est ergo ex parte dei, bene fortunati sunt simile pa-
tientes omnibus aliis qui aguntur et qui moventur a deo quia, ut dictum est, secun-
dum istum ordinem quem videmus, deus omnes, tam bene fortunatos quam alios, si-
militer agit sive agitat et movet. Tamen non omnes similiter aguntur et moventur, sed
qui habent naturam talem et sic dispositam quod impetu dei aguntur, hii secundum
sententiam philosophi bene fortunati sunt63.
Secondo Egidio, l’azione di Dio nei confronti del mondo naturale è co-
stante e omogenea, in qualità e quantità (egli, infatti, «similiter agit sive agi-
tat et movet»). Tuttavia, a causa della diversità degli enti che sono destinati
a riceverla («propter diversitatem recipientum»), non tutti la fanno propria
allo stesso modo e con lo stesso grado di intensità. Egidio aveva formulato
questa teoria già in un commento al secondo libro delle Sentenze, risalente al
1269 o al 1270, e cioè pochi anni prima della sua Sententia de bona fortuna.
In quell’opera, Egidio spiegava che gli effetti che Dio produce per tramite
delle cause secondarie si ripercuotono sul mondo sublunare «immediate»
(nel senso che l’intermediazione delle cause secondarie non comporta alcun
depotenziamento dell’azione divina), ma non «totaliter», cioè non in egual
modo su tutti gli esseri naturali. Egidio giustifica questa tesi sostenendo che
«Deus uniformiter agit in omnibus quantum est ex parte sui, ita quod solum
diversitas est propter diversitatem recipientium, quia non possunt recipere
uniformiter, quia recipiunt secundum naturas suas»64. Nei due passaggi egi-
diani, quello del commento alle Sentenze e quello del commento al Liber, la
formula chiave sembra essere «quantum est ex parte dei» (o «quantum est
62 M. PLATHOW, Das Problem des Concursus Divinus, cit.; G. PINI, Being and Creation
in Giles of Rome, cit.
63 V. CORDONIER, Une lecture critique de la théologie d’Aristote, cit., p. 148.
64 AEGIDII ROMANI Opera Omnia, III.2. Reportatio Lecturae super Libros I-IV Senten-
tiarum. Reportatio Monacensis. Excerpta Godefredi de Fontibus, a c. di C. Luna, Firenze, Sis-
mel-Edizioni del Galluzzo 2003, Liber II, Quaestio 8, Dist. 1, p. 208. Cfr. G. PINI, Being and
Creation in Giles of Rome, cit., p. 396.
per una storia della ricezione del liber de bona fortuna 129
ex parte sui»). Con questa espressione, che è tipica della sua prosa, Egidio
intende distinguere nettamente tra prospettiva umana e prospettiva divina nel-
la valutazione delle cause degli effetti naturali: non è perché alcuni enti sub-
lunari paiono ricevere gli impulsi naturali più o meno efficacemente di altri
(o perché paiono non riceverne affatto) che si debba supporre una differen-
za di qualità nel modo in cui Dio li dispensa.
Nel passaggio sopracitato, Javelli rielabora in maniera chiara la dottrina
dell’uniformità dell’azione divina che aveva trovato nel commento di Egidio
al Liber de bona fortuna. Non soltanto è lampante la vicinanza di contenuto
tra i due testi, ma Javelli riproduce inoltre la formula «quantum est ex parte
dei» (resa con «quantum sit ex parte dei»), che soltanto in Egidio poteva leg-
gere. Traducendo in volgare il lungo passaggio di Javelli, dunque, Garimber-
ti si trascina inconsapevolmente dietro il commento di Egidio al Liber de bo-
na fortuna, e con esso un testimone importante di un dibattito che ha radici
lontane e che sarà destinato a sopravvivergli. Dal testo di Javelli, che Garim-
berti riproduce alla lettera, compresa la nota formula egidiana («quanto sia
per rispetto di Dio»), Garimberti si discosta solo per un particolare, e cioè
per l’omissione (questa, sì, volontaria) del nome di Aristotele quale auctor del-
la teoria in esame.
L’ultimo passaggio del Della fortuna di Garimberti che intendo presen-
tare si trova nel capitolo 17 del primo libro, ed è intitolato «Quali siano que-
gli huomini più fortunati di tutti gli altri». In esso Garimberti riproduce in-
tegralmente la tipizzazione quadripartita dei potenziali fortunati che, come
abbiamo visto più sopra, Javelli aveva presentato nel terzo capitolo della pro-
pria epitome. Di seguito il confronto tra i due passaggi:
Javelli Garimberti
Adverte quod ut in pluribus quatuor ho- Sono per tanto quattro sorti de più for-
minum genera sunt bene fortunati. Pri- tunati di tutti gli altri: la prima è de gli
mo rudes et indociles solent esse bene huomini grossi d’intelletto; la seconda de
fortunati. Secundo insipientes, et ratio pazzi; la terza di quelli che menano vita
horum una est. Nam dictum est supra solitaria; et la quarta de melanconici,
bonam fortunam esse sine ratione et be- benché l’altre tre peccano anchor esse
ne fortunatum qui sine discursu, sine nella melanconia. Et quella ragione che
prudentia, sine consilio, sed tantum im- si adduce per una è commune col resto
petu facto in anima, de quo nescit ratio- delle sopradette; perché la fortuna è sen-
nem reddere, consequitur aliquod opta- za ragione, e il fortunato è quello che pri-
tum bonum. Sed rudes et indociles et vo del discorso ottiene il desiderio suo.
stulti sic tendunt in actionibus suis, ut Questo si può dir che sia proprio de gli
patet, ergo etc. Hinc videmus multos ca- huomini grossi e pazzi; et di qua è nato
rentes ingenio et prudentia salvare na- che molti sciocchi, et senza isperienza al-
vem in tempestate postquam nautae cum cuna del mare haveranno salvato una na-
omni arte sua desperant, et stultum mi- ve in gran tempesta all’hora che sarà sta-
litem salvare exercitum deductum ad ex- ta più combattuta da venti, et disperato
tremum discrimen et dare viam expu- dal governatore e dall’arte. E un pazzo
gnandi hostem quam rex cum omni con- soldato havera condotto un’essercito à
silio invenire non potuit. salvamento prima posto in estremo peri-
Tertio melancholici inter omnes alias colo da altri, et con esso vinto il nemico,
complexiones solent esse bene fortuna- dove un prudente e prattico Capitano
ti. Quarto agentes vitam solitariam et con tutta la prudenza et isperienza del
130 tommaso de robertis
simplices non dediti negotiis exteriori- mondo non havrebbe saputo fare ne l’u-
bus. Et horum ratio una est. Nam bene no ne l’altro giamai.
fortunato non sufficit pati naturales im- Appresso de i melanconici et di quelli
petus ad bonum consequendum (mo- che sono dati ad una vita semplice et so-
vens enim primum, ut motor totius na- litaria è una istessa ragione quella che
turae, causat huiusmodi impetus in mul- causa la buona fortuna loro, ne bastano
tis quos tamen non videmus bene fortu- i naturali impeti in un fortunato, ma con-
natos), sed necesse est ut percipiant, et viene che al dispetto della ragione lo dis-
acceptent, et disponant se operaturos se- pongano à far quelle cose ch’essi voglio-
cundum huiusmodi impetus, etiam quod no, et perché gli huomini grossi e melan-
ratio dictaret oppositum. Et quoniam conici ricevono questi impeti con più ga-
melancholici cum forti impressione reci- gliarda et forte impressione che non si
piunt huiusmodi impetus et illis vehe- ricerca alla ragione humana, et quelli che
menter intendunt ac inhaerent magis sono totalmente appartati da quest’ope-
quam rationi humane, similiter non de- re mondane et quegli altri anchora che
diti actionibus exterioribus carentes hu- mancano di prudenza et di giudicio, fan-
mana prudentia et solertia, agunt ut sen- no secondo sono inclinati et spinti. Per
tiunt se agi et impelli, ideo sequentes hos tanto questi tali mediante gli impeti so-
impetus inveniuntur benefortunati65. pradetti saranno per l’ordinario più for-
tunati de gli altri66.
TOMMASO DE ROBERTIS
FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI APRILE 2022
PER CONTO DI
EDITORIALE LE LETTERE
DALLA TIPOGRAFIA
BANDECCHI & VIVALDI
PONTEDERA (PI)