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Thomas Alexander Szlezäk

Platone e la scrittura
della filosofia
Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza
e della maturità alla luce di un nuovo
paradigma ermeneutico

Introduzione e traduzione di
G io vanni R eale

V IT A E PENSIERO

Pubblicazioni della
Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano 1988
Pubblicazioni del

C E N T R O D I R IC E R C H E D I M E T A F ÍS IC A

Thomas Alexander Szlezák (1940), professore di filo lo ­ Sezione di


gia classica neirUniversità di Würzburg - già ben noto
per la sua edizione (con traduzione e commentario) dei Metafisica del Platonismo nel suo sviluppo storico
due scritti sulla dottrina delle categorie giuntici sotto il e nella filosofia patrística. Studi e testi
falso nome del pitagorico Archita di Taranto (1972) e
per il suo libro su Plotino (1979) - con questo suo PIato­
6.
ne (1985) presenta il contributo forse piu significativo e
importante venuto dalla Germania, dopo quelli pubbii-
cati da Kramer e da Gaiser.
Szlezák prende le mosse proprio da quello ehe era stato
SCAFF,
il punto di partenza di Schleiermacher, che ha inaugu-
rato il paradigma ermeneutico che ha dominato per in-
PALCH. .....
tero 1’età moderna, vale a dire il finale del Fedro con il
giudizio ehe Platone dà della scrittura, e reinterpreta i 'O
dialoghi platonici fino alia Repubblica, proprio basan-
dosi solo su di essi. Ma, proprio lavorando in questo
modo, mediante rigorose, coerenti e consistenti analisi
di struttura, egli capovolgeil paradigma schleiermache-
riano e guadagna in una maniera assai cospicua il nuovo
paradigma ermeneutico, che da molte parti e per varie
ragioni sta imponendosi come paradigma alternativo a
quello ehe è stato fino a pochi anni fa predominante.
L ’analisi di struttura dei dialoghi platonici dimostra
ehe essi non sono concepiti come opere autarchiche,
ma che rimandano sempre a qualcosa di ulteriore: non
solo una parte di dialogo rimanda all’altra, e un dialogo,
per certe sue parti o anche nel suo complesso, rimanda
ad un altro, ma tutti i dialoghi rimandano, superando i
loro stessi confini, alia filosofia orale di Platone.

[segue neU 'altro risvolto ]


CENTRO DI RICERCHE DI M ETAFISICA
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo A. Gemelli, 1 - 1-20123 Milano

Comitato scientifico: Adriano Bausola


Carla Gallicet Calvetti
Virgilio Melchiorre
Angelo Pupi
Giovanni Reale
Mario Sina

Presidente: Gustavo Bontadini

Direttori: Adriano Bausola


Giovanni Reale

Sezione: «Metafísica del Platonismo nel suo sviluppo storico e nella


filosofia patrística. Studi e testi»
diretta da Giovanni Reale
T itolo originale dell’ opera: Platon und die Schriftlichkeit der
Philosophie. Interpretationen zu
den frühen und mittleren Dialogen
(1985)
La differente traduzione italiana del sottotitolo e stata
concordata con l’ autore

prima edizione: ottobre 1988

Quest’ opera viene pubblicata con un contribute


della F IA T Auto S.p.A.

© Walter de Gruyter, Berlin 30, Genthinerstrasse 13 (1985)


© Traduzione Italiana 1988 - Vita e Pensiero - Largo A . Gemelli, 1 - 20123 M ilano
ISB N 88-343-0256-7 (brossura)
ISBN 88-343-0257-5 (rilegato)
Socrate — E per quel che riguarda i discorsi, abbiamo
scherzato abbastanza. Ma tu va da Lisia e digli che noi
due, discesi alla fonte e al santuario delle ninfe, abbia­
mo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di dire a Li­
sia e a chiunque altro componga discorsi, e ad Omero e
a chiunque altro abbia composto poesia senza musica o
con musica, e, in terzo luogo, a Solone e a chiunque in
discorsi politici che chiama leggi, ha composto opere scrit-
te, che qualora abbia composto queste opere sapendo co­
me sta il vero ed è in grado di soccorrerle quando viene
a difendere le cose che ha scritto e quando parla sia in
grado di dimostrare la debolezza delle cose scritte, ebbe-
ne un uomo di queseo genere va chiamato non con il no­
me che quelli hanno, ma con un nome derivato da ció
di cui egli si è occupato con serietá.
Fedro — E quale è questo nome che tu gli dai?
Socrate — Chiamarlo sapiente, o Fedro, mi pare trop-
po, e che tale nome convenga solamente a un Dio; ma
chiamarlo filosofo, ossia amante di sapienza, o con qual-
che altro nome di questo tipo, gli si adatterebbe meglio
e sarebbe piú adeguato.
Fedro — E non sarebbe per nulla fuori luogo.
Socrate — Invece colui che non possiede cose di maggior
valore rispetto a quelle cose che ha composto o scritto,
rivoltandole in su e in giú per molto tempo, incollando
una parte con l’altra o togliendo, non lo chiamerai, a giu-
sta ragione, poeta, o compositore di discorsi, o scrittore
di leggi?
Pía tone, Fedro, 278 B 7 - E 2.
Sommario

Introduzione di Giovanni Reale: Importanza e significato di que-


sto iibro diThomas Sziezâk su Platone 9
Catalogo ragionato dei volumi, dei saggi e delle recensioni pub-
blicati da Thomas Alexander Sziezâk (aggiornato fino al
1988) 33
Premessa 41

Introduzione 45
I. «Fedro». La critica délia scrittura 53
II. «Fedro». Lo svolgimento dei dialogo 73
III. «Eutidemo». La beffa di Socrate sulla «segretezza» 101
IV. Il «soccofso al logos» come principio strutturale dei dia­
logo platonico 121
V. «L e Leggi», libro X. Il superamento come essenza dei
«soccorso» 127
VI. «Ippia Minore». Chi inganna e chi è ingannato? 135
VII. «Ippia Maggiore». Socrate e il suo sosia. 149
V III. «Eutifrone». Inversione di marcia poco prima délia mèta 168
IX. «Liside». Il dialettico e i ragazzi 179
X. «Carmide». Il giovane e il «cattivo ricercatore» 190
XI. «Lachete». Il maestro si sottrae agli allievi 217
X II. «Protagora». Il sofista è migliore rispetto al suo libro? 228
X III. «Menone». La tendenza ad allontanarsi davanti ai mi-
steri 250
XIV. «G orgia». L ’interlocutore ideale e i piccoli misteri 264
XV. «Cratilo». Il sapere segreto dell’eracliteo 283
XVI. «Apologia» - «Critone» - «Fedone». La difesa a tre livelli 298
X V II. «Simposio». Chi è l’ amante e chi è l’amato? 334
X V III. «L a Repubblica». Non farsi scappare il filosofo. 354
Osservazioni conclusive 416
8 SOMMARIO

Appendici
I. La teoria moderna della forma del dialogo 423
II. II significato di auyypoc^fjia 463
III. Sulla «Lettera V II» 472
IV. Su alcuni passi platonici che sembrano suggerire una in-
terpretazione antiesoterica 489
V. La critica della scrittura espressa nel «Fedro», 274 B 6
- 278 E 3. Testo e traduzione 494
VI. Approfondimenti e implicanze gnoseologiche della cri­
tica della scrittura nella «Lettera Y II», 340 B 1 - 345
C 2. Testo e traduzione 506

Bibliografía e indici
I. Letteratura citata e utilizzata 521
II. Indice dei termini greci esprimenti le idee-base di que-
st’opera 531
III. Indice dei principali concetti 532
IV. Indice dei nomi e dei passi degli autori antichi citati ol-
tre Platone 536
V. Indice dei nomi degli autori moderni citati 539
VI. Indice analítico della materia trattata 543
Introduzione di Giovanni Reale

Importanza e significato di questo libro di


Thomas Szlezák su Platone

1. I I paradigma erm eneutico alternativo che apre una nuova


época degli stu d ip la ton ici

Per comprendere adeguatamente i fini che Szlezák si ripropone


e raggiunge in maniera assai convincente in questo libro su Pla­
tone, é bene che partiamo dal ragionamento di base che ha sor-
retto tutti gli studi delPetá moderna su Platone, e che si puó
riassumere in maniera quasi sillogistica nella seguente maniera
(com e abbiamo giá rilevato, a partiré dalla quinta edizione, nel­
la nostra Storia della filo s o fía antica, vol. II, Vita e Pensiero,
M ilano 1987, p. 11).
a) L o scritto é, in generale, l ’ espressione piü piena e piü signifi­
cativa del pensiero del suo autore, e quindi é il mezzo di comuni-
cazione piü attendibile e piü significativo; e, in particolare, que­
sto risulta vero per Platone, a m otivo delle sue capacita straordi-
narie non solo come pensatore ma anche come scrittore.
b) Per di piü, di Platone ci sono pervenuti tutti gli scritti che gli
autori antichi hanno citato come suoi e che vengono considerati
come autentici (caso pressoché único per un autore dell’ etá anti­
ca classica).
c) D i conseguenza, da tu tti i suoi scritti, che sono a nostra di-
sposizione, é possibile ricavare con sicurezza tutto il suo
pensiero.
In realtá, é proprio la premessa maggiore di questo ragionamen­
to che gli studi d ’ avanguardia dimostrano che non regge in al-
cun m odo, in maniera particolare per Platone, e proprio questo
libro di Szlezák, come vedremo, risulta essere un contributo es-
senziale a questo riguardo, con alcune acquisizioni di car atiere
irreversible. Quindi cade l ’ intero ragionamento di cui sopra.
10 GIOVANNI REALE

In effetti, due fattori stanno vieppiù emergendo in primo piano


contro quella premessa maggiore. 1) L a tradizione indiretta ci
attesta in una maniera irrefutabile che Platone ha professato al-
l ’ interno dell’Accadem ia «D ottrin e non scritte», differenti da
quelle contenute nei dialoghi. 2) Inoltre, Platone stesso in due
cospicui documenti, il finale dei Fedro e Vexcursus filosofico
delia Lettera V I I, ha negato che lo scritto possa essere il mezzo
di comunicazione per le verità ultimative dei filosofo, e ha anche
asserito che su tali cose un suo scritto non solo non c’ era, ma
che non ci sarebbe neppure mai stato in futuro.
Questi due fattori sono stati, malgrado la loro assai cospicua
consistenza, in modi assai vari minimizzati nel loro significato e
nella loro portata dagli studiosi moderni, che si sono ispirati,
nella maggioranza, al paradigma ermeneutico consacrato da
Schleiermacher, il quale ha aperto la grande prospettiva degli
studi moderni su Platone.
I due punti base cui la maggior parte degli studiosi moderni si è
riferita, che sono in netta antitesi con i due fattori sopra indicati
e che hanno in Schleiermacher la loro radice, sono i seguenti:
a) le dottrine non scritte di Platone, in realtà, hanno una porta­
ta minimale rispetto ai dialoghi (e quindi risultano più o meno
trascurabili); b) Platone ha dato, si, rilievo massimo ail’oraiità,
ma ha inteso i suoi scritti come una immagine adeguata délia
oralità, e con la sua arte dei dialogo si è avvicinato il più possibi-
le ad essa in m odo efficace.
Tutto cio ha consolidato la convinzione assai radicata delia au­
tonom ia e délia autarchia dei dialoghi: questi, per essere inter-
pretati e capiti a fondo, bastano a se medesimi; è sufficiente
comprendere la struttura che li configura.
Come questo paradigma, a partire dai primi anni del Novecen-
to, abbia iniziato a sfocarsi, a m otivo di una serie di articolazio-
ni che è stato necessário introdurre per cercare di risolvere una
serie di anomalie via via sorte, è una complessa questione da noi
già trattata nel volume P e r una nuova interpretazione di P la to ­
ne, Vita e Pensiero, M ilano 19875e ad esso rimandiamo (si veda
soprattutto la prima parte, passim) per le specificazioni e le do-
cumentazioni.
Qui richiamiamo solo l ’ attenzione su alcuni concetti-base.
II paradigma schleiermacheriano, ovviamente, non va identifi-
cato, come alcuni studiosi fanno, con 1*interpretazione teoretica di
IM PORTANZA E SIGN1FICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 11

Platone che o ffre Schleiermacher, bensi con il quadro ermeneu-


tico generale e con la sua struttura fórm ale, che puó riassumersi
m olto brevemente. I dialoghi platonici, come abbiamo giá sopra
ricordato, sono una espressione per eccellenza della comunica-
zione filosófica, presentando una sintesi perfetta di form a e
contenuto. Capire i dialoghi significa, quindi, capire método e
contenuto del pensiero platonico nella sua globalitá. Per questo,
i dialoghi hanno una valenzct autonom a pressoché tótale e, quin­
di, sono autarchici, bastanti a se stessi.
N on sarebbe difficile far vedere come proprio questo progetto si
sia venuto frantumando nel nostro secolo. La storia dell’ inter-
pretazione di Platone mostra, infatti, come non solo non si sia
giunti in passato a ricavare una immagine unitaria plausibile del
pensiero di Platone e dalla comunitá dei ricercatori concorde­
mente accettabile, ma come si sia giunti addirittura a negare
quell’unitá stessa del pensiero platonico, per il cui ricupero
Schleiermacher col nuovo paradigma aveva lavorato in modo
cosi cospicuo.
II punto cui oggi gli studi ispirati al tradizionale paradigma sono
giunti puó riassumersi nel m odo piú semplice: da tutte le parti
sta emergendo, in vario m odo, anche se solo da pochissimi viene
ammesso, che i dialoghi p e r essere interpretati in m odo convin­
cente non bastano a se stessi (non sono autarchici). Ogni forma
di unitá che si é cercato di daré al pensiero platonico, perianto, é
stata surrettiziamente desunta, in larga misura, dai presupposti
teoretici delFinterprete. Oppure si é cercato di imboccare la via
opposta, frammentando il messaggio platonico in forme di pro-
blematicismo piü o meno scetticheggianti. Senza parlare, poi,
delle deviazioni storicizzanti, che hanno creduto di non poter fa-
re nient’ altro che presentare Platone riassumendone i singoli
scritti secondo la presunta successione cronologica, senza prin-
cipi consolidati e senza costanti linee di forza emergenti.
Per un quadro globale della situazione emersa dagli studi plato­
nici rimandiamo ancora al nostro volume P e r una nuova inter-
pretazione di P la ton e. Qui ricordiamo solo alcuni ulteriori punti
emergenti essenziali per la comprensione del libro che pre-
sentiamo.
II primo dei fattori che sopra abbiamo ricordato come antitetici
alia premessa maggiore del ragionamento che ha sorretto gli stu­
di moderni su Platone, ossia l ’esistenza di una tradizione indi-
12 GIOVANNI REALE

retía che attesta in maniera incontestabile l ’ esistenza e i conte-


nuti delle «D ottrin e non scritte» di Platone, nel nostro secolo
portato in primo piano da L . Robin (ma lasciato poi cadere dai
suoi contemporanei e in larga misura da lui stesso) e successiva-
mente da J. Stenzel (per ricordare solamente gli studiosi più im ­
portant!), ha trovato la sua adeguata messa a punto, con l’ evi-
denziazione di tutte le sue implicanze e conseguenze, solo con gli
studiosi della Scuola platónica di Tubinga, ossia con H . Krämer
e con K. Gaiser. (D i Krämer si veda soprattutto Platone e i f o n -
damenti della metafísica, pubblicato in questa collana, 19872, da
noi tradotto e introdotto, contenente la bibliografia completa
dell’ autore; di Gaiser si veda L a metafísica della storia in P la to ­
ne, pubblicato in questa collana, 1988, da noi tradotto e intro­
dotto, con tutta la bibliografía delPautore). E in questa linea ci
siamo collocati, con una serie di prove convergenti, con il volu­
me P e r unanuova interpretazione di Platone (19875).
II secondo dei fattori, soprattutto incentrato sulFinterpretazio­
ne del finale del Fedro con una analisi completa della critica del­
la scrittura, con tutte le sue implicanze e tutte le sue conseguen­
ze, è stato guadagnato soprattutto da Szlezák, proprio nel libro
che presentiamo.
Naturalmente, l ’ autotestimonianza platónica del Fedro gioca un
ruolo essenziale negli studi di Krämer e di Gaiser e nel nostro.
M a il volume di Szlezák presenta una novità in un certo senso
globale, perché mette, per cosi dire, in parentesi la questione
delle D ottrin e non scritte, e non affronta la complessa proble­
mática della teoria dei Principi, e quindi della tradizione indiret-
ta in senso generale; ma lavora sui dialoghi e con i dialog hi, p r o ­
p rio p e r im porre e guadagnare un ’ottica interamente nuova.
Szlezák parte da dove era partito Schleiermacher e procede con
un método che potrebbe sembrare quasi schleiermacheriano,
cercando di capire i dialoghi con i dialoghi; ma perviene all’ esat-
to rovesciamento del paradigma schleiermacheriano, e giunge,
in tal m odo, a convergere pienamente con il paradigma alterna­
tivo proposto dalla Scuola platónica di Tubinga e che anche noi
difendiamo in m odo sistemático.
G li scritti p la ton ici non bastano a se stessi e non son o, quindi,
autarchici. L a critica dello scritto fatta da Platone nelle autote-
stimonianze del Fedro diventa in tal m odo, interpretata in ma­
niera storica e oggettiva, il canone ermeneutico fondamentale
IM PO RTANZA E S1GNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 13

per leggere e capire Platone (e si noti: per capire Platone proprio


con Platone stesso). E se vengono riletti in quest’ ottica, ciascu-
no e tutti i dialoghi di Platone, a partiré da quelli della giovinez-
za, essi si rivelano come una clamorosa riconferma della tesi del
Fed.ro, in quanto risultano costituire una messa in atto della cri­
tica della scrittura in una maniera artística assai efficace. O gni
parte di uno scritto p la ton ico ha f u o r i di sé una sua spiegazione
e giustificazione fondativa, in una parte successiva dello stesso
dialogo, oppure in un altro dialogo, e, al limite, p e r le fon d a zio-
ni ultimative, ogni dialogo ha il suo fu lc ro nelle dottrine non
scritte.
M a vediamo in concreto e piü da vicino alcuni punti essenziali
del libro di Szlezák.

2. Struttura e situa zion e-d i-«soccorso» com e Schema dramma-


turgico di base dei d ialoghip la ton ici

Abbiam o sopra detto che Szlezák, in questo libro, non si occupa


espressamente delle D o ttrin e non scritte di Platone, ossia non ri-
costruisce la dottrina orale dei Principi primi e supremi e i suoi
precisi nessi con i dialoghi, perché lavora pressoché esclusiva-
mente sui dialoghi medesimi, e quindi si muove sul terreno pro­
prio dell’ ermeneutica schleiermacheriana, ossia rileggendo la
form a dei dialoghi medesimi non come estrinseca veste poética,
bensi come medíazione strutturale essenziale dei contenuti. M a
abbiamo gia rilevato che, proprio operando in questo modo,
Szlezák guadagna in una maniera veramente imponente un ro-
vesciamento totale p ro p rio del paradigma ermeneutico schleier-
macheriano.
Come Szlezák raggiunge concretamente questi risultati?
N on solo il m odo di procedere in generale, come abbiamo sopra
notato, ma lo stesso punto di partenza é il medesimo da cui era
partito Schleiermacher, ossia la «critica della scrittura» che Pla­
tone fa nel Fedro; ma Szlezák ne fornisce una analisi e una inter-
pretazione incomparabilmente piü precisa e piü adeguata dal
punto di vista storico-filosofico. Infatti, interpretando questa
«critica della scrittura», proprio su basi oggettive incontroverti-
bili, in m odo opposto a quello di Schleiermacher, Szlezák dimo-
stra come essa costituisca un vero e proprio p rog etto globale di
Pla ton e com e scrittore e com e filo s o fo , e fa vedere come tutti i
14 GIOVANNI REALE

dialoghi, giá a partiré dai primi, non siano se non una precisa at-
tuazione e concreta espressione delle idee di base di questa gran­
diosa autotestimonianza, che non é affatto una tarda riflessione
di un autore esperto e forse ormai rassegnato, ma, appunto, é la
convinzione di fo n d o che ha guidato tutta la sua attivitá di scrit-
tore e di filo s o fo .
Dunque, la prova che emerge chiaramente dalle analisi di Szle-
zák incentrate soprattutto sui dialoghi della giovinezza e della
maturitá (pero con una cospicua puntata anche sul décimo libro
delle L egg i), é la seguente: P la t one, dal prin cip io alia fin e della
sua opera, ha messo in atto i concetti base della critica della
scrittura e della concezione del filo s o fo quali aveva espresso ap­
p u n to neirautotestimonianza del Fedro.
L a «critica della scrittura» del Fedro é ben lungi dalPessere una
teoría del dialogo in generale inteso come adeguato strumento di
comunicazione indiretta della filosofía, come Schleiermacher ed
altri con lui hanno inteso, ma é, senza eccezioni, una critica di
tutte le fo r m e della scrittura (e, quindi, anche del dialogo scrit-
to), a causa della strutturale debolezza che ogni fo rm a di scrittu­
ra ha per la comunicazione della conoscenza. Di conseguenza, la
«critica della scrittura» presentata nel Fedro é una inequivocabi-
le afferm azione di una netta preminenza dell’ oralitá.
A d un tempo, pero, questa autotestimonianza puntualizza, in
positivo, anche il m odo in cui il filo s o fo , com e dialettico, faccia
uso dei suoi discorsi (scritti e orali) p er comunicare la conoscen­
za filoso fica , e p e r raggiungere la medesima.
I termini della contrapposizione che Platone istituisce fra il di-
scorso scritto e quello orale sono ben noti: il discorso scritto (an­
che se fatto da chi sa) resta immobile e privo di vita, é mera im-
magine sbiadita del discorso orale, non é capace di creare la me­
moria ma solo di richiamare alia memoria cose apprese per altra
via, crea pura dossosofia ossia pura conoscenza opinativa e
quindi non chiara e instabile, non sa parlare con chi bisogna
parlare o tacere con chi bisogna tacere, non é in grado di portare
«so cco rso » a se medesimo; il discorso orale di chi sa é, invece,
vivo, capace di comunicare conoscenze chiare e stabili, sa con
chi bisogna parlare e con chi bisogna tacere, sa portare adeguato
«so cco rso » a se medesimo. Inoltre lo scritto é un «g io c o », con-
dotto mediante mere narrazioni di storie e puó essere, quando
venga fatto con giusta arte, anche bello; il discorso orale impli-
IM PO R TAN ZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 15

ca, invece, massima serietá, método dialettico, e, quindi, é mol-


to piü bello dello scritto. L o scritto ha sempre earattere artificio­
so ed infecondo come lo hanno i «giardinetti di A d o n e », ossia
quei modi di seminare in piena estáte semi in piccoli recipienti e
farli crescere in pochi giorni; i quali semi, pero, seminati appun-
to in luoghi non giusti e fatti nascere in tempi assai brevi, produ-
cono pianticelle che súbito avvizziscono e non producono frutti.
II discorso órale é, invece, come un’ opera simile a quella che fa
l ’ agricoltore esperto, che semina il seme che gli interessa nel luo-
go giusto e secondo un ritmo e un ciclo di tempo giusti, e cosi ot-
tiene la sua nascita, la sua crescita e i suoi frutti.
In questo m odo, emerge con chiarezza l ’ immagine del filosofo.
Essa ha come tratto distintivo il «discorso órale» che fa colui
che sa sulle cose che maggiormente gli stanno a cuore nel luogo
giusto e nel m odo giusto.
Chi avesse scritto solamente dei libri, non sarebbe, in ogni caso,
filosofo, perché le cose di maggior valore, per i motivi detti, non
si mettono per iscritto. In altre parole, chi non ha «co s e di mag­
g io r va lore» rispetto a que lie che ha messo p e r iscritto, non é f i ­
lo s o fo .
Per conseguenza, chi é vero filo so fo agisce in maniera sovrana
nei confronti dei suoi scritti, perché, in ogni caso, é in grado di
venire in soccorso ad essi e di mostrare la lo ro debolezza rispetto
alie «co s e di m aggior va lore», che egli tiene sempre in serbo. II
che non vuol dire che gli scritti siano sempre e solo cose deboli
(cpocüXa), ma che sono «p iü d eb oli», ossia « d i minor valore» ri­
spetto alie cose di «m aggior valo re» che il filosofo tiene in serbo
nella dimensione delPoralitá.
É evidente che, nel contesto di questa assai complessa concezio-
ne, ogni concetto particolare deve essere coito e meditato con
molta attenzione, e Szlezák ha puntualmente esaminato e inter-
pretato i concetti generali e particolari in m odo veramente egre­
gio, nel corso del primo capitolo (pp. 53-72).
Ecco quali sono i concetti che a questo riguardo si impongono
come punti chiave: a )fü filo so fo é colui che é in possesso di « c o ­
se di maggior valo re», e appunto di queste egli si avvale, per
portare soccorso ai suoi discorsi in generale e ai suoi scritti in
particolare. b) Inoltre, il filo so fo , in ogni caso, nella comunica-
zione delle veritá filosofiche sceglie gli interlocutori idonei e le
anime adeguate; e alia capacita e alia statura di queste commisu-
16 G IOVANNI REALE

ra la portata della comunicazione. c) II método per eccellenza


che caratterizza il filo so fo consiste nella dialettica: il filosofo é il
dialettico.
A llora, ecco il punto cardine sul quäle il lettore deve accentrare
la sua attenzione per capire il libro di Szlezák. Se il filo s o fo é co-
lui che non m e ttep er iscritto le «co s e di m aggior va lore», allora
i dialoghi di Pla ton e non contengono p er definizione, ossia in
quanto sono scritti (e quindi come tutti quanti gli scritti hanno
una carenza strutturale), p ro p rio le sue «co s e di m aggior valo­
r e » nelsenso ultim ativ o, ossia p ro p rio cid che rende filo s o fi.
M a, se cosi é, come é possibile individuare e comprendere queste
«cose di maggior valore»?
L a risposta ultimativa sarebbe, naturalmente, questa: le cose di
maggior valore sono quelle che noi conosciamo dalla tradizione
indiretta sulle D o ttrin e non scritte. Ed é appunto questa lä ri­
sposta che hanno dato Krämer e Gaiser, e che anche noi abbia-
mo dato nel volume P e r una nuova interpretazione di Pla ton e,
sopra citato.
M a la via che qui batte Szlezák, pur pervenendo implicitamente
a queste conclusioni (oppure addirittura esplicitamente, ma in
maniera marginale), intende rimanere sul piano dei dialoghi, in
m odo da verificare in che misura il giudizio sulla scrittura e l’ im-
magine del filo so fo del Fedro trovino conferma globale e siste­
mática nei dialoghi medesimi, senza eccezione.
In questo m odo, Szlezák pone due problemi fondamentali, ai
quali Tintero suo libro da una precisa risposta.
A ) Incominciamo dal primo di questi problemi. 1 dialoghi of~
fro n o , di fa tto , concrete esemplificazioni del «p o rta re soccor-
so» che é d efin itorio del filo s o fo ? Scrive l’ autore: « L a domanda
decisiva dovrá allora suonare cosi: che cosa intende Platone con
“ soccorso” che solo il filosofo é in grado di portare, al di fuori
della parte conclusiva del F e d r o l» (p. 69).
La risposta di Szlezák é questa: Platone intende esattamente
quello che nei vari dialoghi fa fare a Socrate, in quanto Socrate
é appunto la personificazione del filosofo-dialettico. Infatti le
strutture concettuali che emergono nel portare «so cco rso » ad un
«d iscorso» da parte di colui che sa, ossia da parte del filosofo,
sono le stesse sia n ell’orale che nello scritto, e, dunque, é la stes-
sa capacita di fondo che opera, sia che il « filo s o fo » venga in
IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 17

soccorso ad una esposizione orale, sia che venga in soccorso ad


una scritta; pertanto «anche le strutture concettuali che emerge-
ranno dovranno essere le stesse, e lo stesso sará il rapporto fra il
“ discorso” che necessita di soccorso e quello che gli viene in
soccorso» (p. 69). Dunque, i dialoghi mostreranno effettive si-
tuazioni in cui Socrate filosofo-dialettico esplica e attua la sua
capacita di portare soccorso a sé e al suo discorso.
In tal m odo, dalle concrete dimostrazioni di Szlezák emerge con
tutta chiarezza che i dialoghi posseggono addirittura in maniera
strutturale « la situazione-di-soccorso (¡3or¡9eia) ... guale schema
dramm aturgico di base» (p. 70). Pertanto, l ’ esame analítico del­
la struttura-soccorso secondo cui sono impostad i dialoghi e r e ­
same del concetto delle «cose di maggior valore» e del suo ruolo
diventano essenziali ai fin i di una rilettura degli scritti p la ton ici
in quest a nuova ottica.
Evidentemente, i dialoghi, sia pure nella loro form a di struttura-
soccorso, sono, in ogni caso, degli scritti, e come tali hanno bi-
sogno, come ogni altra form a di scrittura, di un ulteriore soc­
corso, che, per principio, essi non possono contenere, appunto
perché sono scritti; tuttavia, dice giustamente Szlezák (e lo di-
mostra passim), «/ dialoghi, p e r mezzo della loro propria strut­
tura-soccorso, contengono una anticipazione esemplare del soc­
corso di cui necessitano. II “ soccorso” di Platone per quanto ha
scritto ci manca — e ci deve mancare — : tuttavia i processi e le
strutture in cui questo aiuto si dovrebbe realizzare (e in cui si
realizzó certo nell’Accadem ia) puó essere offerto, in form a ana­
lógica, dai dialogh i» (p. 70).
B) In stretta connessione con questo primo problema, si pone
questo secondo problema, pure essenziale: i dialoghi o f f roño
solo esempi fo rm a li del m odo di procedere del filo s o fo , oppure,
almeno p e r cenni, alludono anche ai contenuti che possono p o r ­
tare soccorso ai discorsi, alia lo ro natura e al loro significato? I
dialoghi «p erm etton o di riconoscere se e p er che cosa essi hanno
bisogno o necessitá di ricevere un completam ento ed un appro-
fon d im en to, analogamente ai casi di soccorso (¡3or¡0sLa) presen-
tati da S ocra te?» (p. 70).
E la risposta di Szlezák anche a questo problema é ben precisa:
tu tti quanti i dialoghi sono ricchi di spunti e di accenni, che indi-
18 GIOVANNI REALE

cano la necessita di una ulteriore fondazione. Precisa il nostro


autore: «C o m e secondo compito, quindi, si prospetta la deter-
minazione dei passi dei dialoghi aventi queste caratteristiche, la
descrizione di ció che in essi è tipico, la comprensione della loro
funzione drammaturgica e l ’ utilizzazione dei loro rimandi, in
certi casi per niente enigmatici, al contenuto di ció che manca al
d ia lo go » (p. 71).
Come il lettore avrà giá ben compreso, quella che viene propo­
sta da Szlezák è un’ ottica del tutto nuova, la cui importanza ri-
sulta veramente cospicua.
M a come mai, in passato, nessuno si era proposto questi proble-
mi in questo modo? L a risposta a questa domanda, dopo quan­
to abbiamo detto, è, ormai, facilmente determinabile: il para­
digma ermeneutico schleiermacheriano procedeva secondo
un’ ottica opposta, e nel quadro categoriale di quell’ ottica tali
problemi non avevano un senso. N on solo per risolvere, ma an­
che per il solo sollevare e proporre questi problemi, sarebbe sta-
to, infatti, necessário ridare alYesoterica platónica, tanto abor-
rita dallo Schleiermacher, la sua antica statura ed il suo autenti­
co significato.
Ed è appunto di questo che ora dobbiamo parlare.

3. L *oggettivo ricupero sto rico -filoso fico delV «esoterica »


platónica

II m odello interpretativo dello Schleiermacher presuppone come


sottofondo una globale negazione della esoterica platónica. E
cosi è stato, in effetti, anche per la maggioranza degli interpreti
moderni, che, per lo piú, hanno inteso I’ esoterica in senso nega­
tivo, e, di conseguenza, sono stati costretti a rifiutare in tutti i
modi che Platone la professasse.
È ben vero che, in passato, non sí era saputo ricostruire la di­
mensione e la configurazione storica di questo aspetto del pen-
siero platonico in m odo corretto e con i piü adeguati metodi
scientifici; ma con Krämer e con Gaiser le cose sono radicalmen­
te cambíate e tutti i documenti storici che lo comprovano sono
stati sistematicamente raccolti, studiati e interpretati nel modo
piü rigoroso possibile.
Eppure, malgrado questo, si è verifícala una vera e propria si-
tuazione di blocco pregiudiziale, e si è cercato in vario m odo di
ribadire un pregiudizio globalmente negativo su ogni interpreta-
IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 19

zione di Platone che implichi una esoterica, anche nella nuova


form a proposta (ma per lo piü non compresa) dagli studiosi di
Tubinga,
Krämer e Gaiser hanno cercato, in tutti i modi, di spiegare che
per «esoteriche» si intendono quelle dottrine che Platone ha
mantenuto come «intraccadem iche» («innerakadem isch»), os-
sia che ha sviluppato solo nell’ ámbito della ristretta cerchia dei
discepoli, e precisamente solo per quei discepoli che, messi rigo­
rosamente alia prova, in generale e in particolare, dopo una lun-
ga preparazione condotta a diver si livelli, dimostravano la capa­
cita di comprenderle ed assimilarle in m odo adeguato. Si tratta,
pertanto, di una «esoterica» che non ha nulla a che vedere con la
artificiosa «segretezza» praticata in gruppi religiosi o in leghe
settarie politiche. M a le precisazioni di Krämer e di Gaiser non
sono bastate, e i piu hanno continuato a intendere il dialogo pla­
tónico come negazione dell’ esoterica.
Ebbene, proprio su questo punto il libro di Szlezák viene a rove-
sciare i termini del problema, in quanto di mostra addir it tura che
p ro p rio i dialo ghi stessi sono un p u n to fó ca le p er la comprensio-
ne del significato e del la dimensione della esoterica platónica.
Intanto, Szlezák spiega m olto bene che differenza c’ é fra «esote­
rica» e «segretezza», e precisa quanto segue: «P e r capire Plato­
ne è, anzi, decisivo cogliere la differenza fra segretezza ed esote­
rica» (p. 484). L ’ esoterica platónica era legata ai contenuti dot-
trinali e alia capacitó delVapprendimento di questi contenuti da
parte degli aspiranti ai medesimi: egli non volle mettere per
iscritto e non avrebbe voluto che neppure altri mettessero certe
sue dottrine per iscritto (ossia i fondamenti ultimativi del suo
pensiero), e volle comunicarle solamente a coloro che giudicava
capaci di comprenderle con opportuni metodi didattici nella di­
mensione delPoralità per ragioni di carattere teoretico ed etico-
educativo. Di tutt’ altra natura er ano, invece, le segretezze delle
conventicole religioso-politiche, che non erano affatto interessa-
te al rapporto fra il contenuto e le capacité di recepirlo di chi in-
tendeva apprendere, bensi erano interessate al p rivilegio che
quel sapere garantiva al gruppo che lepossedeva, e quindi erano
legate al p o te re .
Inoltre, la segretezza si fondava su giuramenti e su precisi obbli-
ghi ad essi legati, e chi li trasgrediva veniva punito, in quanto,
diffondendo la dottrina, danneggiava la comunità e il suo pote-
20 GIOVANNI REALE

re. Invece, l ’ esoterica platónica non implicava vincoli di quel ge­


nere e conseguenze analoghe, e chi diffondeva conoscenze esote-
riche non danneggiava la comunitá (nel suo potere e nella sua in­
fluenza), ma la dottrina stessa e se medesimo: « I I sapere esotéri­
co non é un mezzo della sete di potere, ma é un fine a se stesso.
L ’ esoterica é orientata alPoggetto, la segretezza al potere» (p.
486).
Insomma, Fesoterica platónica, a m otivo della d ifficoltá che im ­
plica Foggetto supremo della filosofía e la raritá delle nature fi-
losofiche degli uomini, esigeva che si scegliessero le nature ido-
nee e che si escludessero dalla filosofía quelle non idonee, par­
lando con chi si deve parlare e tacendo con chi si deve tacere.
Evidentemente, questo risulta assai disturbante per lo spirito
dell’uomo moderno, che per molteplici ragioní é rivolto a finali-
tá in certo senso opposte. Oggi non é pensabile che una persona,
specialmente se importante, diffonda pubblicamente solo una
parte della sua opinione, e che mantenga un rigoroso riserbo
proprio su quelle cose che per lui sono di maggior valore. M a, se
si vuole capire Platone, bisogna cercare di rientrare nella sua di-
mensione storico-culturale, e non cercare di far rientrare quella,
a tutti i costi, nelle dimensioni delPuomo, di oggi, e quindi biso­
gna cercare di non ritenere i criteri di giudizio delFuomo di oggi
come gli unici criteri con cui giudicare in assoluto.
M a il punto piü importante che, a questo proposito, emerge dal
libro di Szlezák, sta proprio nella evidenziazione della com po­
nente esoterica, intesa nel m odo precisato, come cifra addirittu-
ra emblemática degli stessi dialoghi di Platone. Nei suoi scritti
Platone « f a continuamente i conti con la possibilitá che una per­
sona che sta dialogando possa portare in evidenza ed esprimere
solo una parte del suo sapere e delle sue opinioni» (p. 45). E,
quindi, é naturale, per Platone, che Finterlocutore «nasconda»
le cose che per lui sono essenziali.
Di piü, rileva Szlezák, il rimprovero che Platone « f a ai suoi in­
terlocutor! di tener nascosto Fessenziale é cosi onnipresente che
sembra quasi non faccia differenza a chi lo rivo lga » (pp. 45 s.),
tanto é vero che oggetto di tale rimprovero puó essere il grande
Protagora cosi come lo sciocco Ione, il giovane Crizia di belle
speranze e gli eristi Dionisodoro ed Eutidemo, e cosi via.
E, in tal m odo, il trattenersi dal dire alcune cose, ossia il tenerle
nascoste com e caratteristica del filo s o fo , viene utilizzato non so-
IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 21

lo in positivo, per ridare la giusta fisionomía al vero filosofo,


ma anche in negativo, per far apparire irónicamente in tutta la
sua povertá e meschinitá chi non é filosofo.
Cosí accade, per esempio, nell’ interpretazione delVEutidemo,
che per la prima volta assume la statura di un grande dialogo co-
mico che gli compete, e di cui Szlezák fornisce la piü convincen­
te interpretazione che finora é stata proposta. í poveri due fra-
telli Dionisidoro e Eutidemo, che sono autentici avventurieri in
filosofía, e che non hanno null’ altro da dire oltre ai loro vacui
giochi di insignificante eristica, vengono cómicamente rimpro-
verati di non dire e di tenere segrete le cose piü importanti, di
cui, evidentemente, essi non posseggono nemmeno l’ ombra. E
Socrate che, invece, avrebbe cose di maggior valore di cui parla­
re, le quali risolverebbero certi problemi sollevati, non solo le
tace davvero, ma rimprovera proprio gli altri, che non sanno se
non quello che hanno detto, di tacere e nascondere le cose piü
importanti.
Naturalmente, su questo punto potremmo molto diffonderci.
M a quanto abbiamo detto basta per far capire al lettore che que­
sto ribaltamento delPesoterica platónica in senso positivo e l’ in-
dividuazione di essa come cifra dei dialoghi costituisce uno dei
punti piü belli e piü importanti del libro di Szlezák.

4. I dialoghi p la ton ici sono «auyypáix¡±a'za» e quindi vengono


criticati da Pla ton e com e tutte le altre fo rm e di scrittura

Naturalmente, come abbiamo precisato nel volume P e r una


nuova interpretazione di P la ton e, l ’ autotestimonianza del Fe-
dro, con la sua massiccia critica alia scrittura, costituiva uno di
quelli che, con le categorie concettuali dell’ epistemología con­
temporánea, si possono chiamare «co n tro fa tti», che minano al­
ia base il paradigma proclamante Pautosufficienza e Pautarchia
degli scritti platonici. Soprattutto dopo il ricupero dell’ autenti-
citá e le analisi della Lettera V I I , che nel suo excursus filosofico
riprende e approfondisce alcuni concetti della critica della scrit­
tura del Fedro, si é cercato di «ri-fa re » e di «a rte-fa re» il contro-
fatto, in m odo da poterlo far rientrare nel quadro del paradig­
ma di base. Ebbene, il Fedro in riferimento alio scritto usa acci­
dentalmente il termine auy^pafi^a (277 D 7; 278 C 4), mentre ta­
le termine é centrale nelPexcursus della Lettera V II, dove Plato-
22 G IOVANNI REALE

ne dice, appunto, che un aúyypafjifxa sulle cose che per lui sono
di maggior valore, ossia sui Principi primi e supremi, non solo
non c’ è, ma non ci sarà mai (341 C 4-5). Il che significa un ver-
detto categórico contro l ’autarchia degli scritti.
E a questo punto, per salvare il paradigma tradizionale e artico-
lare questo controfatto in m odo da togliergli proprio la «con tra­
rié té », è stata proposta questa soluzione: i auyypajx^axa sono
manuali, scritti dottrinali sistematici e non coincidono con i dia-
loghi. Pertanto, ció che Platone ha detto contro lo scritto non
puó valere contro i dialoghi, ma solo contro gli scritti sistematici
in form a manualistica.
È appena il caso di ricordare che la soluzione di questo proble­
ma ha convinto quasi tutti, compresi studiosi — ricorda Szlezàk
— délia statura di Jaspers, Düring, Gadamer, Guthrie, e molti
altri ancora. Ció non deve stupire, e chi rileggerà i rilievi che sul­
la base dell’ epistemología di Thomas Kuhn abbiamo fatto nel
nostro P la ton e, si renderá perfettamente conto che questo rien-
tra nel tipico procedimento dell’ evolversi delle ricerche sciéntifi-
che, secondo i suoi canoni e i suoi ritmi. Infatti, quando un pa­
radigma ermeneu tico ha guadagnato Padesione délia comunità
scientifica, articola i fatti e le catégorie concettuali con grande
inventività ed efficacia, fino a che il paradigma non venga ad
esaurirsi nel suo complesso.
M a anche su questo punto Szlezák apporta uno dei suoi più co-
spicui contributi, dimostrando l ’impossibilità storica oggettiva
di articolare il fatto di cui stiamo parlando in quel m odo, per il
m otivo che già gli autori antichi hanno chiamato il dialogo p la ­
tónico p ro p rio con il termine avjypocjjijjia (addirittura 1’ aut ore
della Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone), e dimostran­
do inoltre che auyypa^pia non vuole affatto dire «trattato dot-
trinale», «manuale sistemático», come comprova Puso che gli
autori greci fanno di questo termine.
Le pagine che concernono questo complesso e importantissimo
problema si troveranno soprattutto nelle appendici (particolar-
mente nelPAppendice 11, passim). Szlezák ha scelto questo crite­
rio, al fine di tenere un poco al margine la Lettera V II, perché la
tesi di fon do del suo libro reggerebbe perfettamente anche se,
per ipotesi (naturalmente, data ma non ammessa), la Lettera
V II, accettata ormai da quasi tutti gli studiosi come autentica,
tornasse ad essere atetizzata (cfr. Appendice III).
IM PO R TANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 23

M a giá nel capitolo sul Fedro egli rileva assai bene che il concet­
to di «m an u ale» é del tutto estraneo alia critica della scrittura,
dove si parla, invece, di due tipi di ben distinti «discorsi»: quelli
scritti in generale, da un canto, e quelli orali, dall’ altro, i primi
scritti su rotoli di carta, i secondi, invece, scritti nelle anime. Or-
bene, nello scritto in generale di cui tratta il F ed ro, entra tutto
ció che in Grecia era stato composto per iscritto, e non solo in
prosa, ma altresi in poesia, senza alcuna eccezione. Evidente­
mente, in una critica alia «scrittura» cosi globale come é fatta da
Platone nel Fedro, rientrano senza possibilitá di dubbio anche i
dialoghi (addirittura Platone fa cenno persino alia trattazione
della Repubblica, come di recente é stato dimostrato su precise
basi filologiche). Per non rientrare nella critica della «scrittu­
ra », i dialoghi dovrebbero essere qualcosa che si differenzia da
ogni form a di scrittura, sia in poesia sia in prosa, il che é, ovvia-
mente, impossibile.
N elle appendici, poi, Szlezák dimostra che in greco auyYpocfjifjia é
qualcosa che non si oppone affatto al dialogo in nessuno dei te-
sti pervenutici, bensi al poem a, scritto in versi. Talora aúyypa¡x-
[xoc indica (perfino in Platone, Leggi, 858 C 10) addirittura an­
che lo scritto in poesia. Perianto, si verifica proprio il contrario
di quella restrizione che si richiederebbe, invece, come necessa-
ria per eliminare quel controfatto di cui stiamo parlando.
Oltre alia Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone, Szlezák ri-
porta altri autori greci, alcuni dei quali molto dotti e informati,
che indicano i dialoghi di Platone appunto con il termine aúy-
YpapLfxa, come Isocrate, Diogene Laerzio, Temistio e Proclo,
nonché M arcellino e Filone di Alessandria.
D opo tutto questo, l ’ afferm azione che Platone fa nella Lettera
V I I si impone veramente come categórica: « .. . si deve conclude-
re che, allorché si vedono opere scritte di qualcuno, siano leggi
di legislatore o scritti di qualsiasi altro genere, le cose scritte non
erano, per questo autore, le cose piü serie, se egli é serio, perché
queste stanno riposte nella parte piü bella di lu i» (344 C 3-7). E
questo significa che, sulle cose «piü serie», chi é «s e rio » non
compone degli scritti; e, si badi, non solo non compone scritti di
un certo genere, ma di qualunque genere essi siano.
L a «scrittura» della filosofía dei dialoghi di Platone si pone,
dunque, in maniera non differente rispetto a quella in cui si po­
ne ogni form a di scrittura, entro quei precisi limiti stabiliti da
24 GIOVANNI REALE

Platone nelle pagine finali del Fedro. E queste conclusioni di


Szlezák con le relative prove vanno considerate come un guada-
gno ormai irreversibile nelle ricerche platoniche.

5. Ristrutturazione radicale del criterio storico-genetico e il ri-


cupero d ell’unita di fo n d o del pensiero platonico

A H ’ interno del paradigma delPautarchia dello scritto platonico


a partiré da K .F. Hermann (1839) si é imposto in una maniera
via via sempre crescente il criterio che mira a stabilire la crono­
logía dei dialoghi e, quindi, la genesi e lo sviluppo del pensiero
platonico.
Questo — si noti — non costituiva affatto un rovesciamento del
paradigma di Schleiermacher, il quale aveva cercato di ricostrui-
re una unitá sistemática predeterminata e attuata da Platone se-
condo un piano protrettico-pedagogico. Costituiva, invece, la
soluzione di un «p u zz le » (per usare la terminología di Kuhn) al-
1’ interno del quadro categoriale paradigmatico, e ha contribuito
a daré al paradigma di base una credibilitá assai piü marcata.
M olte delle difficoltá che nei dialoghi di Platone hanno radici
nella limitatezza strutturale che per lui ha la scrittura nel comu­
nicare il messaggio filosofico nei suoi fondamenti, e il differente
taglio che in ogni caso la comunicazione viene ad assumere nei
confronti delle differenti capacita degli interlocutori, sono State
trasposte dagli interpreti su un piano storico-genetico, i quali
hanno cercato di risolvere tutta una serie di aporie dando una
valenza ermeneutica essenziale alia determinazione del momen­
to di composizione dello scritto.
Su questo, evidentemente, ha avuto molto influsso la convinzio-
ne dell’ uomo moderno circa l ’utilitá della scrittura, che non é
affatto quella di Platone. E ha giocato un ruolo determinante
altresi la convinzione conseguente che un autore proietta sulla
carta tutto ció che via via scopre di nuovo, dando come per
scontato a priori che P ultimo scritto di un autore contenga il
punto estremo da lui raggiunto nelPevoluzione del suo pensiero.
In tal m odo, la questione della cronología dei dialoghi si é im po­
sta come questione di grande urgenza nel secolo scorso, cosi co­
me anche nel nostro. Ricordiamo un passo assai significativo
(che abbiamo giá richiamato nella Storia della filo s o fía antica,
IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 25

vol. II, p. 4 15) di Theodor Gomperz, che sul finire dell’ Otto-
cento, nei suoi celebri Griechische Denker, riassumeva in una
maniera veramente emblematica questa istanza: «Accordiam o-
ci per un momento il lusso di un bei sogno. Supponiamo che
uno degli intimi di Platone, per esempio suo nipote Speusippo
(...), avesse fatto quello che non gli avrebbe richiesto più di un
quarto d ’ ora dei suoi ozi, e ehe lo avrebbe reso inestimabil-
mente benemerito delia storia delia filosofia: ehe avesse, cioè,
segnato su una tavoletta Pelenco, per ordine di data, degli
scritti di suo zio, e ehe una copia di tale elenco fosse pervenuta
fino a noi. Possederemmo, in tal caso, 1’ ausilio migliore per lo
studio dello svolgimento spirituale di P laton e» (traduzione ita­
liana, Pensatori greci, vol. I l l , p. 49).
Ebbene, la critica della scrittura ehe fa Platone e il suo giudi-
zio circa la limitata portata delia capacità delia scrittura di ai-
tuare la comunicazione dei messaggio filosofico nei suoi punti
essenziali, rovescia le conclusioni di coloro ehe hanno puntato
sul canone ermeneutico storico-genetico, e ehe Gomperz rias-
sume nel passo riportato.
In effetti Platone non ha mai avuto 1’ intento «d i consegnare
alia scrittura il punto estremo dei pensiero ehe egli aveva di
volta in volta raggiunto» (p. 416), proprio a m otivo dei suo
giudizio negativo delia scrittura sui rotoli di carta, e quindi
non c’ è stato per lui alcuno stimolo a pubblicare, e meno ehe
mai un bisogno di pubblicare quale Puom o di oggi sente; anzi,
egli senti alcuni stimoli esattamente opposti a quelli che 1’ uo-
mo moderno prova. Scrive Szlezák: «S e Platone non era co-
stretto a pubblicare il più velocemente possibile il risultato di
volta in volta più recente — se, in altre parole, non stava sotto
la legge del “ pubblica o sei perduto” — , allora perdono molto
della loro forza di persuasione gli argomenti storico-evolutivi
che fanno i conti su un completamento successivo dell’ opera
scritta che corre in parallelo alle più recenti acquisizioni del-
l ’ autore. Può essere perfeitamente giusto dire che VA p olog ia
precede il Fedone\ solo che essa non lo precede perché non cono-
sce ancora la dottrina dell’ immortalité. Sara meglio ehe l’indagi-
ne cronologica del corpus platonico rinunci a siffatti confronti di
contenuto. Forse in futuro una raffinata statistica linguistica o f­
frira la soluzione. M a si tratta di una soluzione ehe, comunque, è
di minore urgenza di quanto credeva il X IX secolo; per un autore
GIOVANNI REALE
26

che non é solito proiettare la propria anima direttamente sulla


carta» (p. 418).
M a a questo riguardo il libro di Szlezák va ancora oltre, in
quanto dimostra che é la struttura stessa dei dialoghi platonici a
imporre una radicale reinterpretazione di questo problema. I
dialoghi sono, infatti, fortemente selettivi per quanto concerne
la misura in cui un problema viene impostato e nella misura in
cui vengono chiamati in causa elementi necessari per risolverlo.
E, questo, é dovuto proprio alia natura e alia statura spirituale
deirinterlocutore. Come ben stabilisce Platone, appunto nel Fe-
d ro y colui che sa (il filosofo-dialettico) seleziona quello che dice
in base appunto alia persona con cui discute, e tace su certe cose
secondo che la natura di questapersona lo esiga, E, perció, uno
scritto non esprime mai il sapere del protagonista (Socrate-Pla-
tone) nella sua globalitá e attualitá, ma lo esprime solamente
nella p rop orzion e che richiede il rapporto dialogico con Vanima
del deuteragonista. E, di conseguenza, anche la struttura del
«so cco rso » rimane predeterminata in maniera graduata, senza
contare che il soccorso ultimativo non compete in ogni caso alio
scritto, ma solamente all’ oralitá dialettica.
E, cosi, la grossa questione dell’ evoluzione di Platone viene ad
assumere una dimensione del tutto nuova, e, in particolare,
emerge con tutta chiarezza che Vunitá e lo spessore del pensiero
di Pla ton e sono ben diver si da quelli che in passato si é creduto
di p o te r ricavare con i criteri storico-evolu tivi applicati nel qua-
dro categoriale del paradigma tradizionale.
L ’eccezionalitá di Platone e il suo giudizio sulla scrittura, che
costituiscono in larga misura un unicum , impongono una m odi­
fica dei canoni ermeneutici, e Szlezák offre, anche in questo sen-
so, contributi essenziali.

6. A lcun e considerazioni epistemologiche sul libro di Szlezák

Szlezák, come giá sopra abbiamo rilevato, ha cercato di non


chiamare in causa le D ottrin e non scritte in maniera determinan­
te, al fine di dimostrare la coerenza dell’opera platónica dal
nuovo punto di vista, che presenta rigorosamente basandosi sui
soli testi platonici, anche se si congiunge perfettamente con la
dimostrazione della coerenza deiropera platónica che si guada-
gna pariendo dalle D ottrin e non scritte, come hanno fatto gli
IM PO RTANZA E SÍGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 27

studiosi di Tubinga, e ora abbiamo fatto anche noi. Tuttavia


Szlezák riconosce come «Pinteresse di una parte dei lettori si tra-
sformi subito in rifiuto, non appena si sia detto che la consueta
esecrazione delPesoterica platónica che si é diffusa sin dai tempi
di Schleiermacher non fa parte delle premesse di questo la v o ro »
(p. 42). E precisa che molti studiosi finora non hanno saputo as-
sumere una posizione imparziale sulla problemática della critica
della scrittura e sulla sua valutazione in Platone, e che la violen­
ta reazione polémica suscitata negli anni Sessanta da Krämer e
da Gaiser é stata notevole.
Szlezák esorta pertanto i lettori a giudicare in maniera adeguata
ció che Platone intende dire quando afferm a che solo colui che
dispone di «cose di maggior va lo re » di quelle che ha messo per
iscritto merita il nome di filosofo. Queste parole vanno intese
non dogmáticamente a priori in senso antiesoterico, ma solo do -
po un attento esame del testo primario e del suo contesto nell’ ot-
tica di tutti quanti i dialoghi nel loro insieme.
Szlezák rile va, infine, che dal lettore non pretende un giudizio
positivo a priori a favore delPesoterica, ma pretende solamente
una sospensione del giudizio, e conclude: «S e, cosi, ció che il te­
sto dice verrä preso nel giusto significato, allora Pantica disputa
cesserä di essere ta le» (p. 43).
Evidentemente, m olto é cambiato dagli anni Sessanta, e lo stes-
so successo del tutto imprevisto del nostro volume P e r una nuo-
va interpretazione di P la ton e, che si ispira al nuovo paradigma
(cinque edizioni in pochissimi anni), mostra che altra temperie
culturale alimenta oggi gli interessi degli studiosi.
M a che questo libro di Szlezák, o libri di questo tipo, i lettori li
possano leggere sospendendo giudizi aprioristici, é m olto diffi-
cile (e forse addirittura impossibile), perché un contributo che
determina o stimola un mutamento di paradigma, nella comuni-
tá dei ricercatori che si occupano della problemática in questio-
ne provoca inevitabili reazioni polemiche, anche assai accentua-
te, e di vario genere.
D ’ altra parte, lo stesso Szlezák, che mantiene nel corso di tutto
il libro uno straordinario equilibrio critico, nelle Appendici (e in
parte anche nelle note al testo), dove necessariamente deve ope­
rare un confronto di opposti paradigmi ermeneutici, finisce con
Passumere, per m otivi di segno opposto ma che stanno sullo
GIOVANNI REALE
28

stesso piano psicologico di quelli degli avversari, un tono pole­


mico e, talvoíta, anche piuttosto mordace (e, in alcuni casi, per-
fino provocatorio per i seguaci dei vecchio paradigma).
E se si sta alie spiegazioni delle reazioni psicologiche degli scien-
ziati che accompagnano i inutamenti di paradigma che Kuhn ci
ha offerto, ci si rendera perfettamente conto di questo.
Quello che da un libro, in senso assoluto, un ricercatore è meno
disposto ad attendersi e ad accettare» è proprio un mutamento
dei quadro concettualeparadigm atico aH’interno dei quale lavo-
ra. II lettore è effettivãmente disposto a fare i conti con qualsiasi
modifica e ristrutturazione dei «pu zzles» ali’ interno dei quadro
paradigmatico dominante, perché, in questo caso, il gioco si
svolge sul medesimo piano interpretativo e con criteri analoghi,
con i quali sono possibili mediazioni di vario genere; invece il
lettore non è disposto, normalmente, a fare i conti con le modi-
fiche rivoluzionarie che portano su piani differenti e che cam-
biano quei criteri. In altre parole, il lettore reagisce sempre vio-
lentemente contro ogni tipo di libro che comporta rivoluzioni
paradigmatíche.
M a appunto questo è il messaggio dei libro di Szlezák: la scrittu-
ra delia filo s o fia di P ia tone non contiene la sua parola di fo n d o ,
e quindi i suoi dialoghi, p u r essendoci pervenuti tutti quanti,
non sono r « o m n i a » di P ía tone, perché egli ha mantenuto le c o ­
se p er lui «p iü serie» e d i « maggior va lore » nella dimensione del-
rora litá, che, p e r p rin cip io, nei suoi p u n ti supremi resta esclusa
dagli scritti.
È proprio questo che turba profondamente l ’ uomo di oggi, ma
che questo libro ribadisce nella maniera piü chiara.

7. I I concetto di «co s e di m aggior valore» com e chiave di volt a


p e r la comprensione di Platone e conclusioni sul libro di
Szlezák

Dunque, le conclusioni di Szlezák su Platone e sulla scrittura


della filosofía come è stata da lui intesa, basata su una assai pre­
cisa analisi della critica della scrittura del Fedro e verificata co­
me cifra emblemática di ciascuno e di tutti i dialoghi, si incen-
trano proprio sulle cose che il filosofo tiene in serbo, rispetto al­
ie cose che ha scritto, come «cose di maggior valore», e sulle
IM PORTANZA E SIGNIFICATO Dl QUESTO LIBRO SU PLATONE 29

conseguenze che queste comportano. Szlezák riassume questa


sua tesi come segue: «P la to n e concepisce lo scritto filosofico,
sin dalPinizio, come uno scritto non autarchico, come lo scritto
che deve venir trasceso per quanto riguarda il contenuto, se deve
essere capito completamente. I I lib ro dei filo s o fo deve avere giu-
stificazione ultimativa dei suoi argom enti al di fu o r i di se stes-
so» (p. 121). È proprio questo che aiuta a capire, in maniera
nuova e molto efficace, i dialoghi medesimi.
Poiché il personaggio principale dei dialoghi esaminati è Socra-
te, come personificazione dei vero filosofo-dialettico, questo
com porta che i rapporti fra il filo so fo e il suo discorso, nelPora-
lità e nello scritto, risultino fondamentalmente analoghi, come
sopra abbiamo rilevato.
Si parte da una determinata tesi, la quale viene sottoposta ad un
esame critico e ad una confutazione (elenchos). A questa il filo ­
sofo viene in soccorso, apportando argomentazioni che implica-
no il guadagno necessário di «cose di maggior valore», che por-
tano ad un altro livello e a giustificazioni fondative maggiori.
Naturalmente, per le ragioni sopra già ricordate, il livello cui
Socrate si spinge dipende, strutturalmente, dal livello spirituale
dei suoi interlocutori, e quindi sono in proporzione alie loro ca-
pacità.
M a anche con interlocutori di maggior livello spirituale, i piani
che via via si raggiungono non coincid ono mai con quello supre­
m o ultim ativo, a m otivo delia strutturale limitazione comunica­
tiva delia scrittura, e in questo caso Platone indica, per allusio-
ni, che sarebbe necessário guadagnare «cose di maggior valore»,
le quali, tuttavia, egli non espliciterà per iscritto, ma solo nella
dimensione delPoralità.
Questo, spiega m olto bene Szlezák, non implica alcuna contrad-
dizione, giacché «le cose di maggior valo re» sono un concetto
relativo, ossia sono quelle m otivazioni fondative degli argomen-
ti via via trattati, che implicano il guadagno di un piü alto livello
rispetto a quelli in cui si è impostata la discussione. E tali «cose
di maggior valore» nella discussione con certi interlocutori ven-
gono solo menzionate per allusioni (anche se per iscritto potreb-
bero chiaramente essere fornite), mentre con altri interlocutori
vengono espressamente chiamate in causa, e anche con precisio-
ne. Tuttavia i dialoghi, dice Szlezák, «in quanto im m agini scrit-
te non possono rappresentare, dal canto loro, Pintera via dei
30 GIOVANNI REALE

fondamenti fino a giungere ai “ Principi” (apxaO> e restaño,


quindi, per questo, “ g io c o ” e “ narrazioni di storie” nonostante
la loro maggiore vicinanza alia discussione “ secondo rególe
d'arte” » (p. 98).
E, allora, la scansione lógica che rivela Passe portante di tutti i
dialoghi, la struttura costante sotto tutte le variabili, risulta es-
sere la seguente: la tesi proposta viene sottoposta ad un elen-
chos, ossia ad una prova mediante un esame critico e una confu-
tazione; da questo livello il dialogo passa ad un livello piü alto
mediante il «soccorso». Pero la situazione di soccorso non risul­
ta mai come conclusiva, e Platone indica, sempre, con chiari
cenni, che « q u i» e « o r a » non si è raggiunto il livello di soccorso
piü alto, che sarebbe quello dei Principi primi e supremi, che si
guadagnano solamente sul piano delPoralitá dialettica, perché
la scrittura ha la sua spiegazione ultimativa sempre al di lá di se
medesima, per ragioni strutturali.
Richiamiamo due esempi, che, in un certo senso, sono i piü si-
gnificativi.
Szlezák tratta in un único capitolo A p ologia , C ritone e Fedone,
e li interpreta, proprio sulla base degli schemi che abbiamo chia-
rito, come un «so cco rso » o una «d ife s a » condotta a tre diffe-
renti livelli, e fa vedere m olto bene come si cambi livello, appun-
to a seconda degli interlocutori: nqIV A p olog ia gli interlocutori
sono i giudici, cui Socrate parla in un dato m odo ad un certo li­
vello, differenziando inoltre chiaramente, al momento giusto,
quelli che hanno votato contro di lui da quelli che hanno votato
a suo favore; nel C ritone il suo interlocutore è il suo assai affe-
zionato amico, ma ben piü vicino al comune m odo di pensare
che non a quello filosofico, e Pargomentazione di Socrate si p o ­
ne su questo piano; invece nel Fedorie gli interlocutori sono filo-
sofi, e, per questo, nelPargomentazione entrano in gioco in pie-
no le tematiche deirim m ortalita delP anima e la teoria delle
Idee; ma, ciononostante, proprio nel punto centrale Socrate fa
un inequivocabile rimando ad un ulteriore piano (che è evidente­
mente quello di Principi primi), lasciando agli interlocutori il
compito, se sono filo s o fi, di guadagnarlo.
Tipica é, poi, la Repubblica, il cui primo libro si muove ad un li­
vello m olto simile a quello dei primi dialoghi cosiddetti aporeti-
ci. I libri II-X sono un grandioso gradúale venire in soccorso al
discorso sulla giustizia del primo libro, e in essi la struttura-soc-
IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 31

corso viene presentata in una maniera quasi paradigmatica. M a


anche nella Repubblica, e proprio nel punto focale in cui si parla
del Bene, Platone dice con tutta chiarezza che, qui, egli lascerá
molte cose, presenterà il figlio e non il padre, pagherá gli inte-
ressi e non il debito ultimativo. E, questo, proprio nel suo capo-
lavoro, che resta appunto bellissimo, ma come grande e sublime
«g io c o », ossia come una «narrazione per storie» della Giustizia
e del Bene, mentre la serietá su queste cose egli ha voluto riser-
varla alia dimensione della oralitá dialettica, appunto perché il
filosofo non mette per iscritto le sue «cose di maggior valore» in
senso ultimativo. E le verita ultimative sul Bene sono, appunto,
le cose di maggior valore in senso assoluto.
Szlezák si ferma alla Repubblica, e non tratta (almeno in questo
volume) del Teeteto, dei dialoghi dialettici e del Tim eo, perché,
egli dice, da questi dialoghi si ricavano benissimo le cose che so­
no state dimostrate per tutti gli altri dialoghi. N oi ci auguriamo,
tuttavia, che anche su questi dialoghi della vecchiaia di Platone
Szlezák scriva un volume, perché, quando uno studioso ha gua-
dagnato tutte quelle cose che Szlezák ha guadagnato studiando i
dialoghi della giovinezza e della maturità, non potrá non appor-
tare impreveduti guadagni anche sui grandiosi scritti platonici
della vecchiaia.
Quanto Szlezák ha dimostrato in tutto il suo libro, in ogni caso,
oltre che sui punti di cui abbiamo detto, ci convince sempre di
più anche sulla tesi che abbiamo sostenuto nel nostro Pla ton e: la
trilogia Sofista, P o litic o , F ilo s o fo , annunciata da Platone con
insistenza e con chiarezza, in realtà non è affatto rimasta incom­
pleta, priva dei terzo «d ia lo g o ». Infatti, se il filosofo non solo
nel finale del Fedro, ma in tutti gli scritti platonici, è colui che
non mette p er iscritto le sue cose di maggior valore, e quindi tut­
ti gli scritti hanno fuori di sé la loro chiave di volta, allora il dia­
logo « F ilo s o fo » è quello che Pla ton e ha scritto non nei ro to li di
carta ma nelle anime, nella dimensione dell’ oralità dialettica,
come egli nelle grandi pagine del Fedro dice appunto che è per
sua natura lo scrivere del filo so fo (si vedano gü argomenti che
adduciamo nel nostro Pla ton e, pp. 386-403). Questo libro di
Szlezák ci sembra confermarlo, per converso, almeno implicita­
mente, nella maniera più significativa.
È appena il caso che, concludendo questa nostra introduzione,
ricordiamo al lettore (il quale m olto probabilmente lo avrà già
32 GIOVANNI REALE

ricavato da se dalle cose che abbiamo detto) ehe, a nostro giudi-


zio, noi ci troviam o di fronte al piü significativo e importante
dei libri su Platone ehe siano venuti dalla Germania, dopo quelli
pubblicati da Krämer e da Gaiser.

Giovanni Reale

P . S. — Questa m ia traduzione e stata rivista da Szlezak ed e stata discussa con


me n el m arzo 1988 in G erm ania (a W u rzb u rg) e n el settem bre 1988 in Ita lia (a
L u in o ). Szlezak ha rivisto anche le bozze e ha cu ra to g li indici. L o rin gra zio v i­
vam e n te p e r queste sueprestazioni.
Catalogo ragionato dei volumi, dei saggi e delle
recensioni pubblicati da Thomas Alexander
Szlezák (aggiornato fino al 1988)

A . L ib ri

1. Pseu d o-A rchytas über die Kategorien. Texte zur griechischen


Aristoteles-Exegese. Herausgegeben, übersetzt und kommen­
tiert von Th. A .S ., W alter de Gruyter & C o., Berlin-New York
1972.

Sotto il nome di Archita di Taranto ci sono pervenute due esposi-


zioni della dottrina delle categorie che rispecchiano lo stato ri-
spettivo dell’ attivitä relativa alio scritto aristotélico sulle catego­
rie. Gli scritti l U p L t o u xaQóXou Xóyou (I sec. a.C. o d.C.) e Kaöo-
Xijcoi Xó-yoi Sixa (di etä bizantina) vengono pubblicati qui per la
prima volta in edizione critica, tradotti in una lingua moderna e
collocati nella storia deU’ aristotelismo, grazie ad un dettagliato
commento storico-filologico.

2. Platon und Aristoteles in der Nuslehre Plotins, Schwabe &


C o., Basel-Stuttgart 1979.

II libro offre la prima ricostruzione integrale del quadro che Plo-


tino si é fatto dei percorso della storia della filosofía. La dottrina
del nous di Plotino viene interprétala pariendo da questo quadro
e dall’ affermazione di Plotino, che a prima vista lascia stupiti, di
essere soltanto un esegeta di Platone. Si dimostra che, effettiva-
mente, tutte le posizioni fondamentali di Plotino devono essere
intese, in un certo senso, come commento di testi platonici basila-
ri. Nella sua interpretazione di Platone, Plotino si preoccupa co-
stantemente di considerare anche la critica di Aristotele e la con-
cezione del nous propria di quest’ultimo, e di superare e l’ uno e
l’ altro. É proprio la dottrina della «parte non discesa dell’ani-
ma», presentabile come un’ originale innovazione plotiniana, che
si rivela, sorprendentemente, come un’interpretazione conse-
guente delle asserzioni di Platone sulla «vera natura» dell’ anima.
34 L A PRODUZIONE SCIENTIFICA DI TH. SZLEZÄK

3. P laton und die Schriftlichkeit der Philosophie. Interpretatio­


nen zu den frü hen und mittleren D ia logen , W alter de Gruyter &
C o., Berlin-New York 1985.

E il libro che qui presentiamo, sul quäle si veda l’ Introduzione


che precede, passim.

B. Saggi

1. Unsterblichkeit und T richotom ie der Seele im zehnten Buch


der Politeia, «Ph ron esis», 21 (1976), pp. 31-58.

II passo notoriamente difficile di Repubblica, 611 B - 612 A non


lascia affatto aperta la questione sulla «natura originaria» dell’ a-
nima, come e stato sostenuto. Un’ interpretazione precisa, che
considera in modo adeguato il linguaggio e il ragionamento del
passo, porta a concludere che, per Platone, 1’anima, nella sua
forma originaria, e identica alYanima razionale. Questo fa cadere
l’ipotesi storico-evolutiva che Platone, nella Repubblica, abbia
sostenuto una dottrina dell’ anima diversa da quella delle sue ope-
re successive (Timeo).

2. P lo t in und die geheimen Lehren des A m m onios. In:


A A .V V ., Esoterik und E xoterik der Philosophie, hrsgg. von H.
H olzhey und W .C h. Zimmerli, Basel-Stuttgart 1977, pp. 52-69.

Esame critico delle notizie circa un accordo per tenere segrete le


dottrine di Ammonio Sacca da parte dei suoi allievi. E di per se
molto probabile che Ammonio e i suoi allievi abbiano desunto il
loro atteggiamento nei riguardi del filosofare dalla Lettera V II di
Platone, la cui tendenza esoterica e stata ingiustamente discussa
in epoca moderna.

3. D ia lo g fo rm und Esoterik. Z u r Deutung des platonischen


Dialogs "P h a id ro s ” , «M useum H elveticum », 35 (1978), pp. 18-
32. (C fr. in proposito: What one should know when reading
“ H elping the W ritings” . A reply to G.J. de Vries, «Museum
H elveticum », 36 [1979], pp. 164-165).

Interpretazione della critica platonica della scrittura nella parte


conclusiva del Fedro. Un’interpretazione ehe si preoccupa di spie-
gare Platone con Platone porta da sola alia rinuncia del moderno
LA PRODUZiONE SCIENTIFICA DI TH. SZLEZÄK 35

pregiudizio antiesoterico. II senso della richiesta di Platone, che il


filosofo debba sempre essere in grado di «portare soccorso» al
suo logos ricorrendo a «cose di maggior valore» (iijjuio-tepa) lo si
ricava dai dialoghi con grande chiarezza. Tanto la critica della
scrittura quanto la struttura dei dialoghi e dei loro passi chiave
chiariscono che Platone pensava che la fondazione ultima dei ri-
sultati filosofici non dovesse essere affidata alia scrittura.

4. The A cq u irin g o f Ph ilosoph ica l Knowledge A ccord in g to


P la to 's Seventh Letter. In: A A .V V ., A rktouros. Hellenic Stu­
dies presented to Bernard M . W. K n ox, Berlin-New Y ork 1979,
pp. 354-363.

Nella Lettera V II di Platone e presupposto in ogni passo che una


conoscenza autentica e completa delie concezioni filosofiche di
Platone si pud ottenere solo attraverso una comunicazione orale
con Platone stesso. La Lettera V II, cioe, non fa mai affidamento
sulla possibility di venire a conoscenza dell’intero complesso della
filosofia platonica partendo dai dialoghi.

5. Sokrates1 Spott uber Geheimhaltung. Zum B ild des <ptXo<jo-


<po<; in Platons “ Euthydem os” , «A n tik e und Abendland», 26
(1980), pp. 75-89.

L ’ironia platonica nelVEutidemo e molto piu sottile di quanto


non sia stato finora notato. Qui Platone non mantiene il riserbo
solo sulla dottrina della reminiscenza — come e sempre stato no­
tato — , ma tematizza anche come tale il tenere il riserbo sul sape-
re. Nella lunga discussione sulPesoterica platonica non si e finora
notato che un dialogo intero e dedicato proprio al tema dell’ «eso-
terica». Nell’Eutidemo, Socrate e ritratto come il vero esoterico,
che tiene nascosto il suo sapere filosofico e che, al tempo stesso,
classifica ironicamente come «esoterico» l’erista Eutidemo, che
non dispone di un sapere piu profondo.

6. Sophokles’ Elektra und das P rob lem des ironischen Dramas,


«Museum H elveticum », 38 (1981), pp. 1-21.

Si mostra come Sofocle tratti l’ ironia tragica nelle sue opere: il


fraintendimento della sua situazione da parte dell’ eroe (frainten-
dimento in cui si radica Pironia) viene costantemente sostituito da
una totale chiarezza dopo la catastrofe. Percid non puö essere
giusta l’interpretazione «ironica» delVElettra, spesso diffusa nel
36 L A PRODUZIONE SCIENTIFICA DI TH. SZLEZÁK

X X secolo, secondo la quäle lo scioglimento dell’ «ironía» an-


drebbe attuato proprio dallo spettatore.

7. Bemerkungen zur Diskussion um Sophokles, A n tig on e 904-


920, «Rheinisches Museum», 124 (1981), pp. 108-142.

NelP ultimo discorso di Antigone si trovano versi che dipendono


chiaramente da Erodoto III 11,3 per formulazione e per conte-
nuto. Un’analisi degli argomenti pro e contro Pautenticitä di
questi versi mostra che Podierna attribuzione a Sofocle non e
ben fondata.

8. Griechische Philosophie und Wissenschaft, in: Propyläen


Geschichte der Literatur, Band I: D ie Welt der A n tik e, Berlin
1981, pp. 254-274.

Breve panoramica delle tappe principali dello sviluppo del pen-


siero filosofico e scientifico dei Greci.

9. Zw eiteilige Dram enstruktur bei Sophokles und Eurípides,


«P o é tic a », 14 (1982), pp. 1-23.

La nota struttura in due parti delle prime tragedie di Sofocle si


trova anche in numerosi drammi di Euripide. I problemi dram-
maturgici che la struttura bipartita comporta, vengono analizzati
caso per caso e viene discusso il modo in cui tali problemi vengo­
no risolti da Sofocle e da Euripide.

10. A lp h a E la tton : E inheit und Einordnung in die Metaphysik.


In: A A .V V ., Zweifelhaftes im Corpus A ristotelicum . Studien
zu einigen D ubia, Akten des 9. Symposium Aristotelicum,
hrsgg. von P . M oraux und J. Wiesner, Berlin 1983, pp. 221-
259.

La peculiaritá letteraria del cosiddetto Secondo Libro della M e­


tafísica aristotélica viene spiegata dal confronto con altri testi in-
troduttivi (in particolare con il Protrettico e con Met. A e E N I ) .
Vengono respinti i tentativi piü e meno recenti di dimostrare che
Alpha elatton é un membro orgánico della serie Met. A - a - B: a
loro sfavore é il carattere introduttivo soprattutto dei cap. 1 e 3.
LA PRODUZIONE SCIENTIF1CA Dl TH. SZLEZÄK 37

11. A u fbau und Handlung der platonischen « P oliteia » , «A n ti­


ke und A bendland», 30 (1984), pp. 38-46.

L ’ azione che sorregge e struttura tutta la Repubblica consiste nel


tentativo da parte degli interlocutori di «trattenere» Socrate e di
«costringerlo» ad esporre le sue idee in modo sempre piü comple­
to. Ma Socrate non é a disposizione: egli é si disposto a comunica­
re la sua opinione su molte cose, ma a proposito di certi temi —
quali, ad esempio, il Bene o il profilo della dialettica — egli limita
volutamente la comunicazione filosófica riguardo alia capacita di
comprensione dei suoi interlocutori. La Repubblica mostra dap-
pertutto la forma del filosofare adeguata in modo conseguente al-
l’interlocutore, cioé la forma esoterica.

12. M ania und A idos. Bemerkungen zur E th ik und A n th ro p o ­


logie des Eurípides, «A n tik e und Abendland», 32 (1986), pp.
46-59.

Euripide, definito anche «il poeta dell’illuminismo greco», ricor-


re in realtä in numerosi drammi al concetto protogreco di aidos:
la capacita di provare compassione e rispetto per la debolezza e le
condizioni dell’altro, e in generale la capacita di rispettare la sfera
delPaltro come qualcosa di intoccabile, sembrano essere stati, per
lui, la base di ogni etica e di ogni umanitá. Questo richiamo appa-
rentemente arcaizzante alle condizioni affettive della moralitä —
in quanto la ragione umana non basta ad orientarlo verso il Bene
— é il motivo della permanente modernitä di Euripide.

13. D ie Lückenhaftigkeit der akademischen Prinzipientheorie


nach A ristotelesJ Darstellung in Metaphysik M und N . In:
A A .V V ., M athem atik und M etaphysik bei Aristoteles (Akten
des Zehnten Symposium Aristotelicum ), hrsg. von Andreas
Graeser, Bern 1987, pp. 45-67.

Nei libri M ed N Aristotele offre uno strano miscuglio di relazio-


ne espositiva e di critica della teoria dei Principi dell’Accademia.
La precisa valutazione delle parti dedícate alia relazione espositi­
va consente di dimostrare che le parti dedícate alia critica — in cui
Aristotele vuole soprattutto mostrare che le teorie accademiche
dei Principi sono frammentarie e mal fondate — costituiscono
una polémica in gran parte non sostenibile.

14. Platons “ undemokratische” Gespräche, «Perspektiven der


Philosophie», 13 (1987), pp. 347-368.
38 LA PRODUZÍONE SCIENTIFICA DI TH. SZLEZÁK

L ’immagine antiesoterica di Platone che ha avuto tanto successo


nel X IX e nel X X secolo, possiede, fra Paltro, anche convinzioni
non riflesse politico-esistenziali. La parzialitá e l’inadeguatezza
della recente coraprensione di Platone si rivela nel fatto che sono
rimasti oscuri, o sono stati negati, tratti costitutivi dei dialoghi
platonici (ad esempio la superioritá schiacciante di chi guida il
dialogo). L ’unica posizione che é in grado di spiegare completa­
mente i dati letterari dei dialoghi é quella che riconosce come un
fatto storico la tendenza esoterica di Platone.

C. Recensioni

1. D. Roloff> Plotin (1970), «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 224


(1972), pp. 233-240.
2. H. Happ, Hyle. Studien zurrt aristotelischen Materiebegriff (1971),
«Göttingische Gelehrte Anzeigen», 225 (1973), pp. 183-217.
3. H. Blumenthal, Plotinus1Psychology (1971), «Archiv für Geschichte
der Philosophie», 56 (1974), pp. 98-102.
4. H. Heitsch, Die Entdeckung der Homonymie (1972), «Gymnasium»,
81 (1974), pp. 453-455.
5. K. Wurm, Substanz und Qualität. Ein Beitrag zur Interpretation der
Plotinischen Traktate VI 1, 2 und 3 (1973), «Göttingische Gelehrte
Anzeigen», 227 (1975), pp. 216-225.
6. Timaeus Locrus, De natura mundi et animae, ed. W. Marg (1972) e
Timaeus Locrus, lieber die Natur des Kosmos und der Seele, kom­
mentiert von M. Baltes (1972), «Gnomon», 48 (1976), pp. 135-144.
7. L. Eiders, Aristotle’s Theology. A Commentary on Book A o f the
Metaphysics (1975), «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 229 (1977),
pp. 45-57.
8. Probleme der Platoninterpretation, «Göttingische Gelehrte Anzei­
gen», 230(1978), pp. 1-37.
9. Porphyrii Sententiae ad intelligibilia ducentes, ed. E. Lamberz (1975),
«Gymnasium», 85 (1978), pp. 100-101.
10. H.G. Gadamer, Die Idee des Guten zwischen Plato und Aristoteles,
(1978), «Gnomon», 52 (1980), pp. 290-293.
11. H. Meissner, Der tiefere Logos Platons (1978), «Gnomon», 52 (1980),
pp. 301-304.
12. M. Baltes, Die Weltentstehungslehre des Platonischen Timaios nach
den antiken Interpreten. Teil I (1976), Teil II: Proklos (1978), «Gno­
mon», 54(1982), pp. 254-258.
LA PRODUZIONE SCIENTIFICA DÍ TH. SZLEZÁK 39

13. A .D . W oozley, Law and Obedience: The Arguments o f Plato's Crito


(1979), «Philosophische Rundschau», 30(1983), pp. 132-135.
14. Mitchell H. Miller, Jr., The Philosopher in Plato’s Statesman (1980),
«Philosophische Rundschau», 30 (1983), pp. 135-138.
15. Plato, Gorgias. Translated with Notes by T. Irwin (1979), «Philoso­
phische Rundschau», 30 (1983), pp. 138-141.
16. A . Barker (Ed.), Greek Musical Writings. Vol. I: The Musician and
his Art (1984), «Musikforschung» (1988).
17. Poseidonios, Die Fragmente, hrsgg. von W . Theiler, Bd. I: Texte, Bd.
II: Erläuterungen (1982), «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 240
(1988).
18. H. J. Krämer - H. Flashar - F. Wehrli, Ältere Akademie - Aristoteles -
Peripatos (Grundriß der Geschichte der Philosophie, begründet von
F. Ueberweg, Die Philosophie der Antike, Band 3, hrsgg. von H. Fla­
shar) (1983), «Philosophische Rundschau», 35 (1988), pp. 48-62.
19. E. Heitsch, Platon über die rechte Art zu reden und zu schreiben
(1987), «G n om on », 60(1988).
Premessa

L o scopo di questo libro è quello di dimostrare che i pensieri


scettici di Platone sul valore della scrittura, nella cosiddetta
«critica della scrittura» contenuta nel dialogo Fedro, non sono
solo una tarda riflessione di un autore esperto e forse rassegna-
to, ma che essi hanno guidato la sua attivitá di scrittore fin dal-
Tinizio.
La «critica della scrittura» non contiene soltanto una spiegazio-
ne della debolezza costituzionale della comunicazione della co-
noscenza per mezzo della scrittura. Paralelam ente ad essa, in-
fatti, Platone schizza anche un ritratto differenziato della forma
e del m odo in cui il filo so fo (cpiAóaocpoç) o dialettico (SiaXex-u-
xóç) utilizza i suoi «d iscorsi» (Xó^ot), e precisamente i suoi di-
scorsi scritti e quelli orali, per ottenere una comunicazione vera­
mente filosófica della conoscenza. Si dimostrerá che la figura di
«S ocra te» dei dialoghi è rappresentata, fin dai primi scritti, in
un m odo che il suo comportamento nel dialogo puó essere inte-
,so solo come illustrazione e come concretizzazione di quell’ im-
magine del rapporto filosofico con i «d iscorsi» del Fedro. In ef-
fetti, le coincidenze concrete e le assonanze tematiche sono cosi
numeróse e cosi specifiche che si puó escludere che si tratti del
puro caso.
La dimostrazione dei rapporti tra la «critica della scrittura» e
r«im m a gin e del dialettico» è un tentativo di mettere a frutto
Túnica esplicita asserzione teoretica di Platone sull’ oralità e sul­
la scrittura della filosofia nei dialoghi proprio per la compren-
sione di questi in m odo concreto, ossia per spiegarne la struttu­
ra, il procedimento dell’ azione e la descrizione dei personaggi in
base a principi unitari.
L o scopo che abbiamo indicato potrebbe contare, normalmente,
sull’ interesse ben disposto di tutti gli studiosi di Platone: infatti in
questo libro si cerca di mostrare la coerenza interna deiropera pla­
tónica da un nuovo punto di vista. In questo caso c’ é quindi da
42 PREMESSA

supporre che l ’ interesse di una parte dei lettori si trasformi subi­


to in rifiuto, non appena si sia detto che la consueta esecrazione
deiresoterica platónica che si é diffusa sin dai tempi di Schleier-
macher non fa parte delle premesse di questo lavoro. Si ha infat-
ti proprio Timpressione che alcuni interpreti fino ad oggi non
abbiano potuto raggiungere una posizione imparziale sulla que-
stione della valutazione della scrittura in Platone; l ’irrazionale
paura di aver rapporti con essa, incontrata dalPinterpretazione
esoterica di Platone di Hans Jochim Krämer e Konrad Gaiser
agli inizi degli anni Sessanta, sembra che continui in piü di un
luogo ad esercitare i suoi effetti. Contro questo atteggiamento
va subito stabilito, giá sulla base del método filologico, che ció
che Platone intende quando dice che solo colui che dispone di
cose migliori di quelle che ha scritto merita il nome di « filo s o fo »
(qnXóaocpos) (Fedro, 278 C-D ), non deve essere stabilito a priori
in m odo dogmático in senso antiesoterico, ma deve essere chia-
rito solo mediante un’ esegesi paziente del testo primario, del suo
ulteriore contesto e del suo rapporto con i tratti caratteristici che
sono osservabili in tutti quanti i dialoghi nel loro insieme.
II tipo di esegesi che qui abbiamo seguito ha certo conseguenze
per la valutazione di ció che Aristotele chiama «dottrine non
scritte di P laton e». Tuttavia, il presente lavoro non é un contri­
buto alio studio della teoría platónica orale dei Principi. Esso
tratta esclusivamente dei dialoghi e poggia — escludendo la pre-
messa antiesoterica non dimostrata di Schleiermacher — com­
pletamente sul terreno dell’ermeneutica schleiermacheriana dei
dialoghi: esso parte dalla critica della scrittura, come aveva fat-
to Schleiermacher, e considera, come lui, la form a del dialogo
non come mera veste poética, bensi come qualcosa di essenziale
per il contenuto. Se alia fine dell’ analisi viene guadagnata, pero,
un’ immagine di Platone, che risulta non piü compatibile con
quella fondata da Schleiermacher e che continua ad esercitare
ancora oggi i suoi influssi, questo non capita perché, in qualche
punto, io abbia abbandonato le sue prospettive di base, ma per­
ché, come credo, ho applicato la critica della scrittura come cri­
terio deH’ analisi dei dialoghi in m odo piü conseguente di quanto
non sia stato fatto finora.
Ci si aspetta, perciö, dal lettore di questo libro una attenta veri­
fica dell’ immagine antiesoterica di Platone oggi ancora ampia-
mente diffusa. N on si pretende un giudizio a priori positivo a fa-
PREMESSA 43

vore dell’ «esoterica», ma solo la temporánea sospensione del


giudizio contro di essa. Se, cosi, ció che il testo dice verrá preso
nel suo giusto significato, allora l ’ antica disputa cesserá di esse-
re tale.

L ’ analisi arriva fino all’ opera principale di Platone, in cui egli


parla della dialettica e dell’ Idea del Bene piü chiarámente di
quanto abbia fatto in precedenza e di quanto fará in seguito.
Delle opere successive, oltre al Fedro, che costituisce il fonda-
mento, viene trattato solo il libro décimo delle Leggi, che contri-
buisce, con esemplare chiarezza, alia spiegazione di una affer-
mazione, finora contestata, della critica della scrittura, e che do­
cumenta, al tempo stesso, il fatto che Platone ha realizzato fino
alia fine della sua opera i pensieri conduttori basilari della criti­
ca della scrittura. Per lo scopo cui tende la dimostrazione di
questo libro, é indifferente il fatto che si ritenga autentica o no
la Lettera VH; perció di essa sono state utilizzate solo singóle af-
fermazioni occasionalmente come materiale documentario sup-
pletivo, ma la interpretazione coerente di tale Lettera é stata ri-
servata ad un'appendice. Dei primi dialoghi sono stati trascurati
lo n e e Menesseno, in quanto sono poco fruttuosi ai fini della
nostra ricerca; tuttavia, essi non contengono nulla che possa
mettere in discussione il nostro risultato. Mancano anche A lc i-
biade I, Teagete e C litofon te, perché la loro non autenticitá puó
ritenersi in una certa misura dimostrata.
L ’ analisi degli ultimi dialoghi secondo questa ottica sarebbe cer-
to stimolante e fruttuosa. II lettore che avrá seguito fino in fon ­
do le nostre riflessioni riconoscerá fácilmente da solo come le
opere tarde confermino e chiariscano i nostri risultati. Quello
che in questo libro si doveva dimostrare, andava dimostrato
proprio per i primi dialoghi e per quelli centrali, perché le aspet-
tative con cui ci accostiamo al testo, dopo tutto quello che ci ha
insegnato l ’esegesi di tipo storico-evolutivo, sembrano, di primo
acchito, parlare a sfavore della finalitá che ci riproponiamo. Oc-
corre, quindi, che qui mostriamo se la guida piü affidabile per la
comprensione delle intenzioni di Platone sia data dalle abitudini
44 PREMESSA

cui è legato il pensiero moderno, oppure dai dati ehe si ricavano


dal testo.

** *

Il progetto di condurre la ricerca nella forma in cui essa ora appare, è


stato concepito durante un soggiorno di studio al «Center for Hellenic
Studies» di Washington, nell’anno 1975/76. Vorrei qui ringraziare per
Pospitalità questa nobile istituzione americana e il direttore, prof.
B.M.W. Knox, gentile e sempre disponibile ad aiutarmi. I pensieri
fondamentali di questo mio progetto sono stati esposti nella mia pro-
lusione zurighese nel dicembre 1976 (riprodotta in «Museum Helveti-
cum», 35 [19781, pp. 18-32); una prima esposizione dettagliata è stata
data sotto forma di lezioni nel semestre invernale 1978/79. Una prima
stesura del capitolo dedicato aWEutidemo è comparsa in «Antike und
Abendland», 26 (1980); una versione più breve del capitolo dedicato
alla Repubblica è comparsa nella stessa rivista, 30 (1984). Le riflessioni
sulla Lettera VU, esposte precedentemente in Arktouros (Festschrift
Knox, Berlin-New York 1979), sono state riprese nella Appendice III.
Le ultime parti del manoscritto sono state stese neirestate 1983.
Vorrei ringraziare due amici ehe hanno dimostrato un interesse critico
per la mia problematica in un tempo in cui la maggioranza dei filologi
e dei filosofi credeva ehe fosse conclusa la questione concernente Pora-
lità e la scrittura in Platone: Heinz Schmitz in Winterthur e Christo­
pher Rowe in Bristol. È stata per me di grande aiuto la loro disponibi­
lité ad addentrarsi in riflessioni insolite.
Vorrei inoltre ringraziare i miei collaboratori di Würzburg, ehe mi
hanno aiutato nella correzione delle bozze della traduzione italiana, e
in particolare il dottor K.H. Stanzel, ehe, con molta competenza, ha
steso gli indici.
U prof. Giovanni Reale ha curato questa traduzione italiana, che è tan­
to precisa quanto chiaramente leggibile. Per il buon lavoro ehe abbia-
mo fatto insieme, per il suo instancabile impegno e per il suo incorag-
giamento a proseguire per la via intrapresa, gli debbo il più grande rin-
graziamento.

Würzburg 10 ottobre 1988

Th. A . Szlezák
Introduzione

L ’ idea che uno scienziato o un pensatore possa tener nascoste le


sue conoscenze, e addirittura le piü importanti fra queste, risul-
ta nettamente contraria alia sensibilitá e alia prassi degli uomini
di oggi. N o i oggi ci affrettiam o a render noto, quanto prima
possibile e a quante piü persone possibile, qualunque cosa cre-
diamo di aver scoperto. L e ragioni che ci spingono a fare questo
possono essere molteplici. In generale, domina lo spirito del li­
beralismo pluralistico del nostro tempo, che ci spinge alia con-
correnza aperta. Sólitamente, giá la preoccupazione della carrie-
ra e la paura di essere superati da altri costituiscono motivi che
spingono a comunicare in ogni possibile m odo ció che si é otte-
nuto. Quelli, poi, che sono in grado di lasciarsi queste paure die-
tro le spalle, di regola sono spinti ad un comportamento analo-
go dalla convinzione che la maggiore diffusione possibile della
veritá finalmente scoperta possa essere un bene indiscutibile per
tutti.
N o i giudichiamo secondo le nostre proprie esperienze e convin-
zioni anche le etá del passato: infatti, siamo in grado di recepire
e di capire il tenere nascoste opinioni scientifiche e filosofiche
quando si é costretti a farlo, come, ad esempio, é avvenuto nella
storia spirituale all’ inizio dell’ era moderna, da Galileo fino a
Leibniz. M a ci resta incomprensibile la limitazione della comu-
nicazione filosófica voluta liberamente; ci sembra inimmagina-
bile che una persona, addirittura una persona importante, che
partecipi ad un discorso spirituale, non possa considerare come
un bene la comunicazione a tutti gli uomini di quello che, per
lui, é la cosa piü seria.
Invece, nei suoi dialoghi, Platone fa continuamente i conti con
la possibilitá che una persona che sta dialogando possa portare
in evidenza ed esprimere solo una parte del suo sapere e delle sue
opinioni. Niente é piü ovvio, per lui, del sospetto che una perso­
na del dialogo «nasconda» l ’ essenziale. II rimprovero che egli fa
46 INTRODUZIONE

ai suoi interlocutori di tener nascosto l’ essenziale e cosi onnipre-


sente, che sembra non faccia quasi differenza a chi lo rivolga:
un uomo importante, quale e Protagora, e rimproverato di que-
sto cosi come e rimproverato lo sproweduto rapsodo lone; un
giovane aristocratico come Crizia, che alimenta le m igliori spe-
ranze, e rimproverato cosi come sono rimproverati gli ambigui
insegnanti di eristica, Dionisodoro ed Eutidemo, e gli Spartani
antiintellettuali vengono pure rimproverati cosi come i maestri
di retorica che sono mossi da uno spirito vivace. Cio che unifica
questi destinatari del rimprovero di «nascondere» e una cosa so­
la, vale a dire il fatto che il rimprovero viene mosso sempre dallo
stesso interlocutore, ossia dairironico Socrate. Soltanto Socrate
e sicuro nei confronti di questa colpevolezza: in quanto ignoran-
te, egli non ha niente da tener nascosto. Questo risulta ben
evidente.
II fatto che Platone abbia sempre a portata di mano Pidea del te-
nere nascosti sapere ed opinioni, mentre, da parte nostra, non
considereremmo mai tale idea, si potrebbe provare a spiegare, in
primo luogo, partendo dal suo ambiente storico: la societa
«a p erta » dell’ Atene democratica, in cui Platone viveva, non era
m olto lontana, cronologicamente, da form e di organizzazione
piu arcaiche quali sopravvivevano ancora in altre citta greche, e
che anche in Atene per molti costituivano ancora il segreto mo-
dello-guida della societa. Nella rigorosa suddivisione sociale del-
le society arcaiche «chiu se», ogni capacita, ogni sapere, ogni
opinione, insomma ogni «sapienza» (aocpioc) nel senso antico,
era sempre legata ad un determinate gruppo o ad una corpora-
zione p rofession al, la quale vigilava sulla trasmissione di tale
sapere. Anche se, in confronto ad altre societa antiche, il feno-
meno antropologico universale del sapere segreto connesso con
il potere della classe sacerdotale passa notevolmente in seconda
linea presso i Greci, la cui religione non conosceva ne libri sacri
ne classe sacerdotale dominante, esistono comunque, anche
presso di loro, tracce chiare di una trasmissione del sapere, con-
trollata e legata ai gruppi. Cosi, la storia della letteratura dei pe-
riodi antichi ha a che fare con l ’ esistenza di corporazion i di
aedi che si tram andavano, com e patrim onio della corporazio-
ne, la lo ro elaborazione di m ateriale epico; alia storia della fi-
lo so fia e nota 1’ organizzazione della cerchia dei P itagorici, i
quali m iravano anche al potere politico; alia storia della
ÍNTRODUZIONE 47

religione é nota la crescente forza attrattiva dei misteri, che pro-


mettevano all’ iniziato un destino ultraterreno migliore e che
escludevano dal culto e dalla speranza nell’ aldilá i non-iniziati;
neirám bito della medicina, cosi importante per la nascita del
pensiero scientifico, incontriamo la richiesta di non estendere ad
estranei il sapere medico 1.
A lla fine del V secolo — época in cui si svolgono i dialoghi di
Platone — l ’ idea di un particolare sapere legato a un gruppo era
presente in varíe form e. Sullo sfondo di questo residuo del pen­
siero arcaico, la continua presa in giro che fa Platone del filoso-
fico tener segreti, sembrerebbe rappresentare il nuovo modo di
sentire della democrazia ateniese. Friedrich Nietzsche, figlio di
un pastore ed educato in m odo conservatore, ha sempre voluto
provare a liquidare come «u o m o del p o p o lo » Socrate che filoso­
fa per strada apertamente con chiunque. M a la eliminazione,
compiuta con sicurezza da Platone, della trattazione restrittiva
del sapere e delle opinioni non mostra, piuttosto, che qui viene
alia ribalta in m odo significativo nella storia dello spirito l ’aper-
tura di principio e la liberalitá della democrazia progressiva di
Atene?
Dunque, mentre Tonnipresenza dell’ idea di «tener nascosto» ci
separa da Platone (ma essa puó esser resa comprensibile dal
punto di vista storico), la valutazione che egli ne da é, come in
un certo senso potrebbe sembrare, pressoché idéntica a quella
della nostra época progressista. E questo — almeno per i piü —
risulta, in qualche m odo, tranquillizzante.
A ltri si sentiranno resi inquieti proprió per questa interpretazio-
ne apparentemente cosi vincolante della presa in giro di Platone
del tener segreto, e non si libererannó del sospetto che l’ ironico

! Cosi nel Giuramento di Ippocrate, similmente in Legg i (IV 630, 643 Littré); a
proposito della «tradizione legata ai gruppi dell’arte greca» ancora nella generazio-
ne di Eschilo cfr. A . Lesky, D ie tragische D ichtung der Hellenen, Göttingen 19723,
p. 69; a proposito della segretezza presso i Pitagorici cfr. E. Zeller, D ie Philosophie
der Griechen in ihrer geschichtlichen Entw icklung, I, Leipzig 1923 1, p. 409; W .
Burkert, L o re and Science in A n cien t Pythagoreanism, Cambridge (Mass.) 1972,
pp. 178 s. ; a proposito della organizzazione arcaica della trasmissione del sapere
nelle corporazioni presso i medici, i cantori, gli artigiani, gli indovini, i Pitagorici e
gli O rfici, cfr. W . Burkert, Neue Funde zur O rph ik, in «Inform ation zum altspra­
chlichen Unterricht», II, 2, Graz (1980), p. 41; idem, C ra ft versus Sect: The P r o ­
blem o f Orphics and Pythagoreans, in: B.F. M eyer - E .P. Sanders (curatori), Self-
D efin ition in the G reco-Rom an W orld, London 1982, pp. 18 ss.
48 INTRODUZIONE

«S ocra te» ci possa aver attirato, proprio qui, sulla traccia sba-
gliata.
M a, in effetti, possiamo davvero dire che noi abbiamo, da altre
parti, Pimmagine di un Platone rappresentante delPapertura de­
mocrática e della liberalitá progressiva? H a forse previsto per il
suo Stato ideale o per il suo Stato fondato sulle leggi un sistema
pubblico di inform azione e di educazione? In realtá, nelíe Leggi,
come é noto, non solo é protetto dalla possibilitá di venire a co-
noscenza dei non destinati a governare il contenuto dellJeduca­
zione dei destinati a governare, ma deve restare nascosto, agli
esclusi, addirittura anche il semplice fatto della loro esclusione:
qui nelle L e gg i Platone, rafforzando le strutture che dividono le
classi in m odo piü netto che nel suo primo progetto di Stato
espresso nella Repubblica, esige che venga tenuto segreto anche
il tener segreto (cfr. L e g g i, 961 B 4-6 con 952 A 7 e 968 D-E). A l
contrario, Platone mette in bocca al democrático e relativista
Protagora la decisione di condurre la discussione, per principio,
in m odo aperto, decisione non turbata da alcuna ironia (.Prota ­
g ora , 317 B-C).
Dunque, sarebbe necessario interrogare piü a fondo la presa in
giro di Platone dell’ apparente tener segreto da parte degli inter-
locutori di Socrate. Infatti il dialogo Eutidem o porta in primo
piano in maniera esemplare proprio il tema del «tener nasco­
sto», trattato di solito come tema concomitante; dobbiamo
quindi rivolgerci a questo dialogo, se vogliam o capire il senso
del topos platonico del «tener nascosto» (dntoxpúitTsaOaL).
É stato riconosciuto da tempo che lo strano m odo di condurre
questo dialogo da parte di Socrate, che porta ad un risultato, al-
Papparenza assurdo, che ognuno sa tutto e l’ha giá da sempre
saputo, diventa comprensibile solo sullo sfondo della dottrina
dell’anamnesi che viene taciuta. Ció che finora non é stato rico­
nosciuto é Pimportanza di questo rilievo per Pimmagine del filo ­
sofo che Platone traccia nel F e d ro: « filo s o fo » (cpiXósocpo«;) é co-
lui che é in grado di «ven ire in soccorso» alie sue afferm azioni,
di difenderle e di sostenerle mediante «cose di maggior valore»
(,u[jitá)'c£pa). N elPE utidem o viene trasferita nelPazione dram-
matica proprio questa differenza fra opinione comunicata e opi-
nione tenuta in serbo potenzialmente pronta, che costituisce il
« filo s o fo » . Socrate, se fosse interrogato piü a fondo come con-
duttore del dialogo, potrebbe sviluppare la teoria delPanamnesi
INTRODUZIONE 49

e la teoría deirim m ortalitá dell’ anima; egli potrebbe ricorrere a


cose di maggior peso, che, per chi possiede inform azioni piü
precise della filosofía platónica risultano riconoscibili sullo
sfondo, ma di cui il lettore del solo Eutidem o non puó tuttavia
sospettare nulla, dal momento che esse non vengono espressa-
mente nomínate nel dialogo. Dunque, Socrate dispone di una
teoría che porta piü lontano e piü a fondo, che egli qui non
espone volutamente, a causa dell’ insuficiente idoneitá e dell’ i-
nadeguatezza degli interlocutori.
Chi é, allora, che nell’E utidem o «tiene segrete» le cose? Secon-
do la presa in giro irónica di Socrate, sono, naturalmente, i fra-
telli D ionisodoro ed Eutidemo, di cui la povertá e vanitá spiri-
tuali hanno reso chiaro, passo dopo passo, che essi non hanno
proprio niente da nascondere. E chi é il « filo s o fo » del dialogo?
Per luí che ha cose piü importanti sullo sfondo, ossia per Socra­
te che non puó essere sospettato di nascondere niente in quanto
«ign oran te», « filo s o fi» sono di nuovo i due maestri dell’eristi-
ca. L a comicitá sarcastica del dialogo consiste nel fatto che pro­
prio il « filo s o fo » , equipaggiato con un sapere che lo porta piü
lontano, che potrebbe «venire in soccorso» alie chiacchiere su­
perficialmente insensate di questo dialogo ricorrendo a cose mi-
gliori, nel senso spiegato nel F ed ro, non lo fa, e, anzi, prega gli
avversari di farlo: quegli avversari che, evidentemente, non han-
no sullo sfondo alcunché di «m aggior valore» (xifitcoTepa). E al-
lorché essi non esaudiscono la richiesta, perché non possono,
vengono presi in giro da Socrate, che li rimprovera di voler tene-
re segreti. Dunque, viene irónicamente preso in giro non il tener
da parte volutamente delle conoscenze piü profonde, bensi pro­
prio l ’ incapacitá di fare questo2.
Tale preciso dato di fatto m odifica radicalmente la situazione
del tema platonico del «tener nascosto»: chi ha finora creduto di
poter metiere da parte scherzosamente l ’idea di una limitazione
intenzionale della comunicazione, dovrá ora riconoscere di non
essere stato in grado di leggere l ’ ironia di Socrate con sufficiente
ironía.
La presa in giro, portata in primo piano, dei due poveri diavoli
Dionisodoro ed Eutidemo, isolatamente presa in sé, non sareb-

2 L a fondazione piü precisa di questa interpretazione viene fornita nel capitolo


ter/o.
50 INTRODUZIONE

be commovente, e sarebbe del tutto priva di importanza; letta


invece su uno sfondo corretto, cioé non solo alia luce della dot-
trina dell’ anamnesi, bensi anche, soprattutto, in riferimento al­
ia figura del filosofo contenuta nella parte conclusiva del Fe-
d ro , essa ripropone in m odo acuto l ’intera questione dell’ «e s o ­
térica» platónica.
M a occorre, per giungere a queste conclusioni, una nuova in-
terpretazione del dialogo Eutidem o, che é poco letto? N on di­
cono i testi del Fedro e della Lettera V II, che sono a tutti fami-
liari, con ogni chiarezza desiderabile, che il dialettico non affi-
derá alia scrittura le cose piü importanti della filosofía, e che
non esiste nessuno scritto (aúyypajjifjia) di Platone su quello che
per lui era veramente serio? N on dicono proprio i dialoghi piü
importanti, in passi centrali, che la questione di volta in volta
decisiva non deve essere proseguita «o r a »?
Certamente é cosi; ma la odierna filología platónica — che in
questa questione trova anche il consenso dell’ interpretazione fi­
losófica di Platone — ha a disposizione un intero arsenale di
argomenti per aggirare queste autotestimonianze contenute ne-
gli scritti platonici e per trasformarle nel loro contrario. La
semplice dichiarazione di Platone per cui non esisterebbe nessu­
no scritto suo sulle cose secondo lui decisive significa, secondo
Tinterpretazione di Platone dominante, che non esiste nessuno
scritto dot trina le sistemático composto da lui in proposito (ma
esistono, comunque, altri scritti, appunto i dialoghi). L a preci­
sa asserzione che il filo so fo non affiderá alia scrittura le cose
secondo lui «se rie », poiché lo scritto é inerme di fronte ai frain-
tendimenti e alie critiche e non sa «portar soccorso» a se mede-
simo, significa, per il lettore di oggi, che il filosofo affiderá le
cose per lui «s e rie » certamente solo ad un particolare tipo di
scritto, il dialogo, poiché il dialogo scritto si distingue da altri
tipi di scrittura per il fatto di essere perfettamente in grado di
«portar soccorso» a se medesimo. L a assicurazione di Socrate
per cui egli lascia da parte molte delle cose che sarebbero da di­
re sul Bene diventa, per l ’interprete moderno, un m odo p rofon ­
do di riconoscere che sul Bene non si puó dire piü di quello che
si é detto, e l ’insistenza di Platone sulla strada «p iü lunga» e
«p iü d ivin a» rispetto all’ opera scritta e che il dialettico deve
percorrere, viene súbito registrata, con presunta congenialitá,
come una visione non impegnativa del pensatore Platone, che
INTRODUZIONE 51

vuole restare esistenzialmente «a p e rto », e che per principio non


si vincola.
La teoria dei dialogo platonico, che vorrebbe unire tutti questi
argomenti in m odo sistemático e dimostrare che il dialogo è, se-
condo Platone, Túnica form a legittima delia comunicazione fi­
losófica, è, per i piü, la antica verità contro cui la nuova inter-
pretazione «esoterica» deve giustificarsi, ossia deve legittimare
se stessa. Pochi sanno che ali’ origine di questa teoria con Fried-
rich Schleiermacher stava Tesigenza polemica di sottrarsi al ri-
conoscimento delTesoterica platónica, che egli ha frainteso in
m odo certamente m olto evidente3.
Si sa che la polemica, di solito, intorbida lo sguardo. Se non vo-
gliamo renderei dipendenti dalle decisioni provvisorie di
Schleiermacher, dobbiamo ricominciare da capo, da do ve egli
ha posto i binari per il suo tipo di interpretazione di Platone che
è stato cosi influente: dobbiamo cioè ricominciare dal testo pla­
tonico fondamentale sul filosofare órale e sul filosofare scritto,
ossia dalla parte conclusiva dei Fedro. Innanzitutto, si tratterà,
qui, di evitare la selettività determinata dalla tendenza polemica
di Schleiermacher, che ha guidato fino ad oggi 1’ interpretazione
di questo testo. Solo una valutazione equilibrata di tutti i pensie-
ri dominanti dei testo fondamentale e la considerazione dei con­
testo in cui sono inseriti da Platone, potrà fornire 1’ ottica secon-
do cui dovremo procedere per interrogare i dialoghi. La parte
conclusiva dei Fedro non fornisce solo la risposta di Platone alia
questione dei rapporto fra filosofia orale e filosofia scritta, ma
fornisce anche la chiave per la risoluzione di questa questione
prendendo in considerazione Tintera sua opera.

3 Si veda l ’Appendice I, pp. 452 ss.


L «Fedro»
La critica della scrittura

1. «F e d r o », 274 B - 278 E

L a separazione della parte conclusiva del Fedro dalle parti pre-


cedenti, ormai diventata consuetudine a partiré da Schleierma-
cher, dovrá essere rimpiazzata solo nel prossimo capitolo me­
diante una interpretazione integrativa. Accettiamo, in primo
luogo, la riduzione dell’ angolo visuale, che é ormai diventata
quasi canónica1, e consideriamo da solé le ultime pagine del
dialogo.

a) «F e d ro », 274 A 6 - 275 D 3

A partiré da 274 A 6 Socrate inizia a trarre dalle discussioni pre-


cedenti le conclusioni circa l ’ opportunitá o Pinopportunitá dello
scrivere. N el trarre tali conclusioni, egli si orienta a stabilire
quanto sia grato agli Dei il rapporto umano con i «discorsi» (Xó-
yot) (274 B 9). É vero che egli sostiene di essere inform ato solo
per sen tito dire su ció che é grato agli Dei (274 C 1), tuttavia egli
enuncia súbito dopo — senza prometiere nulla — la possibilitá
di ottenere una conoscenza propria di ció che é grato agli Dei, la
qual cosa ci renderebbe indipendenti dalle opinioni degli uomini
(274 C 2-3).
Quel «sentito d ire» consiste in una breve storia dell’ antico dio
Theuth, che, dice Socrate, si narra in Egitto. Fedro intuisce che
la storia non é autentica (275 B 3); ma viene súbito rimproverato
da Socrate per questa sua critica: é indifferente da dove viene la
storia e chi la narra; conta solo se quanto viene detto risulta vero
(275 B 5 - C 2). E in effetti si tratta non tanto di un sentito dire,
quanto della concezione propria di Socrate. L ’ esposizione di

1 Per le rare eccezioni cfr. sotto, Appendice I, p. 450, n. 45.


54 ¡FEDRO»

questa concezione sotto una maschera straniera disturba solo


uno spirito non filosofico.
L a storia «egizian a » racconta come il dio Theuth mostró al re
Thamus le sue invenzioni, e tra queste anche la scrittura
(ypápi(jiaTa). II re, piuttosto critico, giudicó la nuova conquista
con minor favore di quanto avesse fatto Porgoglioso invento-
re: la scrittura non avrebbe affatto reso piü sapienti coloro che
Pavessero appresa e non avrebbe potenziato la loro memoria,
come credeva Theuth. A l contrario, avrebbe favorito la sme-
moratezza nelle anime, poiché si sarebbe fatto affidamento
sulPaiuto esterno della scrittura, anziché esercitare la memo­
ria, la quale deriva dal nostro intimo. La scrittura é uno stru-
mentó per richiamare alia memoria e non per fissare nella me­
moria. E la scrittura non avrebbe prodotto la sapienza, per­
ché, per mezzo di essa, si sarebbero potute «ascoltare» molte
cose senza che ad esse si accompagnasse Pinsegnamento (8 l-
Ba)(r¡), il che avrebbe reso gli uomini piü ricchi di nozioni, ma
non piü ricchi di conoscenze (7toXu7¡xooi - 7roXuyvcó[xov£(;);
avrebbe, perció, destato in loro la presunzione della sapienza e
li avrebbe resi sgradevoli nei rapporti con gli altri (274 C 5 -
275 B 2).
La sentenza di Eraclito «la molteplicitá di nozioni non insegna
ad avere intelligenza» (itoXufj.a0ír] vóov e'x&iv ou fr.
40) viene qui non solo ampliata, ma acquista un’ interpretazio-
ne piü profonda e, al tempo stesso, piü concreta per quanto ri-
guarda la funzione delle due forze piü importanti che determi-
nano ogni formazione spirituale: i libri e gli uomini. Ció che
«insegna ad avere intelligenza» (vóov £xetv ^iSáaxei) é Pinse­
gnamento o «d o ttrin a » personale. L ’ insegnamento (StBoc^r)),
nel presente contesto, in cui viene presentato come suo contra­
rio Pacquisizione di nozioni dalla scrittura (ypacpr¡, 275 A 3),
puó significare solo il discorso órale del discente con un do­
cente (BiBotaxíjúv) piü esperto, il quale deve prendere il posto
del libro, che solo in apparenza trasmette conoscenza, se deve
sorgere la vera sapienza e non la sua parvenza.
D opo il rimprovero di Fedro, di cui si é detto sopra, Socrate
rileva, quale risultato della storia, che sarebbe m olto ingenuo
riten ere di poter tramandare un’ «a r te » Ccáxvri) per mezzo di
segni scritti o ricavare da essi qualcosa di chiaro ed attendibile.
Tutto quello che i «d iscorsi» (Xóyot.) scritti possono fare é di
LA CRITICA DELLA SCRITTURA 55

richiamare alia memoria di chi giá sa ció di cui tratta lo scritto


(275 C 5 - D 2).
II significato di «a r te » (te^vt]), qui, nella formulazione riassun-
tiva di ció che la storia di Theuth ci insegna, deve essere uguale a
quello che ha nella storia stessa. Le « a r t i» tróvate dal D io sono
il gioco del tavoliere, il gioco dei dadi, la scrittura, P aritmética,
la geometria e P astronomía (274 C 8 - D 2). « A r t e » ( t í ^ t ] ) indi­
ca, in primo luogo, la abilitá via vía richiesta o la scienza stessa,
non la sua illustrazione. Una illustrazione delle rególe del gioco
dei dadi, cosi come una illustrazione delle dimostrazioni della
geometría, puó certamente essere data in form a scritta, median­
te segni che sono «estran ei» alPanima (utc ’áXXo-upíwv t ú t t o j v ,
275 A 4). Quello che tuttavia mancherebbe, é la comprensione
«in terio re», che é essenzialmente legata alia natura stessa della
cosa, e che puó essere generata solo mediante un insegnamento
personale (BiSocxri). « A r t e » (téx^rj) indica, ahora, un ámbito og-
gettuale e il dominio di esso basato su una precisa comprensione
da parte di uno che non ne é solo «d o s so s o fo », ossia non ne é in
possesso per mere opinioni (So^ócrocpos); indica Pambito ogget-
tuale come razionalmente compreso e dominato. II significato di
«m anu ale» é, invece, del tutto estraneo al contesto e ogni accen-
no ad esso é completamente assente2. Platone parla del contri­
buto conoscitivo della scrittura (ypá¡ji(jLaxa, 275 C 5; ypacpri, 275
A 3) in generale, e non di una form a particolare e specifica di
esposizione scritta.
II contributo della scrittura consiste nel richiamo delle cose co­
munícate da essa alia memoria di chi giá sa (275 C 8 - D 2). «C o -
lui che sa» (ó efócog) non puó essere altri che il «sapiente» (oo-
9 6<¡), da cui il «portatore di opin ion i» (So£óao<po<;) si distingue,
per il fatto di rimanere «senza insegnamento» (av&u Si8axr¡s)<

2 La traduzione di R. Hackforth: «u n manuale scritto» (.P la to ’s Phaedrus, Cam­


bridge, 1952, p. 158) risulta, percio, scorretta; anche W .K .C . Guthrie (A H istory
o f Greek P h ilosop h y , IV : Pla to. The M a n and his Dialogues: Earlier Period, 1975,
p. 57) lo segue. N ella seconda parte del Fed ro vengono menzionati i manuali di re-
torica; sebbene in quella sede il contesto faccia chiaramente riferimento alia retori-
ca, Platone, tuttavia, affianca a xiyyr\ sempre una specificazione aggiuntiva (T&xvrl
pritoptxri 271 A 5; [rce.pi] Xo-ycov 261 B 6-7; 271 C 2; (3tpXia irepi Xoyojv
xiyyr\q yeypa|j.|j.£va 266 D 6): xiyyt\, da sola, non significa affatto semplicemente
«m anuale» — e certo non se la parola e stata utilizzata in precedenza secondo il
senso consueto («a rte »). — Anche nella Lettera V I I xiyyr\ non significa manuale
(341 B), cfr. sotto pp. 478 s.
56 «FEDRO»

La storia di Theuth vuol dire che il risveglio primario della vera


conoscenza è legato all’ insegnamento, mentre la scrittura serve,
nel migliore dei casi, ad una riattivazione secondaria, ossia ad
un richiamo di una conoscenza giá presente. Questo vale, co-
munque, se noi esigiamo dalla «conoscenza» che essa sia qual-
cosa di chiaro e stabile (275 C 6). Sara compito del prossimo pa-
ragrafo mostrare che l ’ acquisizione di conoscenze mediante la
scrittura non potra mai rispettare proprio questa condizione.

b) «F e d r o », 275 D 4 - 276 A 9

L a scrittura, dice Socrate, ha una brutta caratteristica costituti-


va, che condivide con la pittura: come le figure dípinte sembra
che vivano, ma alie domande che a loro si volgono oppongono
un silenzio solenne, cosi sembra che anche le esposizioni scritte
(Xóyot) par lino come se sapessero, ma se si rivolgono loro do-
mande per m eglio comprendere quanto è stato detto, esse dico­
no sempre la medesima cosa. E una volta scritta, una spiegazio-
ne puó circolare ovunque, presso quelli che se ne intendono cosi
come presso quelli che non se ne intendono. Essa non sa quali
siano le persone alie quali si debba parlare (o non si debba parla­
re). Se viene attaccata o ingiustamente oltraggiata, essa ha sem­
pre bisogno del soccorso deirautore: da sola essa non puo né di-
fendersi né aiutarsi.
L a spiegazione viva e animata di chi sa è di gran lunga superiore
alia spiegazione scritta (al Xóyoç yeypafxpiévoi;), che costituisce
un’ immagine di quella: essa viene «scritta» con vero sapere nel-
l ’ anima del discente, è in grado di difendersi e sa quando parlare
e quando tacere, a chi deve parlare e a chi deve tacere (275 D 4 -
276 A 9).
Che il «d iscorso » (Xóyoq) che viene «sc ritto » nelPanima del di­
scente non possa essere un «discorso scritto» (kóyoç yEypa^jii-
voç), risulta già dal fatto che esso viene contrapposto al «discor­
s o » (Xóyoç) scritto come un originale si contrappone alia copia,
e che viene inoltre detto «v iv o e anim ato», mentre in precedenza
le cose scritte erano state caratterizzate dalPassenza di vita, co­
me una figura dipinta. Orbene, la contrapposizione riguarda il
«d iscorso » parlato e quello scritto, e non due tipi di discorso
scritto, di cui uno piü ricco e uno meno ricco di vita (come un
dialogo e un trattato). Oggetto di critica è sempre e solo «la
LA CRITICA DELLA SCRITTURA 57

scrittura» (ypacprj, 275 D 4) in quanto tale, e non un partico-


lare tipo di applicazione di essa. Ogni «discorso» (Xóyo$) é
esposto senza difese al nemico non appena esso viene scritto
(oxocv octcocÉ; ypacpri, ... nat; Xóyo<; ... 275 D 9 - E 1), e non
solo quello composto in form a espositiva non dialogata. Solo
il «d iscorso» órale puó sopperire al difetto dello scritto, che
consiste nella rígida mancanza di vita e nella incapacita di di-
fendersi dal discredito. M a non ogni discorso órale puó far
questo, bensi solo il discorso órale di «ch i sa» (276 A 8). Co-
lui «ch e sa» é colui che impartisce « l ’ insegnamento» (StSax'n),
e perció gli si associa ora un «discente» (276 A 5), nella cui
anima egli «scrive». Chi sa é in grado di soccorrere il suo « d i ­
scorso» (Aó-foq), quando lo ritenga opportuno; certamente ci
saranno anche uomini di fronte ai quali egli riterrá giusto ta-
cere (aiyav típó$ oü? SsT, 276 A 7). Ció che é scritto non pos-
siede piü questa liberta di trattenersi daU’ esprímersi: esso « v a ­
ga ovunque», come dice Socrate con disprezzo, sia presso per­
sone che se ne intendono sia presso persone inadeguate e non
sa a chi debba parlare o con chi debba tacere. In altre parole:
ognuno puó procurarsi e leggere un libro pubblicato, e, per
giunta, puó giudicarlo, del tutto impunemente, privo di
valore.
Sostenere che il libro, o un particolare tipo di libro possa an­
che non «p a rla re» a un particolare tipo di lettori contraddice
il senso del brano e del testo chiaro di 275 E 1-3. Altrettanto
poco platónica é la concezione secondo la quale esiste un sen-
so «recó n d ito » e «p iü p ro fo n d o » consegnato alia scrittura,
quasi fosse un «so cco rso » che la scrittura possiede di per sé
contro la critica di persone che non capiscono, e che tale sen-
so possa esser richiamato dal lettore che comprende automáti­
camente in forza della sua comprensione «piü p rofon da»,
senza aver bisogno del contributo delVautore. Piuttosto, colui
«ch e sa» decide, secondo la propria valutazione personale di
colui che ha di fronte e a seconda della situazione, se egli
debba o no fare un discorso difensivo.
La capacita del «d iscorso » (Xóyoi;) filosofico di venire in soc­
corso a se medesimo contro gli attacchi é introdotta, qui, co­
me la capacita di «co lu i che sa», e che filosofa oralmente. La
contrapposizione dello scritto, quale mera immagine. al di­
scorso vivo e animato visto come discorso vero e proprio, non
58 «PEDRO»

porta, come prima cosa, alia possibilitá che anche «ch i sa»
possa scrivere qualcosa.
La sua capacita di «so cco rso » é, comunque, del tutto indipen-
dente da questa possibilitá. Essa si basa, evidentemente, su un
sopravanzare del contenuto del discorso «che soccorre», rispet-
to a quello che viene soccorso. Infatti, se il «d iscorso» scritto
(esposizione, Xófos) non puó soccorrere se stesso, ma dice sem­
p re la medesima cosa, quello che é in grado di soccorrerlo dovrá
appunto esser in grado di non ripetere sempre la stessa cosa,
bensi dovrá esprimere altre cose: precisamente, dovrá esprimere
non altre tesi (come G. Vlastos ha erróneamente in teso3), ma,
naturalmente, dovrá esprimere altri argomenti per giustificare le
stesse tesi.
L a capacitá di soccorso viene presentata, anche nel brano che
segue, ancora per intero alFinterno della discussione órale; solo
nell’ ultimo brano questa stessa capacitá viene impiegata per di­
stinguere il « filo s o fo » (cpiXóaocpoi;) come autore da «scritto ri»
nel senso comune del termine e da poeti.
L ’ esposizione scritta é «im m a gin e» ( eiScoXgv) di quella órale.
N on si deve, qui, pensare tanto a riproduzioni «realistiche» di
veri discorsi e nemmeno ad una precisione protocollare nella an-
notazione, quanto soprattutto — in sintonia con il disprezzo
della scrittura nel paragrafo precedente e in questo (275 D 5 - E
5) — alia forte svalutazione che in Platone é sempre connessa
con questo vocabolo: 1’ «im m agin e», in linea di principio, é di
grado inferiore rispetto al «p ro to tip o », non ne possiede la stessa
«v e ritá » e la stessa « fo r z a » . N el nostro contesto questo signifi­
ca: la esposizione scritta non puó assolutamente realizzare ció
che quella órale, quale suo prototipo, é in grado di compiere,
vale a dire uno «scrivere» n eir«a n im a », ossia una vera comuni-
cazione di conoscenza4.

3 «G n o m o n », 35 (1963), p. 653. A proposito della spiegazione scorretta dell’inter-


pretazione «esoterica», quale viene proposta da Vlastos, cfr. il mio articolo D ia log­
fo r m und Esoterik, Z u r Deutung des platonischen Dialogs “ Phaidros” , «Museum
Helveticum », 35 (1978), pp. 21-24 e sotto, pp. 66 s.
4 È noto che la critica platonica al Xo^oç scritto si collega ad una discussione pro-
pria della retorica del suo tempo (Alcidamante, Isocrate) (cfr., ad esempio, il mate­
riale in L. Robin, Platon, Phèdre, texte établi et traduit, Paris 1950 2 [1933 pp.
C L X IV ss.; P. Friedländer, P la to n , I, Berlin, 19643, pp. 117 con indicazioni bi-
bliografiche alla nota 4). A volte si trascura di osservare che la discussione di cui si
è detto fornisce a Platone solo termini isolati — assai noto è il parallelo di Fedro,
LA CRITICA DELLA SCRITTURA 59

La qualificazione dello scritto come «im m agin e» include indub-


biamente anche il dialogo scritto; non puó, pero, limitarsi esclu-
sivamente ad esso, perché né la parola etScoXov stabilisce quanto
possa spingersi 1’immagine scritta nell’ inevitabile limitazione del
vivo procedimento del discorso5; né il concetto opposto di « d i­
scorso vivo e anim ato» eselude che «ch i sa» possa servirsi della
form a della conferenza6.
Quello che fino a questo punto abbiamo di fronte é una critica
della scrittura mantenuta rigorosamente in linea generate di
principio, e non giá una teoría del dialogo come un mezzo della
comunicazione filosófica. Una siffatta teoria non comparirá
nemmeno in seguito; Socrate, con il paragone dell’ agrícoltore,
parlera invece della scrittura del filosofo in generale.

c) «F e d ro », 276 B 1 - 277 A 5

Un agricoltore che abbia senno non seminerá con intenzioni se­


rie un seme che gli sta a cuore e da cui si aspetta frutti, in un
«giardinetto di A d o n e », per rallegrarsi se dopo otto giorni giá
germoglia. Una cosa simile la fará solo per gioco. II seme che gli

276 A : Xôyoç, ÇcÔv xat ’¿[xfyuyoç, ~ Alcidamante, Tlepl aocpicmôv 28: ejjlcJjuxoç ècru xat
Çïj (del discorso parlato) — , non ha perô determinato la sua formulazione della
questione, né ne ha anticipato la soluzione. Robin, loc. c it., ha dichiarato che i pa-
ralleli storici in proposito non approdano fondamentalmente a nulla.
i II libro quinto, non dialogico, delle Legg i è un’ «im m agin e» di una viva discus-
sione filosofica esattamente come i restanti libri che Platone ha condotto in forma
dialogica. Cio avrebbe ugualmente valore, anche se venissero eliminati il riferimen-
to ad una figura del dialogo (I’ «A te n ie s e») e l’immaginaria ambientazione cretese:
anche se la vivacità della rappresentazione si atténuasse, o se infine andasse del tut-
to perduta, lo scritto resterebbe comunque un’ «im m agine».
6 N el Tim eo, l ’uomo di Stato dell’ Italia méridionale, che nel dialogo rappresenta
senza dubbio ii «sapiente», fa un discorso della durata di alcune ore. Dal momento
che egli parla ad un pubblico scelto (a persone «a d a tte », cfr. F ed ro, 276 E 6 Aapwv
c|>uxriv Tîpoa^xouaav — Tim eo ha certo scelto il pubblico adatto per il suo discorso),
e dal momento che egli sarebbe senz’ altro in grado di rispondere allé loro domande
(cosa che nei dialogo non viene descritta, ma accennata: in 28 C e 53 D Tim eo ac-
cenna alla possibilité di fondare più profondamente le sue asserzioni), dobbiamo
intendere il suo discorso, alPinterno della cor ni ce drammaturgica immaginata, co­
me il discorso senz’ altro « v iv o » , pur non essendo stato condotto in forma dialogi­
ca, fatto da un sapiente, e perciô dobbiamo intendere la stesura per iscritto del suo
m onologo come un’ «im m agin e» nel senso del Fedro. (Fa parte della natura della
rappresentazione-immagine scritta il non poter fornire una più profonda fondazio-
ne, cosa che il sapiente potrebbe esporre, se gli venisse richiesto). Si mostrerà, sot-
to, che anche il lungo discorso non dialogico di Socrate nel Fedro va inteso come
discorso « v i v o » del «sapiente».
60 «FEDRO»

sta veramente a cuore, invece, lo seminerà nel terreno adatto e


secondo le regole delPagricoltura, e sarà contento se sarà ger-
mogliato e cresciuto dopo otto mesi. A lio stesso m odo, colui che
possegga la scienza del Giusto, del Bello e del Bene, non la semi­
nerà con lo stilo, scrivendo nell’ acqua con discorsi (Xóyoi) che
non possono difendersi e non sono in grado di insegnare in m o­
do sufficiente la verità. Egli, anzi, seminerà « il giardinetto della
scrittura» solo per gioco e per preparare mezzi che aiuteranno a
ricordare quando sarà anziano, e che serviranno per lui e per
quanti seguono le sue orme, e sarà contento se questo giardinet­
to crescerá bene (276 B 1 - D 8).
Questo gioco di chi si diverte scrivendo e che narra con storie
(jiuGoAoyouvTOc) della giustizia e di cose a questa connesse suscita
l ’ ammirazione di Fedro (276 E 1 - 3). Ancora piu bella, ribatte
Socrate, è la serietà nei confronti di queste cose, quando uno, ri-
correndo all’ arte della dialettica, e prendendo un’anima adatta,
vi pianta «discorsi» con vera scienza, tali che siano in grado di
difendere se stessi e chi li pianta, e non restino senza frutto, ma
presentino semi da cui, in altre indoli, nascano altri «discorsi»,
che procurino in chi li possiede la felicità che è possibile per
l ’ uomo (276 B 1 - 277 A 5).
II paragone mette in correlazione fra loro, con grande chiarezza,
gli elementi degli ambiti messi a confronto: per quanto concerne
il gioco, al «giardinetto di A d o n e » corrisponde 1’ esposizione
scritta del Giusto, del Bello e del Buono, alia semina di un giar­
dinetto di Ad on e corrisponde l ’ «esporre in m odo narrativo ciò
che concerne la giustizia e le altre cose» (¡loOoXoyeiv Stxaioaúvriç
t £ xat tcúv aXXaiv TuápO- I bei germogli del seme nel giardinetto
corrispondono all’ impostazione dello scritto letterariamente
riuscita7. A l seme senza frutto corrisponde l ’incapacita dello

7 Non indica certo la comprensione del lettore (cosi ad esempio H. Meißner, D e r


tiefere Lo g o s Platons. Eine Auseinandersetzung m it dem Problem der Widersprü­
che in Platons Werken, Heidelberg 1978, pp. 212; J. Klein, A Commentary on P la ­
t o ’s M e n o, Chapel H ill 1965, p. 21), perché «com prensione» corrisponderebbe giä
al «ra c c o lto » (xotpTcói;), che chi si intende di agricoltura da quei germogli che cre-
scono in otto giorni non si aspetterä giä in partenza. L a semente, da cui il contadi-
no si aspetta il raccolto (lyxapTta ßouXotto yevéaGat, 272 B 2), non viene seminata
nel giardinetto di Adone. Soltanto la «serietä» orale del filosofo é ou/j axapuo?
(277 A 1), e secondo Platone, con il «g io c o » scritto non si ricaverá alcun raccolto
filosofico.
L A CRITICA DELLA SCRITTURA 61

scritto di difendersi8, naturalmente dello scritto di chi sa sulla


giustizia (276 C 8, E 2 contro E 7 e s.)- Per quanto concerne in-
vece la serietà, la scelta dell’anima adatta corrisponde alia scelta
del terreno adatto (arcetpoc; eiç tò rcpoafixov - Xaßcbv ^pos-
rjxouaav); l ’ «a r te » della dialettica corrisponde all’ «a rte » agríco­
la (yewpyixT) - BtaXexTtxr) têxvyj); ai frutti del seme corri­
sponde la capacità dei «d iscorsi» (Xóyoi) appena piantati di di-
fendere se stessi e 1’ autore, e di «p ia n tare» in altre anime « d i­
scorsi» (Xóyoi) delia stessa natura.
« G io c o » è la composizione di scritti propria del dialettico (276 C
3 - D 2). II fatto che anche i maestri di retorica indicassero i loro
discorsi epidittici con il termine «g io c h i» (îroayvia) (cosi, ad
esempio Gorgia, Elena, 21), non interessa qui Platone in alcun
m o d o 9. Egli ha inserito, invece, un richiamo al suo proprio la-
voro principale: le parole St,xouoaúvr)ç Tcepi (jiuÓoXoyoüvtoc (276 E
2-3) sono state spiegate in m odo convincente da W . Luther 10co­
me allusione alia Repubblica, che viene giudicata come un ¡jlu9o-
Xoys.lv (376 D; 501 E). Che si tratti di un richiamo preciso pro­
prio alla Repubblica, si ricava dal fatto che Platone parla, qui,
dello scritto di colui che possiede la dialettica (la scienza del Giu-
sto, del Bello e del Buono, 276 C 3): con questo vengono esclusi
altri autori che possono alio stesso modo aver scritto «storie sul­
la giustizia e sulle altre cose», quali, ad esempio, Prodico, che
aveva narrato la storia della scelta di Eracle per la virtú e, per-
ció, anche della scelta per la giustizia.
U paragone non indica attivitá che implichino, al tempo stesso,
gioco e serietà, cosi come non esiste un piantare attuabile al tem­
po stesso, nel giardinetto di Adon e e nel campo. Gioco e serietà,
scritto «m itologizzan te» e discorso dialettico sono chiaramente
distinti. E per quanto noi vorremmo vedere, per amore dei dia-
loghi platonici, che scherzo e serietà possano venir intessuti in-
sieme, il paragone non ci fa affatto il piacere di confermare que­
sto. Evidentemente, Platone intende, con questi concetti,

8 Ció fa crollare le speculazioni, oggi tanto popolari, sulle meravigliose capacita


del dialogo « v iv o » ; cfr. sotto pp. 431 s., 442 ss.
9 É errato il tentativo, compiuto da Th. Ebert, M einung und Wissen in der P h ilo ­
sophie Platons, Berlin 1974, p. 27, di tenere separato dai dialoghi il concetto di 7iai-
Sux, perché esso veniva impiegato anche nella retorica.
10 W . Luther, D ie Schwäche des geschriebenen Logos, in «Gym nasium », 68
(1961), pp. 536 s.
62 «FEDRO»

qualcosa di diverso da quello che noi pensiamo, allorché noi in-


dichiamo alcuni suoi dialoghi ad un tempo come seri e
scherzosi.
II significato di « g io c o » deve essere inteso, per il contesto in cui
compare, come concetto opposto a «serietà» (come piü avanti il
significato di 9 aõXa in rapporto a TipiicÓT&pa): non si deve temere
che il contenuto degli scritti del dialettico non sia serio o sia
completamente ingannevole o fuorviante 11. L a gioia dello scrit-
tore per il suo lavoro ha certo svolto un ruolo in questa denomi-
nazione (cfr. rjaGriaç-Tai, 276 D 4), ma è decisivo il fatto che chi
insegna fa uso delParte dialettica solo parlando (276 E 5, cosi
come l ’ arte dell’ agricoltura viene impiegata solo quando si lavo-
ra il terreno, 276 B 6 ). (Puó anche aver influito il fatto che lo
scrivere, come attivitá solitaria, non impegna tutto Puomo nella
stessa misura richiesta dal tentativo di conquistare P anima di un
altro uomo; tuttavia Platone non parla, qui, di questa sfida
«esistenziale» per chi insegna).
Anche per questo paragrafo, come giá per il precedente (cfr. so­
pra, pp. 57 s.), non è supérfluo ribadire che la capacitá di «ven i­
re in soccorso» (ßor)0eTv, 277 A l ) non esce fuori ancora dalP ám­
bito delia serietà (arcou§r¡) orale. Che anche per il « g io c o » (rcai,-
8 iá) scritto essa possa avere un peso, é, per la capacitá del venire
in soccorso in quanto tale, secondario.
Resta poco chiaro se, nel paragone, dobbiamo fare i conti con
due diversi semi, ossia se, in riferimento alia filosofia, dobbia­
mo fare i conti con una differenza di contenuto fra «discorsi»
(Xóyot,) scritti e orali. II testo, da un lato, suggerisce questo (cov
arceplateo v xr\Botro... 276 B 2; ¿cp’ oíç Se [seil. oitépfjLacjLv] ¿arcou-
8 goce,v, B 6 ) 12: dalP altro, si tratta del Giusto, del Bello e del Buo-
no sia sul serio che per scherzo 13. Risulta invece chiaro, ancora

11 Cosi, di recente, D. R o lo ff, Platonische Ironie. Das Beispiel: Theaiteos, Heidel­


berg 1975, e Meißner, D e r tiefere L o g o s... (cfr. sopra, nota 7), cfr. sotto pp. 66 s.,
351 s.
12 Am pliamento di emsp^oemv, ad esempio anche nelle traduzioni di G.J. de Vries
(A Com mentary on the Phaedrus o f Pla to, Amsterdam 1969, p. 253), di F.
Schleiermacher {Platon, Sämtliche Werke, Berlin 1818 ', 1855 -') e di Robin (op.
eit., sopra, nota 4). Meißner, p. 74 tenta invano di evitare il riferimento di e<p’ ol<;
Be. ¿cnrQUOaxsv a OTtep[J.axa B 2 ma la sua proposta di traduzione contravviene alla
struttura de 11a fräse («b e i dem hingegen, was er ernsthaft betreibt»).
13 Meißner, D e r tiefere Lo go s p. 74, nota 1, crede di poter risolvere la questio-
ne rinviando a Schol. Th eocr., 15, 113: ne! passo si dice che nel giardinetto di A d o-
LA CRITICA D ELLA SCRITTURA 63

una volta, che l ’ agricoltore, in un caso, non vuole alcun frutto,


e nemmeno lo ottiene; nell’ altro caso, invece, la sua semina mira
al frutto e ottiene, cosi, il successo. Poiché il «fr u tto » è posto in
relazione al «so cco rso » (277 A l ) , sará solo il chiarimento di
questo concetto a risolvere la questione, se esista, o in che senso
esista, una differenza di contenuto fra esposizione scritta e di­
scorso órale 14.
L ’ idea deir«insegnam ento» ( 8 iSaxr¡) ha caratterizzato la critica
delia scrittura giá a partiré dalla storia di Theuth e, nel secondo
paragrafo, è stata esplicitata piú da vicino per mezzo dell’accen-
no al «discente» nella cui anima «ch i sa» «scrive» i suoi discorsi
vivi (276 A 5-9); essa viene ulteriormente chiarita nelle parole
«prendendo l ’ anima adatta» (Xapáv ^uxty rcpoarpcouaav, 276 E
6 ): colui che sa, prende per sé un discente la cui anima egli ritie-
ne «vicina, attinente (alia cosa)», in breve, un’ anima «ad atta».
Un libro, invece, non puó scegliersi il lettore adatto, ma viene
preso sia da persone adatte sia da persone inadatte. « L ’arte del­
la dialettica» si sviluppa solo nel discorso con l’ interlocutore
adatto, cosí come l ’ agricoltore puó sviluppare « l ’arte agrícola»
solo in una parte di terreno «a d a tto » (276 B 6-7; tó npocríxov,
B 7).

d) «F e d r o », 277 A 6 - 278 E 4

Socrate procede ora ad un riepilogo dei risultati delPintera se-


conda parte del dialogo. Le condizioni dello svolgimento a rego­
la d ’ arte dei «d iscorsi» (Xoyot) sono la comprensione secondo
un procedimento diairetico-definitorio dell’ essenza delle cose
trattate, ed anche la comprensione della natura deH’ anima, ed
insieme la capacité di rivolgersi ad ogni anima, secondo la natu-

ne si sarebbero seminati frumento ed orzo — la stessa semente, quindi, utilizzata in


agricoltura. M a è ovvio che non importa tanto quello che «realm ente» le donne di
Teocrito facessero alia festa di Adone, quanto piuttosto quei tratti della «re a ltà »
che Platone, nella sua similitudine, ha utilizzato e interpretato — o, forse, anche
reinterpretato. N on è un lontano scolio ellenistico che deve decidere se ci troviamo
qui di fronte ad una reinterpretazione in funzione di ció che Platone ha voluto
esprimere, ma è il testo stesso di Platone, attentamente formulato, che deve fornire
la soluzione.
14 Platone ha certo giá fornito una preliminare determinazione: chi sa portare soc­
corso a se medesimo «oralm ente», a differenza della scrittura, non ripeterá solían­
lo le stesse cose, cfr. sopra, pp. 57 s. (e nota 3) a proposito di 275 D 9 e 276 A 6.
64 «FEDRO»

ra che le è própria, con quel tipo di «discorsi» (Xóyoi) che meglio


corrisponda ad essa. L a condizione deiropportunità delFuso dei
«d iscorsi» (Xóyot) è data dal fatto che colui che stende uno scrit-
to (aúyypapifxa, 277 D 7) riconosca che, per mezzo di questo,
non si raggiungeranno un’ affidabilità e una chiarezza rilevanti;
egli deve sapere che ogni esposizione scritta porta con sé neces­
sariamente «m o lto g io c o » e che nessun «d iscorso» (Xóyoç) è de-
gno di grande serietà, né un discorso scritto in poesia né uno in
prosa, e nemmeno uno orale, se non lascia aperta la strada alie
domande e se si propone come scopo non 1’ insegnamento ma la
persuasione. Solo quel «d iscorso » orale sul Giusto, Bello e Buo-
no, che serve alP«insegnare» e allJ«im p arare» e viene veramente
scritto nell’ anima, è chiaro, compiuto e degno di serietà. L a sin-
tesi culmina in un messaggio a tutti coloro che scrivono: solo un
autore, che ha scritto ciò che ha scritto conoscendo la verità su-
gli argomenti trattati, e che è in possesso delia capacità di venire
in soccorso alia sua opera, ossia di accettare unJindagine orale
che la metta alia prova (un eXeyx0?) e di dimostrare lui stesso nel
corso di un’ esposizione orale (Xéycov auxóç) che il suo scritto ha
un valore limitato, solo costui merita il nome di « filo s o f o » (cpi-
Xóaocpoç); il quale nome non fa riferimento agli scritti di un au­
tore, bensi a ciò che per 1’ autore ha valore di serietà. Un autore
che, invece, non possiede nulla che sia di valore maggiore rispet-
to a ciò che ha scritto, rivoltando questo in su e in giü e aggiu-
stando o togliendo, merita solo nomi quali «p o e ta », composito-
re di discorsi, scrittore di leggi.
La critica delia scrittura sfocia in m odo non imprevedibile nella
caratterizzazione dei « filo s o fo » (cpiXóaocpoç). Egli è colui che fi­
losofa oralmente. Questa immagine dei filo so fo stava già sullo
sfondo dell’ «insegnam ento» (SiBa^ri) delia storia di Theuth: egli
è colui che è in grado di soccorrere la debolezza delia scrittura,
la quale vuole fornire una conoscenza «senza insegnamento»
(aveu SiSaxíjç). II « filo s o f o » (çtXóaoçoç) si è mostrato, allora,
come «colu i che sa», colui che « f a uso delParte delia dialettica»
nel suo discorso con il «discente» che è stato ritenuto adatto, e
che quindi «scrive nella sua anim a». È colui che possiede la ca­
pacità di venire in soccorso alia sua esposizione, in primo luogo
in quanto, filosofando oralmente, la possiede (pp. 57 s., 62 s.), e
la trasmette ad altri, e inoltre, come apprendiamo ora, agisce in
maniera sovrana anche nei confronti dei propri scritti, cosi che
L A CRITICA DELLA SCRITTURA 65

questi si rivelano di minore importanza in confronto alia sua pa­


rola. Se quanto il « filo s o f o » (tpiXóaocpoç) fa sul serio ha nome
« filo s o fia » (cptXoaocpía), allora, per Platone, «filo s o fia » è il di-
scorso orale, che porta «ch i sa» a «insegnare» ad un «discente»
che si è scelto. Tra tutti i «d iscorsi» (Xóyot), perciò, quello «det-
to nel contesto delFinsegnamento e alio scopo di far imparare»
( 8 i8 aaxófj,evoç xod ¡jlocGticjêcúç x *P lv XeYÓfjievoç, 278 A 2) è il solo
che ha un vero valore. Questo tipo di «d iscorso» (Xóyoç) è il solo
che resta da una divisione esaustiva di tutti i «discorsi» (Xóyoi):
quelli scritti, siano essi in poesia o in prosa, non sono, nelFinsie-
me, degni di grande serietà. Poiché non esiste niente di scritto
che non sia né poesia né p ro sa 15, è ozioso chiedersi se i dialoghi
propri di Platone siano in qualche m odo esclusi da questo giudi-
zio 16. Dai «d iscorsi» (Xóyot) orali vanno ben distinti tutti quelli

15 In Luciano, Aiç xarrffopoúfjxvoç, 33, il dialogo si lamenta di essere stato impo-


síato da Luciano in m odo tale che ouxe jreÇóç eijjtt oúV ¿7tc tmv [lá-cpwv ßeßrjxa. J.
Laborderie (L e dialogue platonicien de la maturité, Paris 1978, p. 53) ignora il con­
testo; trascura, soprattutto, la chiara tendenza antiplatonica delle innovazioni del
«S ir ó » e cita il passo, cosi come se vi fosse detto qualcosa di positivo sul dialogo
platónica. — Nemmeno il fatto che, secondo Aristotele, fr. 73 Rose = Diogene
Laerzio, I II 37, il m odo platonico di scrivere si collochi a metà strada tra poesia e
TTE-Çòç Xóyoç, non m odifica la considerazione che in Fedro, 277 E 6-7, le parole ou-
Sévoc Tramóte Xoyov iv [ííip o i oti8’ aveu ¡iixpou intendono esprimere una disgiunzio-
ne lógica completa, a cui nulla sfugge (A e non-A, tertium non datur). Del resto,
l ’ accostamento aristotélico delle opere platoniche alia poesia non significherebbe
ancora la salvezza dalla critica della scrittura, contenuta nel Fedro, la quale include
chiaramente anche la poesia. (Ci si dovrebbe poi chiedere se rceÇòç Xóyoç come con­
cetto opposto a 7coíri¡jLa non rappresenti un fraintendimento di Diogene Laerzio o
della sua fonte. Dal momento che è noto che Aristotele non pone sullo stesso piano
la poesia e il discorso métrico [Poética, 1447 a 28 - b 20], anche il concetto opposto
alia poesia non sará stato quello di «scrittura in prosa»: egli considerava i dialoghi
come un ponte fra la scrittura técnica filosófica e la mimesi poética; in ogni caso,
essi, per lui, erano certo CTuyYpá¡xjxaxa; a proposito di questo termine cfr. sotto pp.
85 ss. e l ’Appendice II).
16 Laborderie, L e dialogue pla ton icien ..., p. 113, crede che Platone abbia condan-
nato solo i testi aveu àvaxpícetoç , per cui non è possibile che fossero intesi i dialo­
ghi. In realtà, aveu àvaxpiascoç è una determinazione delle esposizioni orali che
vanno respinte: quelle scritte sono già state eliminate in precedenza proprio a causa
del loro essere scritte. Inoltre, r «im m a g in e » della áváxpiatç contenuta nel dialogo
non costituirebbe affatto un sostituto delPinterrogazione dei dialogo da parte del
lettore, alla quale l ’ autore stesso non è presente. Anche aveu BtSaxrjç è detto in rife-
rimento al tipo di discorso orale che è stato rifiutato: sappiamo già dalla storia di
Theuth che la scrittura è, per principio, incapace di Sioa*/^, nel senso platonico dei
termine. Nonostante questo, si è ripetutamente voluto sottrarre i dialoghi al giudi-
zio negativo sulla scrittura a m otivo del loro valore educativo (ad esempio Guthrie,
A H istory ..., IV , p. 63; Laborderie, Le dialogue platonicien ..., p. 113; Meißner,
D e r tiefere Lo go s ..., p. 214 e passim). Le opere di Platone hanno evidentemente
66 «FEDRO»

fatti senza contemplare la possibilitá di porre domande (avsu


ávaxpíaeax'17) e che mirano solo a persuadere; restaño quelli
orali che mirano aH’ «insegnam ento» e aU’ «apprendim ento».
La «p r o v a » (zX iy x°Ó i 11 cui si mostra la superioritá del filosofo
é data dall’ interrogazione critica del suo scritto da parte degli al-
tri, siano essi avversari o amici, e non dalla «con fu tazion e» del-
lo scritto da parte dell’ autore stesso: la situazione in cui si deve
mostrare la capacita di «portare soccorso» (po 7]0 eTv) presuppo-
neva, fin dall’ inizio (275 D 8 ), che si trovassero di fronte Tuno
alPaltro uno scritto ed un lettore critico: solo che qui, ora, Tau-
tore prende il posto del suo scritto18. II fatto che quanto é stato
scritto si riveli «d e b o le » (cpocüXov) per mezzo del «so cco rso » del-
l ’ autore, non vuol dire che esso venga dichiarato sbagliato I9, e

un alto valore pedagógico — e chi potrebbe negarlo? — . Vá pero osservato che il


concetto che Platone ha di SiBocx^ non é quello di «azion e pedagógica per mezzo
degli scritti».
17 Con questo non é detto che la áváxpiat? debba essere intrecciaía alia esposizio-
ne. L a condizione che Platone pone perché sia possibile interrogare, é soddisfatía
anche hel caso in cui l ’ ascoltatore, dopo un discorso senza interruzioni, abbia la
possibilitá di chiedere conto all’ oratore (come avviene per Fedro, che ha la possibi­
litá di interrogare il discorso di Socrate sull’ anima e sull’eros; a proposito del m o­
nologo del Tim eo, cfr. sopra, nota 6). Quelli che Platone vuole escludere sono i tipi
di discorso che mirano a «costringere» l ’ animo degli ascoltatori, e che, fin dall’ini­
zio, non sono concepiti in m odo tale da poter essere interrogad. Se, ad esempio, il
discorso di Protagora (P ro ta go ra , 320 C - 328 D ) non possiede alcun valore filosó­
fico, ció é dovuto non giá al fatto che la áváxpun? venga realizzata immediatamen­
te dopo —- osservazione che vale anche per il discorso di Socrate 342 A - 347 A — ,
bensi al fatto che Protagora non é «u no che sa», ossia uno che non possiede la dia-
lettica platónica. Perciö egli non é in grado di «soccorrere» se medesimo durante
l ’interrogazione di Socrate, cfr. sotto, pp. 237 s.
18 Meißner, D e r tiefere L o g o s ..., pp. 110-112, intende l ’ e X rfx0? come una «c o n ­
futazione» di un livello di dialogo «superficiale» operata ricorrendo ad un livello
«p iú p ro fon d o »; questa lettura non solo trascura 275 D 8 (cfr. sopra), ma dimenti-
ca anche l ’ opposizione di Xéycov e yeypa}j.[jiva (o, meglio, ne travolge il senso:
Xiycov auxó;, 278 C 6 significherebbe allora «form u la lui stesso» — come se Pauto-
re stesso non avesse formulato anche il livello «superficiale»).
19 «Dichiarare sbagliato» é la traduzione di 9 <xöXa áno§ET£ca che propone J. Sten-
zel (Literarische F o rm und philosophischer Gehalt des platonischen D ialogs (1916),
in: Kleine Schriften zur griechischen Philosophie, Darmstadt 1946, p. 45). D i re­
cente, Meißner, D e r tiefere L o g o s ..., p. 112, identifica, senza alcun fondamento e
contraddicendo il significato, il termine cpocüXa del nostro passo con ü termine di
Cratilo, 408 C. — G. Vlastos («G n o m o n », 35 [1963], p. 653) mette a carico anche
all’interpretazione di H.J. Krämer l’ intendere il contenuto dei dialoghi come « f a l­
so»; ma di questo egli non puö addurre alcuna prova dal libro di Krämer (A rete bei
Pla ton und A ristoteles, Heidelberg 1959). É soprattutto questo malinteso che fo ­
menta i diffusi timori irrazionali di una «dequalificazione» dei dialoghi a causa di
un’interpretazione esoterica di Platone. L a corretta posizione dei termini dei pro-
LA CRITICA DELLA SCRITTURA 67

nemmeno che esso sia «b ru tto », o di valore scadente; dal com-


parativo «m aggior va lo re » ('uiJLiompa) va desunto un significato
relativo anche per «d e b o le » ( 9 auXov): solo in confronto a quan­
to emerge con la difesa, gli scritti del filo so fo si rivelano di un li-
vello piu basso.

2. I com p iti delVinterpretazione di Pla ton e quali risultano dalla


critica della scrittura

M a che cosa sono queste «cose di maggior valore» (xifjucoxepoc)


che si distanziano tanto dalle cose scritte? Alcuni hanno voluto
vedere in esse 1’ attività dialogica, il discorso vivo, che, in quanto
incontro personale, sarebbe stato, per Platone, di maggior valo­
re rispetto ad un dialogo scritto, anche se non differiscono i con-
tenuti formulati. Questa interpretazione sarebbe chiarificatrice,
se Platone caratterizzasse colui che non è filosofo come «colu i
che non ha qualcosa di maggior valore rispetto al com porre o al­
io scrivere» (tóv ¡xrj i'/ovra 'ujjitcoxepóv t i t o u auvxiôevou r¡ ypa-

blema (Retraktationen zum Prob lem des esoterischen Platon, «Museum Helveti-
cum », 21 [1964], p. 153 e nota 39; D ie grundsätzlichen Fragen der indirekten P la to­
nüberlieferung, in; H .G . Gadamer e W . Schadewaldt (curatori), Idee und Zahl.
Studien zur platonischen Philosophie, Heidelberg 1968, p. 136 e p. 150) viene, per
quanío mi consta, semplicemente ignorata da parte degli oppositori (in particolare,
la risposta di Vlastos a Krämer, in: P la ton ic Studies, Princeton 1973, pp. 339-403,
non affronta affatto la questione). — Del resto, riesce difficile capire come si sia
potuti giungere a interpretare scorrettamente il termine tpaüXa; infatti esso rarissi-
mamente assume in greco il significato di «sbagliato, scorretto» (fuorché «scorret-
t o » in senso m orale), mentre il significato consueto é «scadente», con la sfumatura
di «m odesto, semplice, di scarso rilievo, insignificante». L ’impiego che Euripide fa
di questo termine puó chiarirne il normale uso attico: Elettra , 760: oü-uoi ßaatXea
cpaüXov x-cavEÍv («nessuna piccolezza»); Ifigenia in A u lid e, 734: au Be 90CÜX’ rj-fTÍ 'c“ ‘
Se ( « l o ritiene di poco c on to»), ivi, 850: ápieXía 8ó<; auxá x a í cpaúX(o<; epépe («prendi-
lo per facile»); importanti anche le indicazioni del frammento 473, 1 N auck2, in cui
cpaüXot; e axo¡j.(jjo<; vengono usati come sinonimi; a questo corrisponde la frequente
opposizione di cpaüXoi; - aocpós (A ndrom aca, 379; Baccanti, 430; lo n e, 834; Fenicie,
496, cfr. anche frr. 635 e 641 N au ck 2). Per casi sinaili m Platone si vedano, ad
esempio, Ippia m inore, 369 D 3/6, crocpó^-cpaüXoi;, oppure Ippia maggiore, 286 E 8,
cpaüXov x a í ÍBtw uxóv (come endiadi di «p r o fa n o »). Anche nella formulazione di
Platone xa "fs.'ypa^évoc cpaüXa aT roB ^at si dovrebbe sentire questa opposizione: i
cpaüXa sono, rispetto a Tifzuoxtpa, «n on specialistici, non tecnici, semplici» (cfr.
sotto, p. 98, nota 47); che, comunque, essi siano «g iu s ti» ce lo dice Platone nella
Repubblica, 449 C (cfr. sotto, pp. 370 s.). Del resto, giä Diogene Laerzio rilevö l’ u-
so platonico del termine: ó youv, “ cpauXo^” XsyexaL rcap’ aux¿p I 71I xoü árcXoC (III
63). A proposito delPIppia minore, 372 B, cfr. sotto, p. 139, nota 8.
68 «FEDRO»

q>£t,v). Secondo il testo giuntoci, pero, egli lo definisce come «co -


lui che non possiede cose di maggior valore rispetto a quelle cose
che ha composto o scritte» (tov ¡jitj i'xovxa TifjtuÓTepa cov auvé9r]-
x e v r¡ £ypa<|>ev, 278 D 8 ), il che indica un confronto del valore

contenutistico tra esposizione scritta e difesa ó ra le 20. Ora, il va­


lore dello scritto si valuta secondo la conoscenza della veritá che
in esso ha trovato posto. II « filo s o fo » (cptXóaocpot;), nelle sue
«cose di maggior va lo re » (u[jucú'c&pa) dovrebbe forse disporre di
una conoscenza piü ampia intorno alia veritá?
Le «cose di maggior va lo re » ('ujitÓTepoc), che proverebbero esse-
re di minor valore i dialoghi di Platone, se Platone stesso é il « f i ­
lo s o fo » (cptXóaotpos), non possono, per definizione, essere conte-
nute di per sé nei dialoghi medesimi. E allora, come possiamo
apprendere qualcosa a loro riguardo? Le «cose di maggior valo­
re » ('rt^itÓTEpa) sono ció che viene portato alia ribalta mediante
il «so cco rso », che solo il « filo s o fo » (^lXóckxpgg) ha la capacitá di
portare. Poiché il soccorso é definito come soccorso órale, esso
sembra sottrarsi alia presa, cosi come sembrano sottrarsi alia
presa le stesse «cose di maggior valo re» ('ct^iw'U£pa). Abbiam o
visto, tuttavia, che l ’ interpretazione dell’ intera parte conclusiva
del Fedro, a partiré da 275 E, si appunta sulla spiegazione di
quest’ único concetto di «portare soccorso» (por)0 sív).
E proprio questo dovrebbe restare non comprensibile?
A tale proposito é bene ricordare che il «d iscorso» (Xóyo;) scrit­
to é, secondo le parole di Platone, un’ «im m agin e» del discorso
vivo di chi sa, e che i dialoghi tengono a disposizione Timmagine
del vero filosofo: Socrate é colui che filosofa oralmente e il cui
«insegnam ento» (BiSoc/ri) mira alia «fe lic ita » (eúBai^ovíoc, 277 A
3) del «d is c e n te »21.
L ’ interpretazione della critica della scrittura, contenuta nel Fe­
d ro , raggiungerá il suo scopo, pertanto, solo quando avremo

20 Secondo Vlastos («G n o m o n », 35 [1963], p. 654) 'rtfjuompa significano l ’ «attivi-


tá » del discutere; in m odo analogo Guthrie, A H istory ..., IV , p. 64. Secondo que-
sta interpretazione, Platone metterebbe a confronto un’ attivitá, il condurre un di­
scorso, con ü risultato di un’ altra attivitá (il libro come prodotto della scrittura),
quasi volesse dire: l ’attivitá del cantare é di maggior valore rispetto ai canti (risulta-
ti dalPattivitá del comporre). M a Platone non pensava certo in m odo cosí erroneo.
21 Socrate appare come colui che non sa nulla e domanda solo nei primi dialoghi;
al piü tardi a partiré dal M enone e dal G orgia, egli sa sosten ere anche convinzioni
positive: questo fatto — noto a tutti — viene troppo spesso volutamente dimen-
ticato.
L A CRITICA DELLA SCRITTURA 69

chiesto ai dialoghi se essi o ffro n o ¡ ’ «im m a gin e» del procedimen-


to del «so cco rso » filosofico. L a domanda decisiva dovrá suona-
re, allora, cosi: che cosa intende Platone con «soccorso» che so­
lo il filosofo é in grado di portare, al di fuori della parte conclu­
siva del Fed r o l
M a come potra mai succedere che noi otteniamo inform azioni
sul rapporto del « filo s o f o » (cpiXóaocpoc) con il suo scritto, par­
iendo dairim m agine di colui che filosofa oralmente e che non
ha mai scritto nulla? Si mostra, qui, il significato metodologico
dell’ osservazione sopra fa tta 22 che Platone intende la capacitá
di venire in soccorso del «d iscorso » (Xóyo?) principalmente co­
me caratteristica di colui che filosofa oralmente, prima ancora
di affrontare la possibilitá che anche «ch i sa» possa scrivere un
libro. É certo proprio questa capacitá — e non un’ altra 23 — ,
che consente al filosofo di dimostrare la propria superioritá nei
confront! dei puri e semplici scrittori e poeti, sulla base del rap­
porto fondamentalmente diverso col suo lavoro; ma per essa
non é importante, in quanto capacitá, che venga impiegata per
10 scritto. Essa distingue «ch i sa», sia esso impegnato per gioco
col «giard in etto» letterario, o no. Poiché si tratta della stessa ca­
pacitá di fondo, sia che il « filo s o f o » OptXóaocpcx;) aiuti una espo-
sizione órale sia che aiuti una scritta, anche le strutture concet-
tuali che emergeranno dovranno essere le stesse, e lo stesso sará
11 rapporto fra il «d is c o rso » (X ó fo ;) che necessita di soccorso e
quello che gli viene in soccorso.
L a figura di Socrate che filosofa oralmente sarebbe, quindi, del
tutto adatta a fornire inform azioni circa il senso della capacitá
di portare un soccorso filosofico. La domanda appena posta, se
intendiamo orientare la nostra interpretazione del Fedro secon-
do Platone stesso, dovrá essere precisata come segue24: i dialo­
ghi, in quanto «im m a gin i» del discorso « v i v o » di Socrate, con-

22 Cfr. sopra,pp. 5 7 s.,6 2 s. e64s.


23 A proposito del postulato di due diverse capacitá del «soccorso», sollevato da
de Vries (G .J. de Vries, H elping the Writings, «M useum Helveticum », 36 [1979],
pp. 60-62), cfr. sotto, pp. 122 s.
24 Questa domanda risulta decisiva per valutare se un’ interpretazione soddisfa o
no le esigenze filologiche. De Vries (cfr. sopra, nota 23) opta ancora per il ricorso
alie opinioni preconcette di Vlastos sul significato di Pot]0£ív, invece che riferirsi ai
dialoghi stessi (cfr. la mia risposta What One Should K now When Reading « H e l­
p in g the W ritings». A Reply to G.J. de Vries, «M useum Helveticum », 36 [1979],
pp. 164-165).
72 «FE D RO»

II primo passo nelPinterrogazione delF opera platônica secondo


i punti di vista forniti dal Fedro deve essere fatto, proprio consi­
derando questo stesso dialogo. Ed ecco, allora, il problema ehe
dobbiamo affrontare: il Fedro, considerato nella sua globalità,
conferma la nostra interpretazione provvisoria delia sua parte
conclusiva e risponde alie domande quali si ricavano da questa?
II. «Fedro»
Lo svolgimento del dialogo

1. L ’azione del dialogo

Bisogna, in primo luogo, capire il dialogo del Fedro come dram-


ma, e ció significa porre la domanda sulPazione del dialogo. L o
scopo dell’ azione é enunciato chiaramente in un punto chiave
del dialogo, nella preghiera a Eros alia fine della prima parte
(257 B): bisogna ottenere l ’ adesione del giovane Fedro alia vita
filosófica. E la preghiera a Pan, alia fine della seconda parte
(279 B-C), mostra che lo scopo dell’ azione é stato raggiunto:
unendosi alia preghiera di Socrate, Fedro acquisisce l ’ aspirazio-
ne alia bellezza interiore propria del maestro, e, quindi, la su-
bordinazione degli scopi della sua vita alia filosofía. (Se Fedro
proseguirá su questa strada, non é una questione che puó rien-
trare nel tema del dialogo che si svolge nello spazio di poche ore;
ma 1’azione che é possibile svolgere in un tale spazio di tempo
raggiunge il suo scopo).
Con questo abbiamo soltanto i tratti essenziali dell’ azione. Per
coglierne il significato, dobbiamo formulare una domanda piú
precisa1: che tipo di uomo deve aderire a che tipo di cosa? Che
tipo di persona lo fará aderire?
Fedro é il tipo del letterato: la cosa piü importante nella vita é,
per lui, la valutazione dei prodotti letterari; questo é il vero e
proprio scopo della sua vita (258 E 1-2). Certo, anche lui stesso
sa essere protagonista (242 B 2 ) 2; ma soprattutto gli piace carpi­
ré «d iscorsi» costruiti in m odo letterario composti dagli altri
(242 A 8 - B 5; 243 D 8 - E 2), ed é portato a tenere un com-

1 La constatazione che «anche qui di nuovo la discussione... si riferisce all’ anima


della gioventú» (Friedländer, P la to n , III, 19763, p. 201), nella sua formulazione
generica non fornisce ancora un aiuto al chiarimento delle questioni sollevate nella
parte conclusiva.
2 C fr .il discorso di Fedro sull’Eros, Simposio, 178 A -180 B.
74 «FEDRO»

portamento di carattere ricettivo: egli segue Lisia, che considera


il piü dotato autore moderno (228 A 1-2) e di cui é entusiasta; lo
sente leggere un nuovo discorso, e lo induce a rileggerlo piü vol-
te; rilegge, poi, lui stesso il discorso e lo impara a memoria. Egli
vuole, poi, recitare a Socrate il capolavoro imparato a memoria;
tuttavia si accontenterá di leggerlo ad alta voce (228 A-B , D; 230
E ), dal momento che Socrate non é interessato alia declamazio-
ne. Fedro, infatti, ha con sé il rotolo con il testo (228 D ); il suo
entusiasmo per l ’ autoritá letteraria che Lisia rappresenta gli fa
considerare il testo m olto seriamente: Fedro ha cieca fiducia nei
libri. E come crede nell’ uomo moderno del momento, cosi crede
anche nella educazione corrente: si interessa della spiegazione
razionale dei miti (229 C), conosce Parte delPeloquenza dei con-
temporanei e la sua teoría si richiama ai libri che la contengono
(266 D ), ma non osa pensare dell’eloquenza diversamente da co­
me generalmente la si definisce: per lui essa si rivolge ai discorsi
da tenere in tribúnale o davanti al popolo (261 B) e non al parla­
re umano in generale: essa consiste in un addestramento fórmale
(266 D ss.) e non ha niente a che fare con la veritá, bensi solo
con il verosimile (259 E - 260 A ; cfr. 273 A ).
Sarebbe difficile vedere che cosa Socrate dovrebbe fare di que-
sto giovane letterato irrequieto, se non fosse proprio questa sua
irrequietezza e questa sua capacita di entusiasmarsi ció che co-
stituisce il punto di partenza adatto per Vesperto dell’ arte di
amare (257 A 7): Socrate vuole rivolgere tale capacita verso un
oggetto migliore. Per questo egli, dapprima, da ad intendere
irónicamente di essere interessato alio stesso tipo di discorsi di
Fedro e di Lisia (227 B 9 - 11; 228 B 6 ; 236 E). E, in effetti, egli
non conosce meno a fondo tutto quello che entusiasma Fedro
(spiegazione dei miti 229 C-D, poesia erótica 235 B-C, retorica
266 D ss.). Tuttavia, non si crede alia sua assicurazione di non
poter mai piü fare a meno di una tale presentazione letteraria
(236 E). Infatti egli non tenta mai di nascondere la sua scarsa
considerazione di Lisia e dell’intero livello culturale che Lisia
rappresenta. Cosi facendo, egli diventa, drammaturgicamente,
non solo il polo opposto del giovane Fedro, ma anche l’ immagi-
ne spirituale opposta al suo idolo, Lisia.
Certo, anche da Socrate Fedro ascolta discorsi, non, pero, nella
prosa d ’ arte accuratamente limata di Lisia (228 A 1), bensi vivi
discorsi improvvisati (cosi, almeno, vuole la finzione dramma-
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 75

turgica di Platone che dobbiamo in primo luogo seguire). So-


prattutto, pero, Fedro non riceve da Socrate nessun libro da po-
ter imparare a memoria a casa: egli viene, invece, giá nel corso
del dialogo, piú volte portato a scordare la sua istruzione libre­
sca e a rivolgere lo sguardo verso cose piü importanti (cosi 229 C
ss. a proposito dell’interpretazione dei miti; e cosi 259 E e 261 B
a proposito della determinazione delParte retorica), prima che
gli venga spiegata, infine, nella parte conclusiva, l’ inutilitá dei
libri in generale. L a cosa piü importante é la domanda su come
stanno effettivamente le cose (270 C; 275 C), la domanda filosó­
fica circa la veritá (essa domina il dialogo da 259 E, e giá era sta-
ta accennata in precedenza 234 E 6 ; 237 C 1-3; 242 E - 243 A ;
244 A ; 246 A 4-6).
D i importanza decisiva é il fatto che il tipo di educazione che Fe­
dro deve lasciare dietro di sé é presente, nel dialogo, sotto form a
del libro, mentre 1’ educazione filosófica, per la quale bisogna
ottenere la sua adesione, si presenta nella forma del discorso
personale, Questa distinzione ha indubbiamente valore simbóli­
co per il messaggio del dialogo considerato nella sua globalitá.
L ’ azione del dialogo, quindi, intesa in maniera piü precisa, con­
siste nel fatto che Fedro, fiducioso neü’ autoritá e nell’ educazio­
ne, deve essere sottratto all’ educazione libresca e condotto verso
un pensare autonomo. Questa liberazione dal libro non puó, pe­
ro, compiersi, a sua volta, di nuovo per mezzo di un libro, bensi
solo mediante un discorso personale3. Conquistato dalla filoso­
fía, Fedro viene, al tempo stesso, espressamente conquistato,
nel corso del discorso, dal filosofare ó ra le4.
Giá prima della parte conclusiva, Fedro viene invitato, mediante
lo svolgimento dell’ azione stessa, a non aspettarsi affatto la se-

3 II libro — come il Fedro stesso — puó comunque comunicare che esiste una libe­
razione e puó fornire indicazioni sulla strada che conduce a quest’ ultima. Va ovvia-
mente oltre la portata del libro il sapere se la comunicazione è stata capita e se si
giunge alia liberazione dalla fede nello scritto.
4 È chiaro che quell’interpretazione che vede nella critica della scrittura, presente
nella parte conclusiva, un’ indicazione mascherata a favore della form a di comuni­
cazione indiretta costituita dal dialogo scritto, fraintende, oltre ad altre cose, anche
Pazione del dialogo. Tradotta nel linguaggio delPazione drammatica, questa Ínter-
pretazione direbbe che Socrate toglie di mano a Fedro, che ha fede nello scritto, il
libro di Lisia solo per consegnargli un nuovo libro da Ieggere, questa volta di Plato­
ne — e con questo andrebbe persa l ’ intera scrupolosa costruzione simbólica del-
l ’ opposizione «libro-discorso».
76 «FEDRO»

rietá filosófica da ció che é scritto, cosi come l’ agricoltore assen-


nato non si aspetterá frutti dal «giardinetto di A d o n e ». O, per
diría con concetti propri della retorica: egli viene invitato ad ab-
bandonare una retorica, in cui sia possibile ottenere qualcosa ri-
chiamandosi alie autoritá o addirittura imparandola a memoria,
e nella quale ci si puó scegliere una qualunque persona che stia
di fronte per potersi esercitare (cfr. 228 E 1-2). Egli deve abban-
donarla a favore della vera «re to ric a », ossia della dialettica, che
agisce solo quando Foratore conosce 1*anima dell’ individuo sin-
golo che ha di fronte (TrapaytYvó^evov ... Staia0avójA£vo<;, 271 E
4), ed é da quel momento in grado, a seconda di come richieda
la situazione, di parlare o di trattenersi dal parlare (npoaXapóvri
Jtaipous toü tcót£ XexTéov xaí eTuax&xéov, 272 A 4).
Per questo m otivo, Socrate é da solo a discorrere con Fedro:
quello che ha da dirgli riguarda lui personalmente; ad un altro
egli direbbe queste cose in m odo diverso, o anche non le direb-
be, a seconda della situazione e della natura dell’interlocutore.
La domanda riguardo al significato delFazione non é certo esau-
rientemente risolta con quanto sin qui abbiamo detto, e quindi
ci accompagnerá in seguito, quando porremo domande circa il
tema del dialogo.

2 . A zion e eterna

Quale sia, propriamente, il tema del dialogo, costituisce un vec-


chio problema delFinterpretazione del Fedro. Le due parti prin-
cipali (227 A - 257 B e 257 B - 279 C) contrastano fra loro netta-
mente non solo per Y atmosfera e per lo stile, ma anche proprio
per il contenuto. Sembra che manchi l ’unitá proprio nel dialogo
che esprime l ’ esigenza che Topera letteraria debba presentare un
ordine orgánico come il corpo di un essere vivente (264 C ) 5.
I temi delle parti principali, considerati individualmente, non
sembrano, invece, presentare problemi: i tre discorsi, che riem-
piono quasi completamente la prima parte, trattano di Eros e
Psyche; la seconda parte tratta della retorica. II legame che fon ­
da l ’unitá, perció, é stato cercato in quei nessi obiettivi che colle-
gano Tamore, Panima e il discorso.

5 E. Norden, D ie antike Kunstprosa, 1, Leipzig 1898, p. 112: « I I Fedro in questo


— cioe “ nel comporre in m odo corretto un grande insieme” — e fa llito ».
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 77

M a questo m odo di determinare il tema delle parti principali ri-


correndo ad un concetto generico, é troppo poco rispettoso del-
lo svolgimento deiritinerario del pensiero e dell’ azione, e crea,
per ció, es so stesso il «p ro b le m a » dell’ unitá del F ed ro. Se si
guarda in m odo accurato, nella seconda parte viene richiamata
l’ attenzione non solo sul concetto di retorica, ma, prima di tut-
to, sulla domanda che verte intorno alia questione quale «arte
del discorso» sia la piü alta. L a discussione ha inizio dalla consi-
derazione sul fatto che alcuni politici hanno rimproverato a L i­
sia proprio lo scrivere discorsi (257 C). Socrate sottolinea súbito
che anche costoro, in quanto prom otori di decisioni popolari,
sono autori di «d iscorsi» fissati per iscritto (di Xóyoi y£ypapi[jL£-
voi o au'f'ypápLfjtaxa); di per sé, non c’é nulla di ingiusto nello
scrivere (258 D ). Giá per i politici e per i logografi il punto in
questione é, in effetti, soltanto quale sia il corretto modo di scri­
vere, e tanto piü questo lo é per Socrate. Cosi, egli traccia uno
schizzo di una retorica ideale, che é infinitamente superiore a
quella consueta, grazie alia conoscenza della veritá che essa pos-
siede. Solo partendo da questa retorica completa — che é, di
fatto, idéntica alia dialettica filosófica — é possibile anche sta-
bilire le condizioni in cui lo scrivere puó essere un’ infamia. É
un’ infamia, precisamente, qualora chi scrive non conosca la ve­
ritá, qualora non abbia in serbo per la spiegazione órale «cose di
maggior va lo re » ('uiij.i&T&pa), ossia, in breve, qualora non sia un
«filo s o fo » (cpiXóaocpo;, 278 C-E). II giudizio spregiativo iniziale
dei politici a proposito dei logografi viene ora sostituito da una
svalutazione dello scrivere, superiore a quel giudizio perché fon-
data sulle cose stesse.
M a lo stesso orientamento agonístico, come si potrebbe definir­
lo, determinava giá anche la prima parte: prima della domanda
sull’ essenza di Eros e della Psyche, vi era la domanda su come si
potesse sostenere, in una esposizione di contenuto superiore, la
superioritá di chi non é innamorato, di cui parlava il discorso di
Lisia. Solo il compito di superare Lisia spinge Socrate a fare due
discorsi, da parte sua.
N el m odo in cui questo compito viene prospettato e accolto é giá
contenuta una decisione preliminare su come debbano essere le
«cose di maggior va lo re » ( t (.¡jucó-cepoc) del filosofo. N el suo entu­
siasmo per il discorso di Lisia sulPamore, Fedro sostiene che
nessuno potrebbe dire cose diverse o aggiungerne di nuove, su
78 «FE D RO»

quello stesso tema, che fossero, al tempo stesso, piü importanti.


(sxepa touto>v [jisíÇo) xoci ttXeío) Tce.pl toü auxoü 7cpáy[Jiatoç, 234 E
3). Socrate non può essere d ’accordo con luí in questo; e con ta­
le obiezione è già entrato in gara con Lisia, e, in seguito, le con-
dizioni delia gara verranno piü volte nomínate: la superiorità dei
successivo discorso sulPEros dovrà basarsi su argomenti in ag-
giunta, che superino quelli fino ad ora impiegati non solo quan­
titativamente ma, soprattutto, qualitativamente (ossia in signifi-
cato e in «v a lo r e »): saranno richieste «altre cose maggiori e di
maggior valo re» (aXXoc tcX&íco xai tcX ê ío v q ç cÊÇta, 235 B 4 ) 6. Per
mitigare un poco la severità delle condizioni, viene ancora preci-
sato che non tutti gli argomenti devono essere nuovi. Alcune co­
se fondamentali devono rimanere, poiché si tratta pur sempre
del medesimo argomento, e anche Lisia non ha certo potuto fal­
liré in pieno nel suo discorso: l ’ esigenza di qualcosa di maggior
valore (7rXe.íovoç #Çta) viene, tuttavia, tenuta espressamente co­
me valida (235 E - 236 B). Anche l ’ esigenza di Pedro di qualcosa
di piü e di migliore viene accettata, comunque, da Socrate (235
C 5 -6 )7; grazie a questa coincidenza di esigenze dei due interlo-
cutori vengono poste le basi per le discussioni che seguiranno: la
superiorità di una esposizione sull’ altra è posta sin dall’ inizio
sotto il criterio della maggior completezza e soprattutto della
maggior importanza (del maggior «v a lo r e ») del contenuto, Que­
sto punto di vista che funge da guida viene mantenuto, senza va-
riazioni, sino alia esplicitazione della superiorità delle «cose di

6 A ltri ulteriori argomenti: exepa xoúxtov, 234 E 3; aXXa, 235 B 4, rnxpà xaüxa...
sx&pa, C 6 , exepa D 7 e 236 B 2; napa xt)v ixtívou aocpíav txepóv t i , B 7; quantitá de-
gli argomenti: TiXetto, 234 E 3; 235 B 4; 236 B 2; [xr| eXáxxto, 235 D 7; significato de-
gli argomenti: ^&CÇto, 234 E 3; ¡j.r¡ 235 C 6; [kXxtw, 235 D 6; soprattutto
^Xe-íovoç aÇia («d i maggior va lore»), 235 B 5; 236 B 2.
7 Naturalmente Socrate fa i complimenti — come Fedro in precedenza: 228 A B —
e assicura di non poter certo superare Lisia nel contenuto (236 B 7). E questa etpto-
veícc socratica non elimina ovviamente la richiesta che un logos superiore debba of-
frire cose migliori. L a ripresa del m otivo del xaXX(o7u£&aQGU (236 D 6, cfr. ¿ópúírce-
to, 228 C 2) vuole mostrare che Socrate è tanto desideroso di offrire una esposizio­
ne migliore quanto Fedro lo era di recitare. — G. J. de Vries non nota né che Socra­
te riconosce espressamente la richiesta di Fedro, né che, di fatto, egli nei suoi di-
scorsi Ia soddisfa, perciò è stato possibile per de Vries, in un articolo volto a critica­
re la mia interpretazione («M useum H elveticum », 35 [1978], p. 28), sostenere l ’ opi-
nione secondo la quale il richiamo a ¡jlêíÇoj xai tcXeíco servirebbe soltanto a caratte-
rizzare il çiXóXoyoi; Fedro («M useum Helveticum », 36 [1979], p. 62). M a ovvia­
mente conta qui riconoscere come Socrate trasformi la richiesta ingenua in un in­
terrogatorio filosoficamente significativo.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 79

maggior valo re» (Ti¡jitcÓT£pa) — il termine significa non altro se


non quello che significa l ’ espressione teXeíovc«; a£ia in 235 B 5 e
236 B 2 — della esposizione órale, del filosofo intorno alie cose
di scarso valore (cpaüXoc) dei suoi propri scritti. A conclusione del
dialogo, Platone si riallaccia in m odo vistoso a ció che ha detto
in via preliminare sulla natura delle cose di maggior valore (xi-
[¿i&uepa): ora anche Isocrate viene visto in gara con Lisia, e So-
crate garantisce che un «istinto d ivin o » guiderá un giorno il gio-
vane oratore, oltre l ’ ambito in cui si muove Lisia, «verso cose
piü gran d i» ( í t u [j.&££<ú, 279 A 8 ~ 234 E 3), poiché per natura é
proprio del pensare di quest’uomo qualcosa che assomiglia alia
filosofía (278 E 5 - 279 B 3). É indiscusso che Topera di isocrate
venga qui posta al di sopra di quella di Lisia, dal punto di vista
del contenuto8. L a spiegazione delle sue «cose piü grandi» ef-
fettuata ricorrendo ad un istinto «d iv in o » e ad «una specie di fi­
lo so fía » («ptXoaocpía Titj) indica che anche la superioritá delle « c o ­
se di maggior valo re» (Ti[¿uÓTepoc) orali del filosofo che é vicino
al divino (278 D 3-5), di cui si é discusso immediatamente prima,
si deve basare appunto sul contenuto.
I discorsi che, nella prima parte, sono presentati in lotta per la
superioritá, trattano, da parte loro, di una lotta sulla preminen-
za. II loro tema é: un bel ragazzo quale amante deve riconoscere
come il migliore, ossia come il superiore, quello che lo ama o
quello che non lo ama? L a domanda diventa una gara tra due ti-
pi di amore; dipende dalla natura dell’ anima delPamante il tipo
di amore con cui egli accoglierá il piü giovane; dunque, combat-
tono per la preferenza anime configúrate in modo fondamental-
mente diverso. La migliore risulta 1’ anima che ha visto di piü in­
torno al vero essere (248 D ). Questa é 1’anima del filosofo; la
scelta dell’amato da lui compiuta si regola sulla affinitá delPes-
senza delle anime (252 D -E). II tipo di amore (i'pco?) superiore
non si rivolge ad un compagno qualunque, bensi si rivolge a lui
in quanto persona, cosi come anche il «d iscorso» (Xóyos) non
parla sempre a chiunque, come il libro, bensi al momento giusto
(xaipós) in un discorso personale alP«anima adatta» (({ju^tj izpoa-

8 Da parte sua, confrontando il contenuto del valore di diversi mathemata, Lsocra-


te parla di toc airouSatÓTepa xat nXeiovo? a£ux, X V 265 (e non senza accennare alia
problemática á tlF e d ro ).
so «FEDRO»

r\xoucoc)9: «re to ric a » filosofica ed eros filosofico sono una sola


cosa nella figura del dialettico che filosofa oralmente.
È ormai possibile vedere la connessione fra il tema e l’ azione del
dialogo: il tema è costituito dalla domanda sul tipo di «discor­
s o » (Xoyoç) che sia superiore, ove la superiorità va intesa nel
senso del contenuto. L a risposta suona cosi: il «d iscorso» (Xo-
yoç) scritto del filosofo è superiore agli scritti degli altri, ma il
suo «d iscorso » (Xôyoç) orale è a sua volta superiore rispetto ai
suoi propri scritti. Il confronto di valore, alFinterno del tema,
determina anche l ’ azione: Fedro deve acconsentire all’ «am an te»
(ipacrnfj;) superiore, al maestro del discorso superiore, ai «d i-
scorsi» (Xoyo!,) superioriI0. E la sua decisione è questa: egli opta
per Socrate, che filosofa oralmente, e per la retorica da lui ab-
bozzata, anche se non sviluppata. Le «cose di maggior valore»
(xi[jiia>TEpa) del filosofare orale, intese secondo il contenuto, so­
no lo scopo cui tendono sia lo sviluppo concettuale del tema, sia
quello drammaturgico dell’ azione.

3. I l rapport o delle p a rti del dialogo fr a loro

a) L ’ àmbito di validità délia critica dei Xoycn

I «discorsi» (Xoyoï.) del dialettico, descritti da Socrate secondo il


loro carattere comune, e il connesso tipo di relazione con i « d i­
scorsi» in generale, sono superiori a tutti gli altri «discorsi» (Xo-
ycn) e ad ogni altra retorica. Taie giudizio presuppone che So­
crate dia uno sguardo d ’ insieme a tutti i «d iscorsi» (Xoyoï.). N on
è, perciô, un caso che egli si preoccupi sempre che le discussioni
non si limitino ad un particolare tipo di «d iscorsi» (Xoyoi): l’ o-
rientamento dello sguardo su quanto è fondamentale in ogni di­
scorso e in ogni scritto è insostituibile a causa del punto che ha
di mira. Socrate vede, nella sua retorica filosofica, o dialettica,
niente meno che l ’ indagine dei fondamenti del par lare e del pen-
sare umano in quanto taie (266 B). Ogni interpretazione che vo-
glia attribuire alla parte conclusiva del Fedro il rifiuto non dello
scritto in generale, ma di un particolare tipo di scritti (ad esem-

9 272 A 4: itpoaXaßov'Ct xoapoùç tou îiote. Xsxxéov xai 276 E 6: Xaßthv


c)juX,^v 'ftpoarixouaav.
]0 C fr. l’ invocazione di Socrate ai suoi Xöyot per il progetto di una retorica ideale:
7îàpLT£ Sr),... OaüSpov TTEÎÔe're, 261 A 3 .
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 81

pió il rifiuto di «scritti dottrinali») n , e quindi la raccomanda-


zione implícita di un altro tipo di scritto (ad esempio del dialo­
go), non solo legge cose che non sono affatto presentí nel testo,
ma si pone anche in opposizione al movimento di pensiero del
dialogo, considerato nella sua globalitá.
L a discussione inizia certo con un discorso particolare, il discor­
so erotico di Lisia, e riceve un nuovo impulso, airinizio della se-
conda parte, con il rim provero, inteso anch’ esso solo indivi­
dualmente, da parte di certi poíitici, che Lisia é uno «scrittore di
discorsi» (257 C). Proprio per questo Socrate segnala súbito che
anche i poíitici sono smaniosi di scrivere discorsi: i loro «scritti»
(au 'n 'pów a'ta) sono le decisioni popolari scolpite sulla pietra
(257 E - 258 C ) n . Tuttavia, Pequiparazione di scrittori privati di
discorsi, di poíitici e di legislatori ai logografi (258 C 2) costitui-
sce essa stessa un passo comparativamente particolare e sen'e
solo a preparare Pestensione delPindagine a tutti coloro che
hanno scritto o scriveranno, non importa quale sia stato, o sará,
il loro tipo di scritto 13. E a questa estensione ne segue súbito
un’ altra, ancor piü importante: non solo andranno esaminate le
condizioni dello scrivere in m odo corretto ma anche quelle del
parlare in m odo corretto 14. Poiché la retorica, che Socrate vuol
raggiungere, regola ogni parlare umano, sia pubblico che priva-
to, di cose grandi e di cose piccole (261 A 7 - B 2), essa é un’ arte
di tutto quello che si manifesta nella lingua l5. Senza di essa non
si potra affatto dire né scrivere nulla a regola d’ arte (té/vt]) (271
B 7 - C 1), poiché il suo fondamento é Parte diairetica stessa, che
guida il corretto pensare (266 B 4-5).
Corrisponde all’importanza basilare, piü volte ribadita, di que-

11 « A lio scritto dottrinale si contrappone il logos orale» Friedländer, Platon, III,


p. 220 (a proposito di F ed ro, 274 A ss.).
12 Sarebbe già sufficiente questo passo per dimostrare che per Platone crú*pfpafi.fjia
non significa «scritto didattico»: le decisioni popolari non sono dei trattati. Per il
significato di fftrffpa|¿fxa cfr. Appendice II.
13 Aucíav ... xaí aXXov o a -u ç i z ú k o ’z Í t i ■yi'Ypacpev r) y p á c jjtt, t ix t t c o X it lx o v aúy-
Ypcqxpia t l i t iStamxóv, ív ¡j-Ét^cù coç TtoLrjt^ 7) avs-u (xéxpou có; iSicon^, 258 D 8-11.
Questa estensione dell’ esempio casuale di Lisia a tutti gli autori in generale ritorna
altre due volte in espressioni lingüísticamente moito simili: e ï r e Auaiocç yí t i ç aXXoç
nú>7íoxt eypacjjev r) ypácjjet £Bía 8r]pLoaía, 277 D 6-7; Auoía t e xai el' t i ç aXXoç auv-
'uí6r]atv Xofouç, 278 C 1.
14 xóv Xóyov 07rr¡ xaXtôç t y i i Xéyeiv z t x a î yp àçeiv xai ony \j.r¡, axeirriov, 259 E
1- 2 .
15 m p i TcávTCt tá X£yó¡J.£va fiía t i ç xí'/yf], 261 E 1-2.
82 «FEDRO»

ste discussion! sulla vera retorica il fatto che esse proseguano


con una critica, altrettanto basilare, delio scritto in quanto tale
(della ypoccpri) (274 B ss.), e che tutti i «discorsi» (Xoyoi) scritti e
orali vengano considerati in una diairesi complessiva, quando si
tratta di sottolineare quel tipo di «d iscorso» (Xoyo?) che ha «va -
lore di grande serieta» (277 E - 278 A ). L a critica alio scritto va
intesa in connessione con lo schizzo della vera retorica, che si
rende ben conto non solo delle cose da coraunicare e dell’ anima
che le recepisce, bensi, in terzo luogo, anche della natura dei
mezzi della comunicazione (parola e scrittura). Ci si doveva,
percio, aspettare fin d all’inizio che in questa parte del Fedro tut-
te le insufficienze della scrittura dovessero venir discusse: che
questo sia il caso, lo ha dimostrato punto per punto 1’ interpreta-
zione particolare 16. E f u o r i discussione che Platone non volesse
escludere le sue p ro p rie opere dalla critica della scrittura. Poi-
che, anzi, accennando al gioco (rcoaSia) scritto del dialettico, egli
ha fatto rientrare un chiaro riferimento alia sua stessa opera
principale17, possiamo ritenere con sicurezza che, anche descri-
vendo la «serieta » orale del filosofo, egli aveva presente, non da
ultimo, la sua propria attivita: Platone si vedeva come Fautore
che ha in serbo «cose di maggior valo re» (Tt[xia>i:£poc) per il filo-
sofare orale. Proprio questo gli ha reso facile I’ inserimento dei
suoi propri scritti nella critica della scrittura.

b) II «portare soccorso» (po 7] 0 £tv) e le «cose di maggior valore»


('UfJitcoTEpa) nella prima e nella seconda parte principale

L ’aiuto che ci viene, dalla comprensione dell’ azione deU’intero


dialogo (cfr. sopra pp. 72 - 80) e dai ragionamenti della seconda
parte principale (pp. 80 - 82), per la nostra interpretazione della
parte conclusiva, trova un completamento e una concretizzazio-
ne attraverso l ’ analisi dei singoli gradi in cui si manifesta la su­
periority della retorica socratica.

16 Cfr. sopra, pp. 53 ss.


17 A proposito di |j.u0oXoyciv , 276 E 3 cfr. sopra 14. J
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 83

b 1) Quali discorsi sono in concorrenza fra loro?

II tentativo di dimostrare la superioritá del discorso órale, nel


Fedro stesso, é di per sé ovvio. In questo m odo si é voluto con-
trapporre la seconda parte, che conduce la discussione secondo
la consueta maniera platónica di demanda e risposta e che nel-
Pinsieme illustra il discorso vivo e improvvisato, alia prima par­
te, che con i suoi lunghi discorsi apparterrebbe invece alF ámbito
della scrittura, o almeno all’ ámbito dei prodotti letterari fini-
t i 18. Questa interpretazione parte dall’esatta osservazione che i
discorsi di Socrate non sono meno limati di quelli di Lisia. Attri-
buirli per questo m otivo, insieme al discorso di Lisia, alPambito
della scrittura, significa, pero, riferirsi ad un punto di vista per
cosi dire estrinseco al dialogo. II perfetto dominio dello stru-
mento retorico da parte di Socrate non deve impedire di accetta-
re, innanzitutto, la situazione immaginaria del dialogo: questi
discorsi magistrali sono discorsi improvvisati (cfr. ainoaxe-
Btá^tov, 236 D 5), essi non vengono letti ad alta voce — questa
distinzione é sottolineata in 243 E 2 — , di essi non si danno, in
seguito, citazioni letterali, come per il discorso di Lisia (262 E;
263 E ) 19. D i piü, la esposizione órale superiore, se ponessimo la
cesura dopo il grande discorso di Socrate sulPEros, non sarebbe
piü commensurabile con quella inferiore secondo Faspetto deci­
sivo, quello, cioé, del contenuto: nella seconda parte non viene
detto niente di nuovo sulPEros, e delPanima si dice solo che essa
andrebbe considerata da questo e da quel punto di vista. II di­
scorso superiore deve tuttavia trattare lo stesso argomento (rcepí
xou auTOÜ Ttpá'YíAocxos, 234 E 3) di quello che esso vuole supera­
re 20.

18 Klein, A Com mentary ... (cfr. sopra, p. 60, nota 7), pp. 14 s., rileva che nella
seconda parte Socrate e Fedro riprendono regolarmente il discorso parlato «invece
di scambiare discorsi elaborad, cioé parole scritte o dettate» (p. 15). Con «p arole
dettate» Klein si riferisce al fatto che Socrate attribuisce a forze estranee il suo insó­
lito fiume di parole. C fr ., a questo proposito, la nota seguente.
19 Solo piü tardi di venta chiaro quanto poco Socrate si sia avvicinato a Lisia e ai
suoi colleghi per mezzo del suo improvvisato controllo degli strumenti retorici, e
quanto, invece, abbia in questo m odo illustrato il programma della retorica dialet-
tica ideale: l’ oratore dialettico impiegherá i Tipo xr\q xíyyt^ ávorpccuoc [xa6r¡[j.ocTO
(269 B 7- 8), cioé la conoscenza e le possibilitá della retorica consueta, in modo so-
vrano,'a seconda della sua conoscenza delle leggi della vera retorica, e collocandola
entro un discorso órale personale: 271 E 2 - 272 A 8.
20 In un al tro senso si puó parlare, anche qui, di una superior itá della seconda par­
te: cfr. sotto, pp. 92 ss.
84 «FEDRO»

II confronto del valore del contenuto, in cui Lisia e con lui l’ edu-
cazione ricevuta dai libri alla fine soccombono, è, di fatto, ini-
ziato giá m olto prima délia seconda parte principale: e precisa­
mente là dove Socrate dubita della eccellenza del discorso di L i­
sia e si dichiara pronto a scendere in gara con quello (234 E ss.).
Da questo momento Socrate — il quale è, per cosi dire, l ’incar-
nazione del filosofare orale — prende la parola, e quindi da que­
sto momento fino alla fine possiamo attenderci inform azioni su
quello che per lui è essenziale.
Che dobbiamo iniziare proprio qui, ce lo dice Platone stesso:
entrambi i discorsi di Socrate contengono cose che chi vuol fare
un’indagine sui discorsi deve conoscere (264 E 7 -8)21. Viene qui
fatto riferimento alia precisa definizione delPEros per mezzo di
un’analisi dialettica del con cetto22, i cui momenti di distinzione
diairetica (Siaipeatç) e di unificazione (auvaycojr\) sono le basi
del corretto pensare e parlare (266 B 4-5) e, quindi, anche della
retorica ideale generale che regola ogni discorso umano (261 E
1-2). In confronto con questo procedimento «secondo le rególe
dell’ arte», che compare quasi casualmente nei discorsi di Socra­
te (265 C 9), le rególe della retorica tradizionale si rivelano un

21 Dal discorso di Lisia, al contrario, si possono trarre solo insegnamenti in nega­


tivo: esso contiene esempi di ció che è bene evitare (264 E 5-6). Questo passo chiari-
sce che gli aiiyya. e é'vxE^va che Socrate vuole mostrare nei tre discorsi (262 E 5-7),
non si distribuiscono in m odo uniforme in tutti e tre, ma gli B.xzyya appartengono
soltanto a quello di Lisia, e gli evx&xva soltanto a quello di Socrate. Giá questo co-
stituisce un m otivo per cui «entrambi i discorsi» ( t o Xófio ), che contengono esem­
pi di come «colu i che conosce la verità» puó sviare gli ascoltatori (262 D 1-2), pos­
sono essere soltanto quelli di Socrate, poiché il saper trarre in inganno che è pro­
prio di «colui che sa» è segno d elP «arte» e si fonda certo sulla conoscenza dell’ ov
(262 B 5-8); Lisia non è certo l ’ efôtlbç xo àXïjôÉç. Inoltre, il duale indica non soltanto
«due discorsi» bensi «entrambi i discorsi», percio quelli che sono in qualche m odo
collegati. M a per Socrate i suoi discorsi risultano collegati poiché solo insieme essi
colgono diaireticamente [¿avía e i'ptoç (265 A 2 - 266 B 1). Percio, in seguito, il dua­
le si riferisce sempre ai discorsi di Socrate (265 A 2; 266 A 3, ecc.). In 243 C 2 il se­
condo discorso di Socrate non era ancora stato pronunciato, percio i due fatti fino
ad allora possono essere indicati complessivatnente con il duale (il nesso fra i due è
costituito dalla loro sfrontatezza (àvaiSôôç), a cui ora non si accenna più). — R o ­
bin, Platon, Phèdre ... (cfr. sopra, p. 58, nota 4), p. 66, intende con Xóytú, 262
D 1, il discorso di Lisia e il primo di Socrate; Hackforth, Platos Phaedrus 125
nota 1, intende il discorso di Lisia e i due di Socrate, che andrebbero contad come
un discorso solo. Entrambe queste spiegazioni fanno di Lisia un eïBwç to àXï)9éç (il
che equivale pressappoco a fare di Callicle, nei Gorgia, un difensore della giusti-
zia), la seconda, inoltre, ignora il fatto che quello che si vuol ritenere un discorso
doppio è indicato con un plurale (262 C 6).
22 Tratteremo di questo in m odo più preciso, sotto, pp. 92 - 97.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 85

sapere propedeutico (xa npó xffc 'zíyyrfc ávayxata [xaBrjfxaxa, 269


B 7-8).
I discorsi di Socrate contengono, dunque, esempi di dialettica, e
si basano, perianto, sulla conoscenza della veritá intorno agli es-
seri (ovxoc). Con questo viene pienamente attuata la prima condi -
zione della vera retorica (262 B; 273 E; 277 B ) 23. La seconda
condizione indica che l ’ oratore «ch e sa» deve conoscere 1’ anima
della persona a cui si sta rivolgendo, e deve agiré su di lui perso­
nalmente (7rap<rfrfvó|Ji£vov), al momento giusto, continuando il
discorso, oppure trattenendosi dal continuarlo (271 E 2; 272 A
8 ; 277 B-C). Platone chiarisce spesso che anche questa condizio­
ne é pienamente rispettata: mentre Lisia il suo discorso lo ha
«com posto in m olto tempo e tenendosi libero da tutto il resto»
(ev ttoXXw xpóvto xocxoc axpXr\v auvéGrixe, 228 A 1), ossia lo ha
steso per iscritto da solo e senza preoccuparsi di un particolare
destinatario o di una particolare occasione per la sua declama-
zione, Socrate ha invece sfruttato la disposizione spirituale indi­
vidúale di Fedro — ossia la sua capacita di entusiasmarsi — e la
condizione in cui la sua anima si trovava in quel momento — os­
sia il suo stordimento di fronte all’ arte di Lisia e il suo forte de-
siderio di brillare davanti a Socrate per la sua declamazione —
per condurlo verso cose m igliori con discorsi rivolti a lui perso­
nalmente 24, comunicandogli alcune cose e tenendogliene nasco-
ste altre25.
Poiché Socrate rispetta nei suoi discorsi le condizioni della vera
retorica, non stupisce che essi vengano definiti come discorsi di
uno «ch e conosce il v e ro » (el§¿)£ xó áXr]9ás, 262 D 1 )26. La di-
stinzione del «discorso vivo e animato di chi sa» (276 A 8 ), quale
archetipo del parlare pieno di senso della parte conclusiva, va
dunque inteso su questo sfondo. Entrambi i discorsi socratici sul-

23 Pero solo fino ad un certo punto; a proposito delle limitazioni di Platone, cfr.
sotto, pp. 94 ss.
24 Questo é detto espressamente in 243 E 4-8; 257 B 4-7, ed era giá stato accennato
in 238 D 7. La vera arte dell’ oratore si dispiega solo oralmente, di fronte all’ ascol-
tatore personalmente «presente»: Tiapa'ytYvófJLevov, 271 E 3; íiapoüaa, 272 A 2. C o ­
sí anche Fedro, per Socrate, é «presente» (•jtápea-ci.v, 243 E 7).
25 I discorsi di Socrate non illustrano solo il Xexxáov, bensi anche V im a x tiio v (272
A 4): in proposito, cfr. sotto pp. 96 ss.
26 A proposito di Xó^co cfr. sopra, nota 21. — La contrapposizione al consueto
non sapere di Socrate (235 C 7- 8; 262 D 5) viene mitigata dalla assicurazione che gli
esempi di un uso sapiente del discorso vi si trovano solo «p er caso». Cfr. pp. 93 ss.
86 «FEDRO»

l’Eros vanno presi — all’interno deirimmaginaria cornice in cui


si colloca il dramma del dialogo — come «discorsi vivi e anima-
t i» . E, con questo, conviene abbandonare l’idea che Platone
dia, nel Fedro, una teoría del dialogo come única form a legitti-
ma di esposizione filosófica, e che voglia illustrare, nelle due
parti principal!, la superioritá del processo di domanda e rispo-
sta e la inferioritá dello sviluppo «sistem ático» di un tema: l’ e-
sempio di un discorso « v i v o » di chi sa, presentato come immagi-
ne in primo luogo, si differenzia dall’ esposizione del puro
«scrittore di discorsi» (auy^pa^eus Xóyoov), che gli fa concorren-
za, proprio per Tordine sistemático, che segue cioé Pimposizio-
ne delle cose, assunto dal processo di pensiero27, e, non da ulti­
mo, anche per l ’ estensione, piü che triplicata, che é la sola che
permette uno sviluppo coerente e una completezza che punta al­
ia chiarezza. L a superioritá di un tale discorso non si basa su un
diverso m odo di comunicare (per cosi dire, su una form a di co-
municazione «in d iretta» rispetto ad una «d iretta » in Lisia
ma sul fatto che esso «viene scritto nell’ anima del discente», qui
rappresentato dal giovane Fedro (276 A 5).
L a superioritá del discorso vivo si deve concretamente mostrare
nella sua capacita di difendersi (Sovoctóc; á^uvat éauTto, 276 A 6 ).
II «m o d e llo » ( 7tapáSsiy|Jia, 262 D I ) platonico sarebbe scelto
male se P «im m agin e» scritta di un discorso vivo non avesse an­
che illustrato il m odo in cui vada soddisfatto questo criterio. II
«difen d ersi» presuppone un attacco (275 E 3-5), o almeno ur>
esame critico (un IXeyx0?» 278 C 5). I discorsi socratici sulPEros
possono svolgere la loro funzione di «m o d e llo » (TrapáSetYpia)
della vera retorica, solo se essi vengono considerati insieme a
quanto su di essi si dice in aggiunta. In tal modo, come la secon-
da parte principale prende la prima come «esem p io» delLutilitá
della dialettica per la retorica, cosi le due parti principali vanno

27 Socrate sottolinea Pimportanza di un inizio sistemático corretto per lo sviluppo


chiaro e coerente di ciò che segue in 237 C D; 263 E; 265 D.
28 Anche Lisia si serve, se si vuole, delia form a di comunicazione «in d iretta», in
quanto egli stesso resta «a n o n im o » dietro alia maschera deli’ amante non innamo-
rato. Già questo mostra che il «p rob lem a » delP«anonim ità» in Platone, gonfiato
dai moderni, non può aver avuto un peso decisivo per Platone stesso. Cfr. A ppen­
dice I, pp. 438 s.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 87

prese, insieme, come «esem plificazione» di come la superioritá


della dialettica regga alia prova.
Le argomentazioni di So crate nel quadro degli eventi del dialo­
go, sono, come si é detto, il «discorso vivo e animato di chi sa».
N o i, lettori, non siamo parte della scena drammatica: per noi
questi discorsi esistono solo nel libro «F e d r o » come «discorsi
scritti» (Xóyot e^potfxfjiévoi), e quindi come «im m agin e» del di­
scorso vivo. Si aggiunge cosi al «m o d e llo » OrapáSet.yfJLa) plató­
nico un ulteriore compito, apparentemente in contraddizione
col primo: in quanto « g io c o » (mxiSiá) scritto, il «m o d e llo » ( tzol-
páBeLyjxa) deve, al tempo stesso, illustrare la sua inferioritá ri-
spetto alie «cose di maggior valo re» (xtiteótepa) orali, che costi-
tuiscono la «serietá » del filosofo. L a contraddizione é, pero, so­
lo apparente. Platone svolge entrambi i compiti mediante un so­
lo e medesimo mezzo, spiegando che, per consolidare i risultati
dei discorsi sull’Eros, si dovrebbero guadagnare metódicamente
altri determinad risultati, e indicando soltanto questi passi ulte­
rior!, ma non compiendoli. Questo dimostra, al tempo stesso,
che «S ocra te» non resta confuso davanti al compito di una fon-
dazione piü profonda di quanto é esposto per iscritto (da « P la ­
to n e »), ma che ha idee m olto precise, in proposito, e che quanto
abbiamo davanti é qualcosa di inferiere (cpocüXov) in confronto
ad un’esposizione órale, che conterrebbe quella fondazione con
le sue «cose di maggior valo re» (xtjjiicoxepa).

b 2) Attacco e risposta superiore: un’ ascesa gradúale

L a superioritá dell’ esposizione filosófica nell’ esame critico


(£Xeyxo <;) significa l ’ inferioritá di quella non filosófica. Se Lisia
avesse meritato il nome di « filo s o fo » (^iXóaocpoc), allora egli
avrebbe comunicato a Fedro in un dialogo personale, in forza
della sua arte dialettica, «d iscorsi» (Xóyot) in grado di soccorre-
re se stessi e il loro autore (276 E 5 - 277 A l ) . Gli eventi del dia­
logo mostrano che il libro che Fedro ha ricevuto da Lisia al po­
sto della dialettica órale, non lo ha reso in grado di soccorrere il
«d iscorso » (Xóyoi;) e il suo autore. A lia critica di Socrate, che
sembra inizialmente rivolgersi alia form a (234 E - 235 A ), ma
che poi porta sempre piü in primo piano il contenuto (242 E -
243 D ) e il m odo in cui la form a si áncora al contenuto (262 E -
264 E), Fedro non sa obiettare nulla e teme che Lisia stesso
88 «FEDRO»

avrebbe rinunciato alia gara con Socrate (257 C). Questo pro­
gresso degli eventi, in cui Fedro si trasforma a poco a poco da
entusiástico sostenitore del libro di Lisia ad ascoltatore aperto
alie parole di Socrate, implica certamente che, dal canto suo,
egli non critica affatto la superiore esposizione órale di questo.
L a situazione del «ven ire in soccorso al discorso» (por)0eív tw
Xóyto) non è giocata quindi fino in fondo da Socrate, e proprio
questo illumina, paradossalmente, il suo successo educativo.
Questo, però, non significa assolutamente che i discorsi di So­
crate vengano protetti dalla prova decisiva delia capacità di soc-
correre se stessi. Poiché Socrate è in gara con il discorso lisiano
sull’Eros, fin da quando questo è stato letto ad alta voce (235 C
ss.), tutte le domande critiche che provano l ’ assenza di valore
del discorso delPavversario sono, al tempo stesso, anche do-
mande rivolte al proprio discorso. Dunque, Platone fa svolgere
a Socrate stesso il ruolo di colui che mette alia prova i suoi di­
scorsi, poiché a Fedro mancano la chiarezza e la determinatezza
spirituali. Osservata da questo punto di vista, la prova che nei
suoi discorsi si possa rintracciare il procedimento dialettico della
divisione (dihairesis) e della unificazione (synagogé), mentre tale
procedimento è assente in quello di Lisia (262 E - 266 B), non si­
gnifica nient’ altro se non che Socrate sa soccorrere i suoi discor­
si, cosa di cui è incapace Fedro quale rappresentante di L is ia 29.
È vero che la parola «soccorrere» non è usata in questo paragra-
fo ; ma in m odo ancora piü chiaro la situazione corrisponde al
senso di questa parola: la discussione va intesa come attacco 30
alia retorica tradizionale, che, nel caso concreto, si appunta sul­
la domanda di come Lisia abbia voluto giustificare il suo concet-
to di Eros (263 A - E); il suo discorso e il suo allievo restaño de-
bitori della risposta (263 E - 264 A ), mentre Socrate puó richia-
marsi, per il suo discorso, al método della dihairesis che ha vali-
ditá per ogni discorso (265 A - 266 B). «Soccorrere se stessi» si­
gnifica, allora, fondare il particolare sul generale, o rivelare le

29 È evidente che il libro, da solo, non può venire in aiuto a se medesimo.


30 260 E 2, oi íiuóvteç aúifj (cioè xfj xã>v Xóycov xíyyr^ 260 D 4) Xóyot, « i discorsi
che incombono contro di essa». Fedro prega Socrate di esporre questi «discorsi» (il
termine comprende qui anche il significato di «argom en ti») e di metterli alia prova
(l^éxaÇE, 261 A 2); questo deve essere alio stesso tempo, dal punto di vista dei con-
tenuto, una prova dei discorsi suíPEros, contro i quali avanzano questi nuovi « d i­
scorsi».
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 89

piü profonde fondamenta del proprio fare: in questo senso


l’ «a iu to » porta alia luce «cose di maggior v a lo r e » 31, poiché esso
riconduce a ció che é fondante.
La determinazione delle esigenze di una retorica secondo le re­
góle delParte (269 D - 274 A ) ha anch’ essa una duplice funzione:
da un lato, ha la funzione di mostrare che la retorica di Lisia, e
in generale la retorica tradizionale, ignora ció che é essenziale, e
che essa non si basa sulla conoscenza dell’ anima e della sua es-
senza e sulla conoscenza della veritá intorno alie cose di cui trat-
ta, e che, quindi, per principio le deve mancare la capacita di
«soccorrere» ((5o7]0£ív 32); dalPaltro ha la funzione di chiarire
che Socrate conosce la strada per raggiungere Paltó scopo, e
che, perció, é in grado di affrontare quell’ esame critico

In particolare, il vero oratore otterrá la conoscenza delP anima


rispondendo alie seguenti domande: P anima é semplice o multi­
form e (complessa)? Se é multiform e, di quante parti consta?
Che cosa possono produrre, o subiré, Panima o le sue parti, se­
condo la loro natura (270 D)? L ’ impiego dei discor si secondo le
rególe dell’ arte consisterá, allora, nell’ adeguamento del tipo di
discorso alie caratteristiche delPanima di volta in volta considé­
rate e sulle quali esso deve esercitare la sua azione (271 A - B; D -
E).
Durante lo svolgimento di questo programma, Socrate é cosi
certo di quello che fa, che piega giá ad un aperto sarcasmo: Tra-
simaco e gli altri maestri di retorica offriranno per certo, in pri­
mo luogo, una psicologia basata su questo procedimento, oppu-
re essi sono dei furbacchioni che sanno delP anima cose piü ap-
profondite, che, pero, tengono per sé (271 C 1-3). Questo tipo di
scherno assicura che coloro che sono incolpati di «tenere per sé»
non hanno veramente nulla da nascondere, mentre chi li incolpa

31 Socrate sfida ancora una volta Fedro a farlo in 272 C, àXV et xivá izr\ poriOeiav
£X£tç £7tocxT]Xotbç Auatoo T] Ttvoç aXXou, Tceipco Xáyeiv àvo:[xi[j.vr]axó[j.evoç. Qui il ter­
mine ^o^Geia non significa altro che «m ezzo e strumento» per appropriarsi della re­
tórica piü rapidamente che non attraverso la dialettica; ma, poiché 1’ attacco di So­
crate si è appena concluso, la prova che esiste questa via piü breve nel senso della
retórica corrente sarebbe anche un «so cco rso» nel senso di 278 C 5. Naturalmente
Fedro non conosce nessuna ¡3or)0e.ia.
32 L a conoscenza della verità e Ia capacità di soccorrere vanno di pari passo: 278 C
4-5; cfr. 276 A , E.
90 «FEDRO»

tiene in pronto egli stesso, sullo sfondo, quel sapere che viene
supposto nascosto dagli a ltri33.
P oco prima, il richiamo a Pericle e ad Ippocrate ha alluso al fat-
to che la conoscenza dialettica, la quale garantisce la superioritá
oratoria, funge da conoscenza di sfondo che fa da supporto alia
discussione particolare, intesa nel senso di una fondazione piü
profonda che non fa parte della discussione stessa. Pericle, Po-
ratore piü perfetto (269 E 1-2), fu condotto da Anassagora alia
conoscenza della natura delFIntelligenza, del N ous — che, se-
condo la teoria platónica d e ir anima, é una parte di quest’ ulti-
ma — , e trasse da questa conoscenza piü profonda utili stru-
menti per la sua retorica (270 A ). Come la speculazione di Anas­
sagora sul N ous quale «discorso campato in aria sulla natura»
(pt£T£copoXoyta cpuueo)^ rcepi) é qualcosa di piü ampio e fondante
della psicología retorica di Pericle, cosi anche la conoscenza del-
l ’ anima da parte dell’ oratore dialettico deve fondarsi su una
compiuta conoscenza dialettica della natura del tutto (xfis xoü
oXou cpúaeco;, 270 C 2). Ippocrate pero, come osserva Fedro (C
3-5), sostiene quest’ esigenza giá per la conoscenza del corpo.
Si é tentato di diminuiré il valore assertivo di questo passo per la
concezione platónica della dialettica, spiegando che r] toü oXou
cpbats non significava «la natura del tu tto» bensi l ’ «essenza» (<pu-
ffi?) del tutto (di volta in volta con sidéralo)34. Questa interpreta-
zione non riconosce, tuttavia, il contesto in cui si svolge il pen-
siero, ossia « i l medesimo m odo di procedere della medicina e
della retorica» (ó ocutó? 7cou xpÓTioi; taxpixfji; xa! pr]i:o-
pixrjs), come dice Socrate in 270 B 1-2; egli vede in entrambi gli
ámbiti lo stesso rapporto fra la teoria generale, compiuta e fon ­
dante, e la conoscenza degli ámbiti particolari di volta in volta
considerati. La speculazione di Anassagora si rivolgeva pero al
tutto, alia «n atu ra» in quanto tale (cpóa&co¡; irépi, 270 A l ) ; «in
maniera corrispondente» ( t ó v ocutóv xpórcov) anche la conoscen­
za medica va ancorata alia piü ampia filosofía della natura35.

33 C fr. sotto, pp. 96 s. Per.il m otivo del «tener nascosto» come topos dello scher-
no socrático, cfr. sotto, pp. 101 ss.
34 W . Kranz, Pla ton über Hippokrates (1944), in: Studien zur antiken Literatur
und ihrem F o rt wirken, 1967, pp. 314-319, in particolare p. 318.
35 N on ha importanza se Ippocrate «in persona» era di questo avviso: quello che é
decisivo é che Platone fa intendere in questo m odo Ippocrate al suo Fedro. (Inoltre
Socrate non ha niente da obiettare contro questa interpretazione di Ippocrate: criti-
LO SVOLGÍMENTO DEL DIALOGO 91

Pericle, Ippocrate e Socrate hanno una cosa in comune: quello


che essi presentano — nel discorso politico di fronte al popolo,
nello scritto medico per specialist della materia, nel discorso
sull’Eros rivolto ad un particolare interlocutore — rimanda ad
una fondazione filosófica nell’ ámbito di una teoria generale,
che, come tale, non é parte di quanto é stato presentato. La fon ­
dazione della saggezza politica di Pericle nelP ámbito della spe-
culazione anassagorea sul Nous e della scienza specialistica di
Ippocrate nell’ ambito di una filosofía della natura non meglio
specificata, vanno intese come prefigurazioni del procedimento
del dialettico, che ha giá o fferto un’ immagine chiaramente deli-
neata nel discorso socrático sull’ Eros, il quale deve la sua forza
al procedimento della diairesi. II ricorso m etodologico a qualco-
sa di piü fondante risulta essere ovunque il tratto fondamentale
della dialettica: solo in questo m odo il « filo s o fo » (cpiXóaocpoc)
puó procurarsi un «so cco rso » tramite «cose di maggior valore».
II rapporto fra un qualcosa di scarso valore (il <pocuXov di 278 E
7) precedentemente presentato in m odo poco significativo e la
cosa seguente di maggior valore (x[.(jita)T£pov), che ha maggior
peso dal punto di vista del contenuto, non va coito, pero, solo in
263 A - 266 B, dove Socrate fornisce, in m odo esemplare, la ne-
cessaria chiarificazione, spiegando la superioritá dei suoi discor-

ca solo che Fedro — cosa tipica per lui — si richiami ad un’ autoritä). A llo stesso
m odo non e decisivo, per il nostro passo, il fatto che, secondo il Carmide, 156 B -
157 A i medici greci considerassero ü corpo come 1’ oXov a cui doveva orientarsi la
terapia, mentre Zalmosside intendeva con questo termine l ’ unione di anima e cor­
po. Ii Tim eo, invece, risulta illuminante: qui, infatti, Platone stesso dimostra come
la conoscenza dell’ anima cosi come quella degli elementi del mondo sensibile, di­
pende dalla conoscenza di principi generali della filosofia della natura (e non si
esaurisce nella conoscenza delPunitä di anima e corpo). M a il Fedro stesso mostra,
soprattutto, l ’ anima in unione con l ’universo visibile (245 C-E; 246 B) ed invisibile
(247 C ss.). C fr. sotto, p. 97. — Kranz, Pla ton über Hippokrates, cit., p. 318, ha
preso in considerazione un riferimento del nostro passo alla prima parte del Fedro,
ma in seguito l ’ ha definita, tuttavia, «illogica, ... e proprio senza senso»; 270 A 1
^L£T£ü)poXoyia cpuaetos Ttdpi e stato da lui tradotto, op. cit., p. 316, con «elevata
espressione attorno auna (alla) essenza». ( L ’ osciliazione fra l’ uso dell’ articolo de-
terminativo o indeterminativo dimostra come la cosa sia stata pensata in m odo p o­
co chiaro). II significato di «natura del tu tto» Kranz lo ha escluso in quanto «intor-
no ad essa ... non tratteranno «tutte le grandi xiyya.\» (Kranz ha perciö frainteso
7rpoaSeovTat 269 E 4 con «trattare intorno a qualcosa»). — G. M üller ha sostenuto
l ’ inesistenza di qualunque relazione fra <puaic in 270 A 1/5 e in 270 C 1 {Eine ver­
kannte Lesart in Platons Phaidros, in: «H e rm e s », 104 [1976], pp. 243-246, la cita-
zione e di p. 246; Müller preferisce la lezione del Bodleianus otveu rrj? zoü Xoyou
CplJ<T£(OC).
92 «FEDRO»

sí con il ricorso al procedimento della diairesi. il superamento in


linea ascendente di un «d iscorso» (Xóyo<;) per mezzo di uno mi-
gliore, piü ricco quanto a contenuto, determina, piuttosto, la
struttura dell’inter o dialogo.
A l l ’inizio si colloca il discorso di Lisia, che cerca di motivare la
ragione per cui un bel ragazzo concede il suo favore ad un am-
miratore non innamorato piuttosto che a uno innamorato. So-
crate, lasciandosi convincere, dopo il suo attacco a Lisia, a svol-
gere nel suo primo discorso lo stesso tema, viene in aiuto non
certo a Lisia, ma senz’ altro all’argomento da lui sostenuto, e
che, ora, é venuto a trovarsi in una situazione difficile. Egli puó
far questo in quanto espone con chiarezza il concetto basilare di
Eros, lo definisce esplicitamente come brama irrazionale e lo in­
clude nel complesso di tali brame (237 B - 238 C). Socrate supera
e va oltre Lisia, nel contenuto, grazie a questo ampliamento del-
Io sguardo su un ámbito piü esteso delía psicologia36: é descritta
l ’attivitá della intera terza parte dell’anima nell’ ambito della
concezione tricotomica delPanima stessa secondo Platone. Gli
argomenti del discorso sono corretti come asserzioni sul «concu­
p is c ib le » (£7u 0 u[Ar]'uxóv) e sul suo dominio nelPambito erotico;
essi si basano sulla conoscenza della veritá circa le cose di cui
trattano. II discorso, tuttavia, non é vero per il fatto che suscita
Timpressione che «concupiscenza» (£7ri0uptía) abbracci Tintero
Eros e non solo la sua form a piü bassa (cfr. 243 C). Esso puó su­
scitare questa impressione in m odo convincente proprio a causa
della conoscenza che Socrate ha dell’ essenza del «concupiscibi-
le » (em9u[jir)'uxóv) e per la sua conoscenza perfetta dei metodi
della sinossi concettuale (cfr. 265 D 3-7): la capacitá superiore di
trarre in inganno é posseduta proprio da colui che conosce la ve­
ritá (266 D 1-2; B 5-8).
L a critica deve quindi provenire, anche questa volta, dallo stes­
so Socrate. Con la sua palinodia egli sistema adeguatamente le
cose: TEros é, si, un delirio, ma non inteso come un difetto
umano, bensi come un dono divino. Esso appartiene non al
complesso delle passioni (eTuGujxíoa) morbose, bensi a quello del-

36 Secondo Laborderie, L e dialogue platonicien ... (cfr. sopra, p. 65, nota 15), p.
436 la trasformazione del discorso di Lisia nel primo discorso di Socrate è «pura­
mente fórm a le». Questo dimostra che non solo non è stato coito appieno il conte­
nuto, ma anche che è stata trascurata la valutazione che di esso ne ha dato Socrate
(265 D 7).
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 93

le «m a n ie » (fxavíoa) divine, che vengono ora rappresentate in


una diairesi di ampio raggio (244 A - 245 A ). Come questo dono
del delirio erotico sia stato fatto per il bene dell’uomo viene pro-
vato in una lunga dimostrazione che inizia con la considerazione
delPimmortalitá (245 C-E) e della struttura dell’anima (246 B):
per conoscere appieno l ’ Eros bisogna ricorrere — e questo or-
mai non stupisce piü — ad una teoria piü ampia che inform i non
solo su una affezione (TiáOoi;) dell’ anima umana, bensi sull’ es-
senza dell’ anima del m ondo, in quanto principio motore del co-
smo e del m odo di essere delle anime degli déi (245 D-E; 247
D-E). Con questo discorso Socrate non viene in soccorso alia te-
si sbagliata del suo primo discorso sull’Eros, bensi viene in aiuto
delPEros stesso e a quanto di giusto era giá stato detto in propo­
sito: completando l ’ originario quadro negativo delPEros con
quello positivo, egli crea la possibilitá di considerare come de-
scrizione calzante del desiderio dell’ Eros piü basso, o «sin istro»,
quella caricatura che prima si era invece data come valida per
Tintero Eros (266 A 5).
II successivo grado del soccorso consiste nella giá accennata di­
mostrazione che la suddivisione concettuale precisa delle «m a ­
n ie» ((jtavíai) umane e divine corrisponde ad un procedimento fi-
losofico il cui ámbito di utilizzo non si limita all’ erotica e alia
psicología, ma che comprende tutto ció che puó diventare ogget-
to del dire o del pensare (265 C - 266 B): i fondamenti vengono
di nuovo posti ad un livello piü profondo. A lio stesso scopo ser­
ve, infine, lo schizzo di una psicologia dialettica quale base della
vera retorica. L ’insieme di questi due campi fa intravedere la
dialettica platónica quale spazio giustificativo dei discorsi socra-
tici. Sappiamo, cosi, come essi possano essere posti su una base
effettivamente scientífica.
M a anche il Fedro non ci offre, tuttavia, questo fondamento.
Quando Socrate si accinge a indicare contenuto e método dei
paradigmi del procedimento dialettico dei suoi discorsi, egli ag-
giunge una strana limitazione: quei paradigmi si trovano solo
«casualm ente» (x atá tux-Qv xivá, 262 C 10; ex xüxns, 265 C 9).
Certo nessuno vorrá intendere letteralmente la limitazione: Pla-
tone non fa parlare Socrate come parla a caso. M a non sarebbe
meno sbagliato fare come se quella limitazione non esistesse; an-
ch’ essa non compare certo per caso nel testo. II suo senso si rica-
va dal suo contrario, che suona cosi: i paradigmi del procedi-
94 «FEDRO»

mentó dialettico si trovano con «a r te » ('c&xv'fl» 265 D 1). Benché


l ’ analisi, che ha portato a suddividere in parti e poi a ricomporre
in unità il concetto di «m a n ia » ((xavia) sia stata introdotta se-
condo un piano preciso, sembra invece essere casuale finché non
siano stati dimostrati il diritto e la necessità del procedimento
diairetico e i suoi presupposti logici ed ontologici, e quindi fin ­
ché non sia stato esplorato 1’ ámbito oggettuale di cui fanno par­
te le «m a n ie » (fxavíat,), ricorrendo allo stesso procedimento. So­
lo qualora entrambe queste cose fossero state considérate, si po-
trebbe dire che la Suva^uç (la «capacita», il significato) dei pro-
cedimenti di divisione (Siaipeatç) e di unificazione (auvayco^rj) è
coito con vera «a r te » (t£Xv1C1> 265 D 1). N on è difficile vedere co­
me, nel F e d ro , non venga realizzato né Tuno né l’ altro compito:
quanto segue immediatamente dopo la limitazione è semplice-
mente un rozzo abbozzo dei procedimenti cui si è fatto riferi-
mento destinato a Fedro, cui essi appaiono completamente nuo-
vi (265 D 2-8), e non la loro fondazione filosófica, che sola po-
trebbe togliere l ’ apparenza di casualitá agli esempi che via via
emergono. E il dialogo parla ripetutamente del fatto che 1’ anima
— che è la realtà in cui si mostrano le «m a n ie » (¡¿ocvtai) — non
venga presentata con il pieno dispiegarsi d e ir «a r te » dia-
lettica; non solo, ma questo è addirittura un tema principale del
dialogo, il quale raggiunge il suo scopo nella considerazione che
viene fatta nella parte conclusiva, ossia che il dialettico non do-
vrá metiere per iscritto quello che è per lui serio, e che dovrá
esporre solo oralmente le sue «cose di maggior valo re» (TifjutÓTe-
pa) (276 E 7; 278 C-D ).
Nel grande discorso sull’ Eros viene giá stabilito (245 B 7 - C 4)
che la valutazione corretta dell’Eros non è ancora conclusa con
l’ analisi concettuale diairetica che si è incontrata «casualmen­
te », ma che, in ultima analisi, essa dipende dalla conoscenza
della veritá sull’ essenza dell’ anima. Fino a che punto è adeguata
la trattazione del concetto di anima per le esigenze della dialetti-
ca? Le domande che il dialettico considererá nelPesame dell’ ani­
ma secondo 270 D — se essa è semplice o se consta di parti,
quante parti ha, che cosa possono provocare o subire l’ anima o
le sue singóle parti — non si trovano nel discorso sull’ Eros; esse
hanno, anzi, giá avuto una risposta nell’ immagine mitica del
carro alato. L ’ anima non è, dunque, semplice, ma consta di par­
ti, in particolare di tre, né più né meno; di esse, due sono dello
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 95

stesso tipo (rappresentate come cavalli), ma di qualità diversa


(solo uno dei cavalli è nobile), cosi ehe, insieme, due parti disu-
guali (auriga e cavallo nobile) uniscono la loro azione contro la
terza e certo spesso soccombono. Questa allegoria poética —
per quanto di grande effetto — non può sostituire la fondazione
argomentativa delle determinazioni oggettive in essa contenute,
e quindi non potrà valere come trattazione dialettica37. E il di-
scorso sull’ Eros è « g io c o » nella misura in cui esso dista da un
trattamento dialettico valido a tutti gli effetti (265 C 8 ; cfr. 265
C 1; 262 D 2). Quindi, anche la psicologia dialettica è descritta,
verso la fine delia seconda parte principale, come una strada
lunga ed eccezionalmente difficile, per la quale ora resta da in-
camminarsi (273 E 4 - 274 A 3 ; cfr. 272 B 5 ss.). A questo passo
il discorso sull’ Eros vuol fare esplicitamente riferimento, là do­
ve dice che la esposizione dell’ essenza dell’ anima necessiterebbe
di una «esposizione lunga e d ivin a», e che qui si deve dire, al po­
sto di quella, solo cio a cui l ’ anima si può paragonare (246 A ) 38.
La reminiscenza dei due passi, sottolineata dagli impliciti toni
religiosi39, non lascia dubbi sul fatto ehe Platone nel discorso
sulTEros accenni con piena consapevolezza ad una trattazione
dell’anima ehe procede per argomentazioni dialettiche, ma ehe
però non svolge, e ehe poi, nella seconda parte principale, conti­
nua a non svolgere, ma di cui traccia, tuttavia, in modo più
chiaro, le linee portanti generali, per esemplificare in che cosa
dovrebbe consistere la supériorité di una discussione più avan-
zata, che porterebbe alla ribalta le «cose di maggior valo re» (xt-
fXLcóxepa) di fondo. L a differenza tra il filosoficamente possibile
e Peffettivamente dato, fortemente sottolineata nel testo, chiari-

37 Viene «dim ostrata» solo l ’immortalita e il movimento autonomo dell’ anima


(del m ondo) 245 C-E, cosa che risulta si importante per l ’ orientamento dell’ anima
(singola) verso 1’ eterno (247 C ss.), ma che, in questa formulazione generale non e
in grado di fondare in m odo decisivo la domanda sul giusto Eros: sarebbe necessa-
ria, per fare questo, un’ analisi precisa delle tre componenti dell’ amnia.
38 Perfino la dottrina dell’ anima della Repubblica (cfr. sotto pp. 96 s.), che offre
dei fondamenti piu precisi, necessita di un completamento per mezzo della «piu
lunga v ia » della dialettica (435 D 3; 504 B 2).
39 La lunga descrizione della vera form a sarebbe una 9&ia Bir]yricui, 246 A 4, il
«lu ngo g iro » della conoscenza dialettica dell’ anima e dell’essere ha come meta il
parlare e l ’agire «che piace a D io », 273 E 7. (L a critica della scrittura della parte
conclusiva inizia con la domanda circa la trattazione dei Xoyot «ch e piace a D io »
[274 B 9] e si conclude con la libera limitazione della comunicazione scritta della
conoscenza operata dal cpiXoaocpo?, che sta vicino al divino [278 D 4j).
96 «FEDRO»

sce l ’ esigenza del filo so fo di poter superare oralmente la propria


esposizione e, con questo, anche la sua capacità di interrompere
al momento giusto la comunicazione filosofica 40. Infatti, Fedro
non è evidentemente ancora maturo per cose ulteriori, e deve
prima aderire alia vera retorica41.
D allo stesso Fedro risulta chiaro, cosi, che quanto, secondo i
piani, viene non detto, deve essere una teoría piú avanzata e
maggiormente fondante. II confronto con la teoría deU’anima
nella Repubblica mostra che, tuttavia, non si deve pensare alia
teoría piú avanzata, di cui si è detto, come a un mero program­
ma per il futuro, la cui attuazione resterebbe incerta42, e nem-
meno come a qualcosa a cui si è già accennato, seppur velata-
mente, in misura tale che il lettore intelligente puô completare
da solo. Nella R epubblica Platone aveva già esposto punti im­
p ortan t del programma, espresso nel passo del F ed ro, 270 D, o
quantomeno aveva iniziato a svolgerli. La tripartizione delPani­
ma non viene là anticipata con un’im m agine43, bensi viene fon-
data con un’ argomentazione lógica e accorta: poiché niente puô
comportarsi in m odo contraddittorio contemporáneamente in
riferimento alia stessa cosa, ma invece sembra che questo avven-
ga per ranim a, allora quest’ ultima non puô essere semplice, e
contiene, quantomeno, in sé una parte razionale ed una irrazio-
nale {Repubblica, 436 A - 439 E; questo risponde alia domanda
árcXoOv r¡ TtoXueiBéç, Fedro 270 D 1; cfr. Repubblica, 436 A 8 - B
1). Poiché si puô dimostrare come nella parte irrazionale stessa
vi sia un comportamento contraddittorio, il numero delle partí

40 L ’ oratore ideale controlla i xcapoüig toü. teóte Aejctéov xai imtrx&'zíov, 272 A 4.
Rientra qui anche il fatto che ad ogni vera arte appartiene la conoscenza di questo,
ossia [¿¿xpi ójtósou i suoi mezzi siano da adoperare (268 B 7).
41 C fr. sopra, nota 10.
42 C fr. Friedländer, P la to n , III, p. 219: « É un imponente contributo che Platone
qui richiede e che in maniera prudente include in un sistema di scienze possibili e
per i suoi compiti necessarie» . Contemporáneamente, perö, Friedländer sembra ri-
tenere che nel secondo discorso socrático sull’Eros venga affrontata la questione
deH’unita o del poliform ism o dell’ anima {ibidem) e che siano gia traite le «conse-
guenze sistematiche» dagli esempi diairetici in 265 D ss. (p. 217). I due errori — che
la parte mancante sarebbe solo un progetto, e non una teoria completamente svol-
ta; e che quanto si puö vedere costituisca gia lo svolgimento «d ialettico » completo
— sono causa Tuno dell’ altro.
43 C fr. F ed ro, 253 C 7 - D 1, xaQánEp ¿v ápxü touSe xoG ¡j.ú0ou Tpixfi SieíXo{Ji£v
(Jjuxfy ¿xáatrjv, Í 7 t í : o | j l ó pepeo ¡ j l e v oúo xive s-íSrj, rjvtoxtxóv Se eiöo<; xpíxov, xai, vüv ixi
r)pv xauxa ¡j.e.v£t£o. L a diairesi solo in form a di immagine «rim an e» e viene prose-
guita alio stesso m odo, e non fondatacriticamente.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 97

deve essere stabilito in tre (R epubblica, 439 E - 441 C; il che cor­


ri sp onde all’ esigenza iàv 8 é TtXeío) eiBr] tyr\, xauxot ápi0 pL7iaáfji£-
vov di F ed ro, 270 D 5; cfr. Repubblica, 441 E 6: íaa xov ápt-
0|xóv). Dalla natura delle parti si ricava a che cosa es se natural­
mente si rivolgano e di quali esperienze esse siano in genere ca­
p ad {Repubblica, 580 D - 588 A ; il compito era: í&eív ecp’ ixá-
axou, tw t í wneív auto rcécpuxev r¡ [xto] 44 x£ 7ta 0 ¿tv utto toü, Fe­
dro, 270 D 6 ).
U n ’ ulteriore istanza delia psicologia dialettica era che essa do ve-
va spiegare la natura dell’ anima ricorrendo alia natura del «tut-
to ». Ora, il discorso sull’Eros parla dell’ anima del mondo come
principio del movimento cosmico, del governo del cosmo e del-
l ’ ascesa dell’anima al cielo e alie regioni sopra di esso (245 C -
248 B); non si fonda, tuttavia, il m odo in cui l ’ anima singóla sia
legata all’ ambito cosmico e sopracosmico. Solo il Tim eo o ffre
una risposta parziale, la quale unisce la natura dell’ anima con la
natura d e lP «in te r o »45, ricorrendo alia costituzione aritmética
dell’ anima del mondo e dell’ anima singóla a partiré dai generi
(Y¿vt)) dialettici dell’ essere, dell’ identitá e della differenza (77-
meo, 35 A - 36 D ).
Solo perché noi conosciamo la struttura tripartita dell’ anima, la
sua funzione cósmica e la sua derivazione sopracosmica giá da
altre fonti, possiamo intendere l ’ immagine del tiro a due e del-
1’ auriga, che ascende con le anime degli Dei ad un luogo che sta
oltre i cieli, come allegoria dotata di senso. Sarebbe solo un’illu-
sione sostenere che la psicologia platónica nella sua concezione
contenutistica e nella sua fondatezza metodologica si possa rico-
noscere partendo dal solo mito dell’ anima del grande discorso
sull’Eros. Una volta nota, essa è tuttavia riconoscibile senza am-
biguitá come la «cosa di maggior va lo re » (xtfxtcóxepov) che è ne-
cessaria per la fondazione scientifica del Fedro.
L e limitazioni di método e di contenuto, cui è soggetta la dottri-
na dell’anima nel F edro, mirano con grande evidenza alia critica

44 L ’ espressione tí non andrebbe lasciata due volte nel testo; il parailelo 271 A
10 mostra che il secondo x õ non può essere giusto. L a corruttela si spiega in base
alia nota regola di Brinkmann.
45 L ’ espressione r) tou oXou çúolç (270 C 2) significa tanto «natura dei tu tto» come
«d e i cosm o», naturalmente solo neiram bito della filosofia preplatonica (si citano
Anassagora, Ippocrate). Per il dialettico PoXov comprende anche i Principi invisi-
bili dei cosmo visibile.
98 «FEDRO»

della scrittura della parte conclusiva. Se il dialogo, considerato


nella sua giobalitá, deve illustrare la ben meditata limitazione
della comunicazione filosófica per mezzo dello scritto, esso alio-
ra traccerá, in quanto esposizione scritta, solo un p ro filo delle
«cose di maggior va lo re » (TtfxixÓT&pa) che gli sono necessarie, raa
non le potra comprendere nella trattazione. II risultato delle due
parti principali corrisponde proprio a questa aspettativa suscita-
ta dalla parte conclusiva.
Ora, afferm are che queste «cose di maggior valore» (Ttpiicí)T£pa)
sono in parte presenti in altri scritti di Platone potrebbe certo
sembrare una contraddizione delPaffermazione secondo la qua-
le quanto ha «m aggior valo re» per il filosofo emerge solo con il
soccorso delPesposizione órale. L a contraddizione si elimina, se
si pensa che «cose di maggior valo re» (Tipucúxepa) é un concetto
relativo. Poiché Fedro si muove per il momento su un livello fi-
losofico ancora relativamente modesto — egli non é evidente­
mente nelle condizioni di resistere con le solé sue forze ad un se­
rio esame critico (e X rfx 0?) — >restaño escluse dal discorso molte
cose che con interlocutori piü esigenti46 vengono giá incluse nel­
la esposizione primaria. I dialoghi con siffatti interlocutori por-
taño certo piü oltre per quanto concerne il contenuto, parlano
ad un livello piü elevato con «a r te » (xé^Tl) e con «precision e»
(áxpi^& c)47, ma, in quanto «im m a gin i» scritte, non possono
rappresentare, dal canto loro, l ’ intera via dei fondamenti fino a
giungere ai «P r in c ip i» (ápx<xO> e restaño, quindi, per questo,
«g io c o » e «narrazione di s to rie »48, nonostante la loro maggior
vicinanza alia discussione «secondo le rególe dell’arte». An-
ch’ esse necessiteranno, allora, di un ulteriore soccorso di altre e
piü fondanti «cose di maggior valo re» (xL[xt,áiT£pa) nei punti de-

46 Fra gli ascoltatori di Tim eo si trova Socrate, il che indica in misura sufficiente il
livello. M a anche i fratelli di Platone, Glaucone e Adim anto, nella R epubblica, di-
mostrano m olto piü senso critico di quanto dimostri Fedro.
47 II dialettico tratterà deli’ anima àjtp$coç, tocgt] à^pi^eía (270 E 3; 271 A 5), poi­
ché questa «p recisione» dialettica fonda la descrizione « a regola d ’ arte»: già i due
esempi «casu ali» di analisi concettuale fanno i discorsi sull’Eros Te.xvixtoTápou<; in
confronto a Lisia (263 D 5); ztyy\.x.úyiLç>o\. rispetto a questi sono gli argomenti preci-
si della Repubblica, ma anche questi non bastano a soddisfare la richiesta di una
completa àxpífkta (Repubblica, 435 D 1; 504 B 5; cfr. 611 B - 612 A ). —- Concetto
opposto alie esposizioni «p recise» è quello dei cpocuXa o esposizioni «n on tecniche»,
cfr. sopra, p. 67, nota 19.
48 Fedro, 276 E 3 (accenno alia Repubblica] cfr. sopra p. 61).
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 99

cisivi. Di fatto, non c’ é nessun dialogo che non esprima questo


con sufficiente chiarezza: Platone non si é solo attenuto, in tutta
quanta la sua opera scritta, ai suoi principi che riguardano Tuso
dello scritto per il filo so fo , ma lo ha anche fatto capire al lettore
attento49.

4. Conclusioni riassuntive

Tutto considéralo, il Fedro si rivela come un’ opera le cui parti


sono armoniosamente coordinate fra loro come in un organi­
smo (264 C 2-5). II tema é la domanda sulle condizioni per cui
un «d iscorso» (Xóyo<;) é superiore ad un altro. Decisivo per la ri-
sposta é il contenuto piü importante, cosa che viene presentata
in tre discorsi che si fanno concorrenza. II piü ricco e profondo
contenutisticamente é quello che vince: quanto esso sviluppa so-
no le pretese «cose di maggior va lo re » (TuXeíovo? oc^ioc o
pa) in rapporto ai discorsi che esso vuole superare.
Oggetto di questi discorsi é l’ Eros e Con esso l’ anima; questo,
naturalmente, non avviene per caso; anzi, é la conoscenza del-
1’ anima la seconda condizione della superioritá di un discorso.
Infatti, il contenuto riconosciuto piü profondo non viene diffu-
so a piacere da chi sa, ma deve essere esposto in modo corri-
spondente ed adeguato alia natura del destinatario presente di
persona, nella misura in cui tale esposizione é ritenuta utile. La
superioritá del discorso basato sulla conoscenza delPanima por­
ta ad una retorica che trova il suo scopo in uno sviluppo control-
lato di un sapere fondato concretamente e rivolto ad un interlo-
cutore adatto a questo sapere. D opo che la critica dei discorsi in
concorrenza ha mostrato che anche il migliore non o ffriva una
psicologia scientifica («d ia lettica »), il lettore sa quale tipo di
svolgimento sarebbe superiore alio scritto che tiene in mano: ta­
le svolgimento dovrebbe proseguiré piü oltre nella trattazione
contenutistica delP anima e della dialettica e dovrebbe m odifica­
re quanto deve dire, a seconda della natura e della disposizione
del destinatario: questo, pero, significa che si dovrebbe trattare
di un discorso órale. Nella parte conclusiva, viene poi provata la
ragione per cui ogni scritto di un « filo s o fo » OpiXóaocpos) debba,

49 Sui passi in cui Platone si trattiene dal parlare, che si tro vano nella Repubblica,
cfr. sotto, pp. 391 - 414.
100 «FEDRO»

c o s í , mirare ad una fondazione per mezzo di un «so cco rso » óra­

le superiore: lo scrittore che non conosce il iettore e la sua anima


non puó considérame la loro adeguatezza, la loro prontezza e le
loro reazioni. Poiché nello scritto non sono date le condizioni
che sono necessarie per lo sviluppo delle conoscenze superiori,
basate sulla dialettica, che il filosofo ha delTanima, questi si
guarderá dal compiere la sua esposizione contravvenendo alie
rególe dell’ arte, cioé compiendo questo al momento sbagliato e
di fronte ad una persona non adatta. Alm eno ció che é per lui
«s e rio » — le sue «cose di maggior va lo re» ('cifjucí)T£pa) — lo
esporrá solo a voce, e precisamente solo quando riterrá questo
opportuno e solo a chi riterrá idoneo. Solo cosi, infatti, si con­
duce la retorica «co n arte» ('r&xvTl): con un completo controllo
da parte del « filo s o f o » (cptXóaocpos) non solo del contenuto, ma
anche deH’ampiezza e delle condizioni della comunicazione di
una conoscenza essenziale.
II Fedro insegna, cosi, a capire due cose insieme: in che consista-
no le «cose di maggior valo re» (Tipticí>T£pa) e perché esse debba-
no, in ultima analisi, restare orali.
III. «Eutidemo»
La beffa di Socrate sulla «segretezza»

1. IIp ro p o s ito di Pla ton e nell ’«E u tid e m o »

L ’ asserzione positiva del testo piü importante sull’ oralitá e sul­


la scrittura stabilisce che la comunicazione veramente filo só fi­
ca deve adeguare lo sviluppo di conoscenze fondate in maniera
profonda a seconda della situazione e del livello di conoscenze
dell’ interlocutore.
Sarebbe strano se Platone, che voleva vedere riunite in uno
stesso autore la poesia seria e quella satirica ( Sim posio, 223
D ), non avesse rappresentato, mascherandola altresi in form a
negativa, questa asserziorie positiva per lui cosi importante,
ossia se non avesse completato quel testo cosi fondamental-
mente serio con un testo comico-grottesco che gli facesse da
pendant.
L ’ interpretazione che ora presentiamo deve dimostrare che ap-
punto questa é Pintenzione dell’Eutidem o: chiarire la capacita,
costitutiva del « filo s o f o » (cptXóaocpoO, di comunicare la cono­
scenza a seconda delle situazioni e in m odo gradúale dal punto
di vista psicologico, ricorrendo alPimmagine opposta e carica­
túrale di due filosofi fanfaroni. L a mancanza di considerazio-
ne, o addirittura la svalutazione tradizionale, di questo capola-
voro delPumorismo platonico si spiega con il fatto che non si é
riconosciuto su quale sfondo vada letto PEutidem o e in quale
contesto piü ampio esso si inserisca nell’ ámbito della filosofía
platónica.

2. L a vistosa mancanza di determinati teoremi

A l termine del suo discorso con Dionisodoro ed Eutidemo,


maestri di lotta e di virtü, Socrate li invita, per il futuro, ad
esporre la loro sapienza solo nell’ ámbito di una ristretta cer-
102 «EUTIDEMO»

chia di persone aventi idee affini, perché «c ió che è raro ha va­


lore prezioso» ( t o y á p arcáviov T Í f x i o v ) l .
L a discussione precedente ha pero mostrato che i due filosofi
eristici sono privi di qualunque pur modesta «sapienza», e che
essi non hanno proprio ni ente da poter esporre a pochi eletti.
Come conclusione di questa conversazione, 1’invito ad un isola­
mento esoterico è di un sarcasmo tagliente.
È importante tener ben presente questo rilievo sarcastico con­
clusivo di Socrate, considerándola sempre come preliminare,
quando, in seguito, ci chiederemo, a proposito delle fasi iniziali
del dialogo, quale sapere filosofico Platone esprima in esse, e
quale sapere egli presupponga.
È da tempo noto e unanimemente riconosciuto che una serie di
sofismi apparentemente senza senso, con cui Dionisodoro ed
Eutidemo vorrebbero confondere i loro interlocutor i, dimostr a-
no di avere un buon senso se vengono riferiti alia concezione
gnoseologica platónica dell’ apprendimento e, in particolare, al­
ia dottrina delPanamnesi2.
La prima domanda che i filosofi eristici pongono al giovane C li­
ma suona cosi: chi impara, i «sapien ti» o gli ignoranti (01 0 0 9 0 1
r¡ ot àfjLocOstç, 275 D 4)? L a sua prima risposta — ossia che coloro
che impar ano sono i sapienti — viene confutata; e, di conse-
guenza, egli opta per la seconda possibilita — ossia che coloro
che imparano sono gli ignoranti — , che viene, a sua volta, im­
mediatamente confutata (275 D 3 - 276 C 7). La confutazione di
due risposte alternative fa i ’ effetto di un puro e semplice gioco
sofistico, e lo è anche, almeno nelle intenzioni degli autori che
fanno parte del dramma. L ’ autore effettivo, Platone, sembra
avere, invece, un’ altra intenzione; essa puó anche essere definita
«scherzosa», ma certamente non sofistica: secondo Sim posio,
203 E ss. e Lisid e, 218 A è giustissimo affermare che chi impara
non è né un sapiente né un ignorante. M a nelVEutidem o manca
la presentazione di questa terza possibilita de né-Funo-né-l’ al-
tro, che, sola, darebbe senso ai due passi che sono stati fatti con

1 304 A B; citazione: B 3; poche «persone aventi idee a ffin i»: 303 D 3.


2 H . Keulen, Untersuchungen zu Platons “ Euthydem ” , Wiesbaden 1971, pp. 25-
40 e 49-56 (riferimenti alla letteratura precedente, p. 26, nota 56). Cfr. anche Fried­
länder, P la to n , II, pp. 171 e 177 s.
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 103

le due risposte, e manca la concezione dell’ Eros (£'pw í) e della fi­


losofía (<piXoaocptoc) che la sostiene.
L a seconda domanda suona cosi: che cosa si impara? Sullo sche-
ma della prima argomentazione, vengono confútate tanto la pri­
ma risposta, ossia «c ió che non si sa», quanto la seconda, ossia
«c ió che si sa» (276 D 7 - 277 C 7). L ’ insensatezza di questa dop-
pia dimostrazione é evidente. Tuttavia, ancora una volta, l’ in­
sensatezza é parte costitutiva di un tutto dotato di senso: nel
M en one Socrate risponde proprio a questo discorso eristico (ept-
orucós Xóyo^) — ossia che non si puó imparare né ció che si sa né
ció che non si sa — con l ’ esposizione della teoria dell’anamnesi
(80 D ss.). Questa replica non viene addotta nelYEutidem o, e il
discorso resta al livello precedente, ossia negativo e insensato, se
preso a sé.
In una argomentazione che compare piü avanti nel dialogo si in-
travvede, attraverso il nonsense eristico, la teoria platónica del­
l’ anamnesi in m odo ancora piü chiaro. Si dimostra che chi sa
qualcosa sa tutto (293 B-E), che ognuno sa tutto (294 A -E ) e che
ognuno ha sempre saputo tutto (294 E-296 D). Cosi come sono
presentate, queste dimostrazioni sono fuorvianti per il contenu-
to oggettivo e scorrette nella form a lógica. M a se si considera a
questo proposito il M en on e, ecco che tutto risulta chiaro e sem-
plice: a partiré da un único «r ic o r d o » é possibile cercare tutto,
poiché l ’intera natura é «im parentata» (M enone, 81 C-D ); poi-
ché tutti gli uomini hanno un’ anima immortale, che durante le
loro peregrinazioni precedenti all’ entrata nel corpo hanno visto
il vero essere, ognuno sa (in potenza) davvero tutto (M enone, 81
C; cfr. Fedro, 249 B 5); e l ’ esibizione delle conoscenze geometri-
che dello schiavo di Menone dimostra che ognuno ha sempre (in
potenza) saputo tutto (M enone, 85 D 9-86 B 4).
A questi rapporti, giá noti, tra il M en on e e VEutidem o, se ne ag-
giunge un altro, non meno chiaro e non meno importante, che é
sfuggito proprio per il suo carattere burlesco alie indagini degli
interpreti indirizzati agli elementi seri. N on m olto dopo la dimo­
strazione dell’ onniscienza di ogni uomo, Eutidemo e Dionisodo-
ro dimostrano che il loro padre é idéntico a quello del loro inter-
locutore Ctesippo, che tale padre é, poi, al tempo stesso, il pa­
dre di tutti gli uomini, e non solo di essi, bensi di ogni essere ví­
vente, in particolare di ogni riccio di mare, di ogni porcellino e
di ogni cañe. Dimostrano, inoltre, che il cañe di Ctesippo quale
104 «EUTIDEM O»

padre di cagnolini é, al tempo stesso, anche il padre del suo pa-


drone Ctesippo (298 B 6 -E 5). Che cosa vuol dire questa strana
parentela di ricci di mare, uomini e cuccioli? Presumibilmente
essa non é altro che una variazione intorno al fondamento su cui
si basa la dottrina delPanamnesi, che nel M enone viene form ú­
lala come segue: « la natura tutta quanta é eongenere» (axe yocp
Tr¡¡; yúatixx; á?ráar]$ ouyY&voüí; ofíarjí, 81 C 9-D 1). Dalla parente­
la ontologica globale della Natura, che garantisce la riconoscibi-
litá delle cose, deriva, al livello di caricatura qui operante, la
consanguineitá degli esseri viventi di tutte le specie.
Dunque, puó esser dato per certo — con o senza la corrispon-
denza oggettiva descritta per ultima — che nell’Eutidem o una
serie di sofismi presuppone la dottrina delPanamnesi. Tuttavia,
in questo dialogo non si parla affatto di anamnesi. L ’unico ac-
cenno al fatto che la psicología platónica costituisce lo sfondo
su cui ció che apparentemente é un non senso si riempie di sen-
so, consiste nelPintroduzione da parte di Socrate della parola
«a n im a » (cj>ux,^|» 295 B 4) nel bel mezzo della schermaglia erísti-
ca. Tuttavia, é questo un cenno che puó chiaramente capire so­
lamente chi conosce questa dottrina dell’ anima giá da altre
fonti.
Non stupisce, inoltre, il fatto che si alluda anche alia dottrina
delle Idee, poiché essa é oggettivamente collegata alia teoría del­
Panamnesi. Le cose belle, dice Socrate, sono diverse dal Bello in
sé; esse sono tuttavia belle, grazie alia presenza della bellezza
(301 A 2-4). L a sottolineatura dell’ aporia in cui Socrate cade di
fronte alia domanda circa il rapporto delle cose belle con il Bello
in sé (301 A 2), la determinazione della diversitá di cosa singóla
e Idea (301 A 3) e Paccenno alia difficoltá del concetto di paru-
sia (301 A 4-7) dimostrano che Socrate ha presente, qui, l ’ intera
entitá e portata del problema della dottrina delle Idee (si con-
fronti, ad esempio, R epubblica, 476 D ). M a questo teorema de-
cisamente superiore viene abbassato al livello delPeristica quan-
do é detto che, come le cose belle diventerebbero belle grazie alia
presenza della Bellezza, cosi anche Socrate diventerebbe un b o­
vino grazie alia presenza di un Bovino e un Dionisodoro grazie
alia presenza di un Dionisodoro. M a quest’ ultima cosa é, per
Socrate almeno, decisamente troppo: «sta* z it to !» (&ó(prj(ji&i t o ü -
tó y&), é la sua risposta (301 A 7).
Come la teoría delPanamnesi é legata alia dottrina delle Idee,
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 105

cosi quest’ ultima è legata ad una teoria delle scienze. Di conse-


guenza, si allude anche ad essa. In cerca delParte o delia scienza
superiore, che garantisce la felicità, vengono attentamente esa-
minate anche le arti delia caccia, tra cyi la strategia e la matema-
tica. Esse non hanno attinenza con la questione, perché nella
«scien za» (¿TtiarrjfjiTi) o «a r te » (xéxvri) cercata il prodotto o il
guadagno devono coincidere con Pim piego, mentre la strategia
consegna al politico la sua preda, ad esempio una città conqui-
stata, e la matematica consegna la sua alia dialettica (290 C-D).
L o spuntare immediato di questo frammento molto specifico
delia teoria delia scienza delia Repubbtica (cfr. 510 C ss.; 531 C
ss.), il quale deve restare incomprensibile nel contesto doíVEuti-
dem o, mostra che Platone, anche qui, presuppone di gran lunga
piü di quanto esponga e spieghi.
Questo evidente riferimento alia teoria delia dialettica, come es­
sa compare nella Repubblica, viene completato con un’ allusione
agli aspetti delia dialettica come retórica ideale sviluppati nel Fe-
dro che — similmente al mascheramento dei pensiero delia pa­
rentela universale della natura — è, sinora, sfuggita agli inter­
pret^ a causa delia sua non appariscenza3. L ’ «a r te » cercata, il
cui possesso dà Veudaimonia, potrebbe forse essere, secondo
Socrate, l ’ arte di fare discorsi (rj XoyoTrouxri xéxvTlí 289 C 7). C o­
me per la matematica e la strategia, la pretesa d elP «a rte»
('cixv'n) che rende felici viene anche qui misurata sul fatto che in
essa produzione e impiego siano, o no, uniti. Mediante il riferi­
mento a «certi scrittori di discorsi» (tlvàç Xoyouoioúç, 289 D 2 ) il
giovane Clinia può ora controbattere facilmente la proposta di
Socrate per la determinazione delia scienza cercata: queste per-
sone scrivono discorsi che essi stessi non possono leggere ad alta
voce, mentre coloro che li utilizzano non potrebbero comporne
di simili (289 D 2-7). Socrate accetta questo come motivazione
sufficiente per provare che non è questa arte dello scrittore di di­
scorsi quella il cui possesso rende felici (Ôxt, oux «frrir] èaxív r) tcõv
Xoyo7uotfõv TExvT), rjv ocv XTr]tfáfji£vóç Ttç £uSocífji6av tíV], 289 D 8 -
10). M a che diremo, se tale arte ricordata non fosse questa, ma
fosse un'altra «retórica » ? 4 N on dimentichiamo che la «v e r a »

3 Friedländer, Pla ton , II, p. 320, nota 16, era vicino a vedere il riferimento.
4 Oltre alia formulazione (o¿x cmr) icntv r¡ x¿jv Xoyotcoicöv t&xvy1> invece di oux
eortv r¡ Tcov Xoyo7ro!.wv xíyyr\\ é soprattutto Tassicurazione che segue immediata-
106 «EUTIDEM O»

retorica, che é propria del dialettico, é stata sviluppata anche nel


Fedro secondo una continua presa di distanza dalla retorica
consueta dei retori e degli scrittori di discorsi. E la dialettica, in
quanto arte del condurre filosóficamente il discorso, soddisfa le
esigenze della «scien za» (ímarf\\Lr\) di cui si é qui alia ricerca: in-
fatti, in essa é esclusa la separazione di produzione e impiego,
poiché la dialettica é filosofare órale; il dialettico fa uso corretto
e secondo le rególe delParte dei suoi «discorsi» (Xóyoi), basan-
dosi sulla sua competenza e sulla sua conoscenza dell’ anima, e
producendo i suoi «d iscorsi» (Xóyoi) in primissimo luogo nel-
l ’ ambito del discorso personale5. E i «discorsi» (XóyoQ del dia­
lettico procurano la piü alta eudaimonia possibile per l ’uomo
(Fedro, 277 A 3).
Riassumiamo le cose che abbiamo detto. Teoremi platonici di
c o s í grande importanza, quali la dottrina dell’ anamnesi, la dot-

trina delle Idee e la teoría della dialettica, sono chiaramente ri-


conoscibili quale sfondo filosofico delle argomentazioni del-
V E utidem o. Tuttavia, essi non vengono mai nominad chiara­
mente, e meno che mai descritti o addirittura sviluppati e moti-
vati, ma sono senza eccezione presenti, in m odo tale che guida-
no lo sviluppo del ragionamento restando nascosti, e quindi non
dominando apertamente. Pertanto, in un siffatto m odo, essi
non possono essere colti dai destinatari interni al dialogo e non
potrebbero mai esserlo neppure dal lettore, se questi non avesse
a disposizione in altri dialoghi un esplicito ammaestramento sui
teoremi qui in questione.
II fatto che questo dialogo faccia costante riferimento a cose che
non sono state in esso elabórate, non é sfuggito, come si é detto,
agli studi platonici6. Ció che é sfuggito é stato il significato di
questo fatto: esso compare, infatti, solo quando si collega la
mancanza evidente di quei teoremi piü importanti — si potrebbe
dire di quelle «cose di maggior valo re» (Tt(j.LO)T£pa) — al tema
dell’ intenzionale trattenersi dall’ esprimersi.

mente, secondo la quale Socrate crede di trovare qui la a lungo cercata (D


10 - E 1), che mostra che Platone vuole veramente indicare questa; cfr. sotto, p.
108.
5 L a distinzione fra produzione ed impiego é data, invece, con la scrittura: autore
e lettore sono, necessariamente, due persone diverse. Questo estranearaento di fon ­
do é ció che rende lo scritto per principio incapace di soddisfare le richieste della ve­
ra Xóycov x£xv7l-
6 A d eccezione delle due allusioni che io per primo ho indícate.
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 107

3. Socrate è inpossesso dei teorem i mancanti

Prim a di esaminare il ruolo di questo m otivo del trattenersi dal-


Tesprimersi su certe cose nell’impianto del dialogo, vogliamo ri-
cordare che non soltanto devono essere di fatto completate certe
«cose di maggior va lo re » (Tt^LcÓTspa) il cui contenuto non è ricu-
perabile dal contesto che ci viene presentato. Platone non è úni­
camente egli stesso, in quanto autore, il soggetto che agisce nel
trattenersi dalPesprimere il sapere di sfondo richiesto obiettiva-
mente dai contenuti, bensi egli delinea, oltre a cio, anche la figu­
ra di Socrate come quella di chi dispone del sapere integrativo.
Il cenno più chiaro in questa direzione Platone ce lo o ffre in
connessione all’ inaspettato frammento di teoria délia scienza,
che determina il rapporto fra le scienze matematiche e la dialet-
tica (290 C; cfr. sopra p. 105). Per sottolinearé il significato di
questa conoscenza, Platone interrompe il dialogo narrato e fa
domandare a Critone, interlocutore del dialogo-cornice, se dav-
vero il giovane Clinia abbia detto cose tanto intelligenti come
sostiene Socrate7; se è lui ad averie dette, allora egli non ha più
bisogno di una form azione spirituale umana ulteriore (290 E 1-
6 ). Socrate non puô assicurare che sia stato Clinia; potrebbe es­
sere stato anche Ctesippo, cosa che Critone non crede, come
non aveva creduto prima che si traitasse davvero di Clinia (291
A 1). Comunque, Socrate lo sa con certezza, non sono stati né
Eutidemo né D ionisodoro a dirle (291 A 2). Poiché, con questo,
tutti gli altri partecipanti al dialogo narrato sono fuori discus-
sione, Critone potrebbe immaginarsi chi abbia introdotto nel di­
scorso quella conoscenza che indica contesti filosofici più pro­
fon de Tuttavia questo non viene detto cosi semplicemente, anzi
Socrate dice, ad un tempo dissimulando ed esagerando, che
qualcuno degli esseri superiori che era proprio li presente, po-

7 L o stupore del non filosofico Critone e rivolto, primariamente, alia determina-


zione fatta da Clinia del rapporto fra strategia e politica (290 D 1-8). M a per «C li­
n ia » questo e strettissimamente connesso alia determinazione del rapporto fra ma-
tematica e dialettica: tutte e due le volte un’arte «d a acquisire» viene subordinata
ad una da «u sa re» (290 B 7 - D 8). Platone sottolinea questo passo a m otivo della
afferm azione in esso contenuta a proposito della dialettica: il m otivo di tale sottoli-
neatura si ricava gia dalla considerazione che la subordinazione della strategia alia
politica era, nella democratica Atene, una cosa ovvia, mentre la superiority del
concetto della dialettica rispetto alle discipline matematiche si fonda su un presup-
posto specificamente platonico.
108 «EUTIDEM O»

trebbe aver pronuncíate quelle parole (fjiri xwv xpeirróvcov


Tiapwv atká écpGéY^oc-co, 291 A 4). N on dobbiamo continuare a
chiederci della voce di chi si sia servito il D io sconosciuto; resta
come punto ferm o che, con la dialettica, viene sfiorato P ámbito
del «su periore», della filosofía «d iv in a », che rende superflua
una ulteriore form azione «u m a n a ».
Anche con Paccenno al fatto che la dialettica é la retorica che
produce «d iscorsi» (XóyoO decisivi e che portano Veudaimonia
(289 C 6 -E 1; cfr. sopra pp. 105 s.), si fa un ulteriore riferimen-
to, anche se meno marcato, al fatto che Socrate disponga della
conoscenza chiarificatrice. É lui che rivolge lo sguardo all’ «arte
di far discorsi» (XoyoTiouxrj t íyyr\, 289 C-7). Questo egli fa an­
che nel caso delP«arte strategica» (azpaxr\yix,r¡, 290 B 1), la cui
pretesa viene respinta, e a buon diritto. La differenza consiste
tuttavia nel fatto che la il suo rifiuto resta indiscusso8, mentre
qui Socrate, dopo gli insufficienti m otivi proposti da Clinia, che
sono adeguati solo a ir«a rte di fare discorsi» (Xoyo7rouxrj) di mi-
nor valore di un Lisia o di un Isocrate, non pero alia retorica del
dialettico, assicura: «tuttavia credevo che si sarebbe mostrata
qui da qualche parte quella scienza che da tanto tempo cerchia-
m o » (289 D 10 - E 1). L a posizione di « i o » (¿ycó) é accentuata
(xocítoi lyco cp(¿r)v): Socrate sperava di trovare, qui, quanto si
cercava; certo non n eir«a rte di fare discorsi» (Xoyorcoux7j) cor-
rente 9, bensi «q u i da qualche parte» (¿v^auGá tcou ) , dunque nel-
P ámbito della (vera) arte di fare discorsi. E Socrate, il quale
supponeva che proprio «q u i da qualche parte» ci fosse Pelemen­
to decisivo, include súbito Parte dell’ autore di discorsi nell’ arte
dell’incantatoria, con cui si incantano e placano, da un lato, ser-
penti ragni e scorpioni, e, dall’ altro, giudici e assemblee (289 E
1-290 A 6 ). Quanto di svalutante é compreso in questa correla-
zione si attenua, se si pensa che anche per il vero oratore la « p o ­
tenza del discorso» (Xóyou Suvapu;) consiste nella «guida delPa-
n im a» ((jjuxocycoyía, Fedro, 271 C 10); solo che questi basa la sua
guida delPanima non sulP«incantam ento», ma su di un sapere
fondato nelPanima. (Che il completamento di alcuni pensieri del-
PEutidemo proprio con il Fedro non sia dovuto ad una arbitraria

8 L ’irruzione del dialogo-cornice nel dialogo narrato mostra che il rifiuto provie­
ne, in realtá, da Socrate stesso.
9 A proposito di oux oa>Tr¡ di 289 D 8, cfr. sopra p. 105 e nota 4.
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 109

combinazione, risulterá dalle precise relazioni che indicheremo


piüavanti).
N elle sezioni che vanno collegate alia dottrina deU’anamnesi,
Socrate nasconde in m odo piü conseguente il fatto che egli sia in
possesso della conoscenza ulteriore richiesta dalle cose. M a poi-
ché nella terza e piü importante di queste sezioni (293 B ss.) solo
il suo interrogare mirato ad un preciso scopo (in particolare 294
A 5; E 6-7) porta alia successione voluta di insensatezze, che ot-
tengono un senso solo se collocate sullo sfondo del M en on e,
non possiamo dubitare nemmeno qui delPintenzione di Platone
di dipingere Socrate come colui che sa e che, nella situazione
concreta, non vuol fare uso manifestó del suo sapere. Nello stes-
so senso andava sopra (p. 104) interprétalo il modo in cui é con-
figurata l ’ allusione alia dottrina delle Idee (301 A ). II fatto che
in questi due casi il ruolo di Socrate come di chi sa sia meno
chiaro da cogliere 10, é senza dubbio dovuto al fatto che essi si
trovano nei passi eristici del discorso, mentre i due accenni alia
dialettica si trovano in quelli protrettici: Socrate, di fronte ai
giovani interlocutori che sono pronti per far fruttare l ’ insegna-
mento filosofico, si puó mostrare in modo piü chiaro n .

t0 A volte viene messo in dubbio che in 301 A sia presente un riferimento alia dot­
trina delle Idee, ad esempio da parte di Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 278 s., che
cita anche alcuni pareri analoghi espressi precedentemente da altri (p. 279, nota 1).
Parimenti sono preparato ad affrontare il rifiuto della mia proposta di vedere nella
(vera) XoYOJtouxrj un riferimento alia dialettica. Per coloro che desiderassero man-
tenere in proposito un certo scetticismo si not! che per lo scopo dimostrativo che è
qui perseguito sono sufficienti i rinvii unanimemente riconosciuti a teorie che con-
ducano piü avanti in 290 E (dialettica) e 293 B ss. (reminiscenza). II tentativo com-
piuto da Guthrie (A H istory ..., IV , p. 282) di separare ancora Eutidem o, 290 C,
d allaRepubbiica, 510 C ss., risultapiü che mai discutibile: nella sua frase conclusi­
va per cui « il primo principio anipotetico è la form a del B ene», egli scomoda, tutta-
via, nuovamente un teorema della Repubbiica, che, per quanto lui ritiene, Platone
«n on è necessário che abbia avuto qui in mente». (A Guthrie, come anche ad altri
interpret!, è sfuggito il fatto che il sapersi volontariamente trattenere dal pariare di
certe cose costituisce il m otivo strutturale dell’ azione; in proposito, cfr. sotto, pp.
110-115).
11 Questo sapersi trattenere dal pariare di certe cose a seconda delPinterlocutore,
non ha niente a che fare con la segretezza: questo si ricava già dal fatto che, quando
Socrate (o «u no degli D e i»? ) introduce la dialettica, sono presenti anche Eutidemo
e Dionisodoro; ma il discorso, in questo passo, non li riguarda. A proposito della
distinzione fra segretezza ed esoterismo cfr. quanto diciamo sotto, pp. 484 - 487.
110 «EUTIDEM O»

4. L a struttura del dialogo e il significato della beffa sulla se-


gretezza

Proprio questo Socrate, che sa trattenersi dall’ esporre le sue


«cose di maggior valo re» (xtfxico'cepa), schernisce i due eristi con
l ’ invito ad esporre, in futuro, il loro sapere solo a persone adat-
te. Uno sguardo all’ impianto del dialogo ci mostra che lo svolgi-
mento delFazione raggiunge in questa b effa distruttiva il suo
scopo e che, di conseguenza, dobbiamo comprendere la affer-
mazione centrale delYEutidem o proprio partendo da questo
punto.
Tre linee di discorso vengono a distinguersi bene Tuna dall’ al-
tra, m olto diverse certo per carattere e contenuto, ma con un te­
ma comune: il rango della « filo s o fía » (cptXoaocpía) e il m odo in
cui essa deve essere praticata. Questo tema viene discusso ad un
livello intermedio nel dialogo-cornice avente Critone come in-
terlocutore. Socrate vuole ottenere Padesione di Critone ad im­
parare, assieme a lui, la sapienza di Eutidemo e Dionisodoro, gli
ex-pancraziasti e maestri di combattimento diventati di recente
intellettuali (272 D ). Per dare a Critone un’idea di ció che essi
avrebbero imparato dai dué, Socrate narra del suo colloquio
con loro. D opo il racconto, Critone esitante fa notare a Socrate
che in loro compagnia egli potrebbe cadere in discredito (304 C
ss.); egli aveva incontrato un osservatore, un uomo di grande
orgoglio che scriveva discorsi per i tribunali; costui aveva
espresso malvolentieri la sua opinione, dopo aver udito proprio
quel discorso fra Socrate e i maestri di virtu, a proposito della
inopportuna «serietá » impiegata qui per cose di scarso valore, e
aveva sostenuto che Critone avrebbe dovuto vergognarsi del suo
amico Socrate; infine, aveva dichiarato prive di valore e ridicole
la filosofía e le persone che la praticano ( 9 aüXot xal xaxayáXa-
aiot.) (304 C-305 B). Critone non ritiene giustificato il rimprove-
ro alia filosofía in sé, pero ritiene giustificato il rimprovero alia
disponibilitá di Socrate per i colloqui con siffatte persone. So­
crate non é affatto impressionato dall’ ignoto critico che sta a
meta strada fra filosofía e politica e che si reputa, pertanto, su-
periore ad ambedue questi ámbiti (305 C-306 C); egli risponde ai
dubbi di Critone sull’ adeguatezza di coloro che si o ffro n o come
educatori, accennando al fatto che in ogni arte sono rare le per­
sone buoné e valide, e numeróse quelle cattive e prive di valore;
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 111

cosi avviene anche per la filosofía. In generale, Critone non do-


vrebbe badare alie persone che fanno filosofía, ma dovrebbe
sottoporre ad esame la cosa stessa; e solo dopo il risultato dell’ e-
same dovrebbe o distogliere tutti dalla filosofía o esercitarla
scrupolosamente con tutti i suoi (307 A -C ).
Anche in questo dialogo-cornice Socrate non elimina la finzione
che lo fa apparire piü piccolo, la sua «iro n ia » (eípoveía): egli
vuol sempre, stando a quel che dice (277 B 3), diventare discepo-
lo di Eutidemo e di Dionisodoro, come aveva detto loro (274 D
1-3; 304 B 7 - C 5). II mantenimento dell’ ironia in una situazione
in cui essa non sarebbe necessaria, ha l ’ effetto di un rinforzo; e
cosi, anche in queste pagine, viene fatta ulteriore luce sulla te­
mática e sull’ obiettivo della parte principale, imbevuta di ironia.
Due veritá «o g g e ttiv e », che si impongono, per cosi dire, come
«fr u tt o » separabile dal tutto, sono stranamente sottolineate nel-
la conclusione irónica: ció che importa é la cosa stessa che si
chiama filosofía, e non i suoi rappresentanti; e inoltre: come per
tutte le altre cose, cosi anche per la filosofía esistono buoni e
cattivi rappresentanti (qxxüXoi - <mou§aToi). Che i rappresentanti
non importino m olto, non viene confutato solo dal comporta-
mento di Critone e di Socrate — per Critone, la persona di So­
crate é la garanzia che la formazione spirituale delPuomo (rcai-
8 sía) é la cosa piü importante (306 D 6 - E 3), e Socrate vuole se-
guire proprio questi maestri di sapienza, senza preoccuparsi del-
le critiche — , bensi ancora di piü dall’ altra proposizione obietti-
va, quella sui buoni e sui cattivi maestri: se é certo che questa di-
stinzione si verifica da ogni parte, allora é obbligatorio cercare
di trovare il vero maestro di filosofía. Evidentemente dobbiamo
leggere cosi anche la parte principale, ossia come la presentazio-
ne di ritratti, che si riferiscono reciprocamente Tuno all’ altro, di
due personaggi «insignificanti e di nessun valo re» (<pauXoi xa!
ouSevó; a 2*i<n) e di uno «significante e di tutto valo re» (arcou5aio¡;
xoci Ttavxós a £10 ;). Invece la frase che si riferisce alia cosa stessa
come único elemento decisivo, conserva puré la sua esattezza:
anche nel Fedone Socrate invita gli amici a badare non a lui,
bensi ben di piü alia veritá (91 C 1). M a anche la, proprio questo
consiglio lo rivela maestro único, a cui sarebbe fatale non bada-
re; l’ esigenza del maestro superiore si deve, perció, basare sui fatto
che egli dispone di conoscenze piü essenziali, che egli é «colui che
possiede cose di maggior valore» (e'x^v T r o m p a ). É il primato
112 «EUTIDEM O»

stesso della cosa inteso platónicamente, che porta dietro a sé il


primato del «d ia lettico » (StocXexxixó^) fra i m aestri12.
Critone non sa certo nulla di questa unione fra la cosa e l ’ uomo
che la rappresenta. Egli prende da Socrate Pidea delPimportan-
za delPeducazione, ma non vede che questi, pur non pretenden-
do di essere il maestro della «v ir tü » ■(áp&'crj), é, ciononostante,
Púnico maestro. Egli difende la filosofía di fronte al critico sco-
nosciuto senza distinguere fra eristica e vera filosofía, e non é
quindi in grado di confutare la pretesa di superioritá fatta dal
critico (305 E). E Socrate ha davvero sbagliato a parlare con Eu-
tidemo e con D ionisodoro «davanti a molti uom ini» (ivavxíov
tcoXXgív ávOpcoTtcov, 305 B 2 ). A quanto sembra, Critone appro-
verebbe colloqui privati — se si vuole, «esoterici» — con gli eri-
sti. Con questo é nuovamente ripreso un m otivo importante del­
la parte principale: la domanda su che cosa vada discusso e da­
vanti a chi vada discusso. Critone é lontanissimo dal comporta-
mento di Socrate, la cui discussione pubblica, descritta nella
parte principale, corrisponde sempre al m odo consueto di parla­
re con i sofisti, mentre si puó difficilmente immaginare che, per
lui, i fratelli Eutidemo e D ionisodoro potrebbero sostituire in un
colloquio personale serio i fratelli Glaucone e Adim anto.
A n cor meno di Critone, che é pur sempre umanamente legato a
Socrate, Panonimo critico capisce chi sia la persona «significan­
te e di tutto va lo re » (oirouSaTo; xat navtó<; a?io<;). Per lui, egli é
semplicemente uno di quelli che «dedicano un impegno senza
valore a cose di nessun valo re» (rcepí oú§£vÓ£ á^tcov áva^íav
crctouBriv rcotoupivcov, 304 E 4-5), di cui Critone dovrebbe vergo-
gnarsi. D i fatto, Critone dovrebbe vergognarsi del proprio ami-
co, se Socrate rivolgesse d a w ero la sua serietá (aTuouSr)) alie cose
senza valore di cui si occupano gli eristi.
II dialogo é di nuovo posto sotto Pangolatura del primato della
cosa, del significato della cosa trattata, e questa volta é collega-
to al m otivo della «serietá». II nesso fra «serietá» ( cjtcouStj) e
«cose di m olto valo re» ( tcoXXoü a£ia) nel loro contenuto, che é

12 N on esiste niente di meno platonico dell’idea che «la sofistica dei due maestri di
lo tta » si differenzi «d alla diaiettica socratica ... unicamente a m otivo dell’ intenzio-
ne e deli’orientam ento» (Friedländer, Pla ton , II, p. 167). Per Platone ia differenza
sta nella conoscenza o non conoscenza della reminiscenza, delle Idee, della diaietti­
ca. (L a disponibilitä espressa da Socrate a soffermarsi su questi temi e regolata dal­
la «disponibilitä e dalPorientam ento» degli interlocutori).
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 113

essenziale per il F ed ro, risulta tale, evidentemente, anche per


VEutidem o 13.
Questa tematica determina, tuttavia, in modo ancora più evi­
dente, la parte principale (272 E - 304 B) che è costituita da due
contrastanti linee di discorso, una eristica ed una socratica. Ri-
spetto al livello intermedio del dialogo-cornice, la linea eristica
mostra la « filo s o fía » al livello piu basso pensabile, nella carica­
tura di un gioco senza valore (278 B), mentre la linea socratica
conduce alla serietá filosófica, ma senza che questa venga svi-
luppata nel suo contenuto.
Socrate stabilisce il tema: i fratelli devono convincere il giovane
Clinia del valore della filosofía con un «discorso protrettico»
(Xo-yoç 7tpoTp£7TTixôç); allorché questi presentano solo sofismi e
trabocchetti (prima parte eristica, 275 D - 277 C ), Socrate stesso
fa vedere come egli si immaginerebbe il discorso protrettico de-
siderato (prima parte socratica, 277 D - 282 E) e consegna agli
eristi il suo paradigma per la prosecuzione; ma il risultato è
quello che ci si puo aspettare dopo la prima dimostrazione della
loro arte (seconda parte eristica, 283 A - 288 B), per cui Socrate
deve alla fine continuare lui stesso il suo discorso protrettico (se­
conda parte socratica, 288 B - 293 A ); tuttavia, egli lascia che il
discorso si concluda nell’aporia, che gli o ffre l’ occàsione di
chiedere ai maestri dell’eristica di aiutarlo a uscire daH’ aporia e
di farli entrare in scena per la terza volta (terza parte eristica,
293 B - 304 B).
La tensione durante questo quadruplice scambio del livello del
discorso viene sempre mantenuta, in quanto Platone ad ogni
passaggio fra le parti del discorso presenta il m otivo «scherzo/
serietà». L a prima parte eristica si chiude in m odo confuso e de-
ludente non solo per il giovane Clinia, ma anche per il lettore.
Socrate, tuttavia, nel passare al suo discorso protrettico, desta
la speranza in qualcosa di meglio: i fratelli vorranno certamente
finiré il loro « g io c o » (TraiStá, 278 C 2) ed esporre le loro «cose
serie» (a 7uouSaía)14; intanto, lui stesso li precederá con un esem-
pio (277 D - 278 E). Naturalmente, questa speranza non viene

13 Da oùSevôç àÇicov va ottenuto un iroXXoû à£ia come oggetto délia «serietà» di


Socrate. D ifficilm ente si vorrà dubitare del fatto che con questo si faccia riferimen-
to ai itXeiovoç ocÇia, ai xi¡jLLa>t&pa, fkXxico e fxeiÇto del Fedro. Cfr. nota 16.
14 fimStá - a7iou8aIa, 278 E 2-3; cfr. 277 D 9; E 2; 278 B 2 s.; C 6; D 1.
114 «EUTIDEMO»

poi realizzata nella seconda parte eristica; ma, perché non ce ne


dimentichiamo, Socrate ricorda ancora una volta, all’inizio di
questo passo (283 B 10 - C 2), la sua «serietà » e lo «scherzo» dei
fratelli. Evidentemente, anche dopo questa parte egli deve, an­
cora una volta, rimandare a poi la speranza in una presentazio-
ne seria della loro sapienza (288 B-D ); e, tuttavia, la sua fiducia
nella comparsa di questa serietà non viene meno. E dopo che la
sua propria «serietà » (288 D 3) nella seconda parte protrettica è
naufragata nelFaporia, Socrate, in difficoltà, implora i due eri-
sti come i Dioscuri, perché finalmente in qualunque m odo di-
ventino seri e «s a lv in o » lui e il suo giovane interlocutore, m o­
strando la «scien za» (¿7ctcrr^fJirj) cercata, che è veramente decisi­
va (293 A 1-6). E cosi avviene: la fiducia incrollabile di Socrate
non viene delusa; nella terza parte eristica — che vede giungere
al culmine le scempiaggini dei sofismi — Eutidemo e Dionisodo-
ro mostrano, con suo grande entusiasmo, davvero la loro «serie­
tà » (294 B 1-3; 300 E 1). E cosi egli può, in conclusione, dare il
benevolo consiglio di diffondere in futuro la loro saggezza solo
«in m odo esoterico».
Questo veloce sguardo panoramico dovrebbe aver chiarito che il
m otivo «scherzo/serietà» svolge la funzione architettonica di
far risaltare le parti dei dialogo opponendole l’ una a ll’altra, e di
definire le aspettative circa le parti che ancora devono venire.
Misurando quanto ci è stato o fferto con il metro delle aspettati­
ve, riconosciamo il senso delia successione. È tutto un gioco di
estrazione dei «s e rio » dagli «eso terici» eristi, che vengono sup-
posti come inclini al riserbo. È di importanza decisiva il collega-
mento dei m otivo delia «serietà » con quello del «venire in soc-
corso al discorso» (por)0£iv xw Xóyto), come avviene nel Fedro.
Infatti, il grido di «a iu to » rivolto ai fratelli non significa altro se
non un invito rivolto a loro affinché «a iu tin o » il «d iscorso» (Xó-
yoç), e perché dimostrino con questo che essi sono « filo s o fi»
(cpiXóacxpot) nel senso dei F e d ro . L a variazione nelFespressione è
dovuta alia situazione dei dialogo: la lode smisuratamente esa-
gerata e ironica fatta da Socrate ha portato Eutidemo e Dioniso-
doro già al livello degli Dei (273 E 6 ), e anche qui essi vengono
invocati «com e i Dioscuri». Quello che per gli uomini sarebbe
un «so cco rso », per loro è di piü, è «sa lvezza» divina. L a salvez-
za dell’ aporia del discorso protrettico sarebbe possibile filoso­
fando seriamente, il che condurrebbe alia rivelazione della
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 115

«scien za» (¿jcionQjJirj) cercata (293 A 4 - 6 ). Non possono sussi-


stere dubbi sul fatto che questa «scienza» (¿Tua-cr^ri) sia ció che
Platone chiama dialettica. Abbiam o infatti visto che Socrate co-
nosce i tratti essenziali della dialettica: dunque, proprio lui po-
trebbe portare la «sa lvezza » che finge di pretendere dai p o veri
sofisti. Tuttavia, egli la tiene per sé, non mostra la sua «serie-
tá » 15. Ciononostante, egli resta colui che ha la capacita e la pos-
sibilitá di « venire in soccorso» (e'x<ov [3o7)0e.ív), poiché é colui che
«possiede cose di m aggior v a lo re » (i'xwv Tt|xtú>Tspa); comunque
egli preferisce «tacere di fronte a coloro ai quali si deve tacere»
(aifótv 7cpÓ£ ou; 5eí).
Si mostra, ora, il senso della b effa sulla segretezza: colui che po-
trebbe davvero «ven ire in soccorso» in base a conoscenze di ba­
se fino ad ora tenute in serbo, sfida gli avversari a fare proprio
questo. D opo che si é dimostrato che questi non possono farlo,
egli li schernisce per la loro «serietá » e li consiglia beffardamen-
te di serbare il sapere, ossia li consiglia beffardamente di fare
quello che essi non sono in grado di fare, perché non sono in
possesso di «cose di maggior va lo re» ('cifjitcü'cepa) da tenere na-
scoste.
NéíYEutidem o non si schernisce, dunque, l ’ esoterica filosófica,
bensi proprio 1’ incapacita di esercitarla.

5. I I rapporto con la critica dello scritto contenuta nel «F e d r o »

II rapporto con il F e d ro , decisivo per il significato di tutto l ’ in-


sieme, é inoltre confermato da una serie di ulteriori determina-
zioni e di ulteriori cenni attraverso cui gli eristi risultano essere il
negativo del « filo s o f o » (cpiXóaocpo<;) in una maniera m olto
precisa.
Quelli che si autoriconoscono maestri di virtü portano alia filo-

15 La garanzia in 288 D 3, secondo la quale egli starebbe svolgendo seriamente il


suo fine protrettico, non costituisce una contraddizione: in confronto alie burle de-
gli eristi questo fine protrettico è qualcosa di profondamente serio, in confronto a
quanto costituirebbe lo scioglimento delP aporia esso è solo un «g io c o » preliminare
(naturalmente un gioco diverso da quello dei due fratelli). «G io c o » e «serietà» so­
no concetti relativi; i critici che non se ne sono resi conto, si lamentano, spesso e
volentieri, di una «svalutazione» dei dialoghi da parte di coloro che sostengono il
significato storico ed oggettivo della teoria platônica dei Principi. M a, se esiste
qualcuno che «svalu ta» i dialoghi, questi è Platone stesso in quanto è I" e^ cov x i -
^tcíne.poc.
116 «EUTIDEM O»

sofia per gradi, come in una iniziazione (277 D-E). Come tutti
sanno, la visione delle Idee viene presentata nel Fedro come
un’iniziazione ai Misteri (250 B 8 - C 4), e inoltre anche il paral­
elism o tra filosofía e «m isteri» (TeXsioci) è frequente in Platone.
L a capacita, già data con questa rappresentazione, del control-
lato trattenersi dal dire certe cose — che come già si è visto de­
termina Tintera «a z io n e » del dialogo — viene riconosciuta
espressamente, e con approvazione, anche agli avversari: «sai
quando bisogna tacere e quando no (oT<t0oc ot& Sel á 7roxpívaa0 ai
xat ote ptiq) (287 D 1) e «questo a ragione veduta hai passato sot-
to silenzio» (toüxo ¡jl&v éxwv 7tapT}xocç, 301 C 2). Dobbiam o, allo-
ra, intenderli come veri oratori che conoscono «le situazioni in
cui è il momento giusto di parlare o di astenersi dal parlare»
(xoupoùç Toü tcote Xextéov xal ¿7uax£TÉov) e che sanno «c o n chi si
deve tacere» (atyõcv rcpòç oOç B&I) (Fedro, 272 A 4; 276 A 6 ). Illu­
minante per questa lode irónica è il passo in cui Dionisodoro fa
fare una cattiva figura alla sua arte, rispondendo in un momen­
to inopportuno (297 A ). L ’ «a r te » dei sofisti riceve, poi, l ’ elogio
di Socrate a m otivo della sua «acribia dei discorsi» (axpípeia
Xóycov, 288 A 6 ), con la quale egli, certamente non a caso, le at-
tribuisce una caratteristica della competenza del dialettico (cfr.
F ed ro, 270 E - 271 A ; R epubblica, 435 D 1 e 504 B 5). Per lui è
sicuro che i fratelli non parlano a casaccio, bensi si presentano
quali maestri dell’ «a r te » ( t é x ^ ) del «discutere» (SiaXéyEaOaL);
egli dice ad Eutidemo che sa discutere meglio (xáXXtov ¿Tufcrraaoci
SiaXéyEaOat, 295 E 2), e che in generale i due fratelli parlano a
ragione d ’arte (t ^ ix c o ç ), mentre lui stesso parla solamente «in
m odo semplicistico» (i8icútixôSç, 303 E 5; 278 D 5). Essi sono,
dunque, lodati quali veri possessori delParte dei discorsi (ts,xv^
xoí Xóywv Tt&pi) nel senso del F e d ro , la cui «a r te » in quanto «a r ­
te dei discorsi» (Xóycov xéxvr)) o in quanto «arte dialettica» (8ia-
XexTtxr¡ xexvT]) può venir espressa con alcune perifrasi di F ed ro ,
273 D-E; 276 E. Poiché scopo del dialettico è la «assimilazione a
D io » (ó^oítoaiç Seto), comprendíanlo che anche Tinnalzamento
degli eristi a « D e i » (293 A ) non è solo uno scherzo spavaldo,
bensi anche un voluto elevamento al di sopra della vicinanza al
divino del « filo s o f o » ( 91 X0 0 0 9 0 $) (Fedro, 278 D ). (II contrasto
di questo passo con la presenza « d i uno degli esseri superiori» in
291 A — qui gli « D e i » non possono aiutare, là un D io fa entrare
nella discussione il concetto di dialettica, con cui si dovrebbe so-
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 117

stenere il soccorso — conferiría l ’intenzione di questa allusione).


E per non farci scordare mai che la superioritá del vero dialetti-
co si basa sul contenuto di cui tratta, si sottolinea espressamen-
te, oltre alia tematica «s e rie tá »-«g io c o » (<m)u§rj-7cai§iá), che i
due fratelli si occupano di «un a cosa grande» (273 C-D), mentre
il povero Socrate sa solo cose piccole (apuxpá, 293 B 8 ); ci è noto
dal Fedro che Platone usa come sinonimi il «p iü grande», il
«m ig lio re » e il « d i maggior va lo re » 16: è appunto il possesso di
questo che fa il « filo s o f o » (cptXóaocpoç).
L a resa unitaria dell’immagine ideale del filo so fo nella caricatu­
ra del suo opposto viene interrotta solo in due punti da Platone
(senza peraltro interrompere il riconoscimento ironico unita­
rio 17). Eutidemo e D ionisodoro hanno raggiunto e comunicano
la saggezza in un tempo m olto breve. Platone non si stanca di
sottolineare, anche nel F e d ro , che la dialettica è una cosa che si
ottiene con fatiche di a n n i1S; invece, questo veloce insegnamen-
to puó essere acquisito da chiunque, e non viene eccettuata nes-
suna «n atu ra» (çúcjiç, 304 C 2; cfr. 272 B 4); per il vero dialetti-
co, invece, esistono quelli per cui la cosa non è affatto adatta
(olç ouSèv TCp'ocrrjxei, Fedro, 275 E 2), perciò la scelta dell’interlo-
cutore adeguato (della ^poar¡xouaa, 276 E 6 ) è la prima
condizione per lo sviluppo della sua «arte dei discorsi» (XóyoDV
e la scelta delle nature adatte è un tema importante della
Repubblica, delle Leggi e della Lettera V I I 19.
Queste coincidenze suggeriscono di vedere l’enunciazione piü
importante del dialogo nel riferimento delPimmagine negativa
della filosofia nelle vestí dei due eristi al ritratto positivo del « f i ­
lo s o fo » (cpiXóaocpoç) nel Fedro. L ’E utidem o è la inversione della
definizione del filosofo come dell’ uomo che sa venire in soccor-

16 [A£ÍCa>, [kXxtco, Tip.iwi:&pa, 279 A 8; 234 E 3; 235 D 6; 278 D 8.


17 L ’unitarietá della lode irónica viene mantenuta in parte attribuendo agli eristi
qualitá di fatto positive, di cui essi sono privi, in parte facendo passare per positive
qualitá di fatto negative, che essi posseggono.
18 Si consid.eri Eutidemo, 273 D 9; 304 A 2; A 4 ('z6.yj.axct., xcr/ú)', 303 C 5; E 6; 272
B 3 (áv návu oXíycó ypóviú) rispetto a F ed ro, 272 B C; 274 A 2; 276 B; Lettera V II,
341 C; 244 B: ttoXXtj ouvouaía, ¡itroc 710XX0 O xpóvou. La lunga formazione del dia-
lettico nella Repubblica é in sintonia con questi passi.
19 É evidente il significato della ixXoyy] (Repubblica, 535 A 6; cfr. &xX£y&lv, L e g g i,
969 B 8) per le utopie dello Stato di Platone. La Lettera V I I vuole riservare la co-
municazione filosófica al auyyevrji; tou ^pá^p-aTO? (344 A ); solo molto pochi (óXí-
yot tlvc?, 341 E 2) si contraddistinguono per un’ affinitá con le cose della filosofia.
118 «EUTIDEMO»

so al suo logos ricorrendo a «cose di maggior im portanza» e


che, in quanto vero oratore, sa anche tacere al momento oppor-
tuno, drammaturgicamente rappresentata come fa rsa 20. En-
trambe queste capacitá del filosofo sono, qui, utilizzate come
motivi che determinano I’ azione, con Paiuto dei quali Eutidemo
e D ionisodoro vengono trasformati, con uno stravolgimento
spavaldo della veritá, in «esoterici». Solo un g o ffo fraintendi-
mento della comicitá sarcastica di questa situazione potrebbe
vedervi una b effa dell’idea del filosofare esoterico in sé., invece
che la b effa di indegni aspiranti alia filosofía.
II valore del dialogo come conferma chiarificatrice e come con-
cretizzazione di importanti afferm azioni del Fed.ro, non é da
considerarsi scarso. La drasticitá resa con la comicitá della cari­
catura e la eccezionale chiarezza dovrebbero aiutare a sgombra-
re il campo da eventuali dubbi ancora presenti. Platone ci comu­
nica qui, in form a esemplare e drammaturgicamente ampia, che
cosa significhi il «trattenersi dal parlare» nell’ ambito della filo ­
sofía, chi lo ejercita e perché, e quale tipo di sapere filosofico
sta a fondamento del trattenersi dal parlare, II trattenersi dal
parlare della scienza (&7uai;rtfji7i) filosófica é adeguato, quando le
persone da ammettere alia filosofía o non sono per niente adat-
te, come Eutidemo e Dionisodoro, o non sono ancora su ficien ­
temente preparate a conoscenze che presuppongono di piü di ció
che essi hanno, come Clinia e Ctesippo. II trattenersi dal parlare
significa la salvaguardia della superioritá rispetto al caso di un
impiego scorretto o di una svalutazione 21 da parte di persone
inadeguate: ci si puó immaginare che cosa farebbero Eutidemo e
D ionisodoro deirim m ortalitá delPanima e dell’ anamnesi; é cer-
to meglio non mettere súbito in mano loro queste conoscenze. II
trattenersi dal parlare significa tenere aperta la possibilitá di
«venire in soccorso al discorso» ((3or]0£Tv ito Xóyío). Se, in caso

20 Questo non vuole però certo dire che io ritenga il Fedro precedente dal punto di
vista cronologico. Analogamente, il fatto che in esso si presupponga la dottrina
completamente svolta della reminiscenza non deve affatto far concludere che YEu-
tidemo sia stato scritto piü tardi dei M enone. Nella sua prima esposizione coerente
la dottrina della reminiscenza può essere stata per Platone già un TcoXuflpúXrjtov,
come Ia dottrina delle Idee nel Fedone (100 B). Questo si può supporre con sicurez-
za per quanto riguarda la critica della scrittura e il concetto di (3or)6etv nel Fedro: la
prova piü sicura è costituita dalla utilità di questo concetto per Pinterpretazione dei
primi dialoghi.
21 tc\t]PI[jl£.XoÚ[jis.voç xal oux èv Bíxyi Xothoprfizíq, Fedro, 275 E 3 - 4.
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 119

particolare, si debba fare uso o no di questa possibilité, sarà il


filosofo a deciderlo, in base alla sua valutazione deirinterlocu-
tore: qui Socrate ci rinuncia22. Quello che non viene detto, deve
essere un tipo di sapere fondante, «più a lto »: si puô venire in
soccorso solo con «cose di maggior valore» ('utfxiárcepa) rilevanti
per il contenuto.
Che cosa significhino per la problemática dello scritto, qui non
sviluppata, i rapporti mostrad nç\YEutidem o, non ha bisogno di
specifiche spiegazioni. N on stupirá nessuno che le «cose di mag­
gior va lo re » (-uiJUcÓTepa) che Eutidemo desidera, si trovino scrit-
te in altri dialoghi: abbiamo a che fare con un’ esposizione esem-
plare; infatti, se il m odello deve essere comprensibile per il letto-
re, devono com padre scritti entrambi i tipi di «discorsi» (Xóyoi),
quelli che portano soccorso e quelli che hanno bisogno di soc­
corso. L ’ afferm azione, valida per Tintera opera scritta, secondo
cui il filosofo manterrá sempre, anche nei confronti dei suoi
scritti, la possibilité del «portare soccorso» (porjôeîv) e con que-
sto la supériorité di colui che ha cose di maggior valore t i-

¡juocruepa), va ricavata dal Fedro e non dalVEutidem o; ma la let-


tura divertente di questa vivace farsa ci insegnerà a capire me-
glio le afferm azioni più importanti e più astratte dell’ altro
dialogo.
Sulla scorta àt\YEutidemo, che utilizza come motivo strutturale
centrale e particolarmente significativo quello del nascondere e
trattenere la conoscenza, e che, perianto, va considerato come
locus classicus in cui si mostra in m odo esemplare il senso délia

22 Sarebbe un grave equivoco ritenere che qui Socrate taccia, ma, proprio tacen-
do, «accenn i» al sapere piú alto e confermi, cosi, la teoría schleiermacheriana della
comunicazione indiretta, come se la form a specifica di comunicazione del dialogo
fosse proprio arfwvxa Xáysiv (la formulazione si trova proprio neíPEutidemo nella
cornice di una falsa conclusione: 300 B). É decisivo il fatto che i Ttfjctw'uepa, che
mancano n Eutidem o non potrebbero mai essere ricavati da questo solo dialogo:
invece, secondo la teoría schleiermacheriana, la comunicazione indiretta deve esse­
re indipendente per quanto concerne Í1 contenuto del suo significato, e risultare,
quindi, senz’ altro decifrabile al lettore intelligente. Qui, invece, siamo in grado di
intravvedere oltre il testo i teoremi mancanti, soltanto perché in altri dialoghi ve-
niamo istruiti in proposito direttamente. N on avrebbe senso parlare di una comuni­
cazione «in d iretta » della dottrina della reminiscenza núV Eutidemo'. essa non viene
comunicata, bensi presupposta. Anche l ’interpretazione in senso storico-evolutivo
di ció che manca viene sconfessata: quello che qui manca non si puó interpretare
come un progetto da svolgersi nel futuro, anzi, é molto evidente come esso sia co-
stituito, invece, da teorie pienamente formúlate.
120 «EUTIDEM O»

b effa platónica sulla «segretezza», vanno compresi anche quei


passi di altri dialoghi in cui il «nascondere» funge da motivo
d ’ accompagnamento accanto ad altri. Si dimostrerá che questa
b effa non contraddice mai da nessuna parte Pesigenza da parte
del filo so fo di tener nascosta, consapevolmente, la conoscenza
— come potrebbe forse apparire a una considerazione superfi­
ciale — , ma che, anzi, essa ha sempre lo scopo di rivelare nella
persona oggetto di scherno un non-filosofo, attribuendogli, con
un ironico stravolgimento della realtá, un tratto essenziale del
filosofo, per il quäle, in m odo ben evidente, egli non puo avan­
zare alcuna pretesa23.

23 II m otivo del «nascondim ento» (spesso legato o sostituito da quello dell’ «ingan-
n o » — solo chi possiede un vantaggio rispetto alle conoscenze delPaltro puo ingan-
nare) e presente, fra l ’ altro, in Carmide, 174 A ; Protagora, 342 B C; Ippia in in ore,
370 E; 373 B; Ippia maggiore, 293 E; 300 C D; Eutifrone, 3 D; 11 B^ 14 C; 15 E; L i-
side\ 215 C; 219 B; lo n e, 541 E; Gorgia, 499 B C; Cratilo, 383 B - 384 A ; 427 D E;
Fedro, 271 C 1-3.
IV. II «soccorso al logos» come principio
strutturale del dialogo platonico

Si è visto che Fafferm azione, secondo cui il filosofo potrà sem­


pre superare la sua discussione scritta mediante «cose di mag-
gior va lo re » (xt[xttÓT£pa), va intesa secondo il contenuto del suo
filosofare: rispetto al suo libro, egli deve tener pronti argomenti
e teoremi piü ampi e piü fondanti. Tutto ció che è scritto deve
poggiare su un completamento ottenuto con argomenti migliori.
Platone concepisce lo scritto filosofico, sin daU’ inizio, come
uno scritto non autarchico, come lo scritto che deve venir trasce-
so per quanto riguarda il contenuto, se deve essere capito com ­
pletamente. II libro del filo so fo deve avere giustificazione ulti-
mativa dei suoi argomenti al di fuori di se stesso.
Questo è stato il risultato dell’ interpretazione della parte conclu­
siva del F e d ro , che è la piü importante espressione del pensiero
platonico concernente la scrittura e Poralitá. L ’analisi delle par­
ti principali del Fedro e delPEutidem o ha mostrato che questo
abbozzo teoretico del rapporto del filo so fo nei confronti del suo
«d iscorso» (Xóyoç) e la sua fondazione agisce anche nel vivace
ritratto del vero dialettico e del suo opposto.
Nella misura in cui, allora, tutti i dialoghi sono un grande qua­
dro del vero filo so fo , o immagini del suo parlare vivo irrigidite
dallo scritto, e nella misura in cui pretendono di soddisfare le
esigenze teoretiche dello scritto filosofico, essi debbono basarsi
tutti quanti sulla stessa concezione. È opportuno, allora, vedere
in che misura i singoli dialoghi esprimono questa concezione.
Sin dall’ inizio bisognerá presupporre differenze nel grado di
chiarezza con cui Platone trasforma in azione del dialogo il suo
giudizio sul filosofare scritto e órale. In altri termini, non ci si
deve aspettare che la riflessione sui limiti dello scrivere venga ri-
proposta continuamente. Poiché, pero, Platone collega il nome
di « filo s o fo » (cpiXóaocpoç) alia coscienza della necessita di un soc­
corso per sua natura richiesta dallo scritto, ci si deve difficil-
122 IL «SOCCORSO A L LOGOS»

mente aspettare, peraltro, che possa esistere uno scritto platóni­


co che non richiami alia memoria, in qualche modo, la provvi-
sorietá delle sue esposizioni.
I dialoghi trattati possono giá daré una prima idea della variabi-
litá fórmale di tali richiami alia memoria. Tuttavia, in ogni va-
riabilitá devono restare riconoscibili elementi essenziali, e quin-
di invariabili: in particolare, in p rim o luogo, deve restare rico-
noscibile il fatto che la discussione viene gradualmente spostata
dalla situazione dell’ esame critico della difesa un li-
vello piü alto «m ediante il discorso», e, in secondo luogo, deve
restare riconoscibile anche il fatto che ad ogni livello piü alto,
che di volta in volta é raggiunto nei vari dialoghi, viene fornito
un cenno al fatto che « q u i» e « o r a » il trasferimento ad un livello
piü alto «m ediante il soccorso» non é affatto concluso, e che oc-
correrebbe compiere ulteriori passi avanti sulla strada chiara-
mente concepita per raggiungere «P rin c ip i» (áp/aí) ancora piü
alti ( T im eo, 53 D ). N on ci si aspetterá in Platone il pedante atte-
nersi ad una determinata terminología per indicare il «soccor­
s o», sia internamente al dialogo, sia oltre al dialogo: decisiva é
la struttura che viene mantenuta idéntica, e la sua chiara e mar-
cata sottolineatura nello svolgimento del dialogo.
Contro questo proposito di mostrare, nei singoli dialoghi, le
strutture di cui si é detto sulla base della concezione platónica
del filosofare órale, potrebbero, ovviamente, venir sollevate
obiezioni di vario genere K
In primo luogo, si potrebbe obiettare che dalla dimostrazione
che il ragionamento di un dialogo (o di una sua parte) serve al
«so cco rso » e alia fondazione dei pensieri di un altro dialogo (o
di un’ altra parte) non si ricava ancora nessun elemento — cosi si
asserisce — per una filosofía órale di Platone: lo scritto rimanda
alio scritto, e non abbiamo m otivo di trarre conclusioni, se non
aventi un significato periférico, sul non scritto2.

1 A l lettore non sarà sfuggito che nel corso delle anaüsi sin qui condotte, si è già ri-
sposto a queste obiezioni in parte esplicitamente, in parte in m odo implicito; le ri-
propongo qui, comunque, ancora una volta nel loro insieme, prima di passare al-
Panalisi dei singoli dialoghi, cosi che il lettore possa avere davanti agli occhi le al-
ternative possibili per Pinterpretazione dei passi sulla por^eia. A lia luce dei risuitati
cui siamo giunti nei capitoli precedenti, la risposta alie obiezioni può essere limitata
alPindicazione dei punti di vista piü generali.
2 Obiezione a! progetto preliminare di questa ricerca, da me esposto in «Museum
H elveticum », 35 (1978), pp. 18-32, fattami per leítera da un collegatedesco.
PRINCIPIO STRUTTURALE DEL DIALOGO PLATONICO 123

In secondo luogo, si potrebbe sollevare la seguente obiezione:


non è un equivoco puro e semplice, pariendo da casi di «soccor-
so al logos» che si incontrano nei dialoghi scritti, trarre conclu­
sion! concernenti il «so cco rso » orale allo scritto, di cui Platone
parla sul F e d ro l L o scritto richiede un tipo di soccorso fonda-
mentalmente diverso rispetto a quello dell’ esposizione o ra le 3.
In terzo luogo, si potrebbe obiettare che sarebbe assurdo sup-
porre che un filosofo che entra in un elenchos su quanto ha
scritto esponga da questo momento oralmente cose essenzial-
mente diverse in difesa dei suo scritto. Una difesa sensata do-
vrebbe attenersi alla cosa da difendere: se lo scritto traitasse, ad
esempio, di política, ci si aspetterebbe che l’ autore entrasse in
un elenchos sulla política, e che, quindi, non cambiasse il tema
nel «soccorso». Altrimenti, si avrebbero due differenti tipi di te­
mi, uno per la filosofía scritta e uno per quella o ra le4.
L a prima obiezione trascura il fatto che i casi di «soccorso al lo ­
g o s » contenuti nelF opera scritta svolgono la funzione di esempi:
da questi possiamo ricavare che cosa significhi, in concreto, il
«portare soccorso» (por]0etv). Questi «m o d e lli» (napaSetyiiaxa)
non provano ancora, naturalmente, che 1*opera scritta ha biso-
gno nel complesso di un «so cco rso » ulteriore; il Fedro, pero, di­
ce questo in m odo del tutto generale per il libro del filosofo, e i
singoli dialoghi dicono ognuno da sé, e per lo piú proprio nel
punto in cui la discussione raggiunge il suo culmine, che hanno
bisogno di un completamento del contenuto. I casi paradigmati-
ci di «soccorso», le argomentazioni della parte conclusiva del
Fedro, e, in terzo luogo, i casi in cui nei dialoghi qualcosa non
viene detto, vanno compresi nel preciso rapporto che essi han-
no: come il logos scritto che conduce oltre, «soccorre» il logos
più semplice che lo precede, cosi il dialogo, nel complesso, ri-
manda ad un «so cco rso » ulteriore. E questo vale anche e soprat-
tutto per i dialoghi il cui contenuto si spinge più avanti, e le cui

3 Cosi la polemica di de Vries, «M useum Helveticum », 36 (1979), pp. 60-62 nei


confronti del progetto citato alla nota 2.
4 Cosi G. Vlastos, «G n o m o n », 35 (1963), p. 635: «cam biare soggetti» non sarebbe
conciliabile con l’ idea dei porjQetv tcõ Xóycp, giacché «se egli (scil. un uomo) avesse
scritto di política ci si sarebbe aspettati che egli affrontasse un elenchos riguardante
la p o lítica » , e non potrebbe, per ció, «riVolgersi ora ad un argomento diverso e più
esaltato, come la m etafísica». Proseguendo (p. 654), Vlastos combatte con impe-
gno l ’ idea delle «d u e serie di oggetti».
124 IL «SOCCORSO A L LOGOS»

afferm azioni non trovano un proseguimento da nessuna parte


nell’opera scritta. È lo scritto stesso che esige la estensione del
nesso fondativo, coglibile nel modello di «soccorso» (por}0 £t,a)
dei dialoghi, oltre i confini dei dialoghi stessi.
L a seconda obiezione postula, al fine di sfuggire all’ impiego del
m odello di «so cco rso » (por^eia) all’ opera scritta, due tipi diver-
si di «soccorso». Farebbe davvero piacere sapere su quali passi
del testo platonico si possa fondare questa distinzione5. In ogni
caso, il Fedro mostra chiaramentè che, per Platone, la capacità
di «portare soccorso al discorso» (por^Tv too Xóyo>), che si m o­
stra nella difesa dell’ esposizione sia scritta sia orale del dialetti-
co, è una sola e sempre qu ella6. Sia il fatto che Socrate, filoso­
fando oralmente, difenda il suo proprio discorso orale in
un^ummagine» scritta di un colloquio, sia il fatto che Platone
aiuti un argomento di un suo dialogo, o per iscritto in quanto
autore, o oralmente in quanto maestro nell’ Accademia, non
può motivare nessuna differenza di principio: già la natura di
«c o p ia » propria dello scritto garantisce che siano presenti le
stesse strutture. Si rifletta anche sul fatto che Platone piü volte
vuole che si intenda il dialogo solo come testo fissato per iscritto
di un determinato d ia lo g o 7; se, allora, colui che guida il discor­
so vedesse la trascrizione, potrebbe passare al «so cco rso » orale
di questo scritto; ma, a sua volta, la trascrizione di questo prose­
guimento del discorso portato «in soccorso» diventerebbe di
nuovo, al tempo stesso, un «so cco rso » scritto al primo dialogo
messo per iscritto. Questa riflessione può suonare come un caso
pensato in teoria, ma guadagna un significato concreto proprio
per 1’ opera platónica principale: il primo libro della Repubblica
è esistitó come scritto completo del tipo dei primi dialoghi molto
tempo prima dei libri II-X , come ammette la maggior parte degli

5 De Vries, H elping the Writings p. 61, sembra fondare la sua opinione secon-
do la quale « i l soccorso richiesto durante una conversazione non e la stessa cosa del
sostegno di cui necessita la parola scritta» sull’ interpretazione per cui |3or|0e.rv nella
Repubblica, 368 B C «riguarda la discussione nel suo complesso e non una teoria
specifica proposta durante tale discussione». M a la frase citata per ultim a e un er-
rore dovuto a de Vries e non un’ afferm azione del testo di Platone. E anche se aves-
se ragione, non potrebbe fondare la conclusione su due tipi di «so cco rso» diversi
per principio.
6 Cfr. sopra, pp. 56 ss., 68 ss.
7 Cosi soprattutto nel proemio del Teeteto, e analogamente nel Fedone e nel Sim-
p osio (cfr. sotto p. 342).
PRINCIPIO STRUTTURALE DEL DIALOGO PLATONICO 125

interpreti a partiré da K .F . H erm an n 8. L a continuazione, che


appartiene al periodo di mezzo, si comporta espressámente co­
me «so cco rso » alia tesi di Socrate contenuta nel primo lib ro 9.
Se ora ci chiediamo che cosa Platone avrebbe potuto offrire co­
me soccorso órale al prim o libro, quando stava scrivendo R e -
pubblica II- X ma non l ’aveva ancora conclusa, é evidente che
non si sarebbe potuto trattare di nient’ altro se non del contenu-
to del «so cco rso » che ora abbiamo a disposizione per iscritto 10.
Anche la terza obiezione si basa su un semplice equivoco. II rap-
porto temático fra il logos «ch e viene in soccorso» e quello che
ha bisogno di soccorso non va inteso con la alternativa troppo
semplice di «o n e or tw o sets o f objects». Platone dice nel F ed ro,
con sufficiente chiarezza, che cosa ci si debba aspettare da un lo ­
gos superiore: esso deve o ffrire cose «diverse», «m a g g io ri» e
«p iü im portanti» del logos che esso vuole superare; ma, ovvia-
mente, cose diverse e piü importanti «concernenti il medesimo
o ggetto» ( 7rE.pl toO aÜTOü npá^[i<xxo<;, 234 E 3) n . Con questo é
giá detto che l ’insistenza unilaterale sull’ impossibilitá di «tw o
sets o f objects» non tiene conto di ció che dice Platone. II Fedro
mostra anche come lo scopo vero e proprio della conoscenza si
mantenga uguale nel cambio degli argomenti; questa stessa cosa
si legge con chiarezza esemplare, come vedremo, nella Repub-
blica, in cui ha luogo un cambiamento dei temi immediati del di­

8 K .F. Hermann, Geschichte und System der platonischen Philosophie, Heidel­


berg 1839, p. 538. N on è necessário supporre la pubblicazione separata del primo
libro con il titolo Trasimaco (F. Dümmler, Z u r C om position des platonischen
Staates, in; Kleine Schriften, I, Leipzig 1901, pp. 229 ss.). Tuttavia Friedländer,
P la ton , I, pp. 45 s., ne sostiene, a ragione, la composizione giovanile; poco convin­
cente è la prova «p o sitiva » di K. Vretska, Platônica III, «W iener Studien», 71
(1958), pp. 40-45, secondo cui il libro I sarebbe pensabile solo come introduzione
alPintera opera; ancor meno convincente l ’idea di Guthrie, A H istory ..., IV, p.
441, che Platone non abbia voluto tener nascosti al lettore, nel libro I, «g li stadi del
proprio pellegrinaggio» . C fr. sotto, pp. 227 ss., 283 e note 30 e 32. — N on è rile-
vante, del resto, per l ’interpretazione seguita nel testo, sapere se fra la com posizio­
ne del libro I e dei libri II-X è trascorso tanto o poco tempo; ciò che è decisivo è la
differenza m orfologicä, che distingue il libro I dai successivi come un logos a sé,
compiuto in se stesso.
9 Cfr. sotto, pp. 363 s.
10 II fatto che anche questo «so cco rso» resti, da parte sua, bisognoso di completa-
mento, non cambia per nulla il fatto che il completamento orale immediato e da
darsi alVinizio e la fondazione dell’ argomento del libro I sia venuto a coincidere
con il contenuto dei libri successivi.
11 Cfr. sopra, pp. 28 s. e note 6 e 7.
126 IL «SOCCORSO A L LOGOS»

scorso, per «portare soccorso» alia fondazione dell’ afferm azio-


ne del libro I sulla giustizia; ma il tema generale, la giustizia,
non viene mai perso di vista.
Per Platone, quindi, Tidentitá del tema si concilia assai bene con
la diversitá quantitativa e qualitativa della serie di argomenta-
zioni. Infatti, sarebbe stato assurdo se la filosofía órale di P lato­
ne avesse o ffe rto semplicemente non altro se non i dialoghi. Pe-
raltro, il m odello di «so cco rso » (porjOe-ia) dei dialoghi insegna
che questa concezione solleva una «d iffic o ltá » artificiosa nata
dal moderno pregiudizio contro T «esoterica » e dall’ incapacita
di lasciar parlare di per sé il risultato che si ricava dall’analisi del
testo.
Del resto, la presunta necessitá di tenere il logos «ch e porta soc­
corso» rigorosamente nell’ ámbito temático di quello bisognoso
di aiuto non solo viene confutata, in m odo obiettivo, dalla strut-
tura dei dialoghi, ma viene anche esclusa testualmente con una
formulazione del décimo libro delle Leggi. Infatti in questo li­
bro viene richiesto nel contesto del soccorso al logos un «andaré
fu o ri» (exiros |3ocímv), ossia viene richiesta un’uscita dall’ origi­
nario ámbito argomentativo. Qui il contrasto fra la concezione
platónica del «portare soccorso» (Por¡0£tv) e quella antiesoterica
é cosí evidente che non c*é bisogno di nessun’ altra chiarificazio-
ne, bensi basta solo conoscere Pesistenza di questo testo rilevan-
t e 12.
Sulla base di quanto abbiamo detto, rivolgiamoci ora alie analisi
particolari dei singoli dialoghi. II passo appena citato del déci­
mo libro delle Leggi si presta bene, con la sua chiara qualifica-
zione del «so cco rso » (porj0£ta) in esso realizzato e del suo car al­
tere del «trascendere» P originario ámbito argomentativo, ad es-
sere collocato alPinizio dell’indagine in maniera paradigmatica.

12 Difficilm ente si vorrá negare che Vlastos abbia concepito la sua spiegazione an­
tiesoterica del concetto di «soccorso al log os», non essendo, evidentemente, a co-
noscenza del ricco materiale a sostegno di questo concetto che Pía tone ha messo a
nostra disposizione. Oltre a Leggi, 891 D E, gli é sfuggito, ad esempio, anche Fe-
dro, 88 D 6-7 (a proposito del quale cfr. sotto, p. 323, nota 77).
Y. «Le Leggi», libro X
Il superamento come essenza del «soccorso»

Il decimo libro delle L e gg i ha corne scopo la stesura délia legge


su come vadano trattati gli atei nello Stato ideale cretese. La
«legge sulFempietà» (vô|j,oç àaepetaç Tcépi), concepita in modo
m olto severo, viene formulata nelle ultime pagine (907 D - 910
D ); la parte che la precede, di gran lunga piú ampia, è intesa co­
me un «p r o lo g o » (rcpootViov) che deve rendere sopportabile la
severitá della legge, ricorrendo alia mitezza di un discorso per­
suasivo, ragionevole e convincente (890 C).
Questo rapporto delle due parti fra loro è una sicura allusione al
fatto che la discussione deve essere giudicata secondo i punti di
vista esposti nel Fedro. In questo dialogo vengono piú volte 1
addotte, come esempi di «d iscorsi» (Xóyoi) scritti, opere legisla­
tive, difendendo le quali l ’ autore deve dimostrare se disponga di
argomenti m igliori di quelli scritti ed è pertanto un filosofo, op-
pure no. Anche Topera platónica principale, e, ad un tempo,
quella piú ampia prima delle Leggi, ossia la Repubblica, si defi-
nisce come un’ opera di legislazione2, e dovrá dunque venir let-
ta, a sua volta, nell’ ottica del possibile approfondimento dello
scritto nelPámbito di un discorso orale fon dan te3. N el presente
testo delle L e gg i la differenza fra scrittura e parola è collocata
all’ interno del dialogo medesimo che viene rappresentato: la leg­
ge delYasebeia, ossia dell’empietá, formulata alla fine, va consi­
dérala come legge scritta, all’interno dell’ azione immaginata, ed
è, tuttavia, una parte delle norme che devono essere rese note ai
cittadini dello Stato cretese che dovrá essere fondato. M a il dia­
logo L e Leggi non si accontenta della stesura di queste leggi (vó-

1 F ed ro , 257 E - 258 D; 277 D 7; 278 C 4 (cfr. E 2).


2 I termini vó|aoç, vo|í .o9e.t £.ív e vo^oGeaíoc compaiono in piú di 20 passi, tanto per
singóle precisazioni dello Stato ideaie quanto per precisazioni dell’intera utopia.
3 Più approfonditamente, sotto, pp. 354 ss.
128 «LEG G I», LIBRO DECIMO

fxoi). L ’ «A ten iese», conduttore del dialogo, accettando di ab-


bandonare la rigida minaccia della legge scritta per procedere ad
una introduzione (ftpooí[jiiov) che adduca argomentazioni (cfr.
8 8 6 E - 887 C; 890 B-C), dimostra di essere il « filo s o fo » (cptXóao-
9 0 c) nel senso di Fedro, 278 C-D: parlando egli stesso (Xeycov
aikós), il filo so fo legislatore difende la sua opera legislativa.
Anche se le due parti del dialogo esistono in iscritto appunto in
quanto «im m a gin i» del discorso vivo, non si deve tuttavia tra-
scurare la loro opposizione metodologica nel quadro di riferi-
mento della situazione narrata: le leggi che dovranno piü tardi
esser messe per iscritto necessiteranno nell’ esame critico
(eXsyX0?) della difesa órale per la quale l ’autore giá da ora ha in
serbo gli argomenti che porteranno oltre il discorso. II carattere
órale e personale della parte argomentativa é ancora ulterior­
mente sottolineato dal fatto che le motivazioni vengono presen-
tate, in larga misura, quale dialogo nel dialogo e come diretta-
mente rivolte agli atei.
Un richiamo testuale alia problemática del Fedro si trova, poi,
nell’osservazione che le norme di legge, in quanto messe per
iscritto, si mantengono invariate e dovranno, perció, dar ragio-
ne di sé in ogni tem p o 4. L a situazione della «d ife s a » (eXeyx0?)
non si nasconde, tuttavia, come possibilitá astratta, dietro al
dialogo, ma viene sviluppata in esso pienamente. Poiché gli atei
non sono rappresentati fra i partecipanti al dialogo, essi vengo-
no introdotti fin dalPinizio come immaginari interlocutori (885
C ), e con la loro presenza determinano 1’ andamento della di-
scussione. L ’ ateniese riconosce di essere personalmente sotto
critica (sXeyx ° 0 5> e C0S1 form ula l ’ accusa degli oppositori: « c o ­
me se facessimo qualcosa di nefando istituendo leggi come se gli
Dei esistessero» (o><; Beivoc £pya^ó¡j.£0a vo[ao0£touvte.$ ¿h? ovtoív
0e¿ov, 887 A l ) . L ’ esistenza degli Dei é certo il fondamento non
solo della sola legge delYasebeia, per cui il cretese Clinia osserva
súbito che la dimostrazione della loro esistenza sarebbe il «p r o ­
lo g o » (Ttpooí^uov) piü adeguato a tutte le leggi (887 B 8 - C 2).
Proprio questo viene spiegato dall’Ateniese secondo il punto di

4 Ecco il testo di 891 A 1-2: xoc TCtpí vójaoui; TCpo<ycáyiJi.caa ¿v y p á ^ a a i T£0£vxa, tos
Síóaovxoc ei? u á v ta xpóvov íX syxp v, 7uávTco<; Tipsuet. Per r^peael, cfr. iVcrpce, Fedro
275 D 6 (sulle statue, che servono come analogía per la scrittura).
5 A d esempio, 893 B 5: eXeyxo JjLÉvw ¡j,ol
IL SUPERAMENTO COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 129

vista degli avversari: questi ricorrono all’ opposizione di «natu-


ra » (çúaiç) e «a r te » (Texvrl) (888 E ) e vedono nella natura quanto
vi è di originário e di vero, nell’ «a r te » quanto c’ è di derivato e
privo di importanza (889 B - D ); la fede negli Dei, però, come la
legislazione, resta dalla parte dell’ arte ( te^ vt}), e certo la conce-
zione delia giustizia nel suo insieme non ha niente a che vedere
con la «n atu ra» (çúcrtç), cui corrisponderebbe solo il diritto dei
piü forte (889 D - 890 A ). L a presente critica non mira, dunque,
solo alia sezione delle leggi delPaseôe/a, bensi all’intero âmbito
che è oggetto dei dialogo; Pidea della «legislazione» (vofxoOecia)
stessa deve giustificarsi.
D i fronte a questo attacco, noi ci aspettiamo che i pianificatori
dello Stato cretese vengano in aiuto della giustizia e della legge
ricorrendo ad altri pensieri che risultino meglio fondanti.
Ora, il carattere paradigmatico del nostro testo consiste proprio
nel fatto che gli interlocutori non solo si comportano, di fatto,
secondo questo m odello, ma dicono anche che lo fanno, utiliz-
zando addirittura il vocabolario dei Fedro. Dice Clinia: «N o n
mi sembra che sia cosa santa non portare soccorso a questi di-
scorsi» (ouSè oatov qiorfE dvai cpcdvExoa xò ¡jly] ou PorjGeTv toútoiç
lotç Xóyotç, 891 A 5-7); il che non certo a caso suona come le pa­
role di Socrate quando, nella R epubblica, egli decide di accetta-
re 1’ attacco alia giustizia: «tem o che sia cosa non santa, quando
si assiste alia accusa che viene portata alia giustizia, ritirarsi e
non portarle soccorso» (SéSoixa yàp ¡¿r] ou8’ ôatov fj Trapayevó-
fX£vov Sixatocjúvrj xax^yopoufjiivri à na yopiú iiv6 xou ¡xr] [3or)9£tv,
368 B 7 - C 1).
II conduttore dei dialogo conferma all’amico cretese che c ’ è bi-
sogno di «discorsi in difesa» (£7ca[ju;vovT£ç Xóyoi.) e ritiene che, in
primo luogo il legislatore, cioè lui stesso, sia tenuto a fare que­
sto 7: 1’ autore prende le parti delia sua opera. Certo egli esita a
cominciare a esporre «insolite dottrine» che sono necessarie per
questo; ed è chiaro anche a Clinia: «tu ritieni di uscire dal cam­
po delia legislazione (vo^oGeaíaç ¿xxòç (3aív£i,v), se affrontiam o
discorsi di questo genere. M a se non è possibile in modi diversi

6 Cfr. 8eí |^T]§afifj 3tá[xv£.i.v, Leggi, 890 D 2.


7 Per i £7ia[i.úvovTÊÇ Xóyoi di 891 B 3-4 cfr. F ed ro, 275 E 5 e 276 A 6 ájJiúvaaOat, e
à^üvai iautcõ . 891 B 4-6: vójAoiç ... xíva xaí [xãXXov 7tpoa7|XE.i {BotjOeTv rj vo(xo0éxr]v;
In precedenza già Clinia 890 D 2-5: Set ... tcõ roxXoutõ vójjlw ¿Ttíxoupov yiyvtaGai
Xóyco (cfr. ¿Trixoupelv in Repubblica, 368 C 3) á>ç eícuv Geot.
130 «LEG G I», LIBRO DECIMO

da questo concordare su quanto è stato detto secondo la le g g e 8,


allora si deve parlare in questo m o d o » (891 D 7 - E 3).
Quello che i commentatori moderni hanno ritenuto im possibile9
è qui espresso in m odo chiaro e semplice: nel portare il «soccor-
s o » (porj0eta), si deve oltrepassare la sfera in cui rientra Pogget-
to originario, i « lo g o i che portano soccorso» del legislatore do-
vranno uscire dal campo delia legislazione (vofjtoGeaíaç exiròç
paíveiv). E questa fuoriuscita costituisce Yunica possibilita di at-
tuare il «so cco rso » (porreta). Come si potrebbe, rimanendo nel-
Pambito di riflessioni etico-politiche, dimostrare Pesistenza de-
gli Dei?
II «so cco rso » abbandona, perciò, quest’ ámbito e si rivolge a do-
mande che sembrano m olto lontane, ossia a domande concer-
nenti la priorità ontologica: che cosa è ontologicamente primo?
La «n atu ra» (çúaiç) in cui credono i materialisti, oppure Panima
e il nous, e, con questi, P «a r te » e la legge? L ’ignoranza della
causa prima delia generazione e delia corruzione di tutte le cose
altera anche la visione della vera essenza e del vero essere degli
Dei (89 I E 8).
In questo m odo viene maggiormente esplicitato P«uscir fu o ri»
dalPámbito delPoggetto trattato (èxxòç pafv&iv), mediante il
quale il «so cco rso » regge o cade. Naturalmente, questo non co­
stituisce un girovagare senza méta; anzi, si tratta di un uscir fu o­
ri dalP ámbito delPoggetto trattato procedendo nella direzione
che conduce ai Principi e alle cause prime di tutte le cose (TrpóoToc
Tfjõv tcocvtcov, 891 C 2 - 3; o itpcoTov ye-veaecoç xat 9 Ôopã; alttov
amxvTwv, 891 E 5 - 6). N el caso considéralo, il fine della cono-
scenza viene raggiunto tramite un’ analisi del concetto di m ovi­
mento (893 B ss.), che conduce all’ anima passando dall’auto-
m ovimento (896 A -B ) e porta anche a stabilire che questa è «p r i­
m a » del corporeo (896 C) e che essa governa il cosmo (896 E);
dopo una breve riñessione sulPinflusso del Bene e del M ale nel
cosmo e sulla natura del movimento guidato dalla ragione, la di-
scussione giunge alia conclusione che Puniverso e le stelle che
sono in esso vengono guidate da anime perfettamente buone che
dobbiamo considerare Dei (899 A -B ). Piü chiaramente che nel

8 In E 2 0£oTç va cancellato (conformemente alia notizia che si ha nel manoscritto


O ).
9 C fr. sopra, p. 123, nota 4, p. 126, nota 12.
IL SUPERAMENTO COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 131

ragionamento di 891 B - 899 C non sarebbe possibile dimostrare


che il platonico «portare soccorso al lo g o s » altro non significhi
se non un sostenere una conoscenza con i suoi presupposti meta-
fisici, e cioé progredire ulteriormente sulla via che porta alia co­
noscenza dei Principi (ápxocí).
Resta ancora da chiedersi perché l ’ Ateniese abbia esitato 10 ad
entrare, per questa via, nell’ ambito che si trova «a l di fu o ri»
delle cose fin qui trattate. L a risposta si ricava dalla sua propo­
sta di escludere per un certo tempo dal colloquio gli amici dori-
ci, poco allenati nella dialettica 11, e di condurre egli stesso le do-
mande e le risposte finché non sia stata dimostrata la prioritá
deiranim a sul corpo (892 D - 893 A ). Naturalmente, questa pro­
posta va vista tenendo presente sullo sfondo la convinzione pla­
tónica che i lo g o i si devono adeguare alie capacita degli interlo­
cutor!. Come mostrano la Repubblica e la Lettera V I I, Padegua-
tezza intellettuale e l ’ adeguatezza del carattere rivestono per il
filosofo la stessa im portanza12. G li anziani Clinia e M egillo non
sarebbero alPaltezza delle esigenze spirituali de\\*elenchos che é
loro di fronte; essi potrebbero essere travolti dalle domande, co­
me da un fiume impetuoso. M a poiché essi posseggono, d ’ altro
canto, la adeguatezza di carattere, non viene loro tenuta nasco-
sta la dimostrazione dell’esistenza degli Dei, anche se si tratta di
una dimostrazione per cui non sono alPaltezza: in tal modo essi
possono, per cosí dire, guardare come 1’ esperto dialettico ate-
niese attraversi il fiume per loro e davanti a loro (892 D 7 - E 4).
Sembra certo, perianto, che L e L e g g i, giunte al momento piü al­
to, nella rappresentazione drammaturgica della prova decisiva,
cerchino di tener conto del principio basilare del filosofare óra­
le, secondo cui il contenuto va sviluppato sempre a seconda del­
le condizioni personali. Platone, comunque, non si é attenuto al
piano sviluppato in 892 D - 893 A ; infatti, m olto prima di rag-
giungere lo scopo prestabilito, Clinia rientra nel dialogo (894 B).
Poiché il testo non contiene alcun cenno del m otivo di questa
modificazione, andrá qui riconosciuta semplicemente una delle
disparitá redazionali, di cui risulta ricco Pultimo e incompiuto

10 Oux óxvr]T¿ov dice Clinia in 891 D 7, all’Ateniese. Si confrontino anche le sue


parole incitatrici in 890 D e 887 B.
11 893 A 1: áriSeu; ovxa? ánoxpíaecov,
12 Repubblica, 412 B ss.; 502 C ss.; 486 B; 487 A ; 535 A ; Lettera V il, 7, 343 E ss.
132 «LEG G I», LIBRO DECIMO

scritto di Platone. II piano originario torna però a produrre i


suòi effetti, quando TAteniese, in occasione di domande diffici-
li, accenna semplicemente che lui stesso vuol rispondere al posto
dei Dorici (896 E 4; 897 C 1; D 5), e soprattutto quando questi
promette, alPinizio dei passo seguente, di portare al di là dei fiu-
me gli amici, nel caso sorgano delle difficoltà, cosi come egli sta
facendo « o r a » (900 C 3-5), come se il dialogo nel dialogo inizia-
tosi in 893 B non si fosse mai abbandonato 13.
Le tesi basilari del filosofare órale sembrano tuttavia non essere
state rispettate nella misura in cui, con la dimostrazione dell’ esi-
stenza degli Dei felicemente conclusasi, vengono presentati per
iscritto i fondamenti ultimi delia legislazione, leggibili sia da
persone adatte come da persone non adatte. N on dovrebbe for-
se, proprio il libro che esprime chiar ámente che il «so cco rso » fi-
losofico richiede un uscir fuori dell’ ámbito (âxxòç Paivstv), avere
la giustificazione ultima dei suoi risultati fuori di se medesimo?
Dovrebbero essere proprio L e Leggi a non venir concepite se-
condo il principio dei «so cco rso » órale che sta ancora al di
fuori?
Si potrebbero leggere in questo senso le assicurazioni che la di­
mostrazione di D io, come anche quelle ad essa collegate secon-
do cui gli Dei si interessano degli affari umani e non si lasciano
corrompere, sono risultate «su fficien ti» (Êxavwç SêBêlxOoci, 896
A 6; 899 D 1-2; 903 A 7; 905 D 2-3; 907 B 7; C 7). Un breve
sguardo aglí strumenti di pensiero utilizzati per la dimostrazione
delPesistenza degli Dei — le altre due dimostrazioni sono co-
munque senza pretese dal punto di vista teoretico — dimostra,
tuttavia, che il giudizio sulle assicurazioni di cui sopra non può
esser mantenuto.
Viene dimostrato che 1’ anima è la prima realtà nella sfera delia
generazione e dei movimento, che essa « è la piü antica di tutte le
cose, essendo il principio dei m ovim ento» ( t <5v tcoívtcov rcpeapo-

13 La notifica che egli stesso vuole interrogare e rispondere (893 A 3-5) é, senza
dubbio, una parafrasi del m odo di descrivere impiegato in 893 B 6 - E 5: PAteniese
domanda in nome delPavversario e risponde per se stesso. In questo m odo egli vo-
leva «percorrere Pintero lo g o s » fino alia dimostrazione della prioritá dell’ anima
(dunque, almeno fino a 896 B C, o, meglio, fino a 899 B). II capovolgimento, non
sottolineato da Platone, si verifica in 893 E 6 - 894 B 1; questo capitolo avrebbe do-
vuto appartenere all’ avversario immaginario, ma, nel proseguimento, risulta essere
una asserzione dell’ Ateniese.
IL SUPE RAMEN T O COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 133

XQLvr\ (èorív), yevojjiivri ye àp^rj y.wr\aewç (896 A-B ; cfr. 892 A 4


s.; C 4); dal che non si ricava che essa è la prima cosa in assolu-
to, il Principio ultimativo di tutte le cose (ápx*l mxvtcov). N on si
deve dubitare del fatto che il temporale e il mobile dipendano
daH’ atemporale e dall’ immobile mondo delle Idee: e da questo
punto di vista, allora, bisognerebbe interrogare la presente di-
mostrazione circa i suoi presupposti, il Principio del movimento
(àpxn xivfjae-coç) dovrebbe essere ricondotto a Principi che sono
ancora al di sopra di questo (eti taÚTr]; àp^àç ocv<o0&v)14. La fon-
te (891 C 7) delle opinioni insensate degli atei è l’ignoranza del-
l ’ essenza dell’ anima e della sua origine (892 A 2-5). Se si cerca,
pero, il testo in cui Platone ha fatto di piu per eliminare tale
ignoranza, bisognerebbe allora indicare non il libro in questione
delle Leggi, bensi il T im eo (particolarmente 34 B ss.). Da un
confronto interno agli scritti platonici possiamo riconoscere che
la qualifica «su fficien te» (ixocvcõç), con cui Platone contrassegna
qui la discussione, non va inteso in senso assoluto, come se qui
fosse stato conosciuto «in m odo sufficiente» quanto si poteva
conoscere e lo si fosse comunicato in modo completo per iscrit-
to, bensi semplicemente in senso relativo, per cui l ’Ateniese ha
risposto «in m odo sufficiente» alie obiezioni degli atei, mante-
nendosi sul livello che è caratterizzato, da un lato, dal loro ma­
terialismo e, dall’ altro, dalle limitate possibilitá di comprensio-
ne degli ascoltatori dorici. Di fronte ad ascoltatori quali Socrate
e Crizia un uomo come Tim eo deve invece proseguiré, se vuole
offrire un’ esposizione «su fficien te».
In generale, come da tempo è stato riconosciuto, il livello filoso-
fico delle Le gg i è tenuto relativamente basso, e del tutto voluta-
mente 15. L a questione, un tempo vivacemente discussa 16, se il
Platone delle Le g g i creda «a n c o ra » alia dottrina delle Idee, par-
tiva dal presupposto sbagliato che un dialogo platonico debba
documentare sempre « lo stato piü recente della ricerca», come

14 La formuiazione è conform e a Tim eo, 53 D 6.


15 C fr. A . Diès nella Prefazione (pp. L X X X V I1 1 -X C II) della sua edizione delle
Leggi (Parigi 1951): il dialogo si mantiene consciamente su di un «liv e llo dialettico
più m odesto». Analogamente, ad esempio, E. de Stryck er, «R evue belge de philo­
sophie et d ’histoire», 42 (1964), pp. 601-604; idem, L ’idée du Bien dans la Républi­
que de Platon, « L ’Antiquité Classique», 39 (1970), p. 461; H. Görgemanns, Bei­
träge zur Interpretation von Platons N o m o i, München 1960, p. 225 e di frequente.
16 Letteratura in Görgemanns, Beiträge .... pp. 218 ss.; Guthrie, A H istory ..., V,
pp. 378-381.
«LEG G I», LIBRO DECIMO
134

se fosse un articolo di una rivista dei nostri giorni. L a teoría del-


le Idee e, a maggior ragione, la teoría dei Principi non vengono
certo esposte a interlocutori non sufficientemente preparati;
vengono tuttavia introdotte, con perifrasi sufficientemente chia-
re, come parte della formazione di coloro ai quali andrá affida-
to il nuovo S ta to 17. L a form azione filosófica della élite política,
pero, non é piü il tema del dialogo; FAteniese «esp orrá » e com-
menterá le sue idee in proposito solo in relazione alia realizza-
zione della progettata fondazione dello Stato (969 A 1 - 2 ) 18; le
scelte dei candidati, del programma e dell’ oggetto di insegna-
mento non si dovrebbero qualificare come «segreti», tuttavia es-
si non possono nemmeno venire comunicati anticipatamente, né
sotto form a di legge nel nuovo Stato, né con un’ esposizione teo­
rética nel presente dialogo 19. L a «form azion e filosófica piü pre­
cisa» basata sulle Idee e sui Principi (965 B 1) che qui manca,
metterebbe anche in grado di conoscere la veritá concernente
1’ ámbito, che é stato trattato nel décimo libro certamente «co n
serietá» ma appunto senza ancorarlo alia dottrina delle Idee e
alia teoría dei Principi, ossia metterebbe in grado di conoscere la
veritá concernente 1’ ámbito degli Dei (966 C 1-2)20.
Le L e gg i stesse dimostrano, quindi, dove stanno i limiti della di-
scussione e quale sia la direzione in cui andrebbe completato ed
approfondito quanto ci é qui presentato per iscritto. É evidente
che questo completamento dovrebbe ricorrere ad altre dimostra-
zioni e ad altri teoremi piü vicini ai Principi (ocpx«0 * E proprio
in questo andaré oltre i limiti delPámbito posto consiste l ’ essen-
za del «so cco rso » ((3or]0£t,a) platonico, come il libro décimo delle
L e gg i fa vedere ed esprime con una chiarezza veramente
esemplare.

17 Allusione alia conoscenza delle Idee ( t o Tipo; fiíav íSéav ßXsTtetv) 965 C 2, al Be­
ne come concetto integrativo delle aptxaí, 965 D 1 - E 2.
18 C fr. le mié osservazioni in: Problem e der Platoninterpretation, «Göttingische
Gelehrte An zeigen », 230 (1978), pp. 29 s. a proposito dell’interpretazione scorretta
che di questo passo danno H . Cherniss (Recensione di G. Müller, Studien zu den
platonischen N o m o i, «G n o m o n », 25 [1953], pp. 374 e 376, nota 3) e L. Tarán
( Académica. P la to , P h ilip o f Opus, and the Pseudo-Platonic Epinom is, Philadel­
phia 1975, p. 23, nota 85. L ’ Ateniese prometterebbe il suo soccorso «p e r quanto ri-
guarda la selezione dei candidati e l ’aiuto ad allenarli». Si tratterebbe,, quindi, di un
soccorso pratico, e di un insegnamento teoretico che non supera i confini del
dialogo).
19 968 E 3: artopprjxa ¡aiv Xtyftívxa oux av óp06>? Xíyoixo, árcpópprjTa Sc ...
20 Ovviamente, anche cntouSri di 966 C 2 va inteso come un concetto relativo.
VI. «Ippia minore»
Chi inganna e chi è ingannato?

1. L a « struttura-soccorso» com e f i l o conduttore dei dialogo

L a utilità della definizione dei « filo s o fo » (çiXóaoçoç) contenuta


nel Fedro per la spiegazione delle Le gg i può non essere troppo
sorprendente, essendo le L e gg i certamente un’ opera tarda. Po-
trà però sorprendere i rigidi sostenitori della interpretazione
evoluzionistica il fatto che anche la situazione e Pimpianto del-
P Ippia m inore, che è «an terio re» al F ed ro , lasciano vedere con
uguale chiarezza le prospettive contenute nel Fedro stesso, che è
«p osteriore». Si dovrà perciò considerare seriamente la possibi-
lità di intendere la critica dello scritto, e tutto quello che ad essa
è connesso, non tanto come frutto maturo di una lunga riflessio-
ne sulle condizioni e sui limiti della comunicazione filosofica,
quanto, piuttosto, come una tarda esposizione riassuntiva che
conferma una visione acquisita in precedenza e che è stata deter­
minante fin dalPinizio nel caratterizzare la form a e lo scopo dei
dialogo platonico.
II dialogo piü breve con Ippia di Elide, considerato nelPottica
dei capolavori del periodo medio ma anche nelPottica d ellM po-
logia e del C riíone, rappresenta un altro mondo, per cosi dire un
mondo meno «p la to n ico »: tutto è b effa fredda e perfino frivo ­
la non mitigata dalPumanità, accattivante nei dialoghi succes-
sivi, degli elementi protrettici (com e succede nelPEutidem o, a
cui danno un suo equilibrio). N el corso dei dialogo si incontra-
no, tuttavia, due espressioni che hanno Peffetto di un bagliore
di «v e r a » platonicità in questa atmosfera poco amabile: Socrate
prega Ippia di «guariré la sua anim a» e spera in una «fin e della

1 La derisione della vanità di Ippia determina fin dall’inizio il tono (364 A 1-6, B
1-3), compare, rinforzata, nelP elogio irônico della sua poliedricità (368 A 8 - 369 A
2) e porta, infine, alio smascheramento delía vacuità della sapienza di Ippia nelPul-
tima frase dei dialogo.
136 «IP P IA MINORE»

peregrinazione» (372 E; 376 C). Nella Repubblica un «riposo


dal cam m ino» e una «fin e del via g g io » sono promessi al dialetti-
co che ha raggiunto la conoscenza del Bene (532 E ); che questa
conoscenza comprenda la «guarigione delPanim a» é cosa che
deriva dalla lunga via di formazione filosófica che il dialettico
deve percorrere.
N el complesso át\V Ip p ia m inore le espressioni citate vanno inte-
se come allusioni alia situazione-soccorso (por¡0e.t,a) che da Pim ­
pronta al dialogo. Per comprendere questo, dobbiamo avere
presente la struttura dell’ insieme del dialogo.

2. L o svolgim ento del dialogo in tre gradi

II dialogo si svolge in tre stadi successivi. A l l ’inizio, Ippia é mes-


so a prova (eX rfx 0?)» P °i Socrate stesso si muove verso la posi-
zione di colui che viene messo in prova (é X e y x ó ^ 0?)- Ippia non
sa mantenere la sua posizione, mentre la posizione opposta di
Socrate si mantiene, anche nel secondo stadio, in una prospetti-
va globale. Infine, Socrate indica brevemente, nella terza ripre-
sa, come il suo logos, consapevolmente scorretto, potrebbe ve­
nir superato ricorrendo ad un modo di interrogare che scende
piü a fondo.
(1) Ippia ha tenuto un discorso su Omero ed é ora pronto a ri-
spondere a qualunque domanda (363 A -D ). Si tratta, dapprima,
delle opinioni di Omero, ma, non potendo porre domande a
Omero in persona, il suo esegeta Ippia ne prende le parti (365
C-D ). Di Ippia quale maestro di tutte le « a r t i» (368 B), si puó
senz’ altro ritenere che egli risulta decisivo in maniera sovrana,
allorché impiega le sue arti, in particolare la sua straordinaria
mnemotecnica (369 A 7-8). N on appena, tuttavia, il dialogo as-
sume uno svolgimento non soddisfacente, Socrate suppone che
Ippia in persona stia imitando Ulisse, lo straordinario imbro-
glione omerico, e che lo inganni nel dialogo (370 E 10). Ció si
adatta bene a un maestro come Ippia, mentre Socrate non é in-
form ato sulle cose, e, perció, ha a disposizione solo cose «catti-
v e », se si eselude Túnica cosa di buono che é il suo sapere ostina-
tamente interrogare e imparare (372 A 6 - C 8).
Gli elementi essenziali della situazione di prova, che, secondo il
FedrOy mostra il vero filo so fo , non sono d ifficili da riconoscere.
N on si puó chiedere ad Omero in persona che cosa pensasse,
CHI ING ANNA E CHI È INGANNATO? 137

rappresentando Achille e Ulisse: la problemática del libro, che


non può affrontare un discorso né rispondere, qui è già presente
a Platone in tutta chiarezza2. Omero, il tradizionale maestro dei
Greci, è senz’ altro Pesempio adatto per dimostrare la superiori-
tá della dialettica platónica nei confronti del m odo consueto di
trasmettere la «sapien za» attraverso i libri: ancora nel Fedro
(278 C 2), Omero viene nominato fra gli autori di scritti che bi-
sognerebbe interrogare per sapere se non posseggano qualcosa
di maggior valore rispetto a quello che hanno scritto. E come nel
Fedro la superioritá delP«arte dialettica» (StocXexaxrj xíyyr\) co-
municata di persona si mostra proprio nel fatto che anche íl di­
scente può venire in aiuto del logos di chi insegna (276 E 4 - 277
A 4), cosi Ippia dovrà assumersi la responsabilità delle idee di
Omero, che egli condivide, e rispondere, al tempo stesso, per se
stesso e per O m e ro 3. Per esprimerci con i concetti della critica
dello scritto, questo significa quanto segue: il dialogo deve di­
mostrare se Omero, o, meglio, se i libri delYIliade e delPOdissea
siano stati in grado di fare di Ippia uno «che sa il v e ro » (&í8<òç tò
ocXrjGéç), oppure no;
Tuttavia Ippia si trova nelPelenchos, ossia in una situazione di
prova, non solo in quanto discepolo di Omero ma anche in
quanto autore di un proprio discorso. Infatti, quanto egli ha
esposto era qualcosa di «preparato perché fosse esp o sto »4, e,
dunque, di fissato già in precedenza, come avviene appunto per
un libro, e Socrate vuole ottenere maggiori chiarimenti a propo­
sito di questo discorso: «spiegaci con chiarezza ció che intendi

2 365 C 8 - D 1: xov fièv *'0^.7]pov toivuv iàcrcojiE.v, èrcetSri xaî àSûvaxov lixavepé-
a0ai xi n o it votôv rain a inoir\atv xà F ed ro, 275 D 8-9 a proposito del logos
scritto: èàv 8c ti c'pr) tcov Xc^o^cvcov £}ouX6|xevoç ¡j.a9&ïv, cv it ar)^aiv&t ¡xovov xaù-
tèv àei. C fr. anche Protagora, 329 A ; 347 E.
3 365 D 2-4: ctù S’ èmiSri îpaivrj àvaScxojxcvoç trjv aïxiav, xaî aol auvSoxeî xaûxa
v.ntp cpr|ç r/0|j.r]pov X£yeiv, ¿Tcoxptvczi xoiv^ ùnip '0[x^pou te xat ctocutoû.
4 363 D 2: etç £7:î8e.l^iv Trapecxe-uaafievov. Questo è detto, letteralmente, solo delle
esibizioni di Ippia ad Olimpia; ma, dal momento che lui stesso sottolinea la somi-
glianza della situazione, dobbiamo immaginarci che il suo discorso ad Atene sia
dello stesso tipo. Anche in Ippia maggiore, 286 A - B, Ippia arriva ad Atene con un
discorso studiato fin nelle scelte lessicali (286 A 6) (e non pubblicato in preceden­
za). La menzione di Eudico in entrambi i dialoghi sembra voglia accennare al fatto
che la cornice dialogica indica in tutti e due i casi lo stesso discorso, citato da Filo-
strato: il D ia log o troiano di Ippia (cfr. Diels-Kranz, 86 A 2; B 5). (L a storicità del
discorso e la sua successiva pubblicazione non sono, tuttavia, decisive per la nostra
forraulazione della domanda).
138 «IP P IA MINORE»

d ire» (5t5aj'ov tj[jlöc^ aoccpcas, xi zktyzs, 364 C 1). Ci viene in mente


il ruolo deir«in segn am en to» (8i8ax^i) per la comunicazione filo-
sofica del sapere del Fedro e la considerazione che non si puö ot-
tenere da qualcosa di scritto «qualcosa di chiaro e di saldo» (aa-
yiq xi xat ßeßouov). Ippia crede di essere in grado di aggiungere
oralmente i chiarimenti necessari (364 C 3-4), La domanda (an-
cora una volta per esprimerci con i concetti della critica dello
scritto) e quindi la seguente: puö Ippia, parlando lui stesso in
persona (Xeywv auxo?), andare al di lä del suo manoscritto pre-
parato in precedenza (per cosi dire del suo «s c ritto »), dimostrar-
ne rin ferioritä ( 9 aüXa ¿7co8&i£at); o, in altre parole: e Ippia «in
possesso di cose di maggior valo re» (e'xtov xipucoxepoc)?
II suo avversario, Socrate, e senz’ altro «in possesso di cose di
minor valo re» ( <*>v 9 aüXoc), e chiarisce senza possibilitä d’ equi-
voco che questo predicato gli compete a m otivo della sua igno-
ranza delle cose, quindi nelPottica del contenuto stesso delle sue
te s i5. A l suo «c a ttiv o » giudizio delle cose di cui tratta, Socrate
contrappone il suo incessante interrogare ed impar^re come il
suo unico «b e n e » (dyotBov, 372 A -E ); egli confronta, quindi, il
«sa p ere» legato alle cose con Pattuazione sempre non conclusa
del filosofare.
A questo punto, qualcuno potrebbe fare Pobiezione seguente:
non dimostra proprio questo passo, sempre in collegamento con
Pimpiego conseguente del vocabolario del Fedro nel nostro dia-
logo, che le «cose di m aggior valo re» (xt[j,icox£poc) che si contrap-
pongono appunto in questo dialogo alle «cose di minor valore»
( 9 aüXa) dello scritto, indicano semplicemente il processo del di-
scutere nella dimensione orale come tale, e quindi la filosofia
come realizzazione viva, e non, perciö, contenuti particolari? 6.
Chi volesse giudicare in questo modo, si renderebbe ingenua-
mente vittima delPabituale scarsa considerazione di se da parte
di Socrate, della sua solita ironia (eicoOma siptoveia). N on si puö

5 372 B 2-4: ... x&XXa i'x<ov Tiavu cpaüXa- tcüv piv yap jcpay^aTcov ex£l lacpaX-
|iou, xoci oijx oTS5 Sot] laxiv. Schleiermacher traduce xaXXa 7iavu cpauXa con
«übrigens (m ag) es schlecht genug um mich stehen», il che e incoerente, in quanto
egli rende il precedente xori xivSuveuco Sv ¡xövov toöto ayaöov con «u nd ich
mag wohl nur dies eine Gute haben». II parallelismo delle due mezze frasi richiede
di intendere i'xstv e tutte e due le volte come «a v e re », e xäXka. e cpaöXa non co­
me neutri avverbiali, bensi come accusativi retti da &xeiv (come h> e ayaööv).
6 Questa e la spiegazione di G. Vlastos, che ha riscosso ampi consensi. C fr. sopra,
pp. 67 ss. e nota 20.
CHI IN G AN NA E CHI È INGANNATO? 139

dire che la sua assiduità nell’ interrogare e nell’ imparare sia Vtí­
nico bene che gli si adatti, e che a questo atteggiamento pura­
mente filosofico dal lato dei risultati corrisponderebbe solo la
tesi, effettivamente «c a ttiva », che il menzognero e il veritiero
siano identici7. In realtà non può esserci dubbio che Socrate
non solo ritenga giusta la tesi opposta — e questo fa anche Ip-
pia — , ma che saprebbe anche addurre m otivi che la sostengano
(su cui diremo di piü tra poco). M a se la conoscenza insufficien-
te delle cose (Tcpáy^axa), che si esprime nella proposizione sull’ i-
dentitá di « fa ls o » (cJjeuSri;) e di « v e r o » (àXr)0rjç), viene giusta-
mente definita « d i nessun va lo re » (cpocúXov), allora è ovvio che la
conoscenza ben fondata dell’ opposto è un «b e n e » (áyocGóv), e
che gli argomenti che dimostrerebbero il vero stato di cose in
confronto alie «cose di scarso valo re» (¡paüXoc) con cui Socrate
combatte fino in fondo la proposizione sbagliata, sarebbero
«cose di maggior valo re», nel senso pieno della parola. A lio
stesso tempo diventa, cosi, chiaro che, nella interpretazione m o­
derna di Platone, la tanto amata negazione del postulato di con-
tenuti particolari, e la loro sostituzione con un «procedim ento»
migliore e un «atteggiam en to» piü filosófica, è soltanto una fin-
zione dell’ ironico Socrate per confondere Ippia, incompetente
di questioni filosofiche. Dal punto di vista di Platone, questa di-
visione tra contenuto e método, questo procedimento e questa
«p o s izio n e» m igliori, che non portassero anche a risultati mi-
gliori, risulterebbero essere del tutto insensati8.
Se Ippia fosse d a w ero quelPuomo dell’ «a r te » (t£Xvy1) e della
«scien za» che Socrate elogia (368 B ss.), egli dovreb-
be — secondo un pensiero portante del Fedro — sempre sapere
«quando ciascuna di queste cose vada fatta e in quale misura»

7 369 B 3: áva7iécpavxai o ocútoç oív {JjeuSrjç xaí à\r\§r\c, (analogamente 367 A 7;


368 A 6, E 1-5).
8 Poiché i cpaüXa di Socrate comprendono la frase ó ohjtòç cJjsuÔriç xt xat àXr|0rjç e i
sofismi che la sostengono (cfr. sotto, nota 9), il termine significa almeno questa
volta effettivamente «sh agliato». A maggior ragione occorre avvertire dell’ equivo-
co di G. Vlastos, il quale sostiene che 1’interpretazione contenutistica di cpaüXa e di
TL|j.uÓTEpa nel Fedro, 278 C D, debba comportare che il contenuto dei dialoghi vada
nel suo complesso definito come «sb agliato» (cfr. sopra pp. 66 s. e nota, 19). II si-
gnifícato, presente nel F ed ro, «d i minor v a lore » (e cioé «m in o re » unicamente in
rapporto ai TL[j.twx£pa) ammette senz’ altro il caso limite per cui queste cose di mi­
nor valore sono semplicemente sbagliate; solo si deve notare che si tratta di un caso
limite, che non è in alcun modo vincolante per la valutazione del contenuto degíi al-
tri dialoghi.
140 «IP P IA MINORE»

(ótcót£ SsIbxoccjtoc toótcov trot&iv xcu |X£)(pi otcouou, F ed ro, 268 B 7),
e dovrebbe altresi conoscere quali siano « i momenti giusti di par­
lare e di trattenersi dal parlare» (xaipoüg xou k óxi Xexxéov xaí ém-
a^xeov, F edro, 272 A 4). Proprio questa concezione sembra na-
scondersi dietro I’ osservazione di scherno di Socrate, secondo cui
ora Ippia non farebbe uso della sua mnemotecnica; Socrate rileva
infatti espressamente: «evidentemente credi che non ce ne sia bi-
sogno» (BrjXov yocp Sxi oux ol'si Bsív, 369 A 7-8). La battuta si basa
sul fatto che Socrate fa del mnemotecnico Ippia uno che é padro­
ne della propria memoria, mentre, di fatto, solo lacomunicazione
di un contenuto ricordato puó essere sospesa volontariamente,
ma non l’ esercizio stesso della memoria. Ció che qui (presumibil-
mente) Ippia esercita é analogo al «tacere nel confronto di coloro
con i quali si deve tacere» (atyav rcpó<; oÜ£ 8&I) del filosofo.
La rappresentazione del maestro superiore del discorso che sa piü
di quanto dice, é evocata in m odo ancor piü chiaro nell’accusa che
Socrate fa ad Ippia di ingannarlo: «tu mi inganni, o carissimo Ip-
pia, e tu stesso imiti Ulisse» (e£aTrocxas (xe, <£> cpiXxaTe 'ÍTOTÍa, xotí
ocutóc tóv ’ OSuaaea 370 E 10). L ’ azione del dialogo non ri-
sulta spiegabile in maniera migliore, se non ricorrendo alia do-
manda: chi inganna e chi é l ’ingannato, chi é l’ astuto Ulisse di
questa commedia?
(2) Naturalmente, Ippia non sa uscire dalYelenchos cui si é espo­
sto con tanta fiducia (363 D - 364 A ). Egli aveva sostenuto che
Omero ha dipinto due caratteri opposti in Achille, Famante della
veritá, e in Ulisse, astuto e menzognero. Ora, guardando « le cose
stesse», egli deve ammettere che il veritiero e il menzognero sono,
in ogni ámbito, la stessa persona: precisamente, quella persona
che in quest’ ámbito é piü attiva e «b u o n a » (365 D - 369 B), e, con­
siderando Omero, che Achille e Ulisse sono dipinti come caratteri
del tutto identici, che dominano in ugual misura la veritá e la men-
zogna (369 B - 370 E). Ippia pro va a spiegare che Achille, in Ome­
ro, mente non di sua spontanea iniziativa; cosa, questa, che gli
viene confutata, in primo luogo, ricorrendo al testo, e che, in se­
condo luogo, dovrebbe costringerlo, in conseguenza di quanto é
detto prima, a riconoscere la superioritá di Ulisse, che mente di
sua spontanea volontá (370 E - 371 E ) 9. L a discussione si estende

9 In realtà, troviam o qui il sofisma centrale delPintero dialogo, che Ippia senz’ altro
non coglie, e che non deve cogliere. Era stato dimostrato che le persone competenti in
CHI ING ANNA E CHI È INGANNATO? 141

qui, all’ inizio della seconda parte principale, alia domanda piu
generale se coloro che agiscono ingiustamente per loro sponta­
nea volontá siano m igliori di chi sbaglia non per sua volontá
(372 A ).
Socrate, seguendo la lógica della sua confutazione di Ippia, ma-
nifesta come sua opinione la seguente: chi danneggia di sua vo ­
lontá i propri simili, compie una «in giustizia», inganna e fa del
male, é moralmente m igliore di chi lo fa non di sua volontá (372
D).
Questa afferm azione non é sostenibile. E allora, é davvero pos-
sibile che essa contenga la concezione di Socrate? « A volte, in-
vero, mi sembra anche il contrario, e oscillo in queste cose, evi­
dentemente perché non ho nessuna conoscenza» (372 D 7 - E 1).
Socrate, come abbiamo visto, sa sempre con certezza che una
conoscenza delle cose che porti a questa afferm azione come suo
risultato é una conoscenza insufficiente («ca ttiv a », 372 B 2). La
presente concezione gli sembra essere come un attacco di malat-
tia (xocTTqpoXri, 372 E 1).
Poiché, comunque, Pignorante (372 B 6) Socrate é pur sempre
arrivato ad un’ asserzione positiva, toccherebbe ad Ippia confu­
tarla, soccorrendo in questo m odo la concezione moralmente
corretta, che lui stesso rappresenta. Socrate lo invita a farlo:
« P e r favore, non privarmi della salvezza della mia anim a» 10.
Poiché P «attacco di m alattia» di Socrate costringe «o ra , per il
m om ento» ad una tesi immorale, egli deve subiré anche dei dan-
ni per la sua anima; la confutazione della sua tesi sarebbe, al
tempo stesso, la fine della malattia morale della sua anima.
Considerato in questo m odo, l ’invito « a guarirgli Fanim a» (t<x-
cracGai. ttjv í]>uX'5Ív non significa altro se non la preghiera che
invoca di «s a lv a r á » (aóáaca rjpLá^) áelVEutidemo (293 A ): i due
passi svolgono la funzione di invitare Pavversario a metiere in
atto quel «portare soccorso» (po7]0£Ív), ricorrendo alie «cose di

un settore possono dire con sicurezza, sul loro settore, il falso (mentre persone me-
no competenti potrebbero involontariamente dire il giusto, anche se avessero volu-
to dire il falso - 367 A ). Da questo non deriva che i «b u o n i» sono coloro che mento-
no volontariamente: perché «cap ace» di mentire non è la stessa cosa di «capace e
intenzionato» a mentire, il Buvcxtòç (jjaúSeaôou non è necessariamente uno c[>s.uSriç.
(L a soluzione del sofisma la offriva giá Aristotele, Metafísica, 1025 a 2-13).
10 372 E 6-7: a i ouv yjxptaai xa£ [ir] cp0ovY]ar]ç táaaaôat rr]v ({¡ux'nv [ioü.
142 «IP P IA MINORE»

maggior valo re» (Ttfiufoepa) che caratterizzano il filosofo corne


tale.
Prim a che Socrate — naturalmente lui, e non Ippia — ci dia,
nella sezione conclusiva, almeno un accenno al «so cco rso » (ßo-
7 ¡0 £ioc), ci comunica quasi direttamente in una replica spiritosa,
che è lui il «sapien te» (aocpó;) che guida il dialogo a piacimento.
Infatti, quando Ippia si lamenta che Socrate crei sempre confu­
sione nel dialogo, egli può sfruttare la tesi di Ippia per difender-
si: « M io carissimo Ippia, non lo faccio comunque volontaria-
mente — altrimenti sarei, secondo la tua opinione, saggio e po­
tente — bensi involontariamente; dunque, scusami» (373 B 6-8).
In questo m odo, si dà risposta anche alla domanda su chi ingan-
ni e chi sia ingannato: solo se crediamo a Socrate circa l’ invo-
lontarietà del risultato ottenuto con tenacia, lo possiamo assol-
vere dalPaccusa di comportarsi con il suo avversario in modo
astuto e superiore come l ’omerico Ulisse. In realtà Socrate, nel-
Fintero dialogo, illustra l ’ afferm azione secondo la quale solo
chi sa il giusto può dire con certezza il falso 11. Da cui non deri­
va, però, che egli è ingiusto con Ippia, e per di più volontaria-
mente: anzi, è Ippia quello che avrebbe bisogno délia salvezza
délia sua anima, il che viene anche indicato in m odo delicato dal
sapiente Socrate: «poiché neppure tu ne sarai danneggiato» (oí-
Bè oOS’ aùxôv ae ßXaßr)a£a0oci, 373 A 5): il fatto, poi, che Ip ­
pia non possa essere aiutato, non dipende da Socrate.
(3) Come, nella prima parte principale, Ippia non ha potuto di-
fendere la sua giusta convinzione délia diversità del « v e r o »
(àXr)0rjç) e del «fa ls o » (4>eu8^ç), cosi, nella seconda, non può
confutare la tesi sbagliata, non può guariré l’ anima malata di
Socrate. Il «so cco rso » del vero logos non compare. L ’ attacco di
malattia di Socrate dura finché egli, per via induttiva, ha dimo-
strato che la nostra anima è «m ig lio re » quando fa volontaria-
mente del male, che non quando lo fa involontariamente (375 D
1-2). Ippia non ammette il risultato assurdo, anche se vi sarebbe
costretto dalfapprovazione dei precedenti risultati p arziali]2.

11 Guthrie, A History IV , p. 198 trascura questo passo (e la limitazione del ri­


sultato alPattimo «presente», di cui si dirä sotto, pp. 143 s.), quando egli assicura
ehe Platone non nasconde nulla; al contrario, egli stesso e ancora alle prese con il
paradosso che gli e giunto in ereditä da Aristo tele. Questa interpretazione per de,
naturalmente, anche I’ironia in 7rXavd>|xaL, 372 D 8.
12 A proposito dell’errore logico dell’argomentazione, ehe si ripete qui in m odo
identico, cfr. sopra, nota 9.
CHI ING ANNA E CHI È INGANNATO? 143

A questo punto, Socrate riparte per un nuovo giro che, apparen-


temente, porta solo ad una conferma ulteriore dei risultato in-
soddisfacente (376 B 2-6), ma che, in realtà, contiene gli spunti
per un suo superamento. «Rispondim i nuovamente: la giustizia
non è, dunque, o una capacità (Súvafxiç) o una scienza ( ítu -
arrjjjLri) o ambedue le cose insiem e?» (375 D 7-9). In questo m o­
do, è implicitamente posta la domanda: che cosa è la giustizia?
Se questa domanda trovasse una forftiulazione ed una risposta
in maniera esplicita, si dimostrerebbe che la giustizia è sapere, e
che, quindi, nessuno può commettere un’ ingiustizia volontaria-
mente, cioè col sapere. Solo restringendo impercettibilmente il
risultato, Socrate accenna al fatto che la soluzione vada cercata
qui: il buono è «colu i che erra volontariamente e che agisce in
m odo esecrabile e ingiusto, posto che un siffatto uomo esista»
(376 B 5-6).
Poiché 1’ attacco delia malattia di Socrate perdura, il risultato
sbagliato per « o r a » rimane. L a limitazione dei risultato al m o­
mento attuale (vüv èv tw rcapóvu, 372 E 5; vüv ye, 376 C 1), sot-
tolineata due volte da Socrate, non va liquidata come inutile fra­
se retorica senza una sua funzione precisa. Essa ha senso, solo se
indica la sua capacità di fare «u n ’ altra v o lta » quello che Ippia
non è in grado di fare, ossia questo: venire in soccorso delia ve-
rità con argomenti piü importanti. Se tale riferimento a ció che
ancora manca è un tratto essenziale delia comunicazione filosó­
fica delia conoscenza, dobbiamo, allora, aspettarci di trovare la
corrispondente mancanza rilevata nei non-filosofi. E infatti,
quando Socrate invita Ippia a confutare 1’ afferm azione circa l’ i-
dentità dei « v e r o » (àXrj0r)ç) e dei «fa ls o » (<J>eu8r)ç) basandosi su
un qualunque campo dei sapere, Ippia dice di non poterlo fare
« o r a » (369 A 3). A l che Socrate risponde rivelando a Ippia im-
mediatamente che non potrà farlo neanche in futuro. II contra­
sto è significativo e va senza dubbio visto sullo sfondo dei Fe-
dro. L ’ afferm azione limitativa nell’ « o r a » (vüv) fatta da un non-
filo so fo è senza significato: infatti egli non possiede nulla oltre a
quello che ha proposto. L a limitazione deli’ « o r a » (vüv) fatta dal
filo so fo — spesso sostituita, in altri dialoghi, da un positivo ri­
mando ad «altra v o lta » (slç auGtç) — ha un preciso significato:
essa rimanda alie «cose di maggior valo re» (xt^ttoiepa) che an­
cora mancano nella discussione in atto. Chi tratta alio stesso
m odo l’ « o r a » (vüv) di Ippia e quello di Socrate, o, piü in genera-
144 «IP P IA M INORE»

le, chi ignora i passi dei dialoghi che esprimono questa limitazio-
ne, li minimizza e interpreta iñ maniera fuorviante, abbassa an-
che Timmagine di Socrate al livello di quelía del non-filosofo.

3. C on fron to critico delle interpretazioni alternative

Per concludere, diamo un breve sguardo anche ad altre interpre­


tazioni del dialogo. N e ll’ ottica storico-biografica di W ilam owitz
il ritratto negativo di Ippia si spiega con l’ awersione personale
di Platone, la presentazione irriverente di Socrate come fautore
di una tesi immorale rimanderebbe ad una stesura precedente ri-
salente all’ época in cui Socrate era ancora in vita. II tutto sareb-
be una satira in cui non si deve cercare un contenuto positivo 13.
B.J.H . Ovink credeva che Platone non avesse potuto sottrarsi
alia forza dei suoi propri sofism i14. Egli ha quindi preso alia let-
tera la assicurazione irónica di Socrate, secondo cui egli non in-
gannava senz’ altro volontariamente il povero Ippia, e Pha perfi-
no trasferita su Platone stesso. Oggi quasi nessuno discuterebbe
il fatto che Platone, qui e altrove, utilizzi sofismi essendo plena­
mente cosciente della loro scorrettezza.
Secondo R .K . Sprague, lo scopo che Platone persegue con la
«m anovra indiretta» ne\VIppia sarebbe quello di costringere il
lettore a riflettere sui concetti etici fondamentali di «b u o n o » e
«v o lo n ta rio ». Sprague deve pero ammettere che il carattere co-
struttivo delPargomento viene offuscato dal fatto che Ippia non
coglie le necessarie distinzioni15.
Símilmente, W .K .C . Guthrie spiega che Platone voleva difende-
re la posizione etica di Socrate — la virtü é il sapere, non esiste
l ’ azione ingiusta volontaria — portando ad absurdum Tassunto
contrario; come analogon gli serve il soccorso di Zenone al suo
maestro Parmenide, descritto nel Parmenide (128 C - D )16. In-
tanto, é difficile rendersi conto del perché proprio Socrate deb-
ba sostenere la tesi sbagliata in questa reductio ad absurdum

13 Ü . von W ilam ow itz-M öllendorff, P la to n , I: Leben und Werke, II: Beilagen


und T extkritik , Berlin 1919, qui: I, pp. 100-104.
14 B.J.H. Ovink, Philosophische Erklärung der platonischen D ialoge M en o und
H ip p ia s M in o r, Amsterdam-Paris 1930, pp. 176 s.
15 R .K . Sprague, P la to ’s Use o f Fallacy. A Study o f the Euthydemus and some
other Dialogues, London 1962, pp. 77-79.
16 Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 195-199, in particolare p. 198.
CHI ING ANNA E CHI ÈING AN NATO ? 145

(Zenone non ha certo fatto entrare Parmenide a difendere la


pluralità degli esseri). Inoltre, la posizione da confutare non è
distinta in m odo conseguente da quella da sostenere, come avve-
niva invece nello scritto di Zenone; è piuttosto la convinzione
socratica che qualsiasi «v ir tù » (àpexri) si basa sul sapere che è
data per scontata in egual misura ovunque. M a, soprattutto,
una confutazione operata ricorrendo alia reductio ad absurdum
deve essere convincente dal punto di vista logico; Platone lascia
invece capire chiaramente che le conseguenze assurde non se-
guono effettivamente 17.
Per W . Boder 18 il dialogo istruisce per mezzo delPironia: l ’ entu-
siasmo di Ippia per le capacité dell’ ingannatore e menzognero
(365 D -E), descritto in m odo esagerato, deve indicare che il pre-
supposto di fondo è sbagüato. Tuttavia, in base alia costatazio-
ne dello stesso Boder, Pironia, se deve agiré, deve essere traspa
rente. Invece risulta certamente dubbio che i lettori greci potes-
sero davvero intendere come esagerata la descrizione dello scal-
tro (ítoXúxpoTcoç) come persona capace e oltremodo intelligente.
Boder sembra essersi dimenticato che PUlisse serve come arche-
tipo dello scaltro (7roXtkp07toç, da 364 C ) 19. E, anche ammesso
che P effetto ironico di questo passo fosse cosi chiaro come dice
Boder, sarebbe troppo complicato risalire dal sospetto delPen­
tusiasmo per il mentitore alia conoscenza socratica délia v irtù 20.

]1 Se Ippia sottolinea, nella serie di esempi induttivi, 373 D ss., che il risultato vale
sempre solo per I’esempio appena trattato (374 D 7; 375 B 4), é chiaro che il trasfe-
rimento al comportamento etico é discutibile.
18 W . Boder, D ie sokratische Iron ie in den platonischen Frühdialogen, Amster-
dam 1973, pp. 86-94.
19 C fr. W ilam owitz, P la tón , I, p. 102: «quaicosa di simile (sal. come “ astuto” ),
comunque ad onore dell’ eroe il poeta ha effettivamente pensato con il neologismo
“ polytropos” » .
20 Dal (supposto) entusiasmo di Ippia per una capacitá di compiere ingiustizie «si
pud dedurre vía negationis la rappresentazione di una capacitá che si decide per il
compiere giustizia — e solamente per questo» (Boder, D ie sokratische I r o n ie ..., p.
89). M a se l ’ ironia colpisce l ’ atteggiamento, e non Pafferm azione, di Ippia, allora
la negazione dovrebbe suonare: «n on dovrem m o entusiasmarci, bensi rattristarci
del fatto che chi inganna ha tanto potere — ad esempio, che I’ invidioso persuasore
del popolo abbia potuto costringere a cacciare il giusto A ristid e». Pariendo da una
tale preoccupazione, il pensiero greco non arriverebbe mai a sostenere che Aristide
non avrebbe potuto utilizzare le sue indiscusse capacitá anche per compiere ingiu­
stizie, perché questo significherebbe sminuirne la giustizia. Boder é a tal punto pri-
gioniero degli schemi di pensiero platonici, da trattare come se non esistesse la con­
sueta figura di Eracle al bivio, e, invece, a trattare come si trattasse della cosa piú
ovvia del m ondo il paradosso socrático della conoscenza della virtü. M a esso
146 «IP P IA MINORE»

L ’errore non sembra affatto stare neirammirazione per Pingan-


natore; infatti, anche Socrate «in gan n a» Ippia, come abbiamo
visto, e dobbiamo pur ammirarlo per l’ abilitä che egli mostra
nel farlo. Quello che importa, é che l ’ingannatore sa che cosa sia
la giustizia, e questo non nel senso di una definizione formale,
bensi nel senso deH’ importanza del contenuto per la convivenza
umana. Cosi, filosofi che esercitano il potere, che hanno rag-
giunto la conoscenza del Bene e della giustizia, possono ingan-
nare gli appartenenti alla classe dei guardiani militari nella que-
stione della scelta del partner (Repubblica, 459 C-D; cfr. 382 C;
389 B; 414 B); ed essi lo fanno perché solo cosi puö essere man-
tenuta la «giu stizia» (Sixaioaúvr]) dello Stato. Quando le loro ca­
pacita di attuare Pinganno vengono meno, ha inizio il ciclo del
deterioramento delle costituzioni (546 A - 547 A ).
M olto piü chiaroveggente di quelle esaminate é l ’interpretazione
che spiega VIppia m inore a partiré dagli argomenti di dialoghi
successivi. Qui « é giá presente come un enigm a» quello che sará
poi esposto nel Gorgia (466 D.s.) e nel M enone (78 B), e cioé che
nessuno compie volontariamente un’ ingiustizia e che P agiré ar­
bitrariamente non é forza ma debolezza21. La protesta di Boder
all’idea che la soluzione si debba trovare nei «dialogh i che allora
non erano ancora stati s critti»22, tradisce solo la sua mancanza
di autocrítica: anche la sua stessa interpretazione é possibile solo
perché egli sa, traendolo dalle opere successive, che cosa Plato-
ne voglia. II mezzo interpretativo d e ir«iro n ia » non é in grado di
eliminare il fatto che il dialogo platonico ha la sua spiegazione
ultima al di f u o r i di se stesso.
Da questo punto di partenza va fatta una riserva anche per il ter­
mine «en igm a » usato da Friedländer: Penigma deve essere risol-
vibile soltanto partendo dal testo cifrato. Invece, l ’idea che par­
iendo dal solo Ippia m inore si possano determinare le proposi-
zioni positive delPetica platónica non é che un’ illusione, alla
quale soccombiamo tanto piú fácilmente in quanto quelle pro-
posizioni ci sono da sempre piü note che il gioco confutativo ad
esse connesso. Per quanto esistano passi che, retrospettivamen-

era, e resta, un paradosso a cui solo uno puö giungere: chi non l ’ha imparato da
qualche parte con una comunicazione diretta non e soccorso da nessuna «iro n ia ».
21 Friedländer, P la to n , II, p. 128.
22 Boder, D ie sokratische Iron ie ..., p. 89. Analogamente, a proposito della nega-
zione di un’ intenzionale limitazione sostenuta da Guthrie, cfr. sopra, nota 11.
CHI ING ANNA E CHI È 1NGANNATO? 147

te, valutiamo essere «allu sion i» alia soluzione, tuttavia ci sono


altre cose che risultano essenziali per la soluzione deli’ «en igm a»
deli'Ip p ia m inore, mai indicate con un accenno, cosi come la ve-
rità, costantemente ignorata nella parte conclusiva, che l’ anima
non è uno strumento delPuomo utilizzabile a piacere, bensi è
l ’uomo stesso23.
Se si prendono le argomentazioni del Fedro come chiave inter­
pretativa, si dimostra anche la relativa giustificazione delle in-
terpretazioni citate. h ’Ippia m inore è senz’ altro una satira gio-
cosa, come ha visto W ilam owitz, solo che è stato m olto scorret-
to ritenere che soltanto la persona presa in giro, e non il suo ri­
vale, avesse importanza in questa satira24. Socrate sta chiara-
mente nel mezzo. È certo una spiegazione troppo ingenua rite­
nere che egli tenga in serbo per gli estranei l ’ «istruzione» iróni­
ca; l ’ironia ha principalmente la funzione di distaccarlo da Ip-
pia. Le allusioni sparse in questo « g io c o » (tcociSkx) sono di aiuto
solo per chi già conosce le posizioni platoniche (non ultima, fra
queste, anche la sua concezione del corretto procedimento della
comunicazione filosofica); tali allusioni rimandano ad un sapere
più importante nel contenuto che non va sviluppato certamente
« o r a » nel momento presente (vûv ev too rcocpôvTi), ossia, nel col-
loquio con 1’ incompetente Ippia. Socrate è l’ uomo che possiede
le conoscenze decisive di sfondo, è il « filo s o fo » (cpiXóaocpoç) nel
senso della critica del testo scritto contenuta nel Fedro. AlPinge-
nuo Ippia può sembrare che si resti alP«attacco della m alattia»,
alla ígnoranza e alla malattia delP anima, e che Púnica forza di
Socrate sia il suo m odo di porre domande. In realtà, egli con le
sue domande può generare confusione con tale abilitá, solo per­
ché la sua anima è già guarita da tempo, perché, come dialetti-
co, egli è già pervenuto da tempo alia méta del viaggio ( Ippia
m inore, 376 C 6; Repubblica, 532 E 3).
L a discutibile proposizione etica, secondo la quale il veritiero è

23 Le limitazioni di cui si è detto sopra, nota 17, non lo contraddicono; infatti,


dalla costatazione che l ’ anima che è volontariamente «m ancante» ha la preminenza
solo nell’ arte del tiro con l ’ arco (375 B 4) non si giunge ancora, senza informazioni
ulteriori, alla costatazione del Fedone, 94 C E, che l ’anima nell’ uomo è ciò che co­
manda (e non ciò che è controllato come fosse uno strumento).
24 W ilam owitz, P la ton , I, p. 95 (analogamente p. 104): «Socrate è ovunque neces­
sário come antagonista, ma lo Ion e e Ippia non sono stati scritti per lui, bensi per i
personaggi da cui prendono il tito lo ».
148 «IP F IA M INORE»

al tempo stesso il m iglior menzognero, va, añora, intesa come


enunciazione del dialogo stesso: solo come sapiente Socrate pud
trasformare «co n inganno» il sapere ambiguo di Ippia in una
aperta anti-etica. L a differenza fra il sapere piü profondo tenu-
to in serbo dal filo so fo e quello inferiore che in ogni caso via via
egli espone fino in fon do nelle varié situazioni, risulta costituti-
vo, dunque, giá per il dialogo giovanile, che W ilam owitz aveva
fatto risalire addirittura ad un periodo precedente la morte di
Socrate.
VIL «íppia maggiore»
Socrate e il suo sosia

1. M o tiv i tipici

Come nc\VEutidem o e ndV Ippia m inore, anche nel dialogo piü


lungo che prende sempre il nome da Ippia, l ’ avversario viene
schernito come colui che « g io c a » con Socrate e lo inganna deli-
beratamente (come se egli avesse deH’ altro, ossia cose piü serie,
a portata di mano). Come nella Repubblica, anche in questo
dialogo é tracciata 1’immagine di un dialettico che, nella sua ri-
cerca di un sapere sicuro, ha trovato la causa di tutto nelle Idee e
nel Bene, e che resta vincitore in tutti gli elenchoi, in tutte le pro­
ve in cui viene a trovarsi. Come nelle Leggi, anche in questo dia­
logo un esempio concreto evidenzia il fatto che é necessario, per
difendere un logos, superarne gli strumenti concettuali ori­
ginan.
L a convergenza di questi tre m otivi con la tematica della parte
conclusiva del Pedro non é certo casuale, anzi viene confermata
dal quarto dei m otivi determinanti áelVIppia m aggiore: qui il
sofista in quanto autore di uno scritto é, ancora piü chiaramente
che nell’Ippia m in o re x, in un elenchos: «su queste cose (scil.:
sulle belle attivitá dei giovani) ho composto un discorso bellissi-
m o » (ecm yáp ¡jloi rcepi auxwv [scil. ¿tutt]&£U}juxt:<x>v xaXcov] izay-
xáXto; Xóyoi; au'fx&fyjLE.vos, 286 A 5). Egli deve ora «rispondere ad
una piccola dom anda» di Socrate su questo scritto (Ppaxú fjiot
7us.pl auxou aTróxptvai, 286 C 4).

2. Id u e aspetti della figu ra di Socrate

Oltre a questo, P Ippia maggiore presenta una particolaritá de-


gna di nota: nello svolgimento della tipica situazione-soccorso
(porjOsta) Platone si serve qui di un terzo immaginario personag-

1 C fr. sopra, pp. 137 s. e nota 4.


150 «IP P IA MAGGIORE»

gio, che é fácilmente riconoscibile come una doppia figura di


Socrate. II significato di questo singolare elemento drammatur-
gico per la problemática che qui si persegue é il seguente.
Puó essere avvertito come irritante il fatto che la figura di So­
crate, se interpretata nella presente prova in modo conseguente
come immagine del « filo s o f o » (cpiXóaocpo<;) nel senso della critica
dello scritto (con tutte le implicazioni per il, método della comu-
nicazione filosófica del sapere), compaia con uno strano rad-
doppiamento: egli é, come dimostra il testo di volta in volta con-
siderato, in primo luogo colui che non sa, dunque in un certo
senso ancora il Socrate «s to ric o » che si avventura coraggioso fi­
no aH’ aporia, ed al tempo stesso, come provano i testi paralleli e
certe allusioni nel testo, deve essere «colu i che conosce il v e ro »
(eiSoiC xó áXr)0£¿), Puom o che possiede un fondato sapere di
sfondo. N on sarebbe piü facile restituiré a Socrate la sua unitá e
supporre che Paporia nasca davvero «involontariam ente» dalla
schiettezza radicale delPinterrogare nel «d ia logo v iv o », e non
che venga inscenata con abilitá da qualcuno che sa e si mantiene
sullo sfondo?
Contrariamente a questa riflessione, VIppia maggiore mostra,
invece, come Socrate si divida in due davanti ai nostri occhi: da
un lato nell’interrogante che erra continuamente e che sa solo di
non sapere n u lla2, e dall’ altro nel dialettico compiuto che com­
pare, si, anche come interrogatore, ma che non sviluppa, per co­
sí dire, da zero gli strumenti di pensiero piü avanzati della dot-
trina delle Idee, ma li porta con sé giá pronti e, cosi facendo,
sposta ad un livello piü alto, con tenacia, la discussione. Certa-
mente la strana scissione della personalitá di Socrate viene supe-
rata nelPironia. M a Pironia da sola non porta ancora a questo
tipo di gioco di nascondersi, non spiega ancora perché Socrate
non rappresenta, lui stesso, ció con cui egli porta avanti il dialo­
go. L ’ unitá dietro alia scissione in due personaggi e la giustifica-
zione concreta del procedimento apparentemente subdolo di So­
crate va cercata nel concetto di dialettico, il quale — come viene
esposto nel Fedro — non solo controlla con sicurezza gli stru­
menti di pensiero e i risultati con cui opera, ma controlla anche
le circostanze del dialogo e, cosi facendo, P «a n im a » di chi gli

2 Cfr. 304 C: 7tXav<5f¿oc'. xod adopto áeí. C fr. inoltre 298 E 1 il sapere di non sapere.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 151

sta di fronte. Non è, dunque, come invece dovrebbe essere se-


condo il postulato filosofico esistenziale, per cui il dialettico è
sempre impegnato nel suo dialogo «senza alcuna riserva». Qua-
lora la situazione lo esiga, egli non si lascia riconoscere nel suo
prop rium . Dipende da lui sotto quale nome voglia diffondere il
suo superiore sapere. M a, cosi, egli può anche determinare in
che misura farlo: l ’ interlocutore di Socrate, immaginario, non si
lascia, in quanto assente, interrogare o costringere a dar rispo-
ste, e, da parte sua, Socrate può «ricordarsi» delle sue domande
finché gli sembra bene farlo. Platone rende il lettore partecipe di
questo scherzo trasparente. E il lettore del Fedro sa, inoltre, che
ha dinanzi a sé solo una concretizzazione in form a letteraria del­
la liberta di decisione che il dialettico manterrà sempre nella at-
tuazione della comunicazione filosófica, e soprattutto quando si
serve dello scritto.

3. L a struttura del dialogo e le sue situazioni-soccorso

L ’ impianto deli’Ippia maggiore è del tutto analogo a quello del-


Ylppia m inore, si ha quasi l’ impressione che Platone abbia volu-
to sviluppare una seconda volta lo stesso schizzo drammaturgi-
co, cambiando il contenuto e chiarendo meglio i singoli tratti
delPimmagine del dialettico3.

3 Questa potrebbe forse essere una spiegazione dell’ impiego, fatto per ben due
volte, di uno stesso personaggio che dà il nome al dialogo. Non si puô comunque
concludere, data l ’esistenza di due dialoghi che portano il nome di Ippia, che dei
due (o, in caso di dubbio, il maggiore) non sia autentico. Anche la citazione di A ri-
stotele È.v itù 'Imuioc, M etafisica, 1025 a 6, riferita slY Ippia minore, non prova che
egli non conoscesse Y Ippia maggiore (cfr. M. Soreth, D e r platonische D ialog H ip -
pias maior, München 1953, p. 2). Va piuttosto considerato corne riferimento &[YIp­
pia maggiore, 298 A , il passo di Topici, 146 a 2Î-22 (D . Ross, P la to's Theory o f
Ideas, O xford 1951, pp. 3 s.). - Gli argomenti di contenuto a sfavore della non au-
tenticità sono forse ancora meno convincenti. G .M .A . Grube {On the Authenticity
o f the Hippias M a jo r, «Ciassical Quarterly», 20 [1926], pp. 134-148; On the L o g ic
and Language o f the Hippias M a jo r, «Classical P h ilo log y», 24 [1929], pp. 369-375)
e M . Soreth (cfr. sopra) offro n o difese convincenti del dialogo; cfr. anche Guthrie,
A H istory ..., IV , pp. 175 s. J. Moreau, L e Platonisme de l ’Hippias M ajeur, « R e ­
vue des Études Grecques», 54 (1941), pp. 19-42, adduce valide prove a favore della
platonicità del contenuto; quest’ultimo viene, tuttavia, rifiutato a causa delle d iffi-
coltà della collocazione cronologica: infatti, il «d ialogo giovanile» aporetico-elen-
chico, dal punto di vista del contenuto si pone al livello dei lavori della fase media e
tarda, cosa impossibile per Platone. (O ggi non è quasi più messo in dubbio che ar­
gomenti di questo tipo screditano piuttosto il punto di vista storico-evolutivo che
non la autenticità di un dialogo).
152 «IP P IA M AGGIORE»

L ’introduzione, questa volta di gran lunga più ampia (281 A -


286 C ), presenta di nuovo il carattere vanitoso di Ippia e la sua
vana pretesa di «sapienza». Il passaggio alla prima parte princi­
pale (286 C - 293 C) si attua con la menzione di un logos di Ippia
sulle «b elle attività» (xaXà èreLTriSeú¡jlocxoc): egli deve giustificare
le sue argomentazioni, dimostrando di sapere che cosa sia in ge-
nerale il « b e llo » (xaXóv). La domanda gli viene spiegata in ma­
niera esauriente: Socrate non vuole sapere quali cose siano belle,
bensi che cosa renda belle le cose belle, che cosa sia il bello in sé
(287 C-E). Nonostante questa traccia, le risposte di Ippia sono
di un tipo tale da destare Tirritazione di Socrate, che per questo
colpirebbe Ippia col bastone (292 A 6 -7)4. II bello, dice Ippia
come prima risposta, è una bella fanciulla (287 E); poi dice che è
l ’ oro (289 E ); e, infine, come terza risposta, inconfutabile, egli
propone questo: la cosa più bella è essere condotto alla tomba in
m odo solenne dai propri figli, in etá avanzata, dopo una vita
vissuta nella ricchezza e godendo di buona salute e dopo aver
dato sepoltura ai propri genitori (291 D-E).
Dalla stoltezza di queste risposte, Socrate passa, nella seconda
parte (293 D - 304 E ), alie proposte di definizioni del suo sosia
ed alie sue proprie, che vale la pena discutere: il bello è il conve­
niente (293 E ), l ’ utile (295 C ), il vantaggioso (296 E), ció che è
gradevole all’ udito e alia vista (298 A ). L ’ astrattezza delle rispo­
ste mostra, retrospettivamente, la funzione della prima parte:
essa vuole preparare a pensare definizioni come via alla cono-
scenza delle Idee mediante la caricatura di risposte non astratte e
inadeguate. È vero che anche le risposte concettuali di Socrate
falliscono lo scopo e che il dialogo si conclude in m odo aporéti­
co, con una nuova opposizione di finalité e di statura spirituale
dei contraenti. Tuttavia, prima di questa conclusione, in un ex-
cursus (300 B - 302 B), anche il livello di astrattezza delle rispo­
ste socratiche era stato superato in direzione di catégorie su-
periori.
Nelle due parti principali del dialogo sono percio riconoscibili
tre gradi di concettualizzazione. II passaggio dal grado di Ippia
a quello delle determinazioni concettuali di Socrate si compie

4 Grazie all’ introduzione dell’ anonimo interrogante, Socrate puó non essere cosí
scortese e dire: egli stesso riceverebbe le bastonate, se esponesse al sosia le risposte
di Ippia.
SOCRATE E 1L SUO SOSIA 153

pero tramite una specie di aiuto; non si tratta, tuttavia, delPahi­


to di un logos preso di mira. Piuttosto, il sosia di Socrate si «im -
pietosisce» per l ’ «inesperienza e ignoranza» di Socrate «p rop o-
nendogli», positivamente, delle soluzioni da mettere alia pro va
(293 D 1-4). É un innalzamento del livello che non consegue ne-
cessariamente elenchos nel dibattito, ma che é introdotto per
libera iniziativa nel dialogo dialettico da colui «ch e conosce il
v e ro » (£t8w<; xó áXr]0£í). N on é perció per niente casuale il fatto
che questo passaggio non si compia nel corso del dialogo con Ip-
pia stesso almeno secondo la finzione drammaturgica — a lui,
anzi, ne vien fatto un resoconto ed egli vi prende parte solo in
m odo secondario — bensi originariamente solo nel dialogo fra
1’ anonimo interrogatore e Socrate quale interlocutore adatto.
Invece, nei due altri passi che fanno da giuntura al dialogo, l’ ini-
zio della discussione sul bello e il passaggio dal grado «socráti­
c o » a quello «d ia lettico», vengono sviluppati con totale chiarez-
za gli elementi che sono tipici della situazione di prova nel senso
d e lib r o .
Contro l ’ interpretazione della situazione iniziale come caso rile-
vante di «portare soccorso al discorso» (por]0&Tv -uóú lóyco) po-
trebbe essere obiettato che Ippia non ha giá tenuto la sua rela-
zione. E allora, come si puó giudicarlo secondo il suo scritto,
come puó egli stesso «d ife n d e re» quello che non é preso di mira
direttamente, e dimostrare, cosi, che é degno del nome di « f i l o ­
s o fo » (cptXóao<po<;)? L yelenchos non si occuperá di cose diverse
dallo scritto, di cui dovrebbe occuparsi, e con questo non perde­
rá significato?
Una prima risposta a questa obiezione potrebbe essere che Pla-
tone descrive con precisione lo scritto cui allude (286 A -B ). Per
il lettore del IV secolo il D ia lo g o troiano di Ip p ia 5 doveva essere
ancora disponibile e perció P elenchos di Socrate non faceva un
buco nelPacqua; forse il dialogo contiene anche alcune allusioni
che oggi non comprendiamo piü.
M a questa risposta non sarebbe soddisfacente da un punto di v i­
sta m etodologico, perché abbandona la situazione immaginaria
del dialogo, e argomenta, per cosi dire, «d a l di fu o ri». Per fo r­
tuna, la storicitá del T roik os, e di Ippia stesso, é del tutto irrile-
vante per il nostro ragionamento. L ’interpretazione, stretta-

5 Cfr. sopra, p. 137, nota 4.


154 «IP P IA M AGGIORE»

mente interna al dramma, degli accenni dati da Platone, porta


ad un rifiuto delFobiezione di cui sopra di gran lunga piü con­
vincente. Spezzando in due il suo ruolo con Fintroduzione del-
Fanonimo interrogante, Socrate produce la tipica situazione di
prova: egli stesso di recente aveva parlato, cosi sostiene Socrate,
delle cose brutte e di quelle belle, e qualcuno Paveva messo in
difficoltà con la domanda: «co m e fai, o Socrate, a sapere che
cosa è bello e che cosa è brutto?». Cosi lo stesso Socrate, símil­
mente a quello che avviene nelPIppia m inore, si sposta nel ruolo
di colui che è messo a prova II che non significa,
pero, che Ippia viene rilasciato dalla prova, anzi egli viene mes-
so alia prova doppiamente, in corrispondenza al raddoppiamen-
to di Socrate.
Socrate vuole, una volta, prendendo il posto (287 B 5) di quel-
Paltro che lo aveva confuso, porre alcune domande; e a tale sco-
po Ippia deve immaginarsi di aver appena tenuto la relazione
suddetta (287 B 6) sulle «b elle attività»; dopo la conclusione
(287 B 7) della relazione, lo sconosciuto non avrebbe fatto do-
mande se non sul bello, perché appunto tale è la sua abitudine
(287 B 8). Comprendiamo ora perché Socrate sin dalPinizio,
non appena ha sentito il tema della relazione, abbia potuto dire
che Ippia avrebbe dovuto rispondere ad «una piccola domanda
in p ro p o s ito »6. Infatti è sua abitudine esaminare i fondamenti
filosofici di una opinione. Ippia non si deve affatto giustificare
per i suoi consigli alia gioventü spartana; infatti Socrate non ha
nulla contro la letteratura morale edificante7.
Tuttavia la domanda «sul bello m edesimo» è una domanda sulla
sua conferenza: i fondamenti sono parte di un logos, anche se
non vengono esposti. N on si deve temere che il logos che mette
alia prova e quello che viene messo alia prova cadano a pezzi:
Ippia deve dire «sulla stessa cosa», cioé sul bello presente in
ogni attività bella, «cose diverse e di maggior v a lo r e » 8. E questo
m odo di interrogare è certo «ab itu ale» per la doppia figura di
Socrate: proprio Pessenza del «so cco rso » (¡3or|0£La) platonico

6 L ’ espressione ire.pt auxou, 286 C 4, si riferisce a Xoyo<; di A 5, 8 e B 4 (toutov).


7 Platone non rimprovera mai ad Ippia di avere una morale corrotta, come, ad
esempio, aveva gia notato G. Grote (A H istory o f Greece, V I 7, 1888, pp. 63 s.). Le
UTuoSrjxai morali (cfr. 286 B 3) nel D ia logo troiano di Ippia avevano evidentemente
la sua approvazione.
8 Formulazione secondo Fedro, 234 E 3; 235 B 4-5.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 155

consiste nel portare in primo piano le «cose di maggior valore»


(xijjitá)Te.pa).
In secondo luogo, Socrate, che si é raddoppiato, vuole trascina-
re nelVelenchos Ippia con un’ ulteriore funzione, precisamente
con quella del soccorritore superiore, da cui egli vuole appren-
dere. D opo la sua presunta sconfitta nel dialogo con l’ anonimo
interrogante egli si é riproposto di imparare bene da un sapiente
come stia esattamente la cosa per poi tornare da quello e «ri-
prendere ii discorso» (286 D 7). Chi non dovesse aver ricono-
sciuto in questa espressione ávoc[juxxoú|jL£vo<; xóv Xóyov la varia-
zione libera di |3ot]0£lv -uto Xóyw, avrebbe comunque la possibili-
tá di ricordarsi alia lettera, in un passo successivo, che Platone
tratta anche qui, ancora una volta, di una nuova elaborazione
deil’unico grande tema: dopo la terza risposta a sproposito data
da Ippia alia domanda sul bello, Socrate esprime la sua ammira
zione per il benevolo aiuto (cm fxoi boxtXc; e u v o ... poriGstv,
291 E 5).
L ’ altro caso di «so cco rso » (p o r c ia ) riguarda lo stesso Socrate.
Ippia dubita dell’ afferm azione di Socrate secondo cui un predi-
cato potrebbe addirsi a due cose insieme, senza che si addica ad
ognuna singolarmente. L a situazione di attacco e di difesa supe­
riore viene qui svolta in maniera cosi ampia (300 B - 301 D ) che
non sentiamo affatto la mancanza di un accenno testuale alia
presenza della situazione di prova di fronte a cui ci troviamo nel
senso stabilito á a lF ed ro. A l tempo stesso, il dialogo in questo
punto si estende a domande piü generali sullo scopo della cono-
scenza che, come vedremo, sono chiaramente legate ai concetto
di dialettica del Fedro. L a soluzione di una domanda limitata
che viene qui posta permette Vexcursus mediante uno sconfina-
mento in ambiti che non erano stati tematizzati nelle discussioni
precedenti9.

4. L ’immagine del dialettico

Vedendo insieme i due casi di «so cco rso » (porreta) delPIppia


maggiore (come essi sono anche oggettivamente legati) e riassu-
mendo temáticamente le allusioni sparse nel testo alie capacita
di Ippia e all’incapacita di Socrate, otteniamo un’ immagine

9 C fr. sotto, pp. 164 ss. e n o ta 28.


156 «1PPIA M AGGIORE»

compiuta dei dialettico, dei suo m odo di procedere e dei suo sco-
po. Accanto al Fedro, che resta, come sempre, importante per
Tindividuazione dei punti di vista decisivi, si profila, innanzitut-
to, la RepubbUca come lo sfondo che unisce e chiarisce ciò che
nel suo isolamento risulta poco appariscente o addirittura in-
comprensibile.
(1) II dialettico è colui che neWelenchos resta sempre vincitore.
Se si sente questa pretesa dalla bocca di Ip p ia 10, si è inclini a
non consideraria che una smargiassata sofistica, cui non corri-
sponde nulla dalla parte dei filosofo. Invece uno sguardo ai pri­
mi dialoghi mostra che Socrate, di fatto, soddisfa la pretesa di
imbattibilità nel dialogo n . M a soprattutto la RepubbUca con la
sua definizione dei dialettico accoglie, anche teor eticamente, l’ i-
stanza già realizzata «in im m agine» nei drammi dei dialoghi: chi
non è in grado di definire, astraendola da tutto il resto, 1’ Idea
dei Bene, e «com e in battaglia passando attraverso tutte le prove
... non affronti tutte queste cose con un ragionamento che non
cro lla» (ÓSaTCEp iv [Jtáxxi Stà tkxvtcov i X í ^ x ^ BteÇiáv ..., èv Trãat
xotkoiç àraxcoTi t<í> Xóya) Siarcopeúirvtai), di costui non si potrà di-
re che conosca il Bene (534 B 8 - C 5) n . Poiché Platone ritiene
possibile la conoscenza dei Bene (511 B; 518 C; 519 D; 526 E 4 e

10 L'afferm azion e di essere sempre stato il vincitore nelVelenchos si trova, in que­


sta form a cosi generale, solo nelYIppia m inore (364 A 8-9), ma la si ricava, anche
n tW Ip p ia maggiore, dalla fiducia che Ippia ripone nel suo insegnamento che poträ
rendere Socrate inconfutabile (287 B 2) e dall’ assicurazione, ripetuta ad ogni rispo-
sta, che essa non sia confutabile (287 E 3; 288 B 1; 289 E 4, analogo per il senso 291
D 6-7, E 8-9; 300 C 2-3).
11 Secondo H .G . Gadamer (D ialektik und Sophistik im siebenten platonischen
B rief, in: Platos dialektische E th ik und andere Studien zur platonischen Ph ilo so ­
phie, Hamburg 1968, p. 241) i dialoghi offrirebbero «rip etu ti» esempi del fatto che
11 filosofo non sarebbe in grado di difendersi (nel senso della Lettera V II, 343 D E)
dalle arti eristiche. Sarebbe stata cosa gradita, se fossero stati prodotti degli esem­
pi. A I massimo si puo pensare a Protagora, 350 C ss.; ma si vedrä sotto, pp. 239
ss., come anche questo passo non possa essere inteso come una sconfitta di Socrate
di fronte a Protagora.
12 Puö essere che con gli ikzy/pi Platone intenda qui, piuttosto, il superamento in
base a confutazione del mezzo di conoscenza, come in eu^evet? zktyyoi, Lettera
V II, 344 B 5. L a conoscenza della natura difettosa del mezzo di conoscenza impli-
ca, naturalmente, la capacitä di ribattere alle confutazioni che sono rese possibili
da questi mezzi insufficienti; solo i 7toXXoi incompetenti non riconoscono <b<; oux rj
c|>uxri tou Ypacj)avto<i rj iX i'Q j.v jx , 343 D 7. Per la determinazione platoni-
ca del dialettico cfr. H.J. Krämer, Uber den Zusammenhang von Prinzipienlehre
und D ialektik bei Platon. Z u r D efin ition des Dialektikers Politeia 534 B -C , «P h ilo-
logus», 110 (1966), pp. 35-70.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 157

numeróse altre volte), anche Pinconfutabilitá del dialettico non


é, per lui, una proiezione utópica, bensi una possibilitá raggiun-
gibile per Puomo. Su questo sfondo anche la vuota pretesa di sa-
pere di Ippia é rilevante e serve, come tutto in lui, a caratterizza-
re indirettamente il su o rivale. L ’ idea di Socrate di poter affron-
tare ogni attacco sotto la guida di Ippia (286 E - 287 B) rispec-
chia solo la trasmissione della capacita del «portare soccorso»
([3ot]0eJv) alP«anim a adatta» (^ux^l 7tpocrr¡xooaa) ad opera del
dialettico ( Fedro, 276E s .).
(2) L ’imbattibilitá del dialettico nel dialogo si basa su tre fatto-
ri: sulla sua esperienza nel disputare, sulla sua conoscenza delle
cose trattate e sulla sua valutazione dell’ interlocutore che di vol-
ta in volta si trova di fronte: « l o sono piuttosto esperto nel fare
obiezion i» (ax^Sov yáp xi i'^ eip ó^ eifit x¿áv ávxtXr]4>e.6)v), dice
Socrate di sé (287 A 5), naturalmente con ragione, mentre la
stessa pretesa di Ip p ia 13 torna ogni volta a cadere. A l l ’ accenno
alPesperienza corrisponde, nel F ed ro, la sottolineatura della
lunga fatica necessaria per acquisire la dialettica (272 B ss.; 273
E s .). I due punti successivi — conoscenza delle cose e delPani­
ma — sono le due parti costitutive della definizione del parlare
«secondo le rególe dell’ arte» di Fedro 277 B-C (per la conoscen­
za delPanima cfr. anche 271 D -E). Ippia reclama la conoscenza
della «n atu ra» (cpúatc) delle cose (300 C 3) — il che puó essere
poco evidente, perché piü o meno ovvio — ma, oltre a questo,
anche un giudizio sicuro sull’ interlocutore: «so bene come si
trova chi si occupa dei discorsi» (oTSa yap &xaaxou<; xd>v irepí
xoü<; Xóyou? a>£ Siáxetvxat, 301 D 2). Significativamente entram-
be le cose si trovano noiVexcursus in cui Socrate fa pensare ad
una compiuta dialettica dei concetti.
(3) Con la sua conoscenza delle cose e degli uomini, il dialettico
puó anche «ingannare deliberatamente» ad esempio facendo
passare sotto silenzio il suo sapere. Questo é quanto Socrate
suppone di Ip p ia 14, che é incapace di tale riserbo come lo sono

13 300 C 2-3: 7toXXr] yap « v ^X01 ¿Tietpia 7:apovxwv Xoyoav.


— II termine e qui un semplice nomen actionis riferito a Xeyeiv (difficilmente
potrebbe andare bene la traduzione di Schleiermacher «v o n den Ausdrücken unse­
rer jetzigen R eden»),
14 300 D 3: ... fiYi raxiCflq itpoq (xe xai ¿xobv ISjaTcaTäq. Anche in Ippia minore, 370 E
10, ¿ijomaräv significa inganno dovuto al passare sotto silenzio un sapere migliore;
cfr. anche Ion e , 541 E 4.
158 «IP P IA MAGGIORE»

Eutidemo e D ionisodoro; ma, cosi facendo, la sua incapacità


spiega e contrario una capacita essenziale del dialettico. Per
quanto riguarda il suo sosia, Socrate stesso ci mette in guardia
che egli potrebbe «ingannarci» (293 E 9). L a supposizione non è
immotivata: come YIppia m inore, cosi anche VIppia maggiore
mostra, con la fine aporética, che puó ingannare facendo devia-
re in m odo abile e sicuro solo colui che lo conosce.
(4) NeW elenchos il dialettico si inoltra solo dopo che ha pensato
a fondo una cosa ed è certo di conoscerla, perché ha trovato le
«cose di maggior va lo re » (TtfAitüxepa) che sono necessarie per
fondarla 15. Ippia non ha osservato questa regola e ha scoperto
che «n el momento presente» (ev ye iw Tcocpóvxi, 297 E l ) non ha
pronta alcuna soluzione, ma crede di potería trovare subito con
un p o ’ di riflessione senza essere disturbato (295 A 4-5). Poiché
la soluzione qui richiesta si trova nella dottrina delle Idee, Ippia
non é, fin dalPinizio, Puomo adatto a trovarla, e quindi Socrate
non crede nella sua fiducia di poter raggiungere la méta median­
te la propria riflessione personale (295 A 7). A l contrario, Ippia
è certo che Socrate non troverá nulla (300 D 7) con cui difendere
la sua opinione che un predicato puó addirsi a due cose senza
competere a nessuna delle due singolarmente. Ci torna alia men­
te il passo delPIppia m inore in cui Socrate sa con certezza che
Ippia anche in futuro non avrá una soluzione (369 A 4; cfr. so­
pra p. 143). Come, la, la sua profezia resta senza confutazione,
c o s í egli puó, qui, subito confutare la profezia di Ippia. II con­

trasto fra i due passi illustra quello che si intende in F ed ro , 278


D 8, con il non avere cose di maggior valore (< p i7 )> xi-
[xuímpa).
N on solo Socrate non crede nella fiducia di Ippia, ma gli nega
anche la breve pausa riflessiva che gli servirebbe e lo richiama
alia comune ricerca (297 E 3-4; ouÇ^uei, 295 B 2-3). Parla forse
qui Puom o per cui è piü importante Pincontro personale che
non il contenuto delPinsegnamento che egli puó trasmettere? La
filosofia è possibile solo nella comunicazione esistenziale? Asso-
lutamente no: Socrate nega ad Ippia una possibilitá di cui egli
stesso si è servito. A lia fine del dialogo egli descrive come Pano-

15 II m otivo di una tale prudenza non va cercato, naturalmente, nell’orgoglio per­


sonale e nella paura di una sconfitta, bensi nel tentativo di non screditare la Öeux <pt-
Xooocpia che il filosofo rappresenta.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 159

nimo interrogatore si com porti di solito con lui, quando egli as-
sume le opinioni dei «sapien ti» (aocpoí) su ció che é «b e llo » (xa-
Xóv): lo rimprovera per come egli si permetta di osare di giudica-
re le cose belle finché non sa che cosa sia il bello; una vita senza
questo sapere non é degna di essere vissuta (304 D 8 - E 3). Que-
sto interrogante, che « é párente stretto ed abita con m e» (304 D
3) si mostra qui di nuovo 16 come voce interiore di Socrate messa
in un personaggio del dialogo. L ’ immagine della «v ita in comu-
n e» dei due Socrati o ffre senza sforzo una nuova immagine per
il ritorno riflessivo su se stesso: «o g n i volta che torno a casa
presso me stesso» (eustSáv oüv siaeXBco oixaSs zl<; ¿¡Jtauxoü ...,
304 D 4). Sotto la spinta della sua voce interiore Socrate ha spes-
so 17 riflettuto sul bello, e ha trovato la risposta nella teoría delle
Idee. Grazie a questo vantaggio decisivo egli puó entrare nell’ e-
lenchos.
Accanto al dialogo agonistico sí intravvede anche un altro tipo
di dialogo. In un rovesciamento ironico della realtá, íppia é con-
cepito come il dialettico che deve comunicare aH’ allievo adatto
la capacita del portare «so cco rso » (cfr. sopra p. 157 a proposito
di 286 E ss.). Dice Socrate a Ippia: « ti ammiro perché mi sembri
che, nella misura del possibile, mi voglia portare soccorso in
m odo b en evolo» (aya¡jiaí aou oxt fxot SoxeT^ euvoixwi;, xaO’ oaov
oIÓ£ x’ el, (BorjGetv, 291 E 4 s.). L a benevolenza é ció che caratte-
rizza il dialogo del filo so fo con 1’ anima adatta (<|>uxt] 7rpoa7]xou-
aa); qui la riserva, che nel dialogo polémico é indispensabile,
non viene applicata. Pertanto si puó forse cogliere qui dall’ e-
spressione «n ella misura del possibile» (xoc0’ oaov otó? x* si) —
accanto alia allusione apertamente irónica all’ incapacitá di Ip-
pia — altresi l ’ ulteriore significato che anche il vero dialettico
nel dialogo benevolo andrá fino ai limiti della sua conoscenza,
oltre ai quali egli puré non avrá altro «sa p ere» da offrire.
Comunque sia, certo é che il libro scritto e diffuso fra il pubbli-
co non puó per principio contare sulla benevolenza del lettore:
quando viene « a torto insultato» (F ed ro, 275 E 4), non puó di-

16 La coincidenza dell’identitá delFinterrogante con Socrate é giá stata accennata


al momento della sua introduzione (287 A 3, B 5, C 3), e altri accenni compaiono
nel seguito del dialogo (290 D 10 - E 4; 292 C 3-5), in 298 B 5 - C 2 essa é espressa
quasi letteralmente.
17 ¿Tcstoáv di 304 D 4 é iterativo; Pinterrogante é «abitu ato» (287 B 8) ad interroga­
re in questo modo.
160 «IP P IA M AGGIORE»

fendersi. P er il libro è indispensabile la disponibilità dell’ autore


a difenderlo da una critica malévola. La differenza fondamenta­
le fra dialogo agonístico e dialogo istruttivo benevolo con una
persona adatta, indicata qui dall’ efficace termine «benevolmen-
te » ( êÛvoïxgjç) — che è particolarmente efficace in quanto Socra-
te non tratta certo benevolmente il povero Ippia — ci ricorda
immediatamente i condizionamenti umani della critica dello
scritto.
(5) II pensiero del dialettico raggiunge la piú alta precisione. So-
prattutto nella Repubblica è preminente il contrasto, da un lato,
tra la analisi, condotta «o r a » , sulla giustizia, sulPanima e sul
Bene, che non possiede una precisione sufficiente, e, dall’ altro,
la disamina dialettica «p recisa » degli stessi argomenti (435 D;
504 B; cfr. 611 B - 612 A ). Solo considerando la R epubblica,
dialogo cosi ricco di contenuto e che per consapevole scelta tra-
lascia la «precisa» motivazione dei suoi risultati18, prende corpo
la preghiera di Socrate nelPIppia di una «risposta il più possibile
precisa» (286 E l ) alia domanda sul bello in sé, e anche I’ inge­
nua assicurazione di Ippia che, se solo avesse «un breve tem po»
a disposizione per riflettere da solo, potrebbe egli pure fornire la
risposta «in assoluto piú precisa», «co n piú precisione della pre­
cisione tutta quanta» (axpißeaxepov av aoxó crot eiTioLjju xrjç árcá-
arjç axptߣ.ia<;, 295 A 5-6).
L a volontà di precisione dialettica non si puô certo conciliare
con la speranza di ottenere «in breve tem po» le conoscenze deci­
sive. N on per nulla, proprio nel contesto del passo sulla «p reci­
sione» (àxpípeta) della R epubblica, Platone fa riferimento alia
«v ia più lunga» che il dialettico deve percorrere; il «lungo g iro »
(piaxpà TtepCoSoç) — qui certo non percorso — nel Fedro risulta
costitutivo tanto per il mito dell’anima (246 A ) come anche per
la caratterizzazione teoretica della dialettica (274 A ). D i conse-
guenza, anche per il nostro dialogo è significativo, tanto per
l’immagine negativa come per quella positiva del filosofo, che
Ippia creda, da un lato, che Socrate si puó «liberare da molti di-
scorsi» grazie alla sua risposta sintética (à7taXXᣣt,ç aocúxòv x ¿ú v
tcoXX&v Xóycov, 291 B 8), e, dall’ altro, che Socrate accetti volen-
tieri una risposta giusta di Ippia a proposito della posizione ca-
tegoriale gerarchica del bello «perché cosi siamo dispensati da

18 Cfr. sotto, pp. 370 - 383, a proposito della struttura della Repubblica.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 161

una ricerca ulteriore» (Iva xaí á7raXXay¿Q¡jL£v 7tXeíovoç ÇrjTT|<je.6L>ç,


303 C 8). II dialettico nella caricatura considera inutili molti di-
scorsi e vuole Iiberarsene; il vero dialettico, invece, conosce la
necessità di un’ «ulteriore ricerca» ed è certo felice di non dover-
si avviare per questa strada con l ’inadatto Ippia come interlo-
cutore.
(6) È proprio delPimmagine del dialettico che venga portata in
primo piano l ’importanza degli oggetti a cui si rivolge il suo pen-
siero. Questo capita n oli’Ip p ia maggiore con un linguaggio che
ripetutamente ricorda da vicino il Fedro. E questo lo esplicitere-
m o in ció ch eseg u e.

5. I I significato degli oggetti di cui si occupa il dialettico

Salta agli occhi, innanzitutto, l ’ uso di «senza valore» (cpaüXov)


come concetto opposto: come il filo so fo potrebbe dimostrare
nel dialogo che i suoi scritti sono (relativamente) «senza valore»
(cpauXa), poiché non contengono la motivazione dialettica com­
pleta dei loro risultati, cosi il pensiero di Ippia è «senza valore»
( 9 auXoç)19, poiché egli non sa sostenere le sue corrette20 conce-
zioni sulle «attività b elle» (xaXà STUxriSeufjiaTa) in base a idee fi-
losofiche. N ello stesso passo — siamo all’ inizio dell’ esame con-
cettuale in cui vengono poste le linee di sviluppo per quanto se­
guirá — Socrate si divide nel suo sosia interrogante, il cui lin­
guaggio mostra la conoscenza delia filosofia delle Idee, e in co-
lui che non sa, il quale non sa rispondere alie domande postegli
a causa delia sua «inattitudine» (cpauXó-rrjç, 286 D 2). Quello che
Socrate vorrebbe sapere da Ippia è una piccola conoscenza
(aptixpòv piaör](xa, 286 E 3; cfr. ou ¡jiéya to ep¿ÓT7)¡j.a, 287 B 1). In
generale ció che egli compie è «sciocco e piccolo e di nessun va­
lo re » (304 C 5), mentre Ippia rivolge il suo interesse a quello che
è «b e llo e di alto valo re» (304 A 7).
II rovesciamento ironico dei rapporti è cosi incredibilmente
chiaro e avvertibile in questi passi — all’ inizio e alia fine della
parte principale — , che è difficile non trasferire la «piccola co-

19 Ippia stesso potrebbe formularlo solo come ipotesi:.se Socrate, dopo il suo inse-
gnamento, potesse ancora venir confutato, allora risulterebbe tò ijiòv 7rpãyp.a cpaG-
Xov xaí íBtcoxtxóv (286 E 8 s.).
20 Cfr. sopra, p. 154, nota 7.
162 «IP P IA M AGGIORE»

noscenza» (a[i.i,xpòv fxá07]{jioc) immediatamente alia «conoscenza


massima» ([xé^ioxov ¡¿áGr^a) della Repubblica, tanto piü che
Poggetto piü alto dell’ insegnamento dialettico, il Bene in sé, è
nominato in un passo importante anche nel nostro dialogo (296
E - 297 C). Che cosa si intenda con i termini apparentemente va-
ghi «cosa degna di m o lto » - «cose degne di nulla» ( tcoXXoü ãÇtov
/ oüSevòç a£ta), lo spiega nel migliore dei modi il fatto che uno
degli uomini dei dialogo dispone della dottrina delle Idee e l’ al-
tro no, in collegamento all’ esigenza generate che il discorso filo-
sofico superiore deve contenere cose piü degne (nXe-íovoç aÇta).
Espressione, questa, con cui non si intendeva all’ inizio del Fe-
dro (235 B 5) nient’ altro se non quello che con 1’espressione
«avere cose di maggior valo re» (&x&tv Ti^uoxepa) si intende alia
fine (278 D ).
II significato dei contenuti della sfera del pensare dialettico vie­
ne esplicitato in un tríplice m odo, come aw iene anche nel F e-
dro: a) escatologicamente (o «esistenzialmente»), in vista del
destino delPanima, b) formalmente, secondo Pestensione con-
cettuale, c) contenutisticamente, mediante Pindicazione dei teo-
remi che il dialettico tratta.
a) Chi, come Ippia, sa convincere con i suoi discorsi i tribunali e
le riunioni del Consiglio, riporta di conseguenza « il premio piü
a lto », vale a dire «la salvezza di se stesso, dei suoi averi e dei
suoi am ici» (304 B 2-3). II sosia di Socrate, con la sua domanda
se una vita senza la conoscenza del bello sia degna di essere vis-
suta (304 E 2-3), pone davanti a Socrate tutt’altro scopo: il dia­
lettico non vuol parlare per far piacere agli uomini* bensi vuol
dire e fare ció che é grato a D io (.Fedro, 273 E s.), e il piü alto
premio per lui è non giá la conservazione (oíoxripía) del patrimo­
nio, bensi la salvezza delPanima immortale «per s em p re»21.
b) Chi pensa alia totalitá del tempo, dovrá anche assicurarsi se
la sua posizione nella totalitá degli esseri è quella giusta. N el dia­
logo di cui stiamo trattando, Ippia rimprovera a Socrate che il
suo pensiero non si rivolga aH’ «in te ro », e che gli sfuggano «am -
biti grandi e fra loro collegati delPessere»; tutto ció che egli

21 xa ¡jiyLcrca xa>v àôXtov, Ippia maggiore, 304 B 2 ~ y.¿-(iaz<x 50Xa, Repubblica,


608 C 1, a cui si riferisce ocóXa, 614 A 1 (in mezzo si trova la prova delPimmortalitá,
608 D - 611 A ; urcèp toõ Travtòç xpóvou ¿cntouSaxévou, 608 D I ) . — Rientra qui an­
che la capacité di Ippia di rendere gli uomini «m igliori e xá ¡aáyiaxa ¿xpeXeTv alia
virtü » (283 C 3-4; D 5).
SOCRATE E IL SUO SOSIA 163

comprende sono solo piccole «schegge e avanzi di d isco rsi»22.


Anche q u i 33 sarebbe o w io attribuire solo ad Ippia l ’ esigenza,
tracciata a grandi linee, di una conoscenza esaustiva dell’ essere,
e confrontarla con la moderazione della disposizione veramente
filosófica. L a funzione deH,ejtcu/-ms', fortemente ironico (300 B
- 302 B)j nella globalitá del dialogo rivela, pero, questa imposta-
zione come un sofisma. Infatti, Socrate, trascinato nella prova
(eXeyxoç), apre qui nuovi orizzonti che renderebbero necessari
veramente un’ «ulteriore ricerca» (303 D 1) e un super amento
degli strumenti concettuali sin qui utilizzati: sono gli orizzonti
costituiti dalla possibilité di ordinäre secondo catégorie formali
i concetti di cui ci serviamo. M a, poiché di volta in volta «m olte
cose» (300 D 4) rientrano in una data categoría, Socrate si rivela
come colui che ben coglie grandi e coerenti cose che costituisco-
no la realtà ({xsyáXoc xal Siavsxfj a<ó[jion:oc oùaïaç), ossia, per
dirlo in maniera più esatta, il «tu tto ». Egli ci lascia percio intui­
ré quella conoscenza «d ella natura dell’ in tero» che permette al
dialettico di parlare della natura di ciascuna cosa ( Fedro, 270 C
1 - D 1), e intuiamo anche che egli saprebbe astrarre «d a tu tto»
rid ea , da lui introdotta nel dialogo, del Bene nel senso di Re-
pubblica , 534 B, poiché ha già dietro di sé il percorso formativo
del dialettico che abbraccia tutti gli ambiti dell’ essere. Il tono
ironico nell’ espressione «discorso coerente della realtà» (5ioc-
vexrjç X6yoç xfiç oùaiocç) (301 E 3) non trae in inganno, per il fatto
che l ’ espressione stessa — indipendentemente dallo scherzo di
Ippia — costituisce una perifrasi azzeccata della dialettica plató­
nica, la quale vuole davvero o f frire una «spiegazione delPessere
com pleta» o «coeren te», e lo specimen che viene offerto di di-
stinzione concettuale dialettica rende altresi comprensibile il
grado di astrazione in cui vanno colti i vasti nessi dell’ essere24.

22 301 B 2: xà ¡jtiv ÖXa xtov Tcpay^áxtov ou axorceTç, B 5-7: otà xaüxa oüxoj ¡jLeyáXa
ó^i.ãç Xavôávsi xat tara xr\ç, ouaíaç (con la replica irónica da
parte di Socrate, E 3-4). 304 A 5-6 xvria|j.Gn;a (letteralmente: raschíatura) ... xat ?ce-
ptT|j.r]jjLaTa Xóycov ... xaxà ßpa^u StYipri[j.£va. M i sembra che non si possa dubitare
che qui e in xaTaT£|jivovx£.ç, 301 B 5 sia celata un’allusione alia diairesi come proce­
dimento dialettico.
23 Cfr. sopra, pp. 156 s., a proposito delPinconfutabilità del dialettico.
24 W ilam owitz, Platon, II, p. 326, riteneva le parole omeriche |jtép[jte.poç (290 E 4) e
oiavexrjç come 53 «unverkennbares Stigm a» di inautenticità. Friedländer conside­
rava |jLÉppL£poç come una citazione (Pla ton , II, p. 298, nota 1). II termine ^tavexrjç
164 «IP P IA M AGGIORE»

c) Solo la determinazione concreta dei teoremi che Socrate e il


suo sosia introducono, come sapere di sfondo, nel dialogo nel
corso della situazione-di-soccorso (|3or)0e!.a), porta un completa-
mento all’ immagine del dialettico. L a presenza di termini e di
modi di porre domande propri della dottrina delle Id e e 25 non e
bastata ad alcuni interpreti per riconoscere in questo dialogo la
presenza della dottrina delle Idee vera e propria, poiche non e
spiegata Tesistenza autonoma delle Idee; Pelemento decisivo sa-
rebbe, dunque, «a n c o ra » assente26.
Tuttavia, le coincidenze dimostrate con il procedimento del « fi-
lo s o fo » (cpiXoaocpos) secondo il Fedro fanno emergere queste la-
cune m olto piu che un «tacere a coloro cui bisogna tacere» (ai-
yav 7rpo; ou? Set)27. 'HqW excursus si fa allusione ad un secondo

potrebbe, ancora meglio, essere un’ allusione ad una asserzione di Ippia. Suivejcrj; si
trova anche in Leggi, 839 A ; anche nel caso che questo termine fosse un anal; Xbjó -
[xevov, non dovrebbe suscitare dubbi, perché risulta comprensibile e significativo
nel passo in cui é collocato. — Sulla conoscenza generale dell’ essere della dialettica
platónica cfr. Krämer, loe. cit. (cfr. sopra, p. 156, nota 12), p. 41.
25 287 C D ; 289 C D; 291 D 1-5; 292 C D; 293 B 10 - C 1; 294 B; 302 C. In questi
passi la domanda t í icmv, che mira all’essenza, é distaccata, in m odo conseguente,
da una esemplificazione pura e semplice; il Bello (Giusto, Buono, ecc.) é qualcosa
di esistente; « i l Bello in sé» é una oúcía e un &TSo;, grazie al quale tutto ció che é bel­
lo é bello; mentre la singóla cosa bella, cui si avvicina il Bello in sé, puö anche esse­
re brutta alio stesso tempo, il Bello in sé non é mai brutto per nessuno, non é affat-
to mescolato al suo contrario.
26 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 190. Guthrie conta sul fatto che la sua posizione,
di fronte ai notevoli pareri coincidenti, «p u ö sembrare come una difesa ostinata di
una tesi». La debolezza della sua argomentazione, invece, non é dovuta alia sua ca-
parbietá, quanto piuttosto alia sua parzialitá: Guthrie separa i paralleli del vocabo-
lario delle Idee da quelli della concezione del Bene, mentre gli sono completamente
sfuggiti i riferimenti al Fedro (cfr. nota seguente).
27 Guthrie, loe. cit. (cfr. nota precedente), obietta alia sua soluzione con la do-
manda se la mancanza deíPesistenza separata delle Idee non possa essere anche un
caso. L ’ alternativa «n on ancora noto — lasciato via per caso» é incompleta giä dal
punto di vista logico, ed é, inoltre, palesemente inadeguata ai dialoghi platonici alia
luce del Fedro e dell’Eutidem o ( « í ’hai volutamente tralasciato», 301 C 2). Guthrie
rifiuta l ’idea della mancanza casuale «perché I ’ addizione della trascendenza non é
uno sviluppo banale, bensi rivoluzionario», perciö questa «a d d izio n e» dovrebbe
essere rintracciabile nel testo. (Guthrie confuta la propria opinione alia nota 2, do-
ve riconosce, a proposito di uno «sviluppo rivoluzionario» questo:,«N on ritengo
che questo fosse il parere di P laton e»). Qui troviamo con rara chiarezza la circola-
rita del punto di vista storico-evolutivo: é evidente che si presuppone che l ’esistenza
separata delle Idee sia una «aggiunta» o «a d d izio n e» ad una forma precedente (in
Eu tifron e e nelVIppia maggiore), ed é eliminata fin dall’inizio la possibilitá di con­
siderare la supposta form a precedente come «sottrazion e» che il filosofo, in quan­
to ¿7ucrcáfJ.£V0£ Aeyeiv oI<j oel ye xai ¡jLrj, completa volontariamente nella situazione
aporetico-elenchica. Chi tesse uno «svilu p p o» fra i dialoghi aporetici e quelli co-
SOCRATE E IL SUO SOSIA 165

complesso di cose: esso tende a qualcosa di simile ad un sistema


di categorie, quale risulta comprensibile soprattutto nella tradi-
zione platonica indiretta28. Come terzo ambito si evidenzia, in-
fine, la teoria della causalita del Bene: con un chiaro richiamo ai
ragionamenti della Repubblica, il bello e il Bene vengono esami-
nati sotto l ’ aspetto della relazione causa-causato, e viene chia-
mata in causa la m etafora di padre e fig lio 29. II risultato delPa-
nalisi e, pero, diverso: il bello non e causato dal Bene, come nel­
la Repubblica (517 C; cfr. 508 E s.), nia, al contrario, ne e la
causa ( Tppia maggiore, 297 B 2-3); il «Prin cip io di tutte le cose»
(rcavcoi; apx'n) non compare nel ruolo del «p a d re » (Repubblica,
506 E - 511 B), bensi paradossalmente in quello del « fig lio » (297

struttivi combina cío che é incommensurabile e lascia che vada perduta la possibili-
tá di capire l ’ importanza della form a per il contenuto. Cfr. anche sotto, nota 31.
28 La distinzione, nelP em/rms, fra concetti di qualitá e di quantitá ha, senza dub-
bio, soltanto carattere paradigmatico (cfr. sopra, pp. 162 s., a proposito deM’ «inte-
ro »), Sui tentativi platonico-accademici di distinzioni categoriali cfr. Testimonia
Platonica, 39-48 Gaiser. É significativo, in questo contesto, che il passo 303 B C,
collegato alY excursus, alluda alia teoria matematica deíle grandezze irrazionali, che
senz’ altro ha svoíto un ruolo nella filosofía all’ interno dell’Accademia (cfr. Th.
Heath, A H istory o f Greek Mathematics, I, O xford 1921, p. 304; K. Gaiser, P la ­
tons ungeschriebene Lehre, Stuttgart 1968 2, pp. 370 s.). D. Ross vede in 302 A un
interesse per le Idee dei numeri che anticipa il tardo Platone (loe. cit., cfr. sopra.
nota 3, p. 17), H .G . Gadamer vede una chiara allusione alia dottrina delle Idee dei
numeri (Idee und W irklichkeit in Platons Timaios, Heidelberg 1974, p. 6). Negare,
con Guthrie, A H istory ..., IV , p. 188, nota 1, che Vexcursus abbia qualcosa a che
vedere con le Idee, significherebbe non riconoscere il contesto: si tratta sempre di
definire «il. Bello in sé», e i concetti chiamati in causa in quanto anaioghi (pari/di-
spari, 302 A ) devono, perció, avere uno status analogo; non é un caso che il pari e il
dispari compaiano anche nella descrizione delle Idee nel Fedone (103 E ss.). Del re­
sto, la questione se si tratti, qui, di «fo rm e precedent!» delle rispettive teorie (net
senso, ad esempio, di R .E. Allen, P la to ’s Euthyphro and the Earlier Theory o f
Form s, London 1970) o non piuttosto giá di teorie compiutamente sviluppate, per-
de sensibiimente importanza, se si considera che anche le «fo rm e precedenti» sono
costruzioni che possiamo isolare nei dialoghi giovanili únicamente basandoci sulla
nostra conoscenza di quelü tardi, e che, quindi, per il lettore di allora, che non po-
teva ancora awalersi di indicazioni ulteriori, non erano affatto identificabili come
teorie. Se noi, allora, continuiamo a credere cosi profondamente a queste supposte
«fo rm e precedenti», dobbiamo ammettere, comunque, che esse non vengono qui
sviluppate, ma solo accennate, e che sono riconoscibili solo per chi ne sia giá a co­
noscenza, che cioé, qui, esse sono utilizzate come sapere di sfondo.
29 Non si dovrebbero trarne conclusioni per la cronología: é presupposto il conte­
nuto dei passaggi relativi delía Repubblica e non la loro pubblicazione in libro. Ol-
tre alie reminiscenze formulate nel testo, va aggiunto che la questione del Bene (296
E - 297 D ) é, anche qui, trattata in connessione a quella del piacevole e deil’ r¡8ovr]
(298 A - 303 E), anche se il collegamento oggettivo dei due temi puó essere meno
evidente che nella Repubblica, 505 B; 509 A .
166 «IP P IA MAGGIORE»

B 5). Ancora peggio: la sottolineatura della differenza di causa e


causato, che si muove sui binari della Repubblica, 508 A - 509
A , senza abbandonarli30, porta qui alPenunciazione che né il
bello é buono, né il bene é bello (297 C 3-4).
Questo risultato é inaccettabile, come viene súbito sottolineato
(297 C 10 - D 8 ). Una allusione, nell’ ultimo argomento della
parte principale (303 E - 304 A ), chiarisce che é stato commesso
qui l ’ errore decisivo. Dunque, qui, dove l ’ analisi era nel punto
piu vicino alia conoscenza del Bene, Socrate devia verso l ’ erro­
r e 31.
Chi avesse davanti agli occhi solo VIppia maggiore non potreb-
be certo rendersi conto di come stiano le cose. Per contra, la co­
noscenza della Repubblica e del Fedro ci permette di capire la
decisione di Socrate: poiché egli puó giudicare come vadano le
cose per il suo interlocutore (cfr. 301 D 2-3): egli «in gan n a» Ip-
pia (cfr. 300 D 3) tenendo nascosta la sua conoscenza della veri-
tá, e nega perció l ’ aiuto che lui stesso ha richiesto che gli fosse
dato (286 C -D ), ma che lui stesso solo poteva dare. II complesso
un itario 32 della dottrina delle Idee, delle categorie e dei Principi
costituisce le «cose di maggior valo re» (xitucÓT&poc) che Socrate
potrebbe trattare esaurientemente nella situazione di prova in
quanto é in grado di portare soccorso (s'x^v por)9etv), e che tut-

30 Va confrontato anche Filebo, 26 E - 27 A ; inoltre, in questo stesso dialogo si


trova (51 A B) la risposta alia domanda di Ippia maggiore, 298 D 6 - 299 B 5, che in
fondo non aveva trovato soluzione, sul perché dall’ambito del piacere soltanto ció
che é piacevole acústicamente e visivamente veniva a costituire un settore separato
definito come «b e llo »: sono i veri piaceri (rjóovaí) che non indicano solo la fine di
ció che non é piacevole. (A proposito del piacere ricavato dalPodorato, di cui si
tratta qui, cfr. Repubblica, 584 B 6).
31 In un altro passo, Ippia attribuisce a Socrate la disponibilitá a passare oltre ov-
vero a trascurare ció che é corretto: akXct.n&w ¿toÍ|ji«s jiocpopót?, 300 C.7. Coglia-
mo in m odo sufficiente I’ironia di questo passo dicendo che, naturalmente, é tutto
il contrario e che Ippia, in realtá, trascura (involontariamente) uno stato di cose
evidente? Oppure siamo di fronte anche ad un’ altra ironía molto piü sottile, per cui
ad Ippia viene fatta svolgere una descrizione assolutamente calzante dell’impiego
che Socrate fa del proprio sapere, ma in m odo tale che queste cose perfettamente
centrate, sono anche sbagliate, a causa del punto in cui le dice e del senso che egli vi
collega dicendole?
32 La divisione del complesso in tre livelli non vuol dire che si tratti di tre ambiti
distinti: la teoría del Principio piü alto é sempre e comunque la teoría átlYIdea del
Bene. La conoscenza di questa idea é svolta giá nella Repubblica in m odo cosi con-
seguente e cosi distinto da ogni altra conoscenza delle idee, che sarebbe Iecito parla­
re di una vera e propria dottrina dei principi anche senza le testimonianze aristoteli-
che di una teoría platónica delle áp x«í.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 167

tavia é costretto ad utilizzare solo per allusioni e di passaggio,


essendo Ippia l ’ interlocutore scarsamente adatto. Incalzato piü
pressantemente, egli dovrebbe essere piü esauriente — forse tan­
to quanto lo é nella Repubblica — , e dimostrerebbe davvero co­
me cose «d i minor va lo re » quelle che nel presente dialogo ven-
gono definite irónicamente 9 <xOXa. E infatti i lettori di Platone
non hanno mai esitato a considerare nettamente di maggior va­
lore contenutistico la Repubblica rispetto zW Ippia maggiore,
anche se non erano consci del fatto che Topera meno importante
richiama intenzionalmente quella piü importante.
VIII. «Eutifrone»
Inversione di mareia poco prima della méta

1. È presente la dot trina delle Idee n ell’«E u tifr o n e »?

«Q uando Socrate domanda quale sia, allora, la parte principale


di queste moite cose belle che gli Dei producono, e non ottiene
risposta, intuiamo che il Socrate platonico avrebbe la risposta al
quesito: che cos’è “ il Bene” ; perô, sappiamo anche quanto stia
in alto per lui questo Bene, e che esso non puô venir espresso da-
vanti ad Eutifrone senza venir frainteso o profanato».
Che cosa autorizza Friedländer — che si rifà ad un giudizio di
Bonitz nelle parole citate 1 — a presentare il Socrate dzW Euti­
fro n e corne un uomo che, pur possedendo in modo sicuro una
conoscenza filosofica fondante, rinuncia, consapevolmente, ad
esporre nel dialogo tale conoscenza? Se si legge l ’analisi del dia­
logo fatta dal Friedländer tenendo presente questo punto di vi­
sta, si deve ammettere che non lo autorizza assolutamente nulla,
tranne Topposizione, ricavata con una interpretazione piuttosto
«in tu itiva » e con numeróse anticipazioni di dialoghi successivi,
che sussiste tra la teologia non santa del veggente Eutifrone e
certe convinzioni filosofico-m orali, che messe insieme alludono
a qualcosa che puó considerarsi come una teologia platónica.
Tuttavia Friedländer non è affatto Túnico a ritenere che nel-
TE u tifron e (o sullo sfondo di esso) agisca un sapere filosofico
positivo. Certo, non tutti gli interpreti parlano subito delTIdea
del Bene, ma molti vorrebbero vedere per la prima volta in que­
sto dialogo la testimonianza della dottrina platónica delle Idee,
mentre altri vorrebbero vedere per lo meno una prima espressio-

1 Friedländer, P la to n , II, p. 82, afferm a questo a proposito di Eutifrone, 13 E -14


B, e menziona con approvazione H . Bonitz, Platonische Studien, Berlin 18863, p.
234.
INVERSIONE Dl M ARCIA POCO PRIM A DELLA M ÉTA 169

ne di questa2. A questi interpreti si oppongono gli scettici, che


continuano a credere che gli indizi linguistic! addotti dalla con­
traparte non sono sufficienti per fare i conti con una vera e
propria «te o ria » delle Idee. Essi possono sempre rilevare che
non viene detto che I’ Idea (iBéa) « é indipendente dal singolo
fenomeno e appartenente ad un regno diverso, e te rn o »3. Inol-
tre, essi possono dire che anche il termine «parad igm a» (ícocpá-
■Set'fM’OO non basta ancora per intendere PeTBoç della «santitá»
(ôcriô'rriç) come m odello perfetto eterno e trascendente delle
singóle azioni pie, poiché Socrate chiede solo un m odello per

2 N ell’Eu tifron e scorgono la teoria platonica delle idee ad esempio Th. Gom-
perz, Griechische Denker, Leipzig 1911/123, II, p. 293; A .E . Taylor, Piato, The
M a n and H is W ork, London 1926, p. 149; P. Shorey, W hat Plato Said, Chicago
1933, p. 75; Ross, P la to ’s Theory o f Ideas, cit., p. 13, cfr. p. 228. E noto che H.
von Arnim , Platons Jugenddialoge und die Entstehungszeit des Phaidros, Leip­
zig-Berlin 1914 (a proposito dell ’E u tifron e: pp. 141-154) sostiene ehe tutti i dialo-
ghi giovanili presuppongono «Pammissione di un mondo trascendente delPessere
ideale». Soprattutto Allen, P la to ’s Euthyphro ..., se ne aspetta una prima esposi-
zione; K .H . llting («G n o m o n » 44 [1972], pp. 326-335) cerca di mettere in crisi la
supposizione di Allen di una prima esposizione embrionale della teoria delle Idee
nei dialoghi giovanili basandosi soprattutto sulla prova, poco convincente, per
cui V E utifrone sarebbe successivo al M enone. Per llting (p. 332, nota 3), fra l’ al-
tro, e importante Gorgia, 480 A , in cui si invita, qualora il caso lo richieda, a far
punire anche i propri parenti; il rapporto di questo passo con E utifrone, 4 B e 5
D , renderebbe ovvia la prioritä del Gorgia. La prova risale a W ilam owitz, ehe,
perd, I’aveva, in un secondo momento, espressamente scartata: «n on sussiste fra
i passi alcun rapporto» {Platon, II, p. 80, nota 1).
3 W ilam owitz, P la to n , II, p. 80; E. Kapp, The Theory o f Ideas in P la t o ’s Ear­
lier Dialogues, in: Ausgewählte Schriften, Berlin 1968, p. 108. L a posizione piü
ampia, secondo la quale, per il Platone di questo livello, PIdea sarebbe solo «nel-
le » cose singole (W ilam owitz, loc. cit., Guthrie, A H istory ..., IV , p. 121: « ...
esiste solamente nelle istanze») e ovviamente insostenibile come argumentum e si­
lent io. L a «trascendenza» delle Idee non e tematizzata ndV E utifrone) per trarre
da queste una conclusione negativa occorrerebbe ehe, prima, si fornisse la prova
ehe la menzione della sua trascendenza e in un particolare passo del dialogo
«propriam ente» indispensabile. (Questa prova avrebbe, comunque, un limite in
14 C 1: enEiBri £rc’ aikco fjafla ajueTparcou; in proposito cfr. sotto, p. 176). In sen-
so contrario all’ipotesi di una dottrina delle Idee nelPE u tifron e si sono espressi,
ad esempio, E. Zeller, D ie Philos, d. G riech., II, 1, 19225, p. 525 e nota 1; C.
Ritter, Platon. Sein Leben, seine Schriften, seine Lehre, München 1910/1923, II,
p. 208; M . Pohlenz, A u s Platos Werdezeit, Berlin 1913, p. 310; G .M .A . Grube,
P la to ’s Thought, London 1935, pp. 8-10. N ella discussione sulPopera giovanile
non si dovrebbe perdere di vista quella tarda: anche nelle Leggi la dottrina delle
Idee non e indicata in m odo cosi chiaro da eliminare le possibilitä di dubbio sulla
sua validitä; tuttavia, nessuno piü sostiene la conclusione un tempo preferita, se­
condo la quale Platone, nella sua ultima opera, «n on avrebbe piü creduto» alle
Idee.
170 «EUTIFRONE»

mezzo del quale si possono riconoscere come sante le azioni


( 6 E ) 4.
Quanto poco la si possa cavare con 1’ alternativa «rintracciabile-
non rintracciabile nel testo», lo mostra il fatto che anche quegli
interpret! che tendono a rifiutare la presenza della dottrina delle
Idee in questo dialogo, sono costretti a presupporre risposte ad
altre questioni che nel dialogo non sono presenti. Cosi Guthrie
conta fra i risultati positivi del dialogo il fatto che la santità sia
una form a di «sa p ere» ( Í 7uaTT)fxri): questa sarebbe l’ opinione
propria di Socrate, anche se, di fatto, egli «in du ce» Eutifrone
ad adoperare per la prima volta il termine (14 B 3), e la discus-
sione resta al livello del veggente; sarebbe come se Socrate voles-
se dire: «tu pure devi ammettere che la santità è una form a di sa­
p ere» 5. M a poiché la concezione del «sa p ere» del santo porta
alia definizione non santa secondo cui la santità sarebbe un’ arte
del commercio fra gli uomini e gli Dei (14 E 6 ), sarebbe piü con-
seguente, fino a quando ci si vuole attenere a quanto viene
espressamente documéntalo nel testo, lasciare al veggente Euti-
frone Tidea totalmente stravolta del sapere del santo, e conclu-
dere logicamente che la «p iü tarda» convinzione di Platone per
cui la virtü avrebbe il carattere di «scienza» (&7uaTTi(xri) «n on è
ancora» presente in questo dialogo.
Potrebbe essere utile, in questa situazione, osservare quei tratti
delle figure dei due interlocutori che indicano Pidea di una co-
municazione controllata del sapere. È strano notare che Y Euti-
fro n e è potuto divenrtare oggetto preferito di discussione fra co­
loro che vogliono vedervi « g iá » il definitivo quanto prima possi-
bile, e coloro che vogliono invece percepirlo il piü tardi possibi-
le, e perció qui «n on ancora», senza che si sia saputo prendere
coscienza della possibile relazione di questa disputa con il tema,
che è centrale in Platone, del trattenersi dall’ esprimere il sapere.
Come se potesse essere una pura casualitá che proprio nell’ auto-
re del Fedro compaia una siffatta discussione. In realtà, una
volta che si sia colta la rilevanza della formulazione della do-
manda, si mostrano velocemente anche i punti di sostegno,

4 R. Hackforth, P la to 's Phaedo, Cambridge 1955, p. 10; Guthrie, A H istory ...,


IV , p. 118.
5 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 123. De! resto Socrate utilizza il terinine ejiiota-
aöaL da m olto tempo, prima delVEutifrone, 13 A 4. Sull’introduzione socratica del
concetto di sapere cfr. v. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., pp. 146-148, 153.
INVERSIONE DI M ARCIA POCO PRIM A D E LLA MÉTA 171

uno per uno, i quali indicano che anche in questo dialogo Plato-
ne gioca con la possibilita di una limitazione intenzionale della
comunicazione e la fa agire nello svolgimento del d ia lo go 6.

2. E u tifron e co m epseudo-esóterico

II veggente Eutifrone possiede già quell’ atteggiamento verso la


comunicazione del sapere che Socrate deve prima consigliare ai
due eristi áúV E u tid em o, cioè 1’ atteggiamento «esoterico». Si ri-
conosce senza difficoltà, da un lato, la variazione del tema e,
dall’ altro, l ’ obiettivo invariato dello scherno: proprio colui che
non tiene in serbo nulla di nascosto viene presentato beffarda-
mente come «esoterico». Eutifrone ha fama di farsi raramente
avanti (Boxelç arcáviov asocuxov izapéxzw, 3 D 5). Ciò che è raro
ha valore, cosi dice per scherno Socrate nel dialogo con gli eristi
(xò ^àp cj7távtGV tCjjuov, E u tid em o, 304 B 3). Per la gente Eutifro­
ne gode fama di non voler insegnare la sua saggezza (3 D 6 ); tut-
tavia, nel colloquio privato egli riconosce in Socrate lo spirito
affine (3 C 4), ed è disposto a comunicargli le cose che sa sugii
Dei e che i piü ignorano (6 B 5-6, C 5 -7)7. M a Socrate rinvia «a d
un’altra v o lta » ( 6 C 8 ) 1’ acquisizione di questo sapere destinato
a pochi; peraltro egli — come nell "Eutidemo — vuol di ventar e
volentieri discepolo dei suo interlocutore (5 A 3; cfr. 11 E 3; 12
E 4). A ciò che il nuovo discepolo vuol sapere — che cosa sia « il
santo in sé» — il veggente non può però rispondere, e cosi il di-
scorso torna al rimprovero iniziale: come all’ inizio solo i piü,
cosi alia fine anche Socrate, che Eutifrone ha tuttavia voluto
trattare come «anim a adatta» (^ UX^1 TCpoarjxouaa), è convinto
che egli non voglia insegnare la sua saggezza (14 C 1). Tuttavia
egli gli giura ancora una volta alia fine, come già in una fase pre­
cedente dei dialogo, di non «nascondergli» nulla (11 B 1; 15 E

6 L ’ atteggiamento nei confronti della comunicazione filosofica non costituisce,


naturalmente, Punico aspetto per cui Socrate ed Eutifrone vanno visti come figure
concepite in termini antitetici: R .G . Hoerber, P la to ’s Euthyphro, «Phronesis», 3
(1958), pp. 98 s., ha fornito quella che e senz’altro la piii completa panorarnica dei
tratti contrastanti nel carattere, nella fede, nella situazione e negli intenti dei due
interlocutori. E indicativo che, in Hoerber, manchi proprio Popposizione dei meto-
di dialettici, quella, cioe, che risultera essere la chiave per la comprensione del-
Pintero.
7 A proposito del possibile contenuto del sapere occulto teologico, cfr. Wilamo-
witz, Pla ton , II, p. 76, nota 1.
172 «EUTIFRONE»

2 ): Ia tensione fra ció che è comunicabile e ció che viene comuni-


cato è mantenuta per tutto il dialogo.
A l l ’ opposto di Eutifrone, Socrate è marcatamente antiesoteri-
co: quello che sa, egli lo comunica a chiunque a piene mani. Per
diria con i concetti del F ed ro: Socrate non si cerca Pinterlocuto-
re adeguato, né sa quale sia il momento giusto per tacere, inter-
rom pendosi8. Forse Platone «n o n ha ancora» sviluppato 1’ im-
magine guida del filosofare in riferimento alia persona e alia si-
tuazione? O gli Ateniesi hanno soltanto un’ opinione sbagliata
del loro strano concittadino, dal momento che ció che qui si dice
di lui gli viene attribuito dalla gente che lo condannerà, poi, in
nome delia giustizia, la quale gente lo giudica come uno che pro­
diga a chiunque tutto ció che ha da dire ( 8 ox<£ 8 ’ auxoT; ÔTi7i;£p
ixxzyuiJÍvoúç rcavTt ávSpt Xeyeiv, 3 D 7-8)? Sarebbe però
strano se la gente potesse giudicare piü correttamente i metodi
dell’ uomo che non le sue opin ion i9.
Comunque sia, non dobbiamo aspettarci da Socrate nel dialo­
go, fin dall’inizio, un sapere degno di rilievo. Tanto piü do-
vremmo aspettarcelo da Eutifrone. Del suo sapere particolare
sugli Dei, abbiamo giá fatto cenno; questo sapere è «p reciso »
(4 E 4; 5 A 2). M a Eutifrone crede di poter rispondere anche
alie nuove domande del suo nuovo discepolo, e ancora in m o­
do «c h ia ro » e «p rec iso » (9 B 5; 14 B 1). N on risulta decisiva la
questione se troviam o «an ticip ato» o solo «p rep ara to» in que-
ste afferm azioni l ’ istanza del sapere del dialettico della Repub-
blica. Si deve in ogni caso ammettere che Eutifrone, con la sua
allusione alia «piü ampia impresa» della analisi «precisa» an­

8 èxxEyjjjjivcúç, 3 D 7, implica con la m etafora del «versare» il sapere, che per So­
crate non esiste un cosciente (cfr. Fedro, 272 A 4); esattamente traduce Lid-
dell- Scott, A Greek Lexikon , ad locum : «W ith ou t reserve».
9 Ovviamente, qui non si parla del Socrate «s to ric o », bensi della sua immagine nel
dialogo in questione. — Si potrebbe obiettare alia riflessione di cui sopra: «la folia
dà una valutazione sbagliata di Socrate, ma solo nella misura in cui essa lo ritiene
un maestro, mentre egli non era altri se non un interrogante». Forse questo può va­
lere per il Socrate storico; non si è mai dubitato che il Socrate ddV Eu tifron e abbia
molto da imparare nel tratto del suo interrogare, cfr. ad esempio W ilam owitz, P la ­
ton, II, p. 79 a proposito dei punti di vista logici: «essi vengono trattati in maniera
cosi puntuale che l ’intento didattico non si può non riconoscere». Questa è, inizial-
mente, anche 1’ intenzione di Platone; ma quando egli fa dire a Socrate che egli, nel
suo dialogo, è «involontariam ente» saggio, allora è chiaro che Pautore attribuisce
anche al personaggio del dialogo quella che è la propria opinio ne (cfr. sotto, pp.
174 s.).
INVERSIONE DI M ARCIA POCO PRIM A D ELLA M ÉTA 173

cora mancante, si muove lungo i binari che ci si aspetterebbero


per un quadro caricatúrale del dialettico: in effetti, anche il ve­
ro dialettico ha sempre occasione di indicare la «v ia piü lunga»
e la maggiore fatica della dialettica che, per amore della preci-
sione dei suoi risultati, devono essere accettate10. Come parte
integrante della caricatura vanno intesi, perció, anche il co-
sciente restare ad una risposta provvisoria e il rinviare «a d
un’altra v o lta » la analisi completa (14 B 2; 15 E 3), come pro-
prio Socrate ha giá fatto in altri casi11.
Socrate si attiene strettamente al suo ruolo ironico 12, ricono-
scendo senza eccezione la pretesa del veggente. Per lui Eutifrone
é Puomo che conosce la veritá: «dim m i la veritá, perché tu la co-
nosci» (eÍTté. ttjv á\r¡Qtiav' otaGcc yáp, 15 D 2). Vista nell’ ottica
del F ed ro, colui che conosce il vero (eiSaj^ tó áXr]0£<;) dovrebbe
dimostrarsi, nell’interrogatorio che Socrate conduce, come co­
lui che é in grado di venire in soccorso e che é in possesso di cose
di maggior valore (e'xoov porjOeTv, &xwv ufAicúxepa). Conseguen-
temente, Socrate interpreta il fatto che Eutifrone non proceda in
questo senso, come un comportamento quale quello del Proteo
(15 D 3) di omerica memoria, che era, a sua volta, un sapiente
che non voleva daré ad altri il suo sapere. Insomma, Eutifrone
«nasconde» (15 E 2).
M a lo fa con método; e, in questo contesto, ció é molto impor­
tante. Allorché viene fatto il tentativo di definire « i l santo» che
si ricongiunge alia definizione di partenza (santo é ció che é caro
agli Dei, 6 E ), Socrate riconosce che la conduzione del dialogo
fatta dal suo interlocutore é stata attuata secondo rególe d ’arte.
Essa supera persino Parte di Dédalo che creava figure sfuggenti,
in quanto i lo g o i di Eutifrone possono persino girare in tondo
(15 B 10). C ’ era giá stata in precedenza una scaramuccia su chi
fosse effettivamente il Dédalo di questo dialogo. Era stato So­
crate ad introdurre il paragone beffardo, e precisamente riferen-
dolo dapprima a se stesso in form a di ipotesi: se i risultati dei
propri lo g o i fossero sempre sfuggiti, Eutifrone avrebbe potuto

10 Repubblica, 435 D; 504 B; cfr. 611 A - 612 A ; Fedro, 246 A ; 272 B; 273 E -
274 A.
n A proposito dei passi in cui Platone si trattiene dal parlare di certe cose che sono
contenute nelíaRepubblica, cfr. sotto, pp. 391 - 414.
12 Invece, per una volta, Eutifrone esce dal ruolo di sapiente: in 11 B 6 egli ammet-
te di non poter esprimere quello che pensa.
174 «EUTIFRONE»

deriderlo, col dire che gli capitava quello che succedeva al suo
avo Dédalo; ma, poiché sono le definizioni di Eutifrone che non
vogliono restare dove le si colloca, questa b effa cade. Invece Eu­
tifrone ritiene che il beffardo confronto sia adeguato, poiché
Socrate fa «girare in torn o» le definizioni, che egli intendeva, in­
vece, come fisse. A llora, dice Socrate, sono ancora piü abile di
Dédalo, che faceva muovere solo i suoi prodotti, mentre io pos­
so metiere in moto anche quelli degli altri (11 B - D).

3. 11significato del m otivo di Dédalo

Entrambi, dunque, vengono paragonati alTabile Dédalo e di en-


trambi si dice che siano in possesso dell’arte in misura maggiore
del mitico artista 13: é, questo, un chiaro invito di Platone al let-
tore perché giudichi gli interlocutori, stabilendo chi di loro pos-
segga completamente P «a rte della dialettica^, la xíyyr\ del 8 ioc-
XáyeaOai.
Spiegare che nessuno dei due puó avanzare questa pretesa, p oi­
ché Eutifrone é sciocco e Socrate, pur riñettendo, é aporético e
insicuro, sarebbe una scappatoia troppo semplice, che non si
adegua né alia risolutezza della conduzione del dialogo, né alia
funzione strutturale che risulta attribuita al m otivo dell’ «a r te »
dei lo g o i: esso determina l ’ episodio che separa dalla prima la se-
conda parte, che é piü importante — quindi la principale divi-
sione del dialogo — e compare per la seconda volta alia fine, do-
ve ci aspettiamo la soluzione e veniamo invece lasciati senza. Sa­
rebbe stato insulso attribúire al m otivo un ruolo cosi centrale, se
Platone non avesse inteso mostrare un vero «D é d a lo » sapiente.
Inoltre, la ingenua interpretazione di Socrate come colui che
cerca ed é «a n c o ra » prigioniero delPaporia é sconfessata nel te­
sto stesso: a differenza di Dédalo, Socrate provoca contro vo-
lontá il movimento dei lo g o i; egli dice infatti: «son o sapiente
senza v o le rlo » (axcov si\d aocpós, 11 D 7). Se si preferisce far fin ­
ta di non sentire la massiccia ironía di questo passo, si dovrá tro­
vare, qui, piuttosto una conferma dell’ ingenuitá dialettica della
conduzione socratica del dialogo. Altrimenti, le parole cítate so­
no un segno sufficiente che abbiamo a che fare con qualcuno

13 Socrate é esceívoo SeivÓTepoi; xrjv xéxvr¡v, 11 D 3; Eutifrone é 7toXú xzxvix.úi'zz-


po5 toü AaiSáXou, 15 B 9.
INVERS IONE DI M AR CIA POCO PRIM A DELLA M ÉTA 175

che tiene saldamente in mano i logoi, grazie alia sua «a rte »


( t é x v 7l)-
II senso del m otivo di Dédalo e del m otivo delFinvolontarietá
della confusione del discorso trova pieno chiarimento mediante
paralleii nel M en one e nell'Ip p ia m inore. Socrate spiega nel M e -
none la differenza tra vera opinione e vero sapere, rinviandolo
alie figure di Dédalo: come queste, 1’ «o p in io n e» (§ó£oc) ha la
tendenza a «sfu g gire ». L a vera opinione diventa sapere solo
quando essa viene legata e tenuta ferma. II método per ottenere
questo é dato dalla spiegazione di una cosa pariendo dal suo
fondamento, dalla «conoscenza della causa» (Xoylct|jió<; ama?,
M enone, 97 D - 98 A ) 14. Anche nelY E utifrone non manca il « le ­
gare strettamente» 1’ opinione: Socrate darebbe qualunque cosa
perché i suoi lo g o i stessero ferm i; il farli girare intorno é certo
un’ arte di cui egli é involontariamente «sapiente» (acKpós, 11 D 7
- E l ) . A lio stesso m odo, m\Y Ip p ia m inore Socrate assicura che
egli solamente in maniera involontaria «p o rta sempre confusio­
ne nel discorso», come gli rimprovera Ippia; se lo facesse volon­
tariamente, aliara egli sarebbe «sapien te» (aoq>Ó£, 373 B 6 ). Nel
contesto dell'Ip p ia m inore la conclusione che bisogna ricavare
dall’ afferm azione irónica deH’ involontarietá rispetto a ció che
essa vuol dire — che, cioé, Socrate é, in realtá, il sapiente e il
técnico nei discorsi (ao<pÓ£ [ ~ xtyy\.y.óq] iv xoX<; Xóyoic;) — ha una
evidenza maggiore che nel passo parallelo deW Eutifrone: infatti
nelVIppia viene spiegato, con tentativi sempre nuovi, che solo
colui che é infallibile nel suo campo puó «volontariam ente»,
cioé per suo calcolo e con infallibile sicurezza, sbagliare nel co-
gliere ció che é giusto. L a stessa conduzione del dialogo operata
da Socrate é un’illustrazione di questa afferm azione e su questo
vuole attirare l ’ attenzione il passo appena citato. Solo perché
Socrate conosce la veritá, puó con passo sicuro a piü riprese « d i­
m ostrare» l ’afferm azione sbagliata, secondo cui é buono colui
che fa volontariamente ció che é sbagliato. Poiché egli sbaglia
infallibilmente il giusto, non puó farlo involontariamente 15.

14 Su5 «legare strettamente» cfr. Gorgia, 508 E s.


15 In Hoerber, P la to ’s Eutyphro ..., pp. 95-107, i citati paralleii non vengono con­
siderad, perció anche il senso del m otivo di Dédalo viene interpretato in m odo erra-
to: «P laton e allude al fatto che l ’ apparente mancanza di risultati del dialogo va
rimpr over ato ad Eutifrone, che é responsabile del muoversi in circolo della discus-
sion e» (p. 106). Eutifrone é «c o lp e v o le » dell’ esito privo di risultati, solo in quanto
176 «EUT1FR0NE»

Sullo sfondo di questi paralleli, la connessione dei m otivo di Dé­


dalo e di quello delPinvolontarietà deW Eutifrone può solo dire
che dobbiamo intendere Socrate come il tecnico, perfettamente
sicuro, dell’ arte dialettica del dialogare (SiaXeyeaöai), che cono-
sce il giusto a m otivo della sua conoscenza delle cause. Poiché
egli stesso ha «stabilmente lega to» le sue opinioni (Bó£oci) con la
conoscenza delia causa (Xofiapiò; am aç) e le ha trasformate in
«scien za» (¿TuaTfifJir]), può far «correre v ia » quelle di Eutifrone;
e, in questo m odo, lo fa passare volutamente accanto alia mèta.
Socrate dispone di un sapere piü fondante, in quanto la causa
(a m a ) si trova «p iü a fo n d o » di ciò ehe deve spiegare. N on è
una supposizione di interpreti ricchi di fantasia il ritenere ehe
«d ie tr o » ali ’E u tifron e vi sia piü di quanto viene detto espressa-
mente nel testo, ma questo è, piuttosto, Pafferm azione chiara
dei m otivo dell’ arte dedalica «in vo lo n taria» di Socrate.
Che il fare retromarcia poco prima delia soluzione faccia parte
dei procedimento dei dialettico, lo si ricava dal rimprovero di
Socrate ri volto al «sapien te» veggente: «in fa tti anche ora, pro­
prio mentre eri sul punto di raggiungere lo scopo, ti sei ritirato»
( xoíl yàp vüv £7i£.iSri h r’ oanto rjaGa aTUETpaTrou, 14 C 1-2). È stato
da tempo riconosciuto ehe Platone, qui, indica al lettore, uscen-
do dalla cornice del dialogo, che è stato detto in ciò ehe precede
qualcosa di essenziale]6. Sarebbe, però, un grave equivoco rite­
nere ehe la soluzione sia senz’ altro a portata di mano, solo per­
che le si era prossimi, e ehe quindi possa essere facilmente com-
pletata dal «lettore attento». Quanto poco questo sia vero, lo
mostra uno sguardo alle interpretazioni ehe si sono prese il com­
pito di completare la soluzione.
Per Bonitz e Friedländer essa consisteva nel fatto ehe Platone si
riferisce qui a ll’Idea dei Bene; per H . von Arnim essa consisteva
nella conoscenza che gli Dei danno solo il Bene, ma che il Bene
può essere solo render migliori gli uomini, compito in cui il filo ­
sofo deve «sostenere» gli Dei; e questo significherebbe appunto
la «san tità». Per Rabinowitz « D i o » sarebbe per Platone l’ Intel-
ligenza (vouç) e 1’ «o p e r a » che essa produce, la conoscenza delle

egli non e l ’ interlocutore adeguato per un dialogo fruttuoso; ma in nessuna fase del
dialogo la strutturazione di quest’ultimo e nelle sue mani.
16 V. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 149; Friedlander, Pla ton , II, p. 82;
W .G . Rabinowitz, P la ton ic Piety. A n Essay toward the Solution o f an Enigm a,
«Ph ronesis», 3 (1958), p. 115.
INVERSIONE Dí M AR CIA POCO PR IM A D ELLA MÉTA 177

Idee 17. È comune a queste interpretazioni l ’uso ampio di asser-


zioni m olto specifiche di dialoghi successivi, fino ad arrivare al
Filebo ed alie L e g g i,8: senza questi testi, sarebbe un’ impresa
senza speranza il voler cercare la soluzione, per quanto possa es-
sere «v ic in a » 19.
Per riassumere quanto abbiamo detto, i risultati sono i seguenti.
L o scherno dei nascondimento «es o te ric o » delia sapienza di Eu-
tifrone non è, anche in questo caso, lo scherno del nascondere in
quanto tale. Socrate, il vero dialettico, non è, da parte sua,

17 Friedländer e Bonitz, cfr. sopra, nota 1; v. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p.


150; Rabinowitz, P la ton ic P iety pp. 114-120. Le opinioni di Rabinowitz e di v.
Arnim coincidono sul concetto di filosofía intesa come vera pietä (cosa che Rabi­
nowitz non coglie, P la ton ic Piety ..., p. 115 n. 1, nella sua ansia di distaccarsi da
precedenti). L a soluzione di Bonitz non é affatto inconciliabile con questo. — Ra­
binowitz, p. 119, sostiene la propria interpretazione proponendo un’ interpretazio
ne forzata di 14 D 4-6: Socrate non vuole che vada perso niente di quello che dice
Eutifrone, vuole 7tpooá^etv xöv voöv a tutto, la qual cosa nasconde una «ambi-
guity», che, in ultima analisi, andrebbe intesa come un’ allusione all’ equazione 6zóc,
= voü<;. Invece Platone non ha la consuetudine di offrire gli accenni in forma di
puns. A l contrario, quello che nella nostra interpretazione é fatto passare per «ac-
cenno» é, invece, saidamente ancorato nella tópica della caratterizzazione del dia­
lettico.
18 Anche 1’ interpretazione di Hoerber {P la to ’s Eutyphro ...) si fonda sulla Repub-
blica, sulle Leggi e sul Teeteto. — La convinzione, espressa nelle L e g g i, che la vera
píetá é generata proprio dalla filosofía (966 E ss.), é, naturalmente, un’ereditä so­
crática, In Platone essa si fonda soprattutto sull’ opinione che l’ oggetto della cono-
scenza del filosofo é «d iv in o ».
19 Boder, D ie sokratische Iron ie pp. 63-73, in sintonía con la sua convinzione
della funzione didattica dell’ironia, cerca di trarre dal solo elenchos un contenuto
positivo. Se la scorretta comprensione d ell’ oggetto da parte dell’ interlocutore non
viene corretta esplicitamente, allora il lettore deve pensare lui stesso ad integrarla
con la comprensione effettivamente intesa (p. 70). Si pone, a questo punto, la do-
manda: é mai veramente chiaro che cosa Platone intenda in questo senso con
«com plem entare»? Eutifrone crede che la pietä serva a mantenere la casa e la cittá
(14 B 5); senz’ altro «com plem entare» é l'opinione rappresenfata da v. Arnim , P la ­
tos J u g e n d d ia lo g e , p. 150, secondo cui i! bene che proviene dagli dei puó «consi-
stere solamente nel ßeXxioix; Ttoittv» (cosa che 16 A 3 conferma senz’ altro). Ma Bo­
der, D ie sokratische Iron ie ..., p. 71, rifiuta proprio questa opinione: la questione
sulP« opera» prodotta dagli Dei é posta in termini sbagliati. — L a risposta positiva
Boder, D ie sokratische Iron ie ...., pp. 69 e 72, la trova espressa in 10 E - 11 A . (In-
tendere questo passo come «in d icazion e» che qui si trova quello che sí stava cercan­
do, é puro arbitrio: il passo non é evidenziato da nessun tipo di segnale.) Occorre
intendere il santo come ció «a lia cui ouaía compete l ’essere am ato» (p. 72). M a que­
sto non si addice anche all’ ouaía del Bene e del Bello? E questa oúaía si esaurisce
nell’ essere amata? La risposta che Boder guadagna in m odo «im m anente» non é
m olto m igliore delle risposte di Eutifrone. II fallimento di questo tentativo di inter­
pretazione indica con enfasi la necessita di andaré oltre il dialogo se lo si vuole com ­
prendere.
178 «EUTIFRONE»

pronto a comunicare ad Eutifrone piü di quanto gli spetti: egli


« f a retrom a rcia»20. II m otivo di Dédalo come elemento struttu-
rale porta con sé I’idea del «legare saldamente» le opinioni per
mezzo della «scien za» (s7cianrj[ATf^. L ’ inattendibile involontarietá
della técnica di Socrate dimostra che egli ha giá completato per
sé questo «legare saldamente». E, con ció, siamo spinti al di
fuori di questo dialogo in cui nulla sta fisso, proprio dal testo
medesimo. I riflessi delFimmagine platónica del dialettico sono
proposti con arte discreta, e tuttavia parlano una lingua m olto
chiara: solo essi ci autorizzano ad attribuire a Socrate piü
«scienza» (éTuaxrjpir]) di quanto egli ammetta. Le basi per la
comprensione dell’E u tifron e si trovano in questa «scien za» (i% i-
cmfjfjiT]) che conduce oltre, e quindi al di fuori del dialogo. P ro ­
prio per questo, V E utifron e si dimostra lo scritto di un «filo s o ­
f o » (cptXóaocpcx;).

20 II senso del m otivo del «nascondere» nelPEu tifron e guadagna in chiarezza, se


lo si confronta con Pimpiego piu facilmente analizzabile del m otivo nelPEutidem o;
non intendo, tuttavia, con questo che Pinterpretazione dt\YEutidemo costituisca il
presupposto della comprensione delTintenzione di Platone nelP Eutifrone. N on esi-
ste un criterio affidabile in base al quale decidere se Pimpiego meno esplicito «anti-
cipi» Pimpiego esplicito, o se, al contrario, esso costituisca «un rimando all’indie-
tro ». — Del resto, non si discute sul fatto che il nostro dialogo, anche nell’usuale
topica delPimmagine del dialettico e del suo m odo di trasmettere la conoscenza, e
meno chiaro dell’Eutidem o e della maggior parte degli altri dialoghi.
ÍX. «Liside»
II dialettico e i ragazzi

1. E ffe tti e clima intelleituale dei «L is id e »

Bisogna ammettere che la fmstrazione che nasce alia lettura


di questo dialogo è notevole. N o ti interpreti si sono visti co-
stretti a trasformare il loro sentimento personale di frustrazio-
ne nel giudizio «o b b ie ttiv o » che il Liside sia un dialogo non
riu scitol . Si potrebbe essere indubbiamente d ’ accordo con
questo giudizio, se fosse stabilito che la frustrazione dei vo-
lonteroso lettore è sfuggita a Platone contro il suo volere, cosi
come Socrate, se possiamo credergli, provoca confusione sem­
pre involontariamente (Ippia m inore, 373 B 6 ), e di conse-
guenza non sa nulla della conduzione del dialogo. Se il dialo­
go, invece, lascia riconoscere che la frustrazione è voluta — e
questo avviene, come si vedrà, con insólita chiarezza — , tro-
veremo non frustrante, ma deprimente, 1’ ingenuità con cui si
è giudicato il talento di Platone, ehe in questo caso sarebbe
non del tutto sufficiente2.
È ampiamente nota la grande vicinanza del Liside al Carmide,

1 W ilam owitz, P la to n , I, p. 141, parla di «lám em ele dei filosofi che giudicano
come frammentario I’ insieme». Un esempio di quest a svalutazione filosófica é in
Th. Gomperz, Griechische D enker, II, p. 308: il Liside é senza importanza dal
punto di vista del contenuto, é un «m odesto satellite» del Simposio. L o stesso
W ilam ow itz non é contento della capacita di Platone « d i presentare i suoi pen-
sieri filo s o ñ c i» (p. 141) (cosa che si suppone avvenire qui per la prima volta), e,
c o s í ritiene che, «d i contenuto teoretico» «n e l Liside non ce n’ é d aw ero m olto»

(p. 149); tuttavia, egli ritiene che chi consideri insieme form a e contenuto debba
respingere un giudizio negativo (p. 141). II giudizio di Guthrie é semplícemente
«ch e il Liside non é un successo» (A H istory ..., IV , p. 143); a sostegno egli cita
Cornford, secondo cui il Liside é «un saggio oscuro e m aldestro».
2 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 146, sostiene che l ’ aver inseguito due obíettivi:
quello della satira sull’ argomentare sofistico e quello della descrizione del pro­
prio «h a posto oneri eccessivi anche per il genio di P latone». Cfr. IV , p. 143:
«A n ch e Platone puö sonnecchiare»..
180 «LISID E »

che é stato detto suo «fra tello g e m e llo »3. Come in altri dialo-
ghi giovanili, anche qui si cerca di circoscrivere una «v ir tü », nel-
la fattispecie P «a m ic izia » (cpiXíot)4. II Liside ha in comune con il
Carmide (ma non con il Lachete, con Y E utifrone e con il primo
libro della Repubblicd) il fatto che la discussione si allontana in
m odo evidentissimo dalla virtü cercata, e solleva questioni la cui
risposta (per usare termini moderni) non sarebbe piü «e tic a »
bensi «m e ta fís ic a »5. Questo elemento comune, che non deve es-
sere trascurato, ci lascia presupporre che nel Liside e nel Carm i­
de ci imbatteremo nella stessa concezione della comunicazione
filosófica del sapere.
M eno evidente, ma forse non meno importante, é l ’ affinitá con
un dialogo di tutt’ altro genere. Socrate viene coinvolto ín una
gara a proposito dell’ arte di trattare a parole in m odo corretto
un amato (¿p(í>[jLEvo<;). Pariendo proprio da questa situazione
Platone ha sviluppato nel Fedro le condizioni generali della su-
perioritá di un’ esposizione sull’ altra. L a risposta si trovava nel
concetto di dialettica, che é un’ arte dei lo g o i e della loro utilizza-
zione psicagogicamente corretta, e, con questo, anche un’ «a r te »
dell’ amore filosofico. Per quanto il Liside non risponda alie do-
mande del Fedro con ampiezza teoretica, resta comunque legit-
tima la domanda se esso non presupponga, nel m odo di condur-
re il discorso, la stessa concezione del procedimento del dialetti-

3 H . v. Arnim , Platos Jugenddialoge .... p. 69; analogamente già K .F. Hermann,


Geschichte und System p. 443; cfr. Wilam owitz, Pla ton , I, p. 143; Friedländer,
P la to n ,11,p. 94.
4 Secondo la concezione greca, anche Pamicizia è àpzví\ tiç rj àpeT Íjç (Aristo-
tele, Etica Nicom achea, 1155 A 4). L a form a della domanda non è comunque:
«C h e cos’ é Pam icizia?» bensi: «C om e si diventa amici Puno delPaltro?» (212 A 5).
(A questa differenza aveva già accennato R. Robinson, P la to ’s Earlier D ialectic,
O xford 1953 2, p. 49: il Liside non è un dialogo su «C h e cos’é X ? » s bensi un dialo­
go su « X è Y ? » ) . La domanda centrale suona: è il Bene la prima cosa degna di amo-
re (il TcptüTov cpíXov)? Questo porta, poi, naturalmente alia domanda, non posta,
sulla definizione: che cos’ é il Bene? Che cos’ é ció che per primo è degno di amore?
5 Certamente non si tratta di differenze di principio; tuttavia c’ é un ovvio collega-
mento fra PèTiiaTr^r] toC áyaOoü del Carmide e il Tupwxov cpíXov come apxr¡ del Lisi­
de, e, d ’altra parte, non hanno nessuna corrispondenza chiara nei dialoghi citati.
Per contro, mi sembra abbia minor importanza il fatto che — come dice giusta-
mente V. Schoplick, D e r platonische D ia log Lysis, Diss., Freiburg 1968, p. 75 — il
Liside sia meno aporético e che, perianto, esso si distingua dagli altri dialoghi sulla
virtü, compreso il Carmide. Schoplick ritzene che il contenuto platónico piü ricco
del Liside sia dato in m odo «c ifr a to » (p. 77); se si considera questa possibilita an­
che per il Carmide, lo si dovrá ritenere a mala pena meno «p o sitivo ».
1LDIALETTICO E I RAGAZZI 181

co. É possibile osservare come l ’ applicazione del sapere adegua-


ta alia situazione faccia di Socrate un «am a n te» superiore? Do-
vrebbe esser chiaro che la coincidenza tematica con la situazione
drammaturgica del Fedro e l ’ affinitá strutturale con il Carmide
spingono la conversazione nella stessa direzione6.

2. L e fig u re di Ippotale, Liside e Menesseno

Per poter presentare il dialogo come discorso filosofico esem-


plare in gara con modi non filosofici di fare discorsi, Platone ha
introdotto il personaggio di Ippotale, che non prende parte alia
discussione stessa. L a scena introduttiva con Ippotale non do-
vrebbe, perció, essere presa erróneamente per un «rivestim ento»
p oético 7; essa serve, infatti, a stabilire il valore posizionale del
dialogo visto nella sua globalitá, Platone ha qui rinunciato ad
una «declam azione» (&rc£3&i£t{) di un discorso sull’ amore (¿pcoxt-
xó<; Xóyo¡;) non filosofico, quale é data nel Fedro per mezzo della
declamazione del discorso di Lisia. Tuttavia Socrate invita l’in-
namorato Ippotale a «presentare» il modo che egli ha di parlare
a Liside, o di Liside, il suo prediletto, in modo che Socrate possa
sapere se Ippotale si intende di che cosa dovrebbe dire il corteg-
giatore al suo ra ga zzo 8. II discorso dell’innamorato é cosi, fin
dalPinizio, una questione di «sa p ere» (di £7uarr¡¡Jiri). La decla­
mazione (in íh u fa ) di Ippotale puó non aver luogo, in quanto il
suo amico Ctesippo o ffre a Socrate una descrizione vivace del
suo m odo di esprimersi, oralmente o per iscritto, in versi o in
prosa, su Liside: egli celebra secondo la maniera antica delle odi
pindariche la fam iglia del suo ragazzo (204 D; 205 C-D). Con
questo scarso contenuto dei logoi erotici é chiaro che

6 Sui contatti contenutistici con il Sim posio cfr. Friedländer, Platone, II, p. 95;
inoltre Schoplick, pp. 72 s., il quale confronta anche la similitudine della caverna,
cosa che, in dettaglio, non risulta troppo ricca di risultati (é tuttavia calzante l’ os-
servazione che « il dialogo nel suo insieme é un tratto di salita nella caverna che So­
crate si propone per amore dei giovani con cui tratta nel d ialogo» (p. 73).
7 Friedländer, P la ton , II, p. 295, nota 2, rifiuta, a ragione, la concezione di v. A r ­
nim, Platos Jugenddialoge..., p. 69, secondo la quale il «rivestim ento» non avreb-
be nessun «intrínseco nesso» con il contenuto filosofico. L ’ identitá della situazione
di fondo con quella del Fedro é pero sfuggita anche a Friedländer.
8 204 E 10 - 205 A 2: xaí \j.oi í9i E7tíSei.!jocL a xaí -rotaSe. ¿TtiSeíxvudai, iva siSco &í í k í -
araaai, a XP^I ¿pacmjv 7te.pt 7tai8i>c¿jv v:p6<; auxov y) rcpói; aXXou? X¿y£i.v. — In Fe-
d ro , 236 E 3, la lettura ad alta voce del discorso di Lisia viene giudicata come ém-
Seiiji?.
182 «LISID E »

Velenchos, cui si è accennato con la domanda di Socrate circa il


sapere di Ippotale, può difficilm ente fornire risposte. Cosi non
stupisce che Socrate accantoni súbito i canti e le poesie dell’in-
namorato (205 A 9). L 'elenchos deve rivolgersi al pensiero ( 8 iá-
voia) di Ippotale (205 B 2), quindi a ció che sta «d ie tr o » le poe­
sie: Velenchos platonico pone le basi sempre a profondità mag-
giore, in quanto cerca le «cose di maggior valore» (-ripucÓTepa),
che riguardano senza dubbio le cose che sono state esposte in
precedenza, ma che, se formúlate in modo píü chiaro e piü am­
pio, risultano «d iverse». Socrate chiede, perciò, al poeta d e m o ­
re Ippotale la sua filosofia delPamore. Nella stessa maniera VE-
rotikos di Lisia era stato sottoposto alia domanda se Pautore sa-
pesse che cosa fosse Pamore (.Fedro, 259 E ss.).
Certo non ci si deve aspettare m olto da Ippotale quanto a rifles-
sione sul suo m odo di poetare; egli ignora completamente che
non si deve render presuntuoso Pamato prima di averne conqui-
stato il favore (206 A -B 9). Cosi anche Velenchos del pensiero
(Stávoioc) di Ippotale non viene portato avanti; invece Socrate si
o ffre di «presentare» lui stesso (¿telS&i£cu, 206 C 5) come si deb-
ba parlare alpamato. (Stesso scopo hanno, notoriamente, i due
discorsi sulPEros nel F e d r o 9). La presentazione, però, è qui sin
dalPinizio concepita come una correzione di quel passo falso di
Ippotale, che aveva cosparso di lodi il suo prediletto. Socrate
perciò, al contrario, mortificherá il ragazzo; che questo sia Pin-
tento, lo si ricava dalla situazione, e piü avanti verrá espresso
con maggiore chiarezza (210 E; cfr. 222 B 1-2). Questo scopo
non potrebbe essere raggiunto, se Socrate desse a Liside e a Me-
nesseno Pimpressione di aver conseguito importanti conoscen-
ze: egli deve perciò, si, condurli verso le conoscenze centrali, se
li vuole impressionare, ma, al tempo stesso, deve farli passare
accanto, se essi devono inoltre essere convinti di essere irragio-
nevoli (acppoov, 210 D 7). Ció che «in gan n a» nei suoi argomen-
t i 10, e che genera nella lettura il senso di frustrazione, è dato
dalla destinazione del dialogo ad essere una conversazione eróti­
ca esemplare che evita Perrore di insuperbire Pamato. II Liside

9 Liside, 206 C 5-7: ... íatoç av §uvaí[jLY]v aoi ÍTuSeiÇai a /pr] aÜTcõ 8taX£y£.a6at àvtt
toútcov ¿>v oútot X¿y£LV i t xaí aSeiv çacrí oe. Questa formulazione della situazione
di concorrenza dei discorsi sull’ Eros potrebbe essere accolta senza alcuna modifica
(prescindendo dal «can tare») nel Fedro.
10 A questo proposito, cfr., sotto, pp. 187 s.
IL DIALETTICO E I RAG AZZI 183

acquista, cosi, un significato fondamentale per il giudizio sui


dialoghi aporetiei: si era gia visto come conseguenza lógica del-
I’ analisi del contenuto oggettivo, sulla base di altri d ialo gh i11,
che le aporie socratiche hanno solo un senso tattico; non é mai
capitato, pero, che il testo stesso lo esprimesse con una chiarez-
za paragonabile a questan .
A causa della disparitä di forze, Ippotale, sebbene sia finito in
una posizione opposta a quella di Socrate, non é di fatto trattato
come un avversario 13. Si ripete stranamente il m otivo dell’ innal-
zamento scherzoso al ruolo di avversario di uno che non lo é af-
fatto. L ’ amico coetáneo di Liside, Menesseno, deve assumere
questo ruolo dopo il primo scambio di battute con i vari perso-
naggi. E gli viene definito un erista pericoloso che si é formato
presso Ctesippo, coetáneo di Ippotale (211 B-C). II significato di
questo m otivo appare enigmático: Friedländer credeva che M e­
nesseno impersonasse «u n o stadio piü alto di coscienza spiritua­
le » rispetto a Liside; al che Guthrie puö a ragione rinfacciare
che il contributo di Menesseno va raramente oltre un semplice si
o no 14. In primo luogo, é degno di nota che sia fatta una precisa
allusione alia pericolositä dell’ eristica; non é difficile vedere da
chi si mette in guardia: «1’ único erista di questo dialogo é Socra­
te » (Guthrie, loe. eit.). M a il rovesciamento ironico della messa
in guardia non é certo tutto. Socrate, sia pure anche solo per
scherzo, si vede nel ruolo di uno che é messo alla prova, Sara in
grado di «soccorrere» se stesso? Questo ci chiediamo sponta-
neamente, anticipando domande e terminología del Fedro. M a
giä Platone stesso le ha anticipate; dice Socrate a Liside: «bada
bene di venirmi in aiuto, se Menesseno si mette a confutarm i»
(áXXá opa ¿Taxouprjaeis15 piot, iáv [it iXiyxtw ¿

11 C fr., in particolare, l ’interpretazione del háchete di W . Schulz, Das Problem


der A p o rie in den Jugenddialogen Platos, in: A A .V V ., D ie Gegenwart der Grie­
chen im neueren Denken (Festschrift H .G . Gadamer), Tübingen 1960, pp. 261-
275.
!2 Forse oltre a M enone, 84 B, cfr. sotto p. 258 con la nota 14.
13 In 206 C 1 egli appare come colui che cerca un consiglio. Dalle parole conclusive
di Socrate 223 B 7 si ricava, perö, che egli ha superato Ippotale nel tentativo di con­
quistare l ’ amicizia di Liside: in qualche m odo essi erano in concorrenza.
14 Guthrie, A H is to ry ..., IV , p. 147 contro Friedländer, Pla ton ..., II, p. 88.
15 L ’ espressione ¿rcíxoupov 'YtYveaöai é usata come sinonimo di ßorjOstv in Leggi,
890 D - 891 A . Del resto, Platone sottolinea sempre che non ha importanza la scelta
lessicale ( Carm ide, 163 D; M enone, 87 B C; Repubblica, 533 E etc.). Spero, perciö,
che non ci si vorrá scandalizzare se, nonostante la variazione di espressione, io ri-
trovo la stessa «term in ología» del F ed ro .
184 «LISID E »

Meve^evoi , 211 B 7). Anche questa e mite ironia nei confronti


dell’inerme ragazzo ed e, al tempo stesso, qualcosa di piu. In-
fatti Liside e appena diventato «a llie v o » di Socrate, e quello
che ha appena appreso egli lo utilizzera in seguito alio stesso
modo contro Menesseno (211 A 4 - B 4). La costellazione So-
crate-Liside-Menesseno prende ancora piu corpo, se la consi-
deriamo come una variazione autoironica dei rapporti presup-
posti nel F e d ro : Socrate e il dialettico, e si rivela come tale
nell’elenchos, e per questo deve incontrare il «p erico loso »
(Selvo?, C 4) avversario Menesseno; il dialettico, pero, e anche
il maestro compiuto, che pud piantare lo g o i vivi nell’anima
del discepolo adatto che siano in grado di venire in aiuto a se
stessi e al piantatore {Fedro, 276 E 7), e cosi Socrate si assicu-
ra F «a iu to » di Liside; costui, da parte sua, crede di poterla
spuntare con Menesseno anche senza il maestro; egli ha dun-
que «ap p reso » la dialettica, ascoltando una volta sola un
elenchos. Quanto sia stimolante l ’ innocenza di quest’ idea lo
puo valutare appieno solo chi vi aggiunga la «successiva» insi-
stenza di Platone sulla lunghezza e sulla fatica della via della
dialettica.

3. Socrate nel ru olo del dialettico: la sua arte delV«ingannare»


corrisponde al significato della critica dello scritto

M a siamo davvero autorizzati a valutare Socrate «g ia q u i» co­


me dialettico in senso platonico? Secondo il suo giudizio, egli
e di scarso valore in tutto il resto (toe ptev aXXa 9 auXo$)16; tut-
tavia ha ricevuto dagli Dei il dono di riconoscere rapidamente
chi am a e chi e amato (204 B 8 - C 2). M a che cos’ e, esatta-
mente, il contenuto del suo dono divino, e lo specialista stesso
dell’ erotica che cosa ama?
Alcuni vogliono venire in possesso di cavalli, altri di cani o
dell’ oro o degli onori; il desiderio di Socrate, invece, si rivol-
ge alia conquista di un buon amico (211 D 8 - E 8 ). Abbia-
mo, qui, un «p rim o ab b ozzo» della sequenza delle tre forme
di vita in cui il posto dell’ amore per la sapienza e «a n c o ra »

16 ou cpauXot; e il «s o fis ta » M icco, 204 A 6. C io che il Liside mostra non e un


Socrate che e q>auXos, ma uno che e capace toc eiprjfjiEva cpaGXa airoSEtfai.
IL DIALETTICO E I RAGAZZI 185

occupato da quello dell’ amore per l ’ amico? 17. Socrate consi­


dera fortunati i due ragazzi Liside e Menesseno perché hanno
raggiunto «rapidamente e con facilita» in cosi giovane età il pos­
sesso deU’ amicizia (212 A 2-3); il che non suona m olto diverso
dal suo elogio per la rapida e facile acquisizione délia «sapien-
z a » (croqua) da parte di Eutidemo e D ionisodoro (Eutidem o, 273
D 9; 303 C 5; E 6 ). M a non è questo Túnico rimando al fatto che
P «a m ic izia » (cpdtot) che egli cerca è di un tipo diverso dalTamici-
zia dei ragazzi. N el contesto della «am icizia per il Bene» (<piXtoc
xoö àyaÔoõ, 217 E 9) Socrate spiega che «am ano la sapienza»
(cptXo-acKpeCv, 218 A 3) solo coloro che non la possiedono ancora.
Già prima aveva detto che coloro che amano la sapienza a causa
della reciprocità delTamore non possono dirsi «filo s o fi» ( 9 1 -
Xó-aoçoi) fintanto che non siano ricambiati con l ’ amore da par­
te della «sapienza» (awpta, 212 D 7-8). Ció su cui si incentra tut-
to il desiderio di Socrate che rapporto ha, allora, con Socrate
medesimo? È per lui veramente ben disposto (cpiXov)? Il termine
indica anche ció che è proprio, personale; «n o s tro » (rjjJiéT&pov) è
solo ció che cogliamo spiritualmente, «a ltru i» (àXXóxptov) è ció
che non comprendíanlo (210 A 9 - C 4). « P r o p r io » (otxetov) è ció
che è «a m a to », cui si rivolgono ogni nostro amore, ogni nostra
amicizia e ogni nostro desiderio (211 E 3), e il «prim o am ico»
(rcpwxov cptXov) è il Bene quale Principio ultimo (apx^), méta di
tutte le altre amicizie (219 C-D ; 220 B, D - E )18. L ’ amici-

17 N on si vorrà negare che l ’ amore per i cavalli e per i cani fa parte délia form a di
vita del cpiXoxpV]tJi.on;oç, ovvero del ßio<; àTuoXaucmxoç. La menzione di questi scopi
del desiderio inutili, accanto a xpuatov, ha lo scopo di far risaltare con minore evi-
denza la triade ehe ne sta alla base «denaro - onore - cptXia ( = cpiXoaocpta)». Questo
camouflage è riuscito perfettamente a Platone: i commentatori saltano il passo, co­
rne se si traitasse di un collegamenio casuale (cost, ad esempio, Schopück, D e r pla­
ton is ch e D ia lo g ..., p. 28; Friedländer, Pla ton ..., II, p. 88; il passo manca anche in
A .J . Festugière, Contem plation et vie contemplative chez Pla ton , Paris 19503 e R.
Joly, L e thème philosophique des genres de vie dans l ’A n tiqu ité Classique, Bruxel­
les 1956).
18 Guthrie, A H is to ry ..., IV , p. 151, n. 3, considéra «un brutto scivolone da parte
di von A rn im » il fatto ehe questi abbia sostenuto ehe il Kp&zov cptXov venga défini-
to in 220 C corne il Bene. L ’ àyaôov, introdotto per la prima volta in 220 B, sarebbe
cio ehe è buono per un altro scopo, e in 220 D E Socrate direbbe anche ehe il 7tpôo-
tov cptXov non sarebbe affatto simile a questo. Guthrie sembra perciô riferire tou-
tCHç, 220 E 2, al Bene di cui si tratta in B 7 - D 7. Invece, àyaôov era nominato
esclusivamente al singolare, e perciô il plurale toutoiç si riferisce agli al tri yiXct, ehe
si chiamano cptXa a causa del primo cpiXov. Questo non solo risulta di per sé dalla
frase D 8 - E 2, ma anche dalla seguente frase unita con yoep: xaüxa faiv yàp cpiXou
186 :LISIDE»

zia cercata da Soer ate è, cosi, «am icizia dei Bene» (çiXíoc toô
àya0oú). Egli vuole far «suo p ro p rio » il Bene, e questo fa la sua
«am icizia » (tpiXia) per la «filo s o fia » (cptXoacxpía), poiché è dav-
vero proprio dell’ an im a 19 solo ció che è accessibile alla sua in-
telligenza (voû;). Abbiam o, cosi, un buon m otivo di chiamare
Socrate, desideroso di amicizia, col nome di rappresentante del­
la «v ita contem plativa» (ßtoç 0 &6 )p7]Tt,xóç), di vero e proprio dia-
lettico. Ció a cui egli si rivolge come amante in senso totale
(ttocvu epcùXLxô);, 211 E 3) non sono amici umani che lo ricambie-
ranno con l ’ am ore20, bensi è il Bene come origine ultima. Par­
iendo dalPoggetto del suo amore, si spiega anche la sua capacità
di riconoscere gli amanti: essa non è altro che la capacità del dia-
lettico di trovare l ’ anima « a ffin e » alla filosofía, l’ anima adatta
(cj)U%T] 7rpoar¡xousoc) 21.

ïvtxa (píXtx xéxXrjiai. Il falto che ció che è «veramente caro» (to õvu cpíXov) si è
mostrato corne ció che è caro «a causa di una cosa odiata» (E 3-4) rimanda a D 2,
dove del Bene è detto che lo amiamo « a causa del m aie», Questo rimando alPindie-
tro in avÊ-cpocvr) (E 4) implica Pidentità di cryocöov e di rcp&rov yiXov. Il «brutto scivo-
lon e» si trova in Guthrie.. Se si accetta, inoltre, che la concezione per cui il Bene vie­
ne amato «a causa» ovvero «in grazia» del maie ( 8 ià xô xaxóv D 2; E
4 — il passaggio non logico fa parte dei coscienti «in ga n n i» d e r dialogo) viene
espressamente ritirato (220 E 5 - 6 ; 221 D 1) — , si 'ottiene la verità fondamentale di
Platone in tutta la chiarezza desiderabile: il upioxov cptXov è il Bene, a causa sua si
ama ed è Púnico vero «c a r o », fonte di tutti gli altri cp(Xa.
19 Non è un caso che il termine c[ii>xïj (222 A 3) cada subito dopo iî collegamento di
parentela con l ’ oggetto dell’amore (otxeîoç xw Ipcofxivo), 222 A 2) e dopo la separa-
zione da quello (ou ccv xt àcpouprjica, 221 E 2): si tratta, evidentemente, della «p a ­
rentela» delPanima con il m ondo divino delle Idee, della sua «antica natura» per-
duta (R epubbiica, 611 E 2 e D 2). K. Glaser, Gang und Ergebnis des Platonischen
Lysis, «W ien er Studien», 53 (1935), pp. 60-63, ha commentato con grande chiarez­
za che cosa implichi, per Platone, l ’ idea della «parentela» con Toggetto della cono-
scenza. Cfr. anche Schoplick, D e r platonische D ia log ..., pp. 60-63 (ampiamente
sulla scia di Glaser).
20 Naturalmente, Socrate conquista anche gii uomjni: alia fine del dialogo egli
stesso si conta fra gli amici dei ragazzi (223 B 7). M a come si conquistino gli amici è
detto da lui nel discorso protrettico a Liside: diventando «sapienti» (210 D 1), e
quindi non cercando, allora, Pamicizia degü uomini. L a sapienza dei poeti, secon-
do i quali D io stesso fonda Pamicizia (214 A 3-4), ha anche un preciso senso plató­
nico: il «d iv in o » mondo delle Idee unisce gli uomini, che, filosofando, mirano alia
ójjLoícúaiç ôecõi. (Sul rapporto deîP «am icizia per la cosa» e delP «am icizia per le per­
sone» cfr. v. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 62; Glaser, Gang und Ergebnis
pp. 60-63; Schoplick, D e r platonische D ia log ..., pp. 62, 67 s.).
21 Si chiarisce, qui, anche la questione, una volta dibattuta animatamente, se il L i ­
side vada contato fra i dialoghi sulPEros oppure no. Per von Arnim , che si è oppo-
sto soprattutto all’interpretazione «e ro tic a » del Pohlenz, Aus Platos ..., pp. 365
ss., il Liside non ci fa «presagire nulla delPerotica del Simposio e del Fedro» (p.
40). Questo è giusto in ogni caso nel senso che, pariendo soltanto dal Liside, non è
IL DIALETTICO E I RAGAZZI 187

D ove si mostra, allora, Tarte dialogica del dialettieo? C on for­


memente alio sco p o 22, essa si mostra nell’inganno, perché solo
cosi é possibile evitare che i ragazzi cadano nell’illusione di aver
acquisito una profonda conoscenza. L ’ «in gan n o » deve ruotare
attorno alie cose piü importanti, perché solo cosi i ragazzi saran-
no convinti che, per loro fortuna, manca loro ancora la cosa piü
importante.
Tuttavia, la sottolineatura delPimportanza degli oggetti cui si ri-
volge il pensiero di Socrate non é urgente in questo dialogo, poi-
ché il concetto, ampiamente discusso, di un «p rim o am ico»
(tep&tov cpíXov) come fonte di ogni «a m icizia » (cptXía) lascia rico-
noscere, anche senza spiegazioni ulteriori, la sua fondamentale
importanza per il desiderio di felicita délTuomo. Viene invece
piü volte sottolineato il fatto che la ricerca del cpíXov non rag-
giunge mai il suo scopo: « c i siamo sbagliati», viene detto una
volta (213 E 3); poi si parla di un «esser vittima di raggiri e in-
ganni» da parte degli argomenti addotti (215 C 3-4; 219 B 6-9);
infine, Tintero discorso appare come un vino che toglie il senno:
«in fa tti siamo come ubriacati dal discorso» (¿tc&iStj oSarcep pis-
9üo^£v U7tó xoü Xóyou, 222 C 2 ) 23. La scelta di queste espressioni
rafforza Timpressione, giá trasmessa dalla messa in guardia
d alT «erista» Menesseno, che Tinganno é intenzionale. Per com­
pletare il quadro, anche il momento dell’ intenzionalitá dei con-
tributi al discorso viene poi tematizzato due volte: al giovane L i­
side sfugge involontariamente Tosservazione che tutta Panalisi
su chi sia amato e da chi lo sia, svolta con Menesseno, sia con-
dotta scorrettamente, mentre Socrate sta per commettere un er-

possibile ricostruire la filosofia sull’ Eros di quei dialoghi. M a von Arnim trascura il
fatto che Socrate vuol far vedere corne si debba parlare con un epcoptevo?, e che, co­
si facendo, egli, in ultima analisi, tratta di filo so fia . Friedländer, Platon, II, pp. 94
s., mostra, in m odo convincente, che nel Liside i ’eros platonico e presente ovun-
que. Infine, risulta decisiva la fräse secondo la quäle i'pwi, ipiXia e ¿TctÖufxia si rivol-
gono al «p r o p r io » (che altro non e se non il Bene) (221 E 4). Si comprende dalla
concezione della graduazione dei veri e propri dialoghi (Simposio e F edro) sull’ eros
che queste diverse form e del desiderio debbono avere uno scopo comune.
22 C fr. sopra, pp. 182s.
23 Subito dopo viene confutata la fräse in cui e detto che il Bene fa parte della na­
tura di ognuno ed e pertanto «c a r o » (222 C D ) — una fräse che appartiene, quindi,
al «ricavo filosofico n etto» (v. Arnim , Pla tos Jugenddialoge ..., p. 62) del Liside.
— Come giustamente osserva Schoplick, D e r platonische D ia log p. 74, nota 3,
con ¡i.e0uo|j.E.v Socrate accetta il rimprovero che gli era stato fatto ad esempio con
xapaxx£t n tW Ip p ia m inore, 373 B 4.
188 «LISID E »

rore, osservando che Ippotale puó ora vedere come si debba


parlare con 1’ amato, ma poi si controlla e interrompe il discor­
so 24. Pero il ritegno ovvero Pincapacitá di esercitarlo riguarda-
no non tanto l ’oggetto del discorso quanto, piuttosto, un’ osser-
vazione tattica del discorso. É tuttavia significativo che il m oti­
vo sia portato sulla scena due volte, e per di piü in senso oppo-
sto, e ovviamente secondo la divisione delle parti che ci si aspet-
terebbe secondo il Fedro. Chi possiede la conoscenza dell’ anima
che é necessaria per una tattica psicológica del discorso, rispon-
de ad una delle due istanze fondanti del dialettico.
Che Socrate risponda anche alia seconda istanza, quella della
conoscenza dell’oggetto, ci é indicato — oltre che dal suo ingan-
no attorno alie cose decisive — anche dalFintroduzione come
garante di un personaggio anonimo (215 C 4), che anche qui, co­
me nell’Ip p ia m aggiore, va inteso come una maschera dello stes-
so Socrate. Questo personaggio anonimo allude al filosofem a di
ravíoc-TCÓpog25, che potrebbe contribuiré grandemente alia di-
scussione, se fosse esposto nella form a in cui appare nel S im po­
sio (203 B ss.). Tuttavia il tentativo viene súbito soffocato, non
senza alludere chiaramente all’ inadeguatezza dell’ argomento
impiegato nel soffocarlo (216 A 7 ) 26.
Sarebbe perció necessario un proseguimento del discorso, pero
ad un altro livello. Perché questa non sia lasciata alia sensibilitá
del lettore, Platone fa concludere Socrate con l ’ osservazione che
egli avrebbe voluto «invitare alia discussione uno di coloro che
fossero piü anziani» 27 rispetto ai due ragazzi. Con questo si ri-

24 Si confronti 213 D 3: ioóxzi yáp [j,ot a x o v i’ «¿ to v (scil. zbv Aútjiv) excpeúy&iv tó


c ° n 210 E 2 - 211 A 1: xat óXíyou ££iíi¡JLapTov‘ ... ocveXaßov ouv ¿¡xauTÓv ?tai
£7iéa/ov toü Xóyou.
25 215 D 5: Trévrjxa xw jrXouattp ávayxá^dOai cpíXov ítvat. La formulazione genéri­
ca di reciproco amore degli opposti ricorda il discorso di Erissimaco» Sim posio> 186
B ss. (Friedländer, Pla ton , II, p. 95).
26 Socrate si rifá agli ávttXoyixoú Com e [jxOúojíxv, 222 C 2 (cfr. sopra, nota 23),
questo significa che il tema é suscettibile di sviluppi ñlosofici e che é importante. É
sbagliato, nella «con fu tazion e», il fatto che essa incominci dall’ amore reciproco di
positivo e negativo (216 B), mentre il discorso riguardava, innanzitutto, solo l’ amo-
re del povero per il ricco e dell’ignorante per il sapiente (215 D 5-7), come anche nel
Simposio Penia ama Poros, ma non viceversa.
27 223 A 1: ¿v v¿o> £Íxov &XXov fjSri xivá xcáv npeaputépcav xiveív. L a traduzione «u n
altro dei piü anziani» (Schleiermacher) é fuorviante, perché si potrebbero, in un
primo momento, contare fra i piü anziani anche Liside e Menesseno. N el ginnasio
durante le Ermee «so n o mescolati sia ragazzi che giovani» (206 D 2); poiché gli in­
terlocutor} fanno parte chiaramente dei 7uaT8 £<; — stanno ancora sotto la tutela dei
IL DIALETTICO E I RAGAZZI 189

chiede un nuovo discorso, difficilmente piü breve, e che sicura-


mente implica maggiori esigenze. Poiché se l ’ osservazione di So-
crate sull’ ottenimento «veloce e faciíe» dell’ amicizia nella pri-
missima giovinezza volesse essere un’indicazione irónica al fatto
che Liside e Menesseno non sono ancora maturi per la cpiXta fi­
losófica, cui qui si fa allusione, e che é ottenibile solo sulla «v ia
piü lunga» (¡i.axpo'cépa ¿Sos) della dialettica28, allora la chiama-
ta di un interlocutore p iü anziano — invece che, semplicemente,
di un altro qualsiasi — é, al tempo stesso, la chiamata ad un gra­
do piü alto della riflessione. M a ecco che giungono i pedagoghi
grossolani, e, «com e dem oni», trascinano via i ragazzi. L a com-
pagnia si scioglie, senza che abbia avuto inizio un ulteriore dia­
logo fra i partecipanti. M a il lettore che ha impar ato ad interpre­
tare come parte della enunciazione il «rivestimento poético»,
viene congedato con l ’ inform azione definitiva che il sapere filo-
sofico decisivo dell’ origine come prima cosa degna d ’amore é
stato considerato solo in una «situazione di inebriamento», e
quindi secondo un’ ottica sfocata; ma il suo contenuto vero e
proprio é stato tenuto fuori dal discorso con ben precisa inten-
zione, ed é stato riservato per un’ altra occasione29.

pedagoghi — , il successivo interlocutore dovrebbe essere un veavíaxoo II senso del


passo é: «un altro, e precisamente uno di quelli di eíá piü avanzata». (Sull’uso di
aXXo; cfr. Kühner-Gerth, Ausführliche Gramm atik der griechischen Sprache, II, 1,
1898 3, p. 275, nota 1).
28 A proposito di 212 A cfr. sopra, pp. 184ss.
29 Come sempre, anche qui si offre 1’ alternativa dell’interpretazione «irón ica »: so­
lo colui il quale non ha capito che, fra le righe, «indiretíam ente», è stato accennato
tutto ció che era essenziale, si aspetterá dell’ altro. Come sempre, anche qui la spie-
gazione per mezzo di ció che è stato detto «indiretíam ente» rimanda, per essere in-
teramente plausibile, únicamente al ricorso (non riconosciuto) a pensieri che, altro-
ve, sono comunicati direitamente: senza la conoscenza della Repubblica, del Sim­
p o s io , del Fedro l ’ affermazione che nel Liside è «com un icato» qualcosa — e che,
anzi, non si tratta piuttosto della relazione di una ricerca senza meta che si conclu-
de nel ridicolo (223 B 4) — sarebbe niente piü che una testimoriianza di fantasie le-
gate ad idiosincrasie.
X. «Carmide»
II g i o v a n e e i l «cattivo ricercatore»

1. L a voluta discrepanza fr a azione e risultato teoretico del


dialogo

A lla fine del Liside Socrate voleva «invitare alia discussione uno
fra quelli che fossero piü anziani dei due ragazzi». Questo é
esattamente ció che egli fa nel Carmide. Se il discorso sulPamici-
zia si era concluso con la sottolineatura delPindipendenza non
ancora ottenuta dagli interlocutori di Socrate, il discorso sulla
temperanza inizia, invece, con il riferimento al fatto che il per­
sonaggio da cui prende il titolo il dialogo Carm ide, non é piü un
ragazzo ed é «g iá un giovan e» (¡Jisipáxtov, ve-avíaxo^, 154 B 5; D
1). Mentre la conversazione con i ragazzi Liside e Menesseno era
stata interrotta da un intervento di estranei, in cui gli innocui pe-
dagoghi si intromisero «com e dem oni» (¿Sotie-p 8 aí¡j.ov£<;) — o,
per diría con riferimento al testo del Liside, come oscuri «d em o ­
n i» (Saí^ove^) ostili — , il discorso con il «giovan e Carm ide» si
conclude, invece, con la libera decisione di quest’ultimo di met-
tersi a lungo in compagnia di Socrate per diventare «tem peran­
te », e con questo, diventare felice, ossia, per diría con termine
greco, un buon-demone, eu-Saípiwvl . L a relazione antitética fra
le situazioni dei due dialoghi é manifesta. II Carmide, allora, é il
proseguimento della ricerca filosófica, cui si fa allusione nel L i ­
side, con un interlocutore piü maturo e ad un livello piü alto? 2.

1 Socrate a Carmide: ... ocwTrep afoçpovéatepoç &Í, toaoúxqj sívai xaí eu8ou[j.ové-
cxepov, 176 A 4-5. N el dialogo si era in precedenza cercato di spezzare il nesso fra
sophrosyne e «fe lic itá » (173 A -E , a proposito del quäle cfr. sotto, p. 205).
2 La domanda non ha intenti cronologici. Se si dovesse mostrare operante, in en-
trambi i dialoghi, la stessa immagine, consistente, della dialettica, che ritroviamo
nel Fedro e nella Repubblica, allora dovrebbe risulíare chiaro che, per Platone,
non puó aver avuto grande importanza quale parte del grande quadro complessivo
egli ha, per prima, messa per iscritto. L a datazione dei due dialoghi in rapporto Tu­
no con 1’ altro non si puó stabilire con sicurezza. Per quanto riguarda la daíazione
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICER CAT ORE» 191

N on dobbiamo aspettarci troppo in tale direzione: a questo ci ri-


chiamano non solo il pensiero basilare della critica dello scritto e
non solo il sapere che anche « i gio van i» (e non soltanto i ragaz-
zi) sono ancora m olto lontani dall’ essere maturi per la dialettica
platónica; non solo, dunque, ci richiamano a questo il Fedro e la
R ep u b b lica 3, ma anche il dialogo di cornice dello stesso Car m i­
de. N on si tratta, fin dalPinizio, che di un dialogo preliminare,
che deve stabilire se il giovane Carmide é un destinatario adatto
a ricevere la medicina che Socrate da ad intendere di aver in ser­
bo 4. Egli lo sarebbe, se possedesse giá la virtü della «temperan-
z a » 5. L a prova non raggiunge lo scopo: poiché non risulta chia-
ro che cosa sia la temperanza non é nemmeno possibile dire se
Carmide la possegga (176 A 6 - 8 ). Questo non gli impedisce di
offrirsi a Socrate per «fa re l ’incantesimo» della sua anima, cosa
di cui, pero, necessitano coloro cui manca ancora la virtü cerca-
ta. La prova ha portato, tuttavia, contro ogni apparenza, ad un
risultato chiaro, e, precisamente, chiaramente negativo, per
Carmide. E questo risultato indica la collocazione.anche della
conversazione precedente: essa era tutt’ altro che il raggiungi-
mento di mete elevate, ma era, piuttosto, solo il primo passo

assoluta del Carmide, e stata proposta giä da vari autori, ehe hanno addotto d iffe ­
rent! m otivi a sostegno, la datazione «ta rd a » degli anni 80 del IV secolo, non lonta-
na dai dialoghi «m etafisici» del periodo di mezzo, che Kahn sostiene come novitä
«eretica » (C h.H . Kahn, D id P la to W rite Socratic Dialogues?, «Classical Quar­
terly», N.S. 31 [1981], pp. 305-320); a proposito dei vari autori di cui si e detto,
cfr., ad esempio, B. Witte, D ie Wissenschaft vom Guten und Bösen. Interpretatio­
nen zu Platons «C h a rm id es», Berlin 1970, pp. 42-46; G. Müller, Philosophische
D ialogkunst Platons (am Beispiel des Charmides), «Museum Helveticum », 33
(1976), pp. 129-161 (il Carmide «n on e necessariamente un dialogo giovanile», p.
160).
3 Secondo il programma della Repubblica, 537 B ss., la scelta dei futuri dialettici
ha inizio fra coloro i quali hanno superato il trentesimo anno di etä; dal cinquante-
simo anno essi entrano nella fase finale decisiva (540 A ).
4 156 D - 158 E. II significato della metafora della «m edicin a» e deir«ihcantesi-
m o » verrä spiegato in m odo piü dettagliato alia fine del presente capitolo.
5 II significato di awcppoauvr] non e reso in m odo adeguato da nessun termine tede-
sco. Per il momento ci atteniamo al termine che tradizionalmente si utilizza nella
traduzione: «avvedutezza». La nostra interpretazione rivelerä che la sfumatura che
piü si aw icina a quello che Platone intende dire con questo termine e «autocontrol-
lo » , controllo cosciente delle proprie azioni. (Guthrie, IV , p. 157, nota 2, fornisce
una lista trilingue di possibili traduzioni.) [Anche in lingua italiana non c ’e un ter­
mine corrispondente. Comunemente si utilizzano, per la traduzione, i termini «sag-
gezza» o «tem peranza». Abbiam o preferito quest’ultimo che, tra l ’ altro, corri-
sponde ad «a u tocon trollo»].
192 «CAR M ID E»

di un lungo discepolato. Con questo la decisione di Carmide,


considérala dal punto di vista deílo svolgimento delPindagine, é
notevolmente paradossale, e il paradosso é dipinto a forti tinte.
Da un lato, il rivolgersi a Socrate é presen tato addirittura come
una conversione: egli lo vuole «segu ire», «n o n vuole lasciarlo»,
e vuol seguirlo « d ’ ora in avanti»; Socrate dovrá «incantare» la
sua anima «o g n i gio rn o », finché gli sembrerá ben e6. L ’incondi-
zionatezza della dedizione del convertito alio straordinario mae­
stro ha un tratto quasi religioso. DalPaltro lato, Socrate si é di-
mostrato, secondo il suo proprio giudizio, un «ca ttivo ricercato-
re », incapace di esaminare alcunché in un dialogo e nessuno puó
contraddirlo quando afferm a di dire cose senza senso7. Carmi­
de, perció, si e consegnato con profondo fervore ad un cattivo
ricercatore, vale a dire: al maestro sbagliato.
Platone ci fa avvertire, qui, una forte discrepanza fra l’ azione
del dialogo, che giunge ad una conclusione priva di ambiguitá
ed evidentemente sentita da tutti come positiva, e il contenuto
teoretico che non lascia prender corpo ad un risultato chiaro e
che in conclusione si nega da sé, il che dovrebbe anche togliere
valore, di fatto, alio svolgimento positivo dell’ azione. Questa
interferenza fra «a z io n e » e ricerca teoretica pone l ’ interpreta-
zione del dialogo di fronte ad una chiara alternativa: o siamo in
presenza solo di una «ricerca» filosófica rivolta alPoggetto, co­
me ci assicura Socrate (166 C 7 - E 2), e perció noi non abbiamo
nessun m odo effettivo, di fronte alia mancanza di risuiltati (e al­
ie conclusioni scorrette) di respingere il giudizio negativo di So­
crate su di sé, e la conversione di Carmide sarebbe preoccupan-
te, per lo meno nella sua enfatica incondizionatezza; oppure noi
non crediamo a Socrate, quando si definisce un «chiacchiero-
n e», cosi come non gli crediamo quando egli si crede vittima di
un «attacco di m alattia» o quando si crede «u b ria co » (Ippia m i­
nore, 372 E; Lisid e, 222 C). A llo ra dovremo intendere la «ricer­
c a » non solo come orientata all’ oggetto, ma soprattutto come
orientata primariamente all’interlocutore, e la decisione di Car-
mide sarebbe, pertanto, del tutto giusta, anche se egli non sa an­

6 176 B 9 -. ¿o? otxoXoü0r]aovTo<, etpy), xaí ¡ir) áftoXei^of/évou. C 4: ano TocuriqaL xí\q
rj[jipac; ápíjápisvoí;. B 4: eTcáSeaOai w tó aoG oaat r¡¡jtip a t, t<x>c, ocv 9^5 aü txav¿ú¡; v / tiv .
7 175 E 6 : oioiJLat ... í\ii yaÜAOv that ^rjxrjTriv. 176 A 3: ¿Súvaxov Xóyoj óttouv Cr)-
m v . 173 A 3: olfxai ¡xív, ... XrjpeTv ji t . 176 A 3: Xfjpov. 175 A 10: oúSév izz-
pl (jaxppoaúviQi; cxoticú. C fr. 172 C 4.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 193

cora fondarla: infatti sarebbe presentato, in tal caso, il dialet-


tico in cerca di un aseoltatore adatto, dunque sarebbe presen-
tato «colu i che sa», che introduce nel discorso quel tanto di
conoscenza che lo scopo che si vuole raggiungere in quel mo­
mento richiede. Se 1’ azione del dialogo presenta tratti che sono
decifrabili solo partendo dall’ immagine del dialettico del Fe-
d ro , allora si potrebbe determinare anche la natura del sapere
che Socrate, «cattivo ricercatore», stando alia sua asserzione,
non possiede. M a azione e presentazione dei personaggi del
Carmide hanno davvero qualcosa a che vedere con il giro di
pensieri della critica dello scritto?

2. A zion e e descrizione dei personaggi nel «C a rm id e »

Socrate non incontra súbito Carmide; la sua conoscenza viene


mediata da Crizia, il cugino maggiore e tutore del giovane.
Inoltre Crizia, nel corso del dialogo, diventa il secondo interio-
cutore piü importante. A lia fine, in virtü della sua autoritá
quale tutore, egli ra fforza Carmide nel suo proposito di segui-
re Socrate. Per capire il dialogo non dobbiamo badare soltan-
to al rapporto Carmide-Socrate, bensi in egual misura al rap~
porto di Crizia con suo cugino e al rapporto di entrambi con
Socrate.
Come si rileva nel corso del dialogo, Crizia e Carmide hanno
giá parlato della sophrosyne, ossia della temperanza, dunque
proprio del tema che ora Socrate introduce; Carmide deve a
suo cugino la definizione secondo cui la temperanza consiste-
rebbe nelP«occuparsi delle proprie cose» (161 B). La media-
zione della conoscenza di Carmide da parte di Crizia aveva
chiaramente un senso simbolico: quest’ ultimo é mediatore an­
che fra la persona spirituale del giovane e quella del pensatore.
M a, evidentemente, ció che questi trasmetteva a Carmide era
patrimonio ideale socrático, dal punto di vista del contenuto.
Infatti Carmide fa capire che considera Crizia l’ autore di quel­
la definizione (162 B 11), e costui é poi anche deluso che il cu­
gino difenda male ció che ha imparato da lui (162 D ); ma, di
fronte a Socrate, Crizia nega che Carmide abbia avuto da lui
la definizione dell’ «occuparsi delle proprie cose» (161 C 2 ), il
che significa certo che egli non vuole ammettere davanti a So­
crate di aver comunicato ad altri la definizione socratica spac-
194 «C ARM IDE»

ciandola per p ro p ria 8. L a spiegazione del fatto che elementi


socratici entrino nella discussione per mezzo di Crizia, è data dai
rapporti che quest’ultimo ha avuto in precedenza con Socrate, e
di cui anche Carmide è a conoscenza (156 A 7 s.)-
In certa misura Carmide é, allora, «a llie v o » di Crizia e costui di
Socrate; a questo punto, Carmide sarebbe solo allievo, Crizia
sarebbe allievo e m aestro9, e Socrate sarebbe solo maestro. P e ­
ro Socrate sostiene di aver «im parato con grande im pegno» da
un Tracio la medicina e l ’ «incantesim o» necessário prima del
suo impiego (157 B 1; 175 E 4-5), e, di conseguenza, anch’ egli é,
al tempo stesso, maestro e allievo. Questo significa che il trio,
concepito simmetricamente, deve essere visto, al tempo stesso,
anche in un m odo diverso: di fronte alPallievo stanno i due po-
tenziali maestri, ciascuno con un diverso rapporto verso i loro
singoli «m aestri». L o svolgimento del dialogo deve mostrare chi
sia, qui, il vero maestro e chi Pallievo adatto.
Prim a ancora che egli compaia, vien detto testualmente che il
giovane deve esser sottoposto ad una prova: dopo che tutti han-
no epresso pareri entusiastici sulla bellezza di Carmide — in par-
ticolare quando questí si spoglia — , Socrate decide di «spoglia-
re » la sua anima per metterne alia prova la buona indole (154
D-E). Che anche Crizia sia messo alia prova, risulta chiaro solo
quando questi si inquieta allorché Carmide non sa sostenere la
definizione che proviene da lui (162 C); egli entra nella discus­
sione e deve d’ ora in poi giustificare direttamente se medesimo.
Socrate non si trova mai espressamente messo alia prova; tutta-

8 Müller, Philos. D ia lo g k u n s t..., p. 131. — m ¿autou rcpátteiv ha una sua prei-


storia; Platone in Tim eo, 72 A la definisce una buona vecchia espressione (H . Her-
ter ha riunito la letteratura precedente sull’origine di questo pensiero in Selbster­
kenntnis der Sophrosyne. Zu Platons Char mides, in Festschrift K a rl Vretska, H ei­
delberg 1970, p. 76, nota 3). C iö che importa non é il sapere se anche il Crizia stori-
co definiva in questo m odo Pavvedutezza, o temperanza (il «fram m en to» di Crizia,
Diels-Kranz, 88 B 41 a, é tratto dal Carmide e Müller, loc. cit., vorrebbe nuova-
mente cancellarlo), bensi il fatto che, nel dialogo, questa definizione é presentata
come socratica e viene riempita di contenuto platónico: l ’ «avvedutezza», o «tem ­
peranza», intesa in questo senso non é piü diversa dalla «giu stizia» della Repubbli-
ca, e del resto anche nella stessa opera maggiore le due virtü vengono sempre piü
assimilate Puna alPaltra (cfr. Guthrie, A H istory IV , pp. 165 s.; Müller, lo c.
cit.). £
9 Questo corrisponde perfettamente a quello che sappiamo del Crizia storico, uno
dei trenta tiranni: secondo Senofonte, I memorabili, I 2,12 egli risultava «a llie v o »
di Socrate, come autore poliédrico (frammenti Diels-Kranz, 88) egli poteva essere
un «m aestro» per i suoi lettori e, prima ancora, per le persone che egli frequentava.
IL GIOVANE E IL «C ATTIV O RICERCATORE» 195

via, come abbiamo visto, é tácitamente in concorrenza con il


primo maestro di Carmide, Crizia, e, inoltre, deve soddisfare il
tipo di insegnamento prescritto dal Tracio.
Per Carmide, la prova é relativamente facile: le sue doti intellet-
tuali — Crizia lo chiama « filo s o fo » (cptXóao<po<;) e «p o e ta » ( 7ioir}-
tixó<;) — sono giá assicurate dall’appartenenza alia famiglia che
discende da Solone (155 A 1-3). E questo non viene messo in
dubbio dal fatto che non sia ancora in grado di rispondere alle
domande di Socrate: ció é da imputarsi, invece, all’ etá (162 E 1).
Di gran lunga piü sottolineata é l ’ attitudine del suo carattere:
nella natura nobile, che egli ha ereditata10, si trova anche la vir­
tu della «tem peranza», su cui égli vuole ottenere la chiarezza
concettuale, ed essa si dimostra in m odo convincente all’ inizio e
alia fine della conversazione: egli arrossisce púdicamente alia
domanda se giä possegga la temperanza, e non puö né attribuirsi
da solo, da millantatore, questa virtu, né disconoscere del tutto
il giudizio di Crizia (158 C-D ); la sua decisione in favore di So­
crate, come stabilisce Crizia (176 B 6 ), é, ancor piü, un segno di
una «tem peranza» (aco9 po<rov7]) giá presente. Carmide risponde,
perciö, alie due condizioni che deve possedere il destinatario
adatto della dialettica platónica 11. Con una formazione pro­
gressiva adeguata — che egli desidera cominciare « o g g i» — la
sua naturale e spontanea «tem peranza» (acó 9 posó vr)) potrebbe
consolidarsi in un «sa p ere» filosofico della virtü. II successo di-
penderä dal fatto se egli si metiera davvero per sempre al seguito
di Socrate 12. L a prova, in ogni caso, lo rivela come un’ «anim a
adatta» ((¡JU^rj npoGr\xovaa).
Per la sua eta, Crizia é intellettualmente piü maturo di Carmide.
Mentre Socrate ha potuto mettere in difficoltä il giovane per

10 157 D 5 ss.; 158 B 2-5: t i 7tpo<; <jG>9 poaüvr¡v ... jrécpuxac;’ ... í y t i Se
ou-tco?. L a domanda di Socrate era: t i xrjv <t>uxfy xüyxáve. t tx> ntyvxáx;, 154 E l . —
L a costatazione della predisposizione naturale di Carmide alia avvedutezza conclu­
de I’elogio entusiástico della sua famiglia — la stessa di Platone — . II problema é,
ora, vedere quanto tale disposizione naturale si sia giá sviluppata (et ¡jív jo i rjSr]
mxpecmv, 158 B 5).
11 In 159 E - 160 A , inoltre, con £¿¡j.a0ía, i presupposti intellet-
tuali vengono sviluppati alio stesso m odo come nellaRepubblica, 503 C; cfr. Lette-
ra V I I , 344 A . L ’aspirante diventa Guy^evrii; xou írpáy^axoi; solamente se possiede
anche il carattere adeguato.
12 E noto che Carmide si affianco a suo cugino Crizia e divento membro dei
«trenta».
196 «CAR M ID E»

mezzo della indebita equiparazione di un « fa r e » e di un «a g ir é »


(161 D -162 A ), Crizia avverte il sofisma (163 A 10-12). In un al-
tro passo Platone gli fa criticare Panalogia socratica dell’ arte
(xéxvrl) in un modo che viene oggi spesso considerat.o calzante 13.
Crizia é, dunque, capace di sottili distinzioni e, considerándolo
da questo lato, sarebbe anche lui m olto adatto alia filosofía.
Le cose stanno diversamente per quanto riguarda il suo atteggia-
mento interiore nei confronti delPoggetto. L ’ ambizione é quella
che lo muove; Crizia é in collera con Carmide, perché questi di-
fende cosi male la sua definizione (162 C-D). Crizia rimprovera
Socrate di essere interessato solamente, da parte sua, alia confu-
tazione, senza considerare la cosa di cui si tratta (166 C 3-6). E
mentre egli é disposto a ritrattare qualcosa finché é convinto di
avere successo con un’ altra soluzione (164 D ), alia fine, quando
viene confutato in m odo definitivo, non é disposto, per paura di
comprometiere la sua immagine presso gli ascoltatori, ad am-
mettere che egli non sa altro (1 6 9 C 6 - D 1). Tutto questo non si
concilia con la «tem peranza» (atocppoaúvr]). A Crizia manca,
dunque, il piü importante dei due requisiti del dialettico.
Nessuna meraviglia, perció, che anche le sue conquiste intellet-
tuali, in definitiva, non portino m olto lontano. Egli viene sotto-
posto ad una prova che possiamo descrivere solo con la termino­
logía del Fedro, anche se essa non compare: i suoi pensieri fini-
scono in una confutazione (eXrfX0?) e il suo allievo Carmide
non sa difenderli; inoltre (162 D ss.), egli ha occasione «d i por­
tare soccorso» intervenendo lui stesso (ocútós X£ywv). H a egli al-
tri elementi da proporre, che vadano oltre quello che sin qui é
stato detto e lo giustifichino indicando i fondamenti?
A lP in izio, come si é detto, il suo «so cco rso » (porjGeia) ha un
successo completo: il « fa r e » non é la stessa cosa che P «a g iré » e
con questo la sua definizione di temperanza (« il fare le cose che
sono p ro p rie») viene messa in salvo, per il momento, dalle

13 165 E 3 - 166 A 2: Guthrie, A H istory ..., IV , p. 168: « É una critica giusta ed é


accettata». N on mi pare cosi certo che Platone abbia voluto formulare, qui, una
critica giustificata. Se la salute, che si puó intendere come armónica mescolanza
delle materie nel corpo, é il «p r o d o tto » (ip fo v ) dell’arte medica (165 D 1-3), allora
l ’ analogia con la temperanza non é per niente fuori posto: il «p ro d o tto » di que-
st’ ultima é la consonanza delle parti dell'anima (aufjLcpwvía, Repubblica, 432 A ).
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 197

obiezioni di Socrate14, che sconfinano quasi nella stoltezza (163


A -B ). N on va soprattutto trascurato il fatto che il dialogo rag-
giunge, con l ’ aiuto portato da Crizia al suo logos, un livello so-
stanzialmente elevato.
M a che cosa vuol poi dire «fa re le proprie cose»? Quali «cose di
maggior va lo re » (Tt[JLLWT£pa) vengono pórtate alia luce che siano
in grado di fondare la definizione, in sé enigmática (161 C 9 -
162 A 10)?
Crizia sorprende con una risposta decisamente notevole: fare le
cose proprie, o personali, non é altro che realizzare il Bene, e in
questo consiste la «tem peran za» (163 D - E).
M a é davvero cosi sorprendente che Crizia sappia aiutare se stes-
so in questo modo? Egli aveva pur sempre avuto, in precedenza,
rapporti con Socrate (156 A 8 ). E, a ben vedere, anche qui, é So­
crate a portare l ’ aiuto decisivo alia formulazione, passando dal
« b e llo » e «u tile » (163 C 3) al Bene e formulando la frase che ab-
biamo trovato anche nel Liside (222 C 4): ció che é proprio é il
Bene (163 D 2). Nella prova del presuntuoso filosofo Crizia
compaiono, come abbiamo cominciato a intuiré, le «cose di
maggior valo re» Cujjitoci'cepa) del suo maestro Socrate. Quest’ ul-
timo, perció, non intende dimostrare falsa la risposta, e infatti
rileva: « E forse nulla impedisce che tu dica la veritá» (164 A 1).
Egli sembra piuttosio voler provare quanto venga ancorata in
maniera salda nel pensiero di Crizia la risposta giusta, quanto
essa sia diventata vera conoscenza.
Si dimostra, cosi, ben presto che Crizia non sa interpretare il fa ­
re il Bene veramente come un agiré «tem p era to» e cosciente di
sé; cosi egli deve abbandonare la sua seconda definizione (164 D

14 II calzolaio saggio o temperante non fa solo le proprie scarpe ecc. (161 D 3 -162
A 8). Questo m odo di intendere la formula «fa re le proprie cose» viene rifiutata, in
quanto inadeguata, nella Repubblica, 369 E - 370 D. L ’introduzione, apparente-
mente immotivata, della parola chiave 7ió)u£, 161 E 10, mostra che Platone nel
Carmide considera la aaxppoaúvri nella stessa prospettiva della sua opera maggiore.
E la costatazione conclusiva che la acocppooúvr] non puó essere «fa re le proprie co­
se» in questo senso (ouxto, 162 A 7), mostra con sufficiente chiarezza che la corre-
zione, formúlala piü tardi, dell’interpretazione troppo letterale fa parte, anche qui,
delTargomento. V a costatato, come sempre avviene in questi casi, che, senza Pas-
serzione diretta della Repubblica, non potremmo riconoscere che la correzione pro­
posta da Crizia corrisponda in pieno all’ opinione di Platone: infatti, Socrate non si
sofferm a suIPinsegnamento semántico (163 D 5). — Cfr. sotto, pp. 204 s., a propo­
sito del secondo accenno, piü importante, alia polis.
198 «CAR M ID E»

1 ) 15: il «so cco rso » (¡3or¡0£ia), all’inizio vincente, soccombe al se-


condo round. Con ció si dimostra che Crizia non soddisfa in
maniera sufficiente il criterio del « filo s o fo » (cptXóaocpo^), e se
questo fosse l ’ unico scopo del dialogo, questo potrebbe conclu-
dersi qui. Tuttavia, con l ’ accenno al Bene « c i si dirige verso l’ e-
lemento platonico centrale» 16, e con Tesame della seconda defi-
nizione di Crizia, Socrate si é immesso da solo in certa misura
nelP esame critico (eXeyx0?)- Ció che é essenziale nella parte de­
cisiva del dialogo, che ha ora inizio, non é, perció, ^incapacita
di Crizia ad aiutare se stesso di fronte al concetto di un sapere fi-
losofico fondante, incapacita che domina in primo piano, quan-
to piuttosto gli accenni meno evidenti — e, naturalmente, si puó
trattare solo di accenni — al fatto che Socrate tiene pronti per
tutto il dialogo gli strumenti concettuali per risolvere i problemi
dalu ip osti.
In primo luogo, conviene vedere che si tratta davvero di proble­
mi che sono p osti da Socrate. Egli stesso aveva giá introdotto il
tema della «sa ggezza» (157 A 6 ), e va alio stesso m odo attribuito
a lui solo, se la discussione su questa virtü diventa una discussio-
ne sul sapere rivolto a se medesimo. Socrate pone l ’ interrogazio-
ne di Carmide sotto il presupposto che il temperante debba sa­
pere che la propria temperanza porta con sé un elemento di ri-
flessivitá (159 A 1-4). Cambiando interlocutore, egli si accerta
rápidamente del fatto che anche Crizia accetta il suo pensiero di
fondo (164 A 1-4). Cosi egli puó portarlo ad abbandonare la sua
seconda definizione: se fare il Bene (ovvero ru tile), in quanto
agiré «tem perante», deve essere cosciente di se stesso, puó tutta­
via darsi che un medico, ad esempio, che compia correttamente
la propria arte, non sempre sappia se la eserciti per l’ utilitá pro­
pria e altrui, e potrebbe, perció, esistere un «fa re il Bene» che

15 Si tratta, complessivamente, del quarto tentativo di definire la sophrosyne (do-


po «prudenza», 159 B 5; «p u d o re», 160 E 4; «fa re le proprie cose», 161 B 6). Frie­
dländer, Pla ton , II, p. 66 , non vorrebbe riconoscere T] x& v ayaöiüv n p ä ^ i 163 E
10, come un vero e proprio tentativo di definizione. Visto dalla prospettiva delPog-
getto (cioe della dottrina della virtü della Repubblica), ciö e sostenibile, poiche « f a ­
re le proprie cose» e, in ultima analisi, possibile solo grazie alia conoscenza del Be­
ne, e altro non e se non la sua realizzazione. Perö Friedländer ignora la struttura
del dialogo determinata dall’ attacco e dal «soccorso»; la formuiazione di Crizia,
163 E 10 s., non lascia dubbi sul fatto ehe egli vuole proporre una nuova defi­
nizione.
16 Friedländer, P laton, II, p. 66 .
IL GIOVANE E ÍL «C A T T IV O RICERCATORE» 199

non è consapevole di esser taie (164 B 11). A Crizia spetta, allo-


ra, il compito di concillare il pensiero socrático fondamentale
suir elemento rifles si vo délia «tem peranza» (acocppooúvr]) con
quello già precedentemente accolto, e sempre fondamentale per
Socrate, secondo cui la virtù è un fare il bene (rcpâÇiç t&v
àyaôwv): poiché Crizia non è in grado di farlo, egli rinuncia a
cio a cui il dialettico non dovrebbe mai rinunciare — Funione di
virtù e beni (àyaGa) — e opta solo per l ’ autocoscienza: la tempe­
ranza consiste, come dice il detto deifico, nel conoscere se stessi
(164 D 3-5).
A lla menzione del deifico «conosci te stesso» (yvtoGi aoanôv) se-
gue — per Socrate in un certo senso lógicamente — la confessio-
ne del suo non-sapere (165 B 5-7). Perô questo tipo di «cono-
scenza di sé», secondo l ’ interpretazione platónica 17, costituiva,
per lui, solo il punto di partenza per una ricerca di un sapere in-
crollabile sulle virtù. Cosi Socrate aggiunge al concetto di rifles-
sività il termine per lui fondamentale di «scienza»
165 C 5). Si tratta, d ’ ora in poi, di pensare la temperanza come
«scien za» consapevole di se medesima.
Socrate determina cio di cui si parla, ossia la temperanza, rifles-
sività, sapere. Come se ne parli e che cosa se ne dica non puô es-
sere lui a determinarlo da solo, se egli deve porsi di fronte a noi
come figura del dialettico: contribuiscono alia determinazione
di questo l ’ attitudine e il livello di form azione spirituale dell’ in-
terlocutore.
D opo il successo di Crizia con la precisa distinzione concettuale
di fare e agiré, e poi, dopo l ’ abbandono di quanto detto in pre-
cedenza, egli sembra ora di conseguenza costretto dalle analogie
di Socrate con la scienza (im<s'zr\[Kr¡, 165 C - 166 B) ad abbando-
nare il nuovo inizio, di cui voleva render conto (165 B 3), e si im­
punta ancora una volta su una distinzione che ritiene essenziale:
a differenza di tutte le altre scienze, la «tem peranza» o cono-
scenza di sé non ha un oggetto che sia distinto da se stessa in
quanto scienza. Socrate, pero, avrebbe cercato, con le sue ana-

17 L a tras formazione delPesortazione di A p o llo alia conoscenza di se stessi in una


ricerca senza sosta di una conoscenza sicura della virtü, cioé non piú umana e con­
tingente, é legata a tal punto alia metafísica platónica, che si esita ad attribuirla al
Socrate storico, cfr. G. Müller, Das sokratische Wissen des Nichtwissens ih den
platonischen D ialogen, in A A .V V ., D orem a (Festschrift Hans Diller), Atene 1975,
pp. 147 ss.
200 «CAR M ID E»

logie, delie corrispondenze, dove in realtà le cose dipendevano


dalla distinzione. Peggio ancora: Socrate avrebbe sempre sapu-
to la differenza, ma Pavrebbe tenuta nascosta per confutare Cri-
zia (166 B 7 - C 6 ).
Sfugge, però, al giudizio di Crizia se Socrate nasconda qualcosa
per motivi tattici per la conduzione dei dialogo, ehe cosa na­
sconda, e, inoltre, quale possa essere il m otivo vero di una tale
tattica. È però indicativo il fatto che in generale venga mosso il
rimprovero delPintenzionale trascurare un sapere fondato. So­
crate tornerà su questo rimprovero.
Osserviamo ehe questo secondo ricorso di Crizia ad una sottile
distinzione — in opposizione all’ interrogatorio di Socrate ehe
apparentemente sembra voler appiattire ogni c o s a — è l ’ origine
di tutte le aporie successive. È vero ehe, secondo Platone, non è
per nulla sbagliato chiamare la conoscenza di sé una «scienza di
se medesima» (èíutoT^fxr) èauTfj;) o «scienza di scienza» (¿tu-
per diria in altre parole, è vero ehe il passag-
gio, sospetto da un punto di vista logico, dalla «conoscenza di se
stesso (com e u o m o )» alia «conoscenza di se stessa (come scien­
z a )» ]8, ha un fondamento platonico. Infatti, Ia conoscenza di se
stessí non è introspezione psicologica individuale, bensi è cono­
scenza della supremazia dell’ anima, dovuta alia sua essenza, sul
corpo, cosi come la supremazia delia parte razionale delPanima
su quelle non razionali, infine conoscenza della natura origina­
ria dell’ anima che è determinata dalPaffinità dell’ anima razio­
nale con il mondo delle Idee. II soggetto di questa conoscenza
della natura dell’anima è però l ’ anima razionale stessa.
Nondim eno è fuorviante dire che la «tem peranza» (atotppoauvr]),
in quanto conoscenza di sé, non ha un oggetto al di fuori di se
stessa. L a struttura delle tre parti dell’ anima è una struttura
«o g g e ttiv a » che sussiste anche quando l ’ anima non è coscien-

IS 165 E 1: ¿TttCTTTÍjjLT) ... locuxoö, 166 C 3: iTcurrrjfAT] ... íau-r/jç, 169 B 6 : èmazr\[í,r\
¿7iioTf){JLriç. J. Stenzel denomino il passaggio come «logicam ente non si curo» in
Studien zur Entwicklung der platonischen D ialektik von Sokrates zu Aristoteles,
Leipzig 19312, p. 11, seguendo qui von Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 117.
Per Platone stesso non faceva nessuna differenza se indicava come soggetto di una
conoscenza la craxppocsúvT] o il awcppojv, come, sulla base dell’ uso linguistico platoni­
co, ha dimostrato in maniera convincente Herter, Selbsterkenntnis der Sophrosyne
..., pp, 74-88. La correttezza del passaggio, stando alle premesse di Platone, è già
stata sostenuta da Friedländer, P la to n , II, p. 290, nota 8 .
IL GIOVANE E IL «CATTJVO RICERCATORE» 201

t e 19 di questa, e ehe perciò F anima può scoprire come se fosse


«a ltro da sé» ( Carm ide, 166 B 6 ). E la «a ffin ità », assolutamente
decisiva, delia parte superiore delF anima con il divino e Pessere
eterno ( Repubblica, 611 E ) può essere conosciuta solo sulla base
di una conoscenza delle Idee che sono la misura di ogni oggetti-
vità e sussistenza delle cose20. M a nel momento in cui Crizia as-
sicura ehe la conoscenza di sé non ha un oggetto, egli nega Pu-
nione indissolubile fra conoscenza delPanima e conoscenza delle
Idee che, secondo il Fedro, è essenziale per il dialettico. Solo
partendo da questo presupposto sbagliato, Socrate può rendere
plausibile a Crizia che non esiste affatto una scienza che co-

19 Questo significa l ’ immagine del dio marino Glauco, la cui «antica natura» puö
tornare ad essere riconoscibile solamente allorche vengano eliminati i muschi e le
alghe che lo ricoprono (Repubblica, 611 DE).
20 I nessi, qui solo accennati piuttosto che descritti, vengono esposti con estrema
sinteticitä da Stenzel, Studien, zur Entwicklung p. 12, e in modo piü dettagliato
da Friedländer, P la ton , II, pp. 67-73; nello stesso senso Müller, Philosophische
D ia log k u n s t..., pp. 129 ss. II testo piü importante per spiegare il Carmide, e, se­
condo Friedländer, P la ton , II, p. 73, YAlcibiade maggiore (che egli ritiene autenti-
co); per Müller, Philosophische D ia lo g k u n s t..., pp. 133 s., 136, si tratta, invece,
del F ed ro, che interpreta la conoscenza di se stessi come domanda sulla struttura
dell’ anima (230 A ), e nel m ito dell’ ascensione delle anime al luogo ultraceleste, in
cui la sophrosyne e nominata fra gli oggetti della conoscenza (247 D - Müller tra-
scura, comunque, la differenza oniologica fra anima e Idea). Oltre a questi testi,
mi pare importante soprattutto anche Repubblica, 611 A - 612 A , secondo cui la
natura vera, originaria, delPanima viene riconosciuta solo se si guarda aüa sua <pi-
Xoaocpia e alla sua frequentazione dell’ eterno (611 E 1-3). La conoscenza delle Idee
e, quindi, la condizione della conoscenza di se stessi. Poiche la natura originaria
dell’anima e concepita come una condizione etica di purezza, questo passo, anche
se non compare il termine sophrosyne, costituisce, al tempo stesso, il collegamento
alla conoscenza di se, intesa come perfezionamento nelle virtü (cui si fa brevemente
cenno in 611 C 5). — K. Oehler, D ie Lehre vom noetischen und dianoetischen D en ­
ken bei Platon und Aristoteles, München 1962, a p. 108 egli ha visto una «funesta
semplificazione» nella giustificazione del passaggio da ¿7tiax%r| eau-coö a £7ucrTri|ji-7]
eao-rfj^, poiche, nella conoscenza della struttura oggettiva dell’anima da parte del-
l ’ anima, «soggetto e oggetto non sono identici». Rifacendosi a Bonitz, Platonische
Studien, p. 236, Oehler spiega la scienza della scienza: «C iö che qui improvvisa-
mente eolpisee la vista e che altrettanto improvvisamente viene respinto come as-
surdo e esattamente ciö che costituisce la moderna comprensione del mondo, ossia
la soggettivitä che fonda autonomamente se medesima e il m ondo» (p. 109). E perö
chiaramente inadeguata l ’ asserzione che la i%iGzr\[i.r\ venga respinta:
Platone impedisce attentamente che questo accada di fronte alla forza (apparente)
degli argomenti (168 A 10-11, E 3-169 A 1). E Herter ha mostrato (Selbstverständ­
nis der Sophrosyne ..., pp. 74-88) che la supposta «funesta semplificazione» e una
funzione nel!’ uso linguistico di Platone. Contrari alle tesi di Oehler sono anche
Witte, Die Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., p. 117, nota 23; Müller, P h ilo ­
sophische D ia log k u n st..., p . 135, nota 4 e p. 140, nota 8 .
202 «C AR M ID E »

nosca se stessa (167 B -169 D ); ehe poi, se esistesse, non potreb-


be conoscere cio ehe uno sa e ciò ehe uno non sa (169 D -172 C ),
e ehe, in terzo luogo, se essa anche possedesse la conoscenza (so-
cratica) dei proprio sapere e non-sapere, non contribuirebbe af-
fatto alia felicità umana, poiché non avrebbe la scienza del Bene
e del M ale (172 D - 175 A ).

3. L a conduzione del dialogo da parte di Socrate e il «grande


u om o» (¡xéycíç ávrip)

Socrate, d ’ altronde, non si rivela come dialettico, spiegando co­


me la dialettica, in quanto scienza delPanima, delle Idee e del
Bene, possa conoscere e fondare se stessa come scienza in forza
del suo aggancio al Principio (àp/rj), come possa, di conseguen-
za, giudicare le altre scienze e attribuire ad esse il loro giusto p o ­
sto nelPuniverso delle scienze e nell’educazione nello Stato mi-
gliore, e come, al tempo stesso, essa possa dare alPanima la co­
noscenza della propria natura spirituale, e, cosi f acendo, darle
giustizia e temperanza, bensi egli si rivela dialettico semplice­
mente mediante il m odo e la maniera in cui conduce l ’ inadatto
candidato Crizia vicino a questa conoscenza, e lo fa passare
oltre.
Con la stessa sicurezza con cui aveva introdotto i concetti con-
duttori di «tem peranza», conoscenza di sé e scienza, Socrate
amplia ora la ricerca e colloca il concetto di Crizia di una scienza
della scienza in un quadro piü ampio ponendo questo problema:
può forse qualcos’ altro dalla «scien za» riferirsi a se stesso, ad
esempio la vista o l ’ udito e, in generale, le percezioni o i deside-
ri, la volontà, la brama o 1’ opinativo ritenere vero (So^áÇsiv)? Si
vede subito che Socrate fa rientrare nel paragone con sguardo si-
curo l ’intero ambito delle facoltà delP anima (167 C - 168 A );
tuttavia qui non compare il termine «a n im a » che fonda Punità
degli esempi addotti. Invece, si prosegue oltre Pambito delPani­
ma, per arrivare a quello concettuale: possono i concetti di rela-
zione come metà, doppio, di meno, di piü, riferirsi a se stessi
(168 B-C)? Sebbene anche questi esempi contraddicano il riferi-
mento a sé stessi, Socrate evita di trarre la conclusione analógi­
ca, ossia ehe « d i conseguenza non può esistere una “ scienza del­
ia scienza” » , bensi amplia ancora una volta la domanda: di tut-
te le cose (xaxà Travxtov) bisognerebbe spiegare in m odo adegua-
to se esse possano rivolgere verso se stesse la loro capacita (Súva-
IL GIOVANE E IL «C ATTIV O RICERCATORE» 203

(its), e solo allora sarebbe possibile giudicare se la temperanza


possa essere «scienza della scienza». Spetterebbe, comunque, a
«un grand’ u om o» portare a termine un compito cosi vasto, e
Socrate non se lo affida; e, poiché nemmeno Crizia é in grado di
portarlo a termine, esso viene rimandato « a un’ altra vo lta » (168
E -1 6 9 D ).
Platone ci comunica chiaramente che la questione centrale del
dialogo viene qui formulata e non trattata. Ci comunica chiara­
mente anche il m odo in cui essa potrebbe trovare la risposta: si
richiede un’ analisi categoriale globale, che possa indicare non
solo le capacita dell’ anima, ma anche la struttura concettuale
« d i tu tt o » 21. In terzo luogo, é chiaramente definito anche il si-
gnificato superiore di queste «cose di maggior valore» ( t i ¡ju<ót£-
pa): solo un «grande u o m o » (169 A 1 - 2) potrebbe fornire que­
ste cose di maggior valore.
M a risulta chiaro se davvero esse possono venir fornite? Esiste
in generale il «grande u o m o » (piyo^ ávrjp)?
Tra le cose di cui si dovrebbe stabilire, in primo luogo, la possi-
bilitá vi é anche il movimento che muove se stesso (168 E 9).
Da sempre si é visto, in questo, la definizione platónica delPani-
ma, che mantiene la sua validitá dal Cratilo e dal Fedro fino al
Tim eo e alie L e g g i22. L ’ inclusione cifrata del concetto filosofico
di anima — anche qui il termine «a n im a » non compare — é una
allusione, che va oltre i confini del dialogo, al fatto che non ci si
deve attendere solo in futuro il «grande u om o». Una critica di
vedute limítate potrebbe rimproverare a Platone il fatto che egli
attesti, qui, la grandezza del suo contributo filosofico; ma que­
sto non sarebbe un contro-argomento da prendere sul serio 23.

21 G. Bloch, Platons Charmides. D ie Erscheinung des Seins im Gespräch, Diss.,


Tübingen 1973, p. 121, ha notato che qui si esige una analisi ontologica «integrale e
universale» — cioe la dialettica platonica come e tratteggiata nella Repubblica, VI/
V II e nel Fedro.
22 C ratilo, 400 A ; Fedro, 245 E; Tim eo, 89 A ; Leggi, 894 C ss. Guthrie, A H istory
..., IV , p. 171, ritiene opinabile il collegamento al concetto platonico di anima;
Bloch, Platons Charmides ..., pp. 118 s., vorrebbe limitare il movimento, di cui qui
si intende parlare, al solo movimento corporeo; Müller, Philosophische D ialog­
kunst ..., pp. 149 s., atetizza quelle che, a suo avviso, sono «parole che dal punto di
vista stilistico sono estremamente disturbanti»: xat exl ye xiv7|at£ ocutt] eau-crjv xi-
veTv, xai 0£p|ji6xri? xaei.v, 168 E 9-10.
23 L ’ auto-elogio indiretto di Platone risulta molto contenuto in confronto all’ elo-
gio diretto e quasi esagerato della sua famiglia 157 E - 158 B. L ’interpretazione di
[jitya? avrip in riferimento a Platone e sostenuta, ad esempio, anche da Witte, D ie
204 «CAR M ID E»

Considéralo da un punto di vista interno al dramma, Socrate


dovrebbe essere eertamente il «gra n d ’ u om o». Per analogía con i
suoi ampliamenti continui della domanda in contesti sempre piü
vasti, egli dovrebbe puré conoscere Panalisi dialettica globale
della veritá a cui infine mira; come potrebbe, se no, guidare ver­
so di essa in m odo cosi risoluto, e che cosa potrebbe spingerlo
ad evitare, in maniera evidente24, le conclusioni analogiche ef-
fettivamente attese sulla non esistenza della «scienza della
scienza»?
II passo successivo del dialogo mostra súbito che il sapere di So­
crate ha qualcosa di particolare. Qui il «sapere di sapere» viene
inteso ancora, dapprima, come un socrático mettere alia pro-
va 25 il sapere proprio ed altrui, il che sembra allontanare dal lin-
guaggio promettente del «grande u o m o » e condurre alia mode­
sta confessione del sapere del proprio non sapere. M a proprio
immediatamente dopo questo, la stessa prova socratica del sape­
re é presentata come un sapere «dom in ante», che attribuisce alie
altre form e del sapere il loro posto e che é in grado, cosi, di ren-
der felice la Polis (171 D 2 -172 D 5). Come possiamo arrivare a
immaginare Socrate, col suo interrogare volto a mettere alia
prova, a capo di uno Stato e, per giunta, di uno Stato in cui tut-
to si svolge «senza errori» (171 D 6 , E 7)? Evidentemente, Plato-
ne ha trasformato, senza avvisarci* Pinterrogatore, motivato re­
ligiosamente, in un filo so fo dello Stato ideale quale lo descrive
la Repubblica. E la garanzia delPeccellenza di questo Stato con­
siste notoriamente nel fatto che i governanti sono coloro che
hanno raggiunto la conoscenza del Bene.
Platone si affretta súbito, tuttavia, a suscitare scetticismo nei
confronti della breve visione del sapere dominante dei re-filoso-
fi. Forse la «tem peranza», nota Socrate, é stata concepita in ter-
mini troppo grandiosi (172 B 8 - C 2). Infine, é emerso anche
qualcosa di negativo: il «sapere di sapere» non potra provare ció
che (in altri rami del sapere) uno sa o non sa (170 D; 171 C ); la
scienza predominante che rende felici non esiste (172 A 7). Ci si

Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., p. 123, e da Bloch, Platons Charmides
p. 122 .
24 168 A 10: jrriSev yap ttco SuaxupiC^I^Qa oux eaxiv, 169 A 1 ... tois ¡xev ootl-
crtiav < av > mxpaaxot, Xaoiq öe naiv ou. D opo quello che precede sarebbe consen-
tita solo la prima posizione.
25 Cfr. in particolare 170 D 5: aXXov ... aaai cpaaxovxa t i iiziaxaaQai.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 205

dovrebbe, pero, guardare dal considerare questo risultato alia


stregua di un dubbio da parte di Platone sulla possibilitá della
dialettica. L ’ equiparazione del socrático mettere alia prova con
il sapere superiore gerarchicamente non viene ritrattata: il dub­
bio sull’ uno metterebbe in discussione l ’ altro. Fin d&W Apolo­
gia, pero, é stabilita la realtá di un esame conoscitivo di tutte le
form e di sapere condotto da Socrate. Invece, la conclusione
scettica vuole, ancora una volta, indicare l ’ errore che portereb-
be a questa strana negazione della dialettica: essa sarebbe stata
concepita come una scienza riflessiva e del tutto priva di un og-
getto. Per contro, é importante stabilire che il sapere del sapere,
in quanto sapere concomitante, permette di conoscere con mag-
gior chiarezza, e di saper giudicare ció che si é conosciuto ri-
guardo all’ oggetto. Se pero quest’ oggetto é il Bene in quanto
«Prin cip io di tutte le cose» (apx^j 7cávT6úv), come nel caso dei go-
vernanti dello Stato ideale, allora nulla impedisce che essi siano
in grado di giudicare anche tutto quello che da quello ha origine,
e che possano, cosi, assicurare alia Cittá la «fe lic ita » (eu-
Bai.jj.ovia).
L ’ ultimo passo argomentativo del dialogo (172C - 175 A ) parla
proprio di questo sapere. L a deformante mascheratura del sape­
re filosofico viene dapprima spinta ancor piü avan ti26: anche se
il «sapere del sapere» potesse giudicare e controllare tutte le al-
tre arti e scienze, tutto si svolgerebbe, si, con perfezione técnica,
ma non ci sarebbe utile finché il «sapere del sapere» si rivolge
solo a se stesso « e a nient’ a ltro » (174 E 7). Infatti, in tal caso,
non si rivolgerebbe al nostro utile e non potrebbe, di conseguen-
za, contribuiré alia nostra felicita.
Ancora una volta, si presenta l ’ errore che é stato la causa delle
aporie fino dalPafferm azione secondo cui il compito della «tem -
peranza» é il fare il Bene: Crizia ha provato a pensare la «con o-
scenza di se stessi» come separata da ogni conoscenza di un og-
getto, in particolare dalla conoscenza che promuove ció che é
utile per noi e addirittura la nostra felicita, M a, in realtá, in che
cosa consiste tale conoscenza? É il sapere del Bene e del M ale

26 N on senza un chiaro avvertimento per il lettore: oi[j.ai ¡jxv, rjv 8 ’ XrjpeTv


173 A 3; cfr. anche 172 C 4; 175 A 10; 176 A 3; la svalutazione del risultato d el­
la ricerca ricorda, per la sua chiarezza, Y lppia minore.
206 «CAR M ID E»

(174 B 10), L a discussione é tom ata, per ció, al punto in cui é


andata fuori strada.
Di chi é la colpa di aver imboccata la strada sbagliata? So cra­
te lo sa con precisione, e dice a Crizia: «disgraziato, da un
pezzo mi fai girare in tondo e mi nascondi . .. » (174 B 11 -
12).
D i nuovo emerge il m otivo del «nascondere». Crizia era in
condizioni di nascondere il suo sapere, a proposito della fun-
zione della conoscenza del Bene? L ’ única cosa che doveva na­
scondere era il suo imbarazzo (¿7CLxaXÚ7TC6 >v tt)v anopíav, 169
D 1). H a fatto girare in tondo Socrate? In realtá, egli ha cer-
cato di fare filosofía di testa propria, ed é stato portato nuo-
vamente, da Socrate, al concetto di Bene. Come il « fa r girare
in to n d o», anche il «nascondere» come rimprovero sulla boc­
ea dell’ironico Socrate caratterizza solo il suo procedimento
che segue un piano preciso. L ’ ironia diventa pungente, perché
Socrate risponde solo al rimprovero di Crizia, per cui egli gli
nasconderebbe qualcosa di cui é pienamente a conoscenza
(166 C 3). Crizia non poteva intuiré, allora, quanto avesse ra-
gione. C osí egli deve, ora, subiré lo stesso rimprovero. E lo
deve subiré proprio lui, che era stato costretto da Socrate a
vincolarsi alPilluministico credo ottimistico per cui lo scopri-
mento dell’ essenza delle cose costituirebbe «u n bene comune
per quasi tutti gli uom in i» (xoivóv áyaGóv elvai ax^Sov ti izá-
aiv áv 0 pco7toii;, yÍYV£a^ai xaTóccpaves «coccttov tw v ovtcov ottt]
e'x£t, 166 D 4-6).
Platone ci ha detto come la pensava in proposito, nella Lette-
ra V I I, con parole che richiamano chiaramente all’ orecchio la
formulazione del Carm ide: «m a io non credo che una tratta-
zione e una comunicazione su queste cose [scih quelle di cui
io mi do piü cura] sia un beneficio per gli uomini, se non per
p och i» (áXX’ outb áv0pcÓ7rot<; riYoCfiat ttjv ¿tux^P'Ocjlv Ti^pi
au-cwv (scil.: uept eya) aTiouBá^co) X£yo(jL£vr¡v áyaGóv, e-t ¡xr)
Tiaiv oXíjoiq ..., 341 E 1 -2 ).
Di una seria discrepanza fra questa tarda testimonianza e il
«g io v a n ile » Carmide si dovrebbe parlare, solamente se P lato­
ne si preoccupasse di far sviluppare a Socrate la teoria del Be­
ne come origine. M a questo é proprio ció che egli non fa.
L ’ accenno a questo sapere da cui dipende la felicitá umana
serve solo ad aiutare ad ottenere una conclusione aporética
IL Gl OVANE E ¡L «C A T T IV O RICERCATORE» 207

per l ’analisi fin qui condotta (175 A ) 27. II discorso ritorna,


poi, alia azione di contorno, che era iniziata con la domanda se
Socrate potesse giá somministrare a Carmide la medicina che
egli aveva in serbo o se questi dovesse, prima ancora, lasciarsi
«fa re l ’ incantesimo». Anche noi siamo perció costretti a rivol-
gerci al dialogo introduttivo, inizialmente trascurato e ripreso
dopo la conclusione aporética.

4. L a m etafora del «fa r m a c o » e della «fo rm u la m agica» (cpáp-


fjtaxov e ¿7rcp8r¡) alia luce della critica dello scritto

Chi abbia compreso la critica dello scritto del Fedro e la conce-


zione del filosofare órale non avrá praticamente alcun dubbio
sul fatto che la metafora, ampiamente svolta, della «m edicin a»
e della «form u la m agica», del cpápfjiaxov e dell’ sircoSrj, e delle
condizioni della loro trasmissione tratti veramente della corretta
comunicazione del sapere filosofico. Platone stesso ha iniziato a
sciogliere la metafora, ponendo sullo stesso piano in modo deci-
samente evidente la formula magica, ossia gli «incantesim i», e i
<<bei» discorsi che generano nell’ anima la saggezza (157 A 3-6).
Questa decifrazione del primo elemento della metafora sembra,
pero, rendere impossibile quella dell’ altro, perché, se gli «incan­
tesim i» coincidono con i discorsi che generano la virtü e perció
con il filosofare nel suo insieme, sembra, allora, che per la «m e ­
dicina» non resti nessun significato filosofico sensato.
Si puó, di fatto, dubitare che esista in generale la «m edicin a»
( 9 ápfjiaxov). Crizia invita Socrate a daré ad intendere (TcpooTcouíj-
aaa9at, 155 B 5) di conoscere un rimedio per il mal di testa di
Carmide; e Socrate raccoglie Pinvito e sostiene di aver ricevuto
da un Tracio un’ erba curativa ( 9 ÓXX0 V t i , 155 E 5), il cui impie-
go é pero legato a rególe severe: solo chi lascia che la sua anima
subisca prima Pincantesimo puó essere curato con l’ erba in que-
stione (157 B 1 - C 6 ). Socrate come un curatore con le erbe: puó
sembrare una idea veramente assurda. Socrate non ha certamen-
te ricevuto in Tracia nessuna erba curativa ( 9 ÚXX0 V); tutt’ al piü,
si puó convincere di questo il giovane Carmide. E si potrebbe
leggere l ’ intera metafora, secondo lo spirito del recente antieso-

27 Cfr. an che sotto, nota 35, circa il rapporto di Carmide, 166 D 4-6 e Lettera V II,
341E 1-2.
208 «C AR M ID E»

terismo, persino come parodia delia concezione delPesoterica,


in quanto 1’uso delia «m edicin a» ( 9 áp{juxxov) viene legato a rigo-
rosi presupposti e, perciò, risulta ottenibile da pochi: solo colo­
ro che non hanno ancora dimestichezza con la filosofia possono
credere che esista un rimedio filosofico magico, il quale non ha
ancora portato a loro la guarigione di colpo e una volta per tut-
te, solo perché esso è protetto esotericamente da esperti. M a gli
esperti sanno che l ’ esistenza della medicina è una finzione
scherzosa.
Possiamo allora sottrarci, con questa interpretazione, alla né­
cessité di leggere il presente dialogo alla luce del F ed ro , scritto
m olto più tardi? Assolutamente no. Infatti, il tema della stesura
per iscritto della filosofia — e quindi il problema conduttore del
Fedro — è direitamente chiamato in causa, non pero nel conte­
sto della «m edicin a» (cpáp^iaxov), bensi in quello della «form u la
m agica» (sTccpör;) : «Trascriverò dunque la formula magica sotto
tua dettatura», dice Carmide a Socrate (156 A 1). Per Pignaro
giovane la diffusione scritta delPincantesimo è quindi qualcosa
di ovvio, proprio come per noi, oggi, è ovvia la diffusione scrit­
ta delia filosofia. Il Socrate platonico la pensa qui diversamente:
«S e mi persuadi o anche se non riesci a persuadermi?», egli chie-
de; e Carmide deve riconoscere che deve esser lasciato alla libera
decisione di Socrate stesso se egli voglia affidare allo scritto il
suo sapere, e, a f o r t io r i, anche quanta parte dei suo sapere.
M a la «fo rm u la m agica» (£7ia>8 r)) ha davvero a che fare con il
sapere filosofico? E non compare poi per iscritto, proprio nel
Carmide, nella parte principale argomentativa e precisamente
come esposizione delPignoranza di Socrate? Per fortuna il testo
è perfeitamente chiaro in questi punti: l’ «incantesim o» è qual­
cosa da cui si inizierà ormai dopo la conversione di Carmide, ed
è concepito come una comunanza di vita lunga e duratura28, co­
me tcoXXt] cuvouaía per diría con la Lettera K/7(341 C). Ed essa
generera nel P anima quella saggezza filosoficamente riflessa da
cui Carmide, anche alla fine del dialogo, è ben lontano. «Incan-
tesim o» e dialogo sono, con questo, chiaramente distinti29. So-

28 Cfr. sopra, nota 6 .


29 Che ¡'«in cantesim o» manchi ancora e stato notato anche da M üller, Ph ilo so ­
phische Dialogkunst ..., p. 159; Bloch, Platons Charmides ..., p. 30, nota 1 e p.
148; W itte, D ie Wissenschaft vom Guten und Bösen p. 60. Bloch, pp. 147 s.,
offre una buona caratterizzazione delP«incantesim o» basata sui passi relativi, e
IL GIOVANE E IL «C ATTIV O RICERCATORE» 209

crate, invece, ha già superato l ’ incantesimo, egli Tha «impara-


t o » dal suo garante Tracio dopo «m o lto im pegno» ([xexà 7coXXfjç
175 E 4; è forse quella xaXXitov otcou8 t| di cui parla Fe-
dro, 276 E 5). Se la formula magiea dell’ incantesimo non fosse
stata semplicemente una breve sentenza vuota, adatta ad essere
trascritta e diffusa, egli non avrebbe potuto «im p ararla» senza
che essa avesse esercitato su di lui il suo influsso specifico: So-
crate possiede la temperanza come risultato dei «b e i discorsi»
(xocXoi Xoyot), cioè non solo come disposizione naturale, come
avviene per Carmide, bensi come sapere filosofico delle Idee e
delPanima e perciô anche di se stessi. Perciô — secondo il suo
presupposto fondamentale (159 A ) — egli puô anche dire che
cosa essa sia e di che tipo sia. M a egli ha, allora, fornito anche i
requisiti necessari ed è il «gra n d ’ u o m o » (o il suo «d iscep o lo»)
che nella presente situazione protrettica può certo parlare solo
«nascondendo». Carmide lo intuisce: egli prende per pura e
semplice afferm azione, cui non crede affatto, che Socrate non
possa definire la temperanza (176 A 7 - B 1). Perciô insiste con
Socrate per poter diventare suo allievo, e tiene in piedi con Cri-
zia la finzione, come se essi potessero aver Socrate a loro dispo­
sizione (176 C 5 - D 5). Anche questo dettaglio è estremamente
caratteristico per l ’immagine del dialettico, a condizione che
correggiamo lo scherzoso rovesciamento dei rapporti reali a cui

non gli sono sfuggiti il rifiuto della stesura per iscritto e i paralleli della tcoXXt}
auvouaía nella Lettera V II. Bloch considera anche un’ intersezione del dialogo nar-
rato con la successiva ItcwBy), in quanto il fatto che Carmide si renda conto della
sua nécessitá costituisce «u n elemento essenziale della éi«oSr¡». N on ci sembra, a
nostro avviso, che ci siano obiezioni da sollevare in proposito: una distinzione as-
solutamente rigorosa sarebbe da aspettarsi da una dottrina segreta, ma non dal
concetto platonico del filosofare orale (cfr. anche sotto, nota 36). Anche Bloch no­
ta come sia decisivo, per la ¿7tto8 r|, Finsegnamento personale. — W itte avvicina
troppo l ’uso di ¿ftwóri fatto nel Carmide a quello che di questo termine viene fatto
nelle L egg i (659 D E; 664 B; 666 C e di frequente) e giunge, cosi, a ritenere che essa
abbia «carattere protrettico» (p. 61, nota 124). M a i Xóyoi. che generano nell’ anima
la sophrosyne (157 A 5 s.) sono necessariamente piü che protrettici. — R. Dieterle,
Platons Laches und Charmides. Untersuchungen zur elenktisch- aporetischen
Struktur der platonischen Frühdialoge, Diss., Freiburg i. Br. 1966, pp. 149 s., so­
stiene che il dialogo incentrato suWelenchos crei giá la sophrosyne nell’ anima di
Carmide e che, pertanto, sia esso stesso r«in can tesim o». Qui é evidente lä confu-
sione di sophrosyne intesa come disposizione dell’ anima con la sophrosyne della
conoscenza filosófica di se stessi; inoltre, Dieterle ignora l ’ azione del dialogo, che
va intesa come «conversion e» di Carmide, come, cioé, entrata in un processo arcó
'toum}<ri xfj? r)fjL£potij áp?áp.&vo?, 176 C 4. C fr. sotto, nota 39.
210 «CAR M ID E»

contribuisce Pironico Socrate: Paccenno alia liberta di decisione


di Socrate (che si pretende manchi) vuole richiamare alia m emo­
ria che egli decide liberamente non solo sulla diffusione scritta,
bensi anche sul compimento orale delPincantesimo corrispon-
dente alla sua valutazione delP interlocutore che gli è di volta in
volta di fronte. Con questa interpretazione delP«incantesim o»
come discorsi (Xóyot) «b e lli», cioè filosofici, che conducono
davvero alia temperanza che conosce se stessa, non occorrereb-
be fare i conti con una «m ed icin a» (cpapfAcocov) a disposizione se-
paratamente: la «m ed icin a» libératrice sarebbe il fenomeno
conseguente alP«incantesim o», non ottenibile con la forza; non
sarebbe altro che la scintilla della conoscenza che «im provvisa-
m ente» scocca dopo una lunga dimestichezza con Poggetto (per
richiamare ancora la Lettera V II) 30.
Per quanto si possa tranquilamente negare un’ esistenza separa­
ta a ció che viene indicato metaforicamente dalla medicina, re­
sta tuttavia decisiva per il Carmide la differenza fondamentale
fra ció che è già stato ora comunicato e la fondazione ad un li-
vello piú alto, che ci si deve aspettare, e la cui comunicazione
scritta e realizzazione orale non è una cosa ovvia, bensi soggiace
a condizioni intorno alie quali solo il dialettico puó dire se siano
pienamente attuate.
Questo risultato ci autorizza a chiederci, ancora una volta con
imparzialitá, se davvero «esista» la «m edicin a» (cpápjjiocxov). Si
vedrá, tuttavia, che i m otivi che hanno portato a negarne Pesi-
stenza non reggono ad un esame piú accurato.

30 Questa interpretazione non é in contrasto con Teeieto, 157 C, dove i discorsi


maieutici di Socrate sono definiti «incantesim i». Infatti anche nella Lettera V il la
comunicazione di ció che nella filosofía di Platone vi é di piü importante ha senso
solo per coloro che sanno ritrovarlo anche con raiuto di poche allusioni (341 E 3)
— quindi anche il filosofare orale di Platone avrebbe potuto essere, fino ad un cer-
to punto, maieutico. Del resto, gia il Socrate dei dialoghi deíla fase media e tarda
non si limita a proporre opinioni intelligent! senza prendere personalmente posizio-
ne nei confronti di queste ultime, come ci si potrebbe aspettare da Teeteto, 157 C 9
- D 2 — e non é quindi il caso di considerare questo passo come determinante per
1’ interpretazione del Carmide. Anche Teeteto, 149 C 9 (le levatrici impiegano in­
cantesimi ed «espedienti» ^apfj-áxia), non é utile in questo senso, e manca qualun-
que riferimento alie particolari condizioni della trasmissione. Sull’ «incantesim o»
nel Fedone (77 E s.; 114 D ) cfr. Bloch, Platons Charmides, p. 148; nelle Leggi,
W itte, D ie Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., pp. 60 s. (e sopra, nota 29).
Inoltre, «incantesim o» e «fa re incantesimi» si incontrano anche nel M enone, 80 A ;
G o r gia, 483 E; Repubblica, 608 A ; F ed ro , 267 D; questi passi non contengono pro-
spettive nuove per la spiegazione della m etafora della medicina-incantesimo.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICER CA T ORE» 211

In primo luogo: Perba curativa ( 9 ÚXX0 V) é immaginaria; ma lo é


anche il Tracio, dal quale Socrate sostiene di averia avuta. Per-
ció anche r«in ca n tesim o » é una finzione, in quanto anch’ esso
era stato insegnato dal Tracio, e perció non esistono in reaitá
nemmeno i «b e i discorsi» che generano la saggezza. E questi
Traci, i medici del dio Zalmosside (156 D 5-8), che naturalmente
non esisteva, come giá E ro d o to 31 sapeva, rendono immortali,
cosi si dice. É anche questa un’illusione pura e semplice? O é
una proiezione della dialettica platónica, che assicura la immor-
talitá a chi «filo s o fa veram ente» mediante una «assimilazione a
D io » (ójxoícüai? 9&¿ó)? Si puó ben vedere: la «m edicin a» (cpápfxoc-
xov) é talmente ben inserita nella storia di contorno, che non é
consigliabile toglierla da quella solo a m otivo di pregiudizi an-
tiesoterici moderni.
Certo, Socrate non nasconde sotto l ’ abito nessuna erba medicí­
nale tracia. M a dando ad intendere di possederla, egli diventa
un falso medico, di cui nel dialogo si parla piü volte e che non
potrebbe sussistere sotto il dominio della sophrosyne32. M a una
cosa é certa: Socrate é Púnico vero medico per la guarigione del-
Panima. Questa discrepanza fra le sue qualitá di falso medico e
di vero medico non significa obbligatoriamente che non debba
affatto esistere per la guarigione dell’ anima un qualcosa di ana-
logo ad una medicina; potrebbe anzi significare, piuttosto, che
Socrate, in quanto vero medico (delPanima), possiede proprio
quello che, in quanto falso medico (del corpo), vuole solo daré
ad intendere di possedere: il 9 áp[xaxov33.
Osserviamo il termine con cui viene indicato che Socrate possie­
de la medicina: non é «a v e r e » o «possedere» (ex&iv, x£XTf¡a0 ai),
ma «sa p ere» (¿TcíarocaGai, 155 E 3). Possedere il 9 áppiaxov é una
questione di «sapere». Osserviamo, poi, che il cpocppiaxov sarebbe

31 Zalmosside non era un D io, bensi un ex-schiavo di Pitagora che, con un trucco,
aveva destato nei Traci creduloni speranze di immortalitá: questa é, in ogni caso, la
versione dei fatti secondo i Greci del Ponto (Erodoto, 4, 95).
32 Socrate deve jipoajíonqaaaGai. ¿ jiia - r a a S a í t i X£cpaXijç cpáp[xaxov, 155 B 5; la so­
phrosyne che «d o m in a » nello Stato avrebbe dovuto smascherare latpòç ... Ttpoc-
TCQt.oú|jL£vóç xt eiSevat. o [xt) oI8 e.v (173 B 2-4; cfr. 170 E 1: ó npoGTcotoújxevoç úxxpóç).
La coincidenza nella scelta lessicale è difficilmente dovuta al caso.
33 Si noti, di passaggio, che il fatto che il farmaco non venga piü nominato alia fi­
ne non deve far concludere che esso non ci sia; dal momento che Carmide sa che
egli necessita per prima cosa deiPincantesimo, il ricorso al farmaco non sarebbe
attuale.
212 «CAR M ID E»

utilizzabile in linea di principio anche senza la formula magica e


Pincantesimo (ItccoBti). D i qui la forte sottolineatura sul divieto
di contravvenire alíe rególe della diffusione (157 B - C 6 ): Socra-
te ha dovuto giu rare 34 al suo maestro tracio di non consegnare
la medicina nelle mani di chi non si sia prima lasciato fare Pin-
cantesimo. In altre parole, senza Pincantesimo il farmaco é mu­
tile (155 E 7-8). Ed ecco che, finalmente, Pintera finzione del
Tracio e della sua fede nell’ immortalitá risulta insensata: la d if­
fusione di ció che é in sé inutile viene proibita sotto giuramento.
Ora la storiella «senza senso» é diventata, proprio grazie al det-
taglio aggiunto per ultimo, un’immagine trasparente delPesoté­
rica platónica (ugualmente «senza senso», secondo la tradizione
schleiermacheriana delPinterpretazione platónica): chi non ha
attraversato il lungo incantesimo (a chi manca la ttoXXti auvouctoe
7c£pi xó Trpayjjia a Ú T Ó ) potrebbe, in linea di principio, anche cosi
ricevere il farmaco (potrebbe venire direttamente a sapere quelle
cose di cui Platone si dava cura [Tc&pí <¿>v IIXoctwv a^ouSa^st]).
Tuttavia non deve ottenerlo (non deve sentirlo o leggerlo) per­
ché il Tracio lo ha proibito (perché Platone ha spiegato che non
esisterá nessun suo scritto in proposito); perché, diversamente
da Crizia, egli ritiene che la diffusione non sarebbe affatto un
«bene per tutti gli uom ini», e non porterebbe alcun giovamento
(oúSev o<peXo¡;) a chi non sia preparato (non abbia avuto Pincan­
tesimo), ma lo riempirebbe solo o di disprezzo o di vano orgo-
g lio 35. II farmaco non sarebbe piú semplicemente, secondo que-
sta interpretazione, la scintilla scoccata della conoscenza, bensi
ció in cui questa conoscenza si articola: le proposizioni centrali
(il nocciolo) della teoria platónica dei Principi come scienza del
Bene e del M ale, proposizioni che sono senza dubbio formulabi-

34 A proposito del giuramento cfr. sotto, nota 36.


35 Anche nel caso che noi ammettessimo che Socrate, in Carmide, 166 D, concordi
con Crizia a proposito delPauspicabilita della diffusione delle conoscenze filosofi-
che fondamentali (il testo non obbliga ad ammetterlo), non saremmo di fronte ad
una contraddizione ineliminabile con la Lettera V II, 341 D E e con Carntide, 155 E
e 157 A -C . Platone puo benissimo essere convinto che la dialettica, che conduce al­
ia conoscenza del Bene, sarebbe auspicabile in linea d ip rin cip io per tutti gli uomini
(un Bene comune), in quanto essa costituirebbe la via verso la £.u8 aL|xovia umana, e,
al tempo stesso, la sua valutazione pessimistica delle capacita di conoscenza della
maggior parte degli uomini puo fargli dire che la diffusione della sua filosofia non
sarebbe a ffatto un bene per la gente, poiche essa non sarebbe in condizioni di trar-
ne Futility che essa potenzialmente contiene. C fr. Appendice IV b. — I paralleli
con la Lettera V I I sono indicati sotto, nota 39.
IL GIOVANE E IL «C ATTIV O RICERCATORE» 213

li, cosi come in effetti si è verificato con Dionigi II che li ha fis-


sati per iscritto, senza che Platone approvasse. Il paragone fra
queste proposizioni essenziali e una «m edicin a» compatta puô
venir suggerito dal fatto che esse sono sottoponibili ad una com-
pressione estrema sino ad essere ridotte in formule (tcûcvtojv yàp
iv ppaxoTOCTOïc acefcat, Lettera V Ï I , 344 E 2), il che è causa pro-
prio délia loro possibilité di venir fraintese: la loro comunicazio-
ne pura e semplice è inefficace senza la formazione e senza una
disposizione a capire che sia genuinamente filosofica. È questo
il paradosso délia «m ed icin a» che resta inutile senza P«incante-
s im o »36.
È ormai évidente il significato délia metafora del medico e délia
medicina per Pintero d ia lo g o 37 : Socrate «co n o sce» la medicina
delP anima. Esiste la conoscenza che assicura all’ uomo la felicità
e Pimmortalità, esiste la dialettica platonica come scienza del
Bene e del Maie. Ghi conosce la medicina è, per colui che è ma-
lato, il «gra n d ’ u o m o » da cui egli si attende Paiuto.
Non è opportuno dare a chiunque la medicina. «Senza esame»
delP aspirante, il dialettico non si «metterebbe mai a guarire»
(158 E 2). Poiché Crizia non è adatto e Carmide è ancora imma-

36 La responsabilité nei confronti dell’ oggetto e dello sviluppo corretto del discen­
te costituisce un m otivo sufficiente per tenere il riserbo su quanto non puô ancora
risultare utile. A che cosa mirava, allora, il giuramento che Socrate aveva dovuto
fare al Tracio (ò[xtó[jioxa yàp atmô, xaí ¡jloi àvàyxri 7ie.t6e.a0ai, 157 C 1-2)? L ’ obbli-
go alla riservatezza, sia esso religioso o sociale, caratterizza le dottrine segrete; l ’e-
soterica platonica, invece, si fonda sulla conoscenza da parte delPinsegnante delle
necessità dovute alla situazione didattica (cfr. sotto, pp. 484 ss.). Il Carmide con-
traddice, perciô, la nostra concezione di esoterica? N on credo: Tintera storia incre-
dibile dello sciamano tracio da cui Socrate dice di aver imparato è inventata con
molto umorismo e distacco. Fa parte delP ironia della cornice «tra c ia » se la riserva­
tezza del dialettico, fondata sulla conoscenza e sul giudizio personale, viene sosti-
tuita dall’obbiigo rigido di un giuramento. Il Platone délia Lettera V II, comunque,
non rimprovera affatto Dionigi di aver rotto un giuramento. — Witte, D ie Wissen­
schaft vom Guten und Bösen ..., p. 145, vede, a ragione nel racconto del giuramen­
to la «m itica prefigurazione del circolo esoterico delPAccadem ia»; W itte non si po­
ne questioni circa èventuali differenze fra la «comunità arcaica dei sacerdoti» dei
Traci e PAccadem ia a proposito del vincolo a rególe di trasmissione.
37 N el seguente riassunto, dunque, si presuppone che anche la metafora del <páp-
fjiaxov abbia un significato, che è possibile indicare, per la trasmissione del sapere
filosofico, conformemente alPimportanza che viene attribuita a tale metaforá nel
dialogo introduttivo. Chi non fosse stato convinto dalla riabilitazione del farmaco,
apparentemente inesistente, si ricordi, ancora una volta, che i tratti fondamentali
della nostra interpretazione, mutatis mutandis, rimangono gli stessi, se trascuriamo
la differenza ¿utuBrj - cpápjjtaxov e se parliamo unicamente della differenza fra dia­
logo scritto - in(ùhr\.
214 «CAR M ID E»

turo, la medicina non viene somministrata e la scienza del Bene


viene solo nominata e non discussa. Anche i «b e i discorsi» che
vi conducono non sono trascrivibili a piacere. Si puó chiedere
P«incantesim o» in un rapporto personale: resta decisione del
maestro se eseguirlo, oppure «o p p o rs i» (176 D 5).
La metafora del medico serve, poi, a mostrare qualcosa del pro-
cedimento e degli scopi della dialettica. II pensiero di un innalza-
mento gradúale ad unitá superiori e alie cause che le determina-
no é giá presente nella medicina «gre ca »: l ’ ocehio non é guaribi-
le separatamente dalla testa, né la testa separatamente dal corpo
(156 B-C). II maestro «tra c io » di Socrate mostra la necessitá di
procedere oltre nell’ innalzamento; il corpo non é guaribile sepa­
ratamente dairanim a, né la parte separatamente dal tutto (156
D-E). D obbiam o credere che Platone abbia concepito solo fino
a questo livello il pensiero delPinnalzamento nel «g io v a n ile »
Carmide e abbia riconosciuto solo nel Fedro che anche la cono-
scenza dell’ anima deve essere fondata sulla conoscenza globale
«della natura del tu tto» {Fedro, 270 C)? Sarebbe come se l’ idea
di un cammino a ritroso verso le cause ultime fosse concepibile
per gradi. Contro questo fraintendimento storico-genetico, il
passaggio dai fenomeni psichici riflessivi ai concetti di relazione
e da questi alia distinzione concettuale « d i tutte le cose» (168 A -
B; 168 E - 169 A ), ma soprattutto il cenno alia scienza, decisiva
per tutto, del Bene e del M ale (174 B C), dimostrano che Platone
giá qui non intendeva lasciar finiré il movimento ascendente del­
la dialettica, prima di aver raggiunto Tultima meta, prima del
«Bene in sé».

5. L a relazione tra la m etafora del medico e la temperanza tema


del dialogo

Decisiva é pero la relazione che lega la metafora del medico al


tema del dialogo, ossia al tema della «tem peranza» o «au todo­
m in io». L a conoscenza delle enunciazioni centrali della dialetti­
ca racchiude in sé la tentazione di rendersi importanti in forza di
quelle, di voler apparire un «gra n d ’ u o m o » agli occhi degli altri.
Dionigi II é stato vinto da questa tentazione: un’«am bizione di-
sonorevole» (cptXoxifjiCocí; odaxpás, Lettera V I I , 344 E 2) gli ha fat-
to pubblicare cose che il suo maestro ateniese aveva escluso dal­
la trattazione scritta. Anche il maestro tracio di Socrate sapeva
IL GIO VANE E IL «C ATTIV O RICERCATORE» 215

di questa tentazione, e perció lo aveva scongiurato di non farsi


corromperé né dalla ricchezza, né dalla nobiltá, né dalla bellezza
di un aspirante, e contravvenire in tal m odo alia condizione del-
la diffusione del 9 ápjxaxov (157 B 8 ).
É stata vista come prova sufficiente dell’ «au todom in io» di So-
crate il fatto che, nel dialogo iniziale, egli sia immediatamente in
grado di superare il momentáneo turbamento che lo coglie alia
vista del corpo nudo del giovane Carmide (155 D - E ) 38. Tanto é
giusta l ’interpretazione della scena quanto ingenua l ’idea che
Platone abbia potuto accontentarsi di questo scarso rapporto
fra personaggio e tema principale del dialogo. L ’ autodominio
totale di Socrate riguarda cose di gran lunga piü essenziali che
non la repressione di un impulso sessuale. La bellezza di Carmi­
de non lo puó spingere a trascurare la disposizione del Tracio.
Mentre nemmeno un buon medico puó sapere se la guarigione
del malato produce il bene o il male di quest’ ultimo (164 B-C), il
«tem perante» Socrate ha una conoscenza del tutto sufficiente
degli effetti della sua azione: poiché vede che la scienza del Bene
non sarebbe « d i nessuna utilitá» per Crizia e per Carmide nelle
loro condizioni attuali, egli é quanto basta controllato per «na-
scondere» le cose decisive. Cosi il «gra n d ’ u om o» si trasforma,
per sua volontá, in un «cattivo ricercatore». La sistemazione dei
risultati, presentí per iscritto nel dialogo, del «ricercatore di
scarso valo re» ( 9 aüXo£ tyyzr\xr\$) per mezzo delle «cose di mag-
gior valo re» del «gra n d ’ u o m o » neU’ incantesimo
órale e per mezzo della somministrazione della medicina, non
sarebbe altro che il «dim ostrare lo scarso valore delle cose scrit-
te » (xa y£Ypa¡x¡xáva 9 aüXa aTroBsdjai,) che caratterizza il dialetti-
co. Solo presupponendo che Socrate sia davvero il grand’ uomo
«ch e nasconde», di cui parla questo dialogo, si capisce che il
giovane «tem perante» per natura, prende la decisione giusta
quando si affida incondizionatamente al «cattivo ricercátore».
Considerando 1*azione del dialogo ancora una volta nella sua
globalitá, possiamo dire quanto segue. L a storia della conver-
sione di Carmide, vista dalla parte opposta, é la rappresentazio-
ne del dialettico che sa «prendere Panima adatta» (Xocjfóvrog
4 )ux^v 7tpoar]xouaav). Per questo egli necessita della temperanza,

38 Dieterle, Platons Laches und Charmides ..., pp. 145 s.; Müller, Philosophische
D ia log k u n s t..., p. 135.
216 «CAR M ID E»

e deli’ autodominio filosofici. L a vera «tem peranza» (acocppo-


aúvr)) dei filo so fo (cpiXóaocpoç) consiste nell’ essere capace di tene-
re nascosto il sapere decisivo, a seconda del come la situazione
lo richiede39.

39 Per concludere, mettiamo brevemente a confronto le corrispondenze fra il Car-


mide e la Letíera V I I a proposito della comunicazione del sapere e delle sue con-
dizioni:
( 1 ) La diffusione del sapere è un xot- (1) La diffusione del sapere oute
vòv à ya 6òv cr^Sóv ti rcáatv àvôptÓ7totç, ávGptÓJtot; ... áyaOóv, ei \ir\ -natv ¿Xí-
Carmide 166 D 4-5 (approvato da Cri- 7 0 1?, Lettera V I I , 341 E 1-2; 341 D 7,
zia), tuttavia senza preparazione, où- nega che sia un ¡xéya oyzXot;, perché
8 àv otpE-Xoç, 155 E 8 . corrisponde solo alie condizioni di po-
chissimi; 340 C ss., e negli inadatti
provocherebbe reazioni di disprezzo o
di presunzione (341 E 4-5).

(2) Lungo «incantesim o» e rapporto ( 2 ) TtoXXrj (juvouata ite.pt tÓ ir:pöcy[j,a


personale: imxikaöou 6ttö ctoü öaai aóxó, 341 C 6 .1 0 m^rjv, C 7.
r){jt£pat, 176 B 3. ... ¡xrj <xTCoXe.ín7) toú-
t o ü (seil. E io x p a t o u ? ) fJL7)T£ f i i y a \lt\ts,
a jjtixp ó v , B 7 .

(3) II contenuto: £7ttaT^[jtTi Ti&pt tö (3) áXrjOeta âpetrjç (x a í) xaxta; e ió


á y a 6óv xe. xat xaxóv, 174 B 2-3. cj>eû8 oç ctfia xai áXr)9é; xfjç oXrjç où-
aíaç, 344 A 8 - B 2.

(4) Proibizione di una comunicazione (4) Esclusione di uno scritto di Plato-


non protetta da parte del Tracio 157 B ne «intorno a queste cose», forti criti-
1 - C 6 . Riproduzione deiréirc¡)8ri che rivolte ad altri che hanno scritto
esclusa in 156 A 1-3, e quindi il güira- intorno a queste cose, 341 B ss.; 344 D
mentó di Socrate (157 C 1). ss. Platone ¿aeß&TO auxá, 344 D 7.

(5) Tentazione mediante la ricchezza, (5) Tentazione mediante spregevole


gli onori e la bellezza, 157 B 8 . Socrate ambizione, cptXcmpiía ataxpá, 344 E 2 .
mantiene il suo autodominio. Dionigi II cedette alia tentazione.

( 6 ) Platone (ossia il «S o c ra te » alPin- ( 6) Platone è riye-jxciiv toútcov xat xú-


terno del dramma) è un «grande uo- pioç, 345 C 1-2, ed è colui che potrebbe
m o », 169 A 1. comunicare le cose decisive «n e l m odo
m igliore», 341 D 2-3.
È indicativo che Friedländer, Guthrie, Dieterle, Müller non dedichino, nelle loro
interpretazioni, neppure un’ osservazione alia m etáfora della medicina-incantesimo
(che, da un punto di vista quantitativo, occupa non meno di un settimo del testo:
155 B; 155 E - 158 E; 175 C - 176 D ). É vero che ognuno riconosce la vecchia opi-
nione secondo la quale «p o e s ia » e filosofia costituiscono, in Platone, una cosa so­
la, che la situazione-cornice e la simbologia non sono semplici «vesti poetiche», ma
si tratta di un riconoscimento soltanto a parole. Bloch, Platons Charmides ..., pp.
147 s. (¿ 7ta)8r¡ ~ rcoXXr] auvouaía) e Witte, D ie Wissenschaft vom Guten und Bösen
..., p. 145 (il divieto del Tracio indica il filosofare esoterico) hanno compiuto passi
significativi nella direzione di uno svelamento dei senso della metafora. M a nem-
meno loro hanno notato quanto essa si estenda fino a raggiungere il centro del
dialogo.
XL «Lachete»
II maestro si sottrae agli allievi

1. Breve comparazione con il «C a r m id e »

N on solo il Carmide e il Liside, ma anche il Carmide e il Lachete


sono stati definiti «fra telli gem elli». Infatti, entrambi i dialoghi
cercano la definizione esatta di una virtü; in entrambi è presen­
te, alia fine, il m otivo della conquista del maestro ideale, e en-
trambe le volte un personaggio del dialogo meno esperto cede la
parola ad uno piü esperto, che giá conosce Socrate e che, di con-
seguenza, potrebbe portare soccorso ricorrendo ad idee socrati-
che, ma che viene ugualmente messo in difficoltà dall’ autore
stesso di queste id e e 1.
Da un altro punto di vista, pero, la corrispondenza non va trop­
po lontano. L ’ argomentazione nel Lachete è molto meno com-
plessa; i rimandi alio sfondo metafisico che farebbero diventare
le aporie euporie, sono m olto meno chiari che nel Carmide e nel
Liside. M a, poiché il concetto di dialettica e la figura del dialet-
tico vanno di pari passo, si capisce bene il fatto che anche le al-
lusioni al procedimento deH’ammaestramento filosofico e al
rapporto maestro-discepoio risultino, nel Lachete, meno chiari.
Manca il tema della messa per iscritto della filosofia e non sen-
tiamo far parola di condizioni che sono imprescindibili per l’ini-
zio di un rapporto filosofico; il m otivo del «nascondim ento» in-

1 Th. Gomperz, Griechische Denker, II, p. 249, ha sottolineato la somiglianza dei


due dialoghi. Essi sono stati trattati insieme nella dissertazione di R. Dieter le, loe.
c it., Platons Laches und C harm ides..., e nel saggio di H . Erbse, Über Platons M e ­
thode in den sogennanten Jugenddialogen, «H e rm e s », 96 (1968), pp. 21-40. Oltre
alle corrispondenze strutturali esistono anche evidenti coincidenze nei dettagli: L a ­
chete, 195 C — Carmide, 364 B (il medico non sa se la guarigione sia di giovamento
al paziente); Lachete, 196 B ~ Carmide, 169 C D (non viene ammessa I’ aporia);
Lachete, 201 B ~ Carm ide, 161 A (la stessa citazione di Omero, Odissea, X V II
347); Lachete, 185 C ~ Carmide, 156 B (guarigione degli occhi come simbolo della
guarigione dell’anima).
218 «LAC H E TE »

tenzionale compare solo in form a attenuata, e l ’ allusione al si­


gnifícalo superiore delle conoscenze non presenti nel dialogo è
cosi nascosta da esser sempre stata trascurata, salvo la eccezione
notevole di Friedländer2.
Tuttavia, il Lachete non è improduttivo per la nostra problema-
tica. Infatti, almeno una parte essenziale dell’intera immagine
del dialettico è sviluppata con una chiarezza tale da assicurare
che anche questo dialogo non si sottrae alla nostra interpretazio-
ne delle opere giovanili basata sulla critica dello scritto, e che,
anzi, o ffre un sostegno essenziale alla medesima.

2. L a scelta del discepolo è una libera decisione del dialettico

Intendiamo parlare del m otivo della libera decisione del dialetti­


co su chi si debba ammettere al filosofare in comune. La critica
dello scritto dice che lo scritto parla, in linea di principio, tanto
alle persone adatte come a quelle non adatte, mentre il dialettico
puó anche tacere, se lo ritiene opportuno CFedro, 275 E s.). In
questo senso, Socrate ha rifiutato di mettere per iscritto della
sua «form u la magica delPincantesimo» desiderata da Carmide e
che avrebbe parlato a tutti; ma che egli decidesse anche intorno
all’ accoglimento delPincantesimo orale si ricavava, in quel dia­
logo, solo dalla correzione della situazione, ironicamente rove-
sciata3. Qui, nel Lachete, questo viene detto in m odo diretto e
senza ironia: Nicia affiderebbe suo figlio Nicerato a Socrate per­
ché lo educhi, se questi solamente volesse; ma Socrate, per Pap-
punto, non vuole (200 D 1-3). Cosi, alla fine del dialogo, si
guarda a Socrate con impazienza: egli si sottrarrá anche qui, co­
me nel caso precedente, al desiderio di Lisimaco e di Melesia, i
quali vorrebbero che i loro figli venissero educati da Socrate,
oppure risponderá positivamente a questo loro desiderio (200 D
3-8)?
Socrate afferm a che sarebbe un male non appoggiare qualcuno
nel suo tendere verso la perfezione morale. Tuttavia, per quel
che lo riguarda, egli prende a pretesto il proprio non-sapere.
Tutti sono caduti in egual misura nelPaporia, e, di conseguenza,
egli stesso non è un maestro migliore degli altri che hanno preso

2 Friedländer, Pla ton , II, pp. 38 s.


3 Cfr. sopra, pp. 209 s.
IL MAESTRO SI SOTTRAE AG LI A L L IE VI 219

parte al discorso. Converrebbe ora trovare, per tutti loro insie-


me, un maestro quanto piü possibile buono, in primo luogo per
gli adulti, poi anche per i giovani (200 E - 201 B).
Si può spiegare questa risposta come un cenno ironico al fatto
che non c’ è bisogno di un maestro, che, invece di inseguire la
speranza in un «rigid o im parare», dobbiamo dedicarci piuttosto
ad un «cercare autoresponsabile», ossia ad un cercare di cui sia-
m o noi stessi responsabili4.
Ciò che disturba in questa spiegazione è proprio l’ arbitrio meto-
dologico che essa condivide con tutti i tentativi ispirati, in ulti­
ma analisi, da Schleiermacher. Infatti, la contrapposizione fra
ricerca personale e «r ig id o » imparare è qui fatta rientrare nel te­
sto prendendola dali’ esterno. È certo che Platone tenga in alta
considerazione la ricerca personale; ma, questo, non esclude che
l ’ adesione al maestro adatto possa essere un atto di preoccupa-
zione per la própria anima attuato con «autoresponsabilità». E
Platone intende appunto questa, quando fa osservare a Crizia
che la scelta in favore di Socrate operata da Carmide dimostra la
sua sophrosyne ( C arm ide, 176 B). Similmente Lachete insiste,
nel nostro dialogo, sul fatto che non ci si deve far scappare So­
crate come m aestro5. Questo non è segno della sua «indolenza
spirituale» o anche della sua «fu g a dalle proprie responsabili-
t à » 6; al contrario, in questa insistenza si mostra che la forma
pre-filosofica della virtu presente come disposizione naturale —
in questo senso Lachete rappresenta il coraggio, come Carmide
la sophrosyne — è in grado di riconoscere istintivamente la virtü
cui è essenzialmente affine, ma trasformata in sapere. Per le in-
terpretazioni influenzate dalPesistenzialismo l’ affidarsi ad un
maestro sfocia necessariamente in un imparare «r ig id o » (qua-
lunque cosa questo possa significare). Per Platone, il fondatore
deirAccadem ia, esistevano anche il vero insegnamento e il

4 Cosi Dieterle, Platons Laches und Charm ides..., p. 141.


5 Dice Lachete a Lisimaco: |j.r) acpieao je. TavSpöi; (181 A 7), e ripete altre due volte
1’ammonizione (184 C 6 ; 200 C 5); Socrate, da parte sua, si richiama ad essa, natu­
ralmente rifiutandola, accennando al suo non sapere (186 D 6 ). — Neüa Repubbli-
ca Platone ha fatto de! «n on lasciarlo scappare» il m otivo centrale dell’ azione del
dialogo, cfr. capitolo X V III. Per I’ applicazione di questo m otivo nel Simposio, cfr.
sotto, p. 335, nota4.
6 Questo palese fraintendimento si trova in Dieterle, Platons Laches und Charmi­
des ..., che si dimentica della condizione posta da Lachete al futuro maestro: egli
deve essere aya0o<; (189 A 6).
220 «LAC H E TE »

vero apprendimento filosofici, che, in generale, dal Lachete alla


Lettera V II, costituiscono una possibilitä legittima, accanto alla
scoperta personale della veritä 7.
Se non si dubita, perciö, della possibilitä delPesistenza del mi-
glior maestro (Bi8 otaxaXo<; co? ¿cpuruoc) in senso platonieo, e se il
risultato positivo deH’ «a z io n e » (non dell’ argom entazione8) sta
nel fatto, ben sottolineato, che tutti si rivolgano a Socrate come
maestro adatto, allora il passo eonclusivo dice soprattutto que-
sto: il maestro di filosofia, quando lo ritenga opportuno, pud
sottrarsi al desiderio di ricevere il suo insegnamento da parte dei
discenti9.
M a, con questo, egli allontana solamente la sua persona e il suo
favore personale, oppure allontana anche un sapere piü ampio,
che sarebbe in grado di rispondere alle domande fatte? Come
sopra dicevamo, il Lachete, a differenza di altri dialoghi, fa ca-
pire in m odo meno chiaro ehe ci si riferisce proprio alla seconda
possibilitä. M a in questa direzione parla giä l ’osservazione che

7 «Im parare da qualcuno o trovare da se stesso» é una espressione cristallizzata


che non solo viene adoperata in riferimento ad altri (Protagora, 320 B 7; Eutide-
m o, 285 A 8 s.), o che puó essere negata da Socrate quando riferita a se stesso (,La­
chete, 186 C 1-5; E 2-3), ma che vale anche, in positivo, per la strada della cono-
scenza delTidea piü alta (S im posio, 211 B 7: xoüxo yap orj ¿<m xó ópOox; ¿tu xa épto-
xixa ííva i r¡ tj7i ’ oíXXou ccf&a9ai). N ei piano educativo della Repubblica la guida di
altre persone é, naturalmente, in primo piano, cosi come anche nel Fedro. L ’ ospite
eleatico nel Sofista confida nel fatto che il giovane Teeteto possa arrivare da solo
dove (normalmente) conducono i suoi lo g o i (265 D 8 - E 2). Anche nella Lettera
V I I Platone prende in considerazione da dove Dionigi possa essere giunto a cono-
scenza delle sue opinioni sugli oíjcpa xaí np&xoc nel m odo seguente: evte aúxóc; £Úp¿>v
f] xat [xaQüJV Trap’ éx&p<ov, 345 B 1-2.
8 L o svolgimento della discussione — come devono intenderlo gli interlocutori —
non si pronuncia a favore della scelta di Socrate come maestro (come íui stesso co-
stata, 200 E 6). Anche il Carmide mostra la stessa opposizione eloquente fra risul­
tato concettuale e «a zio n e », cfr. sopra, pp. 192 s.
9 N el collocamento di certi «a llie v i» presso altri maestri (Lachete, 200 D 1; Pro ta ­
gora , 3 1 0 E ;3 I6 B C ; Teeteto, 151 B 5) Platone ha conservato, probabilmente, un
tratto del Socrate storico; sembra fare riferimento a questo il fatto che, secondo
Teeteto, 151 A , Pallontanamento di alcune persone interessate alia filosofia era sta-
to dettato dal demone. Anche da questo punto di vista l ’interpretazione di Dieterle
si dimostra frutto di fraintendimento: l ’alternativa alia consegna ad altri maestri
non t semplicemente una ricerca autoresponsabile, bensi un cercare in lunghe fre-
quentazioni con Socrate. É indifferente, per il problema in questione, l ’intendere
I ’influsso di Socrate come únicamente maieutico, come ne) Teeteto, o , secondo i
dialoghi del periodo m edio, come insegnamento estremamente ricco e positivo sul-
10 Stato, sulPanima e sulla conoscenza delle Idee: in ogni caso, questo dipende dal­
la frequentazione di Socrate. M a egli non é a disposizione di chiunque.
IL MAESTRO SI SOTTRAE A G LI A L L IE VI 221

— come sempre — è Socrate ad introdurre i concetti guida che


danno al discorso Porientamento e la fisionomia: è da lui che
viene l ’ accenno all’ anima e alia necessita di trovare un esperto
( texvixóç) per la cura dell’ anima; è lui che chiama in causa il
« saper e » e la «v ir tú », e che indica il Bene e il M ale come oggetto
del sapere decisivo 10. Tuttavia, tutto ció si potrebbe spiegare
semplicemente afferm ando che, con questo, sono state indicate
solo delle domande, e la risolutezza di un tale porre domande
non implica ancora che dietro ad esso esistano delle risposte.

3. A p p ello al «s o c c o rs o ». P erché N icia lo deve portare e che co­


sa esso dovr ebbe contenere

II capovolgimento ironico della situazione iniziale, provocato da


Socrate dopo i primi due giri della parte argomentativa, parla
un linguaggio piú chiaro. Quando i due militari Lachete e Nicia
non riescono a mettersi d ’ accordo sul valore del «combattimen-
to d ’ arm i» (iv ôtcXoiç fxocxeaOai), Socrate, il non-militare, viene
chiamato quale arbitro (184 C 5 - D 4). II filosofo allontana il di­
scorso, come era da aspettarsi, dalle questioni militan per por­
tarlo verso la domanda puramente filosófica sull’ essenza del co-
raggio, ma poiché (come sembra) non riesce a venirne a capo,
deve, da parte sua, invitare il militare Nicia a intervenire, ossia a
venire in soccorso a quelli che si trovano in difficoltà, se ne ha la
capacita (a 7iopoöatv ßorjÖrjaov, t i -uva 8 úva¡jiiv, 194 C 3).
Perché proprio Nicia deve venire in soccorso al logos finito nel-
1’ aporia? È la stessa ironia con cui Socrate nell’jEutidemo (293
A ) chiede agli eristi «d i salvarei»? N on esattamente, poiché N i­
cia non è un sofista irricuperabilmente perduto per la filosofía,
anzi, egli ha dimestichezza con Socrate (188 A 4) e ha giá sentito
«spesse v o lte » da lui la tesi centrale della sua etica (194 D 1).
Egli sa, perciò, anche che un colloquio con Socrate diventa ne­
cessariamente un resoconto del m odo di vivere seguito fino ad
ora e tuttora praticato dall’ interlocutore, ed è disposto a lasciar-
si esaminare in proposito (188 A -C ). Egli non considera un’ infa­

10 L ’ âîuarr)!j(.ri introdotta in 184 E 8 (introdotta di nuovo, come tema socrático, ad


un livello piú alto in 194 E 8); P «a n im a » come scopo di tutte le preoccupazioni, 185
E 2, da cui. si ricava il richiamo del têxvlxòç 7ce.pt c|>uyj|ç ÔepaKCtav, E 4. Virtù e co-
noscenza délia virtù, 190 B. Bene e male da 198 B; scienza di ogni bene e maie, 199
C6-D1.
222 «LAC H E TE »

mia la correzione delle sue opinioni, egli sa che sono suscettibili


di miglioramento (200 B). Nicia ha presente con piena chiarezza
la struttura della conduzione socratica del dialogo: l’ interlocu-
tore viene «fa tto girare in circo lo » finché Socrate non Fha con-
dotto dove intende condurlo 11.
A uno come Nicia Socrate non potrebbe, se non diffieilmente,
rimproverare irónicamente, come era avvenuto con Crizia nel
Carm ide, che a sua volta egli cerca di «fa r girare in circolo» So­
crate, e che gli «nasconde» l ’ essenziale. Piuttosto é Nicia che
puó qui stabilire che Socrate «n o n fa uso» di una conoscenza
esatta che pure possiede 12.
L ’invito al soccorso (Po 7)0 y]<tgv) é rivolto in primo luogo a Nicia,
poiché, in certa misura, egli prende parte al método e al pensiero
di colui che « f a girare in circolo» il discorso sul coraggio. P o i­
ché il vero dialettico trasmette alPascoltatore adeguato anche la
capacita di «soccorrere» i lo g o i del dialettico (Fedro, 276 E 7 -
277 A 1), ci aspettiamo da Nicia che superi Kaporia di Socrate e
di Lachete con l ’ aiuto di «cose di maggior valore» (Tifxití>x£pa)
che egli deve a Socrate.
Questo é proprio Tandamento che assume la terza parte argo-
mentativa (194 C - 199 E ), almeno sul piano della conversazio­
ne, ormai condotta su due piani, che é rivolta a Lachete. Infatti,
contro le obiezioni di Lachete, il «so cco rso » che Nicia ha in ser­
bo é indubbiamente valido 13. Questo non stupirá nessuno, per­
ché il «so cco rso » é offerto , afferm ando che il coraggio é una
«sapien za» e un «sapere». N on si dovrá dimostrare in m odo cir-
costanziato che, in confronto coi pensieri sin qui discussi, que-
sta conoscenza sia un qualcosa « d i maggior valo re» ( t l ¡jllcót£-

11 187 E 9-10: fxr¡ Traú&cGcci utto t o ú x o u (scil. Sajxpáxou?) 7ie.piaY0fiE.vov xco Xóytú,
Tcptv < av > &Í£ xó StSóvca 7re.pt aúxoü Xó^ov.
12 194 C 8-9: o yap k«X¿>; X ^ o ^ to s (scil. Stoxpáxou^) áxr¡xoa, xoúxto ou
XP^oBe. II m otivo del «fa r girare in circolo» e quello del «n on fare u so» ( ~ «na-
scondere») sono riuniti nel Carmide, 174 B 11: rcáXat ¡jl e TreptéXxei? xúxXco,
á7toxpü7t:xó[/,evoí oxi ... L ’iniziativa, almeno nel primo stadio deH’ insegnamento fí-
losofico, riprodotto mimeticamente nel dialogo, risulta essere del tutto in mano al
dialettico.
13 Cosí, ad esempio, 196 A -D : é perfettamente corrispondente alia concezione pla­
tónica il fatto che il vero coraggio (inteso come sapere ció che genera timore) non é
una conquista alia portata di chiunque; di conseguenza Socrate si guarda bene dal-
l ’ accogliere il rimprovero di Lachete, secondo i! quale N icia avrebbe voluto soltan-
to scusarsi. — A proposito del vano attacco di Lachete a ció che di platonico é con-
tenuto nelle afferm azioni di Nicia, cfr. quanto dice Friedlánder, P la tó n , II, p. 40.
IL MAESTRO SI SOTTRAE A G L IA L L IE V I 223

pov). L a definizione proposta da Nicia di coraggio come «sapere


di ció che genera timore e di ció che ispira fidu cia» corrisponde,
notoriamente, al concetto di coraggio che Platone sviluppa nella
Repubblica 14. N on occorre qui (com e nel caso di Crizia nel Car-
mide) 15 ricavare da altri contesti che la «cosa di maggior valo­
r e » (TtfjutÓT&pov) che consente il «so cco rso » deriva dal sapere fi-
losofico di Socrate: lo dice espressamente lo stesso Nicia (194
C-D).
Sebbene Socrate fino a questo punto «n o n faccia uso» della sua
conoscenza ulteriore, non ci lascia alPoscuro circa l’ essenza del
«so cco rso » che egli ha chiesto quale compito a Nicia: quest’ ulti-
m o deve «con solid are» in m odo argomentativo la sua opinio-
n e 16. Questo significa: il rieorso a «cose di maggior valore» (xi-
pucó-rspa) socratiche non puó consistere solo nella citazione della
frase « la virtü e sapere» e della conoscenza della definizione cor-
retta di coraggio; se la sua concezione si basa su una conoscenza
filosófica, allora Nicia sará in grado anche di fondarla.
Invece Nicia — simile anche in questo al Crizia del Carmide —
durante la sua frequentazione di Socrate é diventato socrático
solo a meta; é rimasto bloccato nel processo di apprendimento.
L a sua insufficiente adeguatezza é riscontrabile nel suo rivolger-
si solo parzialmente « a l miglior m aestro»; contemporáneamente
egli ha imparato da Damone, che ha impar ato da Prodico il «s o ­
fista», Parte della sinonimica (197 D 1-5). N on che sia giá di per
sé sbagliato imparare anche da Prodico, ma se Nicia crede di po-
ter risolvere proprio Paporia in cui Socrate Pha spinto con l’ aiu-
to delPallievo di Prodico, Damone (200 B 4-6), dimostra con
questo che, nonostante tutto, gli manca Porientamento decisivo
alia filosofia.
C o s í Nicia si difende con il suo «so cco rso » da Lachete, ma falli-
sce, contemporáneamente, con Socrate. Per poter «consolida­
r e » le «cose di maggior va lo re » Cu[xt,cí>T£pa) socratiche che egli
espone e che sono effettivamente d ’ aiuto, Nicia dovrebbe poter
ricorrere ad ulteriori «cose di maggior valo re» rispetto a quelle
altre «cose di maggior valo re» (Ti[xicÓT&pa), e compiere perció un

14 Lachete , 194 E l i s.: r¡ t¿ov óe.lv¿3v xaí GappaXéojv iniazí}\j:f\ ~ Repubblica, 430
B; Protagora, 360 D.
15 Cfr. sopra, p. 197.
16 a voel? tco Xóyq) 194 C 5-6.
224 «LAC H E TE »

ulteriore passo verso Y o rig in e 17, ossia verso il Principio. Invece


— proprio come Crizia — egli fallisce, perché non sa collegare ii
corretto coglimento del coraggio con il sapere del Bene, quale
vero e proprio Principio (àpxrj) (198 A -199 E).
Platone accenna in m odo m olto riservato al tipo di «sa p ere» che
è richiesto propriamente a Nicia. Lachete rimprovera a Nicia, in
quanto è una guida política di Atene, la sua familiarité con gli
strumenti di pensiero «so fistici». In quanto uomo di grande re­
sponsabilité, ribatte Socrate, N icia dovrebbe partecipare délia
«conoscenza suprema» (197 D 6 - E 2): è difficile non pensare
qui all’ unione di somma potenza e somma competenza filo só fi­
ca propria delle guide dello «S tato ideale» 18. M a non manca
neppure una allusione riguardo al contenuto di ció che manca a
Nicia: poiché la sua definizione del coraggio comprende solo la
terza parte di questa virtù nella sua globalité, ma la sua defini­
zione migliorata comprende la virtù nel suo insieme e non solo il
coraggio come parte délia virtù globale (199 G-E), è evidente che
Nicia non conosce il rapporto tra la parte e il tutto. Orbene,
quello che la dialettica platónica vuole insegnare a capire è pro­
prio questo: il tutto e la parte, l ’ unità e la molteplicità nelle cose;
essa è, perianto, cio di cui Nicia avrebbe bisogno per il «consoli-
dam ento» 19.

4. Socrate, com e Vesperto nella cura delVanima ( tsxvixôç Tiepi


(¡>VXVÇ OepaTvetocv)

M a riguardiamo ora la strada che la conversazione ha imbocca-


to. Socrate aveva aperto la parte argomentativa, asserendo che
era necessario il sapere délia virtù. A veva espressámente consi-

17 La situazione di p o r c ia del Lachete presuppone, qui, quanto viene espressa-


mente detto in M enone: che il «consolidam ento» delle opinioni giuste è possibile
solo come «so cco rsò» nel senso di un ricorso ai 'U[/.icó/cepa. Cfr. sotto, pp. 259 s.
18 Un certo scetticismo a proposito di questa associazione sarebbe giustificato, se
il Carmide — anch’esso un dialogo «a p o rético », che sembra essere m olto distante
dalle posizioni afferm ative delía Repubblica — non contenesse, nella descrizione
della sophrosyne «ch e d om ina» nello Stato (171 D ss.; 173 A ss.), un’ anticipazione
chiara del governo dei re filosofi.
19 Nicia dovrebbe aiutare, eí xtva Súva^juv, 193 C 3. La SúvajJLiç che glielo
consentirebbe è r¡ toü 8 taXrfe.a0ai 8úva¡iiq (come viene chiamata la dialettica nella
Repubblica, 533 A 8).
IL MAESTRO SI SOTTRAE A G LI ALLIEVI 225

derato « la virtü nella sua glob alitá», per osservare poi, súbito,
che la sua definizione era «u n compito forse troppo grande»
(tcXéov yocp taco? &pY0V> 190 C), per cui era meglio iniziare da una
parte della virtü (190 B 7 - C 10). M a la scienza del Bene e del
M ale, che spuntava alia fine dei vari tentativi di definizione,
avrebbe, pero, procurato al suo possessore non solo una parte
della virtü, ma la virtü nella sua interezza (199 D ). Nicia aveva
ragione quando diceva che Socrate fa «girare in circolo» (187 E
9) l’ interlocutore: dopo un veloce sguardo alia virtü tutta intera,
egli 1’ aveva condotto via verso un’ analisi che ha quale único ri-
sultato positivo la scoperta che ció che é stato accantonato é ció
che effettivamente meriterebbe di essere saputo, e che sarebbe
necessario per 1’ anima. É per la mancanza di un sapere migliore
che Socrate ha allontanato dall’ unica cosa di cui c’ é bisogno?
É meglio che cerchiamo di comprendere il suo comportamento
come quello dell’esperto nella cura dell’ anima (del texvlxó? Trept
cjjux'ñí OepaTreíav) che egli stesso consiglia di cercarsi (185 E 4-6,
ripreso nella raccomandazione alia ricerca «d e l maestro m iglio­
re », 201 A ). II tener lontano il «com p ito piü grosso» che viene
sottolineato, allora, non é altro che l ’ esitazione del conoscitore
deiranim a ad imboccare la «strada piü lunga» della dialettica,
se mancano i requisiti. L a sua «cu ra dell’ anim a» (4>ox^íí Q^pot-
TCsía) non consiste solo nelle parole di chi prende cura dell’ani-
ma, bensi in una «gu id a dell’ anim a» (c|>uxaywyía) basata sulla
conoscenza, che sa quale é il momento giusto in cui parlare o ta-
cere, che sa quali mezzi dell’arte adoperare e fino a che punto
adoperarli o — per usare di nuovo una formulazione del Lache-
te — che sa se e quando « fa r u so» di una conoscenza giá acquisi-
ta. II vero «esp erto » ('ztyyw.óc,) della cura deH’ anima non puó es­
sere altri che il vero «esperto dei discorsi» {xtyyw.be, Xóycov Tiépt,).
Socrate mostra nei confronti di Nicia la vera «guida dell’anim a»
(c[>uxayü)YÍa), «facen dolo girare in circo lo » non piü in la di un
lontano sguardo alia scienza del Bene: N icia conferma ció suc-
cessivamente, quando afferm a di credere di poter ottenere l’ ap-
profondim ento della sua conoscenza anche presso altri che non
siano solo «esp erti» della guida dell’ anim a20.

20 Le formulazioni del Fedro utilizzate in questo paragrafo si trovano in questi


passi: 271 C 10; 272 A 4; 268 B 7; 272 E 3. Inoltre, bisognerebbe ricordare 272 B 7 -
C 4: bisogna vedere se non esista una via piü semplice e piü corta (pácov xaí ßpa/uxi-
226 «LAC H E TE »

II rovesciamento della situazione del dialogo operato da Socrate


alPinizio della terza fase argomentativa, sembra, perció, avere il
senso seguente.
Egli é contraddistinto come « i l migliore m aestro» proprio anche
in base alia capacita di potersi sottrarre al desiderio dell’ inse-
gnamento. Invece di fungere da arbitro, come vorrebbero gli al-
tri, egli trasmette a Nicia, suo precedente uditore, 1’ invito a p or­
tare il soccorso (¡3or|9r]aov). Nicia possiede, ormai, una cono-
scenza che gli consente di vedere súbito che finora Socrate non
ha fatto uso di conoscenze decisive. Egli introduce, in parte con
successo, le «cose di maggior valo re» (xt[jLtcí>T£pa) tenute nasco-
ste da Socrate nel discorso. M a quando egli stesso finisce nell’ a-
poria, poiché non puó «con solid are» le sue giuste opinioni, non
vede piü che cosa potrebbe portare avanti nel discorso: crede di
poter andaré oltre con gli strumenti di pensiero di un Damo-
n e 21. Che ironia: Nicia, giá cosi avanti, non si accorge dell’ ana-
logia della sua posizione rispetto a quella di Lachete. Chi ne sa-
pesse di piü del «m aestro m igliore» dovrebbe iniziare qui con la
stessa considerazione fatta in precedenza da Nicia: per la seconda
volta Socrate «non fa uso» del sapere decisivo. Infatti egli potrebbe
ben aiutare, «consolidando» ció che é stato detto di giusto (me­

pa ó 8óç) che porti alia dialetlica, cosi che non dobbiamo percorrere inutilmente
quella piü lunga e faticosa. N el Lachete Socrate stesso stimola verso una pácov axá-
(Jhç, 190 D 1: egli non ha affatto l ’intenzione di imboccare, qui, la strada piü lunga,
e questo è essenziale per la comprensione del dialogo (niente circa la struttura del-
ranim a, la reminiscenza, la conoscenza delle Idee ecc.). Friedländer, Platon, II, p.
37, ha espresso con una formula molto calzante il fatto che il dialogo è condotto da
Socrate su di una «rotta intenzionalmente sbagliata»; ma anche Friedländer non si
è accorto che egli ha dovuto farlo proprio in quanto T£Xvix °Ç-
21 Con la sua fede ingenua nel fatto che il sapere parziale, ricevuto da Socrate, puó
essere condotto alia meta integrándolo con il proprio sapere (e altri, non socratici),
Nicia è quasi una figura simbólica della moderna teoria del dialogo, che considera
il dialogo platonico come uno scritto autarchico e che si illude di poter ricavare au­
tonomamente il contenuto senza una comunicazione autentica dei xi^ifóxepa, che
volutamente non vi sono stati inclusi. (L'auto-inganno m etodologico di questo ten­
tativo di interpretazione puó restare nascosto soltanto perché nella Repubblica è
presente una parte sostanziale dei Ttfitwitpoc necessari per i dialoghi sulle virtú; ci si
è cosí potuti illudere di aver ricavato dalle opere giovanili quello che, in realtà, si è
proiettato al loro interno prendendolo dalla Repubblica). L ’ awersario di Nicia,
Lachete, lo supera per ingenuità, in quanto ritiene che Socrate sia coinvolto nell’a-
poria tanto quanto lo è lui stesso (196 B 2-4): anche Lachete può rappresentare sim­
bolicamente proprio quell’indirizzo interpretativo storico-evolutivo che sostiene se­
riamente che Platone stesso è tormentato dalle stesse aporie che egli mette in scena
con tanta arte.
IL MAESTRO SI SOTTRAE AG LI ALLIEVI 227

diante la dialettica della parte e del tutto, della scienza di tutto il


Bene e il M a le )22.
M a Socrate non vuole proprio: auiói; Se oux ¿0£Xe.i,. II che non
vale solo per l ’istruzione di Nicerato, ma anche per quella di suo
padre N ic ia 23. Proprio il rifiuto di comunicare le cose decisive
alia presenza di persone non sufficientemente predisposte, rivela
il vero «esp erto » (t£xvixó<;) della guida dialettica dell’ anima,
precisamente nel senso della critica dello scritto del Pedro.

11 L a scienza generale del Bene e del M ale, in cui viene introdotta la scienza di ció
che incute timore e di ció che ispira fiducia, 199 C D é, senza dubbio, idéntica a
quella che porta lo stesso nome in Carmide, 174 B C, la cui possibilita dipende da
una analisi dell’ esser e generale precedente (cfr. sopra, p. 214). A differenza del
Carmide, il Lachete non dubita della possibilitá di un tale sapere. — Friedländer,
P la ton , II, pp. 38 s., 40, 42, 44, ha cautamente indicato il fatto che nel Lachete si
tende alia «arte regia» della dialettica. II punto di vista della Repubblica, plena­
mente sviluppato, che fa da sfondo e da presupposto del dialogo «a p o rético », é
stato sottolineato con enfasi da Schulz, Das Problem der A p o rie ..., e da Erbse,
Ü ber Platons M ethod e ..., pp. 25-32 (poco convincente risulta soltanto la convin-
zione di Erbse, secondo il quale i dialoghi giovanili voíevano fornire una prova in-
diretta della dottrina delle Idee: senza la descrizione diretta successiva né Erbse né
alcun lettore sarebbero andati piú avanti di quanto abbiano fatto i generali Lachete
e Nicia).
23 II trasferimento del rifiuto di insegnare al figlio (200 D ) alPinsegnamento filoso-
fico del padre non é un arbitrio intepretativo. Platone, al contrario, fa dire a Nicia
stesso che, in presenza di Socrate, ci si deve occupare non dei figli ma dei padri (188
B 6 - C 1). L a nostra interpretazione puó essere intesa come una applicazione di
questo accenno all’ azione-comice.
XII. «Protagora»
II sofista é migliore rispetto al suo libro?

1. I I « P rota gora » conosce i pensieri di base della critica dello


scritto

Protagora, il grand’ uomo anziano fra gli intellettuali riuniti in


casa di Callia, non é affatto, secondo Topinione del giovane So­
crate, come gli altri oratori che, se si chiede loro qualcosa dopo
un loro discorso, non sanno né rispondere né chiedere personal;
mente qualcosa, proprio «com e lib ri» (axjTiep PtpXCa). Perció
Socrate puó fare delle domande a Protagora, dopo il suo lungo
discorso sulPacquisizione delle virtü, nella speranza di ottenere
risposte brevi e chiare (329 A -B ).
II libro non puó rispondere. II fatto che il problema fondamen-
tale della critica dello scritto venga menzionato «g iá qu i» nel
Protagora, avrebbe dovuto rendere perspicaci gli interpreti
orientati secondo l ’ ottica storico-evolutiva. Nonostante questo,
ci si é accontentati di registrare i passi paralleli che sono del tut­
to ovvi. N on é difficile mostrare che, cosi facendo, si é colta so­
lo una piccola parte del fondamento comune su cui poggiano il
«g io v a n ile » P rota gora e il «ta r d o » F e d ro.
É importante notare che sarebbe di per sé possibile fare a meno
della menzione del fatto, fondamentale per la critica dello scrit­
to, che il lib ro non puó rendere conto. Infatti, Protagora non ha
letto a voce alta da uno dei suoi scritti; e sarebbe stato certamen-
te soddisfatto del riconoscimento, per lui lusinghiero, della sua
superioritá rispetto agli altri oratori. Se, apparentemente senza
m otivo, il paragone con il libro tuttavia vi rientra, ció significa
che per Platone due cose vanno di pari passo: l’ incapacitá dello
scritto di daré nuove risposte a nuove domande e 1’ incapacita
dell’autore non filo s o fo di superare in m odo essenziale il suo
elaborato (sia esso un libro o un discorso). Come é detto nel F e­
dro (275 D 9), il libro ripete sempre la stessa cosa, e Poratore co-
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 229

muñe continua a risuonare come fanno i vasi di bronzo per-


cossi (Protagora , 329 A 5); continua a risuonare necessaria-
mente con lo stesso contenuto, se l’ immagine del vaso deve
sostenere il senso del paragone con il libro (329 A 3). M a se le
due cose vanno di pari passo, il testo fissato una volta per
tutte e l ’ oratore che continua a risuonare solo tautológica­
mente, allora é chiaro che si nasconde dietro a loro quale f i­
gura opposta il « filo s o f o » (cpiXóaocpo?), che non si ferma, nel-
Velenchos, a ció che ha esposto precedentemente, bensi puó
opporre a domande che vanno piü in profonditá risposte ade-
guate, che vanno, cioé, esse puré piü a fondo. N on a caso,
perció, súbito dopo Faccenno al m odo di informare del libro
e dei vasi di bronzo, viene fatta la domanda che ha come sco-
po qualcosa che va oltre ció che é stato detto: la domanda
sull’ unitá delle virtü (329 C ). II Socrate del presente dialogo,
rappresentato ripetutamente come « g io v a n e » 1, procede sulla
base della stessa idea di scrittura e di elenchos órale come il
Socrate «m a tu ro » del Fedro. D i nuovo si fa per forza accetta-
re la conclusione che non é mai esistito un periodo dell’ attivi-
tá di scrittore di Platone, in cui la incapacitá in linea di prin­
cipio dello scritto ad insegnare veramente con la concezione
conseguente del filosofare órale e del pubblicare degli scritti
con un contenuto limitato che deriva dall’ incapacitá in que-
stione dello scritto, non sia stata il fondamento della sua atti-
vitá creativa.
L ’ incapacitá del libro a rispondere non sarebbe un problema
cosi serio, se non Stesse a fondamento della critica dello scrit­
to una concezione totalmente agonale della discussione intel-
lettuale 2. Forse in nessun altro dialogo Platone ha impiegato
tante energie come nel Prota gora , per rendere comprensibile il
carattere combattivo del dialogo. Vale la pena di considerare

1 Socrate si definisce giovane in 314 B 5; Protagora lo considéra un principian-


te che promette bene in 361 E. Poiché Alcibiade, nato attorno al 450 a.C., è
presentato corne un giovinetto di primo pelo (309 A B ), ci si deve immaginare
l ’epoca del dialogo verso la metà degli anni 30; Socrate ha 35 anni o poco più.
2 La paroia scritta del filosofo corre il rischio di essere fraintesa ed oltraggiata
ingiustamente (Fedro, 275 E 4). Le «obiezioni benevole» (cfr. Lettera VII, 344
B 5) sono possibili solo nella cerchia degli opôû>ç cptXoao<pomn£ç; poiché lo scrit­
to deve, per principio, fare i conti anche con i lettori che non hanno Fatteggia-
mento corretto, il pubblicare gli crTtouScaotaxa è un «gettarli in situazioni inade-
guate» ( Lettera V II, 344 D 8). C fr. sotto, pp. 479, 487 s.
230 «PR O TAG O R A»

nel loro insieme i m otivi del dialogo rilevanti per quest’ aspet-
t o 3.

2 . I I « P rota g ora » com e dialogo agonale e il m étodo del «m e tie ­


re alia p r o v a » (ánonupáaBai)

Nel «com battim ento coi discorsi» (áyaív Xóytov) Protagora é


abituato al successo, e gli é anche noto a quale circostanza egli
deve il suo continuo successo e la sua fama: egli non si é mai la-
sciato imporre dall’ avversario il modo di condurre il dialogo
(335 A 4-8). L a vittoria nella discussione é allora, ad un tempo,
una questione del método che viene impiegato nel discorso.
Questa non é, pero, solo l ’ opinione di Protagora. La sua enun-
ciazione delle rególe della conduzione del dialogo é, piuttosto,
solo una reazione al tentativo compiuto da Socrate di costrin-
gerlo a piegarsi al suo método. Se Socrate riuscirá a interrogare
Protagora secondo il suo modo, se perció lui per primo portera
Protagora ad accettare rególe a quello estranee, allora — e ció é
giá chiaro in questo momento cruciale dell’ azione del dialogo —
egli vincerá, per primo, nel combattimento coi discorsi il mae­
stro mai sconfitto.
Prodico interviene, nel combattimento fra i due, a favore di So­
crate. Questi non ringrazia per Paiuto bensi da ragione a P rota­
gora, e considera, invece, Tintromissione di Prodico come un
tentativo di «m ettere alia p ro va » Protagora (341 C-D ). M a So­
crate attribuisce anche alio stesso Protagora la medesima inten-
zione nei propri confronti: egli gli concede la possibilitá di ri-
trattare la sua opinione sulla differenza delle virtü «perché non
mi stupirebbe, se tu avessi detto questo per mettermi alia pro-
v a » 4. Scopo di questo «m ettere alia p ro va » (¿TconeipaaGoci) é di
scoprire se Paltro é in condizioni di «soccorrere il suo logos» 5.

3 I] caratíere agonístico non si ricava solo dal tono che domina in un discorso. La
discussione tagliente e aspra, che caratterizza il Gorgia, é evitata nel Protagora, ma
questo non significa che la situazione sia meno agonale: nella atmosfera civile delía
casa di Callia é possibile condurre una battaglia sostenuta, pur salvaguardando la
cortesia. Guthrie, A H i s t o r y IV , p. 233, confonde il tono del discorso e la situa­
zione agonale, ricavando dal m odo córtese di conversare l ’intenzione di Socrate di
trarre il massimo dei vantaggi dalla posizione delPavversario e di mostrarne la fo r­
za rispettabile.
4 349 C 8 s.: ou fá p av Qau^á^otpu &£to ts ooto7teip(Ó^e.vÓ(; ¡xou xaüxa Zkzyh;.
5 341 D 8 : sí oió; x ’ L'ar¡ t<o aautoü Xó^co PoriQetv.
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 231

Si presuppone che chi «m ette a p ro va » 1’ altro sappia come stan-


no le cose, ma che dica cose diverse6. II procedimento viene
adottato in questioni piü secondarie, come quella sul senso di un
testo di Simonide, ma anche per la domanda, centrale per il dia­
logo, sulFunità della virtü. N on è decisivo, per capire il tipo di
conduçione dei discorso, sapere se davvero Prodico volesse met-
tere alia prova Protagora e questi Socrate7. È piü importante il
fatto che entrambe le volte proprio Socrate — cioè 1’ uomo che
ha chiamato in causa anche il m otivo basilare delia critica dello
scritto — ha a portata di mano la spiegazione delia situazione
per mezzo di una «p r o v a » che nasconde la verità. La domanda
dovrà suonare cosi: che cosa ha egli a che fare con il procedi­
mento astuto che attribuisce agli altri e come si collegano fra di
loro il «m ettere alia p ro va » (à-n:oiteipãa9ou) e il «portare soccor-
so al proprio discorso» (tw éocuToü Xóyco Por)0eTv)?
II sospetto di una disputa non aperta, che coglie i due celebri so-
fisti, non è isolata nel dialogo. A questo m otivo Platone pone
come sfondo la domanda, principale e posta con un’ ampia pro-
spettiva storica e sociologica, su come la «sapienza», aocpíoc, pos­
sa essere comunicata nel migliore dei modi: apertamente e sotto
il controllo di tutti, oppure nascostamente mediante un mezzo
di comunicazione in apparenza orientato in un altro modo, op ­
pure senza mascheramento ma con l’ esclusione di testimoni a
cui essa non è diretta.

3. L a segretezza dei Lacedem oni e Vapertura dei Sofisti

La menzione delia terza possibilita ha in comune con la menzio-


ne delPincapacità dei libro a dare risposte il fatto che essa po-
trebbe essere eliminabile dalla situazione dei dialogo: 1’interpre-
tazione di Simonide, cui essa fa da introduzione, potrebbe esse­
re avviata anche in m odo piü semplice. Anche qui ci si deve chie-
dere che cosa significhi il fatto che Socrate tesse le lodi dei Lace­
demoni e dei Cretesi, in m odo apparentemente ozioso. Questi
Stati dorici, conservatori e notoriamente arretrati da un punto
di vista culturale, dispongono — cosi Socrate vuol far credere ai

6 341 D 6 s.: xat iy<x> oífjwu ... IIpóBtxóv “ys xóvSe e.i8£vai, àXXà iza.íÇzi\> ...
7 È evidente che almeno Protagora si è schierato per la diversità delle virtü, senza
secondi fini (329 D E).
232 «PR O TAG O R A»

suoi ascoltatori — «d elía filosofía piü antica e piü importante


dei G reci»; solo che essi sono abituati a «nascondere» la loro
«sapienza» (aocpta) 8 e ad ingannare in altre città i loro ammira-
tori. A questo scopo servivano anche le periodiche espulsioni
degli stranieri da Sparta; infatti, ogni tanto i Lacedemoni si
stancavano di dover sempre discutere con i loro propri saggi se-
gretamente; e allora gli stranieri se ne dovevano andaré, perché
gli Spartani potessero filosofare senza testimoni esterni (342 A 7
- C 8 ). È certo che non va trascurata, in questa lode della vita
spirituale spartana, la nota scherzos a, ma sarebbe affrettato
non voler vedere in questa lode «n ien t’ altro che» uno scherzo.
Come sempre, Socrate gioca con Pidea del tener nascosto, ma,
come sempre, è proprio Socrate che gioca con essa: il tema per
Platone è veramente importante. II Prota gora non fa in questo
eccezione. Si deve partiré dal rapporto antitético in cui si pone
questa concezione strana del «filo s o fa r e » spartano nei confront!
della concezione di Protagora della storia d elP «a rte» (t£xvti) da
lui rappresentata. Questa, nella formulazione di Socrate, è
r «a r te p olítica » (jeoXitixt) ity y ri), ovvero l’ arte di fare delPuo-
mo un buon cittadino (319 A 4-5), è idéntica alP«arte sofistica»
(aocpicmxf) xiyyr\), come suona la formulazione di Protagora
(316 D 3). Per come la vede il sofista, la sua arte è m olto antica,
giacché giá Omero, Esiodo, Simonide, O rfeo e Museo vi si dedi-
carono; tuttavia, poiché essa aveva delle pretese elevate e susci­
tava necessariamente la sfiducia dei poten ti, in generale i cultori
di quest’ arte evitavano di professarsi tali e ognuno la praticava
sotto un’ altra veste. In questo consiste la differenza della since-
ritá programmatica del nuovo tipo di «so fista », il quale non so­
lo è sofista, ma dice anche di esserlo. Con piena consapevolezza
del rischio politico della sua «a r te », Protagora ritiene che la mi-
gliore misura precauzionale sia Tammettere sin dall’ inizio a che
cosa si mira (quali siano le proprie intenzioni, i propri obbietti-
vi) (316 C - 317 B). L a sua personale decisione corrisponde ple­
namente al quadro dei fondamenti della convivenza politica
quale emerge dal suo lungo discorso: tutti devono partecipare
della giustizia, ognuno ottiene un beneficio dalla «v ir tü » (áp£xr¡)

8 342 B 6- 8 : vüv Sé á-n:oxpuc[)á¡J.£vot ixzivo (la loro superiorità in filosofia) aÇrjTcoc-


trjxacnv touç èv xaiç TcóXeatv Xaxcoví^oviaç.
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 233

altrui, perció in questo ámbito non esiste nessun «nascondimen-


to » , come accade, invece, per altre abilitá (327 A-B ; cfr. 322 C
ss.). Ogni maestro della areté é ben accolto (327 E; 323 C); sola­
mente i maestri straordinari devono stare in guardia.
I sofisti mascherati di Protagora e i Lacedemoni filosofanti di
Socrate posseggono una caratteristica comune, cui Socrate fa
apertamente riferimento (342 B 2-4): essi non vogliono che la lo ­
ro superioritá nella «sapien za» (aocpta) divenga manifesta. Pe-
raltro la contrapposizione é m olto chiara: dal momento che essi
seguono due metodi diversi — gli uni si mascherano e tuttavia
per iscritto raggiungono tutti, mentre gli altri tengono lontani
da sé anche sinceri simpatizzanti, quando vogliono comunicare
oralmente con coloro che stanno loro a cuore — , anche il suc-
cesso é diverso: i primi «s o fis ti» non riuscirono a rimanere na-
scosti in quanto tali; invece i sapienti della societá conservatrice
chiusa ottenevano il loro scopo in tal senso (317 A 1-7 contro
342 B 7, C 8 ). Comunque, sostiene Socrate, questi ultimi non lo
raggiungono con tutti: ora come allora, alcuni hanno ricono-
sciuto che «lacon izza re» significa filosofare m olto piü che eser-
citare la ginnastica. C oloro che se ne resero conto in passato so-
no stati i Sette Saggi, tutti amanti e discepoli della formazione
spirituale spartana (342 E 4 - 343 A 6 ). Contro uno di questi,
Pittaco, voleva lottare Simonide (343 B 7 - C 5) uno dei primi
«s o fis ti», che Protagora riconosce come suoi predecessori9, e
l ’ interpretazione dei quali costituisce per lui la parte piü im por­
tante della form azione intellettuale (338 E 6-7). Lanciando cosi
un ponte, anche se in m odo che suona artificioso, Socrate ritor-
na al com pito che Protagora gli ha proposto: l’ interpretazione
di una poesia di Simonide.
É chiaro ció che si raggiunge con questo passaggio: i «s o fis ti»
mascherati di Protagora vengono messi in relazione in modo
esemplare, nella figura di Simonide, con i Lacedemoni filoso­
fanti di Socrate )0. Coloro che Protagora riconosce come sapien-

9 Simonide ènom in atoin 316 D 7.


10 Friedländer, P la ton , II, p. 19, si è accorto delle relazioni evidenziate dal testo
(342 B 2-4), pero senza interpretarle secondo l ’ aspetto del riserbo — che Platone
sottolinea in m odo sufficientemente chiaro, cfr. sopra, nota 8 . È inoltre giusto os~
servare che Socrate colloca la poesia di Simonide «nella sua cor nice storica» (ib i­
dem); ma, dal momento che non considera la filosofia segreta dei Cretesi e degli Sparta-
ni corne appartenente al passato, egii non si cura solo deüa «storia», anzi, integra l’ a-
234 «PR O TAG O R A»

ti scendono in gara con altri che sono generalmente ritenuti sa-


pienti e che, da parte loro, hanno riconosciuto — al contrario
della massa — che Peducazione perfetta (342 E 7 s.) va appresa
presso i Lacedemoni, che non la comunicano ad estranei. N on
vuol forse dire tutto questo che Protagora, e la paideia da lui
rappresentata, deve schierarsi contro qualcosa la cui vera origi­
ne e il cui pieno sviluppo non gli sono affatto accessibili? Prota­
gora combatte contro un Socrate la cui vera intenzione é cono-
sciuta nella stessa misura in cui la « filo s o fía » (cpiXoaocpía ) degli
Spartani é nota agli stranieri?
Considerando la questione secondo quest’ ottica, non c’ é da stu-
pirsi che Pinterpretazione che Socrate da di Simonide, a cui fan-
no da introduzione le sue osservazioni sul modo «sp artan o» di
filosofare, abbia potuto essere descritta come una «istanza del-
Pontologia platónica ... sotto le spoglie di un método sofisti­
c o » ” , anche senza che le implicazioni di tale introduzione siano
state analizzate. L ’ etica del sapere, che si é voluto per forza leg-
gere nella poesia, e piü ancora il suo collegamento, indicato con
prudenza, all’ ámbito del divino (344 C e 345 B, C, E ), avrebbe-
ro tuttavia bisogno di una giustificazione ulteriore: Popposizio-
ne di essere e divenire, che determina Pinterpretazione (344 B
ss., cfr. 340 B 4-5), dovrebbe venire spiegata come opposizione
ontologica tra mondo delle Idee e mondo fenoménico, e questa
distinzione dovrebbe essere dimostrata come il fondamento per
la comprensione del «B e n e », ossia di quel Bene la cui scorretta
determinazione da parte di Protagora (334 A -B ) era stata la
causa della crisi del dialogo, che costítuisce ora il tema centrale
delPinterpretazione del poeta e su cui tornera Pultima parte del
dialogo.
Del resto, il significato del m otivo della segretezza «lacedem o-
n e» non dipende affatto dal riconoscimento di una spiegazione
«nascosta» delPinterpretazione di Simonide. Una minimizzazio-
ne del m otivo puó essere evitata mediante la seguente semplice
domanda: quale form a di societá é stata, allora, determinante
per le due utopie platoniche sullo Stato — quella dórica, chiusa,

spetto (pseudo)storico di Protagora con quello piü importante, sociologico: la fo r­


ma di vita (342 B) e la sapienza (343 A ) della forma di Stato chiusa, autosufficiente,
sono i modelli per i sapienti di altri Stati.
11 Friedländer, Pla ton , II, p. 20.
IL SOFISTA É MIGLIORE R1SPETTO A L SUO LIBRO? 235

oppure la societá aperta che ha in mente lo ionico e liberale Pro-


tagora? 12.
Ció a cui si arriva, se veramente tutti vogliono essere maestri
della virtíi, per Platone era stato deciso nell’ anno 399: si arriva
addirittura alFassassinio dell’ unico vero maestro della virtü. Di
conseguenza egli, A p o lo g ia (24 D - 25 A ), pone in bocca a
M eleto la tesi protagorea della comunicazione sociale auto-rego-
lata dell’areté, e nel M en one (92 E) la fa sostenere ad Anito, Tai-
tro accusatore13. Se, invece, la qualitá «filo s ó fic a » della societá
spartana consiste nel fatto che non chiunque voglia «insegna la
virtü », ma solo alcuni uomini qualificati praticano filosofia, in
determinate occasioni e in condizioni controllate, allora la de-
scrizione di Sparta, grottesca e lontana dalla realtá, si rivela uno
schizzo utopico contenente una chiara affermazione.
Ma, per restare al P rota g ora : é indiscutibile che Telogio dell’ illi-
mitata apertura al pubblico della comunicazione filosófica, op­
pure il non volerla comunicare intenzionalmente, é suddiviso in
modo inequivocabile tra i due protagonisti che sostengono il
dialogo. E Protagora si schiera in m odo programmatico dalla
parte delFapertura al pubblico, in quanto preoccupato del suo
personale benessere. Se Socrate filosofa in quanto preoccupato
della veritá, la sua posizione potra allora essere la stessa?
É vero che a volte sembra che Socrate si schieri, a modo suo, per
il filosofare «p u b b lico». Insieme a Protagora, vuole esaminare
le cose, poiché a lui importa appunto solo la cosa, e procedendo
insieme si ottiene di piü (348 C-D; 360 E). Per lui 1’ esaminare
l’ altro si basa sulla reciprocitá 14; egli sembra, perció, essere del
tutto privo di riserve e di secondi fini, ed é, in questa forma, se­
gno di una conversazione razionale. In questo senso, egli é a di-

12 A l l ’ esclusione dalla formazione spirituaíe «p e rfe tta » che i Lacedemoni pratica-


no nei confront! degli stranieri, corrisponde l ’ esclusione della persona non adatta
della formazione spirituaíe «p recisa» in senso superlativo da parte dei re-filosofi
nella Repubblica (503 D 8-9). L ’ organo superiore delio Stato ideale cretese, nelle
Leggi, il vuxxE.pi.v0 s aúXXoyo?, ricorda giá, per l ’aura di mistero che avvolge le sue
riunioni, l ’ esercitazione segreta della filosofia a «S p arta».
13 La differenziazione di A n ito (solo i xotXot xayaOoi sono insegnanti della virtü)
non ha un preciso senso sociologico, perché A n ito stesso era figlio di un arrivista
(90 A ), e quindi non rientrava fra i xaXoi xorfaGoi nel senso vecchio. Sulla sua boc­
ca l’ espressione significa niente di piü che «u om ini onorati».
14 348 A 1 -2 : ¿v -col? éau-ccóv Xófon; irEÍpav áXXrjXa>v Xa[i.(3ávovT£i; xaí StSóvxe?.
236 «PR O TAG O R A»

sposizione di Protagora, nel caso egli voglia verificare come


stanno le cose per quanto concerne la comprensione del poeta
Simonide da parte di Socrate (342 A l ) .
Intanto, Socrate aveva giá detto anche a Crizia nel Carmide (166
C-D ) che gli importava soltanto della cosa; tuttavia, egli aveva
rimproverato a Crizia, alia fine della loro «com u n e» ricerca, un
comportamiento che, in realtá, era il suo: egli lo avrebbe fatto gi­
rare in circolo e gli avrebbe «n ascosto» le sue opinioni. « L ’ esse-
re orientati solo alia cosa» non eselude, anzi include, per Plato-
ne, che si sviluppi la cosa tenendo presenti le condizioni che so-
no proprie delPinterlocutore. L a motivazione per cui Socrate
con sommo gradimento filosofa con Protagora é, cosi, chiara-
mente uno scherno della generosa disponibilitá di questo a mo-
strarsi a tutti — per m otivo di denaro, si intende — come mae­
stro della sua arte (mentre altri «n ascon don o» quest’ arte gelosa-
mente, 348 D 5 - 349 A 6 ), e un’ indicazione del fatto che é ben
difficile credere alia sinceritá di questa assicurazione. Per quel
che riguarda la visione di un reciproco ricevere e daré prova
(rcEtpav Xa(¿(3ávetv xal StSóvai, 348 A 2), essa é sviluppata in con­
trasto all’ «edu cazione» di Protagora, e va intesa come un invito
rivolto a lui perché si sollevi, con Socrate, ad un livello piü alto;
la questione concernente la misura in cui ció si possa realizzare
con Protagora, deve restare per ora aperta.
M a é decisivo il fatto che, giá dal proemio al dialogo, la posizio-
ne di Socrate risulti stabilita. Si tratta, nel proemio, di un dialo­
go personale con un amico, il giovane Ippocrate, che si affida a
Socrate; é qualcosa di m olto diverso da una discussione pubbli-
ca con un sofista in cerca di fa m a 15. Tuttavia Socrate inizia a
«saggiare» la forza intellettuale di Ippocrate (ábcon&ipú>[JL&voc t o u
’ IuTToxpáxou; t?¡s (Sú[¿7}c, 311 B 1). Le domande di cui si serve a
tale scopo riguardano l ’ essenza delParte della sofistica. Dal m o­
mento che Ippocrate non sa rispondere, Socrate rivolge quasi le
stesse domande a Protagora a nome di Ippocrate (311 B-E ~
318 B-D): dopo che la forza intellettuale del giovane si é dimo-
strata insufficiente, Socrate «s a g g ia » la forza delPanziano sofi­
sta. Poiché egli stesso sin daH’ inizio non fa altro che «saggiare la
forza di P ro tagora» (á^oTustpaaGat t o u ílpcouayópou xf¡<; peo^r^),
puó poi sospettare che anche Prodico e Protagora facciano la

15 C fr. 317 C 6 s.; 335 A 7 s.


IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 237

stessa cosa nei suoi confront! (oppure fra l o r o ) 16. Solo il «sag-
giare» (à 7tO7r£ipâ<T0 at,) e la possibilita del trattenere il sapere, già
ampiamente messa in gioco, danno il vero peso dell’afferm azio-
ne di Socrate per cui, nel corso del suo esame del logos, tanto
l ’interrogato quanto egli stesso, in quanto inquisitore, sono sot-
toposti alla prova (333 C 7). Ciò che Socrate vuol sapere è ciò
che egli mette in bocca a Prodico: se Protagora è in grado «d i
portare soccorso al suo lo g o s ». Anche il suo comportamento,
perciò, va visto secondo ií medesimo aspetto. In altri termini:
solo chi fosse in grado di «portare soccorso» a se stesso può ese-
guire il test del filosofo nel senso delia critica dei testo. E costui
è lo stesso che, secondo la maniera lacedemone, sa anche «na-
scondere» il suo sapere in caso di bisogno.

4. L a successione dette situazioni-soccorso

II dialogo nel suo complesso è strutturato in modo chiarissimo


sulla base di una successione di situazioni di «soccorso» ((3o-
T|0£toO, coerentemente con 1’ istanza espressa nel proemio. Ciò
che Ippocrate, il futuro allievo sofista, non sa risolvere per
quanto riguarda le domande sull’ essenza di quell’ arte, dovrà es-
sere Protagora a chiarirlo in un elenchos prendendo lui stesso la
parola (ocõxòç Xéycov). L a sua prima affermazione, fondamenta­
le, secondo cui l ’ «arte politica» (ttoXitixt) Te^vr)) e quindi la «vir-
tü » (ápeTTj) siano insegnabili, è subito contraddetta (319 A - 320
C ) 17; si o ffre a lui la possibilita di difendersi secondo il suo mo-

16 Altreííanto suggestivo é l ’impiego del m otivo del «saggiare» nelFultimo libro


delYlliade. Hermes dice per due volte a Priam o Tietpá ¿¡Jieio, -yepcué (X X IV 390 e
433); entrambe le volte il dio «s a g g ia » Puom o, e non viceversa; cfr. C .W . Macleod,
H om er, Ilia d B o o k X X I V , Cambridge 1982, p. 122.
17 É soltanto alia fine del dialogo, quando Socrate riassume, come risultato, il ca-
povolgim ento delle posizioni, supposto involontario (361 A B), che diventa chiaro
il fatto che, cosi facendo, Socrate contraddice una sua precedente convinzione. L a
negazione della veritá é dovuta alí’ intenzione di aTroTmpäaflai. Cfr. sotto, pp. 246
s. — K. Praechter (Friedrich Ueberwegs Grundriß der Geschichte der Philosophie,
I: D ie Philosophie des Altertum s, Darmstadt 1957 14, p. 228), si é battuto a favore
di un’interpretazione che prenda sul serio il «riconoscim ento» di Socrate (328 E) di
essersi lasciato convertire da Protagora alla fede deH’ insegnabilitä della virtü. M a
contro questa lettura si pone l ’ironico afitxpov xi (E 4), che manca a Socrate per es-
sere totalmente convinto e a cui Protagora non sa, naturalmente, rispondere. Inol-
tre, Socrate stesso indica l ’ arte di Protagora con la perifrasi tcoXitlxt) xiyy?\ ( ~"
£7:t(jTrifA^) (319 A 4), evidentemente contrapponendosi all’ intenzione di quest’ ulti-
mo (cfr. 318 E); ma ció che é é anche insegnabile (361 B).
238 «PR O TAG O R A»

do: egli tiene un lungo discorso sulla distribuzione della giustizia


tra tutti gli uomini, operata da Zeus, e la trasmissione della virtü
civica a tutti per mezzo di tutti i membri della societá (320 C -
328 D ). Con questo discorso egli non é ancora uscito dalVelen-
chos, anzi, la situazione si acuisce: egli deve ora mostrare se rea-
gisce alie domande solo ripetendo le proprie opinioni, come un
libro 18 o come un vaso di bronzo che risuona, o come uno che
sappia porre i fondamenti piü in profonditá. Egli, ignaro, crede
che ció sia facile (329 D 3) e per un p o ’ asseconda il método so­
crático di porre domande, finché si accorge di quanto tale meto-
do gli sia dannoso, e tenta, perció, di riprendere il controllo del­
la conversazione di nuovo alia sua maniera, ossia con lunghi di-
scorsi (334 A -C ).
M a Socrate blocca il suo tentativo di evasione: la sua memoria,
egli sostiene, é cosi cattiva che non gli permette di seguire discor-
si lunghi; infine, lo minaccia di interrompere di colpo il dialogo
(334 C - 335 C). L a discussione sulla virtü é diventata una prova
di forza per Pimposizione del método che Yelenchos deve segui­
re. Socrate risulta chiaramente vin citore19: dopo un lungo tergi­
versare (334 C - 338 E ), Protagora accetta, per le pressioni dei
presenti, il procedimento socrático per domande e risposte, du­
rante il quale gli viene permesso di assumere egli stesso il ruolo
di colui che pone le domande; ma il suo m odo di procedere per
mezzo di una esposizione continua di tesi e argomenti sembra
definitivamente eliminato.

18 L ’ accenno al libro proprio in questo punto si spiega pienamente se si considera


che il discorso doveva essere essenzialmente la versione orale dello scritto di Prota-
gora intitolato üepí if\<; ív ápxfí xaxa<rcáa£íos (Diogene Laerzio, IX 55) (su questo
problema si veda Guthrie, A H istory ..., I ll, pp. 63 s.). Platone ha sicuramente co-
nosciuto Protagora, che era notevolmente piü anziano di Socrate (Prota gora , 317
C), e che mori settantenne attorno al 420 a.C. (cfr. R.S. Bluck, P la to ’s M en o,
Cambridge 1961, pp. 358 s. a proposito d iM enone, 91 E), soltanto attraverso i suoi
libri. Con l ’immaginazione del poeta, Platone colma quello che egli non poté piü
sperimentare di persona: Protagora che, per lui, era un libro, diventa nuovamente
un autore in carne ed ossa che egli colloca nella situazione che é la sola adatta a m o­
strare il livello intellettuale di un autore di testi scritti: se egli puö i suoi Yrfpoc[i.piva
cpauXa árcoostlai, allora egli é cpiXcmocpo^, in caso contrario é un semplice auyypa-
X ó y a jv .
19 A proposito del senso della sua testardaggine cfr. sotto, pp. 247 s. Pochi far an­
no propria la tesi di O. Gigon, secondo il quale nella descrizione della lotta sui me-
todi si rivelerebbe una «incapacita di realizzare in m odo chiaro l ’intenzione poéti­
c a » (Studien zu Platons Protagoras [1948] in: O. Gigon, Studien zur antiken P h ilo ­
sophie, Berlin 1972, p. 103).
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO AL SUO LIBRO? 239

Protagora cerca, quindi, di assumere il ruolo di Socrate e ri-


porta addirittura un successo sorprendentemente rápido: il
pubblico lo applaude, quando questi dimostra una contraddi-
zione presente in una poesia di Simonide e che Socrate aveva
negato (339 D-E). II paragone con il colpo di un pugile ben
mirato e andato a segno sottolinea, ancora una volta, il carat-
tere agonale delia discussione. M a il fatto che Protagora non
sappia impedire lo scambio dei ruoli, che ora ha luogo, dim o­
stra quanto poco Protagora domini, in effetti, il método so­
crático. Socrate si serve, dapprima, di Prodico quale awersa-
rio di Protagora, per guadagnare tempo (339 E 4). M a poi,
quando la situazione incomincia a capovolgersi egli ricorre al
método di Protagora ed espone, in un lungo discorso (342 A -
347 A ), che le opinioni di Simonide sulla «v ir tü » (ápexr¡) sono
senza contraddizioni e sensate.
Nulla meglio di questo capovolgimento puó mostrare il com ­
pleto dominio della situazione da parte del giovane Socrate:
dopo che l ’ anziano maestro ha dovuto semplicemente capitola-
re sulla questione del método, e ha avuto la libertá di utilizzare
il método per lui estraneo dell’ avversario per la interpretazione
dei poeti, ámbito per lui importante, Socrate si sente ora abba-
stanza libero da ripetere, a modo di scherno, il método del-
Pavversario da lui stesso eliminato. Questa volta la supposta
cattiva memoria non gli impedisce per nulla di portare a com-
pimento il suo pensiero f acendo un ampio giro: Socrate ripor-
ta successo nel campo che è peculiare di Protagora e servendo-
si del método che è peculiare di quest’ultimo.
Con la conclusione del discorso di Socrate viene prodotta la
stessa situazione che esisteva dopo il discorso di Protagora: es-
sendo invertiti i ruoli, potrebbe ora essere Protagora ad insi-
stere e domandare a Socrate quali sono i fondamenti piü pro-
fondi su cui poggia il discorso (in effetti, Alcibiade fa cenno al
fatto che ora toccherebbe a Protagora interrogare, 347 B 5).
M a Protagora non ha capito il procedimento delPavversario;
Socrate puó in tal m odo completare il suo successo, dichiaran-
do priva di valore l ’ arte dell’interpretazione dei poeti, considé­
rala cosi elevata da Protagora (338 E 7 s.), e facendolo con
una schiettezza quasi offensiva. Cosi procedendo, egli ricorda
una seconda volta il fatto fondamentale della critica dello
240 «PR O TAG O R A»

scritto: non si possono interrogare i poeti (347 E 4 ) 20. Invece


di fare queste domande, si dovrebbero piuttosto riprendere e
proseguiré quelle che in precedenza (nella discussione seguita al
discorso di Protagora, 334 C ) sono State abbandonate (347 C 3 -
348 A 6 ).
La contrapposizione, evidenziata, dei due ambiti di domande
fra loro mostra in m odo incisivo che Socrate é preoccupato di
qualcosa di piü fondante e importante, in cui la questione del
método sta, si, in primo piano, ma non é separabile da quella
del contenuto: non gli importa delle opinioni altrui, che, in ulti­
ma analisi, non possono essere determinabili in m odo sicuro,
bensi della veritá medesima (348 A 5). Giá la doppia sconfitta,
m etodologica e contenutistica, preannuncia che Protagora non
riuscirá, di fatto, a stare al passo in questo ámbito «p iü eleva-
to ». L ’ interesse si sposta tutto su Socrate che, in quanto svolge
il ruolo di colui che pone le domande, é a sua volta messo alia
prova, insieme a Protagora: come portera a conclusione il suo
logos iniziato e poi interrotto? Saprá portargli «soccorso»* se
questo dovesse ancora venire a trovarsi in necessitá?
II dimostrare proprio questo é il senso drammaturgico di quel
passo famoso — e spessissimo frainteso — in cui Platone conce­
de ancora un breve trionfo a Protagora, giá battuto nel suo p ro­
prio campo, e incapace di sostenere Velenchos del discorso di
Socrate. Socrate vuole dimostrare che coraggio e sapienza sono
identici, cosa che assicurerebbe, congiuntamente alie precedenti
dimostrazioni, 1’ unitá di tutte e cinque le virtü cardinali e confu-
terebbe definitivamente la tesi di Protagora circa la diversitá
delle virtü (329 D - E )21. A ü ’ inizio egli lascia che Protagora gli

20 E poiché i testi non li si puó interrogare, ognuno legge nel testo una cosa diversa
(E 4-7). L ’interpretazione di Socrate ha appena dimostrato che questo si puó fare a
piacere. II Socrate storico sembra aver attribuito all’ intepretazione dei poeti un va­
lore non piccolo, cfr. Senofonte, M em ora bili, I 6,14 e IV 2, 8 ss. (e l ’ osservazione
in proposito di W . Jaeger, Paideia, II, Berlin 1944, pp. 77 e 372, nota 4).
21 Nella prima argomentazione si era mostrato che la giustizia non è diversa dalla
devozione (330 B - 332 A ), nella seconda erano state equipárate temperanza e sa­
pienza (332 A - 333 B); la terza argomentazione (333 B ss.) volevam ostrare l ’identitá
di giustizia e temperanza, ma era stata interrotta dalla discussione sui metodi (334 C
ss.). Comunque, Protagora accetta anche questa prova, riconosce l’ unitá delle virtü
della giustizia, della devozione, della temperanza e della sapienza e tiene distinta da
queste solo la virtü del coraggio (349 D ). — Già H. Bonitz (Platonische Studien, pp.
265 s.; analogamente Friedlãnder, P la to n , II, p. 15) ha spiegato il fatto che Socrate,
nella prima discussione (330 B ss.), voglia dimostrare Yidentità delle virtü motivan-
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO AL SUO LIBRO? 241

confermi che i coraggiosi siano uomini che hanno sicurezza (au-


daci, temerari: GappocXeoi)» e súbito dopo egli parla anche come
se tutti gli uomini che hanno sicurezza siano coraggiosi (349 E 2;
350 C 3-4); ma, poiché la sicurezza é stata fatta dipendere com­
pletamente dal «sa p ere» (350 A 2 ss.), egli ritiene dimostrato che
anche il coraggio non é altro che «sa p ere» o «sapienza» (aocpía).
Platone fa commentare a Protagora in m odo assai superiore il
rapporto logico dei concetti affini: «au dace» é il concetto piú
ampio, «co ra ggio s o » il piü ristretto, quindi tutti i coraggiosi so-
no audaci — e soltanto questo era ció che egli aveva ammes-
so — , Tinverso, utilizzato da Socrate, é invece inammissibile
(350 C 5 - 351 B 2).
Con 1’intento lodevole di cogliere il livello raggiunto dal primo
Platone nell’ambito della lógica e dell’etica, si é cercato con
sempre nuovi tentativi, di rilevare in modo preciso la struttura
lógica dell’intera dimostrazione — ma si é, cosi facendo, dimen-
ticato che Platone non vuole, come intento principale, daré una
lezione di lógica, bensi inscena, in una discussione caratterizzata
da un’ arte drammaturgica elevata, una svolta il cui senso si rica-
va solo dal seguente atto conclusivo del dramma. La struttura-
zione del passaggio aH’ ultima parte non lascia dubbi sul fatto
che al centro non é la domanda (in sé non priva di interesse) se
Pobiezione di Protagora colga, o no, il nocciolo dell’ argomenta-
zione di Socrate, bensi la capacita di Socrate di concludere la di­
scussione in m odo vittorioso.
Infatti Protagora, che ora puó respingere la deduzione conclusi­
va suH’ unitá di coraggio e sapienza, dovrá, alia fine, accettarla
(360 D -E): viene condotto a fare questo, passando per una vía
che tocca un tema completamente diverso, cioé quello del rap­
porto del piacevole al buono e della domanda se si possa volere
qualcosa di diverso dal buono (e piacevole). M a come si arriva
al nuovo problema? L o introduce Socrate, in m odo immediato e
senza alcun m otivo, e, precisamente, immediatamente dopo il

dolo con l ’intenzione di metiere alla prova Protagora; nella seconda discussione
(349 D ss.), e, in particolare, alla fine del dialogo (361 B), diventa chiaro che cosa si
intende: la fondazione comune délie virtú sulla conoscenza (che è per forza cono-
scenza del Bene e del M ale, 352 C 4-5). O. Gigon, Studien ..., p. 105, credeva in una
«contraddizione nel pensiero m edesim o», che, di conseguenza, trovava addirittura
«allettante» «g io c a re » «c o n il pensiero di una soluzione radicale», cioè con la atetesi
del dialogo (p. 108).
242 «PR O TAG O R A»

dettagliato rimprovero della sua lógica da parte di Protagora.


Socrate, in passi precedenti del suo racconto, aveva menzionato
per due volte quanto fosse impressionato dalle brillanti esposi-
zioni del suo rivale; una volta addirittura gli si è annebbiata la
vista come se avesse ricevuto un pugno da un buon p u gile22.
Sebbene Platone, nel passo che abbiamo ora sotto gli occhi, ab-
bia sottolineato ancora piü fortemente l’ (apparente) superiorità
di Protagora, egli non ha però fatto reagire Socrate nemmeno
lontanamente come nei passi precedenti. Egli non è né scosso né
confuso neppure per un momento, ma è anche ben lontano dal
riconoscere l ’ ammaestramento o, addirittura, dal ringraziare
per averio avuto, come sarebbe in effetti adeguato al tono córte­
se con cui egli dichiara il suo interesse per la ricerca com une23. È
possibile spiegare la mancanza di una reazione adeguata da par­
te di Socrate?
II m odello del «so cco rso » (ßorjOe-ta) che si ricava dal Fedro rende
comprensibile il comportamento sorprendente di Socrate: la
reazione adeguata del dialettico consiste proprio, dopo che il
suo logos è stato messo in difficoltà, nel presentare, con sicurez-
za e a ragione veduta, un altro logos, ancorato piü a fondo (un
Tt^ucÓTepov ti), con cui ottenere senza fatica lo stesso scopo di-
mostrativo. Ovviamente, la giustificazione dell’ attacco è di im-
portanza secondaria e non viene ulteriormente discussa: ció che
importa è il tipo della reazione che ora segue24.

22 339 E: cl>a7t£pet vitó áyaGoG tcÚxtou TcXrpftíç, iaxoTt¿ór]v t e xa i tXiyyíaaa. L ’ al­

tro passo, 328 D, descrive lo stordimento di Socrate dopo il mito e il logos di P ro ­


tagora.
23 348 D E ; 3 6 1 C D . Alm eno il primo passo, común que, non è privo di ironia; cfr.
sopra, pp. 235 s.
24 II fatto che manchi una risposta alia critica lógica non deve far concludere, con
Praechter, D ie Philos, d. Altertum s, p. 228, che «Socrate la lascia valere silenziosa-
mente» (e se anche cosi fosse, questo non implicherebbe ancora che Platone non
avesse l ’ intenzione di mostrare Socrate come un «dialettico in tutto vittorioso»; in-
fatti, l ’ esito della disputa m etodologica, dell’ interpretazione di Simonide e, soprat-
tutto, della parte conclusiva [360 D E], non lasciano il mínimo dubbio sul fattó che
l ’intenzione era questa). — L a legittimità del rimprovero logico è valutata in modi
diversi: mentre prima si era inchni ad accettarlo, oggi predomina 1’ opinio ne che esso
non coglie il núcleo della argomentazione socratica (tutt’al piu la formulazione ne­
gligente, 350 C 3-4, a cui si aggancia Protagora) (cfr. G. Vlastos [cur at ore], Pla to,
Protagoras, N ew Y ork 1956, Introduction, pp. X X X I- X X X V I; Guthrie, A History
..., IV , pp. 228 -230; piü cauto C .C .W . Taylor [curatore], Plato, Protagoras, O x­
ford 1976, pp. 150-161). È importante notare che, in entrambe le spiegazioni, lo
svolgimento del dialogo resta contraddittorio, finché si considera solo l ’ aspetto log i­
co: se Platone avesse voluto mostrarci Protagora dalla parte del giusto, allora egli
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 243

Socrate procede sicuro delia sua meta, e su questo Platone non


vuole che nutriamo dubbi: quando Protagora chiede perché sia
bene analizzare proprio la filosofia del piacere degli uomini, So­
crate gli spiega che egli ritiene questo tema importante per la ri-
sposta alia domanda sul rapporto del coraggio con le rimanenti
virtu; e gli fa notare che, all’inizio del nuovo episodio, essi han-
no deciso di lasciare a Socrate la guida del dialogo; il concetto di
guida (rjYe^oveústv, fiyeTaGai) è stato introdotto qui per la prima
volta (353 A 7 - B 5, con richiamo di 351 E 8-11)25.
Ugualmente indubbio è il fatto che egli tende con una mira sicu-
ra verso domande di ordine superiöre. Viene fatta la domanda
sul Bene, anche se posta nella form a particolare se esso sia idén­
tico al p iacevole26. M a questa equiparazione fuorviante con il
piacere la si trova in Platone anche nel sesto libro della Repub-
blica, dove egli dice piü cose sulFIdea di Bene che in qualsiasi al-
tro punto della sua opera scritta, ed è posta qui in contrasto con

non avrebbe dovuto fargli ammettere ehe chi ha sicurezza ce l’ ha solo in quanto si
basa sulla conoscenza e ehe la fiducia senza la conoscenza sarebbe aiaxpov (350 A
2; B 5). Se Socrate deve aver ragione, allora egli dovrebbe formulare 350 C 3 in m o­
do diverso o, almeno, rifiutare la correzione logica. Se si tenta di considerare, a
parte la logica, anche la tattica del diaiogo, allora la reazione di Socrate si rivela
sensata, indipendentemente, quindi, dall’ analisi logica: se il rimprovero colpisce
nel segno, allora l ’ intera dimostrazione 349 E - 350 C costituirebbe un caso di quell’
àrcoTietpconevov Xé^eiv, che determina 1’intero dialogo, paragonabile alFingannevo-
le scambio dei concetti di «fa r e » e «occu parsi» nel Carmide, 161 D ss. — anche là
Crizia intuisce 1’ errore (163 A B), il ehe rende necessário un nuovo inizio da parte
di Socrate ehe, del resto, non è affatto confuso; se il rimprovero non coglie nel se­
gno, allora il logos di Socrate, nonostante tutta 1’ apparenza delia legittimità, è tut-
tavia « a torto denigrato» (oux Iv SiJtrj Xot8opr)0£Íç, Fedro, 275 E 4), e perciò il dia-
lettico potrebbe certo rispondere rettificando le implicazioni logiche ehe vengono
propriamente intese, ma, invece, può anche, andando oltre quanto già ha detto, fa­
re rotta verso ía sua mèta con nuovi strumenti di pensiero, senza difficoltà e in m o­
do nettamente superiore.
25 Analogamente, Socrate anche in 354 E 3-8 insiste su un punto la cui importanza
per quel ehe segue gli è già chiara. — Anche B. Manuwald, ehe nega nei dettagii il
nesso speculativo fra il brano suí piacere e quello sul coraggio come conoscenza, ri-
conosce ehe la discussione sul piacere svolge nelPinsieme una funzione importante
per il risultato: essa sarebbe rappresentata dal «superamento delia posizione oppo-
sta, ehe il sapere soccombe al piacere» (Lust und Tapferkeit: Zum gedanklichen
Verhältnis zweier Abschnitte in Platons Protagoras, «Ph ronesis», 20 [1975], pp.
22-50, la citazione è a p . 50). Oltre a tutto questo, bisognerebbe ricordare l ’ «arte
del misurare», che comprenderebbe, e fonderebbe, nella sua naturale forma platô­
nica, anche il coraggio inteso come conoscenza di ciò che incute timore; cfr. sotto,
nota 32.
351 E 2-3; 355 A 1; 358 A 5.
244 «PR O TAG O R A»

la giusta comprensione (505 B 5; C 6 ; 509 A 7-9). E come, nella


Repubblica, la conoscenza del Bene viene vista in unione con la
corretta comprensione delia struttura delPanim a27, cosi anche
qui viene posta, in aggiunta, la domanda sulla «scien za» (em-
GTT¡fjLTj) e sul suo rapporto con le altre forze deli’ anima, doman­
da che, in ultima analisi, non può trovare una soluzione soddi-
sfacente senza Panalisi delia struttura deH’anim a28.

5. Perché Socrate p o rta fin o in fo n d o il discorso. L a delimita-


zione contenutistica nella sezione fin a le dei dialogo

Se si considerano insieme le due cose, la certezza circa la meta


del método di Socrate e il suo sconfinare in problemi di maggio-
re importanza, diventa comprensibile il m otivo per cui il ruolo
di Protagora viene ora ridotto a quello di uno statista: poiché la
discussione entra nell’ orbita dei Bene, il dialettico si assume la
«g u id a » e preferisce «portare egli stesso a conclusione» il lo-
g o s 29.
Naturalmente, egli non porta il logos a quella conclusione che
gli è data dalla cosa stessa: poiché il Bene si è presentato alia v i­
sta, la discussione non potrà considerarsi conclusa prima che si
sia definita l ’ essenza del Bene; e questo è un compito che non as-

27 Repubblica, 504 A -D , che riprende 435 B-D: la teoria dei Bene e la dottrina dei*
1’ anima sono oggetto delia «v ia piü lunga». Cfr. sotto pp, 394 ss.
28 352 A 1 - C 7. Inoltre, se qui si richiede a Protagora di «svelare» (àrcoxáÀucjjov,
B 1) oltre alia sua visione dei piacere anche quella deH’ Ê7ttarfyn], ciò sottolinea let-
teralmente solo la necessita di superamento dei proprio contributo, 351 D E . M a
dal momento, che il ruolo delia ¿7ttcr^mr] ( ~ crtKpía) era stato decisivo anche nella
discussione precedente (330 B ss.), senza che essa venisse effettivamente spiegata,
risulta necessário andare oltre quanto è stato detto fino a questo momento. L ’ im-
magine incisiva delPestendersi delia visita dei medico dal viso e dalle mani all’intero
corpo (352 A 2-6) concretizza 1’ ixtòç ¡3cuve.iv nel senso delle Leggi, 891 D E; cfr. so­
pra, pp. 127 -134.
29 Protagora non dice atjxòç iripavov (360 D 8) solo in occasione delia conclusione
logica, per lui sgradita, bensi già quando gli viene fatto ricordare il ruolo principale
svolto da Socrate dice: rcépoctve óScnrep T}p?co, 353 B 6 . D i fatto, con 1’ introduzione
delia voce dei pubblico (353 A 4), Protagora è diventato supérfluo per lo sviluppo
delTargomentazione; egli deve soltanto ancora confermare che Socrate, nella sua
disputa immaginaria con il pubblico, formula correttamente le loro risposte. È sol­
tanto in seguito airim piego dei risultato delia discussione sul piacevole che P rota­
gora rientra pienamente nel dialogo (359 A ss.); ma, ora, non gli resta altro che am-
mettere che gli assensi trovati in precedenza (nel dialogo in parte con il «p u b b lico»
e in parte con Ippia e Prodico [358 A -D ]) hanno già deciso a sfavore delle sue tesi.
IL SOFISTA É MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 245

solve nemmeno la Repubblica, che si limita ad indícame la pos-


sibilitá e necessitá. L a conclusione qui offerta é solo la confuta-
zione di Protagora, che viene realizzata in modo davvero trion-
fale con l ’ assenso di tutti gli ascoltatori30. M a se tale conclusio­
ne dovesse realizzarsi in m odo che non solo soddisfi il pubblico
ma anche lo stesso Socrate, allora occorrerebbe ancora qualcosa
di piü. Infatti la via verso il parere concorde di Protagora passa
per l’ idea di una universale «arte della misurazione», ovvero di
una scienza che sia in grado di misurare in modo attendibile il
piacevole e il doloroso, cioé, secondo le premesse di questa se-
zione, ció che é Bene e ció che é Male, e possa c o s í procurare alia
vita umana la veritá, la pace e la salute (356 C - 357 B). Que­
st’arte della misurazione puó essere qualcosa di piü ristretto del­
la globale analisi dell’ essere della dialettica platónica, in cui il
Bene non viene misurato, ma si rivela come la misura assoluta di
tutte le cose buone e cattive? Socrate formula la domanda su
quale possa mai essere questa scienza, ma non per ovviare alia
sua soluzione, bensi per tenerne lontana la discussione dalPesa-
me attualmente in corso: la si «considererá un’ altra v o lt a » 31.
N on solo con questo Socrate si rivela 1’ «esp erto» (xexvixós) della
conduzione filosófica del discorso, che sa sollevare la conversa­
zione in fase critica verso problemi piü importanti, ma anche
con il fatto che limita consapevolmente lo sviluppo del proble­
ma: coluí che ha cose di maggior valore (ex<ov Tt¡juoín:&pa) é an­
che colui che sa dire e anche tacere alie persone a cui bisogna di­
re o tacere (eiuaTrjpiwv Xéyetv re xm arfáv 7tpós o0$ Bel)32.

30 L ’assenso generale e sottolineato a partire da 358 A . Quando Protagora aveva


esposto la sua visione del Bene, il pubblico era dalla sua parte (334 C 7; analoga-
mente 339 D 10). II mutamento di opinione non e un ornamento secondano, costi-
tuisce, ai contrario, una parte essenziale dell’immagine del dialettico: la sua arte
non e solo un’ arte formale nell’argomentare, bensi e, al tempo stesso, anche
aycoyia (.Fedro, 271 C 10). Risulta in certa misura incomprensibile come O. Gigon,
Studien pp. 101 s., abbia potuto pensare che fosse «n on del tutto chiaro chi
debba valere ora come vincitore», o come, prima di lui, A . Gercke, Eine Niederla­
ge des Sokrates, «N eu e Jahrbücher für das klassische Altertum », 41 (1918), pp.
145-191, abbia potuto spiegare che Protagora era il vincitore (cfr., in proposito, la
breve confutazione in Friedländer, P la to n , II, p. 283, nota 27). A proposito di
Praechter, D ie Philos. d. Altertum s, p. 228, cfr. sopra, nota 24.
31 357 B 5: rp:t£ fjiv totvuv t&xVTi xa^^ i < n ¿ < y u v aöxrj, ei? au0i£ ax£c[>6[j.e0a.
32 Platone non ha certo reso facile riconoscere i suoi propri 'cqxic.oxepa dietro alla
discussione sul Bene e sul suo rapporto con il piacere e la conoscenza. Genera con-
fusione soprattutto il fatto che il presupposto dell’intero passo, Yhedone sarebbe il
246 «PR O TAG O R A»

L ’ apparizione dell’ arte di conduire il discorso, che qui si verifi­


ca, ci riporta alla disputa sul procedimento a metà dei dialogo
(334 C - 338 E). Socrate ha ricondotto il discorso proprio al pun­
to in cui esso minacciava di arenarsi. Protagora, in un breve di­
scorso, vi aveva esposto la sua opinione secondo cui il Bene è
qualcosa di svariato e multiforme, qualcosa di diverso per cia-
scuno (334 A 2 - C 6 ). Se questo fosse vero, non potrebbe esiste-
re nessuna scienza che misuri secondo un metro comune le cose
buone e quelle cattive. L ’ideale di un’ «arte délia misurazione»
universale è la risposta al relativismo protagoreo. Invece che alla
varietà e alla multiformità del Bene, la dialettica platónica por-
terebbe alla sua unità, al Bene come Uno. Protagora, che col
suo discorso sulla relativité del Bene, ha cercato di uscire dall’e-
lenchos socrático, ed è poi stato nuovamente costretto da Socra­
te a procedere nella rigorositá di questo procedimento, ora che
gli è stata posta innanzi Timmagine opposta di un’ arte globale
della misurazione, non solo non è costretto a continuare a chie-
dere e ad ascoltare, anzi, la domanda che farebbe proseguiré il
discorso viene espressamente spezzata in parti. II costringere al-
Yelenchos e la limitazione deirinsegnamento fiío s o fic o 33 vanno

Bene, e quanto di piü lontano si possa immaginare dalle sue convinzioni. Perciö la
tesi piü volte sostenuta a partire da Hermann, Geschichte und System ..., secondo
la quale Platone accetterebbe, qui, perfino Pedonismo dei naXkoi (ehe egli, tutta-
via, accantona con disprezzo in Fedone, 69 A ), non trova un appoggio nel tesio, e
si pud considerare oggi superata (cfr. Jaeger, Paideia I I , pp. 208 s.; Friedländer,
P la ton , II, p. 24 e nota 24; Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 232 s.; Manuwald, Lust
und T a p fe rk e it..., pp. 24 s., con indicazioni bibliografiche ulteriori a p. 25, nota
14). Esistono, invece, segni innegabili del fatto ehe Platone presenta il proprio pen-
siero mediante concetti ehe prende da altri, cosi ad esempio (a) la descrizione degli
effetti della proiettata «arte della misurazione», 356 D 3 - E 2 (breve parafrasi del-
Yeudaimonia come risultato della filosofia), (b) l ’ insistenza sul carattere di mu-
di quest’ arte (357 B 6), (c) Pinvincibilitä e il dominio della imaxr\\±T\, ehe co-
nosce il Bene e il Male, sopra le altre forze presenti nell’uomo (352 C 3-7), (d) la in-
dipendenza dalPidea di un’ arte della misurazione del concetto di piacere della fo l­
ia, cui fa riferimento la menzione di un’ arte della misurazione delle grandezze e di
una della misurazione dei numeri (356 D - 357 A ): «bisogna soltanto porre al posto
del piacere come misura il B ene», secondo la formulazione di Jaeger, loc. cit. P er­
ciö P «a rte della m isurazione» e, accanto all’«arte regia» dell'Eutidem o e alia
«scienza del Bene e del M a le » del Carmide, una ulteriore maschera della dialettica
platonica. Friedländer, Pla ton , II, pp. 25 s., accenna al riferimento all’ arte della
misurazione nel P o litic o (283 C - 284 E), Krämer, A rete ..., pp. 490-493, lo com-
menta in modo piü preciso.
33 Si presenta un insegnamento e non una ricerca in comune: all’inizio del passo
352E - 357 E, Socrate dice di voler convincere e istruire la folia (rceiGetv xat Stoa-
1L SOFISTA É MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 247

di parí passo: se il « filo s o f o » (cptXóaocpoi;) non puó lasciare pas-


sare l ’ opinione della varietá del Bene, addirittura sacrilega se-
condo i canoni platonici, non puó nemmeno, d ’ altra parte, co­
municare ad un uomo che abbia un simile atteggiamento quale
correttivo del suo errore qualcosa di piü che uno sguardo da lon-
tano alia veritá del Bene.

6 . L o scambio delle posizion i di Socrate e di Protagora alia fin e


del dialogo

In terzo luogo, la deviazione, verso la fine del dialogo, prima


della domanda sulla «scien za» (¿7U<rcr}fjir)) salutare che avrebbe
portato avanti il discorso, getta anche una nuova luce sulla si-
tuazione iniziale su cui ora Socrate ritorna (360 E - 361 D). Iró ­
nicamente egli interpreta lo scambio di posizioni come un incon­
veniente che non si sottrae al ridicolo: airinizio, Protagora si
era schieráto per l ’ insegnabilitá della virtü mentre Socrate stesso
l’ aveva contestata; ora, invece, é proprio lui a voler dimostrare
che la virtü é «scien za» (Í7cto*urjjjirj), il che implicherebbe come
conseguenza la insegnabilitá della stessa, e Protagora si oppone.
Naturalmente, lo scambio é il risultato di una conduzione medi-
tata del discorso: come uno che abbia dato a Prometeo la prefe-
renza anziché ad Epimeteo (361 D 2-5), Socrate ha «messo alia
p ro va » Finterlocutore considerando la prevedibile conclusione,
metiendo in discussione la visione corretta che la virtü sia inse-
gnabile. L a conclusione dimostra quanto giusta fosse questa
mossa. II teorema dell’ insegnabilitá della virtü é parte dell’ etica
platónica del sapere che si fonda in ultima analisi sulla scienza
del Bene; chi ritiene che il Bene sia un qualcosa di vario (ttoixí-
Xov) non conosce i fondamenti dell’ etica del sapere, anche se
proclama a ragione che la virtü e insegnabile. La prova della
forza di P ro ta g o ra 34 ha dato com e risultato che egli non é ab-
bastanza fo rte da difendere l ’ enunciazione vera, per cui egli
deve cederla a chi é in grado di farlo. V ediam o ora perché So-

oxeiv, 352 E 5 s.). Egli vuol farlo insieme a Protagora, ma, come abbiamo visto,
non ricorre a lui nello svolgimento (cfr. sopra, nota 29). L o spostamento verso l ’in-
terlocutore immaginario (la « f o lla » ), é, come nelPIppia maggiore, solo un mezzo
per daré alio stesso Protagora un insegnamento (limitato).
34 Cfr. sopra, pp. 236 s., a proposito di 31! B E e d i3 1 8 B-D.
248 «PR O TAG O R A»

crate sia dovuto restare irremovibile sulla questione del método:


solo il suo procedimento inquisitorio poteva allontanare dal Be-
ne relativo e indirizzare verso il Bene assoluto, il quale si pone
come misura che conferisce unitá, dietro all’ «arte della misura-
zion e» che tutto misura. Ogni mezzo era valido, per lui, pur di
giungere a questo, anche il ricatto della compagnia niente affat-
to bello, minacciando di abbandonare la discussione, qualora
essa non si fosse regolata secondo le sue concezioni del discorso
per domanda e risposta. Ci si chiede stupiti come Platone abbia
potuto presentare il córtese ironico Socrate in m odo cosi intran­
sigente, senza scrupoli ed egocéntrico. La risposta deve suonare
cosi: il dialettico deve avere la liberta di adottare anche misure
che sembrano scorrette per salvaguardare la cosa, cosi come i re-
filosofi dello «Stato ideale» possono anche dire ció che non é ve­
ro per salvaguardare i cittadini. Similmente, qui gli ascoltatori e
Protagora vengono spinti, per mezzo di una non-veritá partico-
larmente indicativa, a sottoporsi al procedimento di Socrate per
il loro personale vantaggio. Costui sostiene, di fatto, che un im-
pegno e quindi una mancanza di tempo (una áa^oXíoc), lo atien­
de inevitabilmente e che, perció, non puó rimanere, se Protago­
ra tiene lunghi discorsi (335 C 4-6; cfr. 362 A 2).
É strano che ci sia un filosofo, per il quale un impegno e una
mancanza di tempo (una áaxoXía) sia piü importante del filoso­
fare. Questo non va contro il noto passo del Teeteto, secondo
cui ció che contraddistingue il filosofo é proprio avere sempre
tempo a disposizione, q^oXt] (172 D)? O dobbiamo impedirci, a
m otivo del «m é to d o », di voler trovare un tratto del filosofo pla­
tónico che appartiene ad un’ opera tarda in una giovanile come il
Prota g ora ? D obbiam o dichiarare senza importanza la menzione
dell’ impegno e della mancanza di tempo, della áaxoXía? Sareb-
be davvero un método scorretto, in quanto sarebbe ottenuto tra-
scurando chiare allusioni testuali: nel dialogo-cornice Socrate
sottolinea súbito due volte che sta arrivando direttamente da un
colloquio con Alcibiade e con P ro ta g ora 35. Essendogli stato
chiesto di raccontare, «se nulla te lo impedisce» (310 A 2-3), egli
senz’ altro racconta: quindi, nulla glielo impedisce. N e segue che
il lettore sa, quando si arriva alia disputa sul método, che non

35 aptt cítz ¿x&ívou ep^o^ai., 309 B 7; di nuovo apxi, D 5.


IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 249

esiste questo impegno, questa a.<^xoXía, che potrebbe sottrarre a


Socrate il tempo a disposizione, la axoXf¡, per la discussione filo ­
sófica. E non é casuale, bensi fa parte indissolubile delTimmagi-
ne del filosofo come nel T eeteto 36.
Se egli sostiene il contrario, ció é solo per ingannare gli interlo­
cutor!. Chi ha capito la necessitá che il dialettico debba lui stesso
disporre anche del método per venir in «so cco rso » (porreta) al
suo lo g o s 37, non definirá piü come scorretto questo inganno. L a
dialettica platónica é, ad un tempo, contenuto e método, ed essa
é, per Platone, Túnica via alia veritá, alia pace dell’ anima e alia
salvezza della v ita 38.

36 L ’ altra «b u g ia » di Socrate, il riferimento alia sua cattiva memória e alia sua in-
capacità di tenere lunghí discorsi nelío stile di Protagora, si rivela facilmente già
neiram bito dei dialogo narrato come ironia: egli usa in modo magistrale il metodo
protagoreo nel passo su Simonide, e dimostra una eccellente memória ad esempio
in 3 5 7 C e 3 5 9 B ; inoltre in 336 D egli respinge la scusa di Alcibiade come maschera-
mento. Per contro, la storia deli’ «im p e gn o » è priva di qualsivoglia punta irônica.
In linea di principio, essa potrebbe anche essere vera, e comunque la sua falsità non
deve essere coita dai partecipanti alia conversazione. Ed è proprio questo che assi-
cura che tale dettaglio vuol essere significativo; significativo, beninteso, solo per
chi già conosce rim m agine platônica dei filosofo.
37 Perciò Socrate non può tollerare nessun arbitro al di sopra di lui nella gara dei
discorsi (338 B 4- C 6).
Cfr. 356E 1-2.
XIII. «Menone»
La tendenza ad allontanarsi davanti
ai misteri

1. M en on e e il suo schiavo si trovano veramente nella medesima


situazioneper raggiungere la conoscenza?

Immaginiamoci la situazione conoscitiva del M en one nel modo


che segue, allontanandoci leggermente da Platone.
a) Socrate non conosce la soluzione del problema geométrico
del raddoppiamento del quadrato. Insieme ad uno schiavo di
Menone egli si inoltra nelPaporia. Tuttavia, come ricercatori de-
cisi, energici ed attivi, i due «ge o m etri» riflettono a fondo, cer­
cano e trovano: alia fine, sanno che la diagonale di un dato qua­
drato é il lato di un quadrato avente una superficie doppia.
b) Socrate non conosce neppure la soluzione del problema filo-
sofico di che cosa sia Vareté. Insieme a Menone egli si inoltra
nelPaporia. Tuttavia, da impegnati ricercatori (Ip-fcmxoí,
ttjtixoÉ) quali essi sono, i due filo so fi proseguono decisi la ricer-
ca fino a che ottengono la soluzione e possono definire Pessenza
átWareté.
Se fosse questo il percorso seguito dal dialogo, allora sussiste-
rebbe un preciso parallelismo fra la situazione conoscitiva dello
schiavo e quella del suo padrone Menone.
Ora, come si sa, Platone ha, si, suggerito un tale parallelismo
ma, al tempo stesso, in due punti ha fatto m odificazioni: Socra­
te non é affatto caduto insieme allo schiavo nelPaporia riguardo
al lato del quadrato cercato; e la ricerca filosofica, dal canto
suo, diversamente da quella geométrica, non porta ad un supe-
ramento delPaporia.
Menone potrebbe, a buon diritto, chiedere quale guadagno ab-
bia mai rappresentato per lui, adesso, Passistere all’ acquisizione
di conoscenze geometriche da parte del suo schiavo. E Socrate
potrebbe certo rispondere che la lezione sul raddoppiamento del
L A TENDENZA AD ALLO N TANARSI D AV A N TI A I MISTERI 251

quadrato ha avuto Túnico scopo di commentare la frase secon-


do cui il cosiddetto imparare é, in realtá, un richiamare nuova-
mente alia memoria (reminiscenza) *, e che questo é risultato
chiaramente dalle reazioni dello schiavo. Questo, pero, sarebbe
una risposta a mala pena sufficiente, poiché la spiegazione del-
l ’ imparare come reminiscenza era stata concepita, da parte sua,
come risposta alTopinione di M enone per cui non si potrebbe
cercare nulla (e, di conseguenza, imparare nulla), né ció che giá
si sa — perché non occorrerebbe allora cercarlo — , né ció che
non si sa ancora — perché non ci si potrebbe «fa re oggetto di ri-
cerca» qualcosa che non si conosce, per analizzarlo (piü da vici-
no) — , né si potrebbe riconoscere che é ció che si cerca, quando
ci si imbatta in esso (80 D 5-9). Per rispondere a questo, non ba­
sta mostrare che Timparare é ricordare, e garantiré che, creden-
do alia possibilitá del trovare, diventiamo «m ig lio ri» e «p iü co-
raggiosi» ( 8 6 B-C). Socrate dovrebbe dimostrare, in aggiunta a
questo, che é possibile ad un ignorante arrivare da solo, in modo
metodico (cioé non solo casuale), a porsi in condizioni di «ricor-
darsi» qualcosa di cui prima si era «dim en ticato». II dialogo sul
raddoppiamento del quadrato non risponde affatto a questa esi-
genza: né lo schiavo puó «fa re oggetto di ricerca», per esami-
narli in m odo piü preciso, particolari lati del quadrato, di cui
ora si é «dim en ticato» il rapporto con il lato cercato — questo lo
fa, piuttosto, Socrate — né lo schiavo riconosce il quadrato sul­
la diagonale come quello cercato, quando gli viene mostrato da
Socrate; solo dopo ulteriori domande, che non avrebbe potuto
porsi da solo, egli viene, poi, condotto alia m éta2.

1 L o schiavo viene coinvoíto dopo la domanda di Menone (81 E 3-4): ctXka. 7tü<;
Xé-yziz xovzo, (fot o¿ ¡j.av0ávo¡ji£v, áXXá r¡v xaXoO(JL£V }xá0r¡aiv ává[xv7]aíq ¿axiv .
2 L a prima risposta, che il lato del quadrato doppio deve avere una lunghezza
doppia di quella del quadrato originario (82 E 3) viene si dallo schiavo, ma solo
perché Socrate gli ha suggerito che la superficie cercata va cercata a partiré dal lato
e ha insistito sul raddoppiamento (D 8 - E 2). L a «presentazione» (tramite disegno)
e l ’interrogazione di questo lato (tramite ü calcolo della superficie del quadrato che
gli appartiene) avvengono grazie a Socrate, 83 E 4 - C 1. L a seconda risposta («lun-
go tre piedi», 83 E 2) si ottiene perché Socrate «presenta» il lato cercato come com ­
preso fra 2 e 4 piedi (D 4-5). In 84 E 4 - 85 A 3 Socrate disegna il quadrato cercato e
chiede che dimensioni abbia; al che lo schiavo risponde: ou ¡j.av9ávw . É necessario
il nuovo punto di vista, secondo il quale il quadrato cercato va posto in relazione a
quello originario, dimezzato. Nonostante questo chiaro rapporto tra maestro e di-
scente, Socrate dice che lo schiavo cerca «c o n lu i» la soluzione, 84 C 11, cosi come
anche Menone (80 D 4; 81 E 2; 86 C 5) ed A n ito (90 B 5; 91 A 1) cercano insieme
252 «M ENONE»

M a se la coppia di ricercatori Socrate-schiavo ha avuto succes-


so, perché uno dei due, basandosi sul vantaggio della sua cono­
scenza, é stato in grado di compiere i passi decisivi — la «pre-
sentazione» della cosa da ricercare alia persona da interrogare,
1*interrogare stesso e l ’ identificazione di ció che si é trovato co­
me ció di cui si era alia ricerca — , questo non comporta nulla di
decisivo per la speranza di riuscire della coppia di ricercatori So-
crate-Menone, fintanto che entrambi si trovano coinvolti in
egual misura nell’ aporia, cosa che Socrate afferm a con fermez-
za (80 C-D ). II parallelismo delle situazioni di conoscenza é ri-
chiesto in m odo pressante dalla crisi del dialogo, caratterizzata
dalla enunciazione eristica sulPimpossibilitá della ricerca. Se
Platone rifiuta il parallelismo nello svolgimento in m odo cosi
evidente, allora c’ é da chiedersi se proprio in questo non si trovi
una parte dell’ enunciazione, e forse l ’enunciazione piü impor­
tante del dialogo 3. La situazione dell’imparare nella questione
sulVareté é forse piü simile di quanto appaia a prima vista a
quella sul problema geométrico? Per vedere piü chiaramente su
questo punto, descriviamo in m odo piü preciso il m odo in cui il
dialogo é condotto, al di fuori della dimostrazione geométrica, e
il rapporto in cui vengono ad essere i due interlocutori, sulla ba­
se delle allusioni contenute nel testo.

a lui. L ’ analisi del dialogo sulla geometria avrebbe dovuto prevenire un’interpreta-
zione filosofico-esistenziale.
3 Nessuno vorrä, ovviamente, chiamare in causa il fatto ehe a Platone sia sfuggita
inavvertitamente la differenza delle situazioni: infatti, la aporia «com u n e», in un
caso, e quella del solo schiavo, nell’ altro, sono costruite con troppa chiarezza. La
questione delPutilitä della lezione di geometria pe r M enone viene quasi sempre pre-
sa troppo alia leggera, perfino da K. Gaiser, Platons M enon und die Akademie,
1964, ristampato in: J. Wippern (curatore), Das Problem der ungeschriebenen
Lehre Platons, Darmstadt 1972, p. 354, nota 35: «A n ch e la considerazione ehe lo
schiavo venga condotto alia conoscenza ad opera di uno ehe possiede conoscenza,
mentre per la questione che concerne Varete tutti e due gli interlocutori si trovano
nell’ aporia, non e sufficiente. Se esiste la “ parentela” di tutte le cose fra loro ehe
viene ammessa da Socrate, allora nella struttura stessa dell’ essere sta la possibilitä
di procedere in m odo corretto verso la veritä». Per quanto sia importante la «pa-
rentela» di tutte le cose come condizione della possibilitä della conoscenza — essa
non spiega pero ancora come un’ anima ignorante e «alterata» (nel senso di Repub-
blica, 611 D ) possa rendersi conto dell’ordine ontologico. Se a Platone fosse im-
portato in primo luogo il tema della parentela ehe hanno le cose fra di loro, avreb­
be potuto rinunciare al dialogo didattico sulla geometria; la lunga permanenza sui
processi di apprendimento dello schiavo mostra ehe egli vuol tematizzare, qui, Pa-
spetto «u m a n o » della guida alia veritä, e ehe Paspetto ontologico del suo fonda-
mento e tema, qui, secondario.
LA TENDENZA AD ALLO N TANAR SI DAVANTI A I MISTERI 253

2. Dialettica e amicizia

II rapporto di Socrate con M enone non si ricava solo dalla lettu-


ra dello svolgimento della discussione; infatti esso viene anche
esplicitamente affrontato nel discorso. Conduciamo la nostra
conversazione come degli amici, dice Socrate; e questo é total­
mente diverso da una discussione con gli astuti maestri delTeri-
stica; con interlocutor! di quel tipo importa enunciare semplice-
mente una proposizione ed aspettare se essi possono confutarla;
fra amici si deve conversare in m odo piü pacato e «discorsivo»:
non si devono proporre loro solo proposizioni vere in generale,
ma quelle proposizioni vere che essi capiscono in maniera speci-
fica (75 C 8 - D 7). Dietro al termine, poco appariscente di «piü
dialettico» (SiocX£X'uxó>T£pov), reso qui con «p iü d iscorsivo»4, si
é sempre riconosciuta l ’«arte dialettica» (BtocXextixr) Téxvrj) pla­
tónica: Schleiermacher lo ha tradótto «co n maggior regola del-
P arte», e W ilam owitz scriveva che qui compare « la parola “ dia-
lettica” , di cui Platone in futuro si servirá per indicare il suo mé­
todo d ia le ttic o »5. Piü cheTannotazione della prima comparsa
di un termine derivante da §iocX&xtixó{, ci sembra ávere impor-
tanza la considerazione che — come in base al «ta r d o » Fedro
non ci sarebbe da aspettarsi altro — il termine viene introdotto
nel contesto della riflessione sulPatteggiamento degli interlocu­
tori fra loro (e quindi anche nei confronti della ricerca della veri-
tá). L ’intesa é possibile solo fra «a m ic i», cioé solo quando si é
superata la situazione di combattimento dell’ agone dei discorsi,
in cui la parola é usata come arma e non come strumento di inte-
sa. Solo a questa condizione uno scambio di parole puó essere
«p iü discorsivo», dialettico. II filosofare vero, ossia dialettico,
non puó essere realizzato prescindendo da determinate condi-
zioni umane. Se questo é detto in un libro pubblicato, va certo
tenuto presente che lo scritto — anche la descrizione di una co-
municazione fra amici — , in quanto scritto, si trova tuttavia
sempre nella situazione dell’ agone, poiché il testo immutabile
non puó garantiré l ’intesa con il lettore sconosciuto, e bisogna
sempre fare i conti con lettori non desiderosi di intendere. Do-

4 Cerco di mantenere la derivazione da StaXeyeaöat. Chi sa condurre un dialogo é


un SuxXextlxÓi;.
5 W ilam owitz, Pla ton , I, p. 214. In Platone la dialettica non é certo mai soltanto
un puro e semplice método didattico.
254 «M ENONE»

vremo quindi chiederci se si può riconoscere un influsso di que-


sto pensiero fondamentale nell’ organizzazione á ú M enone.
Per quanto chiara possa essere la connessione di amicizia e dia-
lettica — che è costitutiva per il filosofare platonico — , meno
chiaro risulta, in un caso particolare, il grado di serietà della as-
sicurazione di amicizia fatta da Socrate. L ’ironia, troppo evi­
dente e poco sottile, con cui Socrate accoglie 1’ interesse da parte
di Menone circa Tinsegnabilità delia virtú, mostra, già all’inizio
del dialogo, che i due uomini non possono stare troppo vicini. II
modesto livello intellettuale delle risposte di Menone alle do-
mande sulYareté (71 E s., 73 C ss.) crea un ulteriore di vario. M e­
none è, piuttosto, in più stretto rapporto con un pensatore di
tutt’ altro tipo: con Gorgia, di cui ha fruito Tinsegnamento in
Tessaglia. Socrate interroga Menone espressamente come allie-
vo di G orgia e come sostenitore delle idee del m aestro6. A veva
certo ragione W ilam owitz, quando scorgeva in questo rapporto
di discepolato il m otivo che aveva spinto Platone a scegliere co­
me interlocutore di Socrate questo personaggio della Tessaglia7.
A questo va aggiunto solo che la capacità di un maestro di at-
trezzare gli ascoltatori, in m odo che questi possano venire in
aiuto del suo logos, ha un posto sistemático nella definizione del
dialettico (F edro, 276 E s.). Con Menone si dovrá dimostrare se
G orgia è degno del nome di « filo s o fo » (cptXóaocpoç)8.
Sulla base délia réciprocité del test (cfr. Protagora, 333 C 8-9)
anche Socrate dovrá, pero, dimostrarci appunto questo. Quan­
do egli, per il momento, rinuncia alie domande confutatrici a
vantaggio della considerazione decisiva che l’afferm azione eri-
stica suirimpossibilité delPimparare è sbagliato, Menone do-
manda: «S ai dire in che misura lo sia?» (&X&LÇ Xeyeiv emir] , 81 A
4). Se sentissimo in questo un domandare: «sai portare soccor-
so? » (l'x£LÇ ßor)(kiv) e «possiedi cose di maggior valore rispetto a

6 C fr. 71 C D ; 73 C; 76 B; e, infine, ancora una volta 96 D, a proposito del quale


cfr. sotto, p. 259.
7 W ilam owitz, Platon, I, p. 212; cfr. Friedländer, Platon, II, p. 260. Naturalmen­
te non si puö ricavare nessun «fram m en to» di Gorgia (Diels-Kranz 82 B 19) dal ri-
ferimento di Menone al sofista, come sostiene, a ragione, Friedländer, Platon, II,
p. 343, nota 10, opponendosi a Diels-Kranz.
8 É sottinteso, qui, che Menone sia un allievo «a d a tto » a Gorgia. Se nel Lachete e
nel Carmide Nicia e Crizia stanno nzWelenchos, in quanto ascoltatori precedenti di
Socrate, questo non riguarda il rango del maestro, in quanto egli é presente di per­
sona e conduce Yelenchos, quanto, piuttosto, l ’adeguatezza degli allievi.
L A TENDENZA AD ALLO N TANAR SI D AVANTI AI MISTERI 255

quelle che hai d etto?» (e'x&ic TifAuóxepoc cov eXeyei;) nel senso di
Fedro 278 C 5 - D 8 , noi rischieremmo il rimprovero, da parte di
interpreti «scettici», di metiere forzatamente in relazione, in
m odo arbitrario, passi distinti; ma la risposta di Socrate mostra
la legittimitá dell’ apparente arbitrio: a giustificazione del suo
giudizio deciso, 1’ ignorante porta in primo piano, in modo af-
fatto immediato, la convinzione delFimmortalitá dell’ anima e
della visione ultraterrena che essa ha di tutti i nessi del reale. Si
tratta di «cose di m aggior va lo re » (TtjJuwTepa) nel senso piü vero
della parola, che vanno m olto al di la dei tentativi di definizione
finora compiuti, e il loro «live llo superiore» viene indicato dal
richiamo a sacerdoti e sacerdotesse che sono sapienti e che san-
no rendere conto delle cose di cui si occupano (81 A 5 - B 1). II
sapere superiore delle condizioni ultraterrene della conoscenza
proprie delFanima, solo schizzato, risulta evidente nella positiva
tesi che il sapere é reminiscenza (81 D 4 - 5). Menone é su ficien ­
temente sveglio per non limitarsi ad accogliere per buona tale te-
si e rinnova Velenchos, domandando ancora: «S a i insegnarmi
che é cosi?» (81 E 5). Socrate viene perció sfidato a passare dalle
«cose di maggior va lo re » (Ti[xtá>T£pa) fin qui svelate ai lo ro fon-
damenti.
Una tale fondazione dovrebbe mostrare che 1’ anima é davvero
immortale, come sostengono i sacerdoti, e che davvero esiste
qualcosa che essa puó «v e d e re » senza strumenti sensoriali in
una condizione che si rende libera dal corporeo, ossia che esisto-
no le Idee trascendenti, e che esse, a m otivo della «a ffin itá » glo-
bale dell’intera realtá (cpúais) (81 C 9 - D 1), sono anche qui pre­
sentí e attive, cosi che 1’ anima si puó ora «ricord a re» di esse. M a
Socrate non inizia cosi, e o ffre un esempio pratico, anziché una
dimostrazione teoretica, a conferma della sua tesi: egli chiama
uno schiavo di Menone e gli fa fare l ’ esperimento come si «ri-
cord i» del raddoppiamento del quadrato.

3. L a lezione di geom etría

L a lezione geométrica va intesa come sostituto del percorso a ri-


troso che manca, verso «cose di maggior valo re» ('UpucÓTEpa)
che portino ancora piü oltre. Platone ha configurato la struttura
di pensiero del sostituto in m odo tale da far leggere, in essa, il
256 «M ENONE»

procedimento necessario del percorso a ritroso. D opo le rifles-


sioni sin qui fatte, questo procedimento deve essere costituito
dalPuso — non necessariamente dalla spiegazione — di concetti
di ordine superiore. In quest’ ottica va intesa senz’ altro la parti-
colarità delFinsegnamento geométrico che segue. Socrate chiede
allo schiavo di quanti piedi debba essere il quadrato cercato (tcô-
acov ouv taxai tcoScov, 82 D 7); ma, per il lato di questo quadrato,
egli non chiede più di «quanti p ied i» sia, ma chiede «quale lun-
ghezza» debba avere (tttiXíxrj, D 8 ). L o schiavo prosegue nel suo
tentativo di rispondere con numeri interi, il che non puô portare
alla meta, poiché il lato e la diagonale di un quadrato sono in-
commensurabili; la lunghezza délia diagonale, in caso di una
lunghezza del lato costituita da un numero intero, è indícata da
un numero irrazionale. Spiegare allo schiavo il concetto mate­
mático di irrazionalità non pare, ovviamente, a Socrate cosa
adeguata; che lui stesso lo conosca, non si ricava solo dal fatto
che egli osserva la distinzione terminológica tra tcôgoç e mqAí-
xoç9, ma anche dalle istruzioni che egli da alio schiavo in 84 A 1:
«S e non vuoi indicare il lato con dei numeri, mostra, allora, da
quale lato (si origina il quadrato d o p p io )». II passo si spiega in
m odo sensato, solo presupponendo che Socrate conosca l’in-
commensurabilità délia diagonale 10. Mentre conclude l ’ infrut-
tuosa ricerca di un dato rappresentato da un numero intero, egli
f a un uso concreto della sua conoscenza di un concetto di ordine
superiore, senza, tuttavia, spiegarlo. L a lezione metodologica
nel M en one mostra, poi, che cosa significhi condurre una dimo-
strazione con strumenti concettuali fondati più in profondità,
che non possono essere spiegati, nella loro legittimità e nécessi­
té, di fronte ad ascoltatori preparati in m odo insufficiente (o
«n o n adatti» per altri m o tiv i)11.

9 N el linguaggio matemático «rcr]Xíxo? é Pespressione piü generale che indica il


rapporto di grandezza commensurabile e anche incommensurabile, mentre 7ioaó<; é
limitato ai rapporti del primo tip o »; si tratta di un uso lingüístico che «T o ep litz ha
segnalato giá presente nel M e n o n e » (J. Stenzel, Z a h l und Gestalt bei Pla tón und
Aristóteles, Darmstadt 19593, pp. 167 s.). Bluck, P la to ’s M e n o , cit.s p. 303 (a pro­
posito di 84 A 1) sembra non conoscere quest’ uso.
,0. Cfr. Gaiser, P la ton sM en on p. 350.
11 Gaiser ha, inoltre, spiegato il riferi mentó di tutti gli esempi m.atematici nel M e -
none ai concetti della teoría dei Principi. Dal momento che i restanti riferimenti ri-
sulíano, tuttavia, contrariamente all’ accenno all’incommensurabilitá della diagona-
le, poco chiari oppure affatto non dimostrabili nella formulazione del testo, in se-
L A TENDENZA AD ALLO N TANARSI DAVANT1 A I MISTERÍ 257

4. IIp o te re di dom inio nel dialogo

M a torniamo alia situazione del dialogo. L a disputa m etodoló­


gica aveva richiesto ampio spazio nella conversazione con Pro-
tagora, un avversario di levatura intellettuale. Qui, nel dialogo
con il meno esigente Menone, essa viene trattata brevemente;
ma, anche cosi, essa é piena di indicazioni per Tintero dialogo.
Se Socrate volesse «d o m in a re» su sé e Menone, la discussione
non si rivolgerebbe alPinsegnabilitá della virtü, bensi, in primo
luogo, alia sua essenza ( 8 6 D 3-5). Come se, fra amici, uno do-
vesse dominare sull’altro. M a, secondo Socrate, domina pro-
prio Menone, non su se medesimo, ma certo sopra di lui, per cui
egli si piega al suo desiderio di esaminare la insegnabilitá di
qualcosa, di cui non si conosce ancora l ’ essenza ( 8 6 D 6 - E 1).
N on é difficile scorgere come mai il piü anziano lasci al piü gio-
vane, cosi fácilmente, il «d o m in io » della situazione: l ’ insegnabi-
litá o l ’ essenza della virtü erano giá state una volta oggetto del
discorso, In particolare alPinizio vero e proprio del dialogo (70
A - 71 B), e, ovviamente, Socrate aveva dettato il tema. Nel frat-
tempo é risultato chiaro quanto si possa procedere con un M e ­
none nella domanda sull’ essenza, sul tí ¿<rciv; quindi Socrate ri-
tiene adeguato venirgli incontro, e continuare a mantenere il do­
minio della situazione nel discorso: egli esamina l ’ insegnabilitá
partendo da una ipotesi {i\ faoOéa&co^), cioé metiendo a fonda-
mento di tutto la sua convinzione che la virtü é un sapere, con il
che la sua essenza non é piü posta a tema, ma resta pur sempre
in vista.
II rimprovero ironico del «d o m in io » della conduzione del dialo­
go che viene rivolto all’interlocutore, rispecchia qui, come nel-
P Eutidem o (287 D 6 ), solo Peffettivo esercizio di quella consa-
pevole «con d u zion e» nel dialogo, che perfino un Protagora ave-
va volontariamente lasciato a S ocrate12. Platone non ha lasciato
questa volta, come altrimenti avveniva spesso nei dialoghi con-
futatori, alPattenzione del lettore il compito di cogliere la consa-
pevolezza di questa «con d u zion e»; Socrate stesso attira l ’atten-
zione sul fatto che le sue domande e le sue analogie hanno lo

güito non li considereró, benché ritenga le dimostrazioni di Gaiser convincenti e ri-


levanti ai fini deíla comprensione del dialogo.
12 Si confronti P rotagora, 351 E 8-11; 353 B 4 ( r)Y&|j.ove.úe.Lv) YjYeíaBat) con M e n o ­
ne, 86 D 7 ed Eutidem o, 287 D 6 (entrambe le volte apxfciv)-
258 «M ENONE»

scopo di «fa r procedere» (ftpo(3i(3<xcraO la discussione; nel per-


corso verso la meta, egli puó anche offrire occasione a Menone
per una «esercitazione» ((jleXítti), ed egli ha súbito a portata di
mano del materiale per esercizi sotto form a di «esem p i» (uapoc-
Seí'YHaTa)13.

5. L a fu n zio n e delVaporia. I I saldo legame delVopinlone con il


sapere com e un progredire verso le cose di m aggior valore
(ziynórepoc)

Anche il risoluto introdurre nelí’ aporía serve a «fa r progressi».


N on che questo sia mai risultato dubbio in altri dialoghi aporeti-
ci. M a, qui, questo viene detto ad un certo punto anche a paro­
le: Socrate assicura di aver aiutato lo schiavo, orientándolo ver­
so un progresso nella via della scoperta della soluzione 54, con-
ducendolo nell’ aporia, facendo si che si rendesse conto del suo
non-sapere. Qui egli non adduce piíi la scusa di essere stato
causa, «involontariam ente», e a m otivo di una sua perplessitá,
dell’ arrestarsi deirinterlocutore neU’ a p o ria 15. L ’ aporia si rivela
invece come una fase di passaggio nel processo del ricordare, e
quell’ ultimo, da parte sua, viene interpretato come riconosci-
mento «ve rifica to re » della causa (am a? Xoyiqxó;, 98 A 4). Ri-
sulta cosi chiaro per quale ragione sia sempre Socrate a condur-
re Tinterlocutore neiraporia, e mai viceversa: solo chi conosce
la causa puó inscenare la preparazione adeguata che porta al ri-
conoscimento della causa. L ’ aporia non é né fine a se stessa, né
é una condizione, forse non gradita ma stabile e insuperabile;
essa preannuncia piuttosto, come primo passo fatto non a caso,
quello successivo.
In strana contraddizione a questa nuova trasparenza della fun­
zione m etodologica delPaporia sembra essere invece, ora, l ’ uso
del m otivo, immediatamente prima delVexcursus sulPanamnesi
e nella fase conclusiva del dialogo. II compito del pensare volto
ad evidenziare i fondamenti, di cui fa parte, come primo passo,

13 74 B 2: Jipoöujjirjco^a!. ... Ttpoßißaaat.. 75 A 8 : Iva xou yivr¡xoú <jol [¿eXstt]


ftp6 ? tíjv 7c&pt TYjs áp£TT]s á 7róxpiaLv, 77 A 9: toc 8 ¿ f e TcapaSeíyjjiata roxp’ £|aoü
a'Xrjcfiac
14 84 B 9: Ttpoupfou yoúv t i 7i£7rai.r¡xa|i.£v, ioixe, 7tpo<; t ó e^tupeív otut) ly z t. A
proposito di Liside, 210 D E, cfr. sopra, p. 183.
15 Si faccia attenzione al linguaggio autoconsapevole di 84 B 6 : aíropelv auTÓv
7toi.r|aavT£i; xaí vapxccv ¿Sa7t£p r\ vápxT), {jl¿ov t i £pXácj)a|i.£v;
LA TENDENZA AD ALLO N TANARSI D AVANTI A I MISTERI 259

l ’aporia, consiste nel «tener strette» le opinioni giuste, perché


non «sfu g ga n o » come le figure di Dédalo (97 D-E). Platone ave-
va utilizzato giá nelPE u tifron e le opere di Dédalo, che non vo-
gliono restare ferme, come m etafora per indicare l’ oscillare del-
le opinioni rese incerte dalPaporia. In quel dialogo Socrate si era
rammaricato di aver involontariamente messo in movimento le
opinioni di E u tifron e (11 D 7). Anche qui, ai due interlocutori
«s fu g g e » la giusta opinione secondo cui la virtü è sapere (96
C - D )16, e anche qui Socrate non vuol essere colpevole delPesito
aporético: egli aveva giá in precedenza respinto il paragone con
la torpedine, poiché questa intorpidisce gli altri, senza esserlo lei
stessa, mentre egli si trova impigliato nella stessa aporia in cui si
trovano impigliati quelli che si sentono intorpiditi da lui (80
C ) 17. II ricercatore sicuro e abile dell’episodio del problema geo­
métrico ridiventa, nella questione dsWareté, il «cattivo ricerca­
to re », come giá nel Carm ide: «s i da il caso, o Menone, che tu ed
io siamo uomini senza valo re» (xiv§uveúo[ji£v, <£> Mevcov, ¿ycí) xt
xad ero cpaõXoí xiveç eivai av 8 peç, 96 D 5, che corrisponde a Car-
mide, 175 E 6 : «cred o di essere un ricercatore senza valore», oío-
|j,ai ¿pié cpoõíXov sLvai £¡r]T¡r]Tr|v). Ció che manca loro è una «educa-
zione sufficiente», di cui Gorgia è responsabile nei confronti di
Menone, e il maestro di Socrate, Prodico, è responsabile nei
confronti di Socrate stesso (175 D 6-7).
Platone, perció, va oltre il concetto di aporia dell’excursus geo­
métrico, per ritornare al concetto di aporia dei «dialoghi sulla
virtü » e sottolinea questo per mezzo delle citate allusioni. E vi­
dentemente, pero, la contraddizione delle due concezioni è solo
costruita, e, per di piü, è facilmente eliminabile. L ’ involontarie-
tá della messa in scena dell’ aporia non era credibile giá fin dai
primi dialoghi definitori ( t í s o t i v ) ; e, in generale, era giá stato
detto che solo chi è «sapien te» (aocpóç) riguardo alie cose trattate
puó «in ga n n a re » volontariam ente e m etiere volutamente in
m ovim ento le o p in io n i18. O ra qui viene chiarito, inoltre,

16 É espresso con chiarezza solo il fatto che la virtü non é insegnabile in 96 C 10;
tuttavia, poiché ogni é insegnabile (87 C 5), viene colpita anche I’ ipotesi
che «la virtü é conoscenza», cfr. 89 D.
17 Invece Socrate dice di aver fatto irrigidire lo schiavo come avrebbe fatto «u na
torpedine ñera», 84 B 6 .
18 Eutifrone, 11 D 7; Ippia m in ore, 373 B 6 ; a proposito di questi passi cfr. sopra,
pp. 142 s. e pp. 174 s.
260 «M ENONE»

come la «sapien za» (aocpia) di colui che ha provocato l ’insicurez-


za aporetieo-dedalica si debba comportare nei confronti dei te­
rni e dei concetti che determinano 1’ aporia: questa «sapien za»
deve consistere nella conoscenza delle cause che permettono di
«le g a re » le opinioni insicure, finché queste conducano a una
scienza (im<3zr\n.r\) di grado superiore (rtpupoc), immutabile. In-
fatti, se le giuste opinioni tendono a «sfu g gire», anzi in primo
luogo sono spinte in questo senso, e se nello scioglimento delle
opinioni mobili 1’ aporia continua a sussistere, e questa, dal can­
to suo, è concepita come fase di passaggio e preparazione, allora
anche il placarsi della messa in scena del girare in circolo delle
opinioni per mezzo dell’ arresto grazie alla conoscenza delle cau­
se altro non è se non il secondo passo, a cui 1’ aporia mirava.
Con il ricorso che vien postulato ad un ambito causale maggior-
mente fondante, ci muoviamo, però, di nuovo nel giro di pensie-
ro della determinazione dei « filo s o fo » (cpiXóaocpoç), e, quindi,
anche delia critica dello scritto. Come il dialettico, ricorrendo
oralmente alie sue «cose di maggior valo re» (Tt|xttí)T£pa), deve
poter dimostrare che le sue esposizioni scritte sono «cose senza
valo re» (çocüXa), cosi Socrate, che quale autore deli’ aporia inte-
sa come un primo passo, si classifica come «u n uomo senza va­
lo re » ( 9 0 CÜXÓ; TLç àvrjp), postula un progresso verso la «scienza»
che, in confronto alie spoglie opinioni dei primo li-
vello, risulta essere un qualcosa « d i maggior valo re» ('utfiicírce-
pov, 98 A 7; cfr. Tif/icoTépa, 97 D 1). Menone avrebbe dovuto ri-
cevere la capacità di un tale progresso dal suo maestro, Gorgia,
se costui corrispondesse al concetto platonico di « filo s o fo » ( 9 1 -
Xóaocpoç). L a rinnovata e inattesa menzione (96 D 6 ) dei sofista,
che sembrava dimenticato dopo il dialogo introduttivo, è un in-
dizio sicuro dei fatto che 1’intero dialogo va letto secondo l ’an-
golo visuale del test del filosofo, inscindibilmente legato alia cri­
tica dello scritto nel senso dei Fedro.
M a in che cosa consiste il contenuto di quella «scien za» (s7u-
aurifjir]) che ancora manca per un legame fondante delle opinio­
ni? Consiste in ciò che costituisce la fondazione platônica e la
«scien za» (e-tclcjtt]fXTj) platônica: la filosofia delle Idee. L a fonda­
zione è 1’ anamnesi (98 A ), ma ciò che 1*anima immortale ha v i­
sto nelPaldilà, prima di nascere, non può essere stato dei tipo di
quello che essa ora vede, qui, con gli occhi; deve esser stato
ram bito di ciò che è accessibile solo al pensiero, ossia 1’ ambito
L A TENDENZA AD ALLONTANARS1 D AVANTI A I MISTERl 261

dell’ intelligibile, del vot)tóv. Questo non viene pero detto in que-
sti termini; infatti, per quale m otivo Socrate dovrebbe esporre
Pipotesi delle Idee al cospetto di Menone? Perció, non si potrá
sostenere, nemmeno qui, la «certezza» su questo punto contro
le obiezioni «scettiche» 19. Chi insiste a sostenere che il Fedone e
la R epubblica, in quanto non ancora pubblicati, non possono
neppure essere stati ancora concepiti, quando fu composto il
M en on e, non potrá venir confutato stando a tale lógica. M a non
potrá nemmeno spiegare in base a che cosa Socrate, nella stessa
frase in cui afferm a il suo non-sapere, possa presentare il dato di
fatto delia diversitá tra vera opinione e scienza come un sapere
sicuro (98 B 1-5). È spiegabile, questo, senza la distinzione onto-
logica di «o ggetto di opin ion e» (Bo^octtóv) ed «oggetto di scien­
z a » (èTctarTjTÓv), dunque in ultima analisi di «sensibile» (oua07}-
■uóv) e «in telligibile» (vorjxóv), che si trovano nella Repubblica
(475-480)? E Pimmortalitá dell’ anima e la visione delle Idee nel
luogo sopra i cieli non sono teoremi necessariamente riferiti l ’ u-
no all’ altro ?20.
Ció che, dunque, dal punto di vista del testo puro e semplice del
M en one doveva restare ancora poco chiaro ed enigmático, non
poteva essere oggetto di dubbio per chi avesse avuto consuetudi-

19 È strano che Guthrie, che assume a proposito dei dialoghi definitori una posi-
zione storico-evolutiva restrittiva, e che ritiene insuperable il vuoto che esiste fra
l ’interpretazione prolettica orientata alia metafísica della Repubblica, e quella scet-
tica, che non si allontana da quanto viene espressamente detto (A H istory ..., IV , p.
169, nota 3), sia pronto improvvisamente, a proposito del M enone, a riconoscere
comunque la dottrina delle Idee, percepibile in m odo molto discreto (IV , pp. 235
s.). Guthrie non può confutare l ’ opinione di Ross (P la to ’s Theory o f Ideas, p. 18),
per cui nel M enone la dottrina delle Idee non è sviluppata in modo piü ampio di
quanto avvenga nei dialoghi precedenti, egli la trova, comunque, «in credibile» a
causa dei paralleli della reminiscenza in Fedone, 1A A ss. Guthrie avrebbe potuto
mantenere la sua posizione restrittiva facendo riferimento a Bluck, P la to ’s M e ­
n o..., pp. 46 s., che ritiene fuori iuogo la questione delle Idee nel M enone, perché
Platone non si sarebbe preoccupato della natura delle cose che l ’ anima aveva visto
nell’aldilá. (P er molti interpreti certo difficilmente esisterebbe un’ idea piü incredi­
bile di quella che «S ocrate», istruito da «sacerdoti e da sacerdotesse» sulle espe-
rienze dell’ anima nell'aldilá, riguardanti fra l ’ altro anche Vareté [81 C 8], abbia po­
tuto proprio nel nostro caso reprimere la domanda sulT effettivo significato di que­
sto: Vareté di uomini o di donne, di Iiberi o di schiavi — o forse tò &tu Ttãsiv toútoiç
x a ü tó v ? ).
20 Rim an diamo, ancora una volta (cfr. sopra, note 3 e 11), all’ interpretazione dei
passi matematici proposta da Gaiser, secondo la quale Porizzonte concettuale del
M enone non è determinato solo dalla dottrina delle Idee bensi anche dalla teoria
dei Principi.
262 «M ENONE»

ne col pensiero di Platone (e, piü tardi, dopo la pubblicazione


delle opere «d i m ezzo», nemmeno per il lettore), ossia il fatto
che Socrate deve alia sua capacita di fondare le sue opinioni sul­
la base della conoscenza delle Idee il suo sicuro «d o m in io » della
situazione nel dialogo aporético. Quale rappresentante della
«scienza» (ema-rrifjiri), egli é anche il maestro ázWareté di cui si
era in cerca e attorno a cui ruota 1’ ultimo terzo del dialogo (da
89 E). La menzione del politico che, insegnando la virtü, potreb-
be rendere gli altri a loro volta politici, si rivolge, poi, ancora a
lui (come maschera di Platone): egli sarebbe nei confronti del-
l ’ ambiente che lo circonda quello che l ’ indovino Tiresia risulta
essere accanto alie figure senza consistenza ontologica degli in­
ferí omerici; il suo sapere sulla virtü sarebbe, accanto alie opi­
nioni degli altri, come il vero essere accanto a puré e semplici
ombre (100 A ).
C o s í , alio stesso tempo, Socrate indica anche il rapporto in cui
egli sta nei confronti di Menone. Infatti Menone non se la cava
meglio che il suo schiavo davanti aH’aporia: condotto nell’ apo­
d a in m odo risoluto, egli non fa nessun tentativo di prendere
nelle sue mani il «d o m in io » della situazione del dialogo, che si-
gnificherebbe il superamento delFaporia, bensi elude le doman-
de che porterebbero piü lontano sulla via dell’ essenza are-
t é 11. Egli non ha affatto la volontá di uscire dalTincapacita di
soccorrere il logos suo (e del suo maestro, Gorgia). Socrate lo
aveva dapprima trattato da «a m ic o », e questo spiega perché, al­
meno in questioni metodologiche, gli venga offerto un ammae-
stramento piü chiaro che non agli interlocutori di altri dialoghi
aporetici. Tuttavia, la sua tendenza «a d allontanarsi davanti ai
m isteri» (76 E ) é stata piü forte del suo interesse per Vareté. Cosi
la conferma della sua cattiva «educazione», ricevuta da Gorgia,

21 II beffardo riferimento a ció che precede, in 84 C 1 a 80 B 2-3, mostra M enone


al livello deiraporta dello schiavo; ma mentre questi é diventato desideroso di im­
parare, Menone ritorna índietro, e pone la stessa domanda con cui egli aveva ini-
ziato prima dell’aporia. M olto fruítuosa risulta essere l ’ osservazione che Menone,
per cui virtü significa comandare (73 C 9), non ha mai provato a dominare su se
stesso, evidentemente perché voleva essere Jibero (86 D 6-7). La liberta, per PJato-
ne, significa il dominio della parte razionale dell’ anima sul «le o n e » e su! «m o s tro »
presente nell’uomo (Repubblica, 588 B ss.); poiché il Xoykjtixóv puó svilupparsi so­
lo rivolgendosi alPeterno e immutabile, la vera liberta non é possibile senza la filo ­
sofía delle Idee. L ’ assenza di volontá di controllare se stesso é, in M en on e, l ’ assen-
za di volontá di filosofare.
LATEND EN ZA AD ALLO N TA N AR Sl D AV A N TÍ A l MISTER! 263

costituisce il giudizio definitivo su di lui. G li «a m ic i» risultano


essere, da ultimo, infinitamente lontani Puno dalPaltro: non oc~
corre che Socrate introducá il suo interlocutore Tessalo ai «m i-
steri» della filosofía delle Idee, la cui conoscenza fa di Socrate
stesso Púnico sapiente fra le «o m b r e » delle anime ignoranti. In
questo «so cco rso » al suo logos, ossia in tale Xóyov StSóvat sull’ e-
sempio dei sapienti «sa cerd oti» di quei misteri, egli dovrebbe
anche illustrare Pipotesi «ch e sta ferm a» secondo cui P areté é un
B ene22; dovrebbe, quindi, portare il discorso fin quasi al Princi­
pio primo (ápxr¡)- M a non ce n ’ é bisogno. Basta Paccenno al
fatto che la questione che Socrate ha lasciato cadere cosi pronta­
mente, ossia quella che spiegherebbe solo partendo dal Bene
l ’essenza della virtu (t í jcot’ l'cmv a p ^ ) , resta ancora messa da
parte per un’altra volta (100 B 4-6). Cose di questo genere, in-
fatti, devono essere tenute in serbo per i dialoghi con i veri
amici.

22 87 D 2-3: áXXo t i r] áyaGóv aúxó <pa¡J,£v rivai xr¡v áper r¡v, xa i <xvvr¡ r) vnóOeaiç y.é-
v£i àyaOòv otvxò etvai . Le ipotesi sono i gradini sulla via dell’ origine non con-
dizionata del tutto (Repubblica, 511 B 6-7). L a frase « ia virtü è buona», non è af-
fatto, in particolare in seguito alia limitazione di «b u o n o » ad «u tile » (87 E 1 - 89 A
2), la cosa ultima, bensi andrebbe fondata a partiré tanto dalla natura del Bene
quanto da quella delPuomo (cfr. Gaiser, Platons M e n o n ..., p. 380; a proposito del
legame fra l ’esempio delPipotesi geométrica in 86 E s. e il concetto di Bene come a
metá strada fra ¿n:£.pPoXri e eXX&i.<J>u;, cfr. Gaiser, pp. 383 s.).
XIV. «Gorgia»
L’interlocutore ideale e i piccoli misteri

1. Gorgia e i suoi discepoli com e immagine opposta del dialetti-


co. I I soccorso ten tato dai discepoli p er il maestro

II contributo del dialogo G orgia aH’immagine del dialettico sem-


bra consistere, in primo luogo, soprattutto in un apporto negati­
vo. Mentre gli avversari, ossia Gorgia, P o lo e Callicle, vengono
uno dopo Paltro in primo piano, il lettore, ancor prima di poter
daré un giudizio definitivo sulla consequenzialitá degli argomen-
ti, sperimenta in primo luogo questo: che Socrate non é come il
grande «S o fis ta », e nemmeno come il suo allievo professionale e
decisamente non come il suo ospite e seguace ateniese.
Certo, la técnica del chiarimento e contrario non manca per in-
tero in nessun dialogo platonico Comunque, di fronte alia
preminenza che Platone ha dato, nei G orgia e nell'Eutidem o, a
questo mezzo di esposizione, si puó parlare di una speciale affi-
nitá di queste due opere. II rispecchiamento del dialettico, in ne­
gativo, nell’ immagine degli avversari é sviluppato da una parte
in m odo serio e dall’ altra parte in m odo allegro-burlesco, para-
gonabile al rapporto di complementaritá, spesso osservato, del
Fedone e del Sim posio, come il lato serio e quello scherzoso del-
l ’ immagine «p o s itiv a » del filo s o fo 2.
I non filo so fi devono essere riconoscibili per Pincapacitá che es-
si hanno di portare «soccorso al logos» . N elP Eutidem o era stata
presa in giro Pincapacitá degli eristi di soccorrere il p ro p río lo -
gos: qui Platone mette in primo piano un’ altra form a di «soc-

1 A d eccezione del Tim eo e del frammento del Crizia.


2 II confronto non vuole affatto costituíre un rígido schema quadruplo che serva a
riassumere i quattro dialoghi citati. Vanno nótate varié somiglianze e contrasti fra i
dialoghi: cosi, ad esempio, la b e ffa del falso esoterismo nei Y Eutidem o ha uno stret-
to par alíelo nei Cratilo, cfr. sotto, pp. 293 ss.; a proposito del continuo riferimento
del Y Eutidem o alPideale del filosofo tracciato ne! Fedro cfr. sopra, pp. 116 ss.
L ’ INTERLOCUTOIRE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 265

corso» il cui significato é, anche questa volta, indicato dal Fe-


dro: l ’aiutodeH ’ «a llie v o » al m aestro3. Cosi P o lo aiuta Gorgia,
vuole «rin fo rza re », correggendolo, il logos del m aestro4. Certo
egli fallisce in m odo non meno chiaro che il suo maestro: al che
Callicle si schiera a difesa di P o lo , del comune maestro e della
causa comune, rappresentando un altro tipo di «a llie v o ».
II soccorso degli allievi sofisti al logos del maestro, non di per sé
ma sotto la spinta delPelenchos socrático, svolge comunque una
delle prestazioni che ci si possono aspettare da un «soccorso»,
cioé la rilevazione delle basi piü profonde della loro posizione.
Platone inscena un «disvelam ento » 5 successivo dell’ essenza del­
la retorica gorgiana. Si dimostra che essa non fa della giustizia il
suo oggetto, poiché essa, in fondo, risulta essere radicalmente
opposta a quest’ultim a6. In quanto é una oratoria senza orien-
tamentó alia giustizia, la retorica gorgiana é tuttavia l ’immagine
esattamente opposta della dialettica come filosófica «técnica dei
discorsi» (Xoycov téxvy]), basata cioé sulla conoscenza della giu­
stizia e del Bene. Questo spiega a sufficienza perché i rappresen-
tanti di questa retorica non possono in nessun modo fornire Pal-
tra prestazione del soccorso filosofico: l’ elaborazione di fonda-
menti che siano in grado di sostenere. D opo Gorgia e P o lo falli­
sce, quindi, anche Callicle, quello che dei tre procede piü a fon ­
do nel m odo piü profondo.

3 F ed ro , 276 E s.; il dialettico «p ia n ta » neli’«anim a adatta» i lo go i oi ¿ccuxoTç tw


te çuTEÚoavii poTjfleTv txa vol (eicnv).
4 £7tavop0coaaa0ai tóv Xóyov (462 A 2; cfr. 461 D 1) è un sinonimo dell’ espressione
altrimenti frequente porjôeiv tw Xóyiú. P o lo è presentato come allievo, compagno e
sostituto di G orgia e della sua arte in 448 A , D; 461 D; 462 A 5. — A l l ’entrata di
Callicle la ripetizione dello stesso processo è sottolineata con abbondanza di termi­
ni e con chiarezza (482 C-E), cosi che non c’é bisogno di un « terminus» come «soc-
correre» o «ricostitu ire».
5 G orgia vuole aacpwç omoxaXúíjiat la sua arte (455 D 7); Socrate gli ricorderá, piíi
tardi, questa sua promessa (460 A 1).
6 N ello «svelam en to» della sua arte da parte di Gorgia, questo era ancora «coper-
to da un v e lo », immaginando che gli allievi della retorica política avessero giá la co­
noscenza di che cosa fosse la giustizia, o che, in caso di bisogno, essi potessero im ­
pararlo anche nelle lezioni di retorica (qui evidentemente solo di passaggio). P olo
dimostra poi, elogiando l ’usurpatore Archelao (470 D ss.), che la «giustizia» non
fa parte delle sue idee di scopo. Egli, comunque, dimostra di rispettarla, in quanto
ritiene il compiere ingiustizia «p iú scandaloso» che non il doverla subiré (474 C 7).
Solo quando Callicle ritira questa concessione fatta alla moralitá vigente (482 C
ss.), si rivela l ’intera brutalitá della presa di posizione «retorica » a favore del «p iú
fo rte ».
266 «G O R G IA»

2. L a pretesa della retorica sofistica e lo svelamento del suo


p u n to di vista

La pretesa con cui G orgia si inserisce nel dialogo mostra, in m o­


do non meno evidente della struttura negativa del «soccorso»
(porjOsia) dello svolgimento del dialogo, con quale misura vada
misurata la retorica dell’ ingiusto. Chiunque puó fare qualsiasi
domanda che vuole; G orgia confida nel suo essere in grado di ri-
spondere a tu tto 7. II poter rispondere a tutto presuppone il co-
noscere la veritá su ogni cosa. Solo il filosofo delle Idee, il «dia-
lettico» (StaXsxTixós), potrebbe soddisfare la promessa di G or­
gia 8; invece G orgia non sa rispondere giá alia domanda sul fatto
che i suoi allievi possono mettere la retorica al servizio delPin-
giustizia, sebbene essi senz’ altro sappiano che cosa é giusto.
G orgia é convinto di una contraddizione (461 A 2); secondo le
sue parole precedenti (458 B 4), egli dovrebbe essere contento
per il guadagno che la confutazione ha portato. Tuttavia Plato-
ne non vuole concedere al mentore degli estimatori dell’ingiusto
questo atteggiamento veramente filo s o fic o 9; certo gli risparmia
anche un penoso insorgere contro qualcuno e un voler indietreg-
giare, e lascia invece che gli orgogliosi adepti combattano per
lui. Per tutto il lungo discorso, Platone mantiene desto il ricor-
do deiroriginaria pretesa di Gorgia, sottolineando continua­
mente la volontá degli avversari di confutare Socrate e la dispo-
nibilitá di Socrate a farsi confutare 10. II risultato dell’ostinata
discussione é inequivocabilmente formulato come risposta, al
tempo stesso, alia pretesa di Gorgia: dopo che sono stati confu-

7 447 C 6 - 448 A 5. Ií m odo in cui P o lo si fa avanti (448 A 6 - B 3) e si presenta co-


me avente uguale peso (462 A 5-7) porta a concludere che egli abbia la stessa
pretesa.
s Soltanto una teoría generale dei Principí consente di conoscere «la natura del
T u tto » (F ed ro , 270 C), presupposto per una valutazione, conforme alia natura del-
l ’ oggetto, di ambiti parziali della reaítá; il dialettico puó mantenere il successo nel-
Yelenchos, solo perché egli si fonda su tali presupposti {Fedro, 278 C D ; cfr. anche
Repubblíca, 534 C 1-3: ¿Sorcep iv {J-áyr¡ Stá Tiávxojv YXWV Sls^uov, ... ¿v Traai
XOÚXOI? ártTCÓTl TÉ) Xóyti) SlCMTOpEÚrjTOa ).
9 É I’ atteggiamento di Socrate (458 A 2 - B 1); poiché egli non viene mai confuta-
to, esso resta, per lui, un programma.
10 Valore deli’ ¿XáyxscSai 458 A B; richiesta a P olo tk ty y í te. xoa ¿Xáyxou, 462 A
4; analogamente 467 A 1-2 e A 9; P olo crede di poter confutare Socrate fácilmente
470 C 4-5; 473 A 10; D E; tuttavia, egli offre soltanto una confutazione «retorica » ,
471 D E; 473 D E. A lio stesso m odo, Callicle viene invitato a confutare Socrate:
482 B; cfr. 504 C 6 ; 506 C 1; 508 A 8 ; cfr. anche 497 B 7-9 e 522 D con 527 B.
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLIM ISTERI 267

tati tanti logoi, sopravvive solo il logos di Socrate, secondo cui il


commettere l ’ingiustizia va evitato più che il patire ingiustizia 11.
Era dunque Socrate, colui che era in grado di rispondere a «tut-
t o » 12.
L a pretesa degli avversari di superiorità nel discorso ottiene tutto
il suo peso solo in quanto contiene, al tempo stesso, la promessa
di un’ altra superiorità, di gran lunga più importante, per le con-
seguenze che comporta: chi segue la retorica è in grado di imporsi
nella lotta politica. Socrate, invece, cosi lo ammonisce Callicle
(486 A - Q , non sarà in grado « d i portar soccorso a se stesso e di
mettersi in salvo dai pericoli più gra n d i13» , ossia se qualcuno vo-
lesse gettarlo in prigione, portarlo davanti al tribunale con un’ ac­
cusa ingiusta, e, infine, provocarne la morte. E Callicle ritiene
questa condizione politica di mancanza di aiuto, che Socrate de-
ve alla sua dedizione alla filosofia, come la più disprezzabile, de-
gn an on d iu n u om o, ma semmai di uno schiavo 14.
A questa provocatoria svalorizzazione del suo modo di pensare
e di vivere, per il momento Socrate non ribatte; verso la fine del
dialogo egli riprende tuttavia, con grande insistenza, proprio la
domanda su che cosa significhi «soccorrere se stesso». Di fatto,
è estremamente ridicolo e vergognoso se uno non sa allontanare
da sé il danno più grande. Solo che, nel frattempo, Socrate ha
mostrato che il maie maggiore non è il soffrire ingiustizia, ma il
fare ingiustizia. Con questo, il rifiuto radicale délia posizione
avversaria colpisce Callicle stesso: la ridicolaggine e la vergogna
sono legate alla sua incapacità «d i soccorrere se stesso» contro

11 527 B 2 áXX’ iv xqgoúxoiç Xòyoiç io3v aXXcov i\¿y/o\iív<úv ¡¿óvoç oóto;; T|pe¡J.£l ó
Xóyoç, euXapr]T£ov iaxlv xò aSixEiv jjiãXXov rj xò áSixetaGai. A proposito del lo ­
gos che «resta saldo» ovvero «viene tenuto saldamente», cfr. sotto, p. 273.
12 II fatto che la capacité del dialettico prenda il posto delle mere pretese e promes-
se della retorica, si comprende anche dal seguente dettaglio; Gorgia è fiero della
sua capacitá di rispondere in modo breve e sintético, ma sostiene, al tempo stesso,
che alcune risposte debbono essere necessariamente lunghe (449 B 9 - C 8 ). N ell’ in-
tero dialogo è però Socrate che si rivela il garante della brevitá e della concretezza
delle prese di posizione (448 D - 449 C; 453 C I- 4; 454 B 9 - C 5; 461 D - 462 A ; 463
C); comunque, egli è anche in grado di fare altresi lunghi discorsi e sa anche dare
fondamento a questo: P olo «aveva b isogno» di una esposizione continuata poiché
non sapeva comportarsi con il método socrático (di per sé migliore), che procede
per domanda e risposta (465 E 4-6). In quanto «v e r o » oratore, Socrate sa trovare il
tipo di discorso adeguato ad ogni interlocutore.
13 486 B 6 : c ü j t o v o x ¡x ú j Buvá¡j.evov P o t ] 9 e lv ¡j.T )8 ’ éxawaai ex t ¿ ú v p L E f í a x t o v
xtvSúvtov.
14 486 A 5 e483 B 1-4.
268 «G O RG IA»

l ’ingiustizia nella sua anima. «R id ic o la » é, per Socrate, non solo


la condizione della mancanza di soeeorso etico, bensi anche la
mancanza di soccorso nella difesa della posizione non etica, co­
me si é appena visto con Callicle. Si rivela, cioé, il nesso fra
«soccorrere se m edesim o» (porjOsTv eocutco) come atteggiamento
etico e «soccorrere il discorso» (po 7]0 eTv tco Xóyco) come capacita
dialettica 15.
Benché Callicle qui concor di, egli cercherá ancora, in un passo
successivo, di presentare l ’ incapacitá politica di difendersi del fi­
losofo, apertamente ammessa da Socrate, come mancanza e co­
me debolezza (522 C). Socrate gli deve ricordare come in prece-
denza fosse stato definito « i l soccorso decisivo» 16, precisamente
come Pevitare l ’ingiustizia con le parole e con i fatti. Solo se
l ’ incapacitá di ricorrere a guesío tipo di soccorso (ossia Tevitare
l ’ingiustizia) gli procurasse la morte, Socrate avrebbe m otivo di
vergognarsi e sdegnarsi; finché egli sará in grado di aiutare se
stesso in questo m odo, egli puó affrontare con facilita anche la
morte (522 C 7 - E 1). Con ció é indicato l’ orizzonte sul cui afon­
do va visto il socrático portare soccorso « a se stesso»: e questo
sfondo é la sua convinzione del proseguimento della vita dell’ a-
nima nell’ A d e (522 E 4), che egli, pero, é pronto a presentare so­
lo sotto form a di un mito (523 A - 526 D ). II mito, infine, sfocia
nella parenesi, che diventa un ribaltamento dell’ áttacco di Calli­
cle. A questo punto Socrate gli puó rimproverare che egli n o n ,
sará in grado di aiutare se stesso, quando comparirá davanti ai
giudici nell’ A d e 17. L a superioritá nel discorso — annunciata
programmaticamente dagli avversari, realizzata di fatto da So-,
crate — include perció, in entrambi i casi, il riferimento ad una
realtá al di lá del semplice discorso. Poiché Socrate sceglie come
suo punto di riferimento non la sfera dell’ ingiustizia politica
bensi la realtá invisibile 18 dell’ anima immortale e della giustizia

15 508 C 4 - 509 C 5. «R id icolaggin e» degli avversari nella discussione 509 A 5-7;


«rid icolaggin e» e vergogna della loro condizione etica 509 B 3 - C 3. — Costituisce
un m otivo ricorrente chi diventa ridicolo e davanti a chi lo diventa: 482 D 5; 484 E;
485 A , C; 512 D; 514 E.
16 522 D 2-3 : [Bo^Qeta... xpaxia-uri.
17 526 E 4 - 527 A 4, con le note consonanze lessicali con 483 B 3; 486 B 1; C 3. —
A proposito delPidea della difesa nelPAde cfr. Critone, 54 B 4-5. Con il tema del-
l ’ayavaxTElv sulla morte, Platone si ricollega alia giustificazione di Socrate nellM -
p o log ia - Critone - Fedone, cfr. sotto, p p . 314 ss.
18 Cfr. 493 B 4 : ev "AiSou — t o ai8£<; 8r] X e ^ w v .
L ’INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 269

ehe Panima conosce, gli toeca al tempo stesso, insieme all’ esca-
tologico «portar soccorso a se stesso» (ßoiriGelv é.otuxtõ), la supé­
riorité non delimitata nel discorso quale frutto dei «portar soc­
corso al discorso» (ßorßetv tw Xóycp)19.
Il «disvelam ento» della retorica gorgian a20 genera un chiari-
mento graduale sulla posizione degli avversari. Ci si potrebbe
qui aspettare un parallelo «disvelam ento» délia posizione del
dialettico. In un certo senso anche questo risulta verificarsi: la
«vera retorica» — ehe altro non è se non una perifrasi délia dia-
lettica platónica — diventa, a poco a poco, la misura délia reto­
rica sofistica21.
D ’ altro canto, Socrate — diversamente, per esempio, che nel
Fedone e nella Repubblica — non è, qui, l’ assalito, bensi è egli
stesso l ’ assalitore22, e quindi non sente una forte spinta ad inol-
trarsi nell’ ambito delle «cose di maggior v a lo re» (xipitá>x&pa): è
sufficiente mostrare la debolezza della posizione degli avversari
in un ambito cui essi possono ancora accedere. M a non manca-
no anche allusioni, le quali chiariscono che la discussione è co-
struita come sempre al livello di conoscenza che è proprio degli
avversari.

3. Callicle e le richieste al partner ideale dei dialogo

Comunque, il discorso decisivo con Callicle inizia con tutt’ altre


aspettative. Socrate esulta per aver trovato in Callicle la vera
pietra di paragone, oltre alla quale niente più occorre. Per mez­
zo di questa pietra di paragone egli ha buone possibilité di arri-

19 Sull’ importahza della dottrina deli’ anima per il Gorgia cfr. sotto, pp. 275 ss.
20 Cfr. sopra, p. 265 en o ta5 .
21 In proposito, cfr. sotto, pp. 279 ss.
22 Nella prima parte, dedicata a Gorgia, non e ’ era bisogno, per questo, di nessuna
prova. E vero che la seconda e la terza parte iniziano con attacchi violenti da parte
di P o lo e di Callicle al punto di vista e al metodo di Socrate (461 B ss; 482 C ss.); ma
dal momento che si tratta di ricostituire di volta in volta il logos precipitato di chi
ha preceduto, P o lo e Callicle sono, dopo poco, anch’ essi nel ruolo difensivo di
Gorgia. — E stata spesso commentata la somiglianza deli’attacco di Callicle con
quello di Trasimaco all’inizio della Repubblica; anche in quest’ultimo caso trovia-
mo Socrate che passa al contrattacco. Tuttavia, per 1’ impianto della Repubblica, e
il secondo attacco, all’inizio del secondo Libro, che risulta decisivo, e ad esso non
corrisponde niente di simile nel Gorgia. Solo in questa fase Socrate finisce con il
doversi difendere, il che lo costringe a fondare piii in profondita il suo punto di v i­
sta. C fr. sotto, pp. 363 ss., 374 ss.
270 «G O R G IA»

vare «a lia verità stessa». Infatti, Callicle possiede i requisiti ne-


cessari per un esame prometiente, cioè discernimento, benevo-
lenza e franchezza. Ció che Callicle accetterà sarà certo al di là
di ogni dubbio, poiché non si potranno certo considerare come
cause per un consenso im m otivato né la mancanza di sapienza,
né il falso pudore e nemmeno Pintenzione di ingannare, che in
un amico è esclusa23.
È sorprendente la ingenuitá con cui interpreti, anche competen-
ti, hanno inteso queste parole come semplici considerazioni di
fatto sul carattere di C a llicle24. Chi, invece, legge Pinno a Calli­
cle come asserzione mirata di una figura del dramma sulPaltra si
dovrá domandare, in primo luogo, perché essa sia inserita pro-
prio a questo punto e, quindi, quali siano le conseguenze deri-
vanti da questo nel successivo sviluppo del dramma. Per indica­
re giá qui il risultato, dobbiamo rilevare questo: nel prosegui-
mento del dialogo Pautore chiarisce passo dopo passo che Calli­
cle, Pinterlocutore tanto lodato, non è né saggio, né benevolo,
né franco. L a totale confutazione delle aspettative riposte in lui
alPinizio spiega anche la posizione dell’ inno: giá prima delPin-
gresso neWelenchos orientato alPoggetto, il lettore deve concen­
trare la sua attenzione sulla condizionatezza dei risultati del dia­
logo dovuti al carattere e alia statura intellettuale delPinterlocu-
tore. Letta nel contesto drammaturgico, la lode di Callicle puó
solo avere un senso condizionale: se egli si rivelerà essere cosi
come Socrate intenzionalmente lo classifica, la Verità trovata sa­
rà del tutto valida e non delimitata. II fatto che Callicle non sia
colui che dovrebbe essere, relativizza il risultato. Questo, co-
munque, non nel senso che egli approverebbe ció che è sbagliato
(da ció lo mettono in guardia non certo le sue qualitá, bensi la
saggezza, la benevolenza e la franchezza di Socrate). È dovuto,
invece, al suo fallimento il fatto che egli sia, come gli altri, «in -

23 486 D 2 - 487 E 7. Si osservi la evidente ridondanza in tutti i punti importanti:


Socrate vuole trovare con Callicle atká xaXrjQri (486 E 6) ~ xtkoq xf¡< áXrjOsíoí^ (487
E 7); nessun altro [Báaavo; é necessario 486 D 7 ~ 487 E 2-3; vengo no elencate le tre
qualitá ¿TucycrujU), euvota e 7:appr]ata, in 487 A 2-3; vengono spiegate in A 3 - B 5, e,
infine, vengono presentate ricorrendo ai loro contrari in E 3-7; Callicle le possiede
tutte, A 2 ~ B 6 .
24 Cosi E .R . Dodds nelPintroduzione al suo commento al Gorgia (O xford 1959, p.
14); anche T . Irwin non trova niente di notevole nell’elogio di Callicle, ha solo
qualche incertezza a proposito della sua raxiSeta (Plato, Gorgias, Translated with
Notes, O xford 1979, pp. 182 s.).
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 271

capace di mettere Socrate alla p r o v a » 25, e che, perciô, venga al­


la ribalta tutta la verità di cui egli stesso necessita, ma non Tinte­
ra verità di colui che ironicamente lo aveva innalzato negli elogi
ad interlocutore id eale26.
Il disconoscimento delle qualité necessarie per un dialogo filoso-
fico inizia con il rilievo concernente la «ben evolen za», ovvero
l’ «a m ic iz ia »27 di Callicle. Corne amico, Callicle non lo inganne-
rà (487 E 5); e su questa premessa Socrate dovrà ben presto ri-
tornare, proprio per costatare che P «a m ic o » Pha, perô, pur-
troppo ingannato28. Certo, corne sempre avviene in casi analo-
ghi in Platone, il rim provero è inteso soprattutto corne sarcasmo
e non è giustificato «oggettivam en te», in quanto Callicle ha
cambiato opinione non certo intenzionalmente. È, comunque,
significativo il fatto che la qualificazione «a m ic o » sia espressa-
mente presentata in maniera ambigua. Socrate ed il sostenitore
di una brutale cupidigia non possono essere veramente amici. Il
vero m otivo délia mancanza di benevolenza verso Socrate e cio
che egli rappresenta è indicato solo successivamente: si tratta del
desiderio di godere di considerazione da parte délia folia, che
nelP anima di Callicle si contrappone alla natura socratica29.
Questa è la risposta di Socrate alPammissione di Callicle che gli
argomenti di Socrate gli sembrano, si, essere più o meno buoni,
ma che, tuttavia, essi non lo convincono: la opzione per un’ ami-
cizia sbagliata impedisce una giusta conoscenza.
Con questa osservazione siamo, perô, già giunti al disconosci­
mento délia franchezza di parola (7rapp7]aioc), che si realizza in
un graduale ritiro di Callicle dal dialogo, che avviene in modo

25 487 A 3: eyco no'/Ckolq ev-ruyxavco ot ijxe o ijx oloi x i et'atv ¡3aaavt£e.iv.


26 La forte nota ironica dell’inno e, del resto, difficile da trascurare, anche se non
si conosce la sua successiva confutazione. Oltre all’enfasi esagerata (cfr. sopra, no­
ta 23), ne e un segno anche Pattribuzione, evidentemente fuori posto, dei predicati
di «sapiente» e «b e n e v o lo » a Gorgia e a P o lo (aoqjto xai cpiAa) !<jtov £[j,co, 487 A 7).
27 I termini euvou? e cpiXo? sono usati, in questo contesto, come sinonimi, cfr. 487
A 3; B 7 e D 4 con 487 B 1 ed E 5. Sulla collocazione dell’ amicizia e della benevo­
lenza nelia teoria platonica della conoscenza o ffre un orientamento, oltre al Liside,
al Fedro, al Simposio, anche un passo della Le.ttera V II: poiche non e sempre possi-
bile far capire al malvagio eristico il suo non aver colto l ’ oggetto della filosofia, la
vera conoscenza puo essere raggiunta con Pinterlocutore «sensibile all’ oggetto» in
eu|jLevei^ tk ty y oi (343 A 5 - 344 C 1).
28 499 b 9 - C 4: co<; mxvoOpyos zT iq a n a itiv [J.£, xaran. oux ¿jfiriv y i xax’
U7co aou ¿xovxo? eivai ¿|a7raxr]0'r|a£<T0ai, (¿¡; ovtos cpiXou* vov Si ¿^s.uaOrjv.
29 5 13 C 7-8: o Sr^ou yap epax; ivcov ev Trj cjjuxfi ^ afi av-uara-rEl plot..
272 «G O R G IA»

meno esplicito, ma proprio per questo drammaturgicamente piú


efficace. Callicle viene ancora lodato per la sua equiparazione di
areté ed eudaimonía alia «dissolutezza, alla incontinenza e alia
libertà», poiché egli ha chiaramente espresso ció che altri soltan-
to pensano ma non hanno il coraggio di dire (492 D 1-3). Tutta-
via già dali’ equiparazione dei piacevole con il buono — che egli,
poi, dovrá ritrattare — Socrate sospetta che egli non parli piú
secondo la sua vera convinzione, e che, perianto, contravvenga
alia norma della franchezza30. Tosto fa seguito il rimprovero
che Callicle finge di non sapere, al che egli vuole sottrarsi alie
domande di Socrate e deve venir esortato da Gorgia alla dis cus-
sione disciplinata31. D opo il già accennato rimprovero dell’ «in -
ganno», segue un ulteriore ammonimento a non rispondere
«con tro le sue opin ion i» (rcapà xà Soxouvxa, 500 B 7); ma Calli­
cle inizia a tirarsi indietro, risponde prima p ro fo rm a a causa
della sollecitazione di G orgia (501 C 7-8) — quindi non piú co­
me sincero difensore della propria opinione — finché la crisi del
dialogo raggiunge Pestraniamento irreparabile, e Callicle rinun-
cia per lungo tempo a rispondere, e cosi rinuncia ad ogni fran­
chezza (Ttapprjaíoc)32. Se Callicle volesse dire liberamente ció che
pensa, allora egli dovrebbe farsi soccorrere, ma per questo gli
manca la libertà m ora le33. M otivo del suo ammutolire è la sua
mancanza di libertà interiore. Con ironia magistrale Platone,
verso la fine, gli fa riprendere, alie domande stimòlànti di So­
crate, ancora una volta la sua franchezza, ma solo per fargli dire
apertamente çhe la sua abilitá retorica mira a dire cose che fan-
no piacere al popolo, e quindi mira al rifiuto in linea di principio
della «fran ch ezza» (Trapp^at'a)34.
Parallela alla scomparsa della benevolenza e della franchezza

30 495 A 7-9: Siôtç0E.Lp£tç, á KaXXCxXe.iç, tou; Ttpwxouç Xó-youç, x<xl oúx av exi |i.£x’
è[xoü ixavcoç xà ovxa íÇetoÇoiç, dji£p rcapà xà BoxoOvxa aauxcÕ ipsíç. Con i TcpcoxoL
Xóyôi Socrate intende la critica di Callicle alio scarso coraggio di Gorgia e di P olo
(482 C-E) e il suo stesso elogio della Tcapprjaía in 487 A B.
31 497 A 7 - B 10/
32 504 C 4: x£ 8 è òOx aòxòç Xi"f&tç, w Hwxpaxsç. Questo è il secondo tentativo da
parte di Callicle per sottrarsi; il terzo tentativo 505 C l - 506 C 4 ha successo: Socra­
te prosegue da solo la discussione. Callicle ri entra piü tardi neí discorso, senza, tut-
tavia, fornire effettivamente un suo contributo (cfr. 510 A 1; 515 C 4; 516 C 10; 519
D 6).
33 A 505 C 1 : òíXXov xtvà epa>xa, Socrate risponde in C 3-4: oòxoç àvr)p oú)( Ú7to[xé-
v£L co^pE-XoújjiÊVOÇ xat auxòç xoüxo Káayiov Ttepí ou ó Xóyoç iaxí, xoXa£ó|j.E.voç.
34 521 A 2-8.
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 273

corre lo scherno della mancanza in Callicle — e qui non si puó


piü parlare di «scom parsa» — della «scien za» (¿m(jzr¡[xr¡). II ca-
rattere piü sicuro della «scien za» (£7uaTr|fji7|) é la sua immutabili-
tá. Perció, in una fase precedente della discussione, Socrate con­
fronta la costanza della sua opinione con l ’incerto oscillare del
suo avversario; questa opposizione, che ritorna piü Volte, dom i­
na anche la conclusione del d ia lo g o 35. N el frattempo abbiamo il
riconoscimento sarcastico della «sapien za» di Callicle e l’ affer-
mazione diretta, solo male nascosta, che egli «n on capisce men­
te » della questione36.
L ’ uomo che avrebbe dovuto possedere i requisiti ideali necessari
per un esame filosofico di Socrate si é, perció, dimostrato il pre­
ciso opposto di una «anim a adatta» (<|>ux?l rcpoarjxouaoc). Se alia
base del G orgia sta la stessa idea di un filosofare rivolto alPin-
terlocutore come nel Fedro, allora bisognerebbe postulare che
Socrate limita consapevolmente l’ esposizione dei suoi pensieri
davanti ad un siffatto interlocutore, e che dice puré che lo sta
facendo.

4. L a m etafora dei misteri indica la delimitazione contenutistica


del dialogo

II chiarimento, che va postulato sulla base del Fedro, é presente


in 497 C. Callicle vede che non é in grado di sostenere la equipa-
razione di piacevole e buono e cerca di allontanarsi dal dialogo
(497 A 6, B 3). Quando Gorgia lo invita a proseguiré nelle rispo-
ste, egli si lamenta con lui della futilitá e dello scarso valore di
ció che Socrate domanda; e con una seconda sortitá contro l’ in-
significanza e Tangustia del pensiero socrático egli riprende il
s u o ru o lo 37.
Socrate risponde con l ’usuale ironia: «Felice, o Callicle, perché

35 490 E 10 con 491 B 5 - C 2; Socrate dice a si xauxá, Callicle dice: oüSéno-ce xauxá
Ttepi tcúv auxcáv (B 6 s.); 499 C 1-2; 527 B 4, ó Xóyo<; (su Socrate) contro D 7
ouSéiTOxe xauToc Soxet 7re.pt xtov aúxcov (su Callicle).
36 Su Callicle come sapiente, a cui é pero sfuggito il significato dell’.equivalenza
geométrica, si veda 508 A 5 (cfr. anche 497 A 8). — In 518 C 2 é detto íizaiíu; ou-
Sáv, in un ragionamento ipotetico, che, comunque, é chiaramente utilizzabile per
Callicle (cfr. 518 E 1-2).
37 497 B 6-7: á.X\' asi zoioüxóq ¿crctv Ecoxpá'cr]?, rop yta. afitxpá xai óXí'fou a^ta
ávspcora xat i\zkíyyt\.. — 497 C 1-2: ¿pa>xa 8r¡ au xa a¡aixpá iz xat oxevá xaOxa,
¿TcetTcep Fopyía Soxeí ouxco¡;.
274 «G O R G IA»

sei stato iniziato ai grandi misten, prima di essere stato iniziato


ai piccoli; ma io pensavo che questo non fosse p erm esso»38.
Egli accetta la svalutazione delle sue argomentazioni, ma, alio
stesso tempo, da a questa un nuovo senso. Come é vero che nes-
suno ad Eleusi poteva prendere parte alie grandi consacrazioni,
se prima non era stato iniziato a quelle piccole, cosi Callicle, a
cui non sono ancora familiari le «piccole cose» di Socrate, non
ha il diritto di attribuirsi la conoscenza delle cose «p iü grandi».
Socrate, invece, puó classificare con serenitá ció che qui espone
come piccole cose (a[xixpá), cosi come lo ierofante di Eleusi, in
virtü della sua conoscenza dei «g ra n d i» misteri, potrebbe defini­
ré quelli piccoli come quelli che sono obbiettivamente «p iü pic­
c o li», senza limitarne il valore. Per ció che Socrate vuole indica­
re, occorre anche tener conto di ció che sui misteri sapeva ogni
lettore ateniese: dall’iniziazione ai piccoli misteri alia iniziazione
ai grandi doveva passare un tempo considerevole39. Se Socrate,
ora, inizia con «p ic c o le » consacrazioni, non potrebbe, contem­
poráneamente, voler completare altresi quelle grandi, anche se
avesse a sua disposizione un «in izian d o » disponibile40.
Del resto, la metafora dei misteri non si trova qui per la prima
volta nel dialogo. L a differenziazione fra piccoli e grandi misteri
acquista precisi contorni, se l ’intendiamo come proseguimento
di una metafora utilizzata in precedenza: chi non si controlla e
chi non é ragionevole, si diceva in 493 A 7, é un «n on inizia­
t o » 41. Come sempre, anche qui dobbiamo partiré dal contesto
in cui si pone questa afferm azione per cogliere appieno il signifi-
cato della metafora dei misteri per lo scopo che vien perseguito
nel dialogo.
11 termine dei «n o n in iziati» (á¡jLÚr)i:oi) cade ancor prima dell’ ini-
zio deiragone argomentativo che inizierá con Pesame dell’ equi-

38 497 C 3-4: euSaíp.wv &Í, ¿b KaXXótXeti;, otl toc ^i&YáXa |j.&pi.Ú7iaai Ttpív xa a¡i.Lxpá'
ly w 8 ’ oux wjjirjv Qe^ltov eívcu.
39 Cfr. Schol. ad loe. (p. 160 Greene), Plutarco, D em etrio, 26, 1; Schol. ad
Aristoph., P lu t., 845 e Ran., 745; Clemente, Stromata, IV 3, 1 e V 70, 7. La termi­
nología dei diversi livelli di iniziazione non é univoca nelle fonti. Secondo Plutarco
tra i Piccoli Misteri e i Grandi Misteri intercorrono sette mesi; il terzo livello, quello
piü alto, la epoptia, era addirittura distanziata dai Grandi Misteri dairintervallo di
un anno. C fr. L. Deubner, Attische Feste, Berlin 1932, p. 70; W . Burkert, H o m o
necans, Berlin 1972, pp. 292 s.
40 Sarebbe ou Gquióv, come l ’inversione della successione.
41 toui; Se. ávorixou^ a¡j.uriTOD¡;.
L ’ INTERLOCUTORE iDEALE E I PICCOLIM ISTERI 275

parazione del buono e del piacevole (495 C 1 ss.). Callicle ha giá


da molto esposto il suo punto di vista, ossia che egli crede ad un
naturale «d iritto del piü fo rte » (482 C 4 - 486 D 1). Tuttavia,
prima che Socrate attacchi la posizione deH’ avversario, egli la
deve portare alia form a piü adatta per essere attaccata: egli deve
trasferirla nei suoi concetti, deve riferire il «giusto nel senso del-
la natura» di Callicle alia sua propria concezione dell’ essenza
del giusto. Per la veritá, Socrate non dice ció che, per lui, costi-
tuisce la giustizia: tuttavia, cercando di sapere da Callicle con
ordine se quel «p iü fo r te » il cui eccellere é per natura «giu s to »
possegga le virtü della sapienza, del coraggio e della temperan-
za, egli confronta il concetto di giustizia dell’ avversario proprio
con quelle tre virtü cardinal! la cui collaborazione e «consonan-
z a » indica la quarta, la virtü complessiva della giustizia platóni­
c a 42. Come si sa, il teorema delle parti dell’anima nella Repub-
blica é presupposto da questa costruzione del sistema delle virtü.
Anche questo non viene qui tematizzato. M a il fatto che, per
comprendere ció a cui Socrate mira, sia necessaria l ’ idea di una
molteplicitá strutturata nelPuomo, é dimostrato dalla virtü della
sophrosyne: essa consiste nel «dom in io di se stessi» (491 D 4 -
8). Poiché Callicle pare non capire, Socrate gli assicura che non
intende niente di particolare, ma solo ció che la gente intende
con sophrosyne (D 9 - E 1); il prosieguo del commento indica
presto che il punto di riferim ento non sta, pero, certamente nel-
V etica popolare.

5. L a teoría delVanima non esplicitata com e p u n to di riferim en­


to delVargomentazione

Con la menzione della sophrosyne Callicle si lascia trascinare ad


una nuova vetta della sua «fran ch ezza»: egli loda il soddisfaci-
mento illimitato di ogni desiderio; solo questo, per lui, sarebbe

42 È la domanda sulla «conoscenza» del xpsiTxtov, 489 E, sul suo coraggio 491 C,
sulla sua temper anza 491 D E . Come c’ era da aspettarsi, Platone non ha evidenzia-
to la sistematicitá di queste domande, anzi, l ’ha piuttosto nascosta, discutendo l ’ u-
guaglianza di xpeíxTcov = jkXxúov — ia%ijpóx£.poç (488 B 9 ss.) e facendo introdur-
re la virtü del coraggio non da Socrate ma, questa volta, da Callicle (491 B 2). Co-
munque, è chiaro che si tratta del contesto delle platoniche virtü cardinali (<ppóvt¡j.o<;
e <ppóvr)stç sono sinonimi di aocpóç e crocpía nella Repubblica, cfr., ad esempio, 428 B
1 ; 433 B 8). Questo contesto è chiarito nella Repubblica: la giustizia intesa come il
«fa re ció che è p ro p rio » è il presupposto per la comparsa delle altre virtü. Perció,
276 «G O R G IA»

la virtü e la beatitudine (491 E 5 - 492 C 8). Cosi la posizíone del-


l ’ avversario é chiara, per la prima volta completamente, e non a
caso dopo il confronto con le virtü cardinali43. Essa si caratte-
rizza per il rifiuto implicito di ogni molteplicitá strutturata nel-
l ’ uomo: Callicle si identifica ingenuamente con i suoi desideri,
che ritiene possano andaré d ’ accordo fra loro. Coraggio e sag-
gezza (ávBpeíoc e qppóvriais, 492 A 2 ) hanno per lui uno status pu­
ramente strumentale, non sono parti del sé che hanno un pro-
prio peso. L a temperanza, per Callicle, é concepibile non come
autodominio bensi solo come introduzione di un dominatore
estraneo — ossia del nom os dei piü — nei desideri che sono in sé
liberi (492 B 6 - 8).
La reazione di Socrate di fronte a questa franchissima descrizio-
ne di Callicle della «v ir tü » si capisce solo se si considera il pre-
supposto platonico per cui la chiave per daré una soluzione alie
domande che sorgono si trova nella descrizione della struttura
interiore delPuomo, e, quindi, in un ámbito temático che nel se-
guito del dialogo non viene assolutamente trattato. Infatti, pri­
ma che Socrate si disponga a confutare la concezione di Callicle
di felicita che si ottiene mediante il soddisfacimento degli istinti
(da 494 B; 495 C), rimanendo nell’ orizzonte dei concetti propri
di Callicle egli schizza a grandi linee un ritratto del tutto diverso
dell’ uomo e delle forze che agiscono dentro di lui. Per sottoü-
neare quanto poco abbia in comune quest’altra immagine del­
l’ uomo con il giro di pensiero del presente dialogo, egli si rifa ad
un poeta, ad un anonimo «sapien te» e ad un interprete di tale
sapienza, siciliano o itálico, che resta a sua volta anonimo. Euri-
pide, cosi precisa Socrate, potrebbe davvero aver ragione pen­
sando che la nostra vita in realtá é la condizione di chi é morto,
mentre la morte é vita; nelPottica di questa veritá piü elevata, la
vita nel corpo (acófxa), assicurano i «s a p ie n ti»44, é il soggiornare
in una tomba (arp a ); questa esistenza tombale é determinata
dalla mutevolezza di quella parte dell’ anima in cui risiedono i
desideri, e che é stato spiegato da un uorho intelligente, ricorren-

se il xpEÍruov disponesse (d a w e ro ) di conoscenza, coraggio e temperanza, allora si


potrebbe con certezza concludere che egli impersona anche la vera giustizia.
43 In vista della successiva dimostrazione segue, poi, anche I’equiparazione esplici-
ta di àyaôóv e r¡Sú, 495 A .
44 Socrate si rifà ai aocpoí anche quando deve parlare della fede nell’immortalitá:
M enone, 81 A ; Fedone, 69 C.
L ’ INTERLOCUTOIRE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 277

do al mito e ail’ etimologia, nel m odo seguente: questa parte del-


l’ anima volubile e facile da convincere (tuGocvov) è una botte
( ttîGoç) che perde e non riesce a trattenere nulla; e con chiari ac-
cenni al mito delle Danaidi, egli prosegue dicendo che coloro
che portano acqua a questa botte bucata con un contenitore bu-
cherellato, come un setaccio, sono gli infelici. M a il setaccio è
l ’ anima di chi non è ragionevole, che è essa stessa «bucherella-
ta » e non è in grado di contenere nulla (492 E 8 - 493 C 3).
È evidente che Socrate, nella sua interpretazione mitológica del
m odo di vivere suggerito da Callicle, ha a che fare con due «p a r­
t i» delPanima chiaramente distinte, la «b o tte » e il «setaccio». II
setaccio, come la cppóvrjcnç per Callicle, ha solo uno status stru-
mentale, serve a riempire la botte che perde; ma poiché l ’ essere
bucherellato délia botte e del setaccio vale solo per gli irragione-
v o li45, la subordinazione strumentale del setaccio per attingere
ai bisogni délia botte è solo una afferm azione circa questo modo
di vivere. Se si prescinde da quanto serve alia descrizione della
vita sbagliata, resta come guadagno teoretico dell’ interpretazio-
ne figurata il fatto che i desideri, equiparati da Callicle con l’ io
delPuomo, sono solo una parte dell’ anima — «c ió in cui si tro-
vano i desideri» (493 A 3 , B 1) — ; e poiché l ’interprete delPIta-
lia méridionale della dottrina dell’ anima-tomba (a<£>|¿oc~a7Í(jia)
sostiene la posizione opposta a quella di Callicle (B 3-4), è possi-
bile riferire ali’ antropologia che si cela dietro Pimmagine anche
questo: la saggezza ( 9 póvY]atç) che Callicle non ha riconosciuto
nella sua autonomia, non puó assolutamente essere ridotta alia
funzione di strumento qui descritta, o, volgendo in positivo: la
saggezza (çpóvr]0 Lç) deve dominare le passioni (¿7ci9u[x£ai); e que­
sto è, evidentemente, il senso del «dom in io di se stessi» incom-
prensibile per Callicle. In terzo luogo> fa parte del contenuto
non figurato del passo la convinzione che esiste, per 1’ anima,
anche un altro tipo di esistenza, al cui confronto l’ esistenza

45 493 B 1-3; C 1-3. In 439 B 7 - C 1 il «setaccio» e spiegato, dapprima, semplice-


mente come «P a n im a »; anche se il testo cosi come lo fornisce Burnet dovesse essere
giusto, non verrebbe eliminata la separazione, sottolineata in 493 A 3-4 e B 1, di
una parte dell’ anima volubile e della sua differenziazione dal «setaccio» (cfr. B 6 :
¿xepcp Totouxcp Ttxpr)[jL£vto). La atetesi di C 1/2: xyjv S& 4>uxfy--- 7][iivrjv da par­
te di Cobet difficilmente e corretta; va invece discusso se i termini tt]v xo'
cxivto aTcfixaaev (C 1) vadano distinti in quanto variante di B 7 - C 1 ; t o Si xoaxivov
apa Xeyet ... xrjv <Jjux^v eivai.
278 «G O R G IA»

nel corpo equivale alia morte. Anche se non viene detta la paro­
la «im m orta litá » (áGavaaía), non possono esserci dubbi sul fat-
to che qui venga fatto riferimento appunto alia fede neU’immor-
talitá.
Su questo sfondo di una dottrina delTanima e deirim m ortalitá
orientata escatologicamente, Callicle é deñnito come «n on ini-
zia to », non pero personalmente, tuttavia con un accenno suffi-
cientemente chiaro: infatti « g li irragionevoli sono i non-iniziati»
(493 A 7); ma irragionevole é colui in cui la parte non passionale
delT anima (dunque la.9póv7jai£ o il XoyiaTixóv)serve solo quella
passionale e si fa simile ad essa, cioé bucata (493 G 2), e ció si­
gnifica: incostante e mutevole (493 A 4-7). M a Callicle stesso
aveva descritto la «sa ggezza» ({ppóvrjat?) come al servizio dei de­
si deri (492 A ), e Socrate aveva dimostrato poco prima che la
«ra g io n e » di Callicle giudicava ora in un modo ora in un altro
(491 C ) 4*.
N on iniziato e non razionale (á|i,Ó7iTO?, ávÓ7jTos) é Callicle; e
questo implica due cose: la errata posizione etica da lui esaltata
e, causa di questo, la completa ignoranza della dottrina dell’ ani­
ma, che Socrate gli presenta come posizione radicalmente oppo-
sta. M a, giá qui, prima della vera discussione, appare chiaro che
Callicle resterá un «n on -in iziato». Infatti, Socrate non fa nes-
sun tentativo di fondare argomentativamente la dottrina dell’a-
nima, che implica la fede nelPimmortalitá. A l contrario: la de-
scrizione di questa dottrina in una form a straniata (come dottri­
na di poeti, di sapienti e di loro interpreti anonimi) ha, evidente­
mente, lo scopo di evitargli il dovere di giustificare la sua opi-
n ion e47. Tuttavia, egli presenta la posizione opposta, non fon-
data, come proposta di cui potrebbe «con vincere» Callicle, e
che questi potrebbe accettare (493 C 4 - D 3). (II non-iniziato,
come ad Eleusi, deve essere disposto per diventare iniziando).
Invece, Callicle dichiara di non voler cambiare idea (493 D 4).
Con questo, il corso del dialogo é deciso giá da ora nel punto piü
importante: 1’ antropología che fonda il concetto platonico della
giustizia e che distingue fra una parte delPanima irrazionale e

46 Cfr. sopra, p. 273 e nota 35.


47 Cfr. 493 D 2 : av aXXa towcGtoc fxuöoXoyd). Socrate accenna perfino al fatto che
egli parla non in m odo argomentativo, ma «m itic o ».
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 279

moríale e una parte razionale e im m ortale48, non verrá discussa


in questa sede. Di conseguenza, il resto dell’ azione del dialogo
consiste nel fatto che Callicle, il non-iniziato, dopo la prima
sconfitta successivamente «s i ritira» dal dialogo: non gli é possi-
bile comunicare con il saggio che conosce Panima e la giustizia.
E, per non farci perdere di vista il senso di questo sviluppo pre-
determinato, Platone si é nuovamente servito della metafora dei
misteri, proprio dove ha inizio lo sgretolamento del dialogo (497
B - C): Callicle non ha ricevuto la iniziazione piccola, per non
parlare poi di quella grande 49.

6 . A llusion i ai « grandi m isteri». Socrate é in possesso delVarte


della dialettica

Nonostante la limitazione dell’ estensione della discussione, Pla­


tone ha fatto vedere, almeno in alcuni tratti essenziali, quale sa-
rebbe Papporto dei «grandi m isteri». Nella parte di Gorgia e
verso la fine di quella di Callicle si puó cogliere il concetto di
una «vera retorica», che, in quanto immagine opposta a quella
della retorica consueta, rappresenta il sinonimo della dialettica
filosófica, proprio come nel Fedro.
Le domande rivolte a Gorgia a proposito della sua arte portano
con sicurezza all’ immagine di una retorica che non si lascia uti-

48 Ii fatto che negli allusivi accenni ad una fede nell’ aldilá compaiano solo due
partí dell’ anima, una volitiva ed un’ altra, non significa necessariamente, é ovvio,
che Platone «n on ha ancora messo a punto qu i» la successiva teoría della tripartí-
zione dell’ anima. Infatti, anche ía «classica» tricotomia dell’ anima si fonda su una
dicotomía ontologica (cfr. sotto, pp. 409 s., a proposito di Repubblica, 611/2).
N on era necessario andaré* qui, al di lá di un accenno. Poiché il concetto di giusti­
zia di Callicle é stato messo alia prova delle tre virtü platoniche, cui sono coordina-
te, nella R epubblica, le tre partí dell’ anima (cfr. sopra, pp. 275 s.), risulta come piü
probabile la supposizione che Platone non abbia sostenuto, nella stesura del G or­
gia , una psicológica dífferente da quella presentata neíla sua opera principale.
49 p er j i rwin. P la to 's M o ra l Theory, O xford 1977, pp. 127-131, il Gorgia é un
colpo non andato a segno, in quanto Platone non direbbe se egli intenda ammettere
«good-independent desires» o no, e in quanto egli non é in grado di dimostrare che
quell’autocontrollo, di cui alia fine anche Callicle riconosce la necessitá, coincide
con l ’ ordine interno delPanima, che si fonda sulla virtü. Irwin sembra non vedere
che questi problemi possono essere discussi in m odo sensato solo alPinterno della
psicologia metafísica di Platone. Si deve per forza considerare il Gorgia un «insuc-
cesso» filosofico se si pretendono da questo dialogo le risposte proprio a quelle
questioni che, limitando in m odo attento il discorso, Platone vuole escludere. A
proposito del commento di Irwin al G orgia (loe. cit., cfr. sopra, nota 24) cfr. la mia
recensione in «Phiiosophische Rundschau», 30 (1983), pp. 138-141. .
280 «G O R G IA»

lizzare, in m odo puramente strumentale, per qualsivoglia scopo,


ad esempio per l ’imposizione delPingiusto. Condizione di que-
sto sarebbe che Poratore conosca « la veritá» sulle «cose piü im-
portanti per la vita delFu om o», in particolare sul giusto e sul-
l ’ ingiusto, sul Bene e sul M a le 50. Chi conosce la veritá su qual-
cosa, sa anche spiegare e «insegnare» quale ne sia Pessenza: in
opposizione alPoratore di tipo gorgiano, l’ oratore ideale sareb­
be, ad un tempo, colui che insegna il giusto e l’ingiusto (SiSa-
axocXtxó; rce-pl tó Síxatov xai xo aStxov)51, e pertanto non diverso
dal « filo s o fo » ( 91 XÓCJ0 9 0 S). L a sua retorica non potrebbe essere
impiegata scorrettamente a servizio di altri fini, perché sarebbe
essa stessa un’ «a r te » che stabilisce i valori: dalla conoscenza del
Bene e del giusto consegue 1’incapacita di perseguire differenti
sco p i52. Tuttavia, una esposizione sufficiente di una tale retori­
ca richiederebbe «una conversazione non da p o c o » 53. Con que-
sta formula.di rottura hanno termine le domande.
Proporzionalmente alia misura in cui, verso la fine del dialogo,
Callicle si ritira dal dialogo, Socrate ritorna alPimmagine-guida
di una retorica sottratta ai cattivi usi in quanto autonoma. Colui
che giudica e parla « a regola d ’ arte», ossia P «esp erto » (t£xvt'
xó?), viene caratterizzato sulla base di alcune sue prestazioni e ca-
pacitá. In primo luogo, per scegliere fra le cose piacevoli occorre
un «esp erto » (xtx^wot;) che sappia in m odo determinato che cosa
di esse sia buono e che cosa cattivo (500 A ). II principio di Calli­
cle del piacere verrá sottoposto a certi competenti modi di tratta-
re l ’anima {xv/yiY.ai irpa-ffxa'cetat nepi ossia ad un tratta-
mento a regola d ’ arte, che conosce la natura delle cose da trattare
e sa fondare i suoi provvedimenti da prendere, poiché é orientata
al vantaggio dell’ an im a54. II técnico del soddisfacimento dei pia-
ceri deve allora, al tempo stesso, essere competente circa l ’ essen-
za dell’ anima. In secondo luogo, occorre un’ arte ( t:£Xvy)) Per

50 L a conoscenza «d ella veritá» (459 E 8) é necessaria 459 D ss.; come xa ¡jiyurca


tü)V áv0pcofl£Ííov 7i:paY[J.átwv, 451 D 7, risultano essere xó Síxaiov xai xó aStxov xai
xó ataxpóv xai, xó xaXóv xai áyafióv xai xaxóv, 459 D 1.
51 L a «persuasione» di Gorgia é oü SiSaaxaXixr) Tiepi xó oíxouov xat xó aSixov,
455 A 1.
52 C fr., in particolare, 460 E - 461 A . II principio «nessuno commette volontaria-
mente un'ingiustizia» é, qui, presupposto, non formulato per esteso.
53 t a in a ouv ora] n o z i í y t i, ¡xa xóv xúva, ¿S F o p y ía , oux óXrfTK auvouata? eaxiv
coaxe ixavco? 8taaxéc|>aa0ai, 461 A 7 - B 2.
54 C fr., in particolare, 501 B 2-5 e 503 C D .
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOL1 M1STERI 281

evitare l ’ ingiusto (509 E - 510 A ); non é sufficiente la semplice vo-


lontá di volerlo evitare, si deve invece «im parare ad esercitare» la
relativa «a rte ». N on c’é da dubitare che, anche per questo «ap-
prendim ento», é decisiva la conoscenza della natura dell’ anima:
solo perché ignora che rango abbia Panima, o, piü precisamente,
la sua parte razionale, Callicle da la preminenza alia sua parte
passionale55, e, con ció, non sa tener lontano da sé ció che é in-
giusto. In terzo luogo, per riassumere le cose dette, colui i cui di-
scorsi e le cui azioni derivano dalla sua conoscenza della struttu-
ra dell’ anima, é il retore competente (prixcop ó che, pos-
sedendo la «vera retorica» (ocXt]9 iv7] pr]Topt.x7¡), rappresenta
un’ arte sovrana a cui sono subordínate tutte le altre capacita56.
Solo questo vero retore possiede, grazie al suo orientamento, nel
grado maggiore la capacita di migliorare i suoi concittadini me­
diante il suo agiré nella cittá.
Le tre arti (x ^ v a i) del giusto m odo di procurare i giusti piaceri,
delPevitare ringiusto e del miglioramento degli uomini fungono
da contorno, per aspetti diversi, all’ unica arte filosófica, l’ «arte
dialettica» (BiaXex'Uxri 'cex^rj). La pretesa di Socrate di essere
l’unico vero político (521 D ) coincide con la pretesa di possedere
la dialettica.
L ’ obiezione (ovvia, per la sensibilitá moderna) che la «dialetti­
c a » potrebbe non esser altro che un castello in aria, un utopico
concetto-limite a cui non potrebbe corrispondere alcun contenu-
to filosofico é stata contrattaccata da Platone con la massima
chiarezza. Egli paragona la «vera retorica» alia ginnastica e alia
medicina, e, quindi, con avvertibile disprezzo parla di quelli che
ritengono come arti decisive per la cura del corpo l’ arte culinaria
e quelle ad esse legate, poiché ignorano l ’ esistenza delle vere arti
della ginnastica e della medicina. L o stesso, disprezzo tocca a chi
nega l ’ esistenza della dialettica e la vuole ridurre ad un mero
programma di un sognatore malato di fu tu ro 57. II disprezzo del-

55 Cfr. 504 D (giustizia e temperanza come «o rd in e » delPanima, che, di conse-


guenza, deve essere un’unitä in sé composita e strutturata) e sopra, pp. 275 ss. —
C fr. Krämer, A rete ..., pp. 65 ss., a proposito degli ulteriori riferimenti ontologici
dei passo su 'táíjtç e xóc?[i.oç (504 A ss.).
56 ó prfctop ó ~tyyixóç, agisce in vista delia xáÇie, dell’ anim a 504 D; áXirjôivr) prjxo-
ptxrj, 517 A 5; dominio sopra altre «a r ti», 517 E s.
57 517 D - 5 1 8 E , specialmente 517 E 3-5: ... mxv-u tco [¿r| eiSott oti eotiv uiç rcapà
Taúxaç àizáaaç, xi'/y?] yufxvactixr) xaí tcrtpLxr). Im piego per Panima 518 A 5 ss.; E 1
ss.: Callicle non sa niente delPesistenza di quelPaltra «a rte », diversa da tutte le altre.
282 «G O R G IA»

Parte culinaria come arte per la cura del corpo sarebbe infonda-
to e arrogante per chi non avesse una conoscenza sicura della su-
perioritá delle altre arti; cosi, il disprezzo platonico della retori­
ca consueta sarebbe inconsistente e vano, se l’ autore non scri-
vesse nella certezza di aver ottenuto una conoscenza sicura circa
le domande sull’ánima e sul Bene, che sonó decisive per la «vera
retorica».
A l tempo della composizione del Gorgia, perció, « c ’ é » giá l’ idea
di una dialettica come concreta teoria della fondazione delP etica
su un’ antropología e su una metafísica. Di essa Callicle «n on ha
capito nulla » 58 fino alia fine. Anche il lettore odierno non
avrebbe forse la possibilitá di completare i contorni dell’ imma-
gine appena abbozzata, se non possedesse la descrizione moho
piü ricca della Repubblica e del Fedro. Callicle, il non-iniziato,
non é un possibile destinatario di quel contenuto. II passaggio
decisivo ad una teoria superiore, piü fondante, non ha luogo:
Callicle torna sempre alie sue vecchie p osizion i59. I suoi impulsi
non controllati gli impediscono di avvicinarsi, spregiudicata-
mente, alia v eritá 60. Cosi egli si deve accontentare di quello che
Socrate gli vuole o ffr ir e 61.

58 in a h iq oüoáv, 518 C 2 (non detto direttamente di Callicle, ma, naturalmente, in


considerazione della sua incapacita di cogliere il concetto platonico di «vera re­
torica»).
59 Pronunciato da Socrate 517 C 4-7, e in cui — gentile com ’ é — egli rivolge il rim-
provero contemporáneamente anche verso se stesso.
60 C fr. 493 A -C ; 505 C; 513 C 7 (cfr. in proposito, sopra, p. 272).
61 Socrate, mai stanco di reinterpretazioni ironiche, offre, naturalmente» una for-
mulazione che va intesa al contrario: egli deve prendere quello che Callicle gli offre
(499 C 5). Tuttavia, non é mai cosa dubbia chi, qui, effettivamente da e chi riceve.
XV. «Cratilo»
II sapere segreto deH’eracliteo

1. D u e fo rm e diverse della pseudo esoterica

Si é trascurato, a favore del tema contenutistico chiaramente in-


dicato — «esiste una giustezza naturale delle parole?» — il tema
di carattere drammaturgico, con cui il dialogo ha inizio, e che é
indicato con altrettanta chiarezza. Esso é il seguente: prima di
poter raggiungere la conoscenza, si devono superare i limiti po-
sti dairutilizzazione esoterica del sapere.
N on ci deve stupire (dopo la lettura delYEutidem o) il fatto che
T «esoterica » sia qui, dapprima, presentata solo in form a carica­
túrale. Socrate, r « ir o n ic o » (d'pcov), non ha fretta di presentare a
tutti la sua concezione del corretto rapporto con i logoi. Cratilo
risulta, invece, immediatamente riconoscibile come caricatura
di un esoterico. Egli sostiene che le parole hanno una giustezza
naturale; tuttavia, alie domande piü circostanziate di Ermoge-
ne, egli non vuole dire niente di chiaro, ma si comporta come se
possedesse una conoscenza la cui esposizione farebbe cambiare
opinione alPinterlocutore. Ermogene si lamenta con Socrate per
questo m odo di fare di Cratilo che lesina il suo sapere 1. Piü tar-
di, alia fine della parte del dialogo a lui dedicata (427 D), egli
torna di nuovo alia sua lamentela iniziale, e aggiunge di non sa­
pere se Cratilo sia stato poco chiaro intenzionalmente o n o 2. L a
composizione ad anello conferma che il punto di vista da cui va
considerata la figura di Cratilo nel dialogo é quello d eir«eso-

1 C ratilo, 383 B 8 - 384 A 4: xaí ¿|J.oü ¿p<oxcoxo<; xaí ftpoGufxoujjtivou etSévai oxt n o­
l i Xíy&i, ouxe. áTOcoccpEl oóoev sipwvtútxaí xe upó; ¡J.e, ‘Kpoa-izoioúy.zvóc, xi aoxó<; iv
iauxw óLavoetaOat. (ó? -nxpt. auxoü, o si (jouXolto túq bíjceIv, rcotri<J£(,sv av
xaí i\ii b[ioXoyzí\> xaí Xéyetv oarep auxóc Xéyzi.
2 427 D 3-7: x a í [¿rjv, to S tó x p a x ^ , TtoXXá y í ptoi 7toXXáxi<; upáyjjiaxa Ttapé/st
KpaxúXo?, toartep x a x ’ ápxá<; ÍXzyov, tpáaxtov fjiv d v a i ópOóxrpra óvofxáxcov, rjxt<;
8 ’ ¿ctxlv ouSev aacpi? X íy < ¿ v , ¿Saxe ¡j.£ [ir] Súvaa&ai eíSívat Ttóxepov ix w v axtov
oux cúq ácraípco? áxáaroxs 7is.pl aux¿¡>v X é r £i.
284 «C R A T IL O »

te r ic a »3; la formulazione dei passi successivi precisa la doman-


da: se Cratilo parla solo per accenni con piena intenzione, cioé
come colui che sa, allora egli potrebbe essere il vero esoterico; se
10 fa involontarlamente, cioé per incapacita di fare diversamen­
te, allora dietro alie sue allusioni non si cela niente, ed egli non é
11 «d ia lettic o » (StaXexrtxó;) di cui si é alia ricerca, bensi é un me­
ro pseudo-esoterico.
Ermogene vuole superare i limiti che sonó posti alia sua sete di
conoscenza dall’atteggiamento «esoterico» di Cratilo e si rivolge
a Socrate chiedendogli se egli sa che cosa Cratilo intenda dire, e
in particolare vorrebbe sentire che cosa pensi Socrate delPargo-
mento (384 A 4-7). Tuttavia, Socrate irónicamente dapprima
elude la domanda: invece di rispondere, o anche solo di promet­
iere di farlo, egli rimanda ad un’ altra caricatura di filosofo eso­
terico: Prodico conosce la veritá sulla giustezza delle parole, tut­
tavia non la confida a chiunque, bensi solo a chi é in grado di
versare cinquanta dracme per saperia: egli, Socrate, ha sentito
solo la lezione da una dracma e, quindi, non conosce la veritá; é,
comunque, disposto a cercarla insieme a Cratilo e ad Ermoge­
n e 4.
Socrate, per ció, risalta in contrasto con i due «sapien ti» che, an­
che se per m otivi diver si, non vogliono rivelare a chiunque il lo ­
ro sapere. II suo atteggiamento nega, in m odo risoluto, quello
dei due «esoterici»: se egli avesse seguito il corso da cinquanta
dracme di Prodico egli comunicherebbe «sú b ito » — quindi sen-
za incassare dracme a sua volta — il suo contenuto5; e o ffre

3 Se avessimo solo i passi precedenti, sarebbero possibili dei dubbi. Infatti, l ’ og-
getto su cui Cratilo dà ad intendere di saperne di piü sembra essere — se si segue il
testo «rigorosam ente» — unicamente il nome di Ermogene (citato in 383 B 7), e
non la teoria generale della correttezza delle parole (in questo senso si veda 384 A 2:
eíScòç 7rspi auTOü, spiegato da J.C. Rijlaarsdam, Pla ton über die Sprache. Ein
Kom m entar zum Kratylos, Utrecht 1978, p. 18, nota 4). II richiamo esplicito alPini-
zio, cioè a 383 B 8 - 384 A 4, in 427 D 4 w<rrce.p xoct’ àp^àç eXeyov, mostra, tuttavia,
che Cratilo, secondo Ermogene, serba il silenzio a proposito delia teoria nel suo
complesso. ( L ’ interpretazione «letterale», inoltre, non si accorderebbe neanche
con il contesto dell’inizio 383 A 1 - 384 C 8 , come si mostrerà di seguito).
4 384 B 2 - C 3: ¡xâv ouv eyw rjor| rjxrjxór] rcapà IIpoSíxou -c^v TTEvtrjXovráopayjjiov
¿tu8el£iv (B 6 ) vüv Sè oux à xrp co a, àXXà xr)v Spax^uaiav. oüxouv o lò a Ttr} ttote. tò à -
Xtj0êç ty ti TCE.pt Ttõv xoioútoiv <tu^y]xe.Tv ¡aávtOL Eiotjxóç ELjjit xat aoi. xai KpaxúXco
XOtvfj.
5 384 B 5 s:... ouSèv av IxwXuív ae autíxa uáXa eiSévat tt]v aXfiSeiav Ttepi ovo-
[ l á t ò J V ¿ p G Ó t T jT O Ç .
IL SAPERE SEGRETO DELL’ERACLITEO 285

altresi, per ben due volte, quella comunanza nella ricerca, che
era stata respinta da Cratilo (384 C 2 - C 7 ) 6.
Concettualizzando la situazione, si potrebbe tentare di espri-
merla, seguendo un diffuso schema di pensiero del ventesimo se-
colo, nel m odo seguente: comunicazione esistenziale contro eso­
térica non filosófica. Chi, pero, oltre a moderne abitudini di
pensiero, possiede ancora un poco di sensibilitá per quanto l’ i-
ronia platónica mantiene sullo sfondo e osserva lo sviluppo
drammaturgico dei m otivi nel testo, andando oltre l’ orienta-
mento verso il «risu ltato», eviterá di trasporre il sottile risalto di
Socrate contro i due (pseudo)-esoterici in una semplice immagi-
ne in bianco-e-nero. L a nostra domanda concreta al Cratilo sa-
rá, piuttosto, la seguente: come si realizza il «cercare insieme»
(au^tEÍv) che Socrate offre?

2 . I I socrático «cerca re insiem e» (oufyTsív) non é una coopera-


zione paritetica

Consideriamo, dapprima, 1’ ampia parte centrale che esamina la


correttezza delle parole sulla scorta di esempi. Essa é, a sua vol-
ta, suddivisa in tre parti: la parte piü strettamente etimológica
(396 D - 421 C ) é introdotta (391 B - 396 D ) e conclusa (421 C -
427 D ) da passi che contengono spiegazioni di p rin cip io7. Que-
sto nocciolo del dialogo inizia con l’ attesa di Ermogene che So­
crate gli mostri in che cosa consista, secondo lui, correttezza del­
le parole (391 A 2-3). Poiché Ermogene, nel capitolo precedente
(385 A - 390 E ) é stato portato a considerare cose cui, da solo,
non sarebbe mai arriva to 8,. la sua atiesa non é, poi, del tutto in-
giustificata. M a Socrate gli ricorda con fermezza la posizio-

6 Friedländer, Platon, II, p. 182, intende il silenzio di Cratilo come l ’ imitazione di


Eraclito, il che certamente e rilevante (cfr. sotto, p. 294, nota 29 e p. 296, nota 38).
Purtroppo anche a lui e sfuggito che l ’ immagine piti prossima opposta all’ atteggia-
mento di Cratilo e quella di Prodico, e, di conseguenza, anche che Socrate si pone
come figura opposta ad entrambi. Questo significa, ancora una volta, che dobbia-
mo considerare la figura di Socrate nel quadro della domanda fondamentale: «C o -
me e a chi va trasmesso il sapere filosofico? ».
7 K. Gaiser, Nam e und Sache in Platons “ K ratylos” («Abhandlungen der Heidel­
berger Akadem ie der Wissenschaften». Philosophisch-historische Klasse, Jahrgang
1974, 3. Abhandlung), Heidelberg 1974, pp. 20-25, ha chiarito la composizione de!
dialogo.
8 Cfr. sotto, p. 290.
286 «C R A T ILO »

ne assunta all’inizio, cioé che egli stesso non sa niente a proposi­


to della giustezza delle parole (benché abbia appena argomenta-
to a favore della giustezza naturale delle parole), ma che é dispo-
sto a esaminarla insieme ad Ermogene (391 A 4-6). Cosi ci tro-
viamo, ora, di fronte alia doman da su come vada avviata l ’ inda-
gine (391 B 8 ). Socrate, per la seconda volta, si rifa alFinizio, in­
dicando un’ altra fonte di sapere: si dovrebbe pagare un sofista
(egli nomina ora Protagora invece di Prodico) per diventare «sa ­
piente» mediante essi (391 B-C). M a poiché — purtroppo —
questa fonte non é accessibile, Socrate chiede se non si possa im­
parare qualcosa sulla giustezza delle parole da Omero e dagli al-
tripoeti ( 3 9 1 C 8 - D 1 ) .
II porre domande ad Omero é, naturalmente, un vicolo cieco, se
commisurato all’ ideale della ricerca comune. « M a lasciamo sta-
re Omero, non é possibile chiedergli che cosa pensasse», cosi
Platone fa parlare Socrate neW Ippia m inore (365 C-D ), e nel
P rota gora egli gli fa fare la caricatura dell’ esegesi dei poeti come
método per la ricerca della veritá, per fargliela, infine, rifiutare
in generale con la stessa motivazione (342 A ss.; 347 E). Se P la­
tone rinuncia, qui, a riformulare tale pensiero, questo aw iene
perché Fimpossibilitá, in questi casi, di porre domande é giá ve-
nuta alia ribalta per mezzo delle posizioni (pseudo)-esoteriche:
se Ermogene non si accorge che con Pesegesi di Omero non ot-
terrá m olto di piü che dalle «d o m a n d e» rivolte a Cratilo, allora
egli non si merita altro se non una deviazione, verso un método
inadatto, dello sforzo comune. Ermogene, poi, non sen te gli av-
vertimenti di Socrate, per cui egli potrebbe illudersi di conoscere
Popinione di Omero (393 B) o che potrebbe «in gan n arlo» col
suo postulato che un paio di lettere qui e la non danno fastidio
nella ricerca delPetim ologia (393 C 8 ss.)9. M a Socrate ora rie-
sce, senza difficoltá, a proporre «e tim o lo g ie», finché egli stesso
si stupisce della «sapien za» che «im p rov vis ámente» é soprag-
giunta, non sa da dove (396 C 6 - D 1).
Con questa riflessione irónica sul proprio fare, Socrate sottoli-
nea, di nuovo, una svolta del dialogo importante. Quanto segue

9 L ’ ammonimento cpúXat'íc yáp jxe p.r¡ tít¡ 7iapaxpoúaa>fxaí a i non eselude che il
passo seguente contenga pensieri importanti (cfr. Gaiser, Ñam e und Sache, cit.).
L ’ «in ga n n o » consiste, evidentemente, nel fatto che Socrate da questo momento é
libero di interpretare a suo piacere ogni parola: piü tardi egli rivelerá come non sia
possibile sostenere un simile método (437 A ss.).
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 287

é una nuova partenza sistemática, che distingue nettamente la


grande parte etim ológica principale dalle prime precedenti eti-
m ologie 10. L a «riflession e» deve metiere nella giusta luce la
nuova partenza. Socrate parla, in uno stato di entusiasmo, come
se stesse dando oracoli. Come egli garantisce, la «saggezza de-
m onica», che egli annuncia in questo m odo, l’ ha avuta da Euti-
frone di Prospalta; « o g g i» egli vuole servirsene, per liberarsene
«d o m a n i» con l ’ aiuto di un addetto a tale liberazione (396 D 2 -
397 A l ) .
É innegabile che il método delFindagine viene determinato in
m odo nuovo, prima che questa giunga alia fase decisiva. II mo-
vimento iniziato con l ’ allontanamento della ricerca comune a
favore della domanda sulPopinione di Omero giunge, qui, alia
meta. N é si puó realizzare il ricercare insieme (au£nxeív) che So­
crate si proponeva, né Socrate puó comunicare la sua opinione,
come voleva Ermogene. Perché chi parla in stato di «entusia­
sm o», ossia di invasamento, in primo luogo non é padrone di
ció che dice, e quindi non puó nemmeno daré ascolto veramente
a chi gli sta di fronte; e, in secondo luogo, non dice, in una con-
dizione di estasi, ció che altrimenti direbbe riflettendoci con cal­
ma, ma viene espresso attraverso di lui un altro pensiero. Erm o­
gene tende a dimenticarselo, per cui Socrate deve continuamente
ricordare il fatto che la sua ispirazione gli viene dalla «musa di
E u tifron e» 11. M a Ermogene coglie anche l’ ironia nella presa di
distanza di Socrate riguardo alia sua saggezza nel trovare le eti-
mologie, e cerca di sottrarsi ad essa distinguendo tra ció che So­
crate ha udito da altri e ció che é frutto della sua improvvisazio-
ne (413 D ); al che Socrate non fa che peggiorare la confusione
rivelando che egli intende confondere Ermogene, facendo appa-
rire tutto come frutto del suo proprio pensiero. Egli, perció,
avrebbe udito tutto dagli altri; ma Cratilo non crederá (428 C)
che dietro si nasconda proprio la musa di Eutifrone. La sola co­
sa che si é disposti a credere in questo giocare a nascondere é che
Socrate voglia «pu rifica rsi» da questa sapienza. Con questo an-
nuncio é chiarito lo status filosofico della parte etimológica, an­
cor prima che essa inizi: la «sapienza dem onica» (Satfxovía ao-

10 397 A 4: uóQev ¡lefia, C 4: Síxaiov áito xa>v 0£<Sv apyj-aQaa. C fr. Gaiser, Ñ a­
me undSache p. 58.
11 399 A , E s.; 407 D 7; 409 D 1; cfr. 428 C 7.
288 «C R A T IL O »

<ptoe) può avere solo un valore lim ita to 12; ciò che di essa soprav-
vive potrà dirlo solo chi si intende di «pu rificazion e», «sia esso
uno dei sacerdoti o uno dei sofisti» (397 A 1). Nella parte etimo-
logica Soer ate non rivela chi egli abbia in mente.
M a il lettore, in una precedente sezione, ha già avuto un accen-
no su come debba essere la persona a cui Socrate riconosce un
giudizio competente. Nella sua argomentazione a favore di una
giustezza delle parole esistente per natura, Socrate aveva ottenu-
to da Ermogene la approvazione sui seguenti punti: la parola (o
il nome, ovojjia) è uno strumento che serve a istruire e a distin-
guere la rea ltà 13; produttore di questo strumento è il «legislato-
re » ovvero « il costruttore delle parole»: un tipo estremamente
raro di artefice H; egli porta a termine il suo prodotto non osser-
vando altri prodotti simili, bensi osservando Veidos delia paro­
la 15; il giudizio sulla bontà dello strumento spetta, come avviene
anche in altre arti, alio specialista di quell’ arte che utilizza lo
strumento: cosi come il nocchiero dice se il costruttore delia na­
ve ha fornito un buon prodotto, chi si intende di domande e ri-
sposte dirà se il costruttore delia parola le ha costruiie corretta-
mente; questa persona competente è il «d ia lettico» (BiocXsxxt-
xóç), cui spetta, analogamente al nocchiero, addirittura il con-
trollo sul lavoro dell’ onomaturgo 16.
II dialettico, che viene qui presentato come ultima istanza per la
valutazione dei linguaggio, deve, in primo luogo, in quanto con-

12 Gaiser, Ñ am e u n d Sache..., pp. 49-53, prova in m odo convincente che il m otivo


delPentusiasmo non indica assolutamente una svalutazione completa dei rispettivo
contenuto, al contrario esso indica «che la specifica fondazione delia teoria presen-
tata m anca» (p. 53). Questo è di importanza decisiva per la comprensione dei Cra-
tilo. M a resta da osservare che il significato filosofico di quanto viene presentato
nella deform azione dovuta ali’entusiasmo, può variare notevolmente. N el com-
plesso delia filosofia platónica le etim ologie non hanno certo lo stesso peso posizio-
nale del discorso sulPEros, condotto in m odo «entusiástico», e delia sua psicologia
metafísica, contenuto nel Fedro. Le frequenti osservazioni ironiche inframmezzate
nel corso dei passo sulle etimologie sono un indizio del fatto che i due passi non so­
no di peso uguale. Nel discorso sulTEros non ci sono simili osservazioni ironiche.
13 388 B 13 - C 1: ôvojj,a apa QLSaaxaXixóv xí icrciv ôpyavov xaí Staxpmxóv xfjç
ouaíaç.
14 388 E 1, 4; 389 A 1-2: vo|i.oô£x?)ç e óvofJLaxoupyóç. È 8ri|j.Loupy¿0v cmavi.cóxaxoç èv
ocvôpámnç (A 2).
15 389 A 5 - 390 A 7; xò xou òvó|j.axoç eíòoç (390 A 5) ~ auxò èxeívo ô Laxtv ôvojia
(389 D 7).
16 390 B 1 - E 4; 390 C 10 s.: xòv âpcoxãv xaí à 7co*ptv&a0ai emaxá^ievov ctXko xt
cju xaXetç ri StaXexxtxóv; D 4-5: vo[xo6éxou ... imcjxáxr]v v/ovxoq BiaXexxtxòv àvSpa.
IL SAPERE SEGRETO DELL’ERACLITEO 289

sidera con attenzione Topera del costruttore di nomi, disporre,


alio stesso modo di questo, della conoscenza delle Idee (come
anche il nocchiero non potrebbe giudicare la qualitá di una na­
ve, se si volesse basare esclusivamente sulle navi disponibili, ma-
gari m olto mal costruite); in secondo luogo, in quanto compe­
tente utilizzatore dello strumento didascalico (SiSocaxocXixóv op-
^avov), deve essere capace di una vera BiSaaxocXíoc, e, in terzo
luogo, in quanto persona responsabile delPuso corretto delío
strumento che serve a distinguere P essere (opyavov Stocxpixtxóv
ouaíai;), deve intendersi anche della «distinzione delPessere» cui
si fa allusione in questo modo. II «d ia lettico», introdotto in m o­
do cosi poco appariscente, mostra allora tratti ben definiti, gli
stessi, del resto, del F e d ro . Anche in quel dialogo il dialettico, o
«filo s o fo » ( 91 X0 0 0 9 0 »;), e colui che, solo, si intende del vero «in -
segnamento», poiché conosce la giusta divisione e unificazione
(Siaíp£CíL<; e oway<úyr\) di ogni ámbito delP essere, in virtü della
sua conoscenza delle Idee.
Della giustezza delle parole, e dunque della qualitá del lavoro
del costruttore di parole, si tratta nella parte etimológica. Inter­
pretando le parole singolarmente prese, Socrate realizza a poste-
riori la sorveglianza sul prodotto, e svolge, perció, il compito
che egli stesso ha assegnato al dialettico. Comunque, la verifica
della giustezza delle parole avviene in uno stato di entusiasmo o
invasamento, quindi in m odo opposto alia dialettica. La presen-
tazione delle etimologie come discorso «entusiástico» rivela per-
ció che Socrate é, da un lato, il dialettico, poiché assume la fun-
zione di quest’ ultimo; dall’ altro, pero, non lo é, almeno fintan-
to che egli parla entusiásticamente. Perció egli indica altre per­
sone che potrebbero «p u rifica rlo » dalla minoritá entusiástica
(396 E s.). Questi altri, che vengono chiamati «sacerdoti o sofi-
sti», appaiono, qui, come competenti in una disciplina superio-
re, e, pertanto, anche se non ci sono veri e propri riferimenti alia
loro capacita di giudizio, sono, nella cornice della finzione del-
Pentusiasmo, Pesatto corrispettivo del dialettico 11.
Dunque, un’ istanza superiore viene introdotta in modo accen-

17 Si ricordi che giá una volta Socrate ha laseiato che il termine «s o fis ta » sostituis-
se queílo di dialettico: in 391 B C egli ha richiamato su questo termine l’ attenzione
di Ermogene, e questo poco dopo aver attribuito al dialettico ogni competenza (390
C D). — È anche l ’ opinione di Gaiser, Ñam e und Sache ..., p. 50, che la «purifica-
zion e» alluda al dialettico.
290 «C R A T ILO »

tuatamente opaco e svagato; ma è essenziale per il dialogo che


esista una tale istanza.
Resta poco chiaro perché Ermogene, al momento dell’ introdu-
zione del concetto di «d ia lettico», ammetta súbito che il fruitore
e giudice dei prodotti del costruttore di parole debba essere una
persona competente (¿7Ucrrá[xevoç, 390 C 6 ), analogamente al
nocchiero che è caratterizzato da una competenza particolare.
Tutti, però, utilizziamo in egual mi sur a il linguaggio per «d o -
mande e risposte» (390 C 10); e, allora, perché si dovrebbe sele-
zionare un tipo particolare e attribuire a lui solo la competenza
che propriamente dovrebbe riguardare tutti? 18. II punto è asso-
lutamente centrale per l ’ argomentazione, perché se Ermogene
riuscisse a convincere che tutti i fruitori della lingua, in quanto
fruitori, sono anche giudici competenti, allora sarebbero le g iti­
mate anche valutazioni diverse, e anche opposte, della giustezza
«n atu rale» delle parole, e, alia fine, rimarrebbe solo la giustezza
«con ven zion ale» delle parole, tesi da lui sostenuta. Platone indi­
ca, allora, un interlocutore che nel punto piü importante appro-
va senza difficoltà. Form alm ente Socrate raggiunge il suo sco-
po, secondo la ricerca in comune; contenutisticamente abbiamo
una categórica imposizione del conduttore del dialogo, che ot-
tiene Papprovazione dell’ interlocutore in un momento in cui
questi dovrebbe stare attento.
L a rinuncia, da parte di Socrate, ad una vera ricerca in comune
( ouÇtjxeTv) è definita in modo m olto piü chiaro nell’ ultima fase
del dialogo con Cratilo. Socrate introduce la dottrina delle Idee,
nella sua qualitá di strumento concettuale decisivo per la valuta-
zione della correttezza delle parole (è lo strumento concettuale
del dialettico), come se si trattasse di un «s o g n o » da lui fatto piü
volte (o eywye ixoXXáxtç ovetptovuto, 439 C 7). «S ogn a re» è attivi-
tà del singolo, «cercare insieme» è qualcos’ altro: il modo in cui
la cosa è stata introdotta vuole mostrare che la fondazione della
dottrina delle Idee non deve essere, qui, elaborata in comune 19.

18 É vero che i predicati «n on cattivo», «n on qualunque» e «assai raro » (390 D 8


s.; 389 A 2) sono stati riferiti ai creatori delle parole; tuttavia il ragionamento rende
inevitabile riferirli anche al dialettico, in quanto rappresentante della disciplina su-
periore — come Platone sólitamente ritiene che i dialettici siano la specie piü rara
di tutte.
Iy Giá Gaiser, Nam e und Sache ..., pp. 52 s., aveva interpretato in m odo analogo
questo passo.
IL SAPERE SEGRETO DELL'ERACLITEO 291

Socrate presenta la cosa, già conclusa, come un suo «s o g n o ».


Esattamente alio stesso m odo, però, Socrate si era già procurata
Papprovazione di Ermogene, nella prima parte del dialogo, su
afferm azioni collegate con la filosofia delle Idee, la cui portata
quest’ultimo non aveva certo compreso (389 A ss.). In sintonia
con questo si pone la valutazione riassuntiva del dialogo con Er­
mogene, che Socrate , implicitamente, fornisce all’ inizio del diar
logo con Cratilo. Egli ha sfiducia, dice qui, nella sua propria sa-
pienza (dunque, non nella sua propria e in quella Ermogene), e
si immagina la spaventosa possibilita di potersi essere ingannato
(non però lui insieme ad Ermogene); I’ intera questione deve,
perciò, essere riesaminata (428 D 1-8). Ció che Platone fa qui di­
re al conduttore del dialogo non è altro se non il fatto che il ri-
cercare in comune (auijjTelv) con Ermogene è stato privo dell’ es-
senziale contributo della comunanza dialettica, cioè del control-
lo reciproco20. M a Cratilo non è nemmeno capace di prendere
una sua posizione nei confronti del «s o g n o » di Socrate.

3. Socrate com e il dialettico (S locXsxzlxóç) . L a autentica esotéri­


ca del dialettico vince la pseudo-esoterica delVeracliteo

L a filosofia delle Idee e la dialettica si rivelano essere il confine


del dialogo, non elaborato in cooperazione, ma lasciato intende-
re da parte dell’ interlocutore piú esperto; tale confine svolge
un’ azione all’ interno del dialogo senza esserne il tem a21. Questo
rende necessaria una ripresa della domanda già evidenziata dalla
parte sulle etimologie (cfr. sopra, pp. 288 s.): è Socrate stesso il
dialettico, di cui egli parla come se fosse un altro?
Egli lo nega continuamente. Tuttavia, egli è in grado di indicare
come si dovrebbe esaminare se l ’essenza delle cose è riprodotta

20 Rientra qui anche la limitazione della comunanza della ricerca da parte di E r­


mogene stesso, che (a differenza di Cratilo) è cosciente dei propri limiti. Essendogli
stato nuovamente richiesto di partecipare alia ricerca, egli risponde certo non solo
con cortesia attica: «parteciperò alla ricerca, solo però fino al punto in cui me lo
consentir anno le mie capacité» (422 C 5). Socrate lo prega, come «un sorvegliante
intelligente» di controllare le sue etim ologie (414 E) — « lo farei volentieri» [scil. se
ne fossi in grado), risponde questi. In questo, come in altri passi (393 C 8 ; 413 D 7),
Socrate ammonisce che egli potrebbe anche barare.
21 Friediänder, Platon, II, p. 328, nota 27, parla di una «sottocorrente» del Crati­
lo «la quale viene indicata mediante i termini elSoç, SiaXejcuxôç, StaipE.atç, e alla fi­
ne oukò xô xaXôv».
292 «C R A T ÍLO »

correttamente nella loro denominazione: si dovrebbe, come pri­


ma cosa, «sco m p orre» (Sioapeîaôat) il mezzo della denominazio­
ne nei suoi elementi primi e classificarli; alio stesso m odo, però,
anche ció che deve essere riprodotto — le cose o la realtà (xa
TtpotyEJiaxa) — dovrebbe essere analizzato fin nelle sue ultime
parti costitutive, e solo cosi si potrebbe giudicare, confrontando
i due ambiti analizzati passo passo con precisa competenza (x&x-
vtxwç), la prestazione dell’ originario produttore dei nomi (424 B
- 425 B). Tuttavia, dopo aver formulato questo programma con
sicurezza e in un dis corso continuato (naturalmente non frutto
« d i ricerca com une»), Socrate cambia immediatamente direzio-
ne: egli non sarebbe capace di condurre l ’ indagine che si esige,
cioé la diairesi delle Idee e la dialettica dei P rin cip i22. Cosi an­
che in seguito dirá a Cratilo che la conoscenza del m odo giusto

22 424 C 5 - 425 B 6 , in particolare 425 A 6 ss.: rj^á? B&Í, eírc&p xtyyw.(h<; emaxr]-
aó|ji&0a cxOTtelaöai aüxá uávxa, ouxco oisXo[j.évou^, etxe xaxoc xpónov xá xt Tipwta
óvóf¿axoc xetxat xaí xa üaxE-pa úxz ¡arj, ouxgj 0eáa0cu\.. (B 5) xí oSv; au maxe.Ú£i<;
aauxco otó<; t ’ av eivat xaüxoc ouxto SiE.X¿a0ou; ¿yto fxev yáp-ou. — II testo non parla
di Idee, di dialettica o addirittura di Principi, ma risulta chiaro, comunque, che
questo e l ’ ambito inteso. Infatti, il compito di verificare «secondo le rególe dell’ar-
te » la correttezza delle parole é, senza dubbio, idéntico a quello attribuito al dialet-
tico in 388 B - 390 E; ma l ’ arte di quest’ ultimo appare, nel passo indicato, come di­
sciplina in certo qual m odo superiore alia conoscenza delle Idee deí creatore delle
parole (cfr. sopra, pp. 288 s.). L a diairesi delle cose qui richiesta (424 D 1 ss.) non é
altro che il «guardare alie Id e e » che, secondo 389 D ss., contraddistingue anche il
creatore delle parole. Le parole costruite «in m odo corretto» sarebbero strumenti
«atti a distinguere l ’essere» (388 C 1), in quanto poggerebbero sulla diairesi dialetti­
ca delle Idee. In 424 D 2 é accennato che la diairesi condurrebbe ai Principi, o «ele­
m enti», ultimi ( l ’espressione axoiyéiov é scelta per la sua analogia con le lettere). —
A proposito della terminología segnaliamo: Statpeat?, 424 B 7, BtatpitaGoct, 424 B
10; C 2; C 6 ; D 1; 425 B 1; C 4; 5. Oggetto delPanalisi sono x<&Tipoq^axa 424 E 4, e
in riferimento alia loro oúata 423 E 8 . — Socrate «é incapace» , secondo Friedlän-
der, Platon, II, p. 194, di fornire «quel coordinamento degli elementi linguistici
con quelli oggettivi e con le form e piü alte». II testo é diverso: Socrate crede di non
essere capace di operare la diairesi necessaria prim a della coordinazione dei due
ambiti fra loro (425 B 1: ouxto SieXopivou?, B 5: xaüxot ouxto SieXéaQai.). Poiché la
diairesi dei suoni é gia stata fornita (424 C 1-9), Socrate rifiuta, per quanto lo ri-
guarda, di fare una precisa diairesi dell’essere. Pariendo dalPimpossibilitá oggetti-
va di quella «coordin azione», cioé di una lingua ideale fondata ontologicamente,
non si deve pero, secondo Friedländer, in nessun caso concludere «che Platone ri-
nunci al sistema delle form e delPessere» {ibidem). (Sul rifiuto di una lingua ideale
cfr. Gaiser, N am e und Sache..., pp. 79 s., e Guthrie, A H istory..., V [The Later
P la to and the Academy, 1978], p. 31). — Purtroppo non posso concordare neppu-
re con Pinterpretazione di 425 B C proposta da Gaiser: invece dell’ «incapacita» di
Socrate di fare una diairesi delle Idee, egli parla della verifica della coordinazione
degli ambiti come di un compito che «com e Socrate rileva, supera la possibilitá co-
noscitiva che é propria dell’ uomo (425 B C )» (pp. 82 s.).
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 293

di riconoscere gli esseri (ovxa) — e con questo, come si dimostre-


rà súbito dopo, egli intende la conoscenza delle Idee — è qualco-
sa che va ben oltre le capacità proprie e di C ra tilo 23.
È ironico (sípcov), tuttavia, chi sminuisce le proprie capacità
quando ne parla. L ’ ignoranza deU’ ironico va intesa come una
parte della strategia del dialogo del dialettico, come strategia di
colui che sa il vero (zihòç xò àXrjGáç).
Se dovessimo credere alPultimo passo indicato, le capacità di
Cratilo e quelle di Socrate sarebbero piü o meno uguali; nel sen-
so negativo, comunque, per cui a entrambi manca in egual misu-
ra quella conoscenza decisiva per poter rivolgere i problemi che
affiorano. Socrate, spostando la soluzione ad una conoscenza
superiore, non raggiungibile, non fa, sul piano della tattica del
dialogo, niente di diverso da quanto aveva fatto poco prima
Cratilo: anche questi aveva spostato ad una piü alta istanza il
problema della correttezza delle parole: «Pen só, Socrate, che la
spiegazione piü adeguata di questo problema sia che una forza
piü che umana abbia dato alie cose le prime denominazioni, in
m odo tale che esse sono necessariamente giuste» 24.
Pero, il rifarsi ad un’ attivitá divina di porre i nomi in preceden-
za era giá stato giudicato come mera «scappatoia» di chi non
vuole render conto delle proprie concezioni25. Che m otivo ab-
biamo per vedere nel richiamo socrático ad una conoscenza «su ­
periore», che alio stesso m odo risulta irraggiungibile, se non al-
Tuomo in generale, almeno a quello qui presente, qualcosa di
diverso da un’ ulteriore scappatoia? Anche Socrate è ben lonta-
no dal render conto del fatto che una dialettica, come quella a
cui si mira, potrebbe davvero fare ció che egli le affida. Qual é,
perció, l ’intenzione di Platone, se egli lascia che i due interlocu-
tori facciano la stessa cosa?
Dobbiam o intendere, almeno cosi sembra, che non si tratta del-

23 439 B 4-5: ovxiva }j¿v xoívuv xpóitov SeI [xavGávetv r] tupíam v xà ovxa, ¡x&iÇov
ujtúç èaxív ?) xat ai. Che gÜ ovxa (cfr. 440 B 6 i'axt S i Uv exaaxov
t¿ ú v ov-rcov) siano le Idee, poiché le cose «flu e n ti» di Eraclito non «s o n o » affatto,
risulta chiaro a partiré da 439 C 6 ss.
24 4 3 8 C 1-4: ol^oci ¡¿èv l y à t ò v àXrjôéaTaTov Àóyov ntpi t o ó t o j v dvcti, co Súxpoc-
T E .Ç , [itít.iú T t v á o ú v o c ¡ j . i v E i v o u T, (xvGpoiTieíav Q e j j í v T jV xa 7ip¿jxa òvójxaxa xoíç

npáyixaaiv, xe à v a y x a lo v eivai auxà ¿pGõjç v/ziv. — C on sid eran d o i paralleli in


4 22 C 5 il term in e 8úvotfjuç p otreb b e essere tra d o tto an ch e c o n « ca p a cità » .
25 425 D 3 - 426 A 3, in particolare A 2: ex8úc£lç ... xaí [íáXa. xo[a.cj;ai x¿¡3 [xr] é9é-
Xovxt Xó^ov Si8óvai.
294 «C R A T ILO »

la stessa cosa. Dietro la stessa tattica occorre vedere il diverso


sfondo, o meglio: la povertà completa dello pseudo-esoterico e
la ricchezza di conoscenze su cui si appoggia il dialettico senza
dispiegarla in tutta la sua estensione.
Proprio a causa di questa opposizione già alPinizio del dialogo
Cratilo era stato caratterizzato corne pseudo-esoterico26. Il m o­
tivo viene ampliato alPinizio délia parte a lui dedicata. Cratilo
afferm a, dandosi delle arie, che le cose importanti di cui egli si
occupa non possono essere né imparate né insegnate in breve
tempo, e la preghiera di Socrate di prenderlo come allievo viene
accolta con un indulgente « f o r s e » 27. In queste afferm azioni Tú­
nica cosa ridicola è il fatto che esse provengono dalla persona
sbagliata; considérate separatamente da Cratilo esse indicano
qualcosa di m olto importante: la lunga durata délia formazione
del dialettico e la necessaria cautela nella scelta dei candidati so­
no temi su cui Socrate nella Repubblica puô soffermarsi a lun-
g o 28. Comunque, la dialettica, lodata in quella sede, è un proce-
dimento filosofico e una teoría filosófica che permette di com­
prendere le cose a partiré dalle loro cause; invece, Pincapacitá
delPeraclitismo (di cui Cratilo, alla fine del dialogo, 440 E, si di-
chiara rappresentante) di daré una spiegazione seria delle cause,
è stata già presa in giro nella parte etimológica centrale29.
L ’ opposizione tra Passenza di uno sfondo di Cratilo e il fondo
garantito a cui attinge il dialettico caratterizza ed impronta il
dialogo in tutte le sue parti. Socrate mostra che è in grado di fa-
re ció che Cratilo pretende, a parole, di saper fare: egli convince
Ermogene della correttezza delle tesi di Cratilo (cfr. 390 E s. con
384 A ). Cratilo aveva agito, come se avesse qualcosa di meglio
in pronto con cui convincere l ’ avversario; Socrate ha invece

26 Cfr. sopra, pp. 283 s.


27 427 E 5-7; 428 B 7-8 (nella frase seguente, con nostra sorpresa, Platone lascia
intuiré a Cratilo come effettivamente stiano le cose circa la sua presupposta supe-
rioritá — pero alio stesso tempo, con sottile ironia, gli fa abbandonare l ’intuizione
corretta , in quanto Cratilo vede se stesso nel ruolo di Achille e Socrate in quello di
Aiace: 428 C 1-7).
28 412 D ss.; 502 Ess.; 537 Bss.
29 412 C 6 - 413 D 1: gli eraclitei non possono dire che cosa sia la «giustizia». — A
questo problema Socrate si dedica nella Repubblica. — Si osservi, anche qui, il to­
no beffardo circa l ’ atteggiamento «esoterico» degli eraclitei: óLa7r£Ta>a[iat ev
aTtopp^xoii;, 413 A 2; Sox¿ü xe fjSr] (¿axpóxepa xoü n;poar|xovxo<: ¿ptoxocv xai úrc&p xa
caxafxfjiéva aXXeaöat. íxavaii; yáp ¡ai cpaat TitroSaöai,, 413 A 7 - B 1 .
IL SAPERE SEGRETO DELL’ ERACLITEO 295

davvero pronto quel qualcosa: il suo sorprendente successo sú­


bito nella prima fase del discorso é il risultato del richiamo a
strumenti concettuali che stanno al di la della corrente teoria
della giustezza delle p a ro le 30. II «portare soccorso al discorso»
(¡3ori0e.lv ico Xóyco) dialettico, utilizzato qui a favore della teoria
di un altro, non per caso si realizza per mezzo di «cose di mag-
gior valo re» (-ui¡jiicí>T£pa).
Tuttavia, il «so cco rso » alia posizione di Cratilo, che viene di
nuovo ripetuto, secondo lo stesso procedimento, nella discussio-
ne di principio sulle condizioni di una possibile correttezza delle
parole (421 C - 427 D ) 31, lascia il posto, nell’ ultima parte del
dialogo, al confronto tra il vero e il falso dialettico32. Socrate
raggiunge senza sforzo quello che Ermogene non ha raggiunto:
Cratilo deve mettersi a colloquiare33, e in breve viene confutato.
Egli deve ammettere che esistono anche parole («n o m i») non
giuste o parzialmente giuste e che nella comprensione ottenuta
utilizzando parole di diversa giustezza la convenzione (auvGrjxr))
svolge un ruolo im portante34. Egli, inoltre, deve ammettere che
la conoscenza dei significati delle parole non consente ancora la
conoscenza delle cose stesse e che esiste una conoscenza delle co­
se indipendente dall’osservazione delle parole correlate ad esse e
che é necessariamente precedente all’ osservazione stessa35. La
sua gradúale sconfitta mostra che non esiste il presunto mezzo
di convincere l ’ avversario all’ approvazione. II suo rifarsi all’ in-
fallibilitá di un’ attivitá divina del porre nomi risulta una banale

30 A proposito della dottrina delle Idee e della dialettica in 388 B - 390 E, cfr. so­
pra, pp. 288 s.
31 A proposito del richiamo implícito al concetto di dialettica in 424 B - 425 B, cfr.
sopra, p. 292 e nota 22.
32 II possesso o la mancanza dei xL(xiwt£pa resta, naturalmente, la pietra di para-
gone; di qui le domande coincident! di Ermogene e di Socrate: ^x£l? 71Tl ãXXr) xáX-
Xiov Xéyetv; e £i ¡xívioi zytiç ti au xáXXtov toútgjv Xé^eiv, 427 E 2 e 428 B 1 .
33 È vero che Ermogene carpisce a Cratilo (427 E) la prima asserzione dopo il suo
eí cot SoxeT in 383 A 3, ma si tratta, come è caratteristico, di una risposta di rifiuto.
Socrate conquista Cratilo al dialogo per mezzo di due cose: attraverso le etimologie
egli ha dimostrato le sue capacità, e, cosi facendo, anche la sua dignitá di imparare
da Cratilo, e, in secondo luogo, anch’ egli dimostra interesse a diventare «a llie v o »
del maestro. Anche qui, dietro la canzonatura, si riconoscono i tratti della SiSaaxa-
Xía filosófica, in senso platonico: essa si rivolge alia c[>ux?l 7ipoar)xouaoc, che deve
portare con sé, oltre alia disposizione intellettuale, anche la disponibilitá ad affi-
darsi alia guida delPesperto dialettico.
34 431 E - 433 B contro 429 C 3-4. è'0oç ~ auvó^XTi, 434 E s.
35 438 E - 439 B contro 436 A ; 436 C D.
296 «C R A T IL O »

«s c a p p a to ia »36: Cratilo non possiede alcune «cose di maggior


va lo re» (/afjitcÓTepa). Socrate, invece, rimanda, ancora una volta
con forza alia fine del dialogo, a quella cosa migliore che gli ga-
rantisce la superioritá: la conoscenza delle Idee. Se anche questo
suo «s o g n o » fosse, come « l ’attivitá divina del porre n om i» di
Cratilo, una semplice chimera, Pesito del dialogo sarebbe, aho­
ra, semplicemente questo: che una scappatoia ha schiacciato
Paltra. M a qui diventa rilevante il sapere che, per capire Paffer-
mazione, va tenuta presente anche la form a del dialogo. Poiché
la dottrina delle Idee e il concetto di dialettica che vi sta dietro
non vengono fondati in questa sede 37> la garanzia del fatto che
il rendere conto di Socrate circa lo sfondo del proprio pensiero,
che da la misura a quanto dice, non é né inventato, né sognato,
né vagamente proiettato — la garanzia, quindi, che Socrate é, di
fatto, concretamente, il dialettico che riunisce in sé il sapere e le
capacita che egli nega di possedere — é data dalla espressione
drammaturgica della concezione di figure opposte, Socrate -
Cratilo, mantenuta in m odo conseguente.
L ’ «a z io n e » del dialogo consiste, perció, nello smascheramento
dello pseudo-esoterico eraclitizzante e nelPindicazione dei suoi
limiti da parte del vero esoterico, che puó ricorrere alia dialetti­
ca e alia diairesi delle Idee, ma che vi ricorre solo sotto form a di
allusione dal di fuori e fórmale, perché sviluppare tali contenuti
di fronte a questi destinatari sarebbe andaré oltre lo scopo pre-
fissato (úrcep toc esxa^ivoc áXXeaOoa)3S.
Cosi il dialogo si conclude, come si conviene, con un ulteriore ri-
chiamo alia scorretta posizione pseudo-esoterica del protagoni­
sta: se Cratilo in futuro trovera la veritá, dovrá lasciare che

36 A proposito di 425 D ss. e 438 C, cfr. sopra, p. 293.


37 Cfr. sopra, pp. 288-293.
38 Socrate usa quest’ espressione («andare oltre lo scopo prefissato») nella sua bef-
fa degli eraclitei (cfr. il testo sopra, p. 294, nota 29). Questo passo, subito dopo la
metà dei dialogo, è strettamente colîegato alla situazione della fine. N on tocca ai
vacui arroganti, che usano chiamarsi eraclitei, il porre i limiti. In 396 E - 397 A So­
crate promette per il giorno «seguente» una «purificazion e» dalla sapienza delle
etimologie, di cui sarebbe capace «u no dei sacerdoti o uno dei sofisti». Poiché, pe-
rò, risulta chiaro che, per fare questo, in ultima analisi può essere competente sol-
tanto il dialettico, e poiché Socrate in 437 A comincia perfino a correggere le etimo­
logie (e quindi a «p u rificarsi»), risulta sufficientemente chiaro 1’ accenno al fatto
ehe Socrate rappresenta la figura dei dialettico.
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 297

Socrate ne partecipi39. Con la riluttanza di Cratilo a far parteci-


pe Ermogene della sua sapienza aveva avuto inizio tutta la di-
scussione.

39 440 D 5-6: crxEcjjá|ji.Evov Sé, éáv £opr)¡;, [/.eTaSiSóvai xaí £[¿ot . Cratilo, da parte
sua, non chiede una comunicazione, bensi chiede a Socrate solamente di considera­
re ancora un p o ’ la cosa (440 E 6-7). L ’ ironia derivante dalPinversione dei ruoli ri-
mane, cosi, fino alPultima riga.
XVI. «Apologia» - «Critone» - «Fedone»
La difesa a tre livelli

1. C ’è una difesa di Socrate «n e lp r o p r io interesse»?

«S on o m olto lontano dal difendermi per il mio interesse» dice


Socrate nell’A p o lo g ia (30 D ) ai suoi giudici. Se è proprio della
essenza di una difesa davanti ai giudici il fatto che 1’ imputato
salvaguardi il proprio interesse, allora, di fronte a questa frase
provocatoria, dobbiamo dire che « i l discorso di difesa di Socra­
te » non è affatto un discorso di difesa. M a questo porta a chie-
dersi, allora, dove, se mai, si trovi una vera difesa di Socrate.
In un senso piü ampio l ’intera opera di Platone può essere intesa
come una giustificazione dei suo maestro. Anche in passi ben
noti dei dialoghi successivi, come nel mito della caverna o alia
fine dei Teeteto, il processo di Socrate viene menzionato o ri-
chiamato alia memoria mediante chiare allusioni *. Tuttavia due
dialoghi si distinguono dagli altri per il fatto che si collocano
non solo per gli argomenti e le idee, di cui Socrate è sostenitore,
nel contesto piü ampio di una «cura deiran im a» (ETUjiáXe-ioc -críç
4 >UX^ÍÇ) salutare anche politicamente, bensi assumono come loro
oggetto il com portam ento di Socrate nel contesto della sua dife­
sa. Come ndV A p olog ia , cosi anche nel Critone e nel Fedone si
tratta della morte volontaria del filosofo: davanti ai giudici, nel-
VA p olog ia , Socrate deve far capire come mai egli non cerchi ad
ogni costo di ottenere l ’assoluzione; davanti al vecchio amico
Critone, nel dialogo omonimo, deve far capire perché non vuole
correggere su sua responsabilitá la decisione dei giudici, e da­
vanti a un gruppo di giovani filosofi, nel Fedone, deve far capire
perché egli si rifiuta di considerare la morte come un male. E

1 Repubblica, 517 A ; Teeteto, 210 D; cfr. P o lítico , 299 B C. Tra i primi dialoghi è
soprattutto il Gorgia, con le sue numeróse allusioni al processo a Socrate e con la
sua prova che Socrate soltanto è il vero político (521 C - 522 B), che svolge la fun-
zione di un’ apologia; cfr. anche 1’episodio di An ito in M enone, 89 E - 95 A .
LA DIFESA A TRE LIVELLI 299

mentre i discorsi fatti davanti ai giudici dello Stato si chiamano


«d ife s a », anche i ragionamenti fatti in prigione e nella camera
ove Socrate sta morendo assumono la stessa denominazione: nel
C ritone Socrate fa parlare per loro stesse le leggi di Atene, ed es­
se gli o f f roño argomenti con cui egli potrá difendersi nell’aldilá
dai governatori di quel p o s to 2; nel Fedone vuol fare intendere i
m otivi della fiducia che non si frantuma davanti alia morte, co­
me se stesse pronunciando una « difesa» davanti ai suoi amici,
come se fossero un tribunale, e che spera risulti piú convincente
dell’ apologia davanti ai giu dici3. Dunque, Platone fa pronun­
ciare al suo Socrate per tre volte una «d ife sa ». Non c ’ é dubbio
che egli alluda con questo m otivo — che concretamente è giusti-
ficato solo nella A p o lo g ia — ad una stretta comunanza tematica
di queste tre op ere4. Con questa osservazione, comunque, la
nostra domanda iniziale, dove si trovi, dunque, la vera difesa
che Socrate pronuncia nel suo interesse («úuep e^aoxoü»), ottie-
ne solo un inquadramento e non ancora una risposta.
Cerchiamo, come sempre, l’ immagine del dialettico. M a, il dia-
lettico come colui che sa e che possiede il vero (etôcbç f\ xò àXr)0 èç
può seriamente decidere, quasi in ultima istanza, di difen­
dersi «n el proprio interesse», finché non esistono, per far lo, le
condizioni che sono richieste dalla comunicazione filosófica?
Poiché i principi platonici del rapporto con i Xóyot lo escludono
con certezza, la ricerca della vera «d ife s a » dovrá badare soprat-
tutto a come sono tratteggiate le condizioni per il dialogo nelle
tre difese; ma, con questo, non si potrá escludere, fin daü’ini-

2 54 B 4-5: Iva d<; ''AlSou ¿X0¿>v txXlí Tíávxa xauxa a 7raXoyiícraa0a[. toT; exet ap-
X o u a iv .
3 63 B 1-2: xp^l (¿z itpoc; xaüxa á 7CoXoyr¡aacr0at ÓSarcep ev 8 ixacrc7)pícü. 63 D 2: aTio-
Xoyía. 63 E 8 : áXX’ újJÁv Sí] toÍ£ 8 ixaaTaí<; (EoúXo¡j.ai xóv Xóyov áuoSoüvai. 69 E
3-5: el' t i o5v ú|atv 7ti 0av<¿T£pói; el¡j,i év ir\ aTroXoyía r] xol<; ’AGrjvaíojv Bixaaxac<;, eu
av e'xoi.
4 La trattazione comune di A p o lo g ía , C ritone e Fedone non ha niente a che vedere
con I’unione di E utifrone, A p o log ía , C ritone e Fedone in una «tetralogía» nella
trasmissione del testo. L ’ immaginaria successione temporale delle situazioni narra-
te ha costituito, evidentemente, Pelemento unificante di que! raggruppamento; ma,
oltre a questi dialoghi, si dovrebbero aggiungere il Teeteto (cfr. Teeteto, 210 D ), e,
di conseguenza, I’intera trilogía, correlata anche dal punto di vista temporale, co-
stituita da Teeteto - Sofista - P o lític o , formando cosi, insieme alie opere considera-
te, una nuova «eb d om ad e» unitaria. I tratti comuni delle tre «d ife s e » sono, invece,
di carattere insieme contenutistico e strutturale.
300 «A P O L O G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»

zio, che Socrate possa pronunciare la difesa sempre «p e r gli al-


tr i» e mai anche «p e r se stesso».

2. L a « sapienza di S ocra te» e il suo rapporto con la veritá

Come punto di partenza puó servire la domanda su quale sia il


tipo di sapere e di capacita che gli altri, avversari ed amici, attri-
buiscono a Socrate, e quale sia, invece, il tipo di sapere che egli
attribuisce a se stesso. Tutti riconoscono, unánimemente, che
Socrate é un «sapien te» (aocpos): il D io deifico come i diffam ato-
ri e gli accusatori ateniesi, i seguaci dell’accusato come anche
l ’ accusato stesso. M a mentre il D io deifico non aveva detto che
cosa intendesse, parlando della sapienza di Socrate5, e mentre
Socrate fa di tutto per sapere il senso del giudizio dato dall’ ora-
colo di D elfi, gli avversari credono di sapere con esattezza di che
tipo di sapienza si tratti. Essi attribuiscono a Socrate la dubbia
sapienza dello studio della natura degli Ionici e quella del movi-
mentó sofistico6. Tuttavia, nel senso di tali pretese di conoscen-
za, Socrate non sa «n u lla ». Egli non ha assolutamente niente a
che fare con lo studio della natura; desidererebbe, invece, cono-
scere la «tech n e» della «virtü dell’uomo e del cittadino»; sa, tut­
tavia, di non possederla7. Invece é certo che il D io ha pronun-
ciato la veritá a proposito della sua sapienza, non superabile da
nessuno, e perció egli prudentemente la indica, con una perifra-
si, come «sapienza um ana» (áv 0 pa)7iívr) aocpía) in cui, come dice
lui stesso, egli «sembra effettivamente sap ien te»8. Con la mode­
stia delPeletto da D io, egli, poi, relativizza la propria sapienza:
solo D io é sapiente, la «sapienza umana» ha un valore relativo,
se non addirittura nessun v a lo re 9.
M a, questa non é, ovviamente, l ’ultima parola, come, del resto,
dalla modestia dell’ eletto da D io non ci si potrebbe aspettare al-
tro. La «sapienza um ana», il cui nocciolo é la coscienza del pro-
prio non sapere, si trasforma direttamente nelPesame socrático

5 A p o lo g ía , 21 B 3: t í iz o t e X í y t i ó 0eó<;, xaí t í t i o t e a!vÍTTeTO tt;


6 A p o log ía , 19 B, D, E; 26 D.
7 A p o log ía , 19 C; 20 B C.
8 T}7TEp egtiv t'ooii; ávQpcomvT) aocpta- x€> ovtl yap xtvSuveúcü xaÚT-qv EÍvai a o < p ó 20
D 8 ; cfr. 23 A 7; í ’ oracolo di D elfi 21 Á 6 ; la fiducia di Socrate nella sua veritá 21 B
6.
9 A p o log ía , 23 A 5-7.
L A DIFESA A TRE LIVELLI 301

delle altre pretese di conoscenza, che per l ’esaminando è preoc-


cupazione per la propria anima, ma che per Socrate è servizio
divino 10. Socrate chiama, senza preamboli, questo servizio, non
richiesto dagli Ateniesi, alla loro salvezza su comando del Dio,
la più grande benedizione e il maggior bene per la città 11. In fin
dei conti, il «m aggior Bene» per ognuno puô essere solo Veudai-
m onia; e già nelPironico chiamar felici quei sofisti che (apparen-
temente) posseggono la techne dell’areté era stato accennato al
fatto che essa è legata aIV areté12. Naturalmente, Pintenzione di
chiamarsi felice è m olto lontana dall’ eletto da D io, che, come
nessun altro, è esposto alPinvidia e alia diffam azione. Tuttavia,
suona come una lieve form a di chiamar felice la costatazione di
Socrate, quale risultato dell’ esame dei suoi concittadini, secon-
do la quale egli non vorrebbe far cambio con nessuno, poiché
solo la sua condizione rispetto alla saggezza e al non sapere «ser­
v e » veramente 13. Può Socrate, allora, procurare agli Ateniesi
Vareté che porta Yeudaim onial Di fatto, la virtù non si può pro­
curare o «insegnare» direitamente; il «servizio d ivin o» si com­
pie piuttosto con un «ris ve g lio » che può dare frutti solo con la
collaborazione del singolo che si préoccupa per la sua anima 14.
N on si può, comunque, dubitare che Pinsistenza di Socrate a
preoccuparsi delPapexri tocchi la base di ogni umano tendere al
Bene di qualunque t ip o 15, e, quindi, anche della tendenza al Be­
ne compiuto, BlVeudaimonia. N on può perciò stupire che, no-
nostante la modestia dell’ eletto, venga detto una volta che lui
solo procura agli Ateniesi non Papparenza áeWeudaimonia,
bensi proprio quest’ u ltim a16. L a «sapien za» che Socrate stesso
si attribuisce è certo un nulla davanti a Dio e non è concepita,
per gli uomini, come «d o ttrin a » con garanzie di successo. So­
crate, nondimeno, è distinto grazie ad un «sa p ere» che porta al-
Vareté e alPeudaimonia delPuomo.
II possessore di un tale sapere è, però, a tal punto al di sopra del-

10 Origine deiYelenchos dalla preoccupazione di comprendere l ’ oracolo: A p o lo ­


gia, 21 B ss. ; «servizio d iv in o » e «cura dell’ anima», 23 C I ; 29 D E; 30 A 6 .
11 A p ologia , 30 A ; 38 A ; 36 C.
12 A p o log ia , 20 B C.
13 22 E; coscienza della sua elezione, 23 A B; accenno all’invidia, 28 A B.
14 Risveglio, 30 D 5-7; nessuna «d o ttrin a », 33 A B.
15 A p ologia , 29 D - 30 B.
16 36 D 9: ó ¡xèv yàp úfjiãç írota eoSaífiovaç 8 oxe.lv eivai, iy o i Sé eívat.
302 «A P O L O G IA » - «CRITO N E» - «FEDONE»

la massa degli uomini, che può osare, di fronte alia competenza


di ucciderlo che deriva loro dalla legge, non riconoscere loro,
apertamente, quella competenza nel valutare il suo sapere: per-
fino se essi lo lasciassero libero con l ’impegno di non trasforma-
re piii in indagine filosofica il suo sapere di non sapere, egli con-
tinuerebbe a sostenere che in questo consiste il maggior bene per
la città, e proseguirebbe a farlo n .
N el C ritone si tratta, fin dalPinizio, della competenza nel giudi-
care il comportamento che la filosofía esige. Í 1 vecchio amico di
Socrate, Critone, ritiene decisivo preoccuparsi anche dell’ opi-
nione della maggioranza; l ’ esito del processo dimostrerebbe che
la folla è proprio nella condizione di arrecare i danni maggiori.
Se potesse d a w ero far questo, ribatte Socrate, andrebbe bene;
perché, allora, essa potrebbe anche arrecare il Bene maggiore,
cioé «rendere assennati» (44 D 1-10).
L ’interpretazione platónica della figura di Socrate si collega,
qui, chiaramente sdVA p ologia . Se il Bene maggiore consiste nel
rendere assennati e l ’ interrogare socrático è il bene piü grosso
per Atene mandato dal D io 18, allora non si potrá in nessun m o­
do non riconoscere a Socrate, benché egli non se la attribuisca
mai direitamente, questa capacitá del «rendere assennati» ( 9 pó-
vifxov Troirjaou).
Ció è mostrato con crescente chiarezza nello sviluppo successivo
del tema della competenza del giudizio. Socrate parte dalla con­
sueta analogia della «tech n e»: come per ció che attiene alia gin-
nastica, si deve seguire solo il medico e istruttore, e si possono
quindi accantonare con sicurezza le opinioni di tutti gli altri, co­
si anche per la domanda sul giusto e Pingiusto, sul Bene e sul
M ale, si deve ascoltare solo la persona competente, solo ció che
quest’ «u n o e la veritá stessa» dicono, se esiste una tale persona
competente 19. M a esiste? L a comprensione del non sapere so­
crático, inteso come grado preliminare del sapere positivo «suc­
cessivo» del dialettico platonico, che tenga conto della storia
evolutiva, potrebbe indurre ad una scorretta risposta negativa.
Tuttavia, invece di aspettare che Platone ci presentí un Socrate

17 29 C ss..
18 Cfr. sopra, p. 311, nota 11.
19 47 A - 48 A . ó eIç xat autrj r) áXr¡0£ia 48 a 6 . ... xoü ¿vóç, el'tíç ecmv ircocícov, 47
D 1.
LA DIFESA A TRE LIVELL1 303

che dichiari formalmente di essere un competente (E7taíojv), e in-


vece di negargli questa qualitá in mancanza di questa dichiara-
zione, dovremmo fare piü attenzione al ritratto che Platone f o r -
nisce del protagonista del dialogo.
Socrate liquida velocemente gli argomenti proposti da Critone a
sostegno della fuga dal carcere come argomenti della folla (48
C) a cui non si deve prestare attenzione, come appena conferma-
to. L a lotta sulle competenze dei m olti e del singolo é imperso-
nata, cosi, in entrambe le figure del dialogo. Critone, pero, si di­
stingue dalla folla per il fatto che egli dimostra per Socrate una
simpatía senza riserve e, inoltre, deve prendere personalmente
posizione da solo, come única persona, di fronte alie domande
penetranti deiram ico, mentre i cinquecento giudici, in quanto
corporazione, hanno potuto sottrarsi all’ appello di chi li ammo-
niva. N e consegue che Socrate accorda all’ amico anche il diritto
di controbattere e assicura che egli eventualmente ne térra conto
(48 E 1). Degno di nota é il contrasto all’ annuncio dell’ insubor-
dinazione nei confronti di un divieto di esercitare la professione
da parte dei giudici nell’A p olog ía . M a cosi come non ci si pote-
vano aspettare, da parte dei giudici, controargomentazioni im-
portanti e oggettive, nello stesso modo Critone risulta capace di
far uso del suo diritto di controbattere; e questo in notevole con­
trasto con il Fedone, la cui struttura é determinata dalle ripetute
obiezioni degli interlocutori. Socrate é, come prima e cosi anche
ora nella nuova posizione, colui che segue solo il logos che, alia
sua riflessione, appare essere il migliore (46 B). Critone non puó
opporre nulla alio sviluppo di questo logos (che non fa altro se
non confermare lo g o i precedenti dello stesso ten ore20); e cosi,
alia fine del dialogo, gli amici seguono insieme il logos piü con­
vincente e rinunciano al pensiero di una fuga; il che non signifi­
ca altro se non che ora Critone ascolta « l 5uno e la veritá stessa»,
il suo vecchio amico che non é altri se non quel competente
(¿iratcov) che si stava cercando e la cui guida coincide con quella
del D i o 21.
N el Fedone i ruoli principal!, accanto a quello di Socrate, sono
affidati a due uomini piü giovani che il lettore del C ritone cono-

20 C fr., in proposito sotto, pp. 319 ss.


21 K aí Tipáxxoj^e-v Taúrrj, ¿its.i&ri xaóxiQ ó 8eó? úcpTiyEtxai, 54 E 1 . Anche nell’/lpo-
logia, 1 9 A ;3 5 D ;4 0 A ;4 1 D , Socrate si aspettava e sentivala guida divina.
304 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»

sce giá: Simmia é venuto apposta da Tebe con dei soldi per por­
tar via Socrate dalla prigione, e anche Cebete, il suo conterrá­
neo, é pronto a pagare per lo stesso m otivo ( C riton e, 45 B 3-5).
Tuttavia, il piano della fuga viene poi discusso senza la loro col-
laborazione con il solo Critone; Platone si é riservato le figure
dei giovani tebani per una «d ife s a » di Socrate piü impegnativa.
Diversamente da Critone, essi sí contraddistinguono per la par-
ticolare propensione alia critica e al dubbio. Cebete cerca sem-
pre controargomentazioni e non é súbito pronto a lasciarsi con-
vincere (.Fedone, 63 A ). Questo costituisce, soprattutto in bocca
a Socrate, un’ alta lode; Pamico Simmia lo chiama «P u o m o piü
saldo» nel non voler accettare m o tiv i22. L o stesso Simmia eleva
la scepsi a programma; per lui é debolezza intellettuale il rinun-
ciare prima del tempo ad un esame critico (85 C).
Uom ini che sono tanto vincolati a domande indagatrici devono
sembrare p rim a fa cie persone spiritualmente affini a Socrate, e
in una certa misura alia pari con lui. II lettore si aspetta che la
«d ife s a » di fronte a questi «giu d ici » 23 debba diventare senz’ al-
tro difficile, se non addirittura senza speranza.
Platone ha fatto rientrare nel dialogo questa attesa del lettore.
D opo aver fatto si che Simmia e Cebete portino argomenti con-
sistenti contro le prime dimostrazioni delPimmortalitá delPani­
ma e che venga danneggiata la fiducia degli ascoltatori, Platone
inscena un’ interruzione del dialogo narrato: Echecrate, l’ ascol-
tatore del resoconto di Fedone, noto perché facente parte del
racconto-cornice, prende la parola e formula, prendendo il po­
sto del supposto ascoltatore o lettore del libro, la terribile do-
manda, se Socrate sia stato in grado di «portare soccorso» in
m odo adeguato nei confronti di una critica cosi insólitamente
impressionante24.
II lettore odierno é, rispetto al contemporáneo di Platone, mag-
giormente in grado di valutare giustamente la reazione delPa-
scoltatore, integrata nel dialogo. Tenendo presente Pimmagine,
che presenta il Fedro, del rapporto del dialettico con i Xóyot, egli
non considererá la paura di Echecrate come la reazione semplice-

22 K a p T £ p c ó r a 'ü O £ ávO pcóltcov itrrív rcpó? to ámcrteív -roT<j Xóyois, 77 A 8 .


23 Cfr. sopra, p. 299, nota 3.
24 8 8 C 8 - E 3, in particolare D 8 ss.: 7tÓT&pov . . . ^ p a o ^ ¿por(0st tw Xóyw; xai
ix o ív w s i[jor¡Qr¡CE.\> £vSe¿ci<;;
L A DIFESA A TRE LIVELLI 305

mente adeguata e conseguente, bensi come adeguata solo per co-


lui che non sa che cosa costituisca il dialettico; egli parteciperà al­
la dolorosa incertezza del non-iniziato non tanto provandola egli
pure interiormente, quanto, piuttosto, godendone come osserva-
tore, giacché es sa è concepita solamente per l ’ effetto del suo scio-
glimento; ma, da parte di Socrate, chi conosce il Fedro non si
aspetterá altro se non proprio quel trionfale «so cco rso » che egli
procurera proprio al suo logos ap par entemente infranto.
Del contenuto di questo aiuto si dirà più sotto più diffusamente.
Prim a mi sembra opportuno fare alcune osservazioni circa il
m odo in cui Socrate solleva l ’ animo dei suoi ascoltatori.
Socrate valuta l ’ abbattimento degli astanti di fronte agli argo-
menti di Simmia e di Cebete come possibile inizio di un rifiuto
generale degli argomenti. Per prevenirlo, egli ne spiega agli ami-
ci l ’ origine: la «m is o lo g ia » ha inizio quando ci si addentra negK
argomenti in m odo non técnico e «n on secondo 1’ a r t e » 25. Chi
procede in questo m odo, dovrà sperimentare il fatto che un ar-
gomento, che un attimo prima gli sembrava vero, subito dopo
sembra non esserlo più, e, se ció gli è capitato più volte, egli si
convincerà, alla fine, che le cose stesse e anche gli argomenti che
le riguardano sono nell’insieme incoerenti e prive di valore. Il
danno che ne consegue è incommensurabile: spostando la colpa
dalla propria mancanza di competenza (àtexvia) nelPargomen-
tare all’ argomentare stesso ci si priva délia verità e délia cono-
scenza delle cose (89 D - 90 D ).
La situazione da cui trae origine il superiore ammaestramento
sui m otivi délia misologia pone oltre ogni dubbio il fatto che gli
ascoltatori del dialogo circa Timmortalità non posseggono Tarte
concernente i discorsi (rcepí t o ù ç Xóyouç Tanto erano
convinti da ció che era stato detto in precedenza, tanto risultano
ora resi insicuri dalle contro-argomentazioni degli amici tebani,
e non solo per quel momento, ma anche riguardo a ció che capi-
terà. Platone, perció, ha presentato prima come reazione indivi­
duale ció che egli, in seguito, lascia analizzare in generale da So­
crate 26. M a il filo so fo non solo è personalmente immune dalle
oscillazioni, dal TiáÔoç (89 C i l ) degli altri; rendendo gli altri

25 90 B 6-7: EJitiSáv xtç Ttiaxeuar] Xoyto xlvi àXr\6et eivou aveu rîjç Ttepï xoùç Xóyouç
TÍyynç,-
26 Questo è mostrato dal confronto di 88 C 1-7 con 90 B 6-9.
306 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»

consci di queste oscillazioni, oggettivandole, egli puó anche


«gu a rirli» da queste, come é detto in m odo caratteristico (89 A
5). In alíre parole: Socrate possiede appieno l ’arte concernente i
discorsi (7ce.pt xoü¡; Xó-youí x£xv7}). Come competente dei discorsi
Ttepí touí Xóyous) egli si rivela — come é richiesto da
un’ arte dei discorsi (Xóywv xe^vr]) fondata filosóficamente — in
due modi: per mezzo della conoscenza della veritá sulle cose di
cui egli tratta e per mezzo della conoscenza delle anime degli
ascoltatori e insieme dell’influsso che su di essi esercita secondo
le situazioni21. Platone non si accontenta di realizzare questo
nello svolgimento degli avvenimenti del dialogo, bensi — pro-
prio come se volesse confermare la coincidenza della sua «im m a-
gin e» del dialettico con la teoria della dialettica come retorica fi­
losófica — Iascia poi che Fedone, il relatore, sottolinei, separata-
mente, entrambi i p un ti28.
A prescindere dall’ atmosfera intellettuale, sostanzialmente di­
versa, la figura di Socrate svolge, nel Fedone, proprio la stessa
funzione che svolge nell’A p olog ía e nel Critone. Essa da corpo
alia persona competente dal cui giudizio dipende tutto, ossia «al-
l ’ uno e alia veritá stessa», come é detto nel C riton e. Sarebbe in­
genuo voler qui sostenere, al contrario, che tuttavia Socrate stes-
so separa la sua persona dalla «v e ritá » quando, nel noto passo,
ammonisce gli amici di preoccuparsi meno di lui e di piü della ve­
ritá (91 C). Infatti, il Socrate di cui si vogliono «prendere cura»
gli amici preoccupati é una figura ridotta alia misura di se stessi,
uno con cui si deve temere di discutere apertamente, perché la ve­
ritá potrebbe fargli m a le29. Di fatto non occorre che ci si preoc-

27 Cfr. Fedro, 271 D E ; 273 D E; cfr. sopra, pp. 73-100, in particolare pp. 99 s. —
A proposito dell’ espressione Tuept touç Xóyouç te x viKóç, cfr. la designazione dei co-
muni retori quali ot Tie.pi xouç Xóyouç 7tpoa7iotoú[XE.vot eivou, Fedro, 273
A 3.
28 Fedone, 89 A 1-7. A ll’ iníerpretazione storico-evolutiva resta, común que, aper­
ta la scappatoia dell’afferm azione che, qui, si trova «per caso» annesso quello che,
in se güito ad una riñessione teo retica «successiva», nel F ed ro , si era scoperto, con
sorpresa, essere necessariamente collegato.
29 L ’esitazione di Cebete e di Simmia nel criticare la fede nelPimmortalitá di So­
crate destinato alia morte (84 D 4-7) colloca effettivamente loro stessi al livello del­
la folla, come è accennato, senza asprezza ma anche senzapossibilitá di fraintendi-
mento, nella risposta di Socrate (84 D 8 - E 3). — Questo passo chiarisce anche che
la Tuepí Toúç Xóyouç xíyyr\ non manca solo alie altre persone presenti, ma anche ai
due che sono dubitanti e critici: essi non sanno quali «discorsi» sono adeguati, in
che momento essi vanno fatti e a quale interlocutore vanno rivolti. II fatto che nella
LA DIFESA A TRE L1VELLI 307

cupi, dunque, di questo Socrate, che potrebbe essere in conflitto


potenziale con la veritä. L a preoccupazione per la veritä sull’ a-
nima, porta, invece, di per sé anche alia scoperta del Socrate ve­
ro, delP«uno e della veritä stessa».
Se si é capita questa unitä di persona e di prestazione del dialetti-
co, non si trovera pin sorprendente il fatto che la ricerca della
veritä, nella sua fase decisiva, imbocchi la strada che passa da
un resoconto «au to b io gráfico » in apparenza solamente perso­
nale intorno alle esperienze30 di quelPuno che é Socrate. La
continuitä nello svelamento delPidentitä filosofica di quest’ uno
é evidente: mentre davanti alia folla di cinquecento giudici era
stata presentata solo una valutazione negativa della filosofía ió ­
nica della natura e, in particolare, di Anassagora ( A p olog ía , 19
B C; 23 D; 26 D ), le esperienze ricapitolate di fronte agli amici
portano, passando attraverso una intensa discussione, in part^-
colare ancora con Anassagora, ad un superamento costruttivo
delPistanza dei filo so fi della natura ( Fedone, 96 A - 100 A ), che
diventa il presupposto per la risposta alle domande sulla soprav-
vivenza delPanima. La via personale di quell’ uno che é Socrate é
la via della veritä 31. Quest’ uno non deve, perciö, temere di ca-
dere nelle abitudini del prepotente incolto che vuol avere sempre
ragione, se egli cerca di far approvare la propria concezione an­
che all’ interlocutore32. L a sua «con cezion e» e la descrizione di

loro valutazione sbagliata della situazione si manifesti anche un senso di umana de-
licatezza non muta la sostanza delle cose: si tratta di una valutazione sbagliata; chi
non conosce la veritá non conosce neppure « l ’ uno».
30 96 A 1-2: croí Stetjxt... xá yz ¿piá mx0T].
31 Le lunghe discussioni, íatte a partiré dal X I X secolo, sulPautenticitá socratica
e/o piatonica di questa «autobiografía intellettuale» (un buon compendio delle po-
sizioni fondamentali é offerto da Hackforth, P la to ’s Ph aed o..., pp. 127-130) sof-
frono del fatto che esse considerano questo passo isolatamente. Per contro, cerche-
remo, qui, di comprenderlo come parte del ruolo di Socrate nelPintero dialogo.
Questo ruolo é, pero, quello del dialettico che lascia libero gioco alia sua Tcept touc;
Xóyoo¡; lí'/ y t ]. N on stupisce, se si tiene presente lo sfondo della fondazione teoréti­
ca platónica del filosofare rivolto ad una persona (cioé «esoterico»), esposta nel
F ed ro, che la narrazione sia stata sentita come fortemente superpersonale (cosi Z el­
ler, D ie Philos, d. G riechen...., I I 15, p. 398, nota 1) ma anche come fortemente
personale (cosi Hackforth, P la to ’s Ph aed o..., p. 130, in contrasto con Zeller).
32 Si veda 102 D 5: Xáyco Sr| xouS’ evexa, [3ouXó^e.vo£ aoí ojisp l(j.oí in con­
fronto a 91 A 5, dove dei prepotenti é detto che 7rpo0uf¿oüvToa otiíúz « «uxot l'0evxo
xaíixa tol^ Ttapoüaiv. II tentativo, altrimenti dubbio, di autoaffermazione nel­
la discussione é sempre regolato in Socrate, e solo in lui, dalla considerazione della
cosa stessa.
308 «A P O LO G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»

essa sono Poggettivo trovare la verità. Egli è riconosciuto essere


Túnico che sappia render conto di sé e delle sue convinzioni33.
Questa capacité del dialettico è il fondamento su cui si basa il to­
tale capovolgimenti della situazione nella celia ove Socrate m o­
rirá: il condannato a morte, che avrebbe diritto ad un conforto
di chi gli sta vicino, diventa il loro consolatore34.

3. I I capovolgim ento della situazione: Socrate difende g li altri

Questo capovolgimento del senso della situazione che di volta in


volta ci viene presentata é, del resto, comune a tutte e tre le «di-
fese» e puó essere definito come la vera e propria azione che ca-
ratterizza questi drammi. Socrate «d ife n d e » sempre non certo se
stesso, bensi gli interlocutori dai loro rispettivi differenti errori e
debolezze.
N elP A p olog ia , alPinizio l ’imputato riconosce, si, che si deve di-
fendere (18 A ; 19 A ). M a la tattica poco ortodossa che egli uti-
lizza nel farlo è sempre stata causa di stupore35. A metá dell’ o-
pera si é addirittura giunti al punto che egli spiega ai giudici il
senso del suo procedere: ben lontano dal condurre la difesa nel

33 C fr. 76 B 11 (parla Simmia): cpoßoöpiai. |jlt) aupiov xiqvixáSe oijxétl fj atvöpwTWDv


oúSs-Íí; á£ítt>c oióg %i toüto Tioirjoat (se. Xó^ov 8 i8óvat).
34 Chiaramente nella scena conclusiva (in particolare 117 C-E), che é, pero, solo il
culmine di uno sviluppo che percorre Tintero dialogo. — A proposito del supera-
mento dello scetticismo degli interlocutori cfr. sopra, pp. 326 s.
35 M . Schanz ha sostenuto che YA pología non é la relazione del discorso storico di
difesa di Socrate, poiché esso non persegue seriamente lo scopo di una tale difesa,
ovvero l ’ assoluzione {Sammlung ausgewählter Dialoge Platos mit deutschem K o m ­
mentar, III: A pología, Leipzig 1893, pp. 71- 75). La conclusione sarebbe valida se
effettivamente fosse stabilito che Socrate voleva davvero difendersi (secondo Seno-
fonte, A pología, 1, egli era convinto che il moriré era, per lui, cosa migliore del vi-
vere). D i un’incertezza analoga soffrono pero, d ’ altra parte, anche gli argomenti
che ad esempio Guthrie, A H istory..., IV , pp. 72-80 (in particolare pp. 79 s.) addu-
ce nel tentativo di salvare la storicitä delPapologia platónica. — D opo i lavori di
W o lff, Meyer ed Erbse (cfr. sotto, p. 317, nota 58) non si puó piü dubitare del ca-
rattere platonico dt\YA pología: questo non eselude pero, in linea di principio, che
Platone si sia attenuto strettamente all’ «o rigin a le», come ha sottolineato soprattut-
to Th. Meyer, Platons A pologie, Stuttgart 1962, pp. 175 s. II punto decisivo per la
nostra questione é costituito dal fatto che la — presunta — assenza storica della vo-
lontá di difendersi davanti alia folla nel quadro della critica platónica dello scritto
deve diventare necessariamente una rinuncia del dialettico a giustificarsi davanti a
persone che non sono adatte. Cfr. sotto, pp. 313-318.
L A DIFESA A TRE LIVE LLI 309

proprio interesse, come si potrebbe pensare, egli la conduce «nel


Vostro interesse (úrclp ú^cov), perché non facciate violenza al do­
no che vi ha dato D io, mentre mi condannate» (30 D 5 - E 1).
Sono in pericolo i giudici, non l ’ imputato. L ’impútalo, come ha
fatto per tutta la vita (31 B 3), agisce nelPinteresse dei suoi con-
cittadini: vuole «sv e glia rli» un’ ultima volta dal «son n o » 36 mor­
íale delle anime per spronarli ad un’inevitabile preoccupazione
per Yareté. M a gli Ateniesi non vedono il pericolo che é loro in-
dicato cosi chiaramente. U tentativo di Socrate di proteggerli e
di difenderli dalla loro dannosa inclinazione all’ indolenza mora-
le (30 E 4) fallisce: nonostante l ’ ammonimento, essi fanno vio­
lenza al dono di D io. Se, da imputato, egli era in realtá difenso-
re dei suoi giudici, dopo il verdetto egli diventa il loro giudice.
Egli stesso aveva disdegnato di guadagnarsi salva la vita a prez-
zo della malvagitá e della disobbedienza a D io 37; ma i «g iu d ic i»
non hanno disdegnato di liberarsi dell’importuno che voleva ri-
destarli, pagando il prezzo della m alvagitá38. Ció che essi, agen-
do cosi, si sono inflitti, é peggio della morte: si sono inflitti una
vita senza esame, una vita sulla quale Socrate pronuncia il ver­
detto «una vita che non vale la pena di vivere» (38 A 5). A siffat-
ti giudici il vero giudice nega addirittura la denominazione di
«g iu d ic i». Solo quelli che hanno votato a favore dell’ assoluzio-
ne hanno diritto a questo nome (40 A 2). L ’ imputato era il cam-
pione di misura, su cui gli Ateniesi avrebbero dovuto regolarsi.
M a nella maggioranza essi non erano in grado di farlo. Cosi la
difesa degli Ateniesi per mezzo del loro avvocato Socrate si con-
clude con la loro condanna mediante la sua sentenza che egli
emette in veste di giudice.
A differenza dell’A p olog ía , il C ritone si conclude bene: Critone
si puó salvare dal minaccioso errore morale, perché accetta vo-
lontariamente le parole «d e ll’ uno e della veritá stessa». II capo-
volgimento del senso delle relazioni fra i due interlocutori si
chiarisce giá nella prima fase del dialogo: Critone é venuto, per­
ché preoccupato per Socrate; egli vuole salvarlo, perché non

36 Cfr. 31 A 4 : vnaTdc^ov-re^. A 6: xadeuSovte^. 3 0 E 5; 31 A 4 : lysipcaOat.


37 28 A - 32 C; in 38 D - 39 B Socrate chiarisce come gli sarebbe stato facile sottrar-
si alla morte.
38 Letteralmente e costatata la «m alvagitä» solo degli accusatori (39 B 3-5); ma
an che i giudici, che hanno dato seguito alle accuse, sono coinvolti nella costa-
tazione.
310 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»

soffra il male piü grosso, la morte. Socrate deve ascoltarlo, non


deve restare in cárcere39. Socrate chiarisce che si tratta, di fatto,
di un «ascoltare», di evitare un «m a le », di «preoccupazione», di
«restare» e di «sa lvezza». Solo che tutto questo va inteso in m o­
do diverso da come l ’intende Critone. L a preoccupazione di Cri-
tone merita la lode in quanto disponibilità ad aiutare (46 D 1);
ma, al tempo stesso, essa merita di venir rifiutata (48 C); tutta-
via essa è legata, dal punto di vista del contenuto, a quanto pen-
sano i piü (48 C), in quanto essi considerano come il male piü
grande la cattiva reputazione e la morte, e non, invece, Pirragio-
nevolezza (44 D 9). Cosi Socrate sostituisce a quella preoccupa­
zione per la persona la preoccupazione per Panima (47 C - 48
A ). M a delPanima di chi si tratta? In primo piano sta il com por­
tamento dello stesso Socrate e le « le g g i» vogliono dargli Paiuto
necessário perché si possa «d ifen d ere» nelPAde (54 B). I pensie-
ri sviluppati nel dialogo contribuiranno, dunque, alia «salvez­
z a » delia sua anima, ossia delPanima di Socrate nelPaldilà40.
M a chi è colui che deve essere spinto ad ascoltare la voce giusta?
Forse Socrate, dal momento che le «le g g i» lo ammoniscono di
seguire loro e non Critone (54 B 2, D 1)? M a la voce delle «le g ­
g i» è solo la voce del logos e la voce di colui che sa (£7t;ujt7|[jl6 >v),
a cui Critone viene ammonito di prestare ascolto (invece di
ascoltare la folla ), con l ’allusione al fatto che un male (xaxóv)
notevole si origina solo per mezzo della disubbidienza a questo
uno (47 C). Con questo si tratta, in primo luogo, delPanima di
Critone; è importante tener lontano da lui il male costituito da
decisioni sbagliate per Panima (e per il suo destino nelPaldilà).
L a domanda non è piü, perció, se Socrate voglia restare in cár­
cere, bensi se le opinioni giuste, a cui prima Critone aveva dato
il suo consenso, resteranno o no nella sua anima: «resterá» op-
pure non resterá (fi&vei 7 ¡ ou [xév&0 Popinione che Bene e Bello e
Giusto sono la stessa cosa, che il vivere in quanto tale non va

39 Preoccupazione per Socrate: passim; insieme preoccupazione per la diceria di


aver condotto negligentemente il salvataggio di Socrate 44 C; 45 E. Salvare: oa>07]-
, crcoaou aauxóv etc. , 44 B 6 ; C 1; 45 A 2; 7; B 7; C 6 ; 46 A 1. II male piü grande: 44
t i

D 3-4; 46 A 3. «A sc o lta re» Critone: ijjioi m0oí3, 44 B 6 ; 45 A 3; 46 A 8 . II concetto


del «restare» é presente in m odo indiretto attraverso il rifiuto da parte di Socrate
del piano di fuga; cfr. %<xpasivovxa^, 48 D 4.
40 L ’ accenno al destino ultr aterren o é la risposta alPidea di Critone che la fuga
possa «salvare» Socrate, anche se il termine aó>£etv non viene ripreso in questa
sede.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 311

valutato in sommo grado, ma il vivere giustamente (48 B 5-9)?


Interrogato in questo m odo dall’ amico a lui superiore, Critone
guadagna fermezza e puó rispondere: «resterá». Da questo m o­
mento in avanti Socrate non la lascia piü ricadere nella sua pre-
disposizione verso considerazioni sbagliate e verso opinioni in-
consistenti; per il resto del dialogo Critone é salvato dalle sue
proprie debolezze. A lia fine, egli confessa di non essere in grado
di dire niente di diverso da quello che dice colui che egli aveva
voluto «salvare».
Si é giá accennato (sopra, p. 308) al capovolgimento della situa-
zione nel Fedone. I presentí non piangono Socrate, ma com-
piangono loro stessi per la perdita di quest’ uomo amico (117 C
8 ). Anche qui sono gli interlocutori che hanno bisogno del suo
aiuto ( 1 1 7 D 7 - E 4 ) , e non lui del loro. Prim a di dover sollevare
il loro animo nei suoi ultimi momenti di vita, egli aveva tuttavia
cercato di aiutare gli amici contro un’ altra loro debolezza: con­
tro la loro mancanza di arte nel rapporto con i logoi. Un difetto
simile non si puó eliminare definitivamente, nelle poche ore di
un pomeriggio. Perció Socrate o ffre delle indicazioni su come
essi dovranno procedere in futuro (e su questo ritorneremo pre­
sto). Per il momento, tuttavia — e questo caratterizza l ’azione
del dialogo — , essi sono tutti «gu a riti» dai loro atteggiamenti
sbagliati 41: gli acritici, che avevano riposto fiducia, senza bada-
re alParte, in un logos ancora incompleto se considerato in sé,
ma alio stesso m odo anche gli scettici, che avevano creduto sin­
ceramente di avere sufficienti m otivi da opporre alie convinzioni
del dialettico. Anche i giovani Tebani, passo dopo passo, ab-
bandonano la loro perplessitá, finché Simmia, a causa di una
cautela per principio scettica, vuole mantenere ancora un tipo di
riserva, ma poi confessa di non poter piü obiettare nulla contro
gli argomenti effettivamente discussi (107 A 8 ). Ció che in ulti­
ma analisi rimane, dopo la discussione, sono le opinioni corrette
sulPanima. Per amore e a vantaggio di chi é stato raggiunto que­
sto risultato dell’ ultima «d ife s a »? «Sappi bene, mió buon C rito­
n e», dice Socrate verso la fine, «che il parlare in modo scorretto
non é sbagliato solo per questo, ma genera anche il male nelle
anim e» (115 E 4-6). Questo era, dunque, ció che importava: re-
spingere dalle anime degli amici un male minaccioso (xaxóv);

41 C ír.F ed o n e , 89 A 5.
312 «A P O LO G IA » - «CR1TONE» - «FEDONE»

non da Socrate, in cui non c ’ é traccia di scorretto parlare a pro­


posito della morte. Pur evitando ogni durezza, compare, qui, la
stessa svolta delV A p ología : colui che doveva «difen d ersi» da-
vanti ai «g iu d ic i» diventa il giudice secondo la sentenza del qua-
le gli altri devono regolarsi.
Socrate non ha mai parlato «p e r il proprio interesse» in nessuno
dei tre discorsi di difesa. Neirinteresse degli Ateniesi, egli ha
cercato di proteggerli dalla loro indolenza morale e di impedire
di far compiere un delitto contro la persona inviata da Dio che
doveva risvegliarli. Neirinteresse del vecchio amico Critone,
egli ha cercato di proteggerlo dalla sua labilitá e insicurezza e di
assicurare il «rim a n ere» nella sua anima di quelle opinioni giu-
ste, che egli aveva accettato a suo tempo. Neirinteresse del
gruppo di amici filosofi, egli aveva cercato di liberarli dalla loro
predisposizione ad assumere posizioni spirituali sbagliate e di te­
ner lontano da loro il danno delle opinioni ingiuste.
I mali morali (xoocíoa) da cui di volta in volta Socrate vuole pro-
teggere e da cui egli vuole «d ifen d ere», si manifestano, se si con-
frontano, divisi in tre gradi: crimine per avversione all’ ammoni-
mento dell'areté, perdita dell’ opinione giusta nel momento del
pericolo, deviazioni nella sincera preoccupazione di trovare la
veritá. N on é difficile scorgere, dietro a questa tripartizione, la
divisione delle parti delPanima e dei relativi tipi umani: dove do­
mina la parte concupiscibile dell’anima (¿luSofjLiriTutóv), giá l’in-
citaménto de\Yareté suscita netta avversione; la reazione é vio-
lenza e delinquenza. Dove domina la migliore delle parti affetti-
ve dell’ anima, ma manca la riflessione, si dovrebbe, anche in
una occasione che genera paura, mantenere «im pávidam ente»
Popinione giusta su ció che va temuto e ció che non va temuto
che giá si era fatta propria; ma Critone si lascia «in tim orire»
dalla forza e dal giudizio della folla come un bimbo da un fan-
to c cio 42. Dove, invece, esiste unitá sul fatto che il corpo é solo
d ’ impaccio al libero sviluppo dello spirito e che il «m o riré » vo-
lontario per questo mondo é il compito del filosofo (Fedone, 64
A - 69 E ), risultano poste le premesse per il governo della parte
razionale dell’ anima (XofKJTWtóv) e via libera al filosofare; tutta-
via, nemmeno qui ogni «m a le » (xocxía) é superato per sem-

42 o¿8 ’ av ... -r\x(úv izoXkfúv §úvaf¿i£ ¿Soit£p naíSa? r][jLotc [j.op^LoXÚTTri'cca, Critone,
46 C 3-5.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 313

pre; anzi, è sempre in agguato il pericolo di non cogliere il giusto


atteggiamento del dialettico nel rapporto con i logoi.

4. L a gradazione dei mezzi argomentativi

A lia gradazione dei mali (xaxíoci) da superare corrisponde una


gradazione degli strumenti argomentativi che Platone sfrutta
per garantiré la differenziazione di contenuti delle tre «d ife s e »,
pur mantenendo un’ identica struttura di fondo dell’ azione (che
abbiamo definito come «capovolgim en to» della situazione). Si
puó intendere questa gradazione, nelle «p rim e » due difese43,
come un tralasciare 1’ ultima difesa, mentre quest’ ultima mostra,
con la sua chiarissima struttura di «so cco rso » (porreta), propo­
sta in m odo dettagliato, che essa non è, a sua volta, se non una
parte del tutto argomentativo, e che non è destinata a giungere
ad esaurire quel tutto, Occorre qui, a conclusione di quanto ab­
biamo detto, analizzare tutto questo piü da vicino.
Un m otivo fondamentale per la condanna di Socrate è stato la
sua sicurezza e la sua calma enigmática e, per i giudici ateniesi,
provocante, di fronte alia minacciosa pena di morte. II suo at­
teggiamento doveva apparire come magniloquenza (pi£YaXr]YO-
pía), il che era interpretabile positivamente, da seguaci come Se-
n ofa n te44, nel senso di «gran d ezza» e dignitá dell’ eloquio, pero
da parte degli avversari, era, senza dubbio, intesa come «pre-
sunzione» condannabile. N el YA p olog ia platónica Socrate si
aspetta, giá prima del verdetto, Paccusa di arroganza45; dopo la
decisione, egli professa la sua partecipazione alia condanna,
esprimendo la propria soddisfazione per non aver fatto ricorso
ai tradizionali mezzi per difendersi, anche se, cosi facendo, egli
avrebbe potuto ottenere l ’ assoluzione (38 D-E). Quello che c’ era
propriamente da spiegare del fenomeno Socrate era la sua posi-

43 L ’A p o log ia e il Critone sono «precedenti» solo funzionalmente, come è espres­


so dalla cronologia immaginaria delle situazioni narrate. Quanto piü evidente risui-
ta 1’unità strutturale e funzionale delle tre opere, tanto meno determinante risulta il
ruolo delia cronologia tradizionale dei periodi di composizione. Questo non signifi­
ca che io voglia rifiutare detta cronologia: essa può essere esatta. M a si può pensa-
re, però, anche il contrario. Comunque, la cronologia che si presume sicura non si
deve, in nessun caso, dedurre ingenuamente dalla presunta «evolu zion e» di P lato­
ne, né si deve addurre come prova di quest’ultima.
44 Senofonte, A p o lo g ia , 1: '¡\ [i.zyo.Xriyopío, ocikou.
45 A p o log ia , 34 D 9; cfr. 37 A 3.
314 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»

zione di superioritá e il fatto che il risultato non l’ aveva spaven-


tato, né corrucciato, né l ’ aveva fatto insorgere contro di esso (tó
[/.rj áyocvaxTETv ¿til toótco t ¿o y&yovói:i).
Conseguentemente, questo «n o n corrucciarsi» (prj áyavax'ceTv) é
sottolineato come si conviene in tutte e tre le o p ere46. Solo nel
Fedone, tuttavia, Socrate si accinge a daré una risposta fondata
alia domanda sul perché egli guardi alia morte con tanta fiducia
e senza «in dign azion e». Egli giudica questa risposta come la sua
«a p o lo g ia » davanti al «tribun ale» dei suoi am ici47; soltanto
questa apologia, che é la piü estesa e non elude 1’ enigma della fi­
ducia del filo s o fo nella morte, porta alia luce la sua fede nell’im-
mortalitá dell’ anima.

a) L ’ «A p o lo g ia » lascia consapevolmente spazio per un’ altra


difesa

L ’ apologia di fronte al pubblico dei cittadini aveva escluso pro-


prio i m otivi personali di Socrate che ne spiegavano la fiducia:
«se io sia coraggioso nei confronti con la morte oppure no, é un
altro discorso» (et piiv 0ocppaXétú<; l y & &}((*> rapó? OávaTov ¡jltq,
aXXo? Xófoc, A p olog ia , 34 E 1 ). L ’enfasi é sulla parola « i o »
(eyco). Invece di indicare m otivi che, in senso significativo, sa-
rebbero suoi p ro p ri, Socrate giustifica il suo rifiuto a suscitare
compassione nei giudici mediante l ’accenno alia buona reputa-
zione di Atene e al giuramento che obbliga i giudici ad applicare
le leggi senza farsi fuorviare dalle em ozion i48. M a anche nelP ul­
tima allocuzione a coloro che lo hanno assolto, in cui impiega,
come giustificazione di se medesimo il Soafxóviov, che é invero
solamente suo proprio, Socrate é ben lontano dal diffondere i
m otivi della sua fiducia. Infatti, l ’ assenza del segno che lo mette

46 Apología, 35 E 1; 41 D 6-7; Critone, 43 B 6 - C 3; 52 C 6 (con un riferimento al-


l ’ indietro alVA pologia); Fedone, 62 D - 64 A (piü volte); 67 E ss.; 69 E 1. — Di
fronte agli estesi tratti «a p o lo g e íici» del Gorgia (cfr. sopra, p. 298, nota 1) non sor­
prende il fatto che anche questo dialogo tematizzi il ¡xr] ocfavaxtslv (522 D 3-7, con
ripresa di 511 B 6). C fr. il capitolo dedicato al Gorgia.
47 Fedone, 63 A 7 - B 2 (parla Simmia dopo che Cebete ha tematizzato il ¡jlÍ] áya-
vocx-reív (62 D 3): xaí fioi Soxet K£ßrj? ds ce. xeíveiv xóv Xóyov, öxi oüxco paSíco? cpé-
pei? xaí r|[xäs áíroXet7«o v xat apxovtai; ayaGous, (ó? auto? ó^.oXo'fEÍs, 0eoú¡;. — Aí-
xaaa, i'cprj, XéyeTe- oljxaL yáp Xáyeiv oxt xpr\ ¡xt 7tpó<; xaüxa ájüoXoyrioaoQai.
coarcsp ev SLxaatrjpítp. Cfr. anche p. 299, nota 3.
48 34 E 2 - 35 B 8 ; 35 B 9 - D 5.
L A DIFESA A TRE LIVELLI 315

in guardia dagli errori é per lui solo un indizio (xexpiriptov, 40 C


1 ) del fatto che egli si é comportato correttamente. Socrate,
dunque, ottiene conferma da Dio. Comunque, se la conferma
della sua sapienza da parte dell’ oracolo non ha potuto costituire
un m otivo per evitare di cercare anche una motivazione concreta
della sua correttezza, tantomeno la concessione della sua fiducia
nella morte per mezzo del daim onion puó significare che l’ in-
stancabile inquisitore possa rinunciare a fornire anche un rendi-
conto oggettivo sul suo essere autorizzato ad agiré nel modo che
ha scelto. E, in effetti, egli interroga sulla causa (am ov, 40 B 6 ).
II fatto che sia stato assente il «se g n o », significa che la morte
non puó essere un male (40 B 6 - C 3). M a la morte é un bene, se
essa é o com e un eterno sonno senza sogni o com e una migrazio-
ne dell’ anima da qui all’ Ade, dove potra intessere rapporti con
gli eroi dei tempi passati49. Socrate non fa alcun tentativo per
decidere fra due idee cosi diverse, e neppure si sforza di indicare
chiaramente, come presupposto non dimostrato, il presupposto
della seconda possibilitá, cioé l ’ immortalita dell’anim a50. La fe-
de neirim m ortalitá appare solo come una rappresentazione m i­
tológica dell’ aldila derivata dalla tradizion e 51 e la fiducia nella
morte, che dovrebbe essere fondata in m odo oggettivo, assume
la form a di un enunciato ipotetico: «perché io voglio moriré
molte volte, se questo é v e ro » (41 A 8 ) 52. Se Socrate sospende le
sue descrizioni a questo livello, non si parlera certo del dar con-
to (Xóyov SiSóvoct) compiuto nella domanda delTessere coraggio-
so nei confronti della morte (GappaXécoi; £xeiv Qávaxov); il
passo ha piuttosto lo scopo di richiamare alia conoscenza la ne-
cessitá di un render conto oggettivo. M a per quanto concerne i
giudici politici tutto si ferm a al fatto che tale render conto é un
altro tipo di discorso (ocXXo; \óyo<z) che non risulta, qui, op-
portuno.
Ed é proprio qui, sul render con to davanti ai giudici della fid u ­
cia nei confronti della morte, che si collega il Fedone: « M a a
voi, miei giudici, io voglio ormai rendere conto della mia opi-
nione secondo la quale un uomo che ha davvero trascorso la sua

49 40 C 5 - E 4; 40 E 4 - 41 C 7.
5,1 II termine decisivo, áGávaxo^, viene anzi introdotto, come di sfuggita, soltanto
alia fine della riflessione (41 C 6 ).
51 xa X^yó^e-va, 40 C 7, E 6 .
52 Símilmente, nella prima possibilitá, 40 E 2.
316 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDQNE»

vita nella filosofía ha m otivo di aver fiducia quando deve m ori­


ré » (63 E 8 - 64 A 1). L ’ avvio della motivazione avviene parten-
do dal punto al quale ha condotto V A pología, cioé dall’ attesa
tradizionale di raggiungere nell’ aldilá persone migliori (uomini
o D e i)53. L ’ assegnazione metafórica, agli amici, della funzione
di giudici ha lo scopo di sottolineare la continuitá tematica del
discorso. Poiché non é di per sé chiaro il fatto che il discorso
continuerá dal punto in cui si era arrestato per superarlo, Plato-
ne ce lo ricorda per mezzo della richiesta di Simmia a Socrate,
affinché questi non porti con sé, nella morte, la sua convinzio-
ne, ma la comunichi agli amici; nello stesso tempo ció costituirá
la sua difesa, se egli convincerá gli am ici54. Se l’ assunzione della
difesa come comunicazione di se medesimo del filosofo é qual-
cosa che nemmeno gli amici interessati possono esigere come al-
cunché di ovvio, allora si capisce che la schiera dei cinquecento
fin t i 55 giudici non ha nessun diritto ad un’ esposizione di moti-
vazioni fondative, per le quali perfino i pochi sonó a mala pena
attrezzati.
Sarebbe fuori luogo lo stupirsi che VA pología non contenga una
teoria completa dell’ anima: essa non «m an ca» di questa, non
aspetta con ansia la scoperta da parte dell’ autore che deve di­
ventare in futuro di nuovo produttivo dal punto di vista metafi-
sico, ma é spostata in un altro contesto56.

53 Fedone, 63 B 9 - C 1 (vüv 81 sü laxe oxt Tiap’ av§pa<; xe. eXiu^co äcpt^aöat


äyaöou?) corrisponde ad Apologia, 41 A 1 ss. (ei yap xl? acpixo|j.E.vo<; "AiSou ...
£.upr]a&t. tou£ a X ^ O ^ 5(,xaaxa<; x x X .). Come si addice al livello di riflessione su-
periore, Socrate passa tuttavia subito a dichiarare che egli si aspetta, piü seriamen-
te, di raggiungere nell’aldilä comunque i suoi «buoni padroni», gli Dei: 63 C 1-4.
54 Fedone, 63 C 8 - D 2: ocuxot; xf]v oiavotav xauxrjv ev vtö r/ett; ocrcilvai, i] xav
rj[jt.Tv [J.Exaooir]c; xoivov yap Sr] Ejj.otyE SoxeI xai fjjJiTv Etvai aya0ov xoöxo, xai oqj.a
aoi T] aTioXoyia l'cxai, eav aTi&p X&ysL<; r]|J.a? irEiarjc. A proposito della formulazione
xolvöv dyaGov, cfr. Appendice IV.
55 Cfr. Apologia, 41 a 1: xouxcovi t w v cpaaxovxcov Sixacmöv eEvoci..
56 Come giä in numerosi casi, anche in questo, Friedländer e quello che si e piü av-
vicinato all’ esposizione delle intenzioni di Platone: le parole suila morte, alla fine
dz\YApologia, erano «dette per il pubblico, per il grande uditorio del tribunale. II
Fedone raffigura questa visione in un nuovo medium » ( Platon , III, p. 31). Frie­
dländer ha colto anche la importante m etafora del processo nel Fedone e Ie conso-
nanze tematiche h a Fedone 63 B C e A pologia 41 A (III, pp. 32 e 35). Manca perö,
nella sua descrizione, la comprensione del fatto che, ne\V Apologia, si tratta di un
riserbo mirato dell’ aXXo<; Xoyot;, e che, nel Fedone, si tratta di una ripresa.precisa
dell’argomentazione dal punto in cui essa era giunta \\&WApologia', Friedländer
non poteva cogliere questi aspetti in quanto glielo impediva la sua visione storico-e-
volutiva, che non gli lasciava dubbi sul fatto che VApologia appartenesse «a d una
LA DIFESA A TRE LlVE LLI 317

L ’ apologia pubblica ha, allora, lasciato lo spazio libero per


un’ altra «a p o lo g ia » migliore. A n che senza questa osservazione
— che considero centrale — e giä stato in piü modi visto che il
discorso in tribunale tenuto da Socrate contiene piü implicazioni
filosofiche di quanto non si noti in superficie. Perfino W .K .C .
Guthrie, che di solito mostra una scarsa inclinazione a ricono-
scere nei «p r im i» dialoghi pensieri che emergono «piü tardi», in
questo caso ritiene che le enunciazioni relativamente stringate
della «cura per Panim a» (29 E ) e del principio «so ffrire ingiusti-
zia e meglio che compiere ingiustizia» (30 C-D ) presuppongano
le motivazioni fondative piü complete di altre o p ere57. H . Erbse
ha mostrato, con un’ analisi dettagliata, come le argomentazioni
de\VA p olog ia guadagnino sempre piü in chiarezza, se vengono
viste sullo sfondo dei dialoghi sulla virtü; in quei dialoghi, infat-
ti, «vengono fornite le prove di cui nell’A p olog ia si sente la
mancanza», e solo con i dialoghi sulla virtü si ottiene «una com-
pleta argom en tazion e»58. Erbse ha anche notato che alcune pre-
sunte particolaritä de\VA p o lo g ia si spiegano nel modo migliore
riferendole alla particolaritä dei destinatari59. E indiscutibile il
valore delle osservazioni di Guthrie, di Erbse e dei loro precur-

fase precedente» (Platon , III, p. 31). Anche se VApologia fosse stata scritta con
notevole anticipo (sui m otivi e sulla letteratura relativa ad una datazione relativa­
mente piü tarda riferisce H. Thesleff, Studies in Platonic Chronology, Helsinki
1982, p. 113), le differenze osservabili non fornirebbero, comunque, nessun moti­
vo per introdurre una «fa s e » precedente; e, in ogni caso, il progetto deU’ intera «d i-
fesa» in tre partí avrebbe dovuto esser concepito nella «fase precedente». — Anche
Guthrie, A H istory..., I ll, pp. 481-3, discute la possibilitä di leggere il Fedone co­
me il proseguimento de\V Apologia, pero soltanto ponendosi la domanda, fuori po­
sto, se la dottrina delFanima del Socrate storico possa essere ricavata dal Fedone.
Inoltre, le osservazioni di Guthrie poggiano su una considerazione insufficiente del
testo, a proposito della qual cosa si veda sotto, Appendice IV, nota 3. N on si puo
fare a meno di parlare di un passo indietro rispetto a Friedländer.
57 Guthrie, A H istory..., IV , pp. 90/91: «N e lle circostanze di un processo sarebbe
fuori luogo, per Socrate, il tentare una difesa filosófica di questi punti». « L a veritä
intera, come Socrate la vedeva, é rivelatanel Gorgia ».
58 H. Erbse, Zur Entstehungszeit von Platons A pologie des Sokrates, in: «R h ein i­
sches M useum», 118 (1975), pp. 22-47, citazioni pp. 29 e 34. — Erbse si ricollega ai
risultati di E. W o lff, Platos Apologie, Berlin 1929, e di Meyer, Platons Apologie,
cit., i quali avevano rilevato il carattere platonico che permea VA pologia, e W o lff
senza soilevare ancora dubbi sulla datazione in epoca giovanile (subito dopo il 399).
59 Cosi la fiducia apparentemente minore nella morte in confronto al Fedone o il
richiamo alPincarico divino (A pologia , 29 C ss.), invece di una fondazione del suo
m odo di agiré basata solo sulla ragione (come in Gorgia, 521 A ss.). — Erbse, Zur
Entstehungszeit ..., pp. 24 e 30.
318 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»

sori. M a la loro utilitá non va cercata nella cronología, che non


puó essere stabilita pariendo di q u i60, bensi nella osservazione
definitiva che anche ció che é letterariamente rifinito e compiu-
to, in Platone puó mirare, ciononostante, ad un’incompletezza
sistemática. E piü ancora del collegamento «d o gm á tico » con i
dialoghi sulla virtü é importante la correlazione funzionale del-
V A p olog ía con le altre due «d ife se ».

b) II «C rito n e » resta debitore nella fondazione

Anche il Critone parte dal non corrucciarsi (fjtrj áyavax'itTv) di


Socrate. N on puó stupire il fatto che la motivazione di questo
atteggiamento non vada m olto oltre quella dell’A p olog ía se ci si
fa un’ idea chiara della statura delPinterlocutore. Critone é ami-
co personale di Socrate; tuttavia, per quel che concerne il suo li-
vello di riflessione, egli é chiaramente uno della folla. Con tutta
Pamicizia possibile, Socrate gli dice che i suoi m otivi a favore
della fuga si adatterebbero benissimo a coloro che con leggerez-
za condannano a morte o anche che — se potessero — risuscite-
rebbero (48 C 2-6). II livello di riflessione di un uomo anziano
non puó essere mutato nemmeno da insegnamenti filosofici
m olto estesi, per cui Critone rimane ancora lo stesso di prima
anche dopo Pultima difesa nel Fedone: con un sorriso Socrate
osserva, dopo le ore trascorse nella discussione sulPimmortalitá,
che non é riuscito a convincere Critone del fatto che lui, Socra­
te, non é quel corpo che presto sará morto ( Fedone, 115 C 6 - D
3). Mentre Socrate ha superato il corrucciarsi (áyavax-üetv) per la
morte, Critone corre il pericolo di «corrucciarsi» per la crema-
zione o la sepoltura dell’ involucro esterno del suo a m ico61. Per
quanto riguarda Critone, i lunghi discorsi sulPimmortalitá sono
stati inutili (115 D 5).

60 La datazione tarda dell’A pología , proposta da Erbse (che la colíoca dopo il


G orgia) poggia sul presupposto che Platone si rivolgesse ad un lettore «m egiio
orientato degli immaginari ascoltatori del discorso di difesa» {Z a r Entstehung-
szeií..., p. 29). Poiché il libro, come Platone ben sapeva, non puó scegliersi il suo
lettore, questi argomenti restaño per principio non vincolanti. Del resto, anche i
dialoghi sulle virtü necessitano piü volte di un lettore che abbia dimestichezza con il
m odo di pensare della Repubblica, senza che questo debba comportare qualcosa a
proposito della datazione.
61 Fedone, 115 E 1-3: [xrj óptov ¡j.ctj tó rj xaójievov r¡ xaxopuxxóp(.evov áya-
vaxzfj újrep £[xoú Setva mxa^ovTOi;.
L A DIFESA A TRE LIVELLI 319

Per Soerate, comunque, non é senza senso fornire una giustifi-


cazione del suo rimanere in carcere ad un rappresentante dei
non-filosofi di questo tipo. Spiritualmente uno dei «m o lti»
(ttoXXoO, Critone, grazie alia simpatía nei confronti di Soerate,
si colloca, in un certo senso, a metá strada fra i « m o lti» del tri-
bunale e i pochi del «tribun ale» privato nella celia in cui Soerate
morirá; non dimentichiamo che la reciproca simpatía é un requi­
sito fondamentale del «filo s o fa re insieme» (aufjKpiXoaocpelv). In
maniera corrispondente e conseguente a questa posizione inter­
media, Critone é Túnico ad essere presente a tutte e tre le giusti-
ficazioni del «n o n corrucciarsi» (jir) á f avaxx&Tv). Qui nel C rito ­
ne si tratta solo dell’ acquietamento della sua ribellione verso il
modo in cui le cose sono andate e vanno. Critone deve essere ri-
chiamato a precedenti «consensi» (ófJtoXoyíou) da lui dati; come
abbiamo visto (sopra, pp. 309 ss.), la sua condizione va intesa
come perdita della convinzione corretta in una situazione criti­
ca. N on viene né afferm ato, né sembra particolarmente proba-
bile (di fronte al suo comportamento qui e nel Fedone), che Cri­
tone abbia svolto un ruolo essenziale nello stabilire, in preceden-
za, le corrette opinioni nella cerchia degli amici. Egli, comun­
que, aveva dato il suo consenso e ora puó essere vincolato a
mantenerlo62. Con questa semplice finzione, Platone ottiene un
duplice scopo: illustra il significato di quella form a di «v ir tü »
che consiste nella saldezza della convinzione corretta (senza es­
sere in grado di motivarla); contemporáneamente libera «Socra-
te » dalla necessitá di dover discutere, con un interlocutore non
abbastanza progredito, cose che non sarebbero alia portata di
questo. Sembra, perció, del tutto «n ó rm a le » che nel C ritone tut-
to ció che importa sia presupposto e non elaborato.
La ripresa di ció che era giá stato in precedenza accettato inizia
con la discussione della pubblica opinione (46 C 8 s.). Soerate
vuole scoprire se la mutata situazione ha reso lui stesso esitante
(D 4-6), mentre Critone, non colpito dalla mutata situazione, non
corre certo il pericolo di esprimere un giudizio sbagliato a causa
della disgrazia attuale (46 E 3 - 47 A 2 ) 63. Secondo T opinione di
entrambi, va mantenuto come punto ferm o il fatto che, nel-

62 46 C ss.; 49 A ss.
63 II rovesciamento ironico conferma la nostra interpretazione del modello dram-
matico del pezzo come «perdita e recupero della soliditá di C rito n e ».
320 «A P O L O G IA » - «CRITO N E» - «FEDONE»

le cose dell’ etica come nella ginnastica conta soltanto il giudizio


della persona competente (47 A 12 - D 3). Con questo viene intro-
dotta l ’opzione fondamentale a favore della concezione socráti­
ca «técn ica» (o «intellettualistica») dell’etica intesa come sempli-
ce ripresa di opinioni che giá si avevano in precedenza. U n ’ ulte-
riore om ologia su cui nei tempi passati Socrate e Critone si erano
incontrati «spesso», comprende la convinzione che il compiere
ringiustizia é, in ogni caso, condannabile64; di conseguenza, é
tale anche quando si tratta di una ritorsione verso un’ingiustizia
compiuta da altri, perché l ’ ingiustizia é, per chi la commette, cat-
tiva ed esecrabile. L a posizione etica, che avrebbe propriamente
bisogno per le sue giustificazioni fondative delle lunghe discus-
sioni del dialogo G orgia, viene posta qui, rievocando in breve
passate o m o lo g ie 65, a fondamento (ápx"n, 49 D 9) del presente
dialogo, e su questa i «n o m o i» personificati possono erigere la
loro argomentazione. II momento strutturale piü importante del
dialogo platonico — il relegare la motivazione decisiva in un al-
tro contesto — appare qui nella forma piü innocente, e masche-
rata dal punto di vista letterario in maniera ottimale in quanto si
presenta come mera conseguenza della situazione e della comune
biografía dei due uomini. Rinunciando alia complessa discussio-
ne dei fondamenti etici, si fa spazio a ció che é di gran lunga adat-
to ad un uomo come Critone: la prosopopea che va dritta al cuo-
re delle leggi che esortano alPubbidienza nella eloquente immagi-
ne dei genitori minacciati dalla violenza (50 A ss.). Solo la ripresa
delle parole chiave «rim an ere» e «fu g g ire », nelTultimo collo-
quio, mostra in quale dimensione Socrate stesso veda la fuga dal
carcere, che Critone pretenderebbe da lui: l ’intera nostra vita va
concepita come un carcere da cui non é consentito fuggire, se non
lo vogliano gli Dei ( Fedone, 62 B ) 66; e la ragionevolezza delFagi-

64 49 A 5-7: T] oùSa|j.wç xó ye á § im v ouxe áyocGóv ouxe. xaXóv, thç 7roXXàxtç rjfiïv


xa i ¿V x¿o i'[jtirpoa0 Ev xpóvto ¿[¿oXoyrjGv].
65 49 A 8 : ÊX&LV0U al TtpócHkv ójj.oXoy£at, cfr. 49 B 2, E 1. Naturalmente, non rica-
viam o niente per quanto riguarda la cronología relativa; precedente al Critone è la
posizione del Gorgia, la stesura e la pubblicazione possono essere precedenti, con-
temporanee o successive. Sugli argomenti presentati nella letteratura riferisce
Thesleff, Studies ..., pp. 208-210. Thesleff stesso colloca il Critone (sulla scorta di
H. Gomperz, Th. Gomperz e G. Ryle) dopo il Gorgia; i suoi argomenti a sostegno
delPinautenticitá del dialogo difficilmente si impongono.
66 Con questo « i l problema fondamentale del Critone viene compreso nel simboli­
smo del Fedone» , Friedlander, P la ton , II, p. 35. — Sul duplice significato di cppou-
LA DIFESA A TRE LIVELLI 321

re di Socrate dovrà venir dimostrata dalla spiegazione «causaie»


dei suo rimanere (Fedone, 98 C - 99 B), e questa includerà neces­
sariamente quello che nel C ritone manca, vale a dire la motiva-
zione sostenuta dalla filosofia delle Idee e la riconduzione dei
suoi fondamenti al fondamento ultimativo, il B ene67.

c) Anche il «so cco rso » portato dal filo so fo nel «F e d o n e » per il


suo discorso lascia spazio per una ulteriore fondazione

L a difesa di Socrate delia sua fiducia nei confronti delia morte,


nel F ed on e68, si basa sul pensiero che il filosofare non sia altro
se non lo scioglimento dell’anima dal corpo e che, di conseguen-
za, la morte, in quanto definitivo compimento di questo sciogli­
mento, non è altro se non il compimento di ció che chi ha davve-
ro filosofato ha sempre praticato. Con la spiegazione di questo
pensiero (64 A - 69 E ) Socrate considera conclusa la sua «a p o lo ­
g ia » — è lui stesso a richiamare ancora la metafora dei processo
— e il suo «n o n corrucciarsi» (¡ar] àyavaxxelv) giustificato dal-
l’ aspettarsi di incontrare, nell’aldila, «sig n o ri» buoni e buoni
compagni di v ia g g io 69.
Tuttavia i «g iu d ic i» da lui nominati non vogliono ancora con-
tentarsi di questo. Cebete pronuncia il primo attacco, che ci si
doveva aspettare, secondo la prospettiva del Fedro, e costringe a
dare una motivazione piü profonda: gli sembra dubbio il pre-
supposto deU’ intera difesa, ossia che Tanima continui ad esiste-
re dopo la morte (69 E - 70 B). L a sua osservazione per cui non è
facile rendere credibileTim m ortalità (69 B 1-4) vuole creare ten-

pá, che significa tanto praesidium che custodia cfr, Friedlánder, Platón, III, p.
436, n o ta 7.
67 Cfr. 99 B 1: T7¡ xou (SeX-cíaTOu aípáa£i. Questa richiesta va, naturalmente, consi-
derata alia luce della m otivazione che l ’ ipotesi inizialmente «píú forte » riceve da
quella posta al livello immediatamente superiore (100 A/101 D ), il che, in ultima
analisi, fa entrare nel campo visivo l ’ Idea del Bene.
68 A proposito dell’inizio di questa apología cfr. sopra, pp. 315 s.
69 Fedone, 69 D 7 - E 5: xaS-c’ ouv ¿ya>, ¿97], <£> St[a.[i.ía ts xaí Ké¡3r]<;, á 7ioAoyou-
¡j.ai, £Íxótco<; te. a 7:oXBÍ7rcov xod &v6áSt Ss-arcó-tas ou x<xX£7t<iós cpépco
oüS’ á'yavaxxoj, r)yoú¡i&vos xáxel ouSev fjxTOv r¡ ¿v0áSe SeaTiótaií; zt áyaGoT; iv t&ú-
£&a0ou xat im ípot?- xovc Si 7toXXcK£ aiuaxíav %ap¿x^' ti ou v ujjlTv TriGavíó-rspói; el -
¡ju ¿v tt¡ a 7ioXoyía r¡ toT? ’ ABtjvocúúv ocxaaxaic, eO av ¿x0L
322 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»

sione per vedere se Socrate sarà in grado di difendersi ulte­


riormente.
Una prima «p r o v a » si richiama alia legge delia generazione.
Tutto si genera dal suo opposto, Conseguentemente, i vivi han-
no origine dai morti, le cui anime devono, perciò, esistere nel-
P A d e (70 C - 72 D; particolarmente 71 D 14 - E 2). Questaprima
«p r o v a » viene immediatamente completata da una seconda, in
base alia quale la conoscenza del mondo sensibile incompleto
presuppone la conoscenza delle Idee perfette, il che, di nuovo,
esige la preesistenza delle anime (72 E - 76 E). Gli amici tebani
riconoscono valore alFargomento, ma lo considerano, tuttavia,
solo come metà delia prova necessaria, perché, cosi, è assicurata
solo la preesistenza e non Pesistenza dopo la morte (76 E - 77 C).
Socrate crede, però, di aver raggiunto quanto si proponeva di
dimostrare con Punione delle due prove (77 C 6 - D 5); deve, co-
munque, riconoscere che fra gli ascoltatori esistono ancora dei
dubbi, ed è perciò pronto a proseguire la discussione.
N on si può dire che Pargomentazione di Socrate sia stata sin qui
una «d ife s a » del tutto riuscita, in quanto i «g iu d ic i» non sono
del tutto convinti. Però la superiorità del dialettico nel dialogo è
già stata a tal punto evidenziata che la metafora del processo
viene lasciata cadere: le considerazioni dei giovani amici non so­
no piü i dubbi di «g iu d ic i» rigorosi, bensi sono le paure dei
«b a m b in i» di fronte a dei fantasmi (77 D 7 - E 7). E nel frattem-
po Socrate non si «d ife n d e » piü, ma costituisce per gli altri Pú­
nica persona che è in grado di cacciare quelle paure per mezzo
delP«incantesim o» (78 A 1-2). M a di questo egli non vuole sa-
perne, e dice questo: nel vasto mondo ci sono anche altri uomini
di ugual valore; e forse i presenti sono essi stessi le persone piü
adatte a superare le loro paure per mezzo delia ricerca personale
(78 A 3-9). Solo nel prosieguo si chiarirà il senso di questo primo
accenno al fatto che non si deve aspettare tutto da Socrate e che
la ricerca dovrá proseguire anche oltre il suo ultimo giorno; il
che, al contempo, significa: oltre il dialogo del Fedone.
Socrate cerca di attenuare le paure degli amici, determinando lo
status ontologico delPanima. Essa non fa parte delPámbito del
corporeo, che è sempre frutto di composizioni, e quindi anche
destinato alio scioglimento, bensi è vicina «a l divino, all’ immor-
tale, all’ intelligibile, alPuniforme, all’ indissolubile e a ció che è
L A DIFES A A TRE LIVELLI 323

sempre idéntico a se m edesim o» (80 B 1-3); a causa di questa ap-


partenenza, essa deve essere «d e l tutto indissolubile o comunque
m olto vicino ad esserlo» (80 B 9-10). In questa formulazione è
già previsto il fatto che i dubbi rimangono; Socrate capisce be-
nissimo che Simmia e Cebete possano pensare che quanto è sta-
to detto non sia sufficiente; anche a suo giudizio, resterebbero
ancora «m olte perplessitá e molte obiezioni, se si volesse esami-
nare l’intera questione a f o n d o » 70. Anche Simmia e Cebete, rin-
francati a tal punto delia questione e insieme rafforzati nel loro
atteggiamento di incessante porre dom ande71, osano poi dire
che le riflessioni fatte non sembrano loro affatto sufficienti72.
Con urbana cortesia Socrate li invita a dire in che misura essi
trovano insufficienti le sue riflessioni, che cosa essi «rim prove-
ra n o » al suo «lo g o s » 73. II concetto di accusa, compreso in que­
sta espressione, spinge Socrate a riprendere la metafora del pro­
cesso: egli, nella misura in cui gli argomenti degli amici non lo
convincono, di fenderá il suo lo g o s 74.
L a situazione «d a tribunale», con cui Platone aveva realizzato
l ’ aggancio del Fedone aWA p o lo g ia 75, viene, dopo la descrizione
delle obiezioni nella già citata interruzione del dialogo narra-
t o 76, condotta secondo la consueta situazione-di-attacco-e-soc-
corso in cui il filosofo deve dimostrarsi filosofo. L ’ «a p o lo g ia »
una e continua del filosofo entra, qui, nella sua fase decisiva.
Platone non ha suscitato tensione per l’ esito dell’ ultimo round.
Già qui veniamo a sapere, infatti, che Socrate è in grado di «soc-
correre» il suo logos in m odo superiore77. L ’ autore vuole, evi­
dentemente, che il lettore rivolga la sua attenzione non al « s e » il
soccorso si verifica, bensi al come il soccorso si verifica.

70 84 C 5-7: xí; ecprj, ò[ilv xà Xzyfiívia fxcüv ¡jlt] SoxeI ivSecõç XéyeaGai.; TtoXXàç yàp
8 r) ixi ÚTtocJnaç xaí àvxiXaPáç, z íy t Br; xtç auxà ^.£XXet ixavõjç Sieíjiivoa.
71 84 D ss. Sul significato di questo aspetto cfr. sopra, pp. 304 ss.
72 85 D 9; cfr. C l .
73 85 E 2 e 86 E 1 ; xí au o 8 e ¿yxaXeí xco Xóytp.
74 86 E 4: ¿7i£pSix£Ív xoC Xóyou.
75 Cfr. sopra, pp. 313 s.
76 Cfr. sopra, pp. 304 s., e nota 24.
77 88 D 9 - 89 A 7. II significato dei nuovo inízio risulta chiaro (oltre che grazie al­
ia richiesta di Simmia di un rcavxí xpórao IXíyyjzw, 85 C 5) in particolare dalla for­
mulazione di Echecrate: xat uávu oéojxat TiáXiv ¿jcmsp IÇ àpx^Ç aXXou xlvòç Xóyou,
88 D 6-7. La risposta alPeXeyxoç deve essere un àXXoç Xóyo!;, e non un rimanere a
quanto si è detto fino a questo momento. Cfr. sopra, pp. 129 ss., a proposito di
Leggi, 891 D s.
324 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»

Anche le attese caratteristiche del platonico «soccorso al lo g o s »


emergono con grande chiarezza: i fondamenti della discussione
vengono approfonditi (o, per usare le metafore qui impiegate da
Platone, spostate verso P «a lto », verso i Principi, verso le ocp-
Xat), e, alio stesso tempo, viene inequivocabilmente chiarito che
occorre ancora compiere altri passi di questo tipo.
L ’ approfondim ento e Pampliamento delPindagine é dato come
uno sguardo a ritroso «a u to b io grá fico » del dialettico. Egli spie-
ga come é arrivato al suo strumento concettuale centrale, Pipo-
tesi delle Idee. Se finora, nel Fedone, si é trattato del generarsi e
del corrompersi delPanima, ora si apre lo sguardo su una teoría
della generazione e della corruzione in generale: «B isogna trat-
tare in generale della causa della generazione e della corruzione»
(oXco? yáp 8 e.t rcepi xat qjGopa^rrjv attíav 8 ia 7cpayfxaT£Ú-
aocaBcu, 95 E 9). Chi vuole soccorrere il suo logos «filo s ó fic a ­
m ente» deve andaré oltre esso, deve superarlo. N el piü ampio
orizzonte della teoría generale, risulta possibile spiegare anche il
caso particolare del temuto corrompersi delP anima. Nella rap-
presentazione di Platone la «p r o v a » ultima, nelPámbito del dia­
logo decisiva, delPimmortalitá (105 C - 107 B) appare, perció,
come un’ applicazione del tutto aproblematica di conoscenze di
rapporti e relazioni concettuali che hanno validitá anche per al­
tri ambiti; Pautore sottolinea questa forza determinante del ri-
chiamo ad una teoría piü ampia, facendo dichiarare ai due «co -
stanti» scettici, Puno dopo Paltro, e quasi con le stesse parole,
che essi non sono piü in grado di sostenere oltre la loro «incre-
d u litá »78.
Platone ha preparato la capitolazione degli scettici non soltanto

78 Cebete, 107 A 2-3: ouxouv eycoye. 1'x.co Ttapa xaOxa oiXXo xi Xly e tv ouSe 7t 7] am -
axe.Iv xol^ Xoyot?. Simmia, 107 A 8-9: ¿XXa \ir\\> ou8 ’ amoq i'xto exi otiiq <X7tioxto ex
ye xwv Xe.yo[jL£voi)v. — E noto che l’ ultima «p r o v a », vista oggettivamente, e tutt’ al-
tro che non problematica: il passaggio da a- 0avaxo^ «n on -m o rto » (cioe non coesi-
stente con la «m o rte »), a ocOavaxoi; «perpetuo, im m ortale» (105 E -106 B), in realta
presuppone quelio che si vuol dimostrare. Pero, questo non cambia la sostanza del
fatto che nella rappresentazione che ci offre Platone il «so cco rso» di Socrate al suo
logos raggiunge senza problemi il suo scopo. — Gia Zeller, D ie Philos, d. Grie-
chen...., II, 1, 19225, p .826 nota, aveva osservato che Platone ritiene l ’ultima pro­
va «perfettamente sufficiente e inconfutabile». Benche a Zeller non fosse nota la
struttura della [BorjBELa, le sue analisi della struttura del Fedone e le sue osservazioni
sulla portata volutamente divers a degli argomenti (ibi, pp. 824-826 nota) colgono
in pieno nel segno.
LA DIFESA A TRE LIVELL1 325

mediante la citata anticipazione 79 delPesito del soccorso. A l pri­


m o emergere del dialogo-cornice nel dialogo narratö ne corri-
sponde in 102 A un secondo, posto m olto prima che venga rag-
giunto lo scopo della dimostrazione. II passo in cui Platone fa
mutare il timore di Echecrate, uno degli ascoltatori, in fiducia e
ammirazione per Socrate, non può esser stato scelto a caso, se si
considera Pattenzione per la composizione che è ben manifesta
in tutti i dialoghi. Cerchiamo di ricavare il senso di questa rea-
zione dell’ ascoltatore (che, ovviamente, anche in questo caso
costituisce il corrispettivo della reazione del lettore) e che, appa-
rentemente, sembrerebbe inserita troppo presto80.
D opo che Socrate ha caratterizzato che cosa ha significato per
lui la delusione che ha avuto dalla filosofía di Anassagora, che
non è stata in grado di fornire la spiegazione promessa sulPintel-
ligenza e sul Bene, egli o ffre un resoconto della sua personale ri-
cerca delle cause, ironicam ente 81 definita da lui stesso come «la
seconda navigazione» (99 D ss.). L ’ impossibilitá di trarre direi­
tamente dalle cose la razionalità del mondo e il suo ordine se­
condo ció che è meglio, lo ha spinto ad una « fu g a » e ad un lun-
go giro per la filosofia dei concetti, il cui procedimento consiste
nella provvisoria assunzione della spiegazione piü forte e nella
ricerca di tutto ció che è conciliabile con essa (99 D 4 - 100 A 8 ).
L ’ assunzione o Pipotesi piü utile sembra essere per Socrate l’ as-
serzione «ch e esiste un bello in sé e un Bene in sé e per sé un
grande in sé e per sé e cosi per tutto il resto» (100 B 5-7). Socrate
crede di poter dare, con Pipotesi delle Idee, una risposta alia do-

79 Cfr. sopra, pp. 303 ss. e p. 323 a proposito di 88 C - 89 A .


80 Anche Friedländer, P la ton , III, p. 49, si occupa della «stretta corrispondenza»
di 88 C e di Í02 A , perö soltanto per valutarne la funzione nello schizzo socrático
del «percorso che la filosofía greca ha compiuto da Tálete a P latone»; é necessario,
invece, intendere tale corrispondenza come momento strutturale e parte delP«azio-
n e » deH’intero dialogo.
81 Hackforth, P la to ’s Ph a ed o..., p. 137, n e g a l’ironía in Stuxepo? 7tXoü<;, Friedlän­
der, Pla ton , III, p. 48, la riteneva essenziale. L o scopo iniziale di Socrate era quello
della conoscenza «d ella cosa m igliore». Se si suppone che Tipotesi delle Idee, presa
come sostituto, abbia rinunciato al concetto di Bene, la ripartizione, in quanto se­
condo método migliore, non deve, in realtä, essere necessariamente irónica. M a
proprio la sottolineatura della sostituzione ad una precedente ricerca, che non ha
dato risultato, della «cosa m igliore», con la teoría delle Idee rende, piuttosto, inve-
rosimile la supposizione che essa non sia prima o poi orientata all’ Idea di Bene.
C fr. anche D. Gallop, Pla to, Phaedo, Translated with Notes, O xford 1975, pp.
176 s.
326 «A P O L O G IA » - «CRITO N E» - «FEDONE»

manda sulla causa della natura delle cose, migliore di quella da­
ta dai filo so fi della natura: le cose belle, ad esempio, sono belle
in quanto partecipano del Bello in sé (100 C3 ss.); in generale, le
cose diventano ció che diventano per mezzo della loro partecipa-
zione alia corrispettiva essenza (oüaía) (101 C 2-4). La spiegazio-
ne del mondo mediante il suo riferimento alie Idee conferisce al­
ie sue risposte una nuova sicurezza e inattaccabilitá (100 D-E).
Un attacco contro tali risposte dovrebbe iniziare dall’ ipotesi
stessa. Se questa viene posta in primo piano, i possibili atteggia-
menti sono due: nel primo caso, si lascia il proprio interlocutore
da parte senza risposta fino a che non si sia provata la possibilitá
di mostrare la conciliabilitá che hanno fra loro le conseguenze
derivate dall’ ip otesi82; ma se ci si deve davvero rendere ragione
delPipotesi stessa, allora occorrerá attingere ad un’ altra ipotesi,
piü precisamente a quella fra le ipotesi «su periori» che sembra
essere la migliore. Questo procedimento va continuato, finché si
giunge a «qualcosa di su fficien te»83. Va evitata la confusione di
argomenti riguardanti il punto di partenza ( a p ^ ) con quelli che
riguardano ció che deriva da esso. Cebete vorrá, d ’ altra parte,
seguire questo m odo di procedere, se é un « filo s o fo » (cptXóao-
901; ) 84.
É questa la spiegazione a cui fa seguito, nel dialogo narrato, la
contemporánea approvazione di Simmia e di Cebete e, nel dialo-
go-cornice, direttamente rappresentato, 1’ enfático plauso di
Echecrate. II primo intervento di Echecrate nel racconto di Fe-
done riguardava la domanda sulla capacita da parte di Socrate
di portare soccorso al proprio logos; il secondo intervento segna
la svolta su cui poggia principalmente il successo del «soccor­
so». II segnale per il lettore é chiaro: si richiede non tanto il suo
consenso per questo o per quel «risu ltato», bensi sul procedi­
mento che consentirá un superamento del livello di motivazione
raggiunto nel dialogo sino a quel punto. Questo procedimento
viene chiamato, con insistenza, il procedimento del « filo s o fo »

82 101 D 3-5: £t M -cu; aúxrís xrj<; ÓTtoOáaecos í j o l i o , ^otíps-iv ¿cí)r¡s av xai oux «Tioxpt-
vai.0 av xa áit’ ixzívr\(¡ óp¡x7)9évxa axécjmo eí coi áXXriXok; au^ 90úV£Í r) Siacpojvsl.
83 101 D 5 - E 1: e7ü£tSr¡ Se ix.dvr\<; auxr\<; Seoi <xe StSóvai Xóyov, ¿óaaúxo*; av St-
SoÍY];, áXXrjv aü ú-jróGeaiv ÚTtoOép.Evoc r¡xi£ xojv avwQev p£.Xx(axr] cpaívono, eco? ¿til xt
íxavóv &X8oi?.
84 101 E 1 - 102 A 1 ; 101 E 6 s.: aü S’ , tÍTitp et xa>v cpiXoaócpwv, oi^cat av ¿ycib
Xiyco tcoloTi
L A DIFESA A TRE LIVELLI 327

(cpiXóaocpOi;), proprio come, nel Fedro, il « filo s o fo » (qpiXócnxpOG)


é definito dalla sua capacita di attingere alie «cose di maggior
v a lo re » (Ti¡j.iampot). A questo punto é giá noto ad Echecrate che
una tale salita alie m otivazioni dell’ ipotesi delle Idee non ha
avuto luogo nel dialogo con Simmia e Cebete: poco prima Fedo-
ne aveva riferito come Cebete, sempre critico, avesse accettato
senza opporre resistenza Pesistenza delle Idee che Socrate pre-
suppone come punto di partenza per la sua dimostrazione del-
Pim m ortalitá85. É giá perció stabilito che, qui, non si richiederá
a Socrate nessun rendiconto sull’ assunzione per lui fondamenta-
le, e che, allora, egli non dovrá ora, incamminarsi per la strada
che porta verso Pipotesi immediatamente superiore e a quella
adeguata e sufficiente (all’ bcavóv). Ció che, di fatto, Socrate
compie non é altro che «n o n daré alcuna risposta» (101 D 4) alie
nostre (di noi lettori) domande circa un’ ulteriore motivazione
del suo assunto, ed egli si limita alia considerazione di alcune
conseguenze necessarie del suo assunto.
Con ció é giá previsto, anche, che la capitolazione degli scettici
non deve affatto essere senza riserve. Poiché Socrate vuole sol-
tanto mostrare la validitá della proposizione «S e esistono le
Idee, allora Panima é im m ortale», Simmia e Cebete non sono
tenuti ad altro se non ad accettare la connessione caúsale che é
stata sostenuta, e possono mantenere un’ ultima riserva per quel
che concerne Paccettazione della fede nell’ im m ortalitá86. Con
questo, essi non vanno contro le intenzioni del dialettico, anzi
gli danno la possibilitá di indicare di nuovo la condizione che
puó soddisfare il loro desiderio di una conoscenza sicura: « i p o­
stulad di prima, per quanto possano essere giá degni di fede,
vanno comunque esaminati in m odo ancora piü chiaro»; solo
quando essi saranno stati discussi « a sufficienza» Simmia e Ce­
bete comprenderanno e seguiranno Pargomento, per quanto é
possibile a un uomo comprenderlo e seguirlo; ma dopo questo
essi «n on cercheranno niente di ulteriore» (107 B 5-9).
Si é voluto leggere in questo passo il fatto che Pargomentazione
del dialogo porta, in ultima analisi, all’ accettazione della debo-
lezza del pensare umano. Infatti, la fine della ricerca é indicata
appunto per il caso in cui si sia certi di aver fatto quanto umana-

85 100 B 4 - C 2; cfr. sotto, p. 329, nota 93.


86 Formulato da Simmia, 107 A 9 - B 3.
328 «A P O L O G IA » - «C R ÍTO N E» - «FEDONE»

mente è possibile87. Questo, però, significherebbe che chi è in


cerca si tranquillizzerebbe anche qualora «c iò che è umanamen-
tè possibile» non portasse ad una possibilità di rispondere alie
sue domande. N él contempo Socrate ha sempre la convinzione
che Simmia e Cebete «seguirebbero», cioè concorderebbero con
lui sulPargomento a favore delPimmortalità dopo un esame
«su fficien te» delle ipotesi di partenza88. Questo non stupisce, se
si pensa che le «prim e ipotesi» (107 B 5) non possóno essere al-
tro che Pipotesi delle Id e e 89, e che il raggiungimento di ciò che è
sufficiente (txavóv) nel corso dei processo delia ricerca dei fon-
damenti, dove Platone ha presentato il primo accenno alia ne­
cessita di fondare questa ipotesi su delle ipotesi ancora «superio-
r i» (101 D -E), era stato posto davanti agli occhi come una possi­
bilità per nulla dubbia. La fine delia ricerca delia verità non si­
gnifica là coscienza di aver fatto tutto il possibile, anche se non
si è ottenuto nulla — infatti, come si potrebbe esser sicuri di ave-
re davvero fatto tutto il possibile? — , bensi significa solo Paver
basato Pipotesi su un fondamento in grado di sostenerla. M a Ia
critica di Anassagora fatta da Socrate fa conoscere a che punto
egli sarebbe pronto a considerare conclusa la ricerca, ossia nella
realizzazione della conoscenza dei «m e g lio » come causa deter­
minante 90. M a, dal momento che il suo concetto di causa si con-
nette all’ Idea, lo scopo della ricerca sarebbe raggiunto, per lui,
necessariamente con YIdea del B ene91. La limitazione della co-

87 J. Burnet, P la to ’s Phaedo, ed. with Introduction and Notes, O xford 1911, p.


124 (a proposito di 107 B 9).
88 Cfr. Gallop, P la to ’s Ph a ed o..., p. 222: 107 B 7-8 «n on implicano nessuna riser -
va da parte di Socrate riguardo la correttezza dell’ argomento». Un giudizio simile e
espresso, fra gli altri, da Zeller (cfr. sopra, p. 324, nota 78), da Hackforth, P la to ’s
Ph a ed o..., p. 166 e da Friedlander, Platon , III, p. 51.
89 Cosi Hackforth, P la to ’s Phaedo..., p. 141; Gallop, P la to ’s Phaedo..., p. 191 e
p. 222; contestati senza sufficienti m otivi da R. Loriaux, L e Phedon de Platon ,
Comm, et trad., Namur 1975, II, p. 133.
90 97 E 4 - 98 A 2: xat ei' ¡j,oi xauxa (,sc. -co cqjiavov) auocpaivot, irapE.<yxE.uaa^T)v cb$
otjx£tt 7ro0ecj6 fj.e.voc; am a? aXXo elSo?.
91 U n ’ «anticipazione» delle considerazioni della Repubblica, 510 B ss., a proposi­
to delVascesa dalle ipotesi alia apx.r) avu-n:69£.TOi e stato visto in 101 D E - 107 A B
anche da Hackforth, P la to ’s Phaedo ..., p. 141 e p. 166, e da R.S. Bluck, un66sai<;
in the Phaedo and Platonic Dialectic, in «Phronesis», 2 (1957), pp. 21-31, in parti-
colare pp. 26 s. — L ’ ulteriore problema, se il termine xi. ixavov (101 E 1) vada gia
inteso come allusione ad un principio ultimo, non ipotetico, o se esso tndichi solo
l’ ipotesi successiva, che soddisfa I’interlocutore (Robinson, Plato’s Earlier Dialec­
tic, p. 137; Hackforth, P la to ’s Phaedo ..., p. 141; Gallop, P la to’s Phaedo ..., pp.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 329

noscenza a ció che é possibile per Puom o significa dunque, per


Socrate, non giá un accontentarsi di un rifiuto scettico di solu-
zioni, bensi significa solo la convinzione, espressa giá aü’ inizio
del dialogo ( 6 6 B-E), che la conoscenza che Panima avrá della
veritá, quando sará libera dal corpo, raggiungerá un grado di
perfezione piü alto di quello consentito dalle soluzioni raggiun-
gibili su questo m o n d o 92.
L a conclusione della parte argomentatíva del Fedone é costitui-
ta, perció, dall’ idea di giungere ad un punto in cui il continuare a
cercare diventa superfluo. L a preoccupazione per quest’ ultima
meta della conoscenza non puó qui, proprio nel momento prece­
dente immediatamente la morte del filosofo, venire aggiornata
come in altri casi « a un’ altra v o lta » (cfr. 107 A 5). Perció Platone
ha dovuto inscenare con altri mezzi Pinevitabile tener da parte i
motivi piü profondi, come si conviene ai suoi principi di scritto-
re. Platone pretende dagli amici tebani un rifiuto di mettere in di-
scussione Pipotesi delle Id e e 93. Per quanto ció possa sorprendere

190 s.; Loriaux, L e P M d o n II, pp. 106-108), e pero solo un problema apparen-
te: neila presentazione del proprio pensiero, il dialettico non ha bisogno di andare
oltre quel tanto che basta a soddisfare la sete di conoscenza dell’ interlocutore che
egli si trova di volta in volta di fronte; la sua capacita di «soccorso» in ogni elen-
c h o s poggia percio sul fatto che egli non si e fermato prima di aver raggiunto qual-
cosa che lo soddisfacesse personalmente, e questo pud essere solo un principio ulti­
mo, non ipotetico.
92 Secondo Hackforth, P la to ’s Phaedo..., p. 166, Platone «o scilla » a proposito
della questione della raggiungibilita del fine ultimo della conoscenza: « la prima
parte del dialogo sembra suggerire che esso non pud [essere raggiunto], il passo in
questione (107 A B) e la Repubblica sembrano, invece, suggerire che cio e possibi­
le »; M a fra I’inizto e la fine di un dialogo non esiste, naturalmente, un’ «oscillazio-
n e», ma un m oto in avanti; e alia fine si trova proprio la certezza.
93 Simmia la accetta 65 D; 74 B; 92 D E e in particolare 77 A , con sorprendente en-
tusiasmo; Cebete lo fa in m odo un p o ’ piu moderato, 100 C. Le Idee sono, per gli
ascoltatori, TroXu'OpuXrjxoc, 100 B 5. E del tutto fuorviante I’ ipotesi di Hackforth,
Pla to's Phaedo..., p. i42, per cui l ’espressione si spiegherebbe «unicam ente» con
la menzione delle Idee in passi precedenti del dialogo. Una volta e detto ei Iotvv a
QpuXoupiev a d gia in 76 D 6-7, ove le brevi menzioni precedenti dell’ esistenza delle
Idee (65 D ; 74 A B) non potrebbero certo giustificare la drastica espressione 0po-
Xe.lv; inoltre, Socrate rimanda espressamente ad occasioni precedenti (aei xe aXXo-
te, 100 B 1-2). Anche la spiegazione di W . Wieland, secondo il quale con OpuXoujxe-
vov sarebbe costituita semplicemente «la continuity con i dialoghi precedenti e con
la loro probiematica volta alia definizione» ( Platon und die Formen des Wissens,
Gottingen 1982, p. 134; cfr. p. 156) risulta insufficiente. Quello che il Fedone pre-
suppone sin dall’ inizio e, piuttosto, una comunicazione esplicita dell’esistenza delle
Idee intese come entita indipendenti da tutte le cose sensibili (ouaSiycd), ed e pro­
prio questo che manca notoriamente nei dialoghi definitori. — Anche Guthrie, A
History ..., IV , p. 340, nota 2, ha cercato di minimizzare il fatto che l ’ assunzione
330 ¡APOLOGIA» - «C R ITO N E» - «FEDONE:

se si considera il loro scetticismo, altrimenti sempre alPerta, il


vantaggio per la descrizione del dialettico é innegabile: nessun
lettore ragionevole del Fedone si potra illudere di aver avuto la
spiegazione del fondamento ultimativo della fiducia del filosofo
nella m o rte 94. II logos del filo so fo lascia anche qui, lo spazio
aperto ad un ulteriore importante «portare soccorso al discorso»
(ßorjOeiv tcö Xóycp). Tuttavia, proprio con il risparmiare motiva-
zioni concretamente richieste, Platone é stato in grado di tra-
smettere al lettore la certezza che l ’ uomo che finora ha saputo
portare soccorso al discorso in modo cosi brillante sarebbe in
grado di rendere conto in un’ ulteriore interrogazione95. Se la fi­
ducia di Socrate nella morte non deve essere un atteggiamento ir-
razionale — e Socrate impersona nelPintero dialogo la razionali-
tá della filosofía — » essa puo basarsi solo sul fatto che egli sareb­
be in grado di fornire effettivamente la fondazione dell’ipotesi
delle Idee, introdotta senza contestazioni. Tale fondazione, pe­
ro, non gli viene richiesta, e, di conseguenza, egli nemmeno la
fornisce. Comprendiamo, tuttavia, perché luí — e proprio per­
ché lui e non gli «scettici» — tenda alia necessita di una fondazio­
ne ulteriore: in quanto maestro delParte che riguarda i discorsi
(rcepl xou£ Xóyou; %íyyr\)96, egli é sostanzialmente piü avanzato ri-
spetto a tutti i gradi della discussione, e sa, percio, per quale stra-
da dovranno procedere gli altri.

delle idee in 65 D; 67 E ecc., venga accettata come una teoría particolare, e assoluía-
mente non evidente: chiunque avrebbe ammesso che «esiste» qualcosa che si chiama
giustizia. M a Socrate pretende decisamente di piú: il riconoscimento di un «b ello in
sé» che si sottrae per principio alia percezione — e questo non 1’ avrebbe ammesso
nessuno al di fuori dell’Accademia; cfr, J.L. Ackrill, Anamnesis in thePhaedo: Re­
marks on 73 C - 75 C, in: A A .V V ., Exegesis und Argum ent, Festschrift G. Vlastos,
Assen 1973, p. 191: «la te o ria delle form e (é) accettabile per Socrate e per i suoi allie-
vi, manon, chiaramente, p e rl’ uomo della strada».
94 C fr. Gallop, P la to ’s Phaedo ..., p. 97: la teoria delle Idee «n on é difesa in nessun
passo», tuttavia «g li argomenti a favore dell’immortaiita devono necessariamente
restare inconcludenti senza una difesa della teoria delle fo r m e ».
95 D opo una azzeccatissima osservazione a proposito d elP«affinam ento» (cioé del
movimento verso Palto e della gradualitá) delle prove dell’immortalita, Friedländer,
P la to n , III, p. 51, prosegue: « É m otivo di stupore o fá parte della natura del logos
umano il fatto che questo affinamento non raggiunga la pura perfezione?». A nes­
suno é impedito rassegnarsi, come Sirmnia, di fronte alla«debolezza umana» (107 B
1) — ma, come interpret!, dovremmo prima stabilire ancora che l ’ imperfezione deile
prove, che Platone ha chiaramente rilevato, non é in ogni caso, per come Platone ve­
de la cosa, né un «m otivo di sorpresa», né la conseguenza della «natura del Logos
um ano» in generale, bensi é in primo luogo e innanzitutto un postulate del rapporto
filosofico con il logos scritto.
96 Cfr. sopra, pp. 305 ss.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 331

5. Sguardo retrospettivo sulle tre difese. Una difesa scrítta di


Socrate «n e l p ro p rio interesse» non c ’é

Riguardando le tre opere considérate risulta riconoscibile una


«d ife s a » coerente del filosofo, svoltasi in tre occasioni davanti a
destinatari differenti che, secondo i principi di un’ «arte dei di­
scor si» (Xóycov -r£XVTl) filosófica, vengono trattati secondo stra-
tegie diverse e confrontati con contenuti diversi.
M inore é la competenza degli ascoltatori in rapporto con i lo go i
e maggiore é l ’ autoritá che il dialettico chiama in causa a soste-
gno deU’ argomentazione: davanti alia schiera dei cinquecento
giudici, incapaci di filosofare, egli si richiama per il suo agiré ad
un compito divino; l ’ autoritá che sta dietro di lui é quella del
Dio di D elfi. Con Critone, che é alio stesso modo incapace di fi­
losofare, ma che é personalmente benevolo e che ha in parte di-
mestichezza con i suoi pensieri, egli fa parlare le «le g g i», perso­
nifícate e suggestive, dando a loro l ’ autoritá dei genitori e della
patria. Davanti ai partecipanti alPultimo colloquio, che amano
discutere, Túnica autoritá che conta é «la veritá» stessa, che per-
mette di dimenticare serenamente tutte le preoccupazioni perso­
nal!, e anche la imminente morte del filo s o fo 97.
A prima vista, potrebbe sembrare che la progressiva «spersona-
lizzazione» delPargomentazione contravvenga all’ immagine
guida di Platone di un filosofare rivolto alie persone. A d una os-
servazione piü attenta si rileva, pero, che la rappresentazione
dell’impiego del sapere filosofico adeguato alie persone e alia si-
tuazione é il principio superiore, entro il quale soltanto puó ve­
nir formulata in m odo credibile la «spersonalizzazione» del pen-
siero come compito. L a funzione della figura del filosofo e quel­
la dei suoi destinatari é, sotto questo aspetto, schizzata bre­
vemente.
L ’ «a u to ritá » che di volta in volta é invocata ha sempre bisogno
di un rappresentante che possa garantiré per lei. Per mostrare
agli uomini la mancanza di valore della «sapien za» umana, il

97 Questa gradazione non significa che Socrate abbia negato nç\YA p o log ia la mera
ricerca della verità, o che egli, nel Fedone, abbia rinunciato completamente ai mez-
zi non argomentativi per esercitare un influsso sugli altri (basti pensare al mito).
Tuttavia la distribuzione dei peso degli elementi non argomentativi è diversa. In
questo senso il C ritone, nonostante la prosopopea delle Leggi, è piú vicino al Fedo­
ne di quanto non risulti essere VA pologia , come mostra il richiamo alPobbedienza
di fronte al logos piú forte (invece delPobbedienza a D io) (46 B).
332 «A P O L O G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»

D io di D elfi sceglie un «esem p io » (TrapaSei/yiia)98. Tuttavia,


l ’ eletto in questo m odo deve svolgere la sua missione; mentre
«aiuta il D io » " , egli, « s o lo » corne un esempio di qualcosa che
dovrebbe effettivamente essere generale, diventa, di fatto,
sempre più un caso unico isolato, che solo si adegua ail’ esem­
pio, e che, proprio per questa sua distanza dalla massa, viene
respinto da quest’ ultima. N ello stesso modo, le « le g g i» dipen-
dono «d a colui che ha conoscenza» (ETucTru/tov) per il quale,
nel momento del pericolo, le precedenti analogie non hanno
vacillato; ascoltare qu elP «u n o » significa ascoltare il logos e la
verità. Senza di lui, le leggi non avrebbero, per il loro appello
efficace, un portavoce. « L a verità», infine, unico punto di ri-
ferimento dei dialoghi prima dell’ esecuzione délia sentenza,
non potrebbe venire alla ribalta, se si volesse affrontarla «sen­
za Tarte delPargom entazione» 10°; non è senza m otivo che i te-
stimoni délia morte del filosofo temono che il giorno dopo
non ci sarà già più nessuno che si intenda di quest’a r te 101.
Il m odo in cui i destinatari sono fatti parte del dialogo è çhia-
ramente graduato. Il consenso di M eleto e di A n ito è in diffé­
rente per Socrate, altrimenti sempre pronto al dialogo 102. Il ri-
petuto invito ai giudici perché mantengano la tranquillità, ha,
oltre alla ovvia funzione di ricordare in m odo «realistico» la
situazione del tribunale, anche quella di accennare al fatto che,
qui, vengono dette cose a cui gli Ateniesi, per il loro proprio
bene, dovrebbero aprirsi senza interiori opposizioni. Perô, sol-
tanto una parte dei giudici si apre aile parole di Socrate e lo
assolve. D i conseguenza, è solo questa parte, ossia la parte di
coloro che lo hanno assolto (gli à7io<|jr]9 iaàjA£voi.), quella a cui
Socrate si rivolge, quando interpréta l’ avvenimento e dà una
spiegazione, anche se m olto p rovvisoria103, délia sua fiducia
nella morte (A p o lo g ia , 39 E ss.). Quelli invece che lo hanno
condannato (i xaTac[)r|9 t,oà|jLEvoL) sono, si, presenti, anche se so­
lo in parte 104, ma non sono fra quelli cui importi il discorso:

98 A p ologia , 23 B 1: ¿¡ai TiapaSetyiaa iraioù[j.e.voç.


99 A p o log ia , 23 B 7: xiô 0£to ßo7]0 E:iv.
îoo jpedone, 90 B 7: aveu xf^ç izzpi xoùç Xo-fouç •••
101 Fedone, 76 B 1 1 ; si parla qui di Xóyov SiSóvou.
102 A p o lo g ia , 25 B 6 ; 27 B 8 , C 10.
103 Cfr. sopra, pp. 313 ss.
104 In 39 E sembra che i giudici se ne vadano via; Socrate trattiene solo i veri
giudici, coloro che lo hanno assolto.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 333

essi stessi se ne sono esclusi105.


Critone come individuo viene introdotto ripetutamente nello
sviluppo dell’ argomentazione di Socrate ed è addirittura invita-
to a controbattere 106; pertanto, gli spetta un trattamento diver­
so da quello dei «m o lti», al cui m odo di pensare egli è legato.
Tuttavia, quando è ormai risultata evidente la debolezza dei
suoi pur bene intenzionati propositi, Socrate gli dice che egli
può esporre le sue obiezioni (che ancora gli rimangono da fare);
ma egli non potrà piú ascoltare 107.
Diversissimo è il m odo in cui i giovani pitagorici tebani vengono
fatti parte del dialogo. Essi sono in grado di utilizzare l’ invito a
controbattere. Pero, tanto piü essi vengono presi sul serio da
Socrate e tanto maggiore — paradossalmente — si fa il dislivello
che li separa dal vero dialettico. Perciò, proprio in questo dialo­
go si fa sentire in m odo particolare il fatto che anche questo
«so cco rso », il piü impegnativo dal punto di vista filosofico, è
pronunciato nell’ interesse dei «g iu d ic i» 108.
Soltanto una «d ife s a » che Socrate pronunciasse «n el proprio in­
teresse» potrebbe rivelare il m otivo ultimo dei suo «n on corruc-
ciarsi» ([xri a-yavotXTEtv) davanti alia morte che è incomprensibile
per gli altri. Una tale discussione penetrerebbe dentro 1’ ambito
delia dialettica, in cui la fondazione ontologica delFipotesi delle
Idee viene fornita sulla base di una teoría dei Principi, e percor-
rerebbe la strada verso la conoscenza del Bene fino a giungere
alia sua méta, cosa che Socrate non riconosce a tutti i precedenti
tentativi. Anche se, qui, questa strada non viene percorsa, il let-
tore sa che esiste un punto oltre al quale «n on si cercherá piü
nulla ulteriorm ente».

105 Per l'interpretazione di questa svolta dell’ azione cfr. anche Appendice IV, pp.
491 s.
106 Critone, 48 E 1.
107 C riton e, 54 D 2-7; in particolare D 6 : iàv Xéyrjç rcapà xaöxa, ¡j.á"T]v ipzíç.
108 Cfr. sopra, pp. 308 s., 310ss.
XVII. «Simposio»
Chi è r amante e chi è 1’amato?
outoç TtatStxà ¡jiãXXov
auxòç xaOtcjxatai àvx’ ¿paa-coü
222 B 3-4.

1. « E ro tica » com e m etafora p er la filo s o fia

L ’ «e ro tic a » è una delle metafore platoniche centrali delia filo ­


sofia. Ovunque, nei dialoghi, Socrate è «e ro tic o ». La soluzio-
ne delia metafora viene offerta soprattutto dal dialogo che è
stato scritto per celebrare il « filo s o fo » (cpiXóadcpoç). Eros stes-
so, il grande daimon, è necessariamente « filo s o fo » (cpiXóao-
cpoç, 203 D ss.), adoratore delia bellezza e di ció che è piü bel­
lo, della sapienza. A l l ’ «e r o tic o » filosofico viene attribuito il
ruolo che gli spetta e che, altrimenti, egli nasconde dietro un
ironico rimpicciolimento di se stesso: non è lui che, sebbene
cosi sembra a ll’inizio e apparentemente, segue i giovani belli;
piuttosto, è proprio lui che viene «segu ito» da chi è interior­
mente bello. Socrate può far credere di essere P amante, ma,
in ultima analisi, è invece 1’ amato. O, se sostituiamo a «S o ­
crate» ció che il suo nome rappresenta: la filosofia stessa può,
all’ inizio, cercare di conquistare, può comportarsi in modo
protrettico e parenetico; ma, non appena la relazione con lei
diventa seria, essa sa, come Socrate, fare in m odo di essere lei
la corteggiata.
II comportamento erotico è un comportamento comunicativo
guidato da rególe, avente lo scopo di condurre ali’ amato il
giusto amante. II discorso di Pausania, che riflette le conven-
zioni socialmente riconosciute dei ceti elevati om ofili, mette in
luce con insistenza lo sfondo comune dei partecipanti al sim­
posio in casa di Agatone. In questi ambienti era considerato
vergognoso non il cedere alie insistenze dell’ amante, bensi il
CHI È L ’AM ANTE E CHI È L ’AMATO? 335

rivolgersi a un amante indegno, vale a dire: non messo a pro­


va e non esaminato in m odo sufficiente
Se Platone introduce un Socrate che si presenta come «eroti-
co » 2 di fronte ad un gruppo di persone che hanno questo sfon-
do comune, e se egli, alio stesso tempo, vorrebbe vedere filoso­
fía ed erótica come un’ unitá, allora egli invita a giudicare il
comportamento comunicativo filosofico di Socrate sullo sfondo
del comportamento erotico convenzionale. Perció, dopo aver
descritto il m odo in cui nel Sim posio viene presentata la comuni-
cazione filosófica, dovremo chiederci soprattutto questo: quale
ruolo svolge, in questo quadro, 1’ esame preliminare del candida­
to, prima che venga concesso «c ió che è p roprio».

2. L a solitudine intellettuale del dialettico

A differenza di tutti i dialoghi sin qui considerati, nel Simposio


manca una cosa: la ricerca in comune. Questo puó risultare sor­
prendente solo per quel tipo di interpretazione di Platone che
fraintende il platonico «cercare insieme» (au^xeív), intendendo-
lo come reciproca apertura esistenziale. M a in base alPimmagi-
ne che del dialettico offro n o invece gli altri dialoghi, ci si doveva
aspettare, piuttosto, che lá do ve la persona di Socrate diventa il
tema centrale, retroceda ogni aspetto di comunanza con gli altri,
e che, invece, venga meglio in risalto la sua unicitá.
Giá Pazione presentata nella cornice sottolinea la solitudine in­
tellettuale del dialettico: prima di entrare in casa di Agatone,
Socrate resta indietro per riflettere in solitudine3. N on si fa
scrupolo di lasciare che gli altri lo aspettino. A g li altri questo
comportamento appare, dapprima, strano e quasi inaccettabile;
ma, alia fine, lo accettano4. Quando egli da ultimo arriva, A g a ­
tone esprime la convinzione che Socrate abbia «tro v a to » ció che

1 Descrizione delle convenzioni ateniesi sulla pederastía 182 D 4 ss, A proposito


dell’idea dell’ esame cfr. 183 E 6 -184 A 2: toútou<; Srj PoúXexai ó T\\i.í-ztpoq \>ó\Loq eü
xai xocXác (3aaavtCe.LV, xat idiq [xev '/apíaaaBai, tou? Se óiacpeúyeLv.
2 177 D 7: oc oúBév cpmt áXXo ETtícrcaa&at r¡ xa Ipam xá, cfr. 193 E 5; 198 D 1-2.
3 174 D 4 -175 B 3.
4 É caratteristica la reazione dell’ ospite di Agatone: atorcóv -y’ , scpr¡, Xéyea;' ou-
xouv xaXet? auxóv xaí á(pr¡atiq (175 A 10). II fatto che i non filosofi non vogliono
«lasciarsi scappare» il filosofo ricorda il m otivo conduttore della Repubblica (cfr.
sotto, pp. 355 ss.). É chiaro fin dalPinizio chi ha effettivamente bisogno e di chi.
Ap ollod oro si impone perché lascino stare Socrate (ia x t aüxóv, 175 B 1).
336 «SIMPOSIO»

cercava, perché, altrimenti, non sarebbe certo ven u to5. Socrate


non si oppone assolutamente a quest’id ea 6. Giá prima delPini-
zio della conversazione, vediamo Socrate come Puomo che met-
te nel dialogo ció che ha ottenuto con sforzo personale. La de-
scrizione della precedente riflessione di Socrate concretizza ed
evidenzia nello schema drammaturgico il risultato cui ha porta-
to sempre Panalisi strutturale: non esiste nessun dialogo in cui il
dialettico non possa rifarsi ad un teorema giá stabilito, e non da
sviluppare alPinizio del d ia lo g o 7.

3. D u e tipi di discorsi filo s o fic i: il discorso « socrático» con


A gatone e Vinsegnamento appreso da Socratepresso
D iotim a

II simposio in casa di Agatone si configura, su richiesta di Fedro


e di Erissimaco, come una sequenza di discorsi sull’ Eros. L a co-
munanza che lega tra loro questi discorsi in sé conclusi, é la co-
munanza delPagone. Benché non sia in palio alcun premio,
ognuno, in generale, conta su un confronto dei discorsi che met-
ta in luce il piü valido, e cerca di riferirsi al discorso di chi lo ha
precéduto correggendolo, percio volendolo superare8. L a gara
unisce certamente i partecipanti nelPorganizzarsi in m odo da ot-
tenere lo scopo comune, quello di elogiare Eros; tuttavia la re­
gola delPagone impone anche stretti limiti alia comunanza; i di-

5 175 D 1-2: SrjXov y áp o tt 7iSpes a ú ió x a í oú yáp av TCpocOT&axris.


6 Invece, con un’osservazione scherzosa sull’idea di una trasmissiohe «meccani-
c a » della conoscenza (175 D 3 - E 2), egli fa risuonare il problema di fondo che vie­
ne trattato nell’ altro dialogo sull’ Eros, nel F ed ro, nelFambito della critica dello
scritto.
7 Naturalmente, ci saranno interpreti che assicureranno appassionatamente che la
riflessione di Socrate non ha necessariamente qualcosa a che fare con la sua con­
sueta superioritá nella discussione: il Socrate platónico filosofa sempre sull’ ispira-
zione del momento (cfr., in proposito, Appendice IV ); Platone avrebb.e voluto solo
fissare un dettaglio biográfico (in sé senza valore) della vita del suo maestro. Secon-
do la nostra interpretazione non c’ é posto, in particolare alTinizio del dialogo, per
meri ornamenti di questa ampiezza, data la concentrazione drammatica del ritratto
platonico del dialettico. — A proposito della ripresa del m otivo della riflessione in
solitudine in 220 C, cfr. sotto, p. 351.
8 Giá all’inizio Socrate cita lo svantaggio in cui si troverebbe chi parla per ultimo
(Agatone e lui stesso) rispetto a chi ha parlato prima (177 E 3). C fr. 194 A 1 xaXtó^
rpfíóviaai, e la menzione del teatro (A 6), che fa pensare alie gare fra poeti, inoltre
198 A e la scaramuccia fra Erissimaco ed Aristofane in 189 A B. Critica dell’ orato-
re precedente 180 C; 185 E s.; 194 E 5; 195 A 8 ; 198 E; 201 B; 205 D E.
CHI È L ’AM ANTE E CHI È L ’AM ATO? 337

scorsi epidittici non sono adatti a condurre i partecipanti all’ o-


mologia.
L e due sezioni dominate dalla figura di Socrate sembrano voler
porre rimedio a questa mancanza. Í 1 lettore puó pensare in un
primo momento di ritrovare qui il consueto «ricercare insieme»
(au£r)T£iv)._Dopo il discorso di Agatone, Socrate puó finalmente
fare ció che giá da tanto voleva fare, ma che gli era stato impedi-
to (194 D -E), rivolgere, cioé, domande ad Agatone (199 C - 201
C); súbito dopo, racconta come egli stesso sia stato istruito da
D io tima sulPamore in form a di domanda e risposta (201 D - 212
C).
L ’ elogio dell’ Eros di Agatone era partito dall’ essenza del Dio:
egli é il piü felice degli Dei, perché é il piü bello e il m igliore9.
NelPesame a cui Socrate sottopone le sue tesi Agatone deve riti-
rare tutte e due queste caratteristiche attribuite al D io: «sembra,
o Socrate, che io non sappia nulia di ció che allora dissi» I0. So­
crate non adduce una corrispondente conferma del proprio non-
sapere. N on é, quindi, chi non sa che controbatte a chi si crede
sapiente. A n zi, giá prima deiV elenchos di Agatone Socrate ave-
va dichiarato che avrebbe detto « la veritá» sull’Eros 11: egli, per-
ció, la conosce. II vantaggio di Socrate nel sapere, che questa
volta non viene né negato irónicamente né nascosto sotto ma-
scheramenti, si fa ben notare nel m odo autoritario di condurre
Velenchos: egli piü volte prescrive ad Agatone la risposta 12, lo
ammonisee di tener a mente un risultato 13, giudica le sue rispo-
ste calzanti oppure le critica in quanto insufficienti u; soprattut-
to non fa segreto del fatto che egli stesso sostiene con insistenza

9 195 A 5-7. Descrizione della bellezza del dio 195 A 7 -196 B 3, della sua virtü 196
B 4 -197 B 9.
10 Ritrattazione della bellezza di Eros 201 B 11, delia sua virtü (come possesso de­
gli àyaôá) 201 c 6 .
11 199 B 3: TiEpi "Eponoç xakr\§f\. Cfr. 198 D 3: ¿Sfxev Setv xáXr¡Qf¡ Xéyetv (Socrate
si sentiva in grado di compiere questo fin dall’inizio), inoltre 199 A 1-2: solo a chi
non sa Eros appare come « i l piü b e llo » e « il m igliore», o¿ yap 8r¡7iou touç ye eíáó-
atv; c o sí puó parlare solo 1’ s.l8 có<;.
12 199 D 5-6: tínzç av'Sf¡7uou piot, ti ¿(3oúXou xaXtòç <x7uoxpivaa6ai, o n ... La sotto-
lineatura della «giu stezza» di una risposta nelFambito dell’ esempio induttivo non
lascia scelta ad Agatone per la sua risposta. Analogamente 200 D 6 .
13 200 A 1: çúXa^ov rcapà cau-ctõ.
14 200 B 4: xaXü>ç 201 A 8 : xat £7rL£txâjç ye Xé^eiç. A Socrate non è suffi-
ciente l ’ accordo espresso da «probabilm ente», 200 A 7; quello che egli dice a pro­
posito di Eros è necessariamente corrispondente alia realtà delle cose.
338 «SIMPOSIO»

una determinata concezione del desiderio (e quindi d elP E ros)15.


D opo aver perció guidato con sicurezza magistrale la conversa-
zione al risultato desiderato, egli inizia la ritirata nella modestia:
Agatone potrebbe contraddire fácilmente lui, ma non la
veritá 16.
II m odo eccessivamente autoritario di condurre il dialogo, da
parte di Socrate, che non ha lasciato spazio nemmeno ad un’ap-
parenza di paritá fra gli interlocutor!, riceve una spiegazione
sorprendente all’inizio del secondo capitolo dialogico: ció che
qui Socrate ha fatto con Agatone é stata solo una ripetizione
idéntica di un elenchos precedente, in cui lui stesso era stato li-
berato dalle sue idee sbagliate suIl’Eros dalla veggente Dioti-
m a 17. Mediante l ’ introduzione di questo personaggio, Socrate é
reso in certa misura come colui che non sa, poiché ció che egli ha
ora detto e quanto ancora dirá non é certo — cosi sostiene —
espressione della sua sapienza. L a distanza fra la superioritá del
dialettico e la mancanza di soccorso del non-filosofo, la quale
ha assunto dimensioni che non si confanno al tono affabile del-
l ’umanitá attica, non appare piú, ora, come opera di Socrate, e
puó perció essere ancora sviluppata sotto il nuovo travestimento
mitico. Nel suo racconto di Diotima, Socrate prende il posto fi-
nora occupato da Agatone, mentre l ’ indovina lo istruisce dalla
sua posizione superiore, conscia del proprio vantaggio nel
sapere.
A prima vista la parte di Diotim a potrebbe far l’effetto di un ve­
ro e proprio dialogo socrático con una nuova figura nel ruolo
dominante. U n ’ osservazione piú precisa rivela, pero, un nuovo
tipo di comunicazione filosófica, che per piú di un aspetto si dif-
ferenzia dal caso nórmale, realizzato nei dialoghi in modo
dramm atico-dialogico.
In primo luogo, la parte di Diotima riporta il risultato di ripetuti

15 200 B 1: £[j.oí ¡iiv yáp 0au|i.aaT¿úc; BoxeI (cioé: che chi desidera, desidera ció che
non possiede).
16 201 C 8-9. L ’ ambiguitá di questa asserzione — che puó essere letta come la dis-
sociazione della figura di Socrate dalla veritá, pero anche come una form a piü sot-
tile di fusione di entrambe — é idéntica a quella di Fedone, 91 C.
17 201 E 3-7: o%thov yáp t i xa i iyco 7tpós auxrjv tzzpct Toiaika eXeyov olántp vuv
rcpóc; £[ii ’AyáQtov, a>¡; et'r] ó ’ Epcos jx£ya<; 0eó?, elrj Se xüv xa\£>v TÍXeyxE- $r| [ae
toútolí; Xóyou; otcntep ¿yco toutov, coi; oute. xocXót; zir\ xatá tov e.pt.óv Xóyov ouxe
áya9Ó£.
CHI É L ’AM ANTE E CHI É L ’AMATO? 339

colloqui sullo stesso tema fra Socrate e l ’ indovina 18. I dialoghi


invece — e anche il presente — sono, senza eccezioni, resoconti
di singoli incontri o di serie di dialoghi con interlocutori e su te-
mi d iversi19. In secondo luogo, in questi dialoghi, con netta dif-
ferenza anche rispetto alYelenchos di Agatone, Pinterlocutore
superiore non é chi fa le domande, bensi é colui che é meno pro-
gred ito 20. L a sapiente indo vina, invece, alie demande di Socrate
fornisce in risposta un insegnamento positivo in modo autore-
vole, senza esitare e senza addurre come pretesto il non-
sapere21.
In terzo luogo, questo insegnamento che si ripete rivolto a So­
crate, ávido di sapere, non é qualcosa che si verifica per caso
(quasi come se ci si fosse incontrati spesse volte per strada e non
si avesse altrimenti nessuna áa^oXía), ma viene presentato come

18 Socrate definisce <pot-cav (206 B 6) il suo rapporto con Diotima. Socrate e Dioti-
ma hanno «spesso» discusso sul fine di Eros ( 7ioXXáx(.¡; tb¡xoXoy7Íxa|j.£,v, 207 c 9),
cosa che in 201 E s. appare riassunta in un evento verificatosi una sola volta. In 207
A 5-6, l ’imperfetto e Pottativo iterativo denotano i colloqui protrattisi con regola-
rita, dai quali, in seguíto, verrá richiamata un’ occasione particolare: xaCxá xe oúv
mxvxa l§íSaax£ [ae, qtióxz 7tepl xá>v éparaxcov Xóyou<; 7totouo, xaí tcote r¡pzxo* T í
otei, w £á>xpv.xec, ...
19 I due discorsi di Ippia non sono concepiti come inizio e proseguimento. Nel C ri-
tone, Socrate si rifa a precedenti om ologie (cfr., in proposito, sopra, pp. 318 ss.)
senza che si parli, in questo caso, di un SioácrxE.iv regolare. Tim eo e Crizja erano
stati concepiti come parti di una tetralogía con quattro relatori su quattro temi di­
versi. Anche in Teeteto - Sofista - P o lític o (- F ilo s o fo ) mutano le domande, chi do-
manda e chi risponde. Tuttavia questa serie di dialoghi é quella che si avvicina di
piü ali’insegnamento filosofico della sezione di Diotima.
20 Nonostante la confutazione della sua risposta, completamente sbagliata (201 E
6), Socrate chiede ancora senza perdersi d’ animo: egli vuol sapere se, allora, Eros é
brutto e cattivo, dal momento che non é né buono né bello (201 E 8 ); se Eros é m or­
íale, dal momento che Diotima non lo ritiene un dio (202 D 8); quale sia la funzione
di un demone (202 E 2); da dove provenga Eros (203 A 9); chi, allora, filosofi, se
non lo fanno né i sapienti né gli irragionevoli (204 A 8); e, infine, chiede un chiari-
mento sulla natura di Eros, e su quale sia, dunque, la sua utilitá per gli uomini (204
C 7-8).
21 Le risposte alie domande elencate alia nota 20 non sono mai introdotte «maieu-
ticamente». Diotim a stabilisce partendo da se stessa di che caso si tratti, ad esem-
pio che il Bene é l ’unico scopo della tensione e del desiderio umani (205 E s .): que­
sta é la sua concezione (ó Xóyoi;), che viene enunciata per correggere opinioni
altrui. La superioritá di Diotima si aw erte fin dall’inizio: essa ride per una risposta
di Socrate e dichiara essere facile quello che per lui é incomprensibile (202 B 10, C
6). C fr. anche sotto, nota 23. N otificazioni come ¿yw gol, ecpirj, ¿pw e eyeó, fj 8 ’ r],
aacpéoTspov ¿peo (206 B 7, C 1) allontanano l ’ idea che Diotima possa addivenire, per
mancanza di conoscenze proprie, ad una ricerca comune (come fa Socrate, ad
esempio, in Gorgia, 506 A 3-4).
340 «SIMPOSIO»

un desiderio programmato di imparare da parte deH’ «a llie v o » e


come lezione della «m aestra». II dislivello di sapere è espresso
chiaramente da entrambe le parti e riconosciuto senza risenti-
m en to22. E, in quarto luogo, la maestra considera il superamen-
to del dislivello come una ascesa gradúale, che deve essere com-
piuta secondo il m odello deiriniziazione progressiva ai
m isten 23.
Se Diotim a è la mistagoga dell’ erótica filosófica, ci si deve chie-
dere come sia circoscritto il ruolo delle altre figure del dramma.
Socrate, evidentemente, è Piniziando che è stato trovato degno,
e questo si riscontra giá nell’ esclusione della casualita dei dialo-
ghi che hanno via vía luogo. Secondo il senso delle argomenta-
zioni del Fedro, in cui la dialettica viene intesa, alio stesso tem­
po, come un processo di intesa che dura a lungo fra un «sapien­
te » e un «discente», Socrate sarebbe, di conseguenza, P«anim a
adatta» (<|>uxn 7Tpoar)xouaa) che si cercava. Comunque, il rap-
porto fra Piniziato e colei che inizia ai misteri è dipinto sempre
in m odo ironico. Un Socrate come destinatario ammiratore di
una sapienza a lui estranea, non risulta, comunque, presentato
da nessuna immagine convincente. II culmine dell’ ironia nella
descrizione del rapporto maestra-allievo, viene raggiunto lá do-
ve piü diventa univoca la terminologia mistérica: Diotim a dubi-
ta sul fatto che Socrate sia adatto a passare al grado superiore
delPiniziazione — xà xeXea xal ¿-rcoTmxá (209 E s.) — . M a, dal
momento che essa prosegue immediatamente, resta solo la se-
guente alternativa: o non è lei la vera personificazione della dia­
lettica, o Socrate non é, poi, un cosi dubbio iniziando.

22 206 B 5-6: ou ¡jievxav ai, i'cprjv eycó, <£> Atóxica, ¿GctújjLot^ov ¿til aocpta xcá icpoixwv
uapà aè aùxà xaûxa [j.a0ritjó[x£voç. 207 C 5-6: àXXà SLà xaûxoc x o i , <ï> Aioxi[j.a, Oîtep
vuvSt) SÍ7IOV, mxpà cri 7]xto, yvoùç oxi BiSaaxâXtov Séo^at. 201 D 5: r¡ 8t¡ xat ¿¡aè xà
èpcoxtxà èBtSaÇev, 207 A 5 s. (testo alla nota 18).
23 209 E 5 - 210 A 2: Taûxa [Jtèv o£>v xà èpcoxixà íotoç, ¿o Hcôxpax£ç, xav aù ¡j.u-
7] 9&ît]ç- xà Sè xéXe.a xat èîroTtxtxà, ¿ v evexk xat xaûxa eaxtv, iáv xiç ópQcõç [A£x£t],
oùx ol8 ’ st oíóç x’ av êÎVjç. L a m etafora dei misteri domina in tutto il passo seguen-
te: c’ è una persona che introduce gli iniziandi (ó rpfoújxevoç), 210 A 7; guida e pro­
gresso autonomo Tuna accanto all’altro, 211 C 1 : luí xà spomxà tévai r¡ útc’ aXXoç
àyeoQat. L o scopo è un «guardare» che rende beato colui che guarda (211 D ), l ’ og-
getto della visione è presentato con evidente analogia all’improvvisa comparsa del­
la luce nei misteri eleusini. — Chr. Riedweg nella trattazione Mysterienterm inolo-
gie bei Pla tón und P h ilo n yon Alexandria (Berlin 1987), ha esaminato le analogie,
precise fin nei dettagli, fra la realtá dei misteri eleusini e la lingua mistérica di
Platone.
CHI É L ’AM ANTE E C H IÉ L ’AMATO? 341

N on é difficile scegliere l 5alternativa. Richiamiamo alia memo-


ria come Socrate é en trato nel ruolo deirallievo, deirallievo for-
se non adeguato. Egli aveva interrotto Velenchos di Agatone,
asserendo di essere stato guarito hii stesso, una volta, da Dioti-
ma, dagli stessi errori e con gli stessi argomenti, e invece di pro­
seguiré il dialogo con Agatone, egli racconta del modo in cui era
continuato il suo elenchos per lu i24. Questa transizione implica
due cose. In primo luogo, la ripresa dei lo g o i di Diotim a in una
situazione differente deve essere, comunque, giudicata nella
prospettiva di F edro 276 E s., in cui si dice che «la persona ade-
guata» tro verá il m odo di utilizzare i lo g o i vi vi, ricevuti dal dia-
lettico, autónomamente — e non, quindi, come morto sapere li­
bresco — e di «venire in soccorso» dell’ autore dei logoi. La fin-
zione poética di un insegnamento attraverso Diotima e la riusci-
ta afferm azione di ció che egli ha imparato da lei contro le opi-
nioni differenti di Agatone rivelano Socrate come 1’ «anim a
adatta» 7i;poanf|xouaa). In secondo luogo, l’ equiparazione
dei due elenchoi, di quello appena condotto e di quello immagi-
nato, comporta che il dialogo di Agatone vada inteso come fase
preparatoria del dialogo di Diotima. II procedimento negativo
basato sulYelenchos di questo dialogo é in proporzione all’ inse-
gnamento positivo tramite Diotim a come la «pu rificazion e»
(xá 0 apat$) necessaria prima di ogni iniziazione, é in rapporto al-
Tiniziazione stessa. Insieme alia bipartizione dell’ iniziazione
(209 E - 210 A ) si ottiene una struttura tripartita: alia «pu rifica­
zio n e» preparatoria hanno fatto seguito i «piccoü misteri» che
hanno il compito di istruire, e a questi, dopo una chiara cesura,
son seguiti i «grandi m isteri», che non possono, pero, completa­
re la visione beatificante — abbiamo infatti a che fare con un
puro e semplice resoconto, e per giunta in form a scritta — , ma
che possono, pero, rappresentarla, per cosi dire, dalFesterno, e
preparare ad essa25.

24 201 D 1 - E 7; testo di E 3-7 sopra, nota 17.


25 ra Se xéXeoí xaí e7io 7m x á (201 A 1) comprende il livello piii alto, che ad Eleusi
era anche detto xa ¡líyáXa. ¡jiuaxripta. (Ricaviam o che e7ro7rx&ía era il livello piú alto
ad esempio da Plutarco, D em e trio , X X V I, 2; la terminología di Plutarco in altri
punti corrisponderebbe difficilmente a quella ufficiale: quelli che egli chiama i
«p iccoli m isteri», sarebbero la 7cpoxá0apai£, quelli che per lui sono i «g ra n d i», cor*
risponderebbero a quelli del livello medio — altrimenti detti «piccoli misteri» — ;
cfr. Riedweg, Mysterienterminologie bei Platón ..., cit.). Dal momento che Platone usa
l ’espressione xa [i.syáXa / xa a¡j.ixpá ^.&¡ji.víja9at per gli eventi del dialogo del Gorgia
342 «SIMPOSIO»

Delle due svolte di