Platone e la scrittura
della filosofia
Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza
e della maturità alla luce di un nuovo
paradigma ermeneutico
Introduzione e traduzione di
G io vanni R eale
V IT A E PENSIERO
Pubblicazioni della
Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano 1988
Pubblicazioni del
C E N T R O D I R IC E R C H E D I M E T A F ÍS IC A
Introduzione 45
I. «Fedro». La critica délia scrittura 53
II. «Fedro». Lo svolgimento dei dialogo 73
III. «Eutidemo». La beffa di Socrate sulla «segretezza» 101
IV. Il «soccofso al logos» come principio strutturale dei dia
logo platonico 121
V. «L e Leggi», libro X. Il superamento come essenza dei
«soccorso» 127
VI. «Ippia Minore». Chi inganna e chi è ingannato? 135
VII. «Ippia Maggiore». Socrate e il suo sosia. 149
V III. «Eutifrone». Inversione di marcia poco prima délia mèta 168
IX. «Liside». Il dialettico e i ragazzi 179
X. «Carmide». Il giovane e il «cattivo ricercatore» 190
XI. «Lachete». Il maestro si sottrae agli allievi 217
X II. «Protagora». Il sofista è migliore rispetto al suo libro? 228
X III. «Menone». La tendenza ad allontanarsi davanti ai mi-
steri 250
XIV. «G orgia». L ’interlocutore ideale e i piccoli misteri 264
XV. «Cratilo». Il sapere segreto dell’eracliteo 283
XVI. «Apologia» - «Critone» - «Fedone». La difesa a tre livelli 298
X V II. «Simposio». Chi è l’ amante e chi è l’amato? 334
X V III. «L a Repubblica». Non farsi scappare il filosofo. 354
Osservazioni conclusive 416
8 SOMMARIO
Appendici
I. La teoria moderna della forma del dialogo 423
II. II significato di auyypoc^fjia 463
III. Sulla «Lettera V II» 472
IV. Su alcuni passi platonici che sembrano suggerire una in-
terpretazione antiesoterica 489
V. La critica della scrittura espressa nel «Fedro», 274 B 6
- 278 E 3. Testo e traduzione 494
VI. Approfondimenti e implicanze gnoseologiche della cri
tica della scrittura nella «Lettera Y II», 340 B 1 - 345
C 2. Testo e traduzione 506
Bibliografía e indici
I. Letteratura citata e utilizzata 521
II. Indice dei termini greci esprimenti le idee-base di que-
st’opera 531
III. Indice dei principali concetti 532
IV. Indice dei nomi e dei passi degli autori antichi citati ol-
tre Platone 536
V. Indice dei nomi degli autori moderni citati 539
VI. Indice analítico della materia trattata 543
Introduzione di Giovanni Reale
dialoghi, giá a partiré dai primi, non siano se non una precisa at-
tuazione e concreta espressione delle idee di base di questa gran
diosa autotestimonianza, che non é affatto una tarda riflessione
di un autore esperto e forse ormai rassegnato, ma, appunto, é la
convinzione di fo n d o che ha guidato tutta la sua attivitá di scrit-
tore e di filo s o fo .
Dunque, la prova che emerge chiaramente dalle analisi di Szle-
zák incentrate soprattutto sui dialoghi della giovinezza e della
maturitá (pero con una cospicua puntata anche sul décimo libro
delle L egg i), é la seguente: P la t one, dal prin cip io alia fin e della
sua opera, ha messo in atto i concetti base della critica della
scrittura e della concezione del filo s o fo quali aveva espresso ap
p u n to neirautotestimonianza del Fedro.
L a «critica della scrittura» del Fedro é ben lungi dalPessere una
teoría del dialogo in generale inteso come adeguato strumento di
comunicazione indiretta della filosofía, come Schleiermacher ed
altri con lui hanno inteso, ma é, senza eccezioni, una critica di
tutte le fo r m e della scrittura (e, quindi, anche del dialogo scrit-
to), a causa della strutturale debolezza che ogni fo rm a di scrittu
ra ha per la comunicazione della conoscenza. Di conseguenza, la
«critica della scrittura» presentata nel Fedro é una inequivocabi-
le afferm azione di una netta preminenza dell’ oralitá.
A d un tempo, pero, questa autotestimonianza puntualizza, in
positivo, anche il m odo in cui il filo s o fo , com e dialettico, faccia
uso dei suoi discorsi (scritti e orali) p er comunicare la conoscen
za filoso fica , e p e r raggiungere la medesima.
I termini della contrapposizione che Platone istituisce fra il di-
scorso scritto e quello orale sono ben noti: il discorso scritto (an
che se fatto da chi sa) resta immobile e privo di vita, é mera im-
magine sbiadita del discorso orale, non é capace di creare la me
moria ma solo di richiamare alia memoria cose apprese per altra
via, crea pura dossosofia ossia pura conoscenza opinativa e
quindi non chiara e instabile, non sa parlare con chi bisogna
parlare o tacere con chi bisogna tacere, non é in grado di portare
«so cco rso » a se medesimo; il discorso orale di chi sa é, invece,
vivo, capace di comunicare conoscenze chiare e stabili, sa con
chi bisogna parlare e con chi bisogna tacere, sa portare adeguato
«so cco rso » a se medesimo. Inoltre lo scritto é un «g io c o », con-
dotto mediante mere narrazioni di storie e puó essere, quando
venga fatto con giusta arte, anche bello; il discorso orale impli-
IM PO R TAN ZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 15
ne dice, appunto, che un aúyypafjifxa sulle cose che per lui sono
di maggior valore, ossia sui Principi primi e supremi, non solo
non c’ è, ma non ci sarà mai (341 C 4-5). Il che significa un ver-
detto categórico contro l ’autarchia degli scritti.
E a questo punto, per salvare il paradigma tradizionale e artico-
lare questo controfatto in m odo da togliergli proprio la «con tra
rié té », è stata proposta questa soluzione: i auyypajx^axa sono
manuali, scritti dottrinali sistematici e non coincidono con i dia-
loghi. Pertanto, ció che Platone ha detto contro lo scritto non
puó valere contro i dialoghi, ma solo contro gli scritti sistematici
in form a manualistica.
È appena il caso di ricordare che la soluzione di questo proble
ma ha convinto quasi tutti, compresi studiosi — ricorda Szlezàk
— délia statura di Jaspers, Düring, Gadamer, Guthrie, e molti
altri ancora. Ció non deve stupire, e chi rileggerà i rilievi che sul
la base dell’ epistemología di Thomas Kuhn abbiamo fatto nel
nostro P la ton e, si renderá perfettamente conto che questo rien-
tra nel tipico procedimento dell’ evolversi delle ricerche sciéntifi-
che, secondo i suoi canoni e i suoi ritmi. Infatti, quando un pa
radigma ermeneu tico ha guadagnato Padesione délia comunità
scientifica, articola i fatti e le catégorie concettuali con grande
inventività ed efficacia, fino a che il paradigma non venga ad
esaurirsi nel suo complesso.
M a anche su questo punto Szlezák apporta uno dei suoi più co-
spicui contributi, dimostrando l ’impossibilità storica oggettiva
di articolare il fatto di cui stiamo parlando in quel m odo, per il
m otivo che già gli autori antichi hanno chiamato il dialogo p la
tónico p ro p rio con il termine avjypocjjijjia (addirittura 1’ aut ore
della Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone), e dimostran
do inoltre che auyypa^pia non vuole affatto dire «trattato dot-
trinale», «manuale sistemático», come comprova Puso che gli
autori greci fanno di questo termine.
Le pagine che concernono questo complesso e importantissimo
problema si troveranno soprattutto nelle appendici (particolar-
mente nelPAppendice 11, passim). Szlezák ha scelto questo crite
rio, al fine di tenere un poco al margine la Lettera V II, perché la
tesi di fon do del suo libro reggerebbe perfettamente anche se,
per ipotesi (naturalmente, data ma non ammessa), la Lettera
V II, accettata ormai da quasi tutti gli studiosi come autentica,
tornasse ad essere atetizzata (cfr. Appendice III).
IM PO R TANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE 23
M a giá nel capitolo sul Fedro egli rileva assai bene che il concet
to di «m an u ale» é del tutto estraneo alia critica della scrittura,
dove si parla, invece, di due tipi di ben distinti «discorsi»: quelli
scritti in generale, da un canto, e quelli orali, dall’ altro, i primi
scritti su rotoli di carta, i secondi, invece, scritti nelle anime. Or-
bene, nello scritto in generale di cui tratta il F ed ro, entra tutto
ció che in Grecia era stato composto per iscritto, e non solo in
prosa, ma altresi in poesia, senza alcuna eccezione. Evidente
mente, in una critica alia «scrittura» cosi globale come é fatta da
Platone nel Fedro, rientrano senza possibilitá di dubbio anche i
dialoghi (addirittura Platone fa cenno persino alia trattazione
della Repubblica, come di recente é stato dimostrato su precise
basi filologiche). Per non rientrare nella critica della «scrittu
ra », i dialoghi dovrebbero essere qualcosa che si differenzia da
ogni form a di scrittura, sia in poesia sia in prosa, il che é, ovvia-
mente, impossibile.
N elle appendici, poi, Szlezák dimostra che in greco auyYpocfjifjia é
qualcosa che non si oppone affatto al dialogo in nessuno dei te-
sti pervenutici, bensi al poem a, scritto in versi. Talora aúyypa¡x-
[xoc indica (perfino in Platone, Leggi, 858 C 10) addirittura an
che lo scritto in poesia. Perianto, si verifica proprio il contrario
di quella restrizione che si richiederebbe, invece, come necessa-
ria per eliminare quel controfatto di cui stiamo parlando.
Oltre alia Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone, Szlezák ri-
porta altri autori greci, alcuni dei quali molto dotti e informati,
che indicano i dialoghi di Platone appunto con il termine aúy-
YpapLfxa, come Isocrate, Diogene Laerzio, Temistio e Proclo,
nonché M arcellino e Filone di Alessandria.
D opo tutto questo, l ’ afferm azione che Platone fa nella Lettera
V I I si impone veramente come categórica: « .. . si deve conclude-
re che, allorché si vedono opere scritte di qualcuno, siano leggi
di legislatore o scritti di qualsiasi altro genere, le cose scritte non
erano, per questo autore, le cose piü serie, se egli é serio, perché
queste stanno riposte nella parte piü bella di lu i» (344 C 3-7). E
questo significa che, sulle cose «piü serie», chi é «s e rio » non
compone degli scritti; e, si badi, non solo non compone scritti di
un certo genere, ma di qualunque genere essi siano.
L a «scrittura» della filosofía dei dialoghi di Platone si pone,
dunque, in maniera non differente rispetto a quella in cui si po
ne ogni form a di scrittura, entro quei precisi limiti stabiliti da
24 GIOVANNI REALE
vol. II, p. 4 15) di Theodor Gomperz, che sul finire dell’ Otto-
cento, nei suoi celebri Griechische Denker, riassumeva in una
maniera veramente emblematica questa istanza: «Accordiam o-
ci per un momento il lusso di un bei sogno. Supponiamo che
uno degli intimi di Platone, per esempio suo nipote Speusippo
(...), avesse fatto quello che non gli avrebbe richiesto più di un
quarto d ’ ora dei suoi ozi, e ehe lo avrebbe reso inestimabil-
mente benemerito delia storia delia filosofia: ehe avesse, cioè,
segnato su una tavoletta Pelenco, per ordine di data, degli
scritti di suo zio, e ehe una copia di tale elenco fosse pervenuta
fino a noi. Possederemmo, in tal caso, 1’ ausilio migliore per lo
studio dello svolgimento spirituale di P laton e» (traduzione ita
liana, Pensatori greci, vol. I l l , p. 49).
Ebbene, la critica della scrittura ehe fa Platone e il suo giudi-
zio circa la limitata portata delia capacità delia scrittura di ai-
tuare la comunicazione dei messaggio filosofico nei suoi punti
essenziali, rovescia le conclusioni di coloro ehe hanno puntato
sul canone ermeneutico storico-genetico, e ehe Gomperz rias-
sume nel passo riportato.
In effetti Platone non ha mai avuto 1’ intento «d i consegnare
alia scrittura il punto estremo dei pensiero ehe egli aveva di
volta in volta raggiunto» (p. 416), proprio a m otivo dei suo
giudizio negativo delia scrittura sui rotoli di carta, e quindi
non c’ è stato per lui alcuno stimolo a pubblicare, e meno ehe
mai un bisogno di pubblicare quale Puom o di oggi sente; anzi,
egli senti alcuni stimoli esattamente opposti a quelli che 1’ uo-
mo moderno prova. Scrive Szlezák: «S e Platone non era co-
stretto a pubblicare il più velocemente possibile il risultato di
volta in volta più recente — se, in altre parole, non stava sotto
la legge del “ pubblica o sei perduto” — , allora perdono molto
della loro forza di persuasione gli argomenti storico-evolutivi
che fanno i conti su un completamento successivo dell’ opera
scritta che corre in parallelo alle più recenti acquisizioni del-
l ’ autore. Può essere perfeitamente giusto dire che VA p olog ia
precede il Fedone\ solo che essa non lo precede perché non cono-
sce ancora la dottrina dell’ immortalité. Sara meglio ehe l’indagi-
ne cronologica del corpus platonico rinunci a siffatti confronti di
contenuto. Forse in futuro una raffinata statistica linguistica o f
frira la soluzione. M a si tratta di una soluzione ehe, comunque, è
di minore urgenza di quanto credeva il X IX secolo; per un autore
GIOVANNI REALE
26
Giovanni Reale
A . L ib ri
B. Saggi
C. Recensioni
** *
Th. A . Szlezák
Introduzione
! Cosi nel Giuramento di Ippocrate, similmente in Legg i (IV 630, 643 Littré); a
proposito della «tradizione legata ai gruppi dell’arte greca» ancora nella generazio-
ne di Eschilo cfr. A . Lesky, D ie tragische D ichtung der Hellenen, Göttingen 19723,
p. 69; a proposito della segretezza presso i Pitagorici cfr. E. Zeller, D ie Philosophie
der Griechen in ihrer geschichtlichen Entw icklung, I, Leipzig 1923 1, p. 409; W .
Burkert, L o re and Science in A n cien t Pythagoreanism, Cambridge (Mass.) 1972,
pp. 178 s. ; a proposito della organizzazione arcaica della trasmissione del sapere
nelle corporazioni presso i medici, i cantori, gli artigiani, gli indovini, i Pitagorici e
gli O rfici, cfr. W . Burkert, Neue Funde zur O rph ik, in «Inform ation zum altspra
chlichen Unterricht», II, 2, Graz (1980), p. 41; idem, C ra ft versus Sect: The P r o
blem o f Orphics and Pythagoreans, in: B.F. M eyer - E .P. Sanders (curatori), Self-
D efin ition in the G reco-Rom an W orld, London 1982, pp. 18 ss.
48 INTRODUZIONE
«S ocra te» ci possa aver attirato, proprio qui, sulla traccia sba-
gliata.
M a, in effetti, possiamo davvero dire che noi abbiamo, da altre
parti, Pimmagine di un Platone rappresentante delPapertura de
mocrática e della liberalitá progressiva? H a forse previsto per il
suo Stato ideale o per il suo Stato fondato sulle leggi un sistema
pubblico di inform azione e di educazione? In realtá, nelíe Leggi,
come é noto, non solo é protetto dalla possibilitá di venire a co-
noscenza dei non destinati a governare il contenuto dellJeduca
zione dei destinati a governare, ma deve restare nascosto, agli
esclusi, addirittura anche il semplice fatto della loro esclusione:
qui nelle L e gg i Platone, rafforzando le strutture che dividono le
classi in m odo piü netto che nel suo primo progetto di Stato
espresso nella Repubblica, esige che venga tenuto segreto anche
il tener segreto (cfr. L e g g i, 961 B 4-6 con 952 A 7 e 968 D-E). A l
contrario, Platone mette in bocca al democrático e relativista
Protagora la decisione di condurre la discussione, per principio,
in m odo aperto, decisione non turbata da alcuna ironia (.Prota
g ora , 317 B-C).
Dunque, sarebbe necessario interrogare piü a fondo la presa in
giro di Platone dell’ apparente tener segreto da parte degli inter-
locutori di Socrate. Infatti il dialogo Eutidem o porta in primo
piano in maniera esemplare proprio il tema del «tener nasco
sto», trattato di solito come tema concomitante; dobbiamo
quindi rivolgerci a questo dialogo, se vogliam o capire il senso
del topos platonico del «tener nascosto» (dntoxpúitTsaOaL).
É stato riconosciuto da tempo che lo strano m odo di condurre
questo dialogo da parte di Socrate, che porta ad un risultato, al-
Papparenza assurdo, che ognuno sa tutto e l’ha giá da sempre
saputo, diventa comprensibile solo sullo sfondo della dottrina
dell’anamnesi che viene taciuta. Ció che finora non é stato rico
nosciuto é Pimportanza di questo rilievo per Pimmagine del filo
sofo che Platone traccia nel F e d ro: « filo s o fo » (cpiXósocpo«;) é co-
lui che é in grado di «ven ire in soccorso» alie sue afferm azioni,
di difenderle e di sostenerle mediante «cose di maggior valore»
(,u[jitá)'c£pa). N elPE utidem o viene trasferita nelPazione dram-
matica proprio questa differenza fra opinione comunicata e opi-
nione tenuta in serbo potenzialmente pronta, che costituisce il
« filo s o fo » . Socrate, se fosse interrogato piü a fondo come con-
duttore del dialogo, potrebbe sviluppare la teoria delPanamnesi
INTRODUZIONE 49
1. «F e d r o », 274 B - 278 E
a) «F e d ro », 274 A 6 - 275 D 3
b) «F e d r o », 275 D 4 - 276 A 9
porta, come prima cosa, alia possibilitá che anche «ch i sa»
possa scrivere qualcosa.
La sua capacita di «so cco rso » é, comunque, del tutto indipen-
dente da questa possibilitá. Essa si basa, evidentemente, su un
sopravanzare del contenuto del discorso «che soccorre», rispet-
to a quello che viene soccorso. Infatti, se il «d iscorso» scritto
(esposizione, Xófos) non puó soccorrere se stesso, ma dice sem
p re la medesima cosa, quello che é in grado di soccorrerlo dovrá
appunto esser in grado di non ripetere sempre la stessa cosa,
bensi dovrá esprimere altre cose: precisamente, dovrá esprimere
non altre tesi (come G. Vlastos ha erróneamente in teso3), ma,
naturalmente, dovrá esprimere altri argomenti per giustificare le
stesse tesi.
L a capacitá di soccorso viene presentata, anche nel brano che
segue, ancora per intero alFinterno della discussione órale; solo
nell’ ultimo brano questa stessa capacitá viene impiegata per di
stinguere il « filo s o fo » (cpiXóaocpoi;) come autore da «scritto ri»
nel senso comune del termine e da poeti.
L ’ esposizione scritta é «im m a gin e» ( eiScoXgv) di quella órale.
N on si deve, qui, pensare tanto a riproduzioni «realistiche» di
veri discorsi e nemmeno ad una precisione protocollare nella an-
notazione, quanto soprattutto — in sintonia con il disprezzo
della scrittura nel paragrafo precedente e in questo (275 D 5 - E
5) — alia forte svalutazione che in Platone é sempre connessa
con questo vocabolo: 1’ «im m agin e», in linea di principio, é di
grado inferiore rispetto al «p ro to tip o », non ne possiede la stessa
«v e ritá » e la stessa « fo r z a » . N el nostro contesto questo signifi
ca: la esposizione scritta non puó assolutamente realizzare ció
che quella órale, quale suo prototipo, é in grado di compiere,
vale a dire uno «scrivere» n eir«a n im a », ossia una vera comuni-
cazione di conoscenza4.
c) «F e d ro », 276 B 1 - 277 A 5
276 A : Xôyoç, ÇcÔv xat ’¿[xfyuyoç, ~ Alcidamante, Tlepl aocpicmôv 28: ejjlcJjuxoç ècru xat
Çïj (del discorso parlato) — , non ha perô determinato la sua formulazione della
questione, né ne ha anticipato la soluzione. Robin, loc. c it., ha dichiarato che i pa-
ralleli storici in proposito non approdano fondamentalmente a nulla.
i II libro quinto, non dialogico, delle Legg i è un’ «im m agin e» di una viva discus-
sione filosofica esattamente come i restanti libri che Platone ha condotto in forma
dialogica. Cio avrebbe ugualmente valore, anche se venissero eliminati il riferimen-
to ad una figura del dialogo (I’ «A te n ie s e») e l’immaginaria ambientazione cretese:
anche se la vivacità della rappresentazione si atténuasse, o se infine andasse del tut-
to perduta, lo scritto resterebbe comunque un’ «im m agine».
6 N el Tim eo, l ’uomo di Stato dell’ Italia méridionale, che nel dialogo rappresenta
senza dubbio ii «sapiente», fa un discorso della durata di alcune ore. Dal momento
che egli parla ad un pubblico scelto (a persone «a d a tte », cfr. F ed ro, 276 E 6 Aapwv
c|>uxriv Tîpoa^xouaav — Tim eo ha certo scelto il pubblico adatto per il suo discorso),
e dal momento che egli sarebbe senz’ altro in grado di rispondere allé loro domande
(cosa che nei dialogo non viene descritta, ma accennata: in 28 C e 53 D Tim eo ac-
cenna alla possibilité di fondare più profondamente le sue asserzioni), dobbiamo
intendere il suo discorso, alPinterno della cor ni ce drammaturgica immaginata, co
me il discorso senz’ altro « v iv o » , pur non essendo stato condotto in forma dialogi
ca, fatto da un sapiente, e perciô dobbiamo intendere la stesura per iscritto del suo
m onologo come un’ «im m agin e» nel senso del Fedro. (Fa parte della natura della
rappresentazione-immagine scritta il non poter fornire una più profonda fondazio-
ne, cosa che il sapiente potrebbe esporre, se gli venisse richiesto). Si mostrerà, sot-
to, che anche il lungo discorso non dialogico di Socrate nel Fedro va inteso come
discorso « v i v o » del «sapiente».
60 «FEDRO»
d) «F e d r o », 277 A 6 - 278 E 4
blema (Retraktationen zum Prob lem des esoterischen Platon, «Museum Helveti-
cum », 21 [1964], p. 153 e nota 39; D ie grundsätzlichen Fragen der indirekten P la to
nüberlieferung, in; H .G . Gadamer e W . Schadewaldt (curatori), Idee und Zahl.
Studien zur platonischen Philosophie, Heidelberg 1968, p. 136 e p. 150) viene, per
quanío mi consta, semplicemente ignorata da parte degli oppositori (in particolare,
la risposta di Vlastos a Krämer, in: P la ton ic Studies, Princeton 1973, pp. 339-403,
non affronta affatto la questione). — Del resto, riesce difficile capire come si sia
potuti giungere a interpretare scorrettamente il termine tpaüXa; infatti esso rarissi-
mamente assume in greco il significato di «sbagliato, scorretto» (fuorché «scorret-
t o » in senso m orale), mentre il significato consueto é «scadente», con la sfumatura
di «m odesto, semplice, di scarso rilievo, insignificante». L ’impiego che Euripide fa
di questo termine puó chiarirne il normale uso attico: Elettra , 760: oü-uoi ßaatXea
cpaüXov x-cavEÍv («nessuna piccolezza»); Ifigenia in A u lid e, 734: au Be 90CÜX’ rj-fTÍ 'c“ ‘
Se ( « l o ritiene di poco c on to»), ivi, 850: ápieXía 8ó<; auxá x a í cpaúX(o<; epépe («prendi-
lo per facile»); importanti anche le indicazioni del frammento 473, 1 N auck2, in cui
cpaüXot; e axo¡j.(jjo<; vengono usati come sinonimi; a questo corrisponde la frequente
opposizione di cpaüXoi; - aocpós (A ndrom aca, 379; Baccanti, 430; lo n e, 834; Fenicie,
496, cfr. anche frr. 635 e 641 N au ck 2). Per casi sinaili m Platone si vedano, ad
esempio, Ippia m inore, 369 D 3/6, crocpó^-cpaüXoi;, oppure Ippia maggiore, 286 E 8,
cpaüXov x a í ÍBtw uxóv (come endiadi di «p r o fa n o »). Anche nella formulazione di
Platone xa "fs.'ypa^évoc cpaüXa aT roB ^at si dovrebbe sentire questa opposizione: i
cpaüXa sono, rispetto a Tifzuoxtpa, «n on specialistici, non tecnici, semplici» (cfr.
sotto, p. 98, nota 47); che, comunque, essi siano «g iu s ti» ce lo dice Platone nella
Repubblica, 449 C (cfr. sotto, pp. 370 s.). Del resto, giä Diogene Laerzio rilevö l’ u-
so platonico del termine: ó youv, “ cpauXo^” XsyexaL rcap’ aux¿p I 71I xoü árcXoC (III
63). A proposito delPIppia minore, 372 B, cfr. sotto, p. 139, nota 8.
68 «FEDRO»
3 II libro — come il Fedro stesso — puó comunque comunicare che esiste una libe
razione e puó fornire indicazioni sulla strada che conduce a quest’ ultima. Va ovvia-
mente oltre la portata del libro il sapere se la comunicazione è stata capita e se si
giunge alia liberazione dalla fede nello scritto.
4 È chiaro che quell’interpretazione che vede nella critica della scrittura, presente
nella parte conclusiva, un’ indicazione mascherata a favore della form a di comuni
cazione indiretta costituita dal dialogo scritto, fraintende, oltre ad altre cose, anche
Pazione del dialogo. Tradotta nel linguaggio delPazione drammatica, questa Ínter-
pretazione direbbe che Socrate toglie di mano a Fedro, che ha fede nello scritto, il
libro di Lisia solo per consegnargli un nuovo libro da Ieggere, questa volta di Plato
ne — e con questo andrebbe persa l ’ intera scrupolosa costruzione simbólica del-
l ’ opposizione «libro-discorso».
76 «FEDRO»
2 . A zion e eterna
6 A ltri ulteriori argomenti: exepa xoúxtov, 234 E 3; aXXa, 235 B 4, rnxpà xaüxa...
sx&pa, C 6 , exepa D 7 e 236 B 2; napa xt)v ixtívou aocpíav txepóv t i , B 7; quantitá de-
gli argomenti: TiXetto, 234 E 3; 235 B 4; 236 B 2; [xr| eXáxxto, 235 D 7; significato de-
gli argomenti: ^&CÇto, 234 E 3; ¡j.r¡ 235 C 6; [kXxtw, 235 D 6; soprattutto
^Xe-íovoç aÇia («d i maggior va lore»), 235 B 5; 236 B 2.
7 Naturalmente Socrate fa i complimenti — come Fedro in precedenza: 228 A B —
e assicura di non poter certo superare Lisia nel contenuto (236 B 7). E questa etpto-
veícc socratica non elimina ovviamente la richiesta che un logos superiore debba of-
frire cose migliori. L a ripresa del m otivo del xaXX(o7u£&aQGU (236 D 6, cfr. ¿ópúírce-
to, 228 C 2) vuole mostrare che Socrate è tanto desideroso di offrire una esposizio
ne migliore quanto Fedro lo era di recitare. — G. J. de Vries non nota né che Socra
te riconosce espressamente la richiesta di Fedro, né che, di fatto, egli nei suoi di-
scorsi Ia soddisfa, perciò è stato possibile per de Vries, in un articolo volto a critica
re la mia interpretazione («M useum H elveticum », 35 [1978], p. 28), sostenere l ’ opi-
nione secondo la quale il richiamo a ¡jlêíÇoj xai tcXeíco servirebbe soltanto a caratte-
rizzare il çiXóXoyoi; Fedro («M useum Helveticum », 36 [1979], p. 62). M a ovvia
mente conta qui riconoscere come Socrate trasformi la richiesta ingenua in un in
terrogatorio filosoficamente significativo.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 79
18 Klein, A Com mentary ... (cfr. sopra, p. 60, nota 7), pp. 14 s., rileva che nella
seconda parte Socrate e Fedro riprendono regolarmente il discorso parlato «invece
di scambiare discorsi elaborad, cioé parole scritte o dettate» (p. 15). Con «p arole
dettate» Klein si riferisce al fatto che Socrate attribuisce a forze estranee il suo insó
lito fiume di parole. C fr ., a questo proposito, la nota seguente.
19 Solo piü tardi di venta chiaro quanto poco Socrate si sia avvicinato a Lisia e ai
suoi colleghi per mezzo del suo improvvisato controllo degli strumenti retorici, e
quanto, invece, abbia in questo m odo illustrato il programma della retorica dialet-
tica ideale: l’ oratore dialettico impiegherá i Tipo xr\q xíyyt^ ávorpccuoc [xa6r¡[j.ocTO
(269 B 7- 8), cioé la conoscenza e le possibilitá della retorica consueta, in modo so-
vrano,'a seconda della sua conoscenza delle leggi della vera retorica, e collocandola
entro un discorso órale personale: 271 E 2 - 272 A 8.
20 In un al tro senso si puó parlare, anche qui, di una superior itá della seconda par
te: cfr. sotto, pp. 92 ss.
84 «FEDRO»
II confronto del valore del contenuto, in cui Lisia e con lui l’ edu-
cazione ricevuta dai libri alla fine soccombono, è, di fatto, ini-
ziato giá m olto prima délia seconda parte principale: e precisa
mente là dove Socrate dubita della eccellenza del discorso di L i
sia e si dichiara pronto a scendere in gara con quello (234 E ss.).
Da questo momento Socrate — il quale è, per cosi dire, l ’incar-
nazione del filosofare orale — prende la parola, e quindi da que
sto momento fino alla fine possiamo attenderci inform azioni su
quello che per lui è essenziale.
Che dobbiamo iniziare proprio qui, ce lo dice Platone stesso:
entrambi i discorsi di Socrate contengono cose che chi vuol fare
un’indagine sui discorsi deve conoscere (264 E 7 -8)21. Viene qui
fatto riferimento alia precisa definizione delPEros per mezzo di
un’analisi dialettica del con cetto22, i cui momenti di distinzione
diairetica (Siaipeatç) e di unificazione (auvaycojr\) sono le basi
del corretto pensare e parlare (266 B 4-5) e, quindi, anche della
retorica ideale generale che regola ogni discorso umano (261 E
1-2). In confronto con questo procedimento «secondo le rególe
dell’ arte», che compare quasi casualmente nei discorsi di Socra
te (265 C 9), le rególe della retorica tradizionale si rivelano un
23 Pero solo fino ad un certo punto; a proposito delle limitazioni di Platone, cfr.
sotto, pp. 94 ss.
24 Questo é detto espressamente in 243 E 4-8; 257 B 4-7, ed era giá stato accennato
in 238 D 7. La vera arte dell’ oratore si dispiega solo oralmente, di fronte all’ ascol-
tatore personalmente «presente»: Tiapa'ytYvófJLevov, 271 E 3; íiapoüaa, 272 A 2. C o
sí anche Fedro, per Socrate, é «presente» (•jtápea-ci.v, 243 E 7).
25 I discorsi di Socrate non illustrano solo il Xexxáov, bensi anche V im a x tiio v (272
A 4): in proposito, cfr. sotto pp. 96 ss.
26 A proposito di Xó^co cfr. sopra, nota 21. — La contrapposizione al consueto
non sapere di Socrate (235 C 7- 8; 262 D 5) viene mitigata dalla assicurazione che gli
esempi di un uso sapiente del discorso vi si trovano solo «p er caso». Cfr. pp. 93 ss.
86 «FEDRO»
avrebbe rinunciato alia gara con Socrate (257 C). Questo pro
gresso degli eventi, in cui Fedro si trasforma a poco a poco da
entusiástico sostenitore del libro di Lisia ad ascoltatore aperto
alie parole di Socrate, implica certamente che, dal canto suo,
egli non critica affatto la superiore esposizione órale di questo.
L a situazione del «ven ire in soccorso al discorso» (por)0eív tw
Xóyto) non è giocata quindi fino in fondo da Socrate, e proprio
questo illumina, paradossalmente, il suo successo educativo.
Questo, però, non significa assolutamente che i discorsi di So
crate vengano protetti dalla prova decisiva delia capacità di soc-
correre se stessi. Poiché Socrate è in gara con il discorso lisiano
sull’Eros, fin da quando questo è stato letto ad alta voce (235 C
ss.), tutte le domande critiche che provano l ’ assenza di valore
del discorso delPavversario sono, al tempo stesso, anche do-
mande rivolte al proprio discorso. Dunque, Platone fa svolgere
a Socrate stesso il ruolo di colui che mette alia prova i suoi di
scorsi, poiché a Fedro mancano la chiarezza e la determinatezza
spirituali. Osservata da questo punto di vista, la prova che nei
suoi discorsi si possa rintracciare il procedimento dialettico della
divisione (dihairesis) e della unificazione (synagogé), mentre tale
procedimento è assente in quello di Lisia (262 E - 266 B), non si
gnifica nient’ altro se non che Socrate sa soccorrere i suoi discor
si, cosa di cui è incapace Fedro quale rappresentante di L is ia 29.
È vero che la parola «soccorrere» non è usata in questo paragra-
fo ; ma in m odo ancora piü chiaro la situazione corrisponde al
senso di questa parola: la discussione va intesa come attacco 30
alia retorica tradizionale, che, nel caso concreto, si appunta sul
la domanda di come Lisia abbia voluto giustificare il suo concet-
to di Eros (263 A - E); il suo discorso e il suo allievo restaño de-
bitori della risposta (263 E - 264 A ), mentre Socrate puó richia-
marsi, per il suo discorso, al método della dihairesis che ha vali-
ditá per ogni discorso (265 A - 266 B). «Soccorrere se stessi» si
gnifica, allora, fondare il particolare sul generale, o rivelare le
31 Socrate sfida ancora una volta Fedro a farlo in 272 C, àXV et xivá izr\ poriOeiav
£X£tç £7tocxT]Xotbç Auatoo T] Ttvoç aXXou, Tceipco Xáyeiv àvo:[xi[j.vr]axó[j.evoç. Qui il ter
mine ^o^Geia non significa altro che «m ezzo e strumento» per appropriarsi della re
tórica piü rapidamente che non attraverso la dialettica; ma, poiché 1’ attacco di So
crate si è appena concluso, la prova che esiste questa via piü breve nel senso della
retórica corrente sarebbe anche un «so cco rso» nel senso di 278 C 5. Naturalmente
Fedro non conosce nessuna ¡3or)0e.ia.
32 L a conoscenza della verità e Ia capacità di soccorrere vanno di pari passo: 278 C
4-5; cfr. 276 A , E.
90 «FEDRO»
tiene in pronto egli stesso, sullo sfondo, quel sapere che viene
supposto nascosto dagli a ltri33.
P oco prima, il richiamo a Pericle e ad Ippocrate ha alluso al fat-
to che la conoscenza dialettica, la quale garantisce la superioritá
oratoria, funge da conoscenza di sfondo che fa da supporto alia
discussione particolare, intesa nel senso di una fondazione piü
profonda che non fa parte della discussione stessa. Pericle, Po-
ratore piü perfetto (269 E 1-2), fu condotto da Anassagora alia
conoscenza della natura delFIntelligenza, del N ous — che, se-
condo la teoria platónica d e ir anima, é una parte di quest’ ulti-
ma — , e trasse da questa conoscenza piü profonda utili stru-
menti per la sua retorica (270 A ). Come la speculazione di Anas
sagora sul N ous quale «discorso campato in aria sulla natura»
(pt£T£copoXoyta cpuueo)^ rcepi) é qualcosa di piü ampio e fondante
della psicología retorica di Pericle, cosi anche la conoscenza del-
l ’ anima da parte dell’ oratore dialettico deve fondarsi su una
compiuta conoscenza dialettica della natura del tutto (xfis xoü
oXou cpúaeco;, 270 C 2). Ippocrate pero, come osserva Fedro (C
3-5), sostiene quest’ esigenza giá per la conoscenza del corpo.
Si é tentato di diminuiré il valore assertivo di questo passo per la
concezione platónica della dialettica, spiegando che r] toü oXou
cpbats non significava «la natura del tu tto» bensi l ’ «essenza» (<pu-
ffi?) del tutto (di volta in volta con sidéralo)34. Questa interpreta-
zione non riconosce, tuttavia, il contesto in cui si svolge il pen-
siero, ossia « i l medesimo m odo di procedere della medicina e
della retorica» (ó ocutó? 7cou xpÓTioi; taxpixfji; xa! pr]i:o-
pixrjs), come dice Socrate in 270 B 1-2; egli vede in entrambi gli
ámbiti lo stesso rapporto fra la teoria generale, compiuta e fon
dante, e la conoscenza degli ámbiti particolari di volta in volta
considerati. La speculazione di Anassagora si rivolgeva pero al
tutto, alia «n atu ra» in quanto tale (cpóa&co¡; irépi, 270 A l ) ; «in
maniera corrispondente» ( t ó v ocutóv xpórcov) anche la conoscen
za medica va ancorata alia piü ampia filosofía della natura35.
33 C fr. sotto, pp. 96 s. Per.il m otivo del «tener nascosto» come topos dello scher-
no socrático, cfr. sotto, pp. 101 ss.
34 W . Kranz, Pla ton über Hippokrates (1944), in: Studien zur antiken Literatur
und ihrem F o rt wirken, 1967, pp. 314-319, in particolare p. 318.
35 N on ha importanza se Ippocrate «in persona» era di questo avviso: quello che é
decisivo é che Platone fa intendere in questo m odo Ippocrate al suo Fedro. (Inoltre
Socrate non ha niente da obiettare contro questa interpretazione di Ippocrate: criti-
LO SVOLGÍMENTO DEL DIALOGO 91
ca solo che Fedro — cosa tipica per lui — si richiami ad un’ autoritä). A llo stesso
m odo non e decisivo, per il nostro passo, il fatto che, secondo il Carmide, 156 B -
157 A i medici greci considerassero ü corpo come 1’ oXov a cui doveva orientarsi la
terapia, mentre Zalmosside intendeva con questo termine l ’ unione di anima e cor
po. Ii Tim eo, invece, risulta illuminante: qui, infatti, Platone stesso dimostra come
la conoscenza dell’ anima cosi come quella degli elementi del mondo sensibile, di
pende dalla conoscenza di principi generali della filosofia della natura (e non si
esaurisce nella conoscenza delPunitä di anima e corpo). M a il Fedro stesso mostra,
soprattutto, l ’ anima in unione con l ’universo visibile (245 C-E; 246 B) ed invisibile
(247 C ss.). C fr. sotto, p. 97. — Kranz, Pla ton über Hippokrates, cit., p. 318, ha
preso in considerazione un riferimento del nostro passo alla prima parte del Fedro,
ma in seguito l ’ ha definita, tuttavia, «illogica, ... e proprio senza senso»; 270 A 1
^L£T£ü)poXoyia cpuaetos Ttdpi e stato da lui tradotto, op. cit., p. 316, con «elevata
espressione attorno auna (alla) essenza». ( L ’ osciliazione fra l’ uso dell’ articolo de-
terminativo o indeterminativo dimostra come la cosa sia stata pensata in m odo p o
co chiaro). II significato di «natura del tu tto» Kranz lo ha escluso in quanto «intor-
no ad essa ... non tratteranno «tutte le grandi xiyya.\» (Kranz ha perciö frainteso
7rpoaSeovTat 269 E 4 con «trattare intorno a qualcosa»). — G. M üller ha sostenuto
l ’ inesistenza di qualunque relazione fra <puaic in 270 A 1/5 e in 270 C 1 {Eine ver
kannte Lesart in Platons Phaidros, in: «H e rm e s », 104 [1976], pp. 243-246, la cita-
zione e di p. 246; Müller preferisce la lezione del Bodleianus otveu rrj? zoü Xoyou
CplJ<T£(OC).
92 «FEDRO»
36 Secondo Laborderie, L e dialogue platonicien ... (cfr. sopra, p. 65, nota 15), p.
436 la trasformazione del discorso di Lisia nel primo discorso di Socrate è «pura
mente fórm a le». Questo dimostra che non solo non è stato coito appieno il conte
nuto, ma anche che è stata trascurata la valutazione che di esso ne ha dato Socrate
(265 D 7).
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 93
40 L ’ oratore ideale controlla i xcapoüig toü. teóte Aejctéov xai imtrx&'zíov, 272 A 4.
Rientra qui anche il fatto che ad ogni vera arte appartiene la conoscenza di questo,
ossia [¿¿xpi ójtósou i suoi mezzi siano da adoperare (268 B 7).
41 C fr. sopra, nota 10.
42 C fr. Friedländer, P la to n , III, p. 219: « É un imponente contributo che Platone
qui richiede e che in maniera prudente include in un sistema di scienze possibili e
per i suoi compiti necessarie» . Contemporáneamente, perö, Friedländer sembra ri-
tenere che nel secondo discorso socrático sull’Eros venga affrontata la questione
deH’unita o del poliform ism o dell’ anima {ibidem) e che siano gia traite le «conse-
guenze sistematiche» dagli esempi diairetici in 265 D ss. (p. 217). I due errori — che
la parte mancante sarebbe solo un progetto, e non una teoria completamente svol-
ta; e che quanto si puö vedere costituisca gia lo svolgimento «d ialettico » completo
— sono causa Tuno dell’ altro.
43 C fr. F ed ro, 253 C 7 - D 1, xaQánEp ¿v ápxü touSe xoG ¡j.ú0ou Tpixfi SieíXo{Ji£v
(Jjuxfy ¿xáatrjv, Í 7 t í : o | j l ó pepeo ¡ j l e v oúo xive s-íSrj, rjvtoxtxóv Se eiöo<; xpíxov, xai, vüv ixi
r)pv xauxa ¡j.e.v£t£o. L a diairesi solo in form a di immagine «rim an e» e viene prose-
guita alio stesso m odo, e non fondatacriticamente.
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 97
44 L ’ espressione tí non andrebbe lasciata due volte nel testo; il parailelo 271 A
10 mostra che il secondo x õ non può essere giusto. L a corruttela si spiega in base
alia nota regola di Brinkmann.
45 L ’ espressione r) tou oXou çúolç (270 C 2) significa tanto «natura dei tu tto» come
«d e i cosm o», naturalmente solo neiram bito della filosofia preplatonica (si citano
Anassagora, Ippocrate). Per il dialettico PoXov comprende anche i Principi invisi-
bili dei cosmo visibile.
98 «FEDRO»
46 Fra gli ascoltatori di Tim eo si trova Socrate, il che indica in misura sufficiente il
livello. M a anche i fratelli di Platone, Glaucone e Adim anto, nella R epubblica, di-
mostrano m olto piü senso critico di quanto dimostri Fedro.
47 II dialettico tratterà deli’ anima àjtp$coç, tocgt] à^pi^eía (270 E 3; 271 A 5), poi
ché questa «p recisione» dialettica fonda la descrizione « a regola d ’ arte»: già i due
esempi «casu ali» di analisi concettuale fanno i discorsi sull’Eros Te.xvixtoTápou<; in
confronto a Lisia (263 D 5); ztyy\.x.úyiLç>o\. rispetto a questi sono gli argomenti preci-
si della Repubblica, ma anche questi non bastano a soddisfare la richiesta di una
completa àxpífkta (Repubblica, 435 D 1; 504 B 5; cfr. 611 B - 612 A ). —- Concetto
opposto alie esposizioni «p recise» è quello dei cpocuXa o esposizioni «n on tecniche»,
cfr. sopra, p. 67, nota 19.
48 Fedro, 276 E 3 (accenno alia Repubblica] cfr. sopra p. 61).
LO SVOLGIMENTO DEL DIALOGO 99
4. Conclusioni riassuntive
49 Sui passi in cui Platone si trattiene dal parlare, che si tro vano nella Repubblica,
cfr. sotto, pp. 391 - 414.
100 «FEDRO»
3 Friedländer, Pla ton , II, p. 320, nota 16, era vicino a vedere il riferimento.
4 Oltre alia formulazione (o¿x cmr) icntv r¡ x¿jv Xoyotcoicöv t&xvy1> invece di oux
eortv r¡ Tcov Xoyo7ro!.wv xíyyr\\ é soprattutto Tassicurazione che segue immediata-
106 «EUTIDEM O»
8 L ’irruzione del dialogo-cornice nel dialogo narrato mostra che il rifiuto provie
ne, in realtá, da Socrate stesso.
9 A proposito di oux oa>Tr¡ di 289 D 8, cfr. sopra p. 105 e nota 4.
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 109
t0 A volte viene messo in dubbio che in 301 A sia presente un riferimento alia dot
trina delle Idee, ad esempio da parte di Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 278 s., che
cita anche alcuni pareri analoghi espressi precedentemente da altri (p. 279, nota 1).
Parimenti sono preparato ad affrontare il rifiuto della mia proposta di vedere nella
(vera) XoYOJtouxrj un riferimento alia dialettica. Per coloro che desiderassero man-
tenere in proposito un certo scetticismo si not! che per lo scopo dimostrativo che è
qui perseguito sono sufficienti i rinvii unanimemente riconosciuti a teorie che con-
ducano piü avanti in 290 E (dialettica) e 293 B ss. (reminiscenza). II tentativo com-
piuto da Guthrie (A H istory ..., IV , p. 282) di separare ancora Eutidem o, 290 C,
d allaRepubbiica, 510 C ss., risultapiü che mai discutibile: nella sua frase conclusi
va per cui « il primo principio anipotetico è la form a del B ene», egli scomoda, tutta-
via, nuovamente un teorema della Repubbiica, che, per quanto lui ritiene, Platone
«n on è necessário che abbia avuto qui in mente». (A Guthrie, come anche ad altri
interpret!, è sfuggito il fatto che il sapersi volontariamente trattenere dal pariare di
certe cose costituisce il m otivo strutturale dell’ azione; in proposito, cfr. sotto, pp.
110-115).
11 Questo sapersi trattenere dal pariare di certe cose a seconda delPinterlocutore,
non ha niente a che fare con la segretezza: questo si ricava già dal fatto che, quando
Socrate (o «u no degli D e i»? ) introduce la dialettica, sono presenti anche Eutidemo
e Dionisodoro; ma il discorso, in questo passo, non li riguarda. A proposito della
distinzione fra segretezza ed esoterismo cfr. quanto diciamo sotto, pp. 484 - 487.
110 «EUTIDEM O»
12 N on esiste niente di meno platonico dell’idea che «la sofistica dei due maestri di
lo tta » si differenzi «d alla diaiettica socratica ... unicamente a m otivo dell’ intenzio-
ne e deli’orientam ento» (Friedländer, Pla ton , II, p. 167). Per Platone ia differenza
sta nella conoscenza o non conoscenza della reminiscenza, delle Idee, della diaietti
ca. (L a disponibilitä espressa da Socrate a soffermarsi su questi temi e regolata dal
la «disponibilitä e dalPorientam ento» degli interlocutori).
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 113
sofia per gradi, come in una iniziazione (277 D-E). Come tutti
sanno, la visione delle Idee viene presentata nel Fedro come
un’iniziazione ai Misteri (250 B 8 - C 4), e inoltre anche il paral
elism o tra filosofía e «m isteri» (TeXsioci) è frequente in Platone.
L a capacita, già data con questa rappresentazione, del control-
lato trattenersi dal dire certe cose — che come già si è visto de
termina Tintera «a z io n e » del dialogo — viene riconosciuta
espressamente, e con approvazione, anche agli avversari: «sai
quando bisogna tacere e quando no (oT<t0oc ot& Sel á 7roxpívaa0 ai
xat ote ptiq) (287 D 1) e «questo a ragione veduta hai passato sot-
to silenzio» (toüxo ¡jl&v éxwv 7tapT}xocç, 301 C 2). Dobbiam o, allo-
ra, intenderli come veri oratori che conoscono «le situazioni in
cui è il momento giusto di parlare o di astenersi dal parlare»
(xoupoùç Toü tcote Xextéov xal ¿7uax£TÉov) e che sanno «c o n chi si
deve tacere» (atyõcv rcpòç oOç B&I) (Fedro, 272 A 4; 276 A 6 ). Illu
minante per questa lode irónica è il passo in cui Dionisodoro fa
fare una cattiva figura alla sua arte, rispondendo in un momen
to inopportuno (297 A ). L ’ «a r te » dei sofisti riceve, poi, l ’ elogio
di Socrate a m otivo della sua «acribia dei discorsi» (axpípeia
Xóycov, 288 A 6 ), con la quale egli, certamente non a caso, le at-
tribuisce una caratteristica della competenza del dialettico (cfr.
F ed ro, 270 E - 271 A ; R epubblica, 435 D 1 e 504 B 5). Per lui è
sicuro che i fratelli non parlano a casaccio, bensi si presentano
quali maestri dell’ «a r te » ( t é x ^ ) del «discutere» (SiaXéyEaOaL);
egli dice ad Eutidemo che sa discutere meglio (xáXXtov ¿Tufcrraaoci
SiaXéyEaOat, 295 E 2), e che in generale i due fratelli parlano a
ragione d ’arte (t ^ ix c o ç ), mentre lui stesso parla solamente «in
m odo semplicistico» (i8icútixôSç, 303 E 5; 278 D 5). Essi sono,
dunque, lodati quali veri possessori delParte dei discorsi (ts,xv^
xoí Xóywv Tt&pi) nel senso del F e d ro , la cui «a r te » in quanto «a r
te dei discorsi» (Xóycov xéxvr)) o in quanto «arte dialettica» (8ia-
XexTtxr¡ xexvT]) può venir espressa con alcune perifrasi di F ed ro ,
273 D-E; 276 E. Poiché scopo del dialettico è la «assimilazione a
D io » (ó^oítoaiç Seto), comprendíanlo che anche Tinnalzamento
degli eristi a « D e i » (293 A ) non è solo uno scherzo spavaldo,
bensi anche un voluto elevamento al di sopra della vicinanza al
divino del « filo s o f o » ( 91 X0 0 0 9 0 $) (Fedro, 278 D ). (II contrasto
di questo passo con la presenza « d i uno degli esseri superiori» in
291 A — qui gli « D e i » non possono aiutare, là un D io fa entrare
nella discussione il concetto di dialettica, con cui si dovrebbe so-
L A BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 117
20 Questo non vuole però certo dire che io ritenga il Fedro precedente dal punto di
vista cronologico. Analogamente, il fatto che in esso si presupponga la dottrina
completamente svolta della reminiscenza non deve affatto far concludere che YEu-
tidemo sia stato scritto piü tardi dei M enone. Nella sua prima esposizione coerente
la dottrina della reminiscenza può essere stata per Platone già un TcoXuflpúXrjtov,
come Ia dottrina delle Idee nel Fedone (100 B). Questo si può supporre con sicurez-
za per quanto riguarda la critica della scrittura e il concetto di (3or)6etv nel Fedro: la
prova piü sicura è costituita dalla utilità di questo concetto per Pinterpretazione dei
primi dialoghi.
21 tc\t]PI[jl£.XoÚ[jis.voç xal oux èv Bíxyi Xothoprfizíq, Fedro, 275 E 3 - 4.
LA BEFFA DI SOCRATE SULLA «SEGRETEZZA» 119
22 Sarebbe un grave equivoco ritenere che qui Socrate taccia, ma, proprio tacen-
do, «accenn i» al sapere piú alto e confermi, cosi, la teoría schleiermacheriana della
comunicazione indiretta, come se la form a specifica di comunicazione del dialogo
fosse proprio arfwvxa Xáysiv (la formulazione si trova proprio neíPEutidemo nella
cornice di una falsa conclusione: 300 B). É decisivo il fatto che i Ttfjctw'uepa, che
mancano n Eutidem o non potrebbero mai essere ricavati da questo solo dialogo:
invece, secondo la teoría schleiermacheriana, la comunicazione indiretta deve esse
re indipendente per quanto concerne Í1 contenuto del suo significato, e risultare,
quindi, senz’ altro decifrabile al lettore intelligente. Qui, invece, siamo in grado di
intravvedere oltre il testo i teoremi mancanti, soltanto perché in altri dialoghi ve-
niamo istruiti in proposito direttamente. N on avrebbe senso parlare di una comuni
cazione «in d iretta » della dottrina della reminiscenza núV Eutidemo'. essa non viene
comunicata, bensi presupposta. Anche l ’interpretazione in senso storico-evolutivo
di ció che manca viene sconfessata: quello che qui manca non si puó interpretare
come un progetto da svolgersi nel futuro, anzi, é molto evidente come esso sia co-
stituito, invece, da teorie pienamente formúlate.
120 «EUTIDEM O»
23 II m otivo del «nascondim ento» (spesso legato o sostituito da quello dell’ «ingan-
n o » — solo chi possiede un vantaggio rispetto alle conoscenze delPaltro puo ingan-
nare) e presente, fra l ’ altro, in Carmide, 174 A ; Protagora, 342 B C; Ippia in in ore,
370 E; 373 B; Ippia maggiore, 293 E; 300 C D; Eutifrone, 3 D; 11 B^ 14 C; 15 E; L i-
side\ 215 C; 219 B; lo n e, 541 E; Gorgia, 499 B C; Cratilo, 383 B - 384 A ; 427 D E;
Fedro, 271 C 1-3.
IV. II «soccorso al logos» come principio
strutturale del dialogo platonico
1 A l lettore non sarà sfuggito che nel corso delle anaüsi sin qui condotte, si è già ri-
sposto a queste obiezioni in parte esplicitamente, in parte in m odo implicito; le ri-
propongo qui, comunque, ancora una volta nel loro insieme, prima di passare al-
Panalisi dei singoli dialoghi, cosi che il lettore possa avere davanti agli occhi le al-
ternative possibili per Pinterpretazione dei passi sulla por^eia. A lia luce dei risuitati
cui siamo giunti nei capitoli precedenti, la risposta alie obiezioni può essere limitata
alPindicazione dei punti di vista piü generali.
2 Obiezione a! progetto preliminare di questa ricerca, da me esposto in «Museum
H elveticum », 35 (1978), pp. 18-32, fattami per leítera da un collegatedesco.
PRINCIPIO STRUTTURALE DEL DIALOGO PLATONICO 123
5 De Vries, H elping the Writings p. 61, sembra fondare la sua opinione secon-
do la quale « i l soccorso richiesto durante una conversazione non e la stessa cosa del
sostegno di cui necessita la parola scritta» sull’ interpretazione per cui |3or|0e.rv nella
Repubblica, 368 B C «riguarda la discussione nel suo complesso e non una teoria
specifica proposta durante tale discussione». M a la frase citata per ultim a e un er-
rore dovuto a de Vries e non un’ afferm azione del testo di Platone. E anche se aves-
se ragione, non potrebbe fondare la conclusione su due tipi di «so cco rso» diversi
per principio.
6 Cfr. sopra, pp. 56 ss., 68 ss.
7 Cosi soprattutto nel proemio del Teeteto, e analogamente nel Fedone e nel Sim-
p osio (cfr. sotto p. 342).
PRINCIPIO STRUTTURALE DEL DIALOGO PLATONICO 125
12 Difficilm ente si vorrá negare che Vlastos abbia concepito la sua spiegazione an
tiesoterica del concetto di «soccorso al log os», non essendo, evidentemente, a co-
noscenza del ricco materiale a sostegno di questo concetto che Pía tone ha messo a
nostra disposizione. Oltre a Leggi, 891 D E, gli é sfuggito, ad esempio, anche Fe-
dro, 88 D 6-7 (a proposito del quale cfr. sotto, p. 323, nota 77).
Y. «Le Leggi», libro X
Il superamento come essenza del «soccorso»
4 Ecco il testo di 891 A 1-2: xoc TCtpí vójaoui; TCpo<ycáyiJi.caa ¿v y p á ^ a a i T£0£vxa, tos
Síóaovxoc ei? u á v ta xpóvov íX syxp v, 7uávTco<; Tipsuet. Per r^peael, cfr. iVcrpce, Fedro
275 D 6 (sulle statue, che servono come analogía per la scrittura).
5 A d esempio, 893 B 5: eXeyxo JjLÉvw ¡j,ol
IL SUPERAMENTO COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 129
13 La notifica che egli stesso vuole interrogare e rispondere (893 A 3-5) é, senza
dubbio, una parafrasi del m odo di descrivere impiegato in 893 B 6 - E 5: PAteniese
domanda in nome delPavversario e risponde per se stesso. In questo m odo egli vo-
leva «percorrere Pintero lo g o s » fino alia dimostrazione della prioritá dell’ anima
(dunque, almeno fino a 896 B C, o, meglio, fino a 899 B). II capovolgimento, non
sottolineato da Platone, si verifica in 893 E 6 - 894 B 1; questo capitolo avrebbe do-
vuto appartenere all’ avversario immaginario, ma, nel proseguimento, risulta essere
una asserzione dell’ Ateniese.
IL SUPE RAMEN T O COME ESSENZA DEL «SOCCORSO» 133
17 Allusione alia conoscenza delle Idee ( t o Tipo; fiíav íSéav ßXsTtetv) 965 C 2, al Be
ne come concetto integrativo delle aptxaí, 965 D 1 - E 2.
18 C fr. le mié osservazioni in: Problem e der Platoninterpretation, «Göttingische
Gelehrte An zeigen », 230 (1978), pp. 29 s. a proposito dell’interpretazione scorretta
che di questo passo danno H . Cherniss (Recensione di G. Müller, Studien zu den
platonischen N o m o i, «G n o m o n », 25 [1953], pp. 374 e 376, nota 3) e L. Tarán
( Académica. P la to , P h ilip o f Opus, and the Pseudo-Platonic Epinom is, Philadel
phia 1975, p. 23, nota 85. L ’ Ateniese prometterebbe il suo soccorso «p e r quanto ri-
guarda la selezione dei candidati e l ’aiuto ad allenarli». Si tratterebbe,, quindi, di un
soccorso pratico, e di un insegnamento teoretico che non supera i confini del
dialogo).
19 968 E 3: artopprjxa ¡aiv Xtyftívxa oux av óp06>? Xíyoixo, árcpópprjTa Sc ...
20 Ovviamente, anche cntouSri di 966 C 2 va inteso come un concetto relativo.
VI. «Ippia minore»
Chi inganna e chi è ingannato?
1 La derisione della vanità di Ippia determina fin dall’inizio il tono (364 A 1-6, B
1-3), compare, rinforzata, nelP elogio irônico della sua poliedricità (368 A 8 - 369 A
2) e porta, infine, alio smascheramento delía vacuità della sapienza di Ippia nelPul-
tima frase dei dialogo.
136 «IP P IA MINORE»
2 365 C 8 - D 1: xov fièv *'0^.7]pov toivuv iàcrcojiE.v, èrcetSri xaî àSûvaxov lixavepé-
a0ai xi n o it votôv rain a inoir\atv xà F ed ro, 275 D 8-9 a proposito del logos
scritto: èàv 8c ti c'pr) tcov Xc^o^cvcov £}ouX6|xevoç ¡j.a9&ïv, cv it ar)^aiv&t ¡xovov xaù-
tèv àei. C fr. anche Protagora, 329 A ; 347 E.
3 365 D 2-4: ctù S’ èmiSri îpaivrj àvaScxojxcvoç trjv aïxiav, xaî aol auvSoxeî xaûxa
v.ntp cpr|ç r/0|j.r]pov X£yeiv, ¿Tcoxptvczi xoiv^ ùnip '0[x^pou te xat ctocutoû.
4 363 D 2: etç £7:î8e.l^iv Trapecxe-uaafievov. Questo è detto, letteralmente, solo delle
esibizioni di Ippia ad Olimpia; ma, dal momento che lui stesso sottolinea la somi-
glianza della situazione, dobbiamo immaginarci che il suo discorso ad Atene sia
dello stesso tipo. Anche in Ippia maggiore, 286 A - B, Ippia arriva ad Atene con un
discorso studiato fin nelle scelte lessicali (286 A 6) (e non pubblicato in preceden
za). La menzione di Eudico in entrambi i dialoghi sembra voglia accennare al fatto
che la cornice dialogica indica in tutti e due i casi lo stesso discorso, citato da Filo-
strato: il D ia log o troiano di Ippia (cfr. Diels-Kranz, 86 A 2; B 5). (L a storicità del
discorso e la sua successiva pubblicazione non sono, tuttavia, decisive per la nostra
forraulazione della domanda).
138 «IP P IA MINORE»
5 372 B 2-4: ... x&XXa i'x<ov Tiavu cpaüXa- tcüv piv yap jcpay^aTcov ex£l lacpaX-
|iou, xoci oijx oTS5 Sot] laxiv. Schleiermacher traduce xaXXa 7iavu cpauXa con
«übrigens (m ag) es schlecht genug um mich stehen», il che e incoerente, in quanto
egli rende il precedente xori xivSuveuco Sv ¡xövov toöto ayaöov con «u nd ich
mag wohl nur dies eine Gute haben». II parallelismo delle due mezze frasi richiede
di intendere i'xstv e tutte e due le volte come «a v e re », e xäXka. e cpaöXa non co
me neutri avverbiali, bensi come accusativi retti da &xeiv (come h> e ayaööv).
6 Questa e la spiegazione di G. Vlastos, che ha riscosso ampi consensi. C fr. sopra,
pp. 67 ss. e nota 20.
CHI IN G AN NA E CHI È INGANNATO? 139
dire che la sua assiduità nell’ interrogare e nell’ imparare sia Vtí
nico bene che gli si adatti, e che a questo atteggiamento pura
mente filosofico dal lato dei risultati corrisponderebbe solo la
tesi, effettivamente «c a ttiva », che il menzognero e il veritiero
siano identici7. In realtà non può esserci dubbio che Socrate
non solo ritenga giusta la tesi opposta — e questo fa anche Ip-
pia — , ma che saprebbe anche addurre m otivi che la sostengano
(su cui diremo di piü tra poco). M a se la conoscenza insufficien-
te delle cose (Tcpáy^axa), che si esprime nella proposizione sull’ i-
dentitá di « fa ls o » (cJjeuSri;) e di « v e r o » (àXr)0rjç), viene giusta-
mente definita « d i nessun va lo re » (cpocúXov), allora è ovvio che la
conoscenza ben fondata dell’ opposto è un «b e n e » (áyocGóv), e
che gli argomenti che dimostrerebbero il vero stato di cose in
confronto alie «cose di scarso valo re» (¡paüXoc) con cui Socrate
combatte fino in fondo la proposizione sbagliata, sarebbero
«cose di maggior valo re», nel senso pieno della parola. A lio
stesso tempo diventa, cosi, chiaro che, nella interpretazione m o
derna di Platone, la tanto amata negazione del postulato di con-
tenuti particolari, e la loro sostituzione con un «procedim ento»
migliore e un «atteggiam en to» piü filosófica, è soltanto una fin-
zione dell’ ironico Socrate per confondere Ippia, incompetente
di questioni filosofiche. Dal punto di vista di Platone, questa di-
visione tra contenuto e método, questo procedimento e questa
«p o s izio n e» m igliori, che non portassero anche a risultati mi-
gliori, risulterebbero essere del tutto insensati8.
Se Ippia fosse d a w ero quelPuomo dell’ «a r te » (t£Xvy1) e della
«scien za» che Socrate elogia (368 B ss.), egli dovreb-
be — secondo un pensiero portante del Fedro — sempre sapere
«quando ciascuna di queste cose vada fatta e in quale misura»
(ótcót£ SsIbxoccjtoc toótcov trot&iv xcu |X£)(pi otcouou, F ed ro, 268 B 7),
e dovrebbe altresi conoscere quali siano « i momenti giusti di par
lare e di trattenersi dal parlare» (xaipoüg xou k óxi Xexxéov xaí ém-
a^xeov, F edro, 272 A 4). Proprio questa concezione sembra na-
scondersi dietro I’ osservazione di scherno di Socrate, secondo cui
ora Ippia non farebbe uso della sua mnemotecnica; Socrate rileva
infatti espressamente: «evidentemente credi che non ce ne sia bi-
sogno» (BrjXov yocp Sxi oux ol'si Bsív, 369 A 7-8). La battuta si basa
sul fatto che Socrate fa del mnemotecnico Ippia uno che é padro
ne della propria memoria, mentre, di fatto, solo lacomunicazione
di un contenuto ricordato puó essere sospesa volontariamente,
ma non l’ esercizio stesso della memoria. Ció che qui (presumibil-
mente) Ippia esercita é analogo al «tacere nel confronto di coloro
con i quali si deve tacere» (atyav rcpó<; oÜ£ 8&I) del filosofo.
La rappresentazione del maestro superiore del discorso che sa piü
di quanto dice, é evocata in m odo ancor piü chiaro nell’accusa che
Socrate fa ad Ippia di ingannarlo: «tu mi inganni, o carissimo Ip-
pia, e tu stesso imiti Ulisse» (e£aTrocxas (xe, <£> cpiXxaTe 'ÍTOTÍa, xotí
ocutóc tóv ’ OSuaaea 370 E 10). L ’ azione del dialogo non ri-
sulta spiegabile in maniera migliore, se non ricorrendo alia do-
manda: chi inganna e chi é l ’ingannato, chi é l’ astuto Ulisse di
questa commedia?
(2) Naturalmente, Ippia non sa uscire dalYelenchos cui si é espo
sto con tanta fiducia (363 D - 364 A ). Egli aveva sostenuto che
Omero ha dipinto due caratteri opposti in Achille, Famante della
veritá, e in Ulisse, astuto e menzognero. Ora, guardando « le cose
stesse», egli deve ammettere che il veritiero e il menzognero sono,
in ogni ámbito, la stessa persona: precisamente, quella persona
che in quest’ ámbito é piü attiva e «b u o n a » (365 D - 369 B), e, con
siderando Omero, che Achille e Ulisse sono dipinti come caratteri
del tutto identici, che dominano in ugual misura la veritá e la men-
zogna (369 B - 370 E). Ippia pro va a spiegare che Achille, in Ome
ro, mente non di sua spontanea iniziativa; cosa, questa, che gli
viene confutata, in primo luogo, ricorrendo al testo, e che, in se
condo luogo, dovrebbe costringerlo, in conseguenza di quanto é
detto prima, a riconoscere la superioritá di Ulisse, che mente di
sua spontanea volontá (370 E - 371 E ) 9. L a discussione si estende
9 In realtà, troviam o qui il sofisma centrale delPintero dialogo, che Ippia senz’ altro
non coglie, e che non deve cogliere. Era stato dimostrato che le persone competenti in
CHI ING ANNA E CHI È INGANNATO? 141
qui, all’ inizio della seconda parte principale, alia domanda piu
generale se coloro che agiscono ingiustamente per loro sponta
nea volontá siano m igliori di chi sbaglia non per sua volontá
(372 A ).
Socrate, seguendo la lógica della sua confutazione di Ippia, ma-
nifesta come sua opinione la seguente: chi danneggia di sua vo
lontá i propri simili, compie una «in giustizia», inganna e fa del
male, é moralmente m igliore di chi lo fa non di sua volontá (372
D).
Questa afferm azione non é sostenibile. E allora, é davvero pos-
sibile che essa contenga la concezione di Socrate? « A volte, in-
vero, mi sembra anche il contrario, e oscillo in queste cose, evi
dentemente perché non ho nessuna conoscenza» (372 D 7 - E 1).
Socrate, come abbiamo visto, sa sempre con certezza che una
conoscenza delle cose che porti a questa afferm azione come suo
risultato é una conoscenza insufficiente («ca ttiv a », 372 B 2). La
presente concezione gli sembra essere come un attacco di malat-
tia (xocTTqpoXri, 372 E 1).
Poiché, comunque, Pignorante (372 B 6) Socrate é pur sempre
arrivato ad un’ asserzione positiva, toccherebbe ad Ippia confu
tarla, soccorrendo in questo m odo la concezione moralmente
corretta, che lui stesso rappresenta. Socrate lo invita a farlo:
« P e r favore, non privarmi della salvezza della mia anim a» 10.
Poiché P «attacco di m alattia» di Socrate costringe «o ra , per il
m om ento» ad una tesi immorale, egli deve subiré anche dei dan-
ni per la sua anima; la confutazione della sua tesi sarebbe, al
tempo stesso, la fine della malattia morale della sua anima.
Considerato in questo m odo, l ’invito « a guarirgli Fanim a» (t<x-
cracGai. ttjv í]>uX'5Ív non significa altro se non la preghiera che
invoca di «s a lv a r á » (aóáaca rjpLá^) áelVEutidemo (293 A ): i due
passi svolgono la funzione di invitare Pavversario a metiere in
atto quel «portare soccorso» (po7]0£Ív), ricorrendo alie «cose di
un settore possono dire con sicurezza, sul loro settore, il falso (mentre persone me-
no competenti potrebbero involontariamente dire il giusto, anche se avessero volu-
to dire il falso - 367 A ). Da questo non deriva che i «b u o n i» sono coloro che mento-
no volontariamente: perché «cap ace» di mentire non è la stessa cosa di «capace e
intenzionato» a mentire, il Buvcxtòç (jjaúSeaôou non è necessariamente uno c[>s.uSriç.
(L a soluzione del sofisma la offriva giá Aristotele, Metafísica, 1025 a 2-13).
10 372 E 6-7: a i ouv yjxptaai xa£ [ir] cp0ovY]ar]ç táaaaôat rr]v ({¡ux'nv [ioü.
142 «IP P IA MINORE»
le, chi ignora i passi dei dialoghi che esprimono questa limitazio-
ne, li minimizza e interpreta iñ maniera fuorviante, abbassa an-
che Timmagine di Socrate al livello di quelía del non-filosofo.
]1 Se Ippia sottolinea, nella serie di esempi induttivi, 373 D ss., che il risultato vale
sempre solo per I’esempio appena trattato (374 D 7; 375 B 4), é chiaro che il trasfe-
rimento al comportamento etico é discutibile.
18 W . Boder, D ie sokratische Iron ie in den platonischen Frühdialogen, Amster-
dam 1973, pp. 86-94.
19 C fr. W ilam owitz, P la tón , I, p. 102: «quaicosa di simile (sal. come “ astuto” ),
comunque ad onore dell’ eroe il poeta ha effettivamente pensato con il neologismo
“ polytropos” » .
20 Dal (supposto) entusiasmo di Ippia per una capacitá di compiere ingiustizie «si
pud dedurre vía negationis la rappresentazione di una capacitá che si decide per il
compiere giustizia — e solamente per questo» (Boder, D ie sokratische I r o n ie ..., p.
89). M a se l ’ ironia colpisce l ’ atteggiamento, e non Pafferm azione, di Ippia, allora
la negazione dovrebbe suonare: «n on dovrem m o entusiasmarci, bensi rattristarci
del fatto che chi inganna ha tanto potere — ad esempio, che I’ invidioso persuasore
del popolo abbia potuto costringere a cacciare il giusto A ristid e». Pariendo da una
tale preoccupazione, il pensiero greco non arriverebbe mai a sostenere che Aristide
non avrebbe potuto utilizzare le sue indiscusse capacitá anche per compiere ingiu
stizie, perché questo significherebbe sminuirne la giustizia. Boder é a tal punto pri-
gioniero degli schemi di pensiero platonici, da trattare come se non esistesse la con
sueta figura di Eracle al bivio, e, invece, a trattare come si trattasse della cosa piú
ovvia del m ondo il paradosso socrático della conoscenza della virtü. M a esso
146 «IP P IA MINORE»
era, e resta, un paradosso a cui solo uno puö giungere: chi non l ’ha imparato da
qualche parte con una comunicazione diretta non e soccorso da nessuna «iro n ia ».
21 Friedländer, P la to n , II, p. 128.
22 Boder, D ie sokratische Iron ie ..., p. 89. Analogamente, a proposito della nega-
zione di un’ intenzionale limitazione sostenuta da Guthrie, cfr. sopra, nota 11.
CHI ING ANNA E CHI È 1NGANNATO? 147
1. M o tiv i tipici
2 Cfr. 304 C: 7tXav<5f¿oc'. xod adopto áeí. C fr. inoltre 298 E 1 il sapere di non sapere.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 151
3 Questa potrebbe forse essere una spiegazione dell’ impiego, fatto per ben due
volte, di uno stesso personaggio che dà il nome al dialogo. Non si puô comunque
concludere, data l ’esistenza di due dialoghi che portano il nome di Ippia, che dei
due (o, in caso di dubbio, il maggiore) non sia autentico. Anche la citazione di A ri-
stotele È.v itù 'Imuioc, M etafisica, 1025 a 6, riferita slY Ippia minore, non prova che
egli non conoscesse Y Ippia maggiore (cfr. M. Soreth, D e r platonische D ialog H ip -
pias maior, München 1953, p. 2). Va piuttosto considerato corne riferimento &[YIp
pia maggiore, 298 A , il passo di Topici, 146 a 2Î-22 (D . Ross, P la to's Theory o f
Ideas, O xford 1951, pp. 3 s.). - Gli argomenti di contenuto a sfavore della non au-
tenticità sono forse ancora meno convincenti. G .M .A . Grube {On the Authenticity
o f the Hippias M a jo r, «Ciassical Quarterly», 20 [1926], pp. 134-148; On the L o g ic
and Language o f the Hippias M a jo r, «Classical P h ilo log y», 24 [1929], pp. 369-375)
e M . Soreth (cfr. sopra) offro n o difese convincenti del dialogo; cfr. anche Guthrie,
A H istory ..., IV , pp. 175 s. J. Moreau, L e Platonisme de l ’Hippias M ajeur, « R e
vue des Études Grecques», 54 (1941), pp. 19-42, adduce valide prove a favore della
platonicità del contenuto; quest’ultimo viene, tuttavia, rifiutato a causa delle d iffi-
coltà della collocazione cronologica: infatti, il «d ialogo giovanile» aporetico-elen-
chico, dal punto di vista del contenuto si pone al livello dei lavori della fase media e
tarda, cosa impossibile per Platone. (O ggi non è quasi più messo in dubbio che ar
gomenti di questo tipo screditano piuttosto il punto di vista storico-evolutivo che
non la autenticità di un dialogo).
152 «IP P IA M AGGIORE»
4 Grazie all’ introduzione dell’ anonimo interrogante, Socrate puó non essere cosí
scortese e dire: egli stesso riceverebbe le bastonate, se esponesse al sosia le risposte
di Ippia.
SOCRATE E 1L SUO SOSIA 153
compiuta dei dialettico, dei suo m odo di procedere e dei suo sco-
po. Accanto al Fedro, che resta, come sempre, importante per
Tindividuazione dei punti di vista decisivi, si profila, innanzitut-
to, la RepubbUca come lo sfondo che unisce e chiarisce ciò che
nel suo isolamento risulta poco appariscente o addirittura in-
comprensibile.
(1) II dialettico è colui che neWelenchos resta sempre vincitore.
Se si sente questa pretesa dalla bocca di Ip p ia 10, si è inclini a
non consideraria che una smargiassata sofistica, cui non corri-
sponde nulla dalla parte dei filosofo. Invece uno sguardo ai pri
mi dialoghi mostra che Socrate, di fatto, soddisfa la pretesa di
imbattibilità nel dialogo n . M a soprattutto la RepubbUca con la
sua definizione dei dialettico accoglie, anche teor eticamente, l’ i-
stanza già realizzata «in im m agine» nei drammi dei dialoghi: chi
non è in grado di definire, astraendola da tutto il resto, 1’ Idea
dei Bene, e «com e in battaglia passando attraverso tutte le prove
... non affronti tutte queste cose con un ragionamento che non
cro lla» (ÓSaTCEp iv [Jtáxxi Stà tkxvtcov i X í ^ x ^ BteÇiáv ..., èv Trãat
xotkoiç àraxcoTi t<í> Xóya) Siarcopeúirvtai), di costui non si potrà di-
re che conosca il Bene (534 B 8 - C 5) n . Poiché Platone ritiene
possibile la conoscenza dei Bene (511 B; 518 C; 519 D; 526 E 4 e
nimo interrogatore si com porti di solito con lui, quando egli as-
sume le opinioni dei «sapien ti» (aocpoí) su ció che é «b e llo » (xa-
Xóv): lo rimprovera per come egli si permetta di osare di giudica-
re le cose belle finché non sa che cosa sia il bello; una vita senza
questo sapere non é degna di essere vissuta (304 D 8 - E 3). Que-
sto interrogante, che « é párente stretto ed abita con m e» (304 D
3) si mostra qui di nuovo 16 come voce interiore di Socrate messa
in un personaggio del dialogo. L ’ immagine della «v ita in comu-
n e» dei due Socrati o ffre senza sforzo una nuova immagine per
il ritorno riflessivo su se stesso: «o g n i volta che torno a casa
presso me stesso» (eustSáv oüv siaeXBco oixaSs zl<; ¿¡Jtauxoü ...,
304 D 4). Sotto la spinta della sua voce interiore Socrate ha spes-
so 17 riflettuto sul bello, e ha trovato la risposta nella teoría delle
Idee. Grazie a questo vantaggio decisivo egli puó entrare nell’ e-
lenchos.
Accanto al dialogo agonistico sí intravvede anche un altro tipo
di dialogo. In un rovesciamento ironico della realtá, íppia é con-
cepito come il dialettico che deve comunicare aH’ allievo adatto
la capacita del portare «so cco rso » (cfr. sopra p. 157 a proposito
di 286 E ss.). Dice Socrate a Ippia: « ti ammiro perché mi sembri
che, nella misura del possibile, mi voglia portare soccorso in
m odo b en evolo» (aya¡jiaí aou oxt fxot SoxeT^ euvoixwi;, xaO’ oaov
oIÓ£ x’ el, (BorjGetv, 291 E 4 s.). L a benevolenza é ció che caratte-
rizza il dialogo del filo so fo con 1’ anima adatta (<|>uxt] 7rpoa7]xou-
aa); qui la riserva, che nel dialogo polémico é indispensabile,
non viene applicata. Pertanto si puó forse cogliere qui dall’ e-
spressione «n ella misura del possibile» (xoc0’ oaov otó? x* si) —
accanto alia allusione apertamente irónica all’ incapacitá di Ip-
pia — altresi l ’ ulteriore significato che anche il vero dialettico
nel dialogo benevolo andrá fino ai limiti della sua conoscenza,
oltre ai quali egli puré non avrá altro «sa p ere» da offrire.
Comunque sia, certo é che il libro scritto e diffuso fra il pubbli-
co non puó per principio contare sulla benevolenza del lettore:
quando viene « a torto insultato» (F ed ro, 275 E 4), non puó di-
18 Cfr. sotto, pp. 370 - 383, a proposito della struttura della Repubblica.
SOCRATE E IL SUO SOSIA 161
19 Ippia stesso potrebbe formularlo solo come ipotesi:.se Socrate, dopo il suo inse-
gnamento, potesse ancora venir confutato, allora risulterebbe tò ijiòv 7rpãyp.a cpaG-
Xov xaí íBtcoxtxóv (286 E 8 s.).
20 Cfr. sopra, p. 154, nota 7.
162 «IP P IA M AGGIORE»
22 301 B 2: xà ¡jtiv ÖXa xtov Tcpay^áxtov ou axorceTç, B 5-7: otà xaüxa oüxoj ¡jLeyáXa
ó^i.ãç Xavôávsi xat tara xr\ç, ouaíaç (con la replica irónica da
parte di Socrate, E 3-4). 304 A 5-6 xvria|j.Gn;a (letteralmente: raschíatura) ... xat ?ce-
ptT|j.r]jjLaTa Xóycov ... xaxà ßpa^u StYipri[j.£va. M i sembra che non si possa dubitare
che qui e in xaTaT£|jivovx£.ç, 301 B 5 sia celata un’allusione alia diairesi come proce
dimento dialettico.
23 Cfr. sopra, pp. 156 s., a proposito delPinconfutabilità del dialettico.
24 W ilam owitz, Platon, II, p. 326, riteneva le parole omeriche |jtép[jte.poç (290 E 4) e
oiavexrjç come 53 «unverkennbares Stigm a» di inautenticità. Friedländer conside
rava |jLÉppL£poç come una citazione (Pla ton , II, p. 298, nota 1). II termine ^tavexrjç
164 «IP P IA M AGGIORE»
potrebbe, ancora meglio, essere un’ allusione ad una asserzione di Ippia. Suivejcrj; si
trova anche in Leggi, 839 A ; anche nel caso che questo termine fosse un anal; Xbjó -
[xevov, non dovrebbe suscitare dubbi, perché risulta comprensibile e significativo
nel passo in cui é collocato. — Sulla conoscenza generale dell’ essere della dialettica
platónica cfr. Krämer, loe. cit. (cfr. sopra, p. 156, nota 12), p. 41.
25 287 C D ; 289 C D; 291 D 1-5; 292 C D; 293 B 10 - C 1; 294 B; 302 C. In questi
passi la domanda t í icmv, che mira all’essenza, é distaccata, in m odo conseguente,
da una esemplificazione pura e semplice; il Bello (Giusto, Buono, ecc.) é qualcosa
di esistente; « i l Bello in sé» é una oúcía e un &TSo;, grazie al quale tutto ció che é bel
lo é bello; mentre la singóla cosa bella, cui si avvicina il Bello in sé, puö anche esse
re brutta alio stesso tempo, il Bello in sé non é mai brutto per nessuno, non é affat-
to mescolato al suo contrario.
26 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 190. Guthrie conta sul fatto che la sua posizione,
di fronte ai notevoli pareri coincidenti, «p u ö sembrare come una difesa ostinata di
una tesi». La debolezza della sua argomentazione, invece, non é dovuta alia sua ca-
parbietá, quanto piuttosto alia sua parzialitá: Guthrie separa i paralleli del vocabo-
lario delle Idee da quelli della concezione del Bene, mentre gli sono completamente
sfuggiti i riferimenti al Fedro (cfr. nota seguente).
27 Guthrie, loe. cit. (cfr. nota precedente), obietta alia sua soluzione con la do-
manda se la mancanza deíPesistenza separata delle Idee non possa essere anche un
caso. L ’ alternativa «n on ancora noto — lasciato via per caso» é incompleta giä dal
punto di vista logico, ed é, inoltre, palesemente inadeguata ai dialoghi platonici alia
luce del Fedro e dell’Eutidem o ( « í ’hai volutamente tralasciato», 301 C 2). Guthrie
rifiuta l ’idea della mancanza casuale «perché I ’ addizione della trascendenza non é
uno sviluppo banale, bensi rivoluzionario», perciö questa «a d d izio n e» dovrebbe
essere rintracciabile nel testo. (Guthrie confuta la propria opinione alia nota 2, do-
ve riconosce, a proposito di uno «sviluppo rivoluzionario» questo:,«N on ritengo
che questo fosse il parere di P laton e»). Qui troviamo con rara chiarezza la circola-
rita del punto di vista storico-evolutivo: é evidente che si presuppone che l ’esistenza
separata delle Idee sia una «aggiunta» o «a d d izio n e» ad una forma precedente (in
Eu tifron e e nelVIppia maggiore), ed é eliminata fin dall’inizio la possibilitá di con
siderare la supposta form a precedente come «sottrazion e» che il filosofo, in quan
to ¿7ucrcáfJ.£V0£ Aeyeiv oI<j oel ye xai ¡jLrj, completa volontariamente nella situazione
aporetico-elenchica. Chi tesse uno «svilu p p o» fra i dialoghi aporetici e quelli co-
SOCRATE E IL SUO SOSIA 165
struttivi combina cío che é incommensurabile e lascia che vada perduta la possibili-
tá di capire l ’ importanza della form a per il contenuto. Cfr. anche sotto, nota 31.
28 La distinzione, nelP em/rms, fra concetti di qualitá e di quantitá ha, senza dub-
bio, soltanto carattere paradigmatico (cfr. sopra, pp. 162 s., a proposito deM’ «inte-
ro »), Sui tentativi platonico-accademici di distinzioni categoriali cfr. Testimonia
Platonica, 39-48 Gaiser. É significativo, in questo contesto, che il passo 303 B C,
collegato alY excursus, alluda alia teoria matematica deíle grandezze irrazionali, che
senz’ altro ha svoíto un ruolo nella filosofía all’ interno dell’Accademia (cfr. Th.
Heath, A H istory o f Greek Mathematics, I, O xford 1921, p. 304; K. Gaiser, P la
tons ungeschriebene Lehre, Stuttgart 1968 2, pp. 370 s.). D. Ross vede in 302 A un
interesse per le Idee dei numeri che anticipa il tardo Platone (loe. cit., cfr. sopra.
nota 3, p. 17), H .G . Gadamer vede una chiara allusione alia dottrina delle Idee dei
numeri (Idee und W irklichkeit in Platons Timaios, Heidelberg 1974, p. 6). Negare,
con Guthrie, A H istory ..., IV , p. 188, nota 1, che Vexcursus abbia qualcosa a che
vedere con le Idee, significherebbe non riconoscere il contesto: si tratta sempre di
definire «il. Bello in sé», e i concetti chiamati in causa in quanto anaioghi (pari/di-
spari, 302 A ) devono, perció, avere uno status analogo; non é un caso che il pari e il
dispari compaiano anche nella descrizione delle Idee nel Fedone (103 E ss.). Del re
sto, la questione se si tratti, qui, di «fo rm e precedent!» delle rispettive teorie (net
senso, ad esempio, di R .E. Allen, P la to ’s Euthyphro and the Earlier Theory o f
Form s, London 1970) o non piuttosto giá di teorie compiutamente sviluppate, per-
de sensibiimente importanza, se si considera che anche le «fo rm e precedenti» sono
costruzioni che possiamo isolare nei dialoghi giovanili únicamente basandoci sulla
nostra conoscenza di quelü tardi, e che, quindi, per il lettore di allora, che non po-
teva ancora awalersi di indicazioni ulteriori, non erano affatto identificabili come
teorie. Se noi, allora, continuiamo a credere cosi profondamente a queste supposte
«fo rm e precedenti», dobbiamo ammettere, comunque, che esse non vengono qui
sviluppate, ma solo accennate, e che sono riconoscibili solo per chi ne sia giá a co
noscenza, che cioé, qui, esse sono utilizzate come sapere di sfondo.
29 Non si dovrebbero trarne conclusioni per la cronología: é presupposto il conte
nuto dei passaggi relativi delía Repubblica e non la loro pubblicazione in libro. Ol-
tre alie reminiscenze formulate nel testo, va aggiunto che la questione del Bene (296
E - 297 D ) é, anche qui, trattata in connessione a quella del piacevole e deil’ r¡8ovr]
(298 A - 303 E), anche se il collegamento oggettivo dei due temi puó essere meno
evidente che nella Repubblica, 505 B; 509 A .
166 «IP P IA MAGGIORE»
2 N ell’Eu tifron e scorgono la teoria platonica delle idee ad esempio Th. Gom-
perz, Griechische Denker, Leipzig 1911/123, II, p. 293; A .E . Taylor, Piato, The
M a n and H is W ork, London 1926, p. 149; P. Shorey, W hat Plato Said, Chicago
1933, p. 75; Ross, P la to ’s Theory o f Ideas, cit., p. 13, cfr. p. 228. E noto che H.
von Arnim , Platons Jugenddialoge und die Entstehungszeit des Phaidros, Leip
zig-Berlin 1914 (a proposito dell ’E u tifron e: pp. 141-154) sostiene ehe tutti i dialo-
ghi giovanili presuppongono «Pammissione di un mondo trascendente delPessere
ideale». Soprattutto Allen, P la to ’s Euthyphro ..., se ne aspetta una prima esposi-
zione; K .H . llting («G n o m o n » 44 [1972], pp. 326-335) cerca di mettere in crisi la
supposizione di Allen di una prima esposizione embrionale della teoria delle Idee
nei dialoghi giovanili basandosi soprattutto sulla prova, poco convincente, per
cui V E utifrone sarebbe successivo al M enone. Per llting (p. 332, nota 3), fra l’ al-
tro, e importante Gorgia, 480 A , in cui si invita, qualora il caso lo richieda, a far
punire anche i propri parenti; il rapporto di questo passo con E utifrone, 4 B e 5
D , renderebbe ovvia la prioritä del Gorgia. La prova risale a W ilam owitz, ehe,
perd, I’aveva, in un secondo momento, espressamente scartata: «n on sussiste fra
i passi alcun rapporto» {Platon, II, p. 80, nota 1).
3 W ilam owitz, P la to n , II, p. 80; E. Kapp, The Theory o f Ideas in P la t o ’s Ear
lier Dialogues, in: Ausgewählte Schriften, Berlin 1968, p. 108. L a posizione piü
ampia, secondo la quale, per il Platone di questo livello, PIdea sarebbe solo «nel-
le » cose singole (W ilam owitz, loc. cit., Guthrie, A H istory ..., IV , p. 121: « ...
esiste solamente nelle istanze») e ovviamente insostenibile come argumentum e si
lent io. L a «trascendenza» delle Idee non e tematizzata ndV E utifrone) per trarre
da queste una conclusione negativa occorrerebbe ehe, prima, si fornisse la prova
ehe la menzione della sua trascendenza e in un particolare passo del dialogo
«propriam ente» indispensabile. (Questa prova avrebbe, comunque, un limite in
14 C 1: enEiBri £rc’ aikco fjafla ajueTparcou; in proposito cfr. sotto, p. 176). In sen-
so contrario all’ipotesi di una dottrina delle Idee nelPE u tifron e si sono espressi,
ad esempio, E. Zeller, D ie Philos, d. G riech., II, 1, 19225, p. 525 e nota 1; C.
Ritter, Platon. Sein Leben, seine Schriften, seine Lehre, München 1910/1923, II,
p. 208; M . Pohlenz, A u s Platos Werdezeit, Berlin 1913, p. 310; G .M .A . Grube,
P la to ’s Thought, London 1935, pp. 8-10. N ella discussione sulPopera giovanile
non si dovrebbe perdere di vista quella tarda: anche nelle Leggi la dottrina delle
Idee non e indicata in m odo cosi chiaro da eliminare le possibilitä di dubbio sulla
sua validitä; tuttavia, nessuno piü sostiene la conclusione un tempo preferita, se
condo la quale Platone, nella sua ultima opera, «n on avrebbe piü creduto» alle
Idee.
170 «EUTIFRONE»
uno per uno, i quali indicano che anche in questo dialogo Plato-
ne gioca con la possibilita di una limitazione intenzionale della
comunicazione e la fa agire nello svolgimento del d ia lo go 6.
2. E u tifron e co m epseudo-esóterico
8 èxxEyjjjjivcúç, 3 D 7, implica con la m etafora del «versare» il sapere, che per So
crate non esiste un cosciente (cfr. Fedro, 272 A 4); esattamente traduce Lid-
dell- Scott, A Greek Lexikon , ad locum : «W ith ou t reserve».
9 Ovviamente, qui non si parla del Socrate «s to ric o », bensi della sua immagine nel
dialogo in questione. — Si potrebbe obiettare alia riflessione di cui sopra: «la folia
dà una valutazione sbagliata di Socrate, ma solo nella misura in cui essa lo ritiene
un maestro, mentre egli non era altri se non un interrogante». Forse questo può va
lere per il Socrate storico; non si è mai dubitato che il Socrate ddV Eu tifron e abbia
molto da imparare nel tratto del suo interrogare, cfr. ad esempio W ilam owitz, P la
ton, II, p. 79 a proposito dei punti di vista logici: «essi vengono trattati in maniera
cosi puntuale che l ’intento didattico non si può non riconoscere». Questa è, inizial-
mente, anche 1’ intenzione di Platone; ma quando egli fa dire a Socrate che egli, nel
suo dialogo, è «involontariam ente» saggio, allora è chiaro che Pautore attribuisce
anche al personaggio del dialogo quella che è la propria opinio ne (cfr. sotto, pp.
174 s.).
INVERSIONE DI M ARCIA POCO PRIM A D ELLA M ÉTA 173
10 Repubblica, 435 D; 504 B; cfr. 611 A - 612 A ; Fedro, 246 A ; 272 B; 273 E -
274 A.
n A proposito dei passi in cui Platone si trattiene dal parlare di certe cose che sono
contenute nelíaRepubblica, cfr. sotto, pp. 391 - 414.
12 Invece, per una volta, Eutifrone esce dal ruolo di sapiente: in 11 B 6 egli ammet-
te di non poter esprimere quello che pensa.
174 «EUTIFRONE»
deriderlo, col dire che gli capitava quello che succedeva al suo
avo Dédalo; ma, poiché sono le definizioni di Eutifrone che non
vogliono restare dove le si colloca, questa b effa cade. Invece Eu
tifrone ritiene che il beffardo confronto sia adeguato, poiché
Socrate fa «girare in torn o» le definizioni, che egli intendeva, in
vece, come fisse. A llora, dice Socrate, sono ancora piü abile di
Dédalo, che faceva muovere solo i suoi prodotti, mentre io pos
so metiere in moto anche quelli degli altri (11 B - D).
egli non e l ’ interlocutore adeguato per un dialogo fruttuoso; ma in nessuna fase del
dialogo la strutturazione di quest’ultimo e nelle sue mani.
16 V. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 149; Friedlander, Pla ton , II, p. 82;
W .G . Rabinowitz, P la ton ic Piety. A n Essay toward the Solution o f an Enigm a,
«Ph ronesis», 3 (1958), p. 115.
INVERSIONE Dí M AR CIA POCO PR IM A D ELLA MÉTA 177
1 W ilam owitz, P la to n , I, p. 141, parla di «lám em ele dei filosofi che giudicano
come frammentario I’ insieme». Un esempio di quest a svalutazione filosófica é in
Th. Gomperz, Griechische D enker, II, p. 308: il Liside é senza importanza dal
punto di vista del contenuto, é un «m odesto satellite» del Simposio. L o stesso
W ilam ow itz non é contento della capacita di Platone « d i presentare i suoi pen-
sieri filo s o ñ c i» (p. 141) (cosa che si suppone avvenire qui per la prima volta), e,
c o s í ritiene che, «d i contenuto teoretico» «n e l Liside non ce n’ é d aw ero m olto»
(p. 149); tuttavia, egli ritiene che chi consideri insieme form a e contenuto debba
respingere un giudizio negativo (p. 141). II giudizio di Guthrie é semplícemente
«ch e il Liside non é un successo» (A H istory ..., IV , p. 143); a sostegno egli cita
Cornford, secondo cui il Liside é «un saggio oscuro e m aldestro».
2 Guthrie, A H istory ..., IV , p. 146, sostiene che l ’ aver inseguito due obíettivi:
quello della satira sull’ argomentare sofistico e quello della descrizione del pro
prio «h a posto oneri eccessivi anche per il genio di P latone». Cfr. IV , p. 143:
«A n ch e Platone puö sonnecchiare»..
180 «LISID E »
che é stato detto suo «fra tello g e m e llo »3. Come in altri dialo-
ghi giovanili, anche qui si cerca di circoscrivere una «v ir tü », nel-
la fattispecie P «a m ic izia » (cpiXíot)4. II Liside ha in comune con il
Carmide (ma non con il Lachete, con Y E utifrone e con il primo
libro della Repubblicd) il fatto che la discussione si allontana in
m odo evidentissimo dalla virtü cercata, e solleva questioni la cui
risposta (per usare termini moderni) non sarebbe piü «e tic a »
bensi «m e ta fís ic a »5. Questo elemento comune, che non deve es-
sere trascurato, ci lascia presupporre che nel Liside e nel Carm i
de ci imbatteremo nella stessa concezione della comunicazione
filosófica del sapere.
M eno evidente, ma forse non meno importante, é l ’ affinitá con
un dialogo di tutt’ altro genere. Socrate viene coinvolto ín una
gara a proposito dell’ arte di trattare a parole in m odo corretto
un amato (¿p(í>[jLEvo<;). Pariendo proprio da questa situazione
Platone ha sviluppato nel Fedro le condizioni generali della su-
perioritá di un’ esposizione sull’ altra. L a risposta si trovava nel
concetto di dialettica, che é un’ arte dei lo g o i e della loro utilizza-
zione psicagogicamente corretta, e, con questo, anche un’ «a r te »
dell’ amore filosofico. Per quanto il Liside non risponda alie do-
mande del Fedro con ampiezza teoretica, resta comunque legit-
tima la domanda se esso non presupponga, nel m odo di condur-
re il discorso, la stessa concezione del procedimento del dialetti-
6 Sui contatti contenutistici con il Sim posio cfr. Friedländer, Platone, II, p. 95;
inoltre Schoplick, pp. 72 s., il quale confronta anche la similitudine della caverna,
cosa che, in dettaglio, non risulta troppo ricca di risultati (é tuttavia calzante l’ os-
servazione che « il dialogo nel suo insieme é un tratto di salita nella caverna che So
crate si propone per amore dei giovani con cui tratta nel d ialogo» (p. 73).
7 Friedländer, P la ton , II, p. 295, nota 2, rifiuta, a ragione, la concezione di v. A r
nim, Platos Jugenddialoge..., p. 69, secondo la quale il «rivestim ento» non avreb-
be nessun «intrínseco nesso» con il contenuto filosofico. L ’ identitá della situazione
di fondo con quella del Fedro é pero sfuggita anche a Friedländer.
8 204 E 10 - 205 A 2: xaí \j.oi í9i E7tíSei.!jocL a xaí -rotaSe. ¿TtiSeíxvudai, iva siSco &í í k í -
araaai, a XP^I ¿pacmjv 7te.pt 7tai8i>c¿jv v:p6<; auxov y) rcpói; aXXou? X¿y£i.v. — In Fe-
d ro , 236 E 3, la lettura ad alta voce del discorso di Lisia viene giudicata come ém-
Seiiji?.
182 «LISID E »
9 Liside, 206 C 5-7: ... íatoç av §uvaí[jLY]v aoi ÍTuSeiÇai a /pr] aÜTcõ 8taX£y£.a6at àvtt
toútcov ¿>v oútot X¿y£LV i t xaí aSeiv çacrí oe. Questa formulazione della situazione
di concorrenza dei discorsi sull’ Eros potrebbe essere accolta senza alcuna modifica
(prescindendo dal «can tare») nel Fedro.
10 A questo proposito, cfr., sotto, pp. 187 s.
IL DIALETTICO E I RAG AZZI 183
17 N on si vorrà negare che l ’ amore per i cavalli e per i cani fa parte délia form a di
vita del cpiXoxpV]tJi.on;oç, ovvero del ßio<; àTuoXaucmxoç. La menzione di questi scopi
del desiderio inutili, accanto a xpuatov, ha lo scopo di far risaltare con minore evi-
denza la triade ehe ne sta alla base «denaro - onore - cptXia ( = cpiXoaocpta)». Questo
camouflage è riuscito perfettamente a Platone: i commentatori saltano il passo, co
rne se si traitasse di un collegamenio casuale (cost, ad esempio, Schopück, D e r pla
ton is ch e D ia lo g ..., p. 28; Friedländer, Pla ton ..., II, p. 88; il passo manca anche in
A .J . Festugière, Contem plation et vie contemplative chez Pla ton , Paris 19503 e R.
Joly, L e thème philosophique des genres de vie dans l ’A n tiqu ité Classique, Bruxel
les 1956).
18 Guthrie, A H is to ry ..., IV , p. 151, n. 3, considéra «un brutto scivolone da parte
di von A rn im » il fatto ehe questi abbia sostenuto ehe il Kp&zov cptXov venga défini-
to in 220 C corne il Bene. L ’ àyaôov, introdotto per la prima volta in 220 B, sarebbe
cio ehe è buono per un altro scopo, e in 220 D E Socrate direbbe anche ehe il 7tpôo-
tov cptXov non sarebbe affatto simile a questo. Guthrie sembra perciô riferire tou-
tCHç, 220 E 2, al Bene di cui si tratta in B 7 - D 7. Invece, àyaôov era nominato
esclusivamente al singolare, e perciô il plurale toutoiç si riferisce agli al tri yiXct, ehe
si chiamano cptXa a causa del primo cpiXov. Questo non solo risulta di per sé dalla
frase D 8 - E 2, ma anche dalla seguente frase unita con yoep: xaüxa faiv yàp cpiXou
186 :LISIDE»
zia cercata da Soer ate è, cosi, «am icizia dei Bene» (çiXíoc toô
àya0oú). Egli vuole far «suo p ro p rio » il Bene, e questo fa la sua
«am icizia » (tpiXia) per la «filo s o fia » (cptXoacxpía), poiché è dav-
vero proprio dell’ an im a 19 solo ció che è accessibile alla sua in-
telligenza (voû;). Abbiam o, cosi, un buon m otivo di chiamare
Socrate, desideroso di amicizia, col nome di rappresentante del
la «v ita contem plativa» (ßtoç 0 &6 )p7]Tt,xóç), di vero e proprio dia-
lettico. Ció a cui egli si rivolge come amante in senso totale
(ttocvu epcùXLxô);, 211 E 3) non sono amici umani che lo ricambie-
ranno con l ’ am ore20, bensi è il Bene come origine ultima. Par
iendo dalPoggetto del suo amore, si spiega anche la sua capacità
di riconoscere gli amanti: essa non è altro che la capacità del dia-
lettico di trovare l ’ anima « a ffin e » alla filosofía, l’ anima adatta
(cj)U%T] 7rpoar¡xousoc) 21.
ïvtxa (píXtx xéxXrjiai. Il falto che ció che è «veramente caro» (to õvu cpíXov) si è
mostrato corne ció che è caro «a causa di una cosa odiata» (E 3-4) rimanda a D 2,
dove del Bene è detto che lo amiamo « a causa del m aie», Questo rimando alPindie-
tro in avÊ-cpocvr) (E 4) implica Pidentità di cryocöov e di rcp&rov yiXov. Il «brutto scivo-
lon e» si trova in Guthrie.. Se si accetta, inoltre, che la concezione per cui il Bene vie
ne amato «a causa» ovvero «in grazia» del maie ( 8 ià xô xaxóv D 2; E
4 — il passaggio non logico fa parte dei coscienti «in ga n n i» d e r dialogo) viene
espressamente ritirato (220 E 5 - 6 ; 221 D 1) — , si 'ottiene la verità fondamentale di
Platone in tutta la chiarezza desiderabile: il upioxov cptXov è il Bene, a causa sua si
ama ed è Púnico vero «c a r o », fonte di tutti gli altri cp(Xa.
19 Non è un caso che il termine c[ii>xïj (222 A 3) cada subito dopo iî collegamento di
parentela con l ’ oggetto dell’amore (otxeîoç xw Ipcofxivo), 222 A 2) e dopo la separa-
zione da quello (ou ccv xt àcpouprjica, 221 E 2): si tratta, evidentemente, della «p a
rentela» delPanima con il m ondo divino delle Idee, della sua «antica natura» per-
duta (R epubbiica, 611 E 2 e D 2). K. Glaser, Gang und Ergebnis des Platonischen
Lysis, «W ien er Studien», 53 (1935), pp. 60-63, ha commentato con grande chiarez
za che cosa implichi, per Platone, l ’ idea della «parentela» con Toggetto della cono-
scenza. Cfr. anche Schoplick, D e r platonische D ia log ..., pp. 60-63 (ampiamente
sulla scia di Glaser).
20 Naturalmente, Socrate conquista anche gii uomjni: alia fine del dialogo egli
stesso si conta fra gli amici dei ragazzi (223 B 7). M a come si conquistino gli amici è
detto da lui nel discorso protrettico a Liside: diventando «sapienti» (210 D 1), e
quindi non cercando, allora, Pamicizia degü uomini. L a sapienza dei poeti, secon-
do i quali D io stesso fonda Pamicizia (214 A 3-4), ha anche un preciso senso plató
nico: il «d iv in o » mondo delle Idee unisce gli uomini, che, filosofando, mirano alia
ójjLoícúaiç ôecõi. (Sul rapporto deîP «am icizia per la cosa» e delP «am icizia per le per
sone» cfr. v. Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 62; Glaser, Gang und Ergebnis
pp. 60-63; Schoplick, D e r platonische D ia log ..., pp. 62, 67 s.).
21 Si chiarisce, qui, anche la questione, una volta dibattuta animatamente, se il L i
side vada contato fra i dialoghi sulPEros oppure no. Per von Arnim , che si è oppo-
sto soprattutto all’interpretazione «e ro tic a » del Pohlenz, Aus Platos ..., pp. 365
ss., il Liside non ci fa «presagire nulla delPerotica del Simposio e del Fedro» (p.
40). Questo è giusto in ogni caso nel senso che, pariendo soltanto dal Liside, non è
IL DIALETTICO E I RAGAZZI 187
possibile ricostruire la filosofia sull’ Eros di quei dialoghi. M a von Arnim trascura il
fatto che Socrate vuol far vedere corne si debba parlare con un epcoptevo?, e che, co
si facendo, egli, in ultima analisi, tratta di filo so fia . Friedländer, Platon, II, pp. 94
s., mostra, in m odo convincente, che nel Liside i ’eros platonico e presente ovun-
que. Infine, risulta decisiva la fräse secondo la quäle i'pwi, ipiXia e ¿TctÖufxia si rivol-
gono al «p r o p r io » (che altro non e se non il Bene) (221 E 4). Si comprende dalla
concezione della graduazione dei veri e propri dialoghi (Simposio e F edro) sull’ eros
che queste diverse form e del desiderio debbono avere uno scopo comune.
22 C fr. sopra, pp. 182s.
23 Subito dopo viene confutata la fräse in cui e detto che il Bene fa parte della na
tura di ognuno ed e pertanto «c a r o » (222 C D ) — una fräse che appartiene, quindi,
al «ricavo filosofico n etto» (v. Arnim , Pla tos Jugenddialoge ..., p. 62) del Liside.
— Come giustamente osserva Schoplick, D e r platonische D ia log p. 74, nota 3,
con ¡i.e0uo|j.E.v Socrate accetta il rimprovero che gli era stato fatto ad esempio con
xapaxx£t n tW Ip p ia m inore, 373 B 4.
188 «LISID E »
A lla fine del Liside Socrate voleva «invitare alia discussione uno
fra quelli che fossero piü anziani dei due ragazzi». Questo é
esattamente ció che egli fa nel Carmide. Se il discorso sulPamici-
zia si era concluso con la sottolineatura delPindipendenza non
ancora ottenuta dagli interlocutori di Socrate, il discorso sulla
temperanza inizia, invece, con il riferimento al fatto che il per
sonaggio da cui prende il titolo il dialogo Carm ide, non é piü un
ragazzo ed é «g iá un giovan e» (¡Jisipáxtov, ve-avíaxo^, 154 B 5; D
1). Mentre la conversazione con i ragazzi Liside e Menesseno era
stata interrotta da un intervento di estranei, in cui gli innocui pe-
dagoghi si intromisero «com e dem oni» (¿Sotie-p 8 aí¡j.ov£<;) — o,
per diría con riferimento al testo del Liside, come oscuri «d em o
n i» (Saí^ove^) ostili — , il discorso con il «giovan e Carm ide» si
conclude, invece, con la libera decisione di quest’ultimo di met-
tersi a lungo in compagnia di Socrate per diventare «tem peran
te », e con questo, diventare felice, ossia, per diría con termine
greco, un buon-demone, eu-Saípiwvl . L a relazione antitética fra
le situazioni dei due dialoghi é manifesta. II Carmide, allora, é il
proseguimento della ricerca filosófica, cui si fa allusione nel L i
side, con un interlocutore piü maturo e ad un livello piü alto? 2.
1 Socrate a Carmide: ... ocwTrep afoçpovéatepoç &Í, toaoúxqj sívai xaí eu8ou[j.ové-
cxepov, 176 A 4-5. N el dialogo si era in precedenza cercato di spezzare il nesso fra
sophrosyne e «fe lic itá » (173 A -E , a proposito del quäle cfr. sotto, p. 205).
2 La domanda non ha intenti cronologici. Se si dovesse mostrare operante, in en-
trambi i dialoghi, la stessa immagine, consistente, della dialettica, che ritroviamo
nel Fedro e nella Repubblica, allora dovrebbe risulíare chiaro che, per Platone,
non puó aver avuto grande importanza quale parte del grande quadro complessivo
egli ha, per prima, messa per iscritto. L a datazione dei due dialoghi in rapporto Tu
no con 1’ altro non si puó stabilire con sicurezza. Per quanto riguarda la daíazione
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICER CAT ORE» 191
assoluta del Carmide, e stata proposta giä da vari autori, ehe hanno addotto d iffe
rent! m otivi a sostegno, la datazione «ta rd a » degli anni 80 del IV secolo, non lonta-
na dai dialoghi «m etafisici» del periodo di mezzo, che Kahn sostiene come novitä
«eretica » (C h.H . Kahn, D id P la to W rite Socratic Dialogues?, «Classical Quar
terly», N.S. 31 [1981], pp. 305-320); a proposito dei vari autori di cui si e detto,
cfr., ad esempio, B. Witte, D ie Wissenschaft vom Guten und Bösen. Interpretatio
nen zu Platons «C h a rm id es», Berlin 1970, pp. 42-46; G. Müller, Philosophische
D ialogkunst Platons (am Beispiel des Charmides), «Museum Helveticum », 33
(1976), pp. 129-161 (il Carmide «n on e necessariamente un dialogo giovanile», p.
160).
3 Secondo il programma della Repubblica, 537 B ss., la scelta dei futuri dialettici
ha inizio fra coloro i quali hanno superato il trentesimo anno di etä; dal cinquante-
simo anno essi entrano nella fase finale decisiva (540 A ).
4 156 D - 158 E. II significato della metafora della «m edicin a» e deir«ihcantesi-
m o » verrä spiegato in m odo piü dettagliato alia fine del presente capitolo.
5 II significato di awcppoauvr] non e reso in m odo adeguato da nessun termine tede-
sco. Per il momento ci atteniamo al termine che tradizionalmente si utilizza nella
traduzione: «avvedutezza». La nostra interpretazione rivelerä che la sfumatura che
piü si aw icina a quello che Platone intende dire con questo termine e «autocontrol-
lo » , controllo cosciente delle proprie azioni. (Guthrie, IV , p. 157, nota 2, fornisce
una lista trilingue di possibili traduzioni.) [Anche in lingua italiana non c ’e un ter
mine corrispondente. Comunemente si utilizzano, per la traduzione, i termini «sag-
gezza» o «tem peranza». Abbiam o preferito quest’ultimo che, tra l ’ altro, corri-
sponde ad «a u tocon trollo»].
192 «CAR M ID E»
6 176 B 9 -. ¿o? otxoXoü0r]aovTo<, etpy), xaí ¡ir) áftoXei^of/évou. C 4: ano TocuriqaL xí\q
rj[jipac; ápíjápisvoí;. B 4: eTcáSeaOai w tó aoG oaat r¡¡jtip a t, t<x>c, ocv 9^5 aü txav¿ú¡; v / tiv .
7 175 E 6 : oioiJLat ... í\ii yaÜAOv that ^rjxrjTriv. 176 A 3: ¿Súvaxov Xóyoj óttouv Cr)-
m v . 173 A 3: olfxai ¡xív, ... XrjpeTv ji t . 176 A 3: Xfjpov. 175 A 10: oúSév izz-
pl (jaxppoaúviQi; cxoticú. C fr. 172 C 4.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 193
10 157 D 5 ss.; 158 B 2-5: t i 7tpo<; <jG>9 poaüvr¡v ... jrécpuxac;’ ... í y t i Se
ou-tco?. L a domanda di Socrate era: t i xrjv <t>uxfy xüyxáve. t tx> ntyvxáx;, 154 E l . —
L a costatazione della predisposizione naturale di Carmide alia avvedutezza conclu
de I’elogio entusiástico della sua famiglia — la stessa di Platone — . II problema é,
ora, vedere quanto tale disposizione naturale si sia giá sviluppata (et ¡jív jo i rjSr]
mxpecmv, 158 B 5).
11 In 159 E - 160 A , inoltre, con £¿¡j.a0ía, i presupposti intellet-
tuali vengono sviluppati alio stesso m odo come nellaRepubblica, 503 C; cfr. Lette-
ra V I I , 344 A . L ’aspirante diventa Guy^evrii; xou írpáy^axoi; solamente se possiede
anche il carattere adeguato.
12 E noto che Carmide si affianco a suo cugino Crizia e divento membro dei
«trenta».
196 «CAR M ID E»
14 II calzolaio saggio o temperante non fa solo le proprie scarpe ecc. (161 D 3 -162
A 8). Questo m odo di intendere la formula «fa re le proprie cose» viene rifiutata, in
quanto inadeguata, nella Repubblica, 369 E - 370 D. L ’introduzione, apparente-
mente immotivata, della parola chiave 7ió)u£, 161 E 10, mostra che Platone nel
Carmide considera la aaxppoaúvri nella stessa prospettiva della sua opera maggiore.
E la costatazione conclusiva che la acocppooúvr] non puó essere «fa re le proprie co
se» in questo senso (ouxto, 162 A 7), mostra con sufficiente chiarezza che la corre-
zione, formúlala piü tardi, dell’interpretazione troppo letterale fa parte, anche qui,
delTargomento. V a costatato, come sempre avviene in questi casi, che, senza Pas-
serzione diretta della Repubblica, non potremmo riconoscere che la correzione pro
posta da Crizia corrisponda in pieno all’ opinione di Platone: infatti, Socrate non si
sofferm a suIPinsegnamento semántico (163 D 5). — Cfr. sotto, pp. 204 s., a propo
sito del secondo accenno, piü importante, alia polis.
198 «CAR M ID E»
IS 165 E 1: ¿TttCTTTÍjjLT) ... locuxoö, 166 C 3: iTcurrrjfAT] ... íau-r/jç, 169 B 6 : èmazr\[í,r\
¿7iioTf){JLriç. J. Stenzel denomino il passaggio come «logicam ente non si curo» in
Studien zur Entwicklung der platonischen D ialektik von Sokrates zu Aristoteles,
Leipzig 19312, p. 11, seguendo qui von Arnim , Platos Jugenddialoge ..., p. 117.
Per Platone stesso non faceva nessuna differenza se indicava come soggetto di una
conoscenza la craxppocsúvT] o il awcppojv, come, sulla base dell’ uso linguistico platoni
co, ha dimostrato in maniera convincente Herter, Selbsterkenntnis der Sophrosyne
..., pp, 74-88. La correttezza del passaggio, stando alle premesse di Platone, è già
stata sostenuta da Friedländer, P la to n , II, p. 290, nota 8 .
IL GIOVANE E IL «CATTJVO RICERCATORE» 201
19 Questo significa l ’ immagine del dio marino Glauco, la cui «antica natura» puö
tornare ad essere riconoscibile solamente allorche vengano eliminati i muschi e le
alghe che lo ricoprono (Repubblica, 611 DE).
20 I nessi, qui solo accennati piuttosto che descritti, vengono esposti con estrema
sinteticitä da Stenzel, Studien, zur Entwicklung p. 12, e in modo piü dettagliato
da Friedländer, P la ton , II, pp. 67-73; nello stesso senso Müller, Philosophische
D ia log k u n s t..., pp. 129 ss. II testo piü importante per spiegare il Carmide, e, se
condo Friedländer, P la ton , II, p. 73, YAlcibiade maggiore (che egli ritiene autenti-
co); per Müller, Philosophische D ia lo g k u n s t..., pp. 133 s., 136, si tratta, invece,
del F ed ro, che interpreta la conoscenza di se stessi come domanda sulla struttura
dell’ anima (230 A ), e nel m ito dell’ ascensione delle anime al luogo ultraceleste, in
cui la sophrosyne e nominata fra gli oggetti della conoscenza (247 D - Müller tra-
scura, comunque, la differenza oniologica fra anima e Idea). Oltre a questi testi,
mi pare importante soprattutto anche Repubblica, 611 A - 612 A , secondo cui la
natura vera, originaria, delPanima viene riconosciuta solo se si guarda aüa sua <pi-
Xoaocpia e alla sua frequentazione dell’ eterno (611 E 1-3). La conoscenza delle Idee
e, quindi, la condizione della conoscenza di se stessi. Poiche la natura originaria
dell’anima e concepita come una condizione etica di purezza, questo passo, anche
se non compare il termine sophrosyne, costituisce, al tempo stesso, il collegamento
alla conoscenza di se, intesa come perfezionamento nelle virtü (cui si fa brevemente
cenno in 611 C 5). — K. Oehler, D ie Lehre vom noetischen und dianoetischen D en
ken bei Platon und Aristoteles, München 1962, a p. 108 egli ha visto una «funesta
semplificazione» nella giustificazione del passaggio da ¿7tiax%r| eau-coö a £7ucrTri|ji-7]
eao-rfj^, poiche, nella conoscenza della struttura oggettiva dell’anima da parte del-
l ’ anima, «soggetto e oggetto non sono identici». Rifacendosi a Bonitz, Platonische
Studien, p. 236, Oehler spiega la scienza della scienza: «C iö che qui improvvisa-
mente eolpisee la vista e che altrettanto improvvisamente viene respinto come as-
surdo e esattamente ciö che costituisce la moderna comprensione del mondo, ossia
la soggettivitä che fonda autonomamente se medesima e il m ondo» (p. 109). E perö
chiaramente inadeguata l ’ asserzione che la i%iGzr\[i.r\ venga respinta:
Platone impedisce attentamente che questo accada di fronte alla forza (apparente)
degli argomenti (168 A 10-11, E 3-169 A 1). E Herter ha mostrato (Selbstverständ
nis der Sophrosyne ..., pp. 74-88) che la supposta «funesta semplificazione» e una
funzione nel!’ uso linguistico di Platone. Contrari alle tesi di Oehler sono anche
Witte, Die Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., p. 117, nota 23; Müller, P h ilo
sophische D ia log k u n st..., p . 135, nota 4 e p. 140, nota 8 .
202 «C AR M ID E »
Wissenschaft vom Guten und Bösen ..., p. 123, e da Bloch, Platons Charmides
p. 122 .
24 168 A 10: jrriSev yap ttco SuaxupiC^I^Qa oux eaxiv, 169 A 1 ... tois ¡xev ootl-
crtiav < av > mxpaaxot, Xaoiq öe naiv ou. D opo quello che precede sarebbe consen-
tita solo la prima posizione.
25 Cfr. in particolare 170 D 5: aXXov ... aaai cpaaxovxa t i iiziaxaaQai.
IL GIOVANE E IL «C A T T IV O RICERCATORE» 205
27 Cfr. an che sotto, nota 35, circa il rapporto di Carmide, 166 D 4-6 e Lettera V II,
341E 1-2.
208 «C AR M ID E»
non gli sono sfuggiti il rifiuto della stesura per iscritto e i paralleli della tcoXXt}
auvouaía nella Lettera V II. Bloch considera anche un’ intersezione del dialogo nar-
rato con la successiva ItcwBy), in quanto il fatto che Carmide si renda conto della
sua nécessitá costituisce «u n elemento essenziale della éi«oSr¡». N on ci sembra, a
nostro avviso, che ci siano obiezioni da sollevare in proposito: una distinzione as-
solutamente rigorosa sarebbe da aspettarsi da una dottrina segreta, ma non dal
concetto platonico del filosofare orale (cfr. anche sotto, nota 36). Anche Bloch no
ta come sia decisivo, per la ¿7tto8 r|, Finsegnamento personale. — W itte avvicina
troppo l ’uso di ¿ftwóri fatto nel Carmide a quello che di questo termine viene fatto
nelle L egg i (659 D E; 664 B; 666 C e di frequente) e giunge, cosi, a ritenere che essa
abbia «carattere protrettico» (p. 61, nota 124). M a i Xóyoi. che generano nell’ anima
la sophrosyne (157 A 5 s.) sono necessariamente piü che protrettici. — R. Dieterle,
Platons Laches und Charmides. Untersuchungen zur elenktisch- aporetischen
Struktur der platonischen Frühdialoge, Diss., Freiburg i. Br. 1966, pp. 149 s., so
stiene che il dialogo incentrato suWelenchos crei giá la sophrosyne nell’ anima di
Carmide e che, pertanto, sia esso stesso r«in can tesim o». Qui é evidente lä confu-
sione di sophrosyne intesa come disposizione dell’ anima con la sophrosyne della
conoscenza filosófica di se stessi; inoltre, Dieterle ignora l ’ azione del dialogo, che
va intesa come «conversion e» di Carmide, come, cioé, entrata in un processo arcó
'toum}<ri xfj? r)fjL£potij áp?áp.&vo?, 176 C 4. C fr. sotto, nota 39.
210 «CAR M ID E»
31 Zalmosside non era un D io, bensi un ex-schiavo di Pitagora che, con un trucco,
aveva destato nei Traci creduloni speranze di immortalitá: questa é, in ogni caso, la
versione dei fatti secondo i Greci del Ponto (Erodoto, 4, 95).
32 Socrate deve jipoajíonqaaaGai. ¿ jiia - r a a S a í t i X£cpaXijç cpáp[xaxov, 155 B 5; la so
phrosyne che «d o m in a » nello Stato avrebbe dovuto smascherare latpòç ... Ttpoc-
TCQt.oú|jL£vóç xt eiSevat. o [xt) oI8 e.v (173 B 2-4; cfr. 170 E 1: ó npoGTcotoújxevoç úxxpóç).
La coincidenza nella scelta lessicale è difficilmente dovuta al caso.
33 Si noti, di passaggio, che il fatto che il farmaco non venga piü nominato alia fi
ne non deve far concludere che esso non ci sia; dal momento che Carmide sa che
egli necessita per prima cosa deiPincantesimo, il ricorso al farmaco non sarebbe
attuale.
212 «CAR M ID E»
36 La responsabilité nei confronti dell’ oggetto e dello sviluppo corretto del discen
te costituisce un m otivo sufficiente per tenere il riserbo su quanto non puô ancora
risultare utile. A che cosa mirava, allora, il giuramento che Socrate aveva dovuto
fare al Tracio (ò[xtó[jioxa yàp atmô, xaí ¡jloi àvàyxri 7ie.t6e.a0ai, 157 C 1-2)? L ’ obbli-
go alla riservatezza, sia esso religioso o sociale, caratterizza le dottrine segrete; l ’e-
soterica platonica, invece, si fonda sulla conoscenza da parte delPinsegnante delle
necessità dovute alla situazione didattica (cfr. sotto, pp. 484 ss.). Il Carmide con-
traddice, perciô, la nostra concezione di esoterica? N on credo: Tintera storia incre-
dibile dello sciamano tracio da cui Socrate dice di aver imparato è inventata con
molto umorismo e distacco. Fa parte delP ironia della cornice «tra c ia » se la riserva
tezza del dialettico, fondata sulla conoscenza e sul giudizio personale, viene sosti-
tuita dall’obbiigo rigido di un giuramento. Il Platone délia Lettera V II, comunque,
non rimprovera affatto Dionigi di aver rotto un giuramento. — Witte, D ie Wissen
schaft vom Guten und Bösen ..., p. 145, vede, a ragione nel racconto del giuramen
to la «m itica prefigurazione del circolo esoterico delPAccadem ia»; W itte non si po
ne questioni circa èventuali differenze fra la «comunità arcaica dei sacerdoti» dei
Traci e PAccadem ia a proposito del vincolo a rególe di trasmissione.
37 N el seguente riassunto, dunque, si presuppone che anche la metafora del <páp-
fjiaxov abbia un significato, che è possibile indicare, per la trasmissione del sapere
filosofico, conformemente alPimportanza che viene attribuita a tale metaforá nel
dialogo introduttivo. Chi non fosse stato convinto dalla riabilitazione del farmaco,
apparentemente inesistente, si ricordi, ancora una volta, che i tratti fondamentali
della nostra interpretazione, mutatis mutandis, rimangono gli stessi, se trascuriamo
la differenza ¿utuBrj - cpápjjtaxov e se parliamo unicamente della differenza fra dia
logo scritto - in(ùhr\.
214 «CAR M ID E»
38 Dieterle, Platons Laches und Charmides ..., pp. 145 s.; Müller, Philosophische
D ia log k u n s t..., p. 135.
216 «CAR M ID E»
11 187 E 9-10: fxr¡ Traú&cGcci utto t o ú x o u (scil. Sajxpáxou?) 7ie.piaY0fiE.vov xco Xóytú,
Tcptv < av > &Í£ xó StSóvca 7re.pt aúxoü Xó^ov.
12 194 C 8-9: o yap k«X¿>; X ^ o ^ to s (scil. Stoxpáxou^) áxr¡xoa, xoúxto ou
XP^oBe. II m otivo del «fa r girare in circolo» e quello del «n on fare u so» ( ~ «na-
scondere») sono riuniti nel Carmide, 174 B 11: rcáXat ¡jl e TreptéXxei? xúxXco,
á7toxpü7t:xó[/,evoí oxi ... L ’iniziativa, almeno nel primo stadio deH’ insegnamento fí-
losofico, riprodotto mimeticamente nel dialogo, risulta essere del tutto in mano al
dialettico.
13 Cosí, ad esempio, 196 A -D : é perfettamente corrispondente alia concezione pla
tónica il fatto che il vero coraggio (inteso come sapere ció che genera timore) non é
una conquista alia portata di chiunque; di conseguenza Socrate si guarda bene dal-
l ’ accogliere il rimprovero di Lachete, secondo i! quale N icia avrebbe voluto soltan-
to scusarsi. — A proposito del vano attacco di Lachete a ció che di platonico é con-
tenuto nelle afferm azioni di Nicia, cfr. quanto dice Friedlánder, P la tó n , II, p. 40.
IL MAESTRO SI SOTTRAE A G L IA L L IE V I 223
14 Lachete , 194 E l i s.: r¡ t¿ov óe.lv¿3v xaí GappaXéojv iniazí}\j:f\ ~ Repubblica, 430
B; Protagora, 360 D.
15 Cfr. sopra, p. 197.
16 a voel? tco Xóyq) 194 C 5-6.
224 «LAC H E TE »
derato « la virtü nella sua glob alitá», per osservare poi, súbito,
che la sua definizione era «u n compito forse troppo grande»
(tcXéov yocp taco? &pY0V> 190 C), per cui era meglio iniziare da una
parte della virtü (190 B 7 - C 10). M a la scienza del Bene e del
M ale, che spuntava alia fine dei vari tentativi di definizione,
avrebbe, pero, procurato al suo possessore non solo una parte
della virtü, ma la virtü nella sua interezza (199 D ). Nicia aveva
ragione quando diceva che Socrate fa «girare in circolo» (187 E
9) l’ interlocutore: dopo un veloce sguardo alia virtü tutta intera,
egli 1’ aveva condotto via verso un’ analisi che ha quale único ri-
sultato positivo la scoperta che ció che é stato accantonato é ció
che effettivamente meriterebbe di essere saputo, e che sarebbe
necessario per 1’ anima. É per la mancanza di un sapere migliore
che Socrate ha allontanato dall’ unica cosa di cui c’ é bisogno?
É meglio che cerchiamo di comprendere il suo comportamento
come quello dell’esperto nella cura dell’ anima (del texvlxó? Trept
cjjux'ñí OepaTreíav) che egli stesso consiglia di cercarsi (185 E 4-6,
ripreso nella raccomandazione alia ricerca «d e l maestro m iglio
re », 201 A ). II tener lontano il «com p ito piü grosso» che viene
sottolineato, allora, non é altro che l ’ esitazione del conoscitore
deiranim a ad imboccare la «strada piü lunga» della dialettica,
se mancano i requisiti. L a sua «cu ra dell’ anim a» (4>ox^íí Q^pot-
TCsía) non consiste solo nelle parole di chi prende cura dell’ani-
ma, bensi in una «gu id a dell’ anim a» (c|>uxaywyía) basata sulla
conoscenza, che sa quale é il momento giusto in cui parlare o ta-
cere, che sa quali mezzi dell’arte adoperare e fino a che punto
adoperarli o — per usare di nuovo una formulazione del Lache-
te — che sa se e quando « fa r u so» di una conoscenza giá acquisi-
ta. II vero «esp erto » ('ztyyw.óc,) della cura deH’ anima non puó es
sere altri che il vero «esperto dei discorsi» {xtyyw.be, Xóycov Tiépt,).
Socrate mostra nei confronti di Nicia la vera «guida dell’anim a»
(c[>uxayü)YÍa), «facen dolo girare in circo lo » non piü in la di un
lontano sguardo alia scienza del Bene: N icia conferma ció suc-
cessivamente, quando afferm a di credere di poter ottenere l’ ap-
profondim ento della sua conoscenza anche presso altri che non
siano solo «esp erti» della guida dell’ anim a20.
pa ó 8óç) che porti alia dialetlica, cosi che non dobbiamo percorrere inutilmente
quella piü lunga e faticosa. N el Lachete Socrate stesso stimola verso una pácov axá-
(Jhç, 190 D 1: egli non ha affatto l ’intenzione di imboccare, qui, la strada piü lunga,
e questo è essenziale per la comprensione del dialogo (niente circa la struttura del-
ranim a, la reminiscenza, la conoscenza delle Idee ecc.). Friedländer, Platon, II, p.
37, ha espresso con una formula molto calzante il fatto che il dialogo è condotto da
Socrate su di una «rotta intenzionalmente sbagliata»; ma anche Friedländer non si
è accorto che egli ha dovuto farlo proprio in quanto T£Xvix °Ç-
21 Con la sua fede ingenua nel fatto che il sapere parziale, ricevuto da Socrate, puó
essere condotto alia meta integrándolo con il proprio sapere (e altri, non socratici),
Nicia è quasi una figura simbólica della moderna teoria del dialogo, che considera
il dialogo platonico come uno scritto autarchico e che si illude di poter ricavare au
tonomamente il contenuto senza una comunicazione autentica dei xi^ifóxepa, che
volutamente non vi sono stati inclusi. (L'auto-inganno m etodologico di questo ten
tativo di interpretazione puó restare nascosto soltanto perché nella Repubblica è
presente una parte sostanziale dei Ttfitwitpoc necessari per i dialoghi sulle virtú; ci si
è cosí potuti illudere di aver ricavato dalle opere giovanili quello che, in realtà, si è
proiettato al loro interno prendendolo dalla Repubblica). L ’ awersario di Nicia,
Lachete, lo supera per ingenuità, in quanto ritiene che Socrate sia coinvolto nell’a-
poria tanto quanto lo è lui stesso (196 B 2-4): anche Lachete può rappresentare sim
bolicamente proprio quell’indirizzo interpretativo storico-evolutivo che sostiene se
riamente che Platone stesso è tormentato dalle stesse aporie che egli mette in scena
con tanta arte.
IL MAESTRO SI SOTTRAE AG LI ALLIEVI 227
11 L a scienza generale del Bene e del M ale, in cui viene introdotta la scienza di ció
che incute timore e di ció che ispira fiducia, 199 C D é, senza dubbio, idéntica a
quella che porta lo stesso nome in Carmide, 174 B C, la cui possibilita dipende da
una analisi dell’ esser e generale precedente (cfr. sopra, p. 214). A differenza del
Carmide, il Lachete non dubita della possibilitá di un tale sapere. — Friedländer,
P la ton , II, pp. 38 s., 40, 42, 44, ha cautamente indicato il fatto che nel Lachete si
tende alia «arte regia» della dialettica. II punto di vista della Repubblica, plena
mente sviluppato, che fa da sfondo e da presupposto del dialogo «a p o rético », é
stato sottolineato con enfasi da Schulz, Das Problem der A p o rie ..., e da Erbse,
Ü ber Platons M ethod e ..., pp. 25-32 (poco convincente risulta soltanto la convin-
zione di Erbse, secondo il quale i dialoghi giovanili voíevano fornire una prova in-
diretta della dottrina delle Idee: senza la descrizione diretta successiva né Erbse né
alcun lettore sarebbero andati piú avanti di quanto abbiano fatto i generali Lachete
e Nicia).
23 II trasferimento del rifiuto di insegnare al figlio (200 D ) alPinsegnamento filoso-
fico del padre non é un arbitrio intepretativo. Platone, al contrario, fa dire a Nicia
stesso che, in presenza di Socrate, ci si deve occupare non dei figli ma dei padri (188
B 6 - C 1). L a nostra interpretazione puó essere intesa come una applicazione di
questo accenno all’ azione-comice.
XII. «Protagora»
II sofista é migliore rispetto al suo libro?
nel loro insieme i m otivi del dialogo rilevanti per quest’ aspet-
t o 3.
3 I] caratíere agonístico non si ricava solo dal tono che domina in un discorso. La
discussione tagliente e aspra, che caratterizza il Gorgia, é evitata nel Protagora, ma
questo non significa che la situazione sia meno agonale: nella atmosfera civile delía
casa di Callia é possibile condurre una battaglia sostenuta, pur salvaguardando la
cortesia. Guthrie, A H i s t o r y IV , p. 233, confonde il tono del discorso e la situa
zione agonale, ricavando dal m odo córtese di conversare l ’intenzione di Socrate di
trarre il massimo dei vantaggi dalla posizione delPavversario e di mostrarne la fo r
za rispettabile.
4 349 C 8 s.: ou fá p av Qau^á^otpu &£to ts ooto7teip(Ó^e.vÓ(; ¡xou xaüxa Zkzyh;.
5 341 D 8 : sí oió; x ’ L'ar¡ t<o aautoü Xó^co PoriQetv.
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 231
6 341 D 6 s.: xat iy<x> oífjwu ... IIpóBtxóv “ys xóvSe e.i8£vai, àXXà iza.íÇzi\> ...
7 È evidente che almeno Protagora si è schierato per la diversità delle virtü, senza
secondi fini (329 D E).
232 «PR O TAG O R A»
stessa cosa nei suoi confront! (oppure fra l o r o ) 16. Solo il «sag-
giare» (à 7tO7r£ipâ<T0 at,) e la possibilita del trattenere il sapere, già
ampiamente messa in gioco, danno il vero peso dell’afferm azio-
ne di Socrate per cui, nel corso del suo esame del logos, tanto
l ’interrogato quanto egli stesso, in quanto inquisitore, sono sot-
toposti alla prova (333 C 7). Ciò che Socrate vuol sapere è ciò
che egli mette in bocca a Prodico: se Protagora è in grado «d i
portare soccorso al suo lo g o s ». Anche il suo comportamento,
perciò, va visto secondo ií medesimo aspetto. In altri termini:
solo chi fosse in grado di «portare soccorso» a se stesso può ese-
guire il test del filosofo nel senso delia critica dei testo. E costui
è lo stesso che, secondo la maniera lacedemone, sa anche «na-
scondere» il suo sapere in caso di bisogno.
20 E poiché i testi non li si puó interrogare, ognuno legge nel testo una cosa diversa
(E 4-7). L ’interpretazione di Socrate ha appena dimostrato che questo si puó fare a
piacere. II Socrate storico sembra aver attribuito all’ intepretazione dei poeti un va
lore non piccolo, cfr. Senofonte, M em ora bili, I 6,14 e IV 2, 8 ss. (e l ’ osservazione
in proposito di W . Jaeger, Paideia, II, Berlin 1944, pp. 77 e 372, nota 4).
21 Nella prima argomentazione si era mostrato che la giustizia non è diversa dalla
devozione (330 B - 332 A ), nella seconda erano state equipárate temperanza e sa
pienza (332 A - 333 B); la terza argomentazione (333 B ss.) volevam ostrare l ’identitá
di giustizia e temperanza, ma era stata interrotta dalla discussione sui metodi (334 C
ss.). Comunque, Protagora accetta anche questa prova, riconosce l’ unitá delle virtü
della giustizia, della devozione, della temperanza e della sapienza e tiene distinta da
queste solo la virtü del coraggio (349 D ). — Già H. Bonitz (Platonische Studien, pp.
265 s.; analogamente Friedlãnder, P la to n , II, p. 15) ha spiegato il fatto che Socrate,
nella prima discussione (330 B ss.), voglia dimostrare Yidentità delle virtü motivan-
IL SOFISTA È MIGLIORE RISPETTO AL SUO LIBRO? 241
dolo con l ’intenzione di metiere alla prova Protagora; nella seconda discussione
(349 D ss.), e, in particolare, alla fine del dialogo (361 B), diventa chiaro che cosa si
intende: la fondazione comune délie virtú sulla conoscenza (che è per forza cono-
scenza del Bene e del M ale, 352 C 4-5). O. Gigon, Studien ..., p. 105, credeva in una
«contraddizione nel pensiero m edesim o», che, di conseguenza, trovava addirittura
«allettante» «g io c a re » «c o n il pensiero di una soluzione radicale», cioè con la atetesi
del dialogo (p. 108).
242 «PR O TAG O R A»
non avrebbe dovuto fargli ammettere ehe chi ha sicurezza ce l’ ha solo in quanto si
basa sulla conoscenza e ehe la fiducia senza la conoscenza sarebbe aiaxpov (350 A
2; B 5). Se Socrate deve aver ragione, allora egli dovrebbe formulare 350 C 3 in m o
do diverso o, almeno, rifiutare la correzione logica. Se si tenta di considerare, a
parte la logica, anche la tattica del diaiogo, allora la reazione di Socrate si rivela
sensata, indipendentemente, quindi, dall’ analisi logica: se il rimprovero colpisce
nel segno, allora l ’ intera dimostrazione 349 E - 350 C costituirebbe un caso di quell’
àrcoTietpconevov Xé^eiv, che determina 1’intero dialogo, paragonabile alFingannevo-
le scambio dei concetti di «fa r e » e «occu parsi» nel Carmide, 161 D ss. — anche là
Crizia intuisce 1’ errore (163 A B), il ehe rende necessário un nuovo inizio da parte
di Socrate ehe, del resto, non è affatto confuso; se il rimprovero non coglie nel se
gno, allora il logos di Socrate, nonostante tutta 1’ apparenza delia legittimità, è tut-
tavia « a torto denigrato» (oux Iv SiJtrj Xot8opr)0£Íç, Fedro, 275 E 4), e perciò il dia-
lettico potrebbe certo rispondere rettificando le implicazioni logiche ehe vengono
propriamente intese, ma, invece, può anche, andando oltre quanto già ha detto, fa
re rotta verso ía sua mèta con nuovi strumenti di pensiero, senza difficoltà e in m o
do nettamente superiore.
25 Analogamente, Socrate anche in 354 E 3-8 insiste su un punto la cui importanza
per quel ehe segue gli è già chiara. — Anche B. Manuwald, ehe nega nei dettagii il
nesso speculativo fra il brano suí piacere e quello sul coraggio come conoscenza, ri-
conosce ehe la discussione sul piacere svolge nelPinsieme una funzione importante
per il risultato: essa sarebbe rappresentata dal «superamento delia posizione oppo-
sta, ehe il sapere soccombe al piacere» (Lust und Tapferkeit: Zum gedanklichen
Verhältnis zweier Abschnitte in Platons Protagoras, «Ph ronesis», 20 [1975], pp.
22-50, la citazione è a p . 50). Oltre a tutto questo, bisognerebbe ricordare l ’ «arte
del misurare», che comprenderebbe, e fonderebbe, nella sua naturale forma platô
nica, anche il coraggio inteso come conoscenza di ciò che incute timore; cfr. sotto,
nota 32.
351 E 2-3; 355 A 1; 358 A 5.
244 «PR O TAG O R A»
27 Repubblica, 504 A -D , che riprende 435 B-D: la teoria dei Bene e la dottrina dei*
1’ anima sono oggetto delia «v ia piü lunga». Cfr. sotto pp, 394 ss.
28 352 A 1 - C 7. Inoltre, se qui si richiede a Protagora di «svelare» (àrcoxáÀucjjov,
B 1) oltre alia sua visione dei piacere anche quella deH’ Ê7ttarfyn], ciò sottolinea let-
teralmente solo la necessita di superamento dei proprio contributo, 351 D E . M a
dal momento, che il ruolo delia ¿7ttcr^mr] ( ~ crtKpía) era stato decisivo anche nella
discussione precedente (330 B ss.), senza che essa venisse effettivamente spiegata,
risulta necessário andare oltre quanto è stato detto fino a questo momento. L ’ im-
magine incisiva delPestendersi delia visita dei medico dal viso e dalle mani all’intero
corpo (352 A 2-6) concretizza 1’ ixtòç ¡3cuve.iv nel senso delle Leggi, 891 D E; cfr. so
pra, pp. 127 -134.
29 Protagora non dice atjxòç iripavov (360 D 8) solo in occasione delia conclusione
logica, per lui sgradita, bensi già quando gli viene fatto ricordare il ruolo principale
svolto da Socrate dice: rcépoctve óScnrep T}p?co, 353 B 6 . D i fatto, con 1’ introduzione
delia voce dei pubblico (353 A 4), Protagora è diventato supérfluo per lo sviluppo
delTargomentazione; egli deve soltanto ancora confermare che Socrate, nella sua
disputa immaginaria con il pubblico, formula correttamente le loro risposte. È sol
tanto in seguito airim piego dei risultato delia discussione sul piacevole che P rota
gora rientra pienamente nel dialogo (359 A ss.); ma, ora, non gli resta altro che am-
mettere che gli assensi trovati in precedenza (nel dialogo in parte con il «p u b b lico»
e in parte con Ippia e Prodico [358 A -D ]) hanno già deciso a sfavore delle sue tesi.
IL SOFISTA É MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 245
Bene, e quanto di piü lontano si possa immaginare dalle sue convinzioni. Perciö la
tesi piü volte sostenuta a partire da Hermann, Geschichte und System ..., secondo
la quale Platone accetterebbe, qui, perfino Pedonismo dei naXkoi (ehe egli, tutta-
via, accantona con disprezzo in Fedone, 69 A ), non trova un appoggio nel tesio, e
si pud considerare oggi superata (cfr. Jaeger, Paideia I I , pp. 208 s.; Friedländer,
P la ton , II, p. 24 e nota 24; Guthrie, A H istory ..., IV , pp. 232 s.; Manuwald, Lust
und T a p fe rk e it..., pp. 24 s., con indicazioni bibliografiche ulteriori a p. 25, nota
14). Esistono, invece, segni innegabili del fatto ehe Platone presenta il proprio pen-
siero mediante concetti ehe prende da altri, cosi ad esempio (a) la descrizione degli
effetti della proiettata «arte della misurazione», 356 D 3 - E 2 (breve parafrasi del-
Yeudaimonia come risultato della filosofia), (b) l ’ insistenza sul carattere di mu-
di quest’ arte (357 B 6), (c) Pinvincibilitä e il dominio della imaxr\\±T\, ehe co-
nosce il Bene e il Male, sopra le altre forze presenti nell’uomo (352 C 3-7), (d) la in-
dipendenza dalPidea di un’ arte della misurazione del concetto di piacere della fo l
ia, cui fa riferimento la menzione di un’ arte della misurazione delle grandezze e di
una della misurazione dei numeri (356 D - 357 A ): «bisogna soltanto porre al posto
del piacere come misura il B ene», secondo la formulazione di Jaeger, loc. cit. P er
ciö P «a rte della m isurazione» e, accanto all’«arte regia» dell'Eutidem o e alia
«scienza del Bene e del M a le » del Carmide, una ulteriore maschera della dialettica
platonica. Friedländer, Pla ton , II, pp. 25 s., accenna al riferimento all’ arte della
misurazione nel P o litic o (283 C - 284 E), Krämer, A rete ..., pp. 490-493, lo com-
menta in modo piü preciso.
33 Si presenta un insegnamento e non una ricerca in comune: all’inizio del passo
352E - 357 E, Socrate dice di voler convincere e istruire la folia (rceiGetv xat Stoa-
1L SOFISTA É MIGLIORE RISPETTO A L SUO LIBRO? 247
oxeiv, 352 E 5 s.). Egli vuol farlo insieme a Protagora, ma, come abbiamo visto,
non ricorre a lui nello svolgimento (cfr. sopra, nota 29). L o spostamento verso l ’in-
terlocutore immaginario (la « f o lla » ), é, come nelPIppia maggiore, solo un mezzo
per daré alio stesso Protagora un insegnamento (limitato).
34 Cfr. sopra, pp. 236 s., a proposito di 31! B E e d i3 1 8 B-D.
248 «PR O TAG O R A»
36 L ’ altra «b u g ia » di Socrate, il riferimento alia sua cattiva memória e alia sua in-
capacità di tenere lunghí discorsi nelío stile di Protagora, si rivela facilmente già
neiram bito dei dialogo narrato come ironia: egli usa in modo magistrale il metodo
protagoreo nel passo su Simonide, e dimostra una eccellente memória ad esempio
in 3 5 7 C e 3 5 9 B ; inoltre in 336 D egli respinge la scusa di Alcibiade come maschera-
mento. Per contro, la storia deli’ «im p e gn o » è priva di qualsivoglia punta irônica.
In linea di principio, essa potrebbe anche essere vera, e comunque la sua falsità non
deve essere coita dai partecipanti alia conversazione. Ed è proprio questo che assi-
cura che tale dettaglio vuol essere significativo; significativo, beninteso, solo per
chi già conosce rim m agine platônica dei filosofo.
37 Perciò Socrate non può tollerare nessun arbitro al di sopra di lui nella gara dei
discorsi (338 B 4- C 6).
Cfr. 356E 1-2.
XIII. «Menone»
La tendenza ad allontanarsi davanti
ai misteri
1 L o schiavo viene coinvoíto dopo la domanda di Menone (81 E 3-4): ctXka. 7tü<;
Xé-yziz xovzo, (fot o¿ ¡j.av0ávo¡ji£v, áXXá r¡v xaXoO(JL£V }xá0r¡aiv ává[xv7]aíq ¿axiv .
2 L a prima risposta, che il lato del quadrato doppio deve avere una lunghezza
doppia di quella del quadrato originario (82 E 3) viene si dallo schiavo, ma solo
perché Socrate gli ha suggerito che la superficie cercata va cercata a partiré dal lato
e ha insistito sul raddoppiamento (D 8 - E 2). L a «presentazione» (tramite disegno)
e l ’interrogazione di questo lato (tramite ü calcolo della superficie del quadrato che
gli appartiene) avvengono grazie a Socrate, 83 E 4 - C 1. L a seconda risposta («lun-
go tre piedi», 83 E 2) si ottiene perché Socrate «presenta» il lato cercato come com
preso fra 2 e 4 piedi (D 4-5). In 84 E 4 - 85 A 3 Socrate disegna il quadrato cercato e
chiede che dimensioni abbia; al che lo schiavo risponde: ou ¡j.av9ávw . É necessario
il nuovo punto di vista, secondo il quale il quadrato cercato va posto in relazione a
quello originario, dimezzato. Nonostante questo chiaro rapporto tra maestro e di-
scente, Socrate dice che lo schiavo cerca «c o n lu i» la soluzione, 84 C 11, cosi come
anche Menone (80 D 4; 81 E 2; 86 C 5) ed A n ito (90 B 5; 91 A 1) cercano insieme
252 «M ENONE»
a lui. L ’ analisi del dialogo sulla geometria avrebbe dovuto prevenire un’interpreta-
zione filosofico-esistenziale.
3 Nessuno vorrä, ovviamente, chiamare in causa il fatto ehe a Platone sia sfuggita
inavvertitamente la differenza delle situazioni: infatti, la aporia «com u n e», in un
caso, e quella del solo schiavo, nell’ altro, sono costruite con troppa chiarezza. La
questione delPutilitä della lezione di geometria pe r M enone viene quasi sempre pre-
sa troppo alia leggera, perfino da K. Gaiser, Platons M enon und die Akademie,
1964, ristampato in: J. Wippern (curatore), Das Problem der ungeschriebenen
Lehre Platons, Darmstadt 1972, p. 354, nota 35: «A n ch e la considerazione ehe lo
schiavo venga condotto alia conoscenza ad opera di uno ehe possiede conoscenza,
mentre per la questione che concerne Varete tutti e due gli interlocutori si trovano
nell’ aporia, non e sufficiente. Se esiste la “ parentela” di tutte le cose fra loro ehe
viene ammessa da Socrate, allora nella struttura stessa dell’ essere sta la possibilitä
di procedere in m odo corretto verso la veritä». Per quanto sia importante la «pa-
rentela» di tutte le cose come condizione della possibilitä della conoscenza — essa
non spiega pero ancora come un’ anima ignorante e «alterata» (nel senso di Repub-
blica, 611 D ) possa rendersi conto dell’ordine ontologico. Se a Platone fosse im-
portato in primo luogo il tema della parentela ehe hanno le cose fra di loro, avreb
be potuto rinunciare al dialogo didattico sulla geometria; la lunga permanenza sui
processi di apprendimento dello schiavo mostra ehe egli vuol tematizzare, qui, Pa-
spetto «u m a n o » della guida alia veritä, e ehe Paspetto ontologico del suo fonda-
mento e tema, qui, secondario.
LA TENDENZA AD ALLO N TANAR SI DAVANTI A I MISTERI 253
2. Dialettica e amicizia
quelle che hai d etto?» (e'x&ic TifAuóxepoc cov eXeyei;) nel senso di
Fedro 278 C 5 - D 8 , noi rischieremmo il rimprovero, da parte di
interpreti «scettici», di metiere forzatamente in relazione, in
m odo arbitrario, passi distinti; ma la risposta di Socrate mostra
la legittimitá dell’ apparente arbitrio: a giustificazione del suo
giudizio deciso, 1’ ignorante porta in primo piano, in modo af-
fatto immediato, la convinzione delFimmortalitá dell’ anima e
della visione ultraterrena che essa ha di tutti i nessi del reale. Si
tratta di «cose di m aggior va lo re » (TtjJuwTepa) nel senso piü vero
della parola, che vanno m olto al di la dei tentativi di definizione
finora compiuti, e il loro «live llo superiore» viene indicato dal
richiamo a sacerdoti e sacerdotesse che sono sapienti e che san-
no rendere conto delle cose di cui si occupano (81 A 5 - B 1). II
sapere superiore delle condizioni ultraterrene della conoscenza
proprie delFanima, solo schizzato, risulta evidente nella positiva
tesi che il sapere é reminiscenza (81 D 4 - 5). Menone é su ficien
temente sveglio per non limitarsi ad accogliere per buona tale te-
si e rinnova Velenchos, domandando ancora: «S a i insegnarmi
che é cosi?» (81 E 5). Socrate viene perció sfidato a passare dalle
«cose di maggior va lo re » (Ti[xtá>T£pa) fin qui svelate ai lo ro fon-
damenti.
Una tale fondazione dovrebbe mostrare che 1’ anima é davvero
immortale, come sostengono i sacerdoti, e che davvero esiste
qualcosa che essa puó «v e d e re » senza strumenti sensoriali in
una condizione che si rende libera dal corporeo, ossia che esisto-
no le Idee trascendenti, e che esse, a m otivo della «a ffin itá » glo-
bale dell’intera realtá (cpúais) (81 C 9 - D 1), sono anche qui pre
sentí e attive, cosi che 1’ anima si puó ora «ricord a re» di esse. M a
Socrate non inizia cosi, e o ffre un esempio pratico, anziché una
dimostrazione teoretica, a conferma della sua tesi: egli chiama
uno schiavo di Menone e gli fa fare l ’ esperimento come si «ri-
cord i» del raddoppiamento del quadrato.
16 É espresso con chiarezza solo il fatto che la virtü non é insegnabile in 96 C 10;
tuttavia, poiché ogni é insegnabile (87 C 5), viene colpita anche I’ ipotesi
che «la virtü é conoscenza», cfr. 89 D.
17 Invece Socrate dice di aver fatto irrigidire lo schiavo come avrebbe fatto «u na
torpedine ñera», 84 B 6 .
18 Eutifrone, 11 D 7; Ippia m in ore, 373 B 6 ; a proposito di questi passi cfr. sopra,
pp. 142 s. e pp. 174 s.
260 «M ENONE»
dell’ intelligibile, del vot)tóv. Questo non viene pero detto in que-
sti termini; infatti, per quale m otivo Socrate dovrebbe esporre
Pipotesi delle Idee al cospetto di Menone? Perció, non si potrá
sostenere, nemmeno qui, la «certezza» su questo punto contro
le obiezioni «scettiche» 19. Chi insiste a sostenere che il Fedone e
la R epubblica, in quanto non ancora pubblicati, non possono
neppure essere stati ancora concepiti, quando fu composto il
M en on e, non potrá venir confutato stando a tale lógica. M a non
potrá nemmeno spiegare in base a che cosa Socrate, nella stessa
frase in cui afferm a il suo non-sapere, possa presentare il dato di
fatto delia diversitá tra vera opinione e scienza come un sapere
sicuro (98 B 1-5). È spiegabile, questo, senza la distinzione onto-
logica di «o ggetto di opin ion e» (Bo^octtóv) ed «oggetto di scien
z a » (èTctarTjTÓv), dunque in ultima analisi di «sensibile» (oua07}-
■uóv) e «in telligibile» (vorjxóv), che si trovano nella Repubblica
(475-480)? E Pimmortalitá dell’ anima e la visione delle Idee nel
luogo sopra i cieli non sono teoremi necessariamente riferiti l ’ u-
no all’ altro ?20.
Ció che, dunque, dal punto di vista del testo puro e semplice del
M en one doveva restare ancora poco chiaro ed enigmático, non
poteva essere oggetto di dubbio per chi avesse avuto consuetudi-
19 È strano che Guthrie, che assume a proposito dei dialoghi definitori una posi-
zione storico-evolutiva restrittiva, e che ritiene insuperable il vuoto che esiste fra
l ’interpretazione prolettica orientata alia metafísica della Repubblica, e quella scet-
tica, che non si allontana da quanto viene espressamente detto (A H istory ..., IV , p.
169, nota 3), sia pronto improvvisamente, a proposito del M enone, a riconoscere
comunque la dottrina delle Idee, percepibile in m odo molto discreto (IV , pp. 235
s.). Guthrie non può confutare l ’ opinione di Ross (P la to ’s Theory o f Ideas, p. 18),
per cui nel M enone la dottrina delle Idee non è sviluppata in modo piü ampio di
quanto avvenga nei dialoghi precedenti, egli la trova, comunque, «in credibile» a
causa dei paralleli della reminiscenza in Fedone, 1A A ss. Guthrie avrebbe potuto
mantenere la sua posizione restrittiva facendo riferimento a Bluck, P la to ’s M e
n o..., pp. 46 s., che ritiene fuori iuogo la questione delle Idee nel M enone, perché
Platone non si sarebbe preoccupato della natura delle cose che l ’ anima aveva visto
nell’aldilá. (P er molti interpreti certo difficilmente esisterebbe un’ idea piü incredi
bile di quella che «S ocrate», istruito da «sacerdoti e da sacerdotesse» sulle espe-
rienze dell’ anima nell'aldilá, riguardanti fra l ’ altro anche Vareté [81 C 8], abbia po
tuto proprio nel nostro caso reprimere la domanda sulT effettivo significato di que
sto: Vareté di uomini o di donne, di Iiberi o di schiavi — o forse tò &tu Ttãsiv toútoiç
x a ü tó v ? ).
20 Rim an diamo, ancora una volta (cfr. sopra, note 3 e 11), all’ interpretazione dei
passi matematici proposta da Gaiser, secondo la quale Porizzonte concettuale del
M enone non è determinato solo dalla dottrina delle Idee bensi anche dalla teoria
dei Principi.
262 «M ENONE»
22 87 D 2-3: áXXo t i r] áyaGóv aúxó <pa¡J,£v rivai xr¡v áper r¡v, xa i <xvvr¡ r) vnóOeaiç y.é-
v£i àyaOòv otvxò etvai . Le ipotesi sono i gradini sulla via dell’ origine non con-
dizionata del tutto (Repubblica, 511 B 6-7). L a frase « ia virtü è buona», non è af-
fatto, in particolare in seguito alia limitazione di «b u o n o » ad «u tile » (87 E 1 - 89 A
2), la cosa ultima, bensi andrebbe fondata a partiré tanto dalla natura del Bene
quanto da quella delPuomo (cfr. Gaiser, Platons M e n o n ..., p. 380; a proposito del
legame fra l ’esempio delPipotesi geométrica in 86 E s. e il concetto di Bene come a
metá strada fra ¿n:£.pPoXri e eXX&i.<J>u;, cfr. Gaiser, pp. 383 s.).
XIV. «Gorgia»
L’interlocutore ideale e i piccoli misteri
11 527 B 2 áXX’ iv xqgoúxoiç Xòyoiç io3v aXXcov i\¿y/o\iív<úv ¡¿óvoç oóto;; T|pe¡J.£l ó
Xóyoç, euXapr]T£ov iaxlv xò aSixEiv jjiãXXov rj xò áSixetaGai. A proposito del lo
gos che «resta saldo» ovvero «viene tenuto saldamente», cfr. sotto, p. 273.
12 II fatto che la capacité del dialettico prenda il posto delle mere pretese e promes-
se della retorica, si comprende anche dal seguente dettaglio; Gorgia è fiero della
sua capacitá di rispondere in modo breve e sintético, ma sostiene, al tempo stesso,
che alcune risposte debbono essere necessariamente lunghe (449 B 9 - C 8 ). N ell’ in-
tero dialogo è però Socrate che si rivela il garante della brevitá e della concretezza
delle prese di posizione (448 D - 449 C; 453 C I- 4; 454 B 9 - C 5; 461 D - 462 A ; 463
C); comunque, egli è anche in grado di fare altresi lunghi discorsi e sa anche dare
fondamento a questo: P olo «aveva b isogno» di una esposizione continuata poiché
non sapeva comportarsi con il método socrático (di per sé migliore), che procede
per domanda e risposta (465 E 4-6). In quanto «v e r o » oratore, Socrate sa trovare il
tipo di discorso adeguato ad ogni interlocutore.
13 486 B 6 : c ü j t o v o x ¡x ú j Buvá¡j.evov P o t ] 9 e lv ¡j.T )8 ’ éxawaai ex t ¿ ú v p L E f í a x t o v
xtvSúvtov.
14 486 A 5 e483 B 1-4.
268 «G O RG IA»
ehe Panima conosce, gli toeca al tempo stesso, insieme all’ esca-
tologico «portar soccorso a se stesso» (ßoiriGelv é.otuxtõ), la supé
riorité non delimitata nel discorso quale frutto dei «portar soc
corso al discorso» (ßorßetv tw Xóycp)19.
Il «disvelam ento» della retorica gorgian a20 genera un chiari-
mento graduale sulla posizione degli avversari. Ci si potrebbe
qui aspettare un parallelo «disvelam ento» délia posizione del
dialettico. In un certo senso anche questo risulta verificarsi: la
«vera retorica» — ehe altro non è se non una perifrasi délia dia-
lettica platónica — diventa, a poco a poco, la misura délia reto
rica sofistica21.
D ’ altro canto, Socrate — diversamente, per esempio, che nel
Fedone e nella Repubblica — non è, qui, l’ assalito, bensi è egli
stesso l ’ assalitore22, e quindi non sente una forte spinta ad inol-
trarsi nell’ ambito delle «cose di maggior v a lo re» (xipitá>x&pa): è
sufficiente mostrare la debolezza della posizione degli avversari
in un ambito cui essi possono ancora accedere. M a non manca-
no anche allusioni, le quali chiariscono che la discussione è co-
struita come sempre al livello di conoscenza che è proprio degli
avversari.
19 Sull’ importahza della dottrina deli’ anima per il Gorgia cfr. sotto, pp. 275 ss.
20 Cfr. sopra, p. 265 en o ta5 .
21 In proposito, cfr. sotto, pp. 279 ss.
22 Nella prima parte, dedicata a Gorgia, non e ’ era bisogno, per questo, di nessuna
prova. E vero che la seconda e la terza parte iniziano con attacchi violenti da parte
di P o lo e di Callicle al punto di vista e al metodo di Socrate (461 B ss; 482 C ss.); ma
dal momento che si tratta di ricostituire di volta in volta il logos precipitato di chi
ha preceduto, P o lo e Callicle sono, dopo poco, anch’ essi nel ruolo difensivo di
Gorgia. — E stata spesso commentata la somiglianza deli’attacco di Callicle con
quello di Trasimaco all’inizio della Repubblica; anche in quest’ultimo caso trovia-
mo Socrate che passa al contrattacco. Tuttavia, per 1’ impianto della Repubblica, e
il secondo attacco, all’inizio del secondo Libro, che risulta decisivo, e ad esso non
corrisponde niente di simile nel Gorgia. Solo in questa fase Socrate finisce con il
doversi difendere, il che lo costringe a fondare piii in profondita il suo punto di v i
sta. C fr. sotto, pp. 363 ss., 374 ss.
270 «G O R G IA»
30 495 A 7-9: Siôtç0E.Lp£tç, á KaXXCxXe.iç, tou; Ttpwxouç Xó-youç, x<xl oúx av exi |i.£x’
è[xoü ixavcoç xà ovxa íÇetoÇoiç, dji£p rcapà xà BoxoOvxa aauxcÕ ipsíç. Con i TcpcoxoL
Xóyôi Socrate intende la critica di Callicle alio scarso coraggio di Gorgia e di P olo
(482 C-E) e il suo stesso elogio della Tcapprjaía in 487 A B.
31 497 A 7 - B 10/
32 504 C 4: x£ 8 è òOx aòxòç Xi"f&tç, w Hwxpaxsç. Questo è il secondo tentativo da
parte di Callicle per sottrarsi; il terzo tentativo 505 C l - 506 C 4 ha successo: Socra
te prosegue da solo la discussione. Callicle ri entra piü tardi neí discorso, senza, tut-
tavia, fornire effettivamente un suo contributo (cfr. 510 A 1; 515 C 4; 516 C 10; 519
D 6).
33 A 505 C 1 : òíXXov xtvà epa>xa, Socrate risponde in C 3-4: oòxoç àvr)p oú)( Ú7to[xé-
v£L co^pE-XoújjiÊVOÇ xat auxòç xoüxo Káayiov Ttepí ou ó Xóyoç iaxí, xoXa£ó|j.E.voç.
34 521 A 2-8.
L ’ INTERLOCUTORE IDEALE E I PICCOLI MISTERI 273
35 490 E 10 con 491 B 5 - C 2; Socrate dice a si xauxá, Callicle dice: oüSéno-ce xauxá
Ttepi tcúv auxcáv (B 6 s.); 499 C 1-2; 527 B 4, ó Xóyo<; (su Socrate) contro D 7
ouSéiTOxe xauToc Soxet 7re.pt xtov aúxcov (su Callicle).
36 Su Callicle come sapiente, a cui é pero sfuggito il significato dell’.equivalenza
geométrica, si veda 508 A 5 (cfr. anche 497 A 8). — In 518 C 2 é detto íizaiíu; ou-
Sáv, in un ragionamento ipotetico, che, comunque, é chiaramente utilizzabile per
Callicle (cfr. 518 E 1-2).
37 497 B 6-7: á.X\' asi zoioüxóq ¿crctv Ecoxpá'cr]?, rop yta. afitxpá xai óXí'fou a^ta
ávspcora xat i\zkíyyt\.. — 497 C 1-2: ¿pa>xa 8r¡ au xa a¡aixpá iz xat oxevá xaOxa,
¿TcetTcep Fopyía Soxeí ouxco¡;.
274 «G O R G IA»
38 497 C 3-4: euSaíp.wv &Í, ¿b KaXXótXeti;, otl toc ^i&YáXa |j.&pi.Ú7iaai Ttpív xa a¡i.Lxpá'
ly w 8 ’ oux wjjirjv Qe^ltov eívcu.
39 Cfr. Schol. ad loe. (p. 160 Greene), Plutarco, D em etrio, 26, 1; Schol. ad
Aristoph., P lu t., 845 e Ran., 745; Clemente, Stromata, IV 3, 1 e V 70, 7. La termi
nología dei diversi livelli di iniziazione non é univoca nelle fonti. Secondo Plutarco
tra i Piccoli Misteri e i Grandi Misteri intercorrono sette mesi; il terzo livello, quello
piü alto, la epoptia, era addirittura distanziata dai Grandi Misteri dairintervallo di
un anno. C fr. L. Deubner, Attische Feste, Berlin 1932, p. 70; W . Burkert, H o m o
necans, Berlin 1972, pp. 292 s.
40 Sarebbe ou Gquióv, come l ’inversione della successione.
41 toui; Se. ávorixou^ a¡j.uriTOD¡;.
L ’ INTERLOCUTORE iDEALE E I PICCOLIM ISTERI 275
42 È la domanda sulla «conoscenza» del xpsiTxtov, 489 E, sul suo coraggio 491 C,
sulla sua temper anza 491 D E . Come c’ era da aspettarsi, Platone non ha evidenzia-
to la sistematicitá di queste domande, anzi, l ’ha piuttosto nascosta, discutendo l ’ u-
guaglianza di xpeíxTcov = jkXxúov — ia%ijpóx£.poç (488 B 9 ss.) e facendo introdur-
re la virtü del coraggio non da Socrate ma, questa volta, da Callicle (491 B 2). Co-
munque, è chiaro che si tratta del contesto delle platoniche virtü cardinali (<ppóvt¡j.o<;
e <ppóvr)stç sono sinonimi di aocpóç e crocpía nella Repubblica, cfr., ad esempio, 428 B
1 ; 433 B 8). Questo contesto è chiarito nella Repubblica: la giustizia intesa come il
«fa re ció che è p ro p rio » è il presupposto per la comparsa delle altre virtü. Perció,
276 «G O R G IA»
nel corpo equivale alia morte. Anche se non viene detta la paro
la «im m orta litá » (áGavaaía), non possono esserci dubbi sul fat-
to che qui venga fatto riferimento appunto alia fede neU’immor-
talitá.
Su questo sfondo di una dottrina delTanima e deirim m ortalitá
orientata escatologicamente, Callicle é deñnito come «n on ini-
zia to », non pero personalmente, tuttavia con un accenno suffi-
cientemente chiaro: infatti « g li irragionevoli sono i non-iniziati»
(493 A 7); ma irragionevole é colui in cui la parte non passionale
delT anima (dunque la.9póv7jai£ o il XoyiaTixóv)serve solo quella
passionale e si fa simile ad essa, cioé bucata (493 G 2), e ció si
gnifica: incostante e mutevole (493 A 4-7). M a Callicle stesso
aveva descritto la «sa ggezza» ({ppóvrjat?) come al servizio dei de
si deri (492 A ), e Socrate aveva dimostrato poco prima che la
«ra g io n e » di Callicle giudicava ora in un modo ora in un altro
(491 C ) 4*.
N on iniziato e non razionale (á|i,Ó7iTO?, ávÓ7jTos) é Callicle; e
questo implica due cose: la errata posizione etica da lui esaltata
e, causa di questo, la completa ignoranza della dottrina dell’ ani
ma, che Socrate gli presenta come posizione radicalmente oppo-
sta. M a, giá qui, prima della vera discussione, appare chiaro che
Callicle resterá un «n on -in iziato». Infatti, Socrate non fa nes-
sun tentativo di fondare argomentativamente la dottrina dell’a-
nima, che implica la fede nelPimmortalitá. A l contrario: la de-
scrizione di questa dottrina in una form a straniata (come dottri
na di poeti, di sapienti e di loro interpreti anonimi) ha, evidente
mente, lo scopo di evitargli il dovere di giustificare la sua opi-
n ion e47. Tuttavia, egli presenta la posizione opposta, non fon-
data, come proposta di cui potrebbe «con vincere» Callicle, e
che questi potrebbe accettare (493 C 4 - D 3). (II non-iniziato,
come ad Eleusi, deve essere disposto per diventare iniziando).
Invece, Callicle dichiara di non voler cambiare idea (493 D 4).
Con questo, il corso del dialogo é deciso giá da ora nel punto piü
importante: 1’ antropología che fonda il concetto platonico della
giustizia e che distingue fra una parte delPanima irrazionale e
48 Ii fatto che negli allusivi accenni ad una fede nell’ aldilá compaiano solo due
partí dell’ anima, una volitiva ed un’ altra, non significa necessariamente, é ovvio,
che Platone «n on ha ancora messo a punto qu i» la successiva teoría della tripartí-
zione dell’ anima. Infatti, anche ía «classica» tricotomia dell’ anima si fonda su una
dicotomía ontologica (cfr. sotto, pp. 409 s., a proposito di Repubblica, 611/2).
N on era necessario andaré* qui, al di lá di un accenno. Poiché il concetto di giusti
zia di Callicle é stato messo alia prova delle tre virtü platoniche, cui sono coordina-
te, nella R epubblica, le tre partí dell’ anima (cfr. sopra, pp. 275 s.), risulta come piü
probabile la supposizione che Platone non abbia sostenuto, nella stesura del G or
gia , una psicológica dífferente da quella presentata neíla sua opera principale.
49 p er j i rwin. P la to 's M o ra l Theory, O xford 1977, pp. 127-131, il Gorgia é un
colpo non andato a segno, in quanto Platone non direbbe se egli intenda ammettere
«good-independent desires» o no, e in quanto egli non é in grado di dimostrare che
quell’autocontrollo, di cui alia fine anche Callicle riconosce la necessitá, coincide
con l ’ ordine interno delPanima, che si fonda sulla virtü. Irwin sembra non vedere
che questi problemi possono essere discussi in m odo sensato solo alPinterno della
psicologia metafísica di Platone. Si deve per forza considerare il Gorgia un «insuc-
cesso» filosofico se si pretendono da questo dialogo le risposte proprio a quelle
questioni che, limitando in m odo attento il discorso, Platone vuole escludere. A
proposito del commento di Irwin al G orgia (loe. cit., cfr. sopra, nota 24) cfr. la mia
recensione in «Phiiosophische Rundschau», 30 (1983), pp. 138-141. .
280 «G O R G IA»
Parte culinaria come arte per la cura del corpo sarebbe infonda-
to e arrogante per chi non avesse una conoscenza sicura della su-
perioritá delle altre arti; cosi, il disprezzo platonico della retori
ca consueta sarebbe inconsistente e vano, se l’ autore non scri-
vesse nella certezza di aver ottenuto una conoscenza sicura circa
le domande sull’ánima e sul Bene, che sonó decisive per la «vera
retorica».
A l tempo della composizione del Gorgia, perció, « c ’ é » giá l’ idea
di una dialettica come concreta teoria della fondazione delP etica
su un’ antropología e su una metafísica. Di essa Callicle «n on ha
capito nulla » 58 fino alia fine. Anche il lettore odierno non
avrebbe forse la possibilitá di completare i contorni dell’ imma-
gine appena abbozzata, se non possedesse la descrizione moho
piü ricca della Repubblica e del Fedro. Callicle, il non-iniziato,
non é un possibile destinatario di quel contenuto. II passaggio
decisivo ad una teoria superiore, piü fondante, non ha luogo:
Callicle torna sempre alie sue vecchie p osizion i59. I suoi impulsi
non controllati gli impediscono di avvicinarsi, spregiudicata-
mente, alia v eritá 60. Cosi egli si deve accontentare di quello che
Socrate gli vuole o ffr ir e 61.
1 C ratilo, 383 B 8 - 384 A 4: xaí ¿|J.oü ¿p<oxcoxo<; xaí ftpoGufxoujjtivou etSévai oxt n o
l i Xíy&i, ouxe. áTOcoccpEl oóoev sipwvtútxaí xe upó; ¡J.e, ‘Kpoa-izoioúy.zvóc, xi aoxó<; iv
iauxw óLavoetaOat. (ó? -nxpt. auxoü, o si (jouXolto túq bíjceIv, rcotri<J£(,sv av
xaí i\ii b[ioXoyzí\> xaí Xéyetv oarep auxóc Xéyzi.
2 427 D 3-7: x a í [¿rjv, to S tó x p a x ^ , TtoXXá y í ptoi 7toXXáxi<; upáyjjiaxa Ttapé/st
KpaxúXo?, toartep x a x ’ ápxá<; ÍXzyov, tpáaxtov fjiv d v a i ópOóxrpra óvofxáxcov, rjxt<;
8 ’ ¿ctxlv ouSev aacpi? X íy < ¿ v , ¿Saxe ¡j.£ [ir] Súvaa&ai eíSívat Ttóxepov ix w v axtov
oux cúq ácraípco? áxáaroxs 7is.pl aux¿¡>v X é r £i.
284 «C R A T IL O »
3 Se avessimo solo i passi precedenti, sarebbero possibili dei dubbi. Infatti, l ’ og-
getto su cui Cratilo dà ad intendere di saperne di piü sembra essere — se si segue il
testo «rigorosam ente» — unicamente il nome di Ermogene (citato in 383 B 7), e
non la teoria generale della correttezza delle parole (in questo senso si veda 384 A 2:
eíScòç 7rspi auTOü, spiegato da J.C. Rijlaarsdam, Pla ton über die Sprache. Ein
Kom m entar zum Kratylos, Utrecht 1978, p. 18, nota 4). II richiamo esplicito alPini-
zio, cioè a 383 B 8 - 384 A 4, in 427 D 4 w<rrce.p xoct’ àp^àç eXeyov, mostra, tuttavia,
che Cratilo, secondo Ermogene, serba il silenzio a proposito delia teoria nel suo
complesso. ( L ’ interpretazione «letterale», inoltre, non si accorderebbe neanche
con il contesto dell’inizio 383 A 1 - 384 C 8 , come si mostrerà di seguito).
4 384 B 2 - C 3: ¡xâv ouv eyw rjor| rjxrjxór] rcapà IIpoSíxou -c^v TTEvtrjXovráopayjjiov
¿tu8el£iv (B 6 ) vüv Sè oux à xrp co a, àXXà xr)v Spax^uaiav. oüxouv o lò a Ttr} ttote. tò à -
Xtj0êç ty ti TCE.pt Ttõv xoioútoiv <tu^y]xe.Tv ¡aávtOL Eiotjxóç ELjjit xat aoi. xai KpaxúXco
XOtvfj.
5 384 B 5 s:... ouSèv av IxwXuív ae autíxa uáXa eiSévat tt]v aXfiSeiav Ttepi ovo-
[ l á t ò J V ¿ p G Ó t T jT O Ç .
IL SAPERE SEGRETO DELL’ERACLITEO 285
altresi, per ben due volte, quella comunanza nella ricerca, che
era stata respinta da Cratilo (384 C 2 - C 7 ) 6.
Concettualizzando la situazione, si potrebbe tentare di espri-
merla, seguendo un diffuso schema di pensiero del ventesimo se-
colo, nel m odo seguente: comunicazione esistenziale contro eso
térica non filosófica. Chi, pero, oltre a moderne abitudini di
pensiero, possiede ancora un poco di sensibilitá per quanto l’ i-
ronia platónica mantiene sullo sfondo e osserva lo sviluppo
drammaturgico dei m otivi nel testo, andando oltre l’ orienta-
mento verso il «risu ltato», eviterá di trasporre il sottile risalto di
Socrate contro i due (pseudo)-esoterici in una semplice immagi-
ne in bianco-e-nero. L a nostra domanda concreta al Cratilo sa-
rá, piuttosto, la seguente: come si realizza il «cercare insieme»
(au^tEÍv) che Socrate offre?
9 L ’ ammonimento cpúXat'íc yáp jxe p.r¡ tít¡ 7iapaxpoúaa>fxaí a i non eselude che il
passo seguente contenga pensieri importanti (cfr. Gaiser, Ñam e und Sache, cit.).
L ’ «in ga n n o » consiste, evidentemente, nel fatto che Socrate da questo momento é
libero di interpretare a suo piacere ogni parola: piü tardi egli rivelerá come non sia
possibile sostenere un simile método (437 A ss.).
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 287
10 397 A 4: uóQev ¡lefia, C 4: Síxaiov áito xa>v 0£<Sv apyj-aQaa. C fr. Gaiser, Ñ a
me undSache p. 58.
11 399 A , E s.; 407 D 7; 409 D 1; cfr. 428 C 7.
288 «C R A T IL O »
<ptoe) può avere solo un valore lim ita to 12; ciò che di essa soprav-
vive potrà dirlo solo chi si intende di «pu rificazion e», «sia esso
uno dei sacerdoti o uno dei sofisti» (397 A 1). Nella parte etimo-
logica Soer ate non rivela chi egli abbia in mente.
M a il lettore, in una precedente sezione, ha già avuto un accen-
no su come debba essere la persona a cui Socrate riconosce un
giudizio competente. Nella sua argomentazione a favore di una
giustezza delle parole esistente per natura, Socrate aveva ottenu-
to da Ermogene la approvazione sui seguenti punti: la parola (o
il nome, ovojjia) è uno strumento che serve a istruire e a distin-
guere la rea ltà 13; produttore di questo strumento è il «legislato-
re » ovvero « il costruttore delle parole»: un tipo estremamente
raro di artefice H; egli porta a termine il suo prodotto non osser-
vando altri prodotti simili, bensi osservando Veidos delia paro
la 15; il giudizio sulla bontà dello strumento spetta, come avviene
anche in altre arti, alio specialista di quell’ arte che utilizza lo
strumento: cosi come il nocchiero dice se il costruttore delia na
ve ha fornito un buon prodotto, chi si intende di domande e ri-
sposte dirà se il costruttore delia parola le ha costruiie corretta-
mente; questa persona competente è il «d ia lettico» (BiocXsxxt-
xóç), cui spetta, analogamente al nocchiero, addirittura il con-
trollo sul lavoro dell’ onomaturgo 16.
II dialettico, che viene qui presentato come ultima istanza per la
valutazione dei linguaggio, deve, in primo luogo, in quanto con-
17 Si ricordi che giá una volta Socrate ha laseiato che il termine «s o fis ta » sostituis-
se queílo di dialettico: in 391 B C egli ha richiamato su questo termine l’ attenzione
di Ermogene, e questo poco dopo aver attribuito al dialettico ogni competenza (390
C D). — È anche l ’ opinione di Gaiser, Ñam e und Sache ..., p. 50, che la «purifica-
zion e» alluda al dialettico.
290 «C R A T ILO »
22 424 C 5 - 425 B 6 , in particolare 425 A 6 ss.: rj^á? B&Í, eírc&p xtyyw.(h<; emaxr]-
aó|ji&0a cxOTtelaöai aüxá uávxa, ouxco oisXo[j.évou^, etxe xaxoc xpónov xá xt Tipwta
óvóf¿axoc xetxat xaí xa üaxE-pa úxz ¡arj, ouxgj 0eáa0cu\.. (B 5) xí oSv; au maxe.Ú£i<;
aauxco otó<; t ’ av eivat xaüxoc ouxto SiE.X¿a0ou; ¿yto fxev yáp-ou. — II testo non parla
di Idee, di dialettica o addirittura di Principi, ma risulta chiaro, comunque, che
questo e l ’ ambito inteso. Infatti, il compito di verificare «secondo le rególe dell’ar-
te » la correttezza delle parole é, senza dubbio, idéntico a quello attribuito al dialet-
tico in 388 B - 390 E; ma l ’ arte di quest’ ultimo appare, nel passo indicato, come di
sciplina in certo qual m odo superiore alia conoscenza delle Idee deí creatore delle
parole (cfr. sopra, pp. 288 s.). L a diairesi delle cose qui richiesta (424 D 1 ss.) non é
altro che il «guardare alie Id e e » che, secondo 389 D ss., contraddistingue anche il
creatore delle parole. Le parole costruite «in m odo corretto» sarebbero strumenti
«atti a distinguere l ’essere» (388 C 1), in quanto poggerebbero sulla diairesi dialetti
ca delle Idee. In 424 D 2 é accennato che la diairesi condurrebbe ai Principi, o «ele
m enti», ultimi ( l ’espressione axoiyéiov é scelta per la sua analogia con le lettere). —
A proposito della terminología segnaliamo: Statpeat?, 424 B 7, BtatpitaGoct, 424 B
10; C 2; C 6 ; D 1; 425 B 1; C 4; 5. Oggetto delPanalisi sono x<&Tipoq^axa 424 E 4, e
in riferimento alia loro oúata 423 E 8 . — Socrate «é incapace» , secondo Friedlän-
der, Platon, II, p. 194, di fornire «quel coordinamento degli elementi linguistici
con quelli oggettivi e con le form e piü alte». II testo é diverso: Socrate crede di non
essere capace di operare la diairesi necessaria prim a della coordinazione dei due
ambiti fra loro (425 B 1: ouxto SieXopivou?, B 5: xaüxot ouxto SieXéaQai.). Poiché la
diairesi dei suoni é gia stata fornita (424 C 1-9), Socrate rifiuta, per quanto lo ri-
guarda, di fare una precisa diairesi dell’essere. Pariendo dalPimpossibilitá oggetti-
va di quella «coordin azione», cioé di una lingua ideale fondata ontologicamente,
non si deve pero, secondo Friedländer, in nessun caso concludere «che Platone ri-
nunci al sistema delle form e delPessere» {ibidem). (Sul rifiuto di una lingua ideale
cfr. Gaiser, N am e und Sache..., pp. 79 s., e Guthrie, A H istory..., V [The Later
P la to and the Academy, 1978], p. 31). — Purtroppo non posso concordare neppu-
re con Pinterpretazione di 425 B C proposta da Gaiser: invece dell’ «incapacita» di
Socrate di fare una diairesi delle Idee, egli parla della verifica della coordinazione
degli ambiti come di un compito che «com e Socrate rileva, supera la possibilitá co-
noscitiva che é propria dell’ uomo (425 B C )» (pp. 82 s.).
IL SAPERE SEGRETO D ELL’ERACLITEO 293
23 439 B 4-5: ovxiva }j¿v xoívuv xpóitov SeI [xavGávetv r] tupíam v xà ovxa, ¡x&iÇov
ujtúç èaxív ?) xat ai. Che gÜ ovxa (cfr. 440 B 6 i'axt S i Uv exaaxov
t¿ ú v ov-rcov) siano le Idee, poiché le cose «flu e n ti» di Eraclito non «s o n o » affatto,
risulta chiaro a partiré da 439 C 6 ss.
24 4 3 8 C 1-4: ol^oci ¡¿èv l y à t ò v àXrjôéaTaTov Àóyov ntpi t o ó t o j v dvcti, co Súxpoc-
T E .Ç , [itít.iú T t v á o ú v o c ¡ j . i v E i v o u T, (xvGpoiTieíav Q e j j í v T jV xa 7ip¿jxa òvójxaxa xoíç
30 A proposito della dottrina delle Idee e della dialettica in 388 B - 390 E, cfr. so
pra, pp. 288 s.
31 A proposito del richiamo implícito al concetto di dialettica in 424 B - 425 B, cfr.
sopra, p. 292 e nota 22.
32 II possesso o la mancanza dei xL(xiwt£pa resta, naturalmente, la pietra di para-
gone; di qui le domande coincident! di Ermogene e di Socrate: ^x£l? 71Tl ãXXr) xáX-
Xiov Xéyetv; e £i ¡xívioi zytiç ti au xáXXtov toútgjv Xé^eiv, 427 E 2 e 428 B 1 .
33 È vero che Ermogene carpisce a Cratilo (427 E) la prima asserzione dopo il suo
eí cot SoxeT in 383 A 3, ma si tratta, come è caratteristico, di una risposta di rifiuto.
Socrate conquista Cratilo al dialogo per mezzo di due cose: attraverso le etimologie
egli ha dimostrato le sue capacità, e, cosi facendo, anche la sua dignitá di imparare
da Cratilo, e, in secondo luogo, anch’ egli dimostra interesse a diventare «a llie v o »
del maestro. Anche qui, dietro la canzonatura, si riconoscono i tratti della SiSaaxa-
Xía filosófica, in senso platonico: essa si rivolge alia c[>ux?l 7ipoar)xouaoc, che deve
portare con sé, oltre alia disposizione intellettuale, anche la disponibilitá ad affi-
darsi alia guida delPesperto dialettico.
34 431 E - 433 B contro 429 C 3-4. è'0oç ~ auvó^XTi, 434 E s.
35 438 E - 439 B contro 436 A ; 436 C D.
296 «C R A T IL O »
39 440 D 5-6: crxEcjjá|ji.Evov Sé, éáv £opr)¡;, [/.eTaSiSóvai xaí £[¿ot . Cratilo, da parte
sua, non chiede una comunicazione, bensi chiede a Socrate solamente di considera
re ancora un p o ’ la cosa (440 E 6-7). L ’ ironia derivante dalPinversione dei ruoli ri-
mane, cosi, fino alPultima riga.
XVI. «Apologia» - «Critone» - «Fedone»
La difesa a tre livelli
1 Repubblica, 517 A ; Teeteto, 210 D; cfr. P o lítico , 299 B C. Tra i primi dialoghi è
soprattutto il Gorgia, con le sue numeróse allusioni al processo a Socrate e con la
sua prova che Socrate soltanto è il vero político (521 C - 522 B), che svolge la fun-
zione di un’ apologia; cfr. anche 1’episodio di An ito in M enone, 89 E - 95 A .
LA DIFESA A TRE LIVELLI 299
2 54 B 4-5: Iva d<; ''AlSou ¿X0¿>v txXlí Tíávxa xauxa a 7raXoyiícraa0a[. toT; exet ap-
X o u a iv .
3 63 B 1-2: xp^l (¿z itpoc; xaüxa á 7CoXoyr¡aacr0at ÓSarcep ev 8 ixacrc7)pícü. 63 D 2: aTio-
Xoyía. 63 E 8 : áXX’ újJÁv Sí] toÍ£ 8 ixaaTaí<; (EoúXo¡j.ai xóv Xóyov áuoSoüvai. 69 E
3-5: el' t i o5v ú|atv 7ti 0av<¿T£pói; el¡j,i év ir\ aTroXoyía r] xol<; ’AGrjvaíojv Bixaaxac<;, eu
av e'xoi.
4 La trattazione comune di A p o lo g ía , C ritone e Fedone non ha niente a che vedere
con I’unione di E utifrone, A p o log ía , C ritone e Fedone in una «tetralogía» nella
trasmissione del testo. L ’ immaginaria successione temporale delle situazioni narra-
te ha costituito, evidentemente, Pelemento unificante di que! raggruppamento; ma,
oltre a questi dialoghi, si dovrebbero aggiungere il Teeteto (cfr. Teeteto, 210 D ), e,
di conseguenza, I’intera trilogía, correlata anche dal punto di vista temporale, co-
stituita da Teeteto - Sofista - P o lític o , formando cosi, insieme alie opere considera-
te, una nuova «eb d om ad e» unitaria. I tratti comuni delle tre «d ife s e » sono, invece,
di carattere insieme contenutistico e strutturale.
300 «A P O L O G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
17 29 C ss..
18 Cfr. sopra, p. 311, nota 11.
19 47 A - 48 A . ó eIç xat autrj r) áXr¡0£ia 48 a 6 . ... xoü ¿vóç, el'tíç ecmv ircocícov, 47
D 1.
LA DIFESA A TRE LIVELL1 303
sce giá: Simmia é venuto apposta da Tebe con dei soldi per por
tar via Socrate dalla prigione, e anche Cebete, il suo conterrá
neo, é pronto a pagare per lo stesso m otivo ( C riton e, 45 B 3-5).
Tuttavia, il piano della fuga viene poi discusso senza la loro col-
laborazione con il solo Critone; Platone si é riservato le figure
dei giovani tebani per una «d ife s a » di Socrate piü impegnativa.
Diversamente da Critone, essi sí contraddistinguono per la par-
ticolare propensione alia critica e al dubbio. Cebete cerca sem-
pre controargomentazioni e non é súbito pronto a lasciarsi con-
vincere (.Fedone, 63 A ). Questo costituisce, soprattutto in bocca
a Socrate, un’ alta lode; Pamico Simmia lo chiama «P u o m o piü
saldo» nel non voler accettare m o tiv i22. L o stesso Simmia eleva
la scepsi a programma; per lui é debolezza intellettuale il rinun-
ciare prima del tempo ad un esame critico (85 C).
Uom ini che sono tanto vincolati a domande indagatrici devono
sembrare p rim a fa cie persone spiritualmente affini a Socrate, e
in una certa misura alia pari con lui. II lettore si aspetta che la
«d ife s a » di fronte a questi «giu d ici » 23 debba diventare senz’ al-
tro difficile, se non addirittura senza speranza.
Platone ha fatto rientrare nel dialogo questa attesa del lettore.
D opo aver fatto si che Simmia e Cebete portino argomenti con-
sistenti contro le prime dimostrazioni delPimmortalitá delPani
ma e che venga danneggiata la fiducia degli ascoltatori, Platone
inscena un’ interruzione del dialogo narrato: Echecrate, l’ ascol-
tatore del resoconto di Fedone, noto perché facente parte del
racconto-cornice, prende la parola e formula, prendendo il po
sto del supposto ascoltatore o lettore del libro, la terribile do-
manda, se Socrate sia stato in grado di «portare soccorso» in
m odo adeguato nei confronti di una critica cosi insólitamente
impressionante24.
II lettore odierno é, rispetto al contemporáneo di Platone, mag-
giormente in grado di valutare giustamente la reazione delPa-
scoltatore, integrata nel dialogo. Tenendo presente Pimmagine,
che presenta il Fedro, del rapporto del dialettico con i Xóyot, egli
non considererá la paura di Echecrate come la reazione semplice-
25 90 B 6-7: EJitiSáv xtç Ttiaxeuar] Xoyto xlvi àXr\6et eivou aveu rîjç Ttepï xoùç Xóyouç
TÍyynç,-
26 Questo è mostrato dal confronto di 88 C 1-7 con 90 B 6-9.
306 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»
27 Cfr. Fedro, 271 D E ; 273 D E; cfr. sopra, pp. 73-100, in particolare pp. 99 s. —
A proposito dell’ espressione Tuept touç Xóyouç te x viKóç, cfr. la designazione dei co-
muni retori quali ot Tie.pi xouç Xóyouç 7tpoa7iotoú[XE.vot eivou, Fedro, 273
A 3.
28 Fedone, 89 A 1-7. A ll’ iníerpretazione storico-evolutiva resta, común que, aper
ta la scappatoia dell’afferm azione che, qui, si trova «per caso» annesso quello che,
in se güito ad una riñessione teo retica «successiva», nel F ed ro , si era scoperto, con
sorpresa, essere necessariamente collegato.
29 L ’esitazione di Cebete e di Simmia nel criticare la fede nelPimmortalitá di So
crate destinato alia morte (84 D 4-7) colloca effettivamente loro stessi al livello del
la folla, come è accennato, senza asprezza ma anche senzapossibilitá di fraintendi-
mento, nella risposta di Socrate (84 D 8 - E 3). — Questo passo chiarisce anche che
la Tuepí Toúç Xóyouç xíyyr\ non manca solo alie altre persone presenti, ma anche ai
due che sono dubitanti e critici: essi non sanno quali «discorsi» sono adeguati, in
che momento essi vanno fatti e a quale interlocutore vanno rivolti. II fatto che nella
LA DIFESA A TRE L1VELLI 307
loro valutazione sbagliata della situazione si manifesti anche un senso di umana de-
licatezza non muta la sostanza delle cose: si tratta di una valutazione sbagliata; chi
non conosce la veritá non conosce neppure « l ’ uno».
30 96 A 1-2: croí Stetjxt... xá yz ¿piá mx0T].
31 Le lunghe discussioni, íatte a partiré dal X I X secolo, sulPautenticitá socratica
e/o piatonica di questa «autobiografía intellettuale» (un buon compendio delle po-
sizioni fondamentali é offerto da Hackforth, P la to ’s Ph aed o..., pp. 127-130) sof-
frono del fatto che esse considerano questo passo isolatamente. Per contro, cerche-
remo, qui, di comprenderlo come parte del ruolo di Socrate nelPintero dialogo.
Questo ruolo é, pero, quello del dialettico che lascia libero gioco alia sua Tcept touc;
Xóyoo¡; lí'/ y t ]. N on stupisce, se si tiene presente lo sfondo della fondazione teoréti
ca platónica del filosofare rivolto ad una persona (cioé «esoterico»), esposta nel
F ed ro, che la narrazione sia stata sentita come fortemente superpersonale (cosi Z el
ler, D ie Philos, d. G riechen...., I I 15, p. 398, nota 1) ma anche come fortemente
personale (cosi Hackforth, P la to ’s Ph aed o..., p. 130, in contrasto con Zeller).
32 Si veda 102 D 5: Xáyco Sr| xouS’ evexa, [3ouXó^e.vo£ aoí ojisp l(j.oí in con
fronto a 91 A 5, dove dei prepotenti é detto che 7rpo0uf¿oüvToa otiíúz « «uxot l'0evxo
xaíixa tol^ Ttapoüaiv. II tentativo, altrimenti dubbio, di autoaffermazione nel
la discussione é sempre regolato in Socrate, e solo in lui, dalla considerazione della
cosa stessa.
308 «A P O LO G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»
41 C ír.F ed o n e , 89 A 5.
312 «A P O LO G IA » - «CR1TONE» - «FEDONE»
42 o¿8 ’ av ... -r\x(úv izoXkfúv §úvaf¿i£ ¿Soit£p naíSa? r][jLotc [j.op^LoXÚTTri'cca, Critone,
46 C 3-5.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 313
49 40 C 5 - E 4; 40 E 4 - 41 C 7.
5,1 II termine decisivo, áGávaxo^, viene anzi introdotto, come di sfuggita, soltanto
alia fine della riflessione (41 C 6 ).
51 xa X^yó^e-va, 40 C 7, E 6 .
52 Símilmente, nella prima possibilitá, 40 E 2.
316 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDQNE»
fase precedente» (Platon , III, p. 31). Anche se VApologia fosse stata scritta con
notevole anticipo (sui m otivi e sulla letteratura relativa ad una datazione relativa
mente piü tarda riferisce H. Thesleff, Studies in Platonic Chronology, Helsinki
1982, p. 113), le differenze osservabili non fornirebbero, comunque, nessun moti
vo per introdurre una «fa s e » precedente; e, in ogni caso, il progetto deU’ intera «d i-
fesa» in tre partí avrebbe dovuto esser concepito nella «fase precedente». — Anche
Guthrie, A H istory..., I ll, pp. 481-3, discute la possibilitä di leggere il Fedone co
me il proseguimento de\V Apologia, pero soltanto ponendosi la domanda, fuori po
sto, se la dottrina delFanima del Socrate storico possa essere ricavata dal Fedone.
Inoltre, le osservazioni di Guthrie poggiano su una considerazione insufficiente del
testo, a proposito della qual cosa si veda sotto, Appendice IV, nota 3. N on si puo
fare a meno di parlare di un passo indietro rispetto a Friedländer.
57 Guthrie, A H istory..., IV , pp. 90/91: «N e lle circostanze di un processo sarebbe
fuori luogo, per Socrate, il tentare una difesa filosófica di questi punti». « L a veritä
intera, come Socrate la vedeva, é rivelatanel Gorgia ».
58 H. Erbse, Zur Entstehungszeit von Platons A pologie des Sokrates, in: «R h ein i
sches M useum», 118 (1975), pp. 22-47, citazioni pp. 29 e 34. — Erbse si ricollega ai
risultati di E. W o lff, Platos Apologie, Berlin 1929, e di Meyer, Platons Apologie,
cit., i quali avevano rilevato il carattere platonico che permea VA pologia, e W o lff
senza soilevare ancora dubbi sulla datazione in epoca giovanile (subito dopo il 399).
59 Cosi la fiducia apparentemente minore nella morte in confronto al Fedone o il
richiamo alPincarico divino (A pologia , 29 C ss.), invece di una fondazione del suo
m odo di agiré basata solo sulla ragione (come in Gorgia, 521 A ss.). — Erbse, Zur
Entstehungszeit ..., pp. 24 e 30.
318 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
62 46 C ss.; 49 A ss.
63 II rovesciamento ironico conferma la nostra interpretazione del modello dram-
matico del pezzo come «perdita e recupero della soliditá di C rito n e ».
320 «A P O L O G IA » - «CRITO N E» - «FEDONE»
pá, che significa tanto praesidium che custodia cfr, Friedlánder, Platón, III, p.
436, n o ta 7.
67 Cfr. 99 B 1: T7¡ xou (SeX-cíaTOu aípáa£i. Questa richiesta va, naturalmente, consi-
derata alia luce della m otivazione che l ’ ipotesi inizialmente «píú forte » riceve da
quella posta al livello immediatamente superiore (100 A/101 D ), il che, in ultima
analisi, fa entrare nel campo visivo l ’ Idea del Bene.
68 A proposito dell’inizio di questa apología cfr. sopra, pp. 315 s.
69 Fedone, 69 D 7 - E 5: xaS-c’ ouv ¿ya>, ¿97], <£> St[a.[i.ía ts xaí Ké¡3r]<;, á 7ioAoyou-
¡j.ai, £Íxótco<; te. a 7:oXBÍ7rcov xod &v6áSt Ss-arcó-tas ou x<xX£7t<iós cpépco
oüS’ á'yavaxxoj, r)yoú¡i&vos xáxel ouSev fjxTOv r¡ ¿v0áSe SeaTiótaií; zt áyaGoT; iv t&ú-
£&a0ou xat im ípot?- xovc Si 7toXXcK£ aiuaxíav %ap¿x^' ti ou v ujjlTv TriGavíó-rspói; el -
¡ju ¿v tt¡ a 7ioXoyía r¡ toT? ’ ABtjvocúúv ocxaaxaic, eO av ¿x0L
322 «A P O LO G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
70 84 C 5-7: xí; ecprj, ò[ilv xà Xzyfiívia fxcüv ¡jlt] SoxeI ivSecõç XéyeaGai.; TtoXXàç yàp
8 r) ixi ÚTtocJnaç xaí àvxiXaPáç, z íy t Br; xtç auxà ^.£XXet ixavõjç Sieíjiivoa.
71 84 D ss. Sul significato di questo aspetto cfr. sopra, pp. 304 ss.
72 85 D 9; cfr. C l .
73 85 E 2 e 86 E 1 ; xí au o 8 e ¿yxaXeí xco Xóytp.
74 86 E 4: ¿7i£pSix£Ív xoC Xóyou.
75 Cfr. sopra, pp. 313 s.
76 Cfr. sopra, pp. 304 s., e nota 24.
77 88 D 9 - 89 A 7. II significato dei nuovo inízio risulta chiaro (oltre che grazie al
ia richiesta di Simmia di un rcavxí xpórao IXíyyjzw, 85 C 5) in particolare dalla for
mulazione di Echecrate: xat uávu oéojxat TiáXiv ¿jcmsp IÇ àpx^Ç aXXou xlvòç Xóyou,
88 D 6-7. La risposta alPeXeyxoç deve essere un àXXoç Xóyo!;, e non un rimanere a
quanto si è detto fino a questo momento. Cfr. sopra, pp. 129 ss., a proposito di
Leggi, 891 D s.
324 «A P O L O G IA » - «CR ITO N E» - «FEDONE»
78 Cebete, 107 A 2-3: ouxouv eycoye. 1'x.co Ttapa xaOxa oiXXo xi Xly e tv ouSe 7t 7] am -
axe.Iv xol^ Xoyot?. Simmia, 107 A 8-9: ¿XXa \ir\\> ou8 ’ amoq i'xto exi otiiq <X7tioxto ex
ye xwv Xe.yo[jL£voi)v. — E noto che l’ ultima «p r o v a », vista oggettivamente, e tutt’ al-
tro che non problematica: il passaggio da a- 0avaxo^ «n on -m o rto » (cioe non coesi-
stente con la «m o rte »), a ocOavaxoi; «perpetuo, im m ortale» (105 E -106 B), in realta
presuppone quelio che si vuol dimostrare. Pero, questo non cambia la sostanza del
fatto che nella rappresentazione che ci offre Platone il «so cco rso» di Socrate al suo
logos raggiunge senza problemi il suo scopo. — Gia Zeller, D ie Philos, d. Grie-
chen...., II, 1, 19225, p .826 nota, aveva osservato che Platone ritiene l ’ultima pro
va «perfettamente sufficiente e inconfutabile». Benche a Zeller non fosse nota la
struttura della [BorjBELa, le sue analisi della struttura del Fedone e le sue osservazioni
sulla portata volutamente divers a degli argomenti (ibi, pp. 824-826 nota) colgono
in pieno nel segno.
LA DIFESA A TRE LIVELL1 325
manda sulla causa della natura delle cose, migliore di quella da
ta dai filo so fi della natura: le cose belle, ad esempio, sono belle
in quanto partecipano del Bello in sé (100 C3 ss.); in generale, le
cose diventano ció che diventano per mezzo della loro partecipa-
zione alia corrispettiva essenza (oüaía) (101 C 2-4). La spiegazio-
ne del mondo mediante il suo riferimento alie Idee conferisce al
ie sue risposte una nuova sicurezza e inattaccabilitá (100 D-E).
Un attacco contro tali risposte dovrebbe iniziare dall’ ipotesi
stessa. Se questa viene posta in primo piano, i possibili atteggia-
menti sono due: nel primo caso, si lascia il proprio interlocutore
da parte senza risposta fino a che non si sia provata la possibilitá
di mostrare la conciliabilitá che hanno fra loro le conseguenze
derivate dall’ ip otesi82; ma se ci si deve davvero rendere ragione
delPipotesi stessa, allora occorrerá attingere ad un’ altra ipotesi,
piü precisamente a quella fra le ipotesi «su periori» che sembra
essere la migliore. Questo procedimento va continuato, finché si
giunge a «qualcosa di su fficien te»83. Va evitata la confusione di
argomenti riguardanti il punto di partenza ( a p ^ ) con quelli che
riguardano ció che deriva da esso. Cebete vorrá, d ’ altra parte,
seguire questo m odo di procedere, se é un « filo s o fo » (cptXóao-
901; ) 84.
É questa la spiegazione a cui fa seguito, nel dialogo narrato, la
contemporánea approvazione di Simmia e di Cebete e, nel dialo-
go-cornice, direttamente rappresentato, 1’ enfático plauso di
Echecrate. II primo intervento di Echecrate nel racconto di Fe-
done riguardava la domanda sulla capacita da parte di Socrate
di portare soccorso al proprio logos; il secondo intervento segna
la svolta su cui poggia principalmente il successo del «soccor
so». II segnale per il lettore é chiaro: si richiede non tanto il suo
consenso per questo o per quel «risu ltato», bensi sul procedi
mento che consentirá un superamento del livello di motivazione
raggiunto nel dialogo sino a quel punto. Questo procedimento
viene chiamato, con insistenza, il procedimento del « filo s o fo »
82 101 D 3-5: £t M -cu; aúxrís xrj<; ÓTtoOáaecos í j o l i o , ^otíps-iv ¿cí)r¡s av xai oux «Tioxpt-
vai.0 av xa áit’ ixzívr\(¡ óp¡x7)9évxa axécjmo eí coi áXXriXok; au^ 90úV£Í r) Siacpojvsl.
83 101 D 5 - E 1: e7ü£tSr¡ Se ix.dvr\<; auxr\<; Seoi <xe StSóvai Xóyov, ¿óaaúxo*; av St-
SoÍY];, áXXrjv aü ú-jróGeaiv ÚTtoOép.Evoc r¡xi£ xojv avwQev p£.Xx(axr] cpaívono, eco? ¿til xt
íxavóv &X8oi?.
84 101 E 1 - 102 A 1 ; 101 E 6 s.: aü S’ , tÍTitp et xa>v cpiXoaócpwv, oi^cat av ¿ycib
Xiyco tcoloTi
L A DIFESA A TRE LIVELLI 327
190 s.; Loriaux, L e P M d o n II, pp. 106-108), e pero solo un problema apparen-
te: neila presentazione del proprio pensiero, il dialettico non ha bisogno di andare
oltre quel tanto che basta a soddisfare la sete di conoscenza dell’ interlocutore che
egli si trova di volta in volta di fronte; la sua capacita di «soccorso» in ogni elen-
c h o s poggia percio sul fatto che egli non si e fermato prima di aver raggiunto qual-
cosa che lo soddisfacesse personalmente, e questo pud essere solo un principio ulti
mo, non ipotetico.
92 Secondo Hackforth, P la to ’s Phaedo..., p. 166, Platone «o scilla » a proposito
della questione della raggiungibilita del fine ultimo della conoscenza: « la prima
parte del dialogo sembra suggerire che esso non pud [essere raggiunto], il passo in
questione (107 A B) e la Repubblica sembrano, invece, suggerire che cio e possibi
le »; M a fra I’inizto e la fine di un dialogo non esiste, naturalmente, un’ «oscillazio-
n e», ma un m oto in avanti; e alia fine si trova proprio la certezza.
93 Simmia la accetta 65 D; 74 B; 92 D E e in particolare 77 A , con sorprendente en-
tusiasmo; Cebete lo fa in m odo un p o ’ piu moderato, 100 C. Le Idee sono, per gli
ascoltatori, TroXu'OpuXrjxoc, 100 B 5. E del tutto fuorviante I’ ipotesi di Hackforth,
Pla to's Phaedo..., p. i42, per cui l ’espressione si spiegherebbe «unicam ente» con
la menzione delle Idee in passi precedenti del dialogo. Una volta e detto ei Iotvv a
QpuXoupiev a d gia in 76 D 6-7, ove le brevi menzioni precedenti dell’ esistenza delle
Idee (65 D ; 74 A B) non potrebbero certo giustificare la drastica espressione 0po-
Xe.lv; inoltre, Socrate rimanda espressamente ad occasioni precedenti (aei xe aXXo-
te, 100 B 1-2). Anche la spiegazione di W . Wieland, secondo il quale con OpuXoujxe-
vov sarebbe costituita semplicemente «la continuity con i dialoghi precedenti e con
la loro probiematica volta alia definizione» ( Platon und die Formen des Wissens,
Gottingen 1982, p. 134; cfr. p. 156) risulta insufficiente. Quello che il Fedone pre-
suppone sin dall’ inizio e, piuttosto, una comunicazione esplicita dell’esistenza delle
Idee intese come entita indipendenti da tutte le cose sensibili (ouaSiycd), ed e pro
prio questo che manca notoriamente nei dialoghi definitori. — Anche Guthrie, A
History ..., IV , p. 340, nota 2, ha cercato di minimizzare il fatto che l ’ assunzione
330 ¡APOLOGIA» - «C R ITO N E» - «FEDONE:
delle idee in 65 D; 67 E ecc., venga accettata come una teoría particolare, e assoluía-
mente non evidente: chiunque avrebbe ammesso che «esiste» qualcosa che si chiama
giustizia. M a Socrate pretende decisamente di piú: il riconoscimento di un «b ello in
sé» che si sottrae per principio alia percezione — e questo non 1’ avrebbe ammesso
nessuno al di fuori dell’Accademia; cfr, J.L. Ackrill, Anamnesis in thePhaedo: Re
marks on 73 C - 75 C, in: A A .V V ., Exegesis und Argum ent, Festschrift G. Vlastos,
Assen 1973, p. 191: «la te o ria delle form e (é) accettabile per Socrate e per i suoi allie-
vi, manon, chiaramente, p e rl’ uomo della strada».
94 C fr. Gallop, P la to ’s Phaedo ..., p. 97: la teoria delle Idee «n on é difesa in nessun
passo», tuttavia «g li argomenti a favore dell’immortaiita devono necessariamente
restare inconcludenti senza una difesa della teoria delle fo r m e ».
95 D opo una azzeccatissima osservazione a proposito d elP«affinam ento» (cioé del
movimento verso Palto e della gradualitá) delle prove dell’immortalita, Friedländer,
P la to n , III, p. 51, prosegue: « É m otivo di stupore o fá parte della natura del logos
umano il fatto che questo affinamento non raggiunga la pura perfezione?». A nes
suno é impedito rassegnarsi, come Sirmnia, di fronte alla«debolezza umana» (107 B
1) — ma, come interpret!, dovremmo prima stabilire ancora che l ’ imperfezione deile
prove, che Platone ha chiaramente rilevato, non é in ogni caso, per come Platone ve
de la cosa, né un «m otivo di sorpresa», né la conseguenza della «natura del Logos
um ano» in generale, bensi é in primo luogo e innanzitutto un postulate del rapporto
filosofico con il logos scritto.
96 Cfr. sopra, pp. 305 ss.
LA DIFESA A TRE LIVELLI 331
97 Questa gradazione non significa che Socrate abbia negato nç\YA p o log ia la mera
ricerca della verità, o che egli, nel Fedone, abbia rinunciato completamente ai mez-
zi non argomentativi per esercitare un influsso sugli altri (basti pensare al mito).
Tuttavia la distribuzione dei peso degli elementi non argomentativi è diversa. In
questo senso il C ritone, nonostante la prosopopea delle Leggi, è piú vicino al Fedo
ne di quanto non risulti essere VA pologia , come mostra il richiamo alPobbedienza
di fronte al logos piú forte (invece delPobbedienza a D io) (46 B).
332 «A P O L O G IA » - «C R ITO N E» - «FEDONE»
105 Per l'interpretazione di questa svolta dell’ azione cfr. anche Appendice IV, pp.
491 s.
106 Critone, 48 E 1.
107 C riton e, 54 D 2-7; in particolare D 6 : iàv Xéyrjç rcapà xaöxa, ¡j.á"T]v ipzíç.
108 Cfr. sopra, pp. 308 s., 310ss.
XVII. «Simposio»
Chi è r amante e chi è 1’amato?
outoç TtatStxà ¡jiãXXov
auxòç xaOtcjxatai àvx’ ¿paa-coü
222 B 3-4.
9 195 A 5-7. Descrizione della bellezza del dio 195 A 7 -196 B 3, della sua virtü 196
B 4 -197 B 9.
10 Ritrattazione della bellezza di Eros 201 B 11, delia sua virtü (come possesso de
gli àyaôá) 201 c 6 .
11 199 B 3: TiEpi "Eponoç xakr\§f\. Cfr. 198 D 3: ¿Sfxev Setv xáXr¡Qf¡ Xéyetv (Socrate
si sentiva in grado di compiere questo fin dall’inizio), inoltre 199 A 1-2: solo a chi
non sa Eros appare come « i l piü b e llo » e « il m igliore», o¿ yap 8r¡7iou touç ye eíáó-
atv; c o sí puó parlare solo 1’ s.l8 có<;.
12 199 D 5-6: tínzç av'Sf¡7uou piot, ti ¿(3oúXou xaXtòç <x7uoxpivaa6ai, o n ... La sotto-
lineatura della «giu stezza» di una risposta nelFambito dell’ esempio induttivo non
lascia scelta ad Agatone per la sua risposta. Analogamente 200 D 6 .
13 200 A 1: çúXa^ov rcapà cau-ctõ.
14 200 B 4: xaXü>ç 201 A 8 : xat £7rL£txâjç ye Xé^eiç. A Socrate non è suffi-
ciente l ’ accordo espresso da «probabilm ente», 200 A 7; quello che egli dice a pro
posito di Eros è necessariamente corrispondente alia realtà delle cose.
338 «SIMPOSIO»
15 200 B 1: £[j.oí ¡iiv yáp 0au|i.aaT¿úc; BoxeI (cioé: che chi desidera, desidera ció che
non possiede).
16 201 C 8-9. L ’ ambiguitá di questa asserzione — che puó essere letta come la dis-
sociazione della figura di Socrate dalla veritá, pero anche come una form a piü sot-
tile di fusione di entrambe — é idéntica a quella di Fedone, 91 C.
17 201 E 3-7: o%thov yáp t i xa i iyco 7tpós auxrjv tzzpct Toiaika eXeyov olántp vuv
rcpóc; £[ii ’AyáQtov, a>¡; et'r] ó ’ Epcos jx£ya<; 0eó?, elrj Se xüv xa\£>v TÍXeyxE- $r| [ae
toútolí; Xóyou; otcntep ¿yco toutov, coi; oute. xocXót; zir\ xatá tov e.pt.óv Xóyov ouxe
áya9Ó£.
CHI É L ’AM ANTE E CHI É L ’AMATO? 339
18 Socrate definisce <pot-cav (206 B 6) il suo rapporto con Diotima. Socrate e Dioti-
ma hanno «spesso» discusso sul fine di Eros ( 7ioXXáx(.¡; tb¡xoXoy7Íxa|j.£,v, 207 c 9),
cosa che in 201 E s. appare riassunta in un evento verificatosi una sola volta. In 207
A 5-6, l ’imperfetto e Pottativo iterativo denotano i colloqui protrattisi con regola-
rita, dai quali, in seguíto, verrá richiamata un’ occasione particolare: xaCxá xe oúv
mxvxa l§íSaax£ [ae, qtióxz 7tepl xá>v éparaxcov Xóyou<; 7totouo, xaí tcote r¡pzxo* T í
otei, w £á>xpv.xec, ...
19 I due discorsi di Ippia non sono concepiti come inizio e proseguimento. Nel C ri-
tone, Socrate si rifa a precedenti om ologie (cfr., in proposito, sopra, pp. 318 ss.)
senza che si parli, in questo caso, di un SioácrxE.iv regolare. Tim eo e Crizja erano
stati concepiti come parti di una tetralogía con quattro relatori su quattro temi di
versi. Anche in Teeteto - Sofista - P o lític o (- F ilo s o fo ) mutano le domande, chi do-
manda e chi risponde. Tuttavia questa serie di dialoghi é quella che si avvicina di
piü ali’insegnamento filosofico della sezione di Diotima.
20 Nonostante la confutazione della sua risposta, completamente sbagliata (201 E
6), Socrate chiede ancora senza perdersi d’ animo: egli vuol sapere se, allora, Eros é
brutto e cattivo, dal momento che non é né buono né bello (201 E 8 ); se Eros é m or
íale, dal momento che Diotima non lo ritiene un dio (202 D 8); quale sia la funzione
di un demone (202 E 2); da dove provenga Eros (203 A 9); chi, allora, filosofi, se
non lo fanno né i sapienti né gli irragionevoli (204 A 8); e, infine, chiede un chiari-
mento sulla natura di Eros, e su quale sia, dunque, la sua utilitá per gli uomini (204
C 7-8).
21 Le risposte alie domande elencate alia nota 20 non sono mai introdotte «maieu-
ticamente». Diotim a stabilisce partendo da se stessa di che caso si tratti, ad esem-
pio che il Bene é l ’unico scopo della tensione e del desiderio umani (205 E s .): que
sta é la sua concezione (ó Xóyoi;), che viene enunciata per correggere opinioni
altrui. La superioritá di Diotima si aw erte fin dall’inizio: essa ride per una risposta
di Socrate e dichiara essere facile quello che per lui é incomprensibile (202 B 10, C
6). C fr. anche sotto, nota 23. N otificazioni come ¿yw gol, ecpirj, ¿pw e eyeó, fj 8 ’ r],
aacpéoTspov ¿peo (206 B 7, C 1) allontanano l ’ idea che Diotima possa addivenire, per
mancanza di conoscenze proprie, ad una ricerca comune (come fa Socrate, ad
esempio, in Gorgia, 506 A 3-4).
340 «SIMPOSIO»
22 206 B 5-6: ou ¡jievxav ai, i'cprjv eycó, <£> Atóxica, ¿GctújjLot^ov ¿til aocpta xcá icpoixwv
uapà aè aùxà xaûxa [j.a0ritjó[x£voç. 207 C 5-6: àXXà SLà xaûxoc x o i , <ï> Aioxi[j.a, Oîtep
vuvSt) SÍ7IOV, mxpà cri 7]xto, yvoùç oxi BiSaaxâXtov Séo^at. 201 D 5: r¡ 8t¡ xat ¿¡aè xà
èpcoxtxà èBtSaÇev, 207 A 5 s. (testo alla nota 18).
23 209 E 5 - 210 A 2: Taûxa [Jtèv o£>v xà èpcoxixà íotoç, ¿o Hcôxpax£ç, xav aù ¡j.u-
7] 9&ît]ç- xà Sè xéXe.a xat èîroTtxtxà, ¿ v evexk xat xaûxa eaxtv, iáv xiç ópQcõç [A£x£t],
oùx ol8 ’ st oíóç x’ av êÎVjç. L a m etafora dei misteri domina in tutto il passo seguen-
te: c’ è una persona che introduce gli iniziandi (ó rpfoújxevoç), 210 A 7; guida e pro
gresso autonomo Tuna accanto all’altro, 211 C 1 : luí xà spomxà tévai r¡ útc’ aXXoç
àyeoQat. L o scopo è un «guardare» che rende beato colui che guarda (211 D ), l ’ og-
getto della visione è presentato con evidente analogia all’improvvisa comparsa del
la luce nei misteri eleusini. — Chr. Riedweg nella trattazione Mysterienterm inolo-
gie bei Pla tón und P h ilo n yon Alexandria (Berlin 1987), ha esaminato le analogie,
precise fin nei dettagli, fra la realtá dei misteri eleusini e la lingua mistérica di
Platone.
CHI É L ’AM ANTE E C H IÉ L ’AMATO? 341