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Bullettino

DELL’ISTITUTO
DELL’ISTITUTO STORICO
STORICO ITALIANO
ITALIANO
PER
PER IL MEDIO EVO
IL MEDIO EVO

116

ROMA
NELLA SEDE DELL’ISTITUTO
PALAZZO BORROMINI
___
2014
I saggi pubblicati in questo volume sono stati sottoposti alla lettura di
due esperti anonimi.

ISSN 1127 6096

Direzione: MASSIMO MIGLIO


Comitato scientifico: FRANÇOIS BOUGARD, TOMMASO DI CARPEGNA,
ERRICO CUOZZO, MARIA CONSIGLIA DE MATTEIS, GIACOMO FERRAÙ,
JAMES HANKINS, PAULINO IRADIEL, UMBERTO LONGO, ISA LORI
SANFILIPPO, WERNER MALECZEK, GHERARDO ORTALLI, GIUSEPPE
PETRALIA, GABRIELLA PICCINNI, GIUSEPPE SERGI, SALVATORE SETTIS,
MARINO ZABBIA - Segretario: ANNA MARIA OLIVA
A cura di ISA LORI SANFILIPPO - ANNA MARIA OLIVA - FULVIO DELLE DONNE
Redattore capo: SALVATORE SANSONE
Redazione: ANTONELLA DEJURE
Le prime fonti di Gioacchino da Fiore
Libri e intellettuali nel Regno di Sicilia*

The secret to creativity is knowing how


to hide your sources
(A. Einstein)

Il problema dell’identificazione delle fonti che Gioacchino da


Fiore può avere utilizzato nei propri scritti si presenta come una que-
stione complessa per almeno due ordini di ragioni. Innanzitutto l’aba-
te, come peraltro altri autori medievali, è uno scrittore oltremodo reti-
cente riguardo ai testi di cui si serve, direttamente o indirettamente.
Pochi sono infatti i nomi di autori ricordati in modo esplicito: tra i
Padri latini, e il fatto appare perfino scontato, conosce e cita Agostino,
lo scrittore cui ricorre nel maggior numero di occasioni; non mancano
poi alcuni riferimenti diretti a Gregorio Magno, Girolamo, Ambrogio
e Ilario di Poitiers1. Se cerchiamo autori a lui più vicini cronologica-

* Il presente contributo approfondisce e correda di riferimenti alle fonti e di note


bibliografiche una prima versione del testo, letto in occasione della giornata di studio
organizzata dall’Istituto storico italiano per il medio evo e il Centro internazionale di
studi gioachimiti: «Nos qui in fine sumus, multa possumus colligere» (Concordia, l. V, c.
111). Gli Opera omnia di Gioacchino da Fiore: vent’anni di edizioni e di studi (1990-2010),
Roma, presso la sede dell’Istituto, 14-15 giugno 2011.
1 Cfr. il capitolo, dedicato a Joachim and the Latin Fathers, nel volume di D.C. West
- S. Zimdars-Swartz, Joachim of Fiore: A Study in Spiritual Perception and History,
Bloomington (Indiana) 1983, pp. 30-40 (con tabella degli autori e delle opere citate, pp.
39-40). Un’inquadratura problematica della questione nell’excursus di H. Mottu, La
manifestazione dello Spirito secondo Gioacchino da Fiore. Ermeneutica e teologia della storia secon-
do il «Trattato sui quattro Vangeli», Casale Monferrato 1983, pp. 235-242 [Excursus. Il pro-
blema delle fonti: orientale lumen ed eredità agostiniana; cito dall’edizione italiana del volu-
me H. Mottu, La manifestation de l’Esprit selon Joachim de Fiore, Neuchâtel (Switzerland) -
Paris 1977], in cui vengono analizzate le diverse ipotesi sulle fonti dell’abate.

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mente, troviamo il nome di Pietro Alfonsi, il medico aragonese ebreo


che si convertì al cristianesimo, cui l’abate si rifà per la spiegazione del
tetragramma divino2; nomina anche il beatus Remigius, in realtà Aimone
di Auxerre, autore le cui opere sono raccolte nella Patrologia latina sotto
il nome di Aimone di Halberstadt3. È invece solo Bernardo di
Clairvaux a meritare una citazione esplicita e letterale, dal De considera-
tione ad Eugenium papam, richiamato puntualmente nel primo libro dello
Psalterium decem cordarum4. Tra i Padri greci, viene citato per nome
Origene, quale autore di un’omelia «che si legge in chiesa una volta
l’anno», ma si tratta in realtà di una lectio pseudo-origeriana sul Vangelo
di Luca, detta Cum esset desponsata e diffusa con l’Omiliario di Paolo
Diacono5; nel caso dello Pseudo-Dionigi e del suo De coelesti Hierarchia,
ugualmente nominato in modo esplicito, la conoscenza da parte di
Gioacchino è fondata sul commento fattone da Ugo di San Vittore6,
basato a sua volta sulla traduzione latina dovuta a Giovanni Saraceno.

2 Per la dipendenza di Gioacchino da Pietro Alfonsi, cfr. G. L. Potestà, Il tempo


dell’Apocalisse. Vita di Gioacchino da Fiore, Roma - Bari 2004, pp. 130-134; per il riferi-
mento a Pietro nelle opere dell’abate, v. Expositio in Apocalypsim, Venetiis 1527, f. 36vb
(in seguito: In Apocalypsim): «Hec sacra Trinitatis misteria, que in secretis secretorum
continentur apud Iudeos, patefecit Hebreus quidam Petrus nomine, illuminatus gratia
Christi et conversus ad ipsum».
3 Gioacchino cita apertamente il beatus Remigius nella sua In Apocalypsim, VI, f.
210ra.
4 Ioachim abbas Florensis, Psalterium decem cordarum, ed. K.-V. Selge, Roma 2009
(Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 34), pp. 39, 55 [in seguito:
Psalterium. L’edizione è uscita anche presso i M.G.H.: joachim von Fiore, Psalterium
decem cordarum, ed. K.-V. Selge, Hannover 2009 (Quellen zur Geistesgeschichte des
Mittelalters, 20)]. Nessun altro scrittore cistercense si affianca a Bernardo per citazioni
esplicite, anche se è possibile che Gioacchino avesse avuto modo di conoscere Galand
de Reigny, autore di una raccolta di parabole (il Liber parabolarum) e di una collezione
di proverbi, testi provenienti da Clairvaux, forse conservati presso l’abbazia di
Casamari, che di Clairvaux era figlia. In merito, cfr. Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit.,
p. 47 e nota 64 (p. 378) per il Liber parabolarum; p. 382, nota 142 per il Petit livre de
Proverbes. Altro autore cistercense di cui l’abate di Corazzo potrebbe aver conosciuto
direttamente le opere è Goffredo d’Auxerre, già segretario di Bernardo e legato all’ab-
bazia di Fossanova, di cui per un certo tempo fu abate: in merito, cfr. V. De Fraja, Oltre
Cîteaux. Gioacchino da Fiore e l’ordine florense, Roma 2006 (Opere di Gioacchino da Fiore.
Testi e strumenti, 19), pp. 46-55; De Fraja, “Arbitrantes nos unitatem scindere”. La
Confessio fidei di Gioacchino da Fiore e il dibattito trinitario in curia (1180-1215), «Bullettino
dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 114 (2012), pp. 1-46: 36-42.
5 Cfr. Ioachim abbas Florensis, Tractatus super quatuor Evangelia, ed. F. Santi, Roma
2002 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 17), p. 42 nota 38.
6 Cfr. ibid., III, 16, p. 300. In merito alla conoscenza da parte di Gioacchino delle
opere attribuite a Dionigi l’Areopagita, M. Rainini, Disegni dei tempi. Il «Liber Figurarum»
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Altri ed altro si nascondono tra le righe. Nel suo caso, pertanto, è


necessario davvero compiere un’attenta attività di scavo per portare
alla luce i suoi autori di riferimento, attività certo facilitata, oggi, da una
serie di strumenti informatici; si tratta tuttavia di una ricerca che non
sempre ha raggiunto risultati soddisfacenti e che in diverse occasioni
lascia ancora lo studioso nel dubbio, in quanto nei testi dell’abate, nella
maggior parte dei casi, si ritrovano solo vaghe vicinanze e sfumate affi-
nità con quegli scrittori che pure si immaginano alle sue spalle o con i
quali si intuisce una sintonia di vedute.
Ma un’altra ragione si affianca alla sua – spontanea o ricercata –
reticenza: nel caso di Gioacchino abbiamo infatti a che fare con un
personaggio divenuto monaco – monaco studioso e scrittore – in età
adulta, i cui primi passi nel mondo del sapere si mossero entro una cul-
tura solitamente laica, quella dell’ars notarile7. I suoi studi teologici ed
esegetici non seguirono dunque – possiamo immaginare – una meto-
dologia e una disciplina organizzata secondo i percorsi ben sperimen-
tati di trasmissione della cultura come erano previsti solitamente per i
monaci cresciuti fin da piccoli in un monastero. Essi si snodarono
piuttosto lungo strade differenti, certamente più autonome e indipen-
denti dalla tradizione monastica più tipica. Come ha sottolineato
Marco Rainini, quella di Gioacchino fu, per certi versi, la formazione
di un autodidatta, orientata non tanto dai programmi di studio e dagli
autori “classici” presenti nelle biblioteche dell’universo benedettino in
senso lato o di qualche particolare scuola o corrente, quanto dagli
ambienti e dalle biblioteche con cui egli, ormai adulto e già intellettual-
mente formato, venne a contatto – casualmente o intenzionalmente –

e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma 2006 (Opere di Gioacchino da Fiore.


Testi e strumenti, 18), p. 60.
7 Vita Joachimi abbatis, p. 184: «“Heccine hec est” inquit “de te, fili, nostra expec-
tatio? Propterea te feci literis instrui et locum in curia regia tibi procuravi? Ego et
omnes tui parentes putabamus, quod per te deberet magnificari divitiis et honoribus
exaltari domus nostra, nobilitari genus et manus extolli ...”» [in H. Grundmann, Zur
Biographie Joachims von Fiore und Rainers von Ponza, «Deutsches Archiv für Erforschung
des Mittelalters», 16 (1960), pp. 528-539, ristampato in Grundmann, Ausgewählte
Aufsätze, II, Stuttgart 1977, pp. 342-352; trad. it. Grundmann, Per la biografia di
Gioacchino da Fiore e di Raniero da Ponza, in Grundmann, Gioacchino da Fiore. Vita e opere,
cur. G.L. Potestà, Roma 1997 (Opere di Gioacchino da Fiore. Testi e strumenti, 8), pp.
183-190. Questa, come le seguenti citazioni dai testi agiografici, sono da quest’ultimo
volume].

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ed ebbe modo di confrontarsi8. E in effetti, come riconosce Gian Luca


Potestà, le innovazioni dell’abate nei diversi ambiti da lui percorsi «dipe-
sero dalla progressiva dilatazione dei [suoi] orizzonti intellettuali», una
dilatazione «derivante dal progressivo ampliarsi delle sue letture»9. È
dunque importante, per comprendere la genesi e lo sviluppo delle indi-
scutibili novità di Gioacchino in diversi campi, dall’esegesi alla teologia
della storia, mettere a fuoco proprio il progressivo ampliarsi delle sue
fonti e cogliere i suoi incontri con le biblioteche e con gli intellettuali
che orientarono queste sue letture. Sono da seguire, per questo, i suoi
spostamenti a partire dal periodo giovanile (in cui si mosse tra Cosenza,
la curia regia attiva a Palermo e a Messina, e la Terrasanta), e dalla sua
conversione, quando, dopo aver vissuto per un certo periodo come ere-
mita laico, entrò nel monastero calabrese di Santa Maria di Corazzo,
dove divenne un monaco e un abate non certo caratterizzato da quella
stabilitas in cui invece generalmente si radica tale scelta di vita.

1. Prima di Casamari

Libri e intellettuali: in diverse occasioni si è sottolineato come


importanza decisiva per la formazione dottrinale dell’abate di Corazzo
ebbero senza dubbio i suoi contatti con i monasteri cistercensi del
Lazio meridionale (prima tra tutte l’abbazia di San Giovanni di
Casamari, presso Veroli) e le loro case affiliate in Calabria10, nonché gli
incontri con libri e personaggi presenti presso la curia pontificia11.

8 Rainini, Disegni dei tempi cit., pp. 228-229. Per Gioacchino autodidatta, in una
chiave che ne vuole sottolineare l’arcaismo fondamentale, cfr. ancora Mottu, La manife-
stazione dello Spirito cit., p. 236.
9 Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., p. 8.
10 Oltre che con Casamari, infatti, Gioacchino ebbe contatti con l’abbazia cister-
cense di Santa Maria della Sambucina, in Calabria, e naturalmente con Santa Maria di
Corazzo, in cui entrò quando si decise per la vita monastica. Per il Lazio meridionale,
si possono forse ipotizzare contatti anche con l’abbazia di Fossanova.
11 Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., pp. 8-9: «In realtà, Gioacchino fu molto lega-
to all’abbazia cistercense di Casamari e risiedette per periodi più lunghi di quanto si sia
finora supposto presso la curia papale, rimanendo in costante contatto con essa per
almeno un quindicennio. Lì, fra Casamari e la curia, poté disporre di biblioteche e con-
tatti, lì poté progressivamente ampliare e approfondire i suoi schemi interpretativi»;
Rainini, Disegni dei tempi cit., pp. 60-66, 228.

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È a partire dal 1183 che lo troviamo appunto a Casamari, ospite del-


l’abate Giraldo, per un anno e mezzo circa impegnato a leggere e scrive-
re12; nel maggio del 1184 fu poi a Veroli, presso la curia itinerante del
pontefice Lucio III; qui lo troviamo intento a “frugare” tra i libri e le carte
del lascito del magister e cardinale Matteo d’Angers, carte da cui rispuntò
quella profezia sibillina che poi egli interpretò dinanzi alla curia13.
Ora, di fronte a questi dati di fatto, si pone un interrogativo. Per
quanto determinanti e decisivi, per il configurarsi del profilo intellet-
tuale di Gioacchino, possano essere stati i rapporti con la curia ponti-
ficia (a Veroli, ma anche successivamente, a Verona e a Roma) o i con-
tatti con il mondo cistercense, o ancora con qualche comunità ebraica
e con quell’ebreo “molto competente” che gli divenne familiare14, un
esegeta-teologo del calibro di Gioacchino non poteva nascere né dal-
l’inattività, come scriveva già vent’anni or sono Kurt-Victor Selge15, né
armato – dottrinalmente armato – di tutto punto come Athena dal
capo di Zeus. È difficile credere infatti che siano state solamente le let-
ture, per quanto intense e approfondite, coltivate a partire dal 1183 nei
circa venti mesi trascorsi tra Casamari e Veroli, a fare di Gioacchino,
nel giro di poco tempo, il teologo e l’esegeta in grado di comporre il
primo libro dello Psalterium decem cordarum, di porre le basi della
Concordia e dell’Expositio in Apocalypsim (è l’abate a ricordare, nel Prologo
dello Psalterium, di aver iniziato a Casamari le sue tre opere principali16),
di scrivere portando a termine il De prophetia ignota, i Dialogi de prescien-

12 Il racconto dell’attività svolta a Casamari è narrata nel Prologo dello Psalterium


(cfr. infra nota 20) e da Luca, allora segretario dell’abate di Casamari Giraldo, poi pas-
sato a dirigere la Sambucina e infine arcivescovo di Cosenza: cfr. Luca di Cosenza,
Memorie, in Grundmann, Gioacchino da Fiore cit., pp. 191-197.
13 Cfr. Ioachim abbas Florensis, De prophetia ignota, in M. Kaup, «De prophetia igno-
ta». Eine frühe Schrift Joachims von Fiore, Hannover 1998 (Monumenta Germaniae
Historica. Studien und Texte, 19), trad. it.: Gioacchino da Fiore, Commento a una profe-
zia ignota, cur. M. Kaup, Roma 1999 (Opere di Gioacchino da Fiore. Testi e strumen-
ti, 10). Una nuova edizione critica degli scritti minori dell’abate è apparsa di recente:
Ioachim abbas Florensis, Scripta breviora, edd. L. Braca – M. Kaup – A. Patschovsky – G.L.
Potestà – K.V. Selge, Roma 2014 (Antiquitates, 40). Riguardo all’attività di Gioacchino in
curia, v. le considerazioni di Rainini, Disegni dei tempi cit., p. 62.
14 Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., pp. 130-135.
15 K.-V. Selge, L’origine delle opere di Gioacchino da Fiore, in L’attesa della fine dei tempi
nel Medioevo, cur. O. Capitani - j. Miethke, Bologna 1990 (Annali dell’Istituto storico
italo-germanico, Quaderno 28), pp. 87-131: 91.
16 Psalterium, p. 10.

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tia Dei et predestinatione electorum, il De articulis fidei, limitando l’elenco ai


soli testi attribuibili con certezza al periodo trascorso appunto a
Casamari o ai mesi a ridosso di quel viaggio.

2. Il Prologo dello Psalterium decem cordarum

D’altra parte, è Gioacchino stesso a dirci di essere stato attivo stu-


dioso ben prima del suo portarsi presso l’importante abbazia laziale.
Nel Prologo dello Psalterium, aggiunto ai tre libri che lo compongono
quando infine decise di renderlo pubblico, l’abate ci presenta la rico-
struzione (o quanto meno una sua personale ricostruzione e rilettura a
posteriori) del suo percorso di ricerca teologica. Dopo aver accennato
brevemente a coloro che, desiderando la sapientia, si erano dati alla lec-
tio e alla doctrina, ma che, non comprendendo che a Dio si può accede-
re solamente attraverso la grazia e non attraverso il libero arbitrio, non
avevano potuto assaporare appieno tale sapienza divina, dichiara di
essere stato vittima egli stesso del medesimo abbaglio:

«E queste cose le abbiamo udite e le abbiamo sentite, le abbiamo


provate e, se non erro, le abbiamo imparate per esperienza diretta. Io
stesso un tempo bramavo le parole divine, e cercavo, attraverso l’eser-
cizio della lectio, di giungere alla conoscenza della verità, ma per quan-
to ardessi di accostarmi ad essa per mezzo dell’amore per la lectio, la
verità, indossando come penne di aquila, si portava lontano da me più
di quanto lo fosse in precedenza. Quando invece, animato da un
nuovo fervore, iniziai ad amare la salmodia a causa di Dio, molte cose
della Scrittura divina, che prima, attraverso la lectio, non avevo potuto
investigare, iniziarono per me a dischiudersi, mentre nel silenzio reci-
tavo i salmi»17.

Sopravvennero però in seguito gli impegni per così dire “familia-


ri”: gli oneri della carica di abate infatti non gli lasciarono più il tempo
sufficiente per lo studio e la ricerca. Gioacchino racconta infine l’espe-

17 Psalterium, Prologus, p. 7: «Hec sicut audivimus sic et vidimus, probavimus utrumque


et ni fallor experimento didicimus. Eram aliquando ego ipse anxius ad verba Dei et que-
rebam per exercitium lectionis ad veritatis notitiam pervenire; cumque ad eam per
legendi studium properare flagrarem, assumens sibi pennas velut aquile longius quam

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rienza estatica della visione-rivelazione del salterio triangolare nel gior-


no di Pentecoste, avuta appunto a Casamari, non senza aver prima
dichiarato che la permanenza nell’abbazia cistercense cadeva «dopo
alcuni anni» – quindi dopo un tempo indubbiamente prolungato – di
rinuncia forzata allo studio18.
Abbiamo dunque, secondo quanto riassume anche Selge nella sua
Introduzione, un «percorso di formazione spirituale in quattro tappe»: 1.
ricerca intorno alla Scrittura attraverso la lectio e lo studium doctrinae, con
risultati che Gioacchino, rileggendo a posteriori la propria esperienza,
descrive come deludenti; 2. avanzamento spirituale, attraverso la sal-
modia; 3. stasi nella ricerca, causata dagli impegni connessi alla carica
di abate; 4. svolta di Casamari, come conseguenza di un’improvvisa
quanto insperata rivelazione divina19.
Dalle parole autobiografiche del Prologo sembrerebbe che, in qual-
che modo, Gioacchino intendesse in effetti prendere le distanze dalla
prima di queste tappe, caratterizzata dalla lectio e dalla doctrina e contras-
segnata dai limiti imposti dal libero arbitrio. Si tratta forse, tuttavia, di
uno stilema letterario, retorico, da porre sulla medesima linea dell’im-
magine – ugualmente letteraria – della famosa “visione-rivelazione”
del salterio triangolare nel giorno di Pentecoste, con cui subito prose-
gue appunto la narrazione del Prologo20.

erat recedebat a me. Cum autem positus in fervore novicio cepi Dei causa diligere
psalmodiam, multa michi in scriptura divina psallenti sub silentio reserari ceperunt,
que antea legendo vestigare nequiveram».
18 Psalterium, Prologus, pp. 7-9: «Sed cum michi, qui – ut iam videbatur – cogitatio-
ne et aviditate illius superne civitatis habitator effectus fruebar secundum interiorem
hominem non modica visione pacis, accideret illud, quod sibi multi etsi frustra accidis-
se queruntur, ut rursum occasione cure rei familiaris cogerer implicari negotiis mona-
sterii, que secundum cuiusdam coloris sui speciem aut vere secularia sunt aut pene
secularia iudicanda, conpulsus sum iterum cum cordis gemitu nec sine formidine
exclamare: Heu michi quia incolatus meus prolongatus est. Habitavi cum habitantibus Cedar, mul-
tum incola fuit anima mea, et illud: Precisa est velut a texente vita mea, dum adhuc ordirer, succi-
dit me. Cum ergo huiuscemodi gemitus versaretur in mente mea, accidit post annos ali-
quot cum essem apud cenobium Casemarii, detinentibus me ibi viro venerabili
Geraldo Abbate ipsius domus et fratribus eius et colligantibus me sibi insolubili vin-
culo caritatis, diem adesse sollempnem in quo dona sancti Spiritus super sanctos apo-
stolos effusa sunt et oleo illo spiritali infusa quo unctus est unigenitus Dei pre consor-
tibus suis».
19 K.-V. Selge, Introduzione, in Gioacchino da Fiore, Il salterio a dieci corde, intr. Selge,
trad. it. F. Troncarelli, Roma 2004 (Opere di Gioacchino da Fiore. Testi e strumenti,
16), pp. XV-XVI.
20 Psalterium, Prologus, pp. 9-10: «Quia vero non omnino eram expers ab intellectu
olei sancti huius et sciebam quod ad hoc ipsum pertineret sacrificium laudis, dolens quod
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Se possiamo azzardare qui un’ipotesi, che tale non potrà che rima-
nere, motivo di tale presa di distanza si può forse intravedere nella
volontà, da parte sua, di equiparare il proprio percorso di ricerca intel-
lettuale a quello di un “grande vecchio” cistercense, Goffredo di
Auxerre, il quale fu dapprima scolaro di Abelardo – esponente della
doctrina scolastica e di un metodo basato sulla logica –, in seguito, dopo
una improvvisa e radicale conversione, discepolo fedele di Bernardo –
rappresentante orgoglioso di una ricerca basata maggiormente sul sim-
bolismo biblico e sull’interpretazione spirituale delle Scritture21.
Goffredo è un personaggio che spunta a più riprese nel percorso bio-
grafico del calabrese e che ormai, nel periodo in cui Gioacchino scri-
ve il Prologo, gli anni ’90 secondo la proposta di Potestà (per la preci-
sione: «non prima del 1194/1196 e non dopo il 1200»)22, ci appare suo
avversario dichiarato23. La presa di distanza dalla prima fase del pro-
prio percorso formativo potrebbe essere allora un estremo tentativo,
tacitamente indirizzato all’anziano cistercense e ai vertici del proprio
ordine, di porre la propria esperienza teologica ed esegetica nel solco
del più classico filone “simbolico” cistercense, alla scuola di Bernardo
e dello stesso Goffredo, per cercare di sanare le profonde incompren-
sioni in campo dottrinale e le tensioni generate dalle divergenti visioni
della vita religiosa (è giusto in questo giro di anni che Gioacchino, fal-

tam diuturno tempore tanti beneficii gratia expers eram, statui apud me die illo dicere
michi aliquot psalmos ad honorem Spiritus sancti ob tante reverentiam et sollempni-
tatem diei, sperans donari michi aliquid in diem ipso ab eo qui dat omnibus affluenter et non
improperat. Interea cum ingrederer oratorium et adorarem omnipotentem Deum coram
sancto altari, accidit in me velut hesitatio quedam de fide Trinitatis, acsi difficile esset
intellectu vel fide esse tres personas unum Deum et unum Deum tres personas. Quod
cum accideret timui valde et conterritus vehementer conpulsus sum invocare Spiritum
sanctum cuius sacra sollempnitas presens erat, ut ipse michi dignaretur ostendere
sacrum misterium Trinitatis, in quo nobis promissa est a Domino omnis notitia veri-
tatis. Hec dicens cepi psallere ut ad propositum numerum pervenirem. Nec mora
occurrit animo meo forma psalterii decacordi et in ipsa tam lucidum et apertum sacre
misterium Trinitatis, ut protinus conpellerer exclamare: Quis Deus magnus sicut Deus no-
ster? Tu es Deus qui facis mirabilia, et illud: Magnus Dominus Deus noster et magna virtus eius,
et sapientie eius non est numerus».
21 Cfr. F. Gastaldelli, Tradizione e sviluppo. La formazione culturale e teologica di Goffredo
di Auxerre, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università di Macerata», 32
(1999), pp. 1-38, ristampato in Gastaldelli, Studi su san Bernardo e Goffredo di Auxerre,
Tavernuzze - Impruneta (Fi) 2001 (Millennio Medievale, 30), pp. 341-374.
22 Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., pp. 340-344.
23 Goffredo d’Auxerre, Predica, in Grundmann, Gioacchino da Fiore cit., pp. 198-
199; per il contesto generale, cfr. De Fraja, Oltre Cîteaux cit., pp. 99-103.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 101

lito evidentemente ogni tentativo di ricucitura, romperà definitivamen-


te con l’ordine cistercense, facendo infine approvare dal pontefice le
sue costituzioni nell’agosto del 119624). Una rilettura fortemente orien-
tata, dunque, da interpretare in parallelo all’altra, forse ugualmente
rivolta a Goffredo e ugualmente espressa nel Prologo: quella tramite la
quale egli intendeva porre tutta la propria ricerca “profetica” dischiu-
sasi con la visio del triangolo del salterio25 proprio all’insegna della gra-
zia e della revelatio divina. E Goffredo di Auxerre è in effetti, si noti
bene, l’unico tra i critici a noi conosciuti ad aver espressamente accu-
sato Gioacchino di promuovere in modo azzardato un «novo genere
prophetandi sine certa [...] revelatione» – un rilievo che in seguito,
forse proprio sulla scia di Goffredo, anche un altro abate cistercense,
Adamo di Perseigne, gli mosse durante il suo incontro-inchiesta con il
calabrese nel 119526.
Il Prologo dello Psalterium decem cordarum dunque, se risalente agli
anni ’90 del XII secolo, potrebbe essere interpretato in una prospetti-
va cistercense: si tratterebbe di una ricostruzione del proprio partico-
lare percorso teologico, la cui fase finale viene posta, intenzionalmen-
te e integralmente, nella dimensione della grazia (e non della lectio e del
libero arbitrio, che caratterizzano invece la prima fase) mediante la nar-
razione della visione del salterio triangolare, in cui è Dio stesso a inter-
venire per rendere intelligibile il mistero trinitario e le intime relazioni
tra le persone divine. Il ricorso alla visione donata dall’alto intendereb-
be dunque essere un tentativo di chiarimento di fronte all’accusa, da
parte di Goffredo, di costruire le proprie “profezie” senza basi suffi-
cientemente fondate sui tradizionali modelli caratterizzanti il carisma
profetico27. In parallelo, la presa di distanza dalla prima fase del pro-

24 In merito, ibid., pp. 153-155, 209-210.


25 Psalterium, Prologus, pp. 9-10 (cfr. il testo alla nota 20). Riguardo alla “veridicità”
e al significato delle cosiddette visioni “di Pentecoste” (il salterio decacorde) e “di
Pasqua” (la piena comprensione della concordia e di un passo chiave dell’Apocalisse),
cfr. le diverse posizioni interpretative sintetizzate in Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit.,
pp. 13-16.
26 Goffredo d’Auxerre, Predica cit., p. 198; Radulphus de Coggeshale, Chronicum
Anglicanum, ed. j. Stevenson, London 1875 (rist. anast. 1965) (Rerum Britannicarum
Medii Aevi Scriptores, 66), p. 68: «Hic Romae interrogatus […] quondam ausu talia
prediceret, an ex prophetia, an conjectura, seu revelatione?». In merito, De Fraja, Oltre
Cîteaux cit., pp.104-105.
27 In merito, anche se riferito a un periodo successivo, è ancora valido il volume
di j.-P. Torrell, Théorie de la prophétie et philosophie de la connaissance aux environs de 1230. La

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102 VALERIA DE FRAjA

prio percorso teologico, contrassegnato da lectio e doctrina, non sarebbe


altro che una sottolineatura della scelta di campo cistercense, a favore
della via biblico-simbolica radicata nella preghiera di lode. Nel mede-
simo quadro, infine, si inserirebbe coerentemente l’elogio rivolto
all’abate Giraldo e alla sua comunità monastica, che lo avevano accol-
to con grande benevolenza e con cui si stabilì un «insolubili vinculo
caritatis»: per l’abate e i monaci di Casamari Gioacchino era un vero
cistercense, sulla cui ortodossia e fedeltà ai modelli teologico-simboli-
ci dell’ordine non ricadevano sospetti28.
Se proviamo a immaginare l’anziano Goffredo d’Auxerre, ritirato-
si ormai a Clairvaux come semplice monaco, o altri esponenti della
dirigenza cistercense intenti nella lettura del Prologo dello Psalterium,
possiamo forse comprendere quali potevano essere state le finalità per-
seguite dall’abate nello stendere un testo di tale portata.

3. Scritti e figure degli anni ’70 del XII secolo: le fonti

Ma lasciamo da parte queste ipotesi e ritorniamo alla questione che


ci preme, quella dell’ “ante Casamari”. Se anche il percorso di ricerca in
quattro tappe fosse una ricostruzione letteraria e non pienamente “sin-
cera”, in realtà, per ridisegnare il percorso formativo dell’abate e lo
stratificarsi nel tempo delle sue letture non abbiamo a nostra disposi-
zione unicamente la testimonianza autobiografica del Prologo dello
Psalterium. La ricerca dell’ultimo decennio è infatti arrivata ad attribui-

contribution d’Hugues de Saint-Cher (Ms. Douai 434, Question 481), Edition critique avec intro-
duction et commentaire, Louvain 1977 (Spicilegium Sacrum Lovaniense, 40). Le ricerche
di p. Torrell sulla teoria della profezia hanno in seguito riguardato altri autori, quali
Pietro il Venerabile, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Giovanni di Rupescissa. Cfr.
anche il volume j.-P. Torrell, Recherches sur la théorie de la prophétie au moyen âge (XIIe-XIVe
siècles). Études et Textes, Fribourg 1992 (Dokimion, 13).
28 Cfr. Psalterium, Prologus, pp. 8-9: «Accidit post annos aliquot cum essem apud
cenobium Casemarii, detinentibus me ibi viro venerabili Geraldo Abbate ipsius domus
et fratribus eius et colligantibus me sibi insolubili vinculo caritatis»; per un’ulteriore
fonte in merito, Luca di Cosenza, Memorie, in Grundmann, Gioacchino da Fiore cit., p.
191: «Mox vero ut me cognovit intelligere aliquid et notarium esse abbatis mei, roga-
vit eum, ut me sibi concederet scriptorem; quod et actum est, quia nihil sibi abbas
Geraldus negare poterat, ita eum ferventissime diligebat»; p. 192: «Ex commissione
quoque abbatis mei solus ipse, cum nullum in hac parte haberet similem, sermonem
tam in festis quam in feriis frequenter in capitulo faciebat».

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 103

re con certezza alla penna di Gioacchino un testo che fino ad un certo


momento si era ritenuto apocrifo: si tratta di un breve scritto, intitola-
to, dal termine di apertura, Genealogia. La prima parte di questo testo,
che risulta composito, riporta esplicitamente come anno in corso il
117629. Un testo dunque da collocare ben prima del viaggio a Casamari
e dei contatti con la curia di Lucio III. E alla prima parte della
Genealogia è stata accostata, in quanto ne illustra coerentemente il con-
tenuto, la tavola del Liber figurarum detta «albero dei due avventi».
Questa tavola, nel riportare una lista cronologica dei pontefici, si ferma
ad Alessandro III, elemento che spinge a datarla entro il 118130.
Abbiamo dunque almeno due “prodotti” di Gioacchino – uno testua-
le, uno iconografico –, che con certezza vanno posti cronologicamen-
te a monte rispetto ai suoi contatti con le biblioteche cistercensi e con
i libri che circolavano in curia.
Parliamo a questo punto – finalmente – di fonti. Il primo capitolo
della Genealogia, risalente al 1176, non è certo eloquente riguardo agli
autori e alle opere di cui Gioacchino si è servito. I testi sullo sfondo al
momento identificati non vanno al di là della Bibbia31. L’abate in real-
tà ribadisce a più riprese, nel corso del proprio scritto, di rifarsi ad
“alcuni”, a certi sapientes, per le sue interpretazioni, ma si tratta di per-
sonaggi che rimangono avvolti nell’oscurità32. Qualcosa in più ci dico-
no le figure di alberi accostabili alla Genealogia, quella detta «del dupli-
ce avvento» e quelle – di poco più tarde ma sempre legate a questo
breve testo – dei cosiddetti «alberi delle generazioni ascendenti e
discendenti»33. Secondo Rainini, alcuni dettagli indicano con precisio-

29 Ioachim abbas Florensis, Genealogia, in G.L. Potestà, Die «Genealogia». Ein frühes
Werk Joachims von Fiore und die Anfänge seines Geschichtsbildes, «Deutsches Archiv für
Erforschung des Mittelalters», 56 (2000), pp. 55-101: 92: «Cum ergo a nativitate Christi
complete sint hoc tempore XL generationes, id est MCLXXVI anni». V. nota 13.
30 Rainini, Disegni dei tempi cit., p. 43.
31 Ioachim abbas Florensis, Genealogia cit., in cui le note di commento, relativa-
mente alle fonti dirette, non rimandano che ai libri biblici.
32 Ibid., p. 93: «Isti [sapientes] consideraverunt tribulationes, qui acciderunt filiis
Israel a Iacob usque ad Christum, et ea, que acciderunt mala ecclesie a Christo usque
ad presens tempus, illis conferentes […] Quinque persecutiones transisse asserunt et
sextam expectant, que infra XL annos, ut dicunt, duplex futura est. Dicunt enim hoc
esse VII signacula, que vidit Iohannes in Apocalipsi, qui sex tribulationes synagoge
comparant VI persecutionibus ecclesie. In primo autem signaculo erit tempus quasi
quietis et pacis; quem pacem comparant illi, que fuit in nativitate Christi».
33 Rainini, Disegni dei tempi cit., pp. 37-46.

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104 VALERIA DE FRAjA

ne una dipendenza dagli scritti di Ugo di San Vittore, in particolare dal


suo Chronicon, unico testo in cui si ritrova un elenco di pontefici del
tutto coincidente con quello presentato da Gioacchino negli alberi
delle generazioni34. Al Chronicon si può probabilmente aggiungere la
conoscenza diretta del Libellus de formatione arche del vittorino, quale
fonte sia, in generale, dell’impostazione di fondo di alcune figure arbo-
ree, sia, nel dettaglio, della sequenza di generazioni dei patres, da
Adamo a Cristo, presente in questi alberi/diagrammi35.
Ma ampliamo lo sguardo appena più in là in senso cronologico: il
curatore dell’edizione dello Psalterium ha affermato che nel periodo in
cui l’abate lavorò al primo libro (il trattato trinitario autonomo De con-
templatione Trinitatis: siamo tra il 1183 e il 1184), era sicuramente già in
precedenza al corrente delle discussioni scolastiche del tempo in mate-
ria trinitaria; dal testo del primo libro emerge che la sua fonte sull’ar-
gomento non era soltanto Bernardo di Clairvaux (citato esplicitamen-
te, come abbiamo visto) ma anche – almeno – la sezione sul mistero
della Trinità contenuta nelle Sentenze di Pietro Lombardo. Conosceva
poi, di prima mano, il De Trinitate di Agostino36. Come conclude Selge,
«l’istruzione teologica acquisita nei decenni precedenti andava dunque
ben oltre la Bibbia e la teologia della storia», che, come dimostrano la
Genealogia e le figure collegate, era comunque già tra i suoi interessi mag-
giori37. Se dunque Gioacchino con buone probabilità aveva conosciuto, o
quanto meno approfondito la propria conoscenza di Bernardo e del suo
De consideratione a Casamari, la lettura del De Trinitate di Agostino e delle
Sentenze di Pietro Lombardo – o almeno della loro sezione trinitaria –
andrà collocata, si deve supporre, in un periodo di tempo antecedente.

34 I confronti eseguiti da Marco Rainini in merito non hanno portato a identifi-


care altri autori in cui la lista dei papi sia coincidente con quella che si trova nei dia-
grammi con gli elenchi dei pontefici (cfr. in particolare ibid., pp. 58-59). È tuttavia
necessario notare che liste di papi, accompagnate o meno dalla durata del pontificato,
erano diffuse anche in forma anonima e autonoma, non inserite cioè in precisi testi. Si
veda, per un esempio in circolazione nel Regno di Sicilia, M. Zabbia, Un cronista medie-
vale e le sue fonti. La storia del papato nel Chronicon di Romualdo Salernitano, «Filologia
mediolatina», 9 (2001), pp. 229-250, ripubblicato in Le storie e la memoria. In onore di
Arnold Esch, cur. R. Delle Donne - A. Zorzi, Firenze 2002, pp. 249-269: 251, anche in
rete all’indirizzo: http://www.rm.unina.it/ebook/festesch.html.
35 Rainini, Disegni dei tempi cit., pp. 55-59.
36 Selge, Introduzione cit., p. XII. Cfr. inoltre l’apparato delle fonti in Psalterium, I,
pp. 6-114.
37 Selge, Introduzione cit., p. XII.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 105

4. Nel Regno normanno: gli intellettuali

Ritorniamo ora alla questione iniziale, ossia all’incontro di Gioac-


chino con libri e personaggi (dietro ai libri ci sono sempre persone in
carne ed ossa) che hanno determinato il progressivo dilatarsi dei suoi
orizzonti dottrinali. Libri e personaggi cistercensi, libri e personaggi
presenti presso la curia pontificia, libri e sapientes ebrei, ma chiaramen-
te non solo. Rimane il problema, ineludibile, del “prima”. Quali sono
stati gli ambienti della prima, originaria formazione, forse da lui in
seguito rigettata in quanto insufficiente a cogliere la vera sapientia; quali
i libri e i personaggi alla base del suo primo percorso di ricerca, che egli
stesso ha definito, nel Prologo dello Psalterium, come caratterizzato dalla
lectio e dalla doctrina? È proprio in questa direzione che può valere la
pena di tentare un supplemento di indagine.
Le fonti biografiche relative a Gioacchino indicano, a questo pro-
posito, un’unica ipotesi percorribile, quella di libri e personaggi presen-
ti nel Regno di Sicilia, anche se oggi per noi rimane aperto l’interroga-
tivo in merito a «come il monaco calabrese Gioacchino, prima abate di
Corazzo (località della Sila piccola, nell’entroterra catanzarese) e poi di
S. Giovanni in Fiore (località della Sila grande, nell’entroterra cosenti-
no), abbia potuto avere conoscenza, diretta o indiretta che fosse, di
autori geograficamente tanto lontani, alcune delle cui opere avevano in
quel tempo una diffusione sicuramente circoscritta»38. Ma quello che a
noi, oggi, potrebbe apparire come una reale distanza, se non isolamen-
to, geografico e culturale, è probabilmente solo un’immagine distorta
di una realtà a quel tempo almeno in parte diversa.
In molte occasioni è stato affermato che il Regno normanno di
Sicilia era un polo culturale importante, che nella capitale Palermo, ma
anche in altri centri minori, circolavano studiosi, magistri e libri; terra
cosmopolita e incrocio di diverse culture, raccoglieva e rifondeva ere-
dità bizantine, ebraiche, arabe, latine, normanne, e con certezza era
uno dei centri in cui si traduceva in latino dal greco e dall’arabo39.

38 Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., p. 9. Riguardo alle fonti della formazione di


Gioacchino, ha suggerito maggiore attenzione all’ambiente regnicolo M. Zabbia,
Gioacchino da Fiore. Zabbia legge Potestà, «Storica», 11 (2005), pp. 175-190. Ringrazio l’au-
tore per avermi segnalato la sua recensione e per le riflessioni in merito.
39 Cfr. A. De Stefano, La cultura in Sicilia nel periodo normanno, Palermo 1938; G.
Resta, La cultura siciliana dell’età normanna, in Atti del Congresso internazionale di studi sulla
Sicilia normanna, Palermo 1973, pp. 263-278; Resta, La cultura latina sotto i Normanni, in

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106 VALERIA DE FRAjA

Manca tuttavia una ricerca di insieme che faccia luce, a 360 gradi, sui
protagonisti del rilievo culturale dell’ambiente regnicolo nella seconda
metà del XII secolo, e soprattutto che incroci le informazioni sugli
intellettuali e quelle sui libri, comprendendo non solo quelli usciti da
atelier locali, ma anche quelli, più semplicemente, in circolazione in
Sicilia e nelle altre regioni del Regno40. Ora, proprio sui personaggi
colti e sui loro libri vogliamo fermare l’attenzione, per capire se pote-
va davvero essere questo l’ambiente in cui Gioacchino gettò le fonda-
menta della propria formazione non solo in quanto notaio, ma anche
quale studioso in divinis.
L’imprinting esegetico e teologico dell’abate calabrese è profonda-
mente latino: le edizioni critiche – nonostante ipotesi di moda per un
certo tempo41 – non hanno in effetti messo in luce alcuna fonte greco-
bizantina diretta nel suo orizzonte di lettore, e anche quando si può
ritrovare esplicito, o ipotizzare, un riferimento ad autori greci (è il caso,
lo abbiamo visto, dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita), questi gli sono

Storia della Sicilia, IV, Napoli 1980, pp. 141-157; S. Tramontana, La monarchia normanna
e sveva, Torino 1980; A. Varvaro, Il regno normanno-svevo, in Letteratura italiana. Storia e geo-
grafia, I, L’età medievale, Torino 1987, pp. 79-99; Centri di produzione della cultura nel
Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve (Bari, 17-
20 ottobre 1995), cur. G. Musca, Bari 1997. Nel 2006 a Palermo si è tenuto il conveg-
no Greci, latini, musulmani, ebrei: la coesistenza culturale in Sicilia. Convegno Internazionale
nell’ambito delle celebrazioni per il Millenario della morte di san Nilo da Rossano
(Palermo, 16-18 novembre 2006), ma gli Atti non sembrano prossimi alla pubbli-
cazione.
40 A segnalare l’alta qualità della letteratura filosofica, ma non solo, presente in
Sicilia, vale la pena di ricordare che Enrico Aristippo, scrivendo all’amico “Roboratus
fortune” (“Favorito della fortuna”, identificato in Roberto di Cricklade), che lasciava
la Sicilia per ritornare nella sua Inghilterra, fornì un elenco di libri, una sorta di catalo-
go di due biblioteche siciliane: «Habes in Sicilia Siracusanam et Argolicam bibliothe-
cam; Latina non deest philosophia... Habes Eronis philosophi Mechanica [gli
Pneumatica di Erone Alessandrino] pre manibus... Habes Euclidis Optica... Habes de
scientiarum principiis Aristotelis Apodicticen [gli Analytica Posteriora di Aristotele] ...
Philosophica Anaxagore, Aristotelis, Themistii, Plutarchi, ceterorumque magni
nominis philosophorum in manibus tuis sunt... theologica, mathematica, metheoro-
logica tibi propono theoremata...» [Enrico Aristippo, Prologo al Fedone, riportato in O.
Hartwig, Re Guglielmo e il suo grande ammiraglio Maione di Bari, «Archivio storico per le
Province napoletane», 8 (1883), pp. 397-485: 463].
41 Sintetizza le diverse posizioni degli studiosi in merito Mottu, La manifestazione
dello Spirito cit., p. 236 (cita a favore dell’ipotesi dell’orientale lumen Paul Fournier e
Morton Bloomfield, mentre tra coloro che la contestano ricorda Ernesto Buonaiuti e
Antonio Crocco).

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 107

noti attraverso le traduzioni o i commentari latini (lo Pseudo-Dionigi


del De coelesti hierarchia tramite il commento di – ancora una volta –
Ugo di San Vittore42). È dunque ad autori latini che è necessario vol-
gere lo sguardo. E nel Regno, agli intellettuali della seconda metà del
XII secolo di ascendenza bizantina o che con il greco avevano grande
dimestichezza – pensiamo solo ad Enrico Aristippo («tam latinis quam
grecis litteris eruditum»), arcidiacono di Catania e traduttore di
Platone, di Aristotele, di Diogene Laerzio e di Gregorio Nazianzeno43,
o all’amiratus Eugenio («virum tam grece quam arabice lingue peritissi-
mum, latine quoque non ignarum»), traduttore dell’Ottica di Claudio
Tolomeo44 – si aggiungevano in effetti diversi latini.

4.1. Intellettuali latini meridionali

Vi erano innanzitutto quegli intellettuali di origine meridionale,


nativi del Regno, che in questo periodo si muovevano tra la corte e il
territorio, dal momento che in diversi casi coprivano la carica di fami-
liares del re o della regina reggente – erano dunque gli stretti consiglie-
ri di corte – e contemporaneamente erano chiamati a governare dioce-
si e arcidiocesi. Il fatto che costoro abbiano avuto un peso politico
estremamente rilevante nelle convulse vicende politiche del Regno
nella seconda metà del XII secolo ha forse lasciato passare in secondo
piano l’importanza del loro profilo culturale. Ma si trattava di persona-
lità piuttosto significative. Un primo esempio, assai eloquente, può
essere Gualtiero, cui per lungo tempo è stato attribuito il cognome
Offamil (Ophamilius, Ofamile e Of the Mill, in realtà abbreviazione del

42 Rainini, Disegni dei tempi cit., p. 60.


43 Per questo personaggio cfr. E. Franceschini, Aristippo, Enrico, in Dizionario
Biografico degli Italiani, 4, Roma 1962, pp. 201-206. V. anche T. De Angelis, Intellettuali
greco-latini alla corte normanna di Sicilia, in Mezzogiorno & Mediterraneo: territori, strutture,
relazioni tra antichità e Medioevo. Atti del Convegno internazionale (Napoli, 9-11 giugno
2005), cur. G. Coppola - E. D’Angelo - R. Paone, Napoli 2006, pp. 247-257: 248-249.
La citazione è tratta da La “Historia” o “Liber de Regno Sicilie” di Ugo Falcando, ed. G.B.
Siragusa, Roma 1897 (Fonti per la Storia d’Italia, 22), p. 44.
44 Sulla sua figura e la sua produzione poetica, scientifica e di traduttore, cfr. la
sintesi di V. von Falkenhausen, Eugenio da Palermo, in Dizionario Biografico degli Italiani,
43, Roma 1993, pp. 502-505 e, da ultimo, De Angelis, Intellettuali greco-latini cit., pp. 250-
251. La citazione è dal Prologo alla versione dell’Almagesto, in Ch.H. Haskins, Studies in the
History of Mediaeval Science, Cambridge 1927, p. 192.

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titolo, in greco, di ‘protofamiliare’, di cui fu insignito), nonché un’ori-


gine inglese, dovuta alla confusione tra lui e un certo Gualtiero
Anglico. Gualtiero protofamiliare fu arcidiacono di Cefalù, decano di
Agrigento, poi canonico del duomo di Palermo e della cappella palati-
na, istitutore dei figli di Guglielmo I, protonotarius del Regno, e infine, a
coronamento di una carriera prestigiosa, arcivescovo di Palermo dopo
la cacciata di Stefano di Perche, fino alla morte, avvenuta nel 1190. Si
tratta di un personaggio certamente molto colto, sebbene non si sap-
pia se avesse frequentato uno studium e il cui unico scritto giunto fino
a noi sia un inno in onore di sant’Agata45. A coglierne almeno in parte
il calibro ci aiuta la notizia secondo la quale a lui faceva riferimento un
teologo e magister formatosi a Parigi quale il cardinale amalfitano Pietro
Capuano, che gli dedicò la sua Summa46. A condividere un percorso
simile troviamo suo fratello Bartolomeo, dal 1171 vescovo di
Agrigento, poi egli stesso arcivescovo di Palermo alla morte del fratel-
lo (dal 1192 al 1199)47: della sua attività di intellettuale ci è rimasta
almeno una predica48. Non va poi dimenticato Romualdo II Guarna,
arcivescovo di Salerno, familiaris di Margherita e del re, autore della
famosa Cronaca49, e anche medico di fama. A questi nomi possiamo
infine aggiungere quello di Rufino, vescovo di Assisi, poi arcivescovo
di Sorrento, molto legato a Montecassino, autore di numerosi scritti: ci
ha lasciato in effetti un commento al Decretum di Graziano, un’opera
intitolata De bono pacis, il discorso di apertura del concilio lateranense
III, nonché un certo numero di sermoni. È noto che avesse studiato

45 F. Delle Donne, Gualtiero, in Dizionario Biografico degli Italiani, 60, Roma 2003,
pp. 224-227; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, III,
München 1975, pp. 1112-1119.
46 Ibid., pp. 1119-1122.
47 W. Maleczek, Pietro Capuano. Patrizio amalfitano, Cardinale, Legato alla Quarta
Crociata, Teologo († 1214), edizione riveduta e aggiornata dall’autore, trad. cur. F. Delle
Donne, Amalfi 1997, pp. 30, 54, 255-257, 327 [trad. it. del volume Petrus Capuanus.
Kardinal, Legat am Vierten Kreuzzug, Theologe († 1214), Wien 1988].
48 C. Sipala Parachì, Sull’orazione inedita di Bartolomeo Offamilio (XII sec.) «Qua in cle-
ricorum mores invehitur grece et latine», in Studi in memoria di Carmelo Sgroi (1893-1952),
Torino 1965, pp. 605-619.
49 Cfr. M. Oldoni, Guarna, Romualdo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 60, Roma
2003, pp. 400-403; M. Zabbia, Romualdo Guarna, arcivescovo di Salerno, e la sua “Cronaca”,
in Salerno nel XII secolo. Istituzioni, società, cultura. Atti del convegno internazionale (Raito
di Vietri sul Mare, 16-20 giugno 1999), cur. P. Delogu - P. Peduto, Salerno 2004, pp.
380-398.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 109

diritto a Bologna, ma le sue opere dimostrano una approfondita pre-


parazione anche teologica50.
Anche altre presenze di personaggi colti, provenienti da altre zone
della Penisola, arricchivano il panorama del Regno: pensiamo solamen-
te al toscano Laborante, magister formatosi probabilmente a Parigi, alla
scuola di Gilberto di Poitiers, che prima di passare alla carriera curiale
come cardinale fu per un certo tempo canonico a Capua, dove tra l’al-
tro conobbe personalmente Ugo, arcivescovo di Palermo dal 1147 al
1163: egli era certamente in stretto contatto con la corte normanna di
Palermo, dal momento che dedicò i suoi scritti allo stesso Ugo e
all’amiratus Maione di Bari, potente personaggio politico durante il
regno di Guglielmo I51.

4.2. Gli intellettuali transalpini

Accanto a questi intellettuali di origine meridionale o attivi nel Sud


vi era tuttavia un’altra categoria di personaggi colti, che nel corso del
XII secolo si radicò con forza nel Regno: è il gruppo degli “stranieri”,
dei “transalpini”, caratterizzata da precisi, e mai recisi, legami con
l’Inghilterra e il Nord della Francia52. Si può probabilmente suddivide-
re l’arrivo nel Regno di Sicilia di questi transalpini colti, persone che
senza dubbio maneggiavano con disinvoltura libri e calami, in due
diversi momenti.
Il primo di questi cade intorno al quarto-quinto decennio del XII
secolo, nel periodo intorno alla creazione del Regno sotto Ruggero II.
Conosciamo i nomi di diversi inglesi che si trasferirono a Sud, a co-
minciare da Roberto di Selby, che ricoprì la carica di cancelliere sotto
Ruggero II. Roberto aveva seguito studi letterari (viene definito clericus
litteratus); secondo john of Hexham, un suo connazionale, era «poten-
tissimus inter amicos regis, pecuniosus et dotatus honoribus magnis», e

50 Cfr. in merito Rufinus von Sorrent, De bono pacis, ed. R. Deutinger (M.G.H.,
Studien und Texte, 17), Hannover 1997. L’introduzione raccoglie le scarse notizie bio-
grafiche su Rufino e la sua produzione.
51 Cfr. L. Loschiavo, Laborante, in Dizionario Biografico degli Italiani, 62, Roma 2004,
pp. 798-800.
52 Per le figure di intellettuali, cfr. anche j.M. Martin, L’immigrazione normanna,
inglese e francese nel regno normanno di Sicilia, in Studi in onore di Salvatore Tramontana, cur. E.
Cuozzo, Pratola Serra (AV) 2003, pp. 281-289: 286-289.

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Ruggero II gli affidò il governo delle regioni continentali del Regno53.


Forse proprio insieme a lui giunse in Sicilia anche Thomas Le Brun o
Brown (magister Thomas capellanus regis), che, all’ascesa di Guglielmo I al
trono, fece ritorno presso la corte di Enrico II, dove fece carriera pres-
so lo Scaccarium inglese54. A rapporti personali con Roberto di Selby e
alla sua ospitalità fu forse dovuta la permanenza, nel Regno, di Giovanni
di Salisbury e dell’arcivescovo di York, Guglielmo55. Accanto agli emi-
granti per scelta troviamo poi casi di ecclesiastici costretti all’esilio: vi
furono ad esempio Goffredo, vescovo di Dole, che fu cacciato dalla sua
sede ma, accolto nel Regno, divenne arcivescovo di Capua56, e Filippo,

53 Secondo quanto scrive Romualdo nel suo Chronicon, in merito ai cancellieri al


servizio di Ruggero, «[Rogerius] Guarinum et Robbertum clericos litteratos et provi-
dos per successionem temporum cancellarios ordinavit» (Romualdus Salernitanus,
Chronicon, ed. C.A. Garufi, in R.I.S.2, 7/1, Città di Castello - Bologna 1909-1935, pp.
233-234). Per ulteriori notizie sul personaggio, cfr. C. Brühl, Urkunden und Kanzlei König
Rogers II. von Sizilien, mit einem Beitrag: Die arabischen Dokumente Rogers II. von A. Noth,
Köln – Wien 1978, pp. 45-46; per la citazione, cfr. Iohannes prior Hagustaldensis,
Historia Hagustaldensis ecclesiae xxv. annorum [1130-54], ed. T. Arnold, in Symeonis Monachi
Opera, II, London 1885, pp. 284-332: 318.
54 Così ricorda Richard fitzNigel (of Ely), vescovo di Londra, nel suo Dialogus de
scaccario, riguardo a Thomas: «Magnus hic erat in magni regis Siculi curia, consiliis pro-
vidus, et in regis secretis pene precipuus. Surrexit interea rex novus, qui ignorabat
illum, qui prava habens latera patrem persequabatur in suis. Compulsus est igitur vir
iste, mutatis rebus prosperis, vite sue consumere, et licet pateret ei cum summo hono-
re accessus ad regna plurima, tamen frequenter vocatus ab illustri rege Anglorum
Henrico […] preelegit ad natale solum et successorium ac singularem dominum suum
accedere. Susceptus igitur ab ipso sicut utrumque decuit, quia apud Siculum magnis
intenderat, hic etiam ad magna deputatur negotia scaccarii. Sic igitur et locum et di-
gnitatis officium adeptus est; ad quelibet etiam scaccarii magna negotia cum magnis
assumitur» (Richard fitzNigel, bishop of London, Dialogus de Scaccario, and Constitutio
Domus Regis: the Dialogue of the Exchequer, and the disposition of the King’s household, edd. E.
Amt – S.D. Church, Oxford 2007, p. 87).
55 G.A. Loud, Il regno normanno-svevo visto dal regno di Inghilterra, in Il Mezzogiorno nor-
manno-svevo visto dall’Europa e dal mondo mediterraneo, cur. G. Musca, Bari 1999, pp. 175-
196: 183-184.
56 Cfr. Sigiberti Gemblacensis Continuatio, ed. L. Bethmann, in M.G.H., SS., 6,
Hannoverae 1844, p. 388, nota e: «Turonensis archiepiscopus per sentenciam domini
pape adversus Dolensem episcopum optinuit subiectionem ecclesie Dolensis, et evicit
ab ea usum palii (sic) quod diutissime habuerat. Unde verecundatus idem Dolensis
[episcopus] redire non ausus est; sed se contulit ad Rogerium Sicilie regem, qui ei dedit
Capuanum archiepiscopatum», citato in N. Kamp, Soziale Herkunft und geistlicher
Bildungsweg der unteritalienischen Bischöfe in normannisch-staufischen Zeit, in Le istituzioni della
“Societas christiana” dei secoli XI e XII. Diocesi, pievi e parrocchie. Atti della sesta Settimana
di studio (Milano, 1-7 settembre 1974), Milano 1977, pp. 89-116: 104.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 111

arcivescovo di Tours, che nel suo esilio giunse fino in Puglia e Anacleto
II lo insediò sulla cattedra di Taranto57.
Anche il misterioso Roboratus fortune, cui Enrico Aristippo scrisse
per convincerlo a rimanere nell’isola, mettendo da parte il programma
di ritornarsene in patria, era un personaggio di origine inglese, da iden-
tificare forse con Roberto di Cricklade. Era senza dubbio un uomo dal
rilevante profilo intellettuale, se Enrico, nella speranza di farlo
ritornare sulla sua decisione, gli descrisse la ricchezza delle biblioteche
presenti in Sicilia, in particolare a Siracusa58.
Ma probabilmente il rappresentante di spicco di questa prima fase
è Riccardo detto “Palmer”, dapprima vescovo di Siracusa (eletto nel
1157, consacrato solo nel 1169, sulla cattedra fino al 1182) poi arcive-
scovo di Messina (1183-1195), per alcuni anni familiaris dei regnanti
normanni59. Il suo è un altro dei nomi che sono stati avanzati nel ten-
tativo di svelare chi veramente si nasconda dietro lo pseudo Falcan-
do60. Anch’egli era di origine inglese, come risulta sia da una lettera di
Pietro di Blois61, sia dal suo epitaffio nella cattedrale di Messina62; pur

57 Ibid., p. 104; Martin, L’immigrazione normanna cit., pp. 286-287. Riguardo all’ac-
coglienza offerta da Ruggero II ad esuli e proscritti, cfr. Iohannes Saresberiensis,
Historia pontificalis, ed. M. Chibnall, Oxford (USA) 1986, cap. XXXII, p. 65: «Et si forte
[Rogerius] proscriptum aut exulem inveniebat episcopum, ei libenter subveniebat».
58 Cfr. supra, nota 40.
59 Kamp, Kirche und Monarchie cit., III, pp. 1013-1018: 1013, che sottolinea che il
cognome “Palmer” non compare se non a partire dal XVI secolo. Nel giugno del 1156
era al fianco di Guglielmo I, a Salerno; all’inizio dell’anno successivo, come vescovo
eletto di Siracusa rappresenta Guglielmo quando i consoli di Genova giurano «firmam
et fidelem amicitiam» verso il re normanno. In merito al personaggio, riflette sulla sua
posizione a corte e sui rapporti con i diversi personaggi che in corte si muovevano, in
particolare con Stefano di Perche, G.M. Cantarella, Nel Regno del Sole. Falcando fra Inglesi
e Normanni, in Scritti di storia medievale offerti a Maria Consiglia De Matteis, Spoleto 2011,
pp. 91-120.
60 Nel corso del suo contributo, G.M. Cantarella propone, o ripropone, l’ipotesi
che dietro il nome di Falcandus possa nascondersi proprio l’arcivescovo di Messina
Riccardo (cfr. ibid., p. 113-115).
61 Cfr. Petrus Blesensis, Epistola XLVI, in Petri Blesensis Epistolae, in Migne, PL
207, Paris 1904, coll. 133-137: 134: «Dulcedinem nativi aeris vestri Anglici, omnemque
escam terrae nostrae abominata est anima vestra, et appropinquavit usque ad portas
mortis».
62 Così recita l’epitaffio dell’arcivescovo Riccardo, con alta probabilità da lui stes-
so composto, con richiami a versi di Virgilio: «Anglia me genuit, instruxit Gallia, fovit
// Trinacris, huic tandem corpus et ossa dedi. // Anglicus angelicus generis, meriti
ratione, // Transit ad angelicos associatus eis. // Anno 1195, obiit mense augusti, die

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112 VALERIA DE FRAjA

emigrato in Sicilia, mantenne diversi legami con la sua terra di origine,


tanto che per un certo periodo fu in rapporti epistolari con Thomas
Becket ed ebbe contatti diretti anche con Enrico II d’Inghilterra63. Se
di nascita era inglese, sappiamo che la sua formazione avvenne invece
certamente in qualche scuola di Francia. Secondo il Liber de Regno
Siciliae era «vir licteratissimus et eloquens»64; la sua cultura trovò modo
di esprimersi anche nell’ambito delle belle arti, dal momento che arric-
chì di opere artistiche sia la cattedrale di Siracusa, sia quella di
Messina65. Sulla sua figura dovremo ritornare più avanti.
Un altro esponente di questa prima tornata di emigranti è
Guglielmo di Blois, fratello del più famoso Pietro66. Arrivò in Sicilia
probabilmente qualche anno prima della morte di Guglielmo I, avve-

7 ind. 13». L’epitaffio è riportato in H. Buchthal, A School of Miniature Painting in


Norman Sicily, in Late Classical and Medieval Studies in Honour of Albert Mathias Friend jr.,
Princeton 1955, pp. 312-339: 326 (anche in Buchthal, Art of the Mediterrean World. A.D.
100 to 1400, Washington 1983, pp. 88-97).
63 Nel 1168 Thomas Becket gli scrisse ringraziandolo per le sue lettere e racco-
mandandogli suo nipote Goffredo. Nell’anno seguente, Thomas ringraziò ancora
Riccardo per il favore accordato ai suoi parenti in esilio e gli raccomandò Stefano di
Perche. Tuttavia, in una lettera diretta al vescovo di Ostia, Thomas accusò Riccardo di
aver appoggiato «i nostri persecutori con denaro e consigli», con la speranza di otte-
nere la cattedra episcopale di Lincoln (Materials for History of Thomas Becket, Archbishop
of Canterbury, ed. j. Craigie Robertson, 7 voll., London 1875-1885 (Rolls Series, 67):
VI, p. 396; VII, pp. 26, 143). Secondo Ruggero di Hoveden [Chronica, ed. F.
Liebermann, in M.G.H., SS., 27, Hannoverae 1885, p. 95], Riccardo fu tra coloro che
caldeggiarono il matrimonio tra Guglielmo II e Giovanna, figlia di Enrico II di
Inghilterra e furono garanti della dote concordata per le nozze. Quando poi Giovanna,
nel novembre del 1176, affrontò il viaggio per recarsi in Sicilia, il vescovo Riccardo fu
inviato, insieme a Roberto di Lauro e ad Alfano, arcivescovo di Capua, a Saint-Gilles
in Provenza, per accoglierla. Riguardo a un presunto vincolo di amicizia tra Riccardo
e Thomas Becket, cfr. G.M. Cantarella, Amicizie vere e presunte. Qualche eco dal pieno medio-
evo, in Parole e realtà dell’amicizia medievale. Atti del Convegno di studio svoltosi in occa-
sione della XXII edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno (Ascoli Piceno,
Palazzo dei Capitani, 2-4 dicembre 2010), cur. I. Lori Sanfilippo - A. Rigon, Roma
2012, pp. 73-90: 86-89.
64 Cfr. La “Historia” o “Liber de Regno Sicilie” cit., p. 63.
65 Buchthal, A school of Miniature cit., pp. 325-326.
66 L.T. White, For the Biography of William of Blois, «English Historical Review», 50
(1935), p. 487-490; L. Gatto, Pietro di Blois, arcidiacono di Bath, in Sicilia: ovvero storia di un
contrastato e contristato soggiorno, «Siculorum Gymnasium», 31 (1978), p. 46-85; R.W.
Southern, The Two Peter of Blois in the School and in the Government, in Southern, Scholastic
Humanism and the Unification of Europe, II. The Heroic Age, Oxford 2001, pp. 178-218.
Da ultimo, cfr. E. D’Angelo, Guglielmo di Blois: una messa a punto bio-bibliografica, «Annali.
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa» (2007-2008), pp. 95-106; D’Angelo,
Intellettuali tra Normandia e Sicilia (per un identikit letterario del cosiddetto Ugo Falcando), in

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 113

nuta nel 1166; non si conosce quando esattamente lasciò il Regno,


anche se è ipotizzabile che partisse nei primi anni ’70. Candidato per
la cattedra episcopale di Catania, non riuscì ad ottenerla, perché scon-
fitto dal partito di Matteo Aiello, esponente della nobiltà locale, che
riuscì a promuovere la nomina del proprio fratello Giovanni; a titolo
“di consolazione” fu allora nominato abate di Santa Maria della Mati-
na, in Calabria, l’abbazia che, secondo la Vita dell’Anonimo monaco
florense, nel 1190 re Tancredi offrì a Gioacchino. Alessandro III
aggiunse alla carica abbaziale anche la dignità vescovile, concedendo a
Guglielmo le insegne episcopali67. Di recente è stato proposto come
autore del Liber de regno Siciliae e dell’Epistola ad Petrum Panormitanae eccle-
siae thesaurarium, tradizionalmente ascritti a Ugo Falcando68. Al di là di
questa ipotetica – e importantissima – attribuzione, è certamente auto-
re fecondo e raffinato, come ci testimonia il fratello: accanto a comme-
die e tragedie profane di modello classico, scrisse infatti opere teologi-
che e sermoni, a quanto sembra andati completamente perduti69. E in
proposito, ci si potrebbe domandare se nel momento in cui divenne
abate-vescovo portò con sé in Calabria le proprie opere e la propria
biblioteca.
La seconda fase è quella che si aprì nel 1166, alla morte di
Guglielmo I: la vedova del re, Margherita di Navarra – navarrese di
padre, ma la madre era della Francia del Nord70 – chiamò presso di sé
in Sicilia il cugino Stefano di Perche, per averne sostegno nel periodo
di reggenza. Insieme a quest’ultimo, dal Nord della Francia giunsero

Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, cur. A.L. Trombetti


Budriesi, Bologna 2009, pp. 325-349.
67 D’Angelo, Guglielmo di Blois cit., p. 99, che sottolinea come non si trattasse del-
l’abbazia di Santa Maria di Maniace (prov. Messina) - ipotesi basata su di una nota del-
l’edizione Migne delle lettere di Pietro di Blois - come già aveva dimostrato White, For
the Biography cit.; per l’offerta di insediamento a Santa Maria della Matina, avanzata da
re Tancredi a Gioacchino, cfr. Vita Joachimi abbatis cit., p. 188.
68 Cfr. D’Angelo, Intellettuali tra Normandia e Sicilia cit.
69 Petrus Blesensis, Ep. XCIII, in Petri Blesensis Epistolae cit., col. 293: «Nomen
vestrum diuturniore memoria commendabile reddent tragoedia vestra de Flaura et
Marco, versus de pulice et musca, comoedia vestra de Alda, sermones vestri, et caetera
theologicae facultatis opera, quae utinam diffusius essent ac celebrius publicata! Plus
honoris accrevit vobis ex vestris operibus, quam ex quatuor abbatiis».
70 Si tratta di Margherita de l’Aigle, figlia del conte Gilberto di Perche, nobile
famiglia radicata in una contea posta al confine tra Normandia, Maine e Francia. In
merito, K. Thompson, Power and Lordship in Medieval France. The County of the Perche,
1000-1226, Woodbridge (UK) - NY (USA) 2002.
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114 VALERIA DE FRAjA

nel Regno, secondo il racconto di Pietro di Blois, trentasette personag-


gi, laici ed ecclesiastici, legati come Pietro al vescovo di Rouen, Rotrou
di Warwick, uno zio materno di Margherita; essi sostennero la vedova
nel suo governo, rafforzando il potere di Stefano di Perche, divenuto
cancelliere del Regno e giovanissimo arcivescovo di Palermo, contro il
partito dei grandi feudatari di Sicilia e di Puglia71. I nomi di questi emi-
granti – che potremmo forse definire «cervelli in fuga»72 – non ci sono
noti in dettaglio, se non per il caso, ben famoso, di Pietro di Blois, magi-
ster formatosi a Parigi, terza carica del Regno dopo la reggente
Margherita e Stefano di Perche, istitutore per circa un anno dei figli di
Guglielmo I, sigillarius del Regno e scrittore molto fecondo73. È pro-
prio Pietro a fare il nome di un collega giunto in Sicilia con lui, Rug -
gero di Rouen, o Ruggero Normanno, anch’egli magister: di costui non
si sa quasi nulla, se non che dopo l’avventura – o meglio, la disavven-
tura – siciliana tornerà a Parigi ad insegnare74; qui si scontrerà con
Pietro Cantore in discussioni relative alla santità di Thomas Becket,
come ci racconta Cesario di Heisterbach75. A questi possiamo aggiun-
gere ancora Ugo Foucaut, abate di Saint-Denis, presente in Sicilia
almeno negli anni 1167-116876, Ruggero, arcivescovo di Reggio Cala-
bria nell’arco temporale su cui si concentra il Liber Siciliae77, e ancora
Tommaso, successore di Ruggero sulla cattedra di Reggio Calabria a
partire dal 1179. Secondo Norbert Kamp, Tommaso aveva studiato ad

71 Sulla sua figura, cfr. P. Sardina, Margherita di Navarra, regina di Sicilia, in


Dizionario Biografico degli Italiani, 70, Roma 2007, pp. 146-148.
72 Southern, The Two Peter of Blois cit., pp. 200-202, indaga sulle motivazioni di
ordine socio-economico che costrinsero diversi intellettuali formatisi in Francia, tra
cui proprio Pietro di Blois, a girare costantemente da una corte all’altra per trovare
un’occupazione redditizia e fondare in tal modo la propria carriera ecclesiastica.
73 Ibid., pp. 183-184. Sulla sua figura, si veda anche E. Türk, Pierre de Blois.
Ambitions et remords sous les Plantagenêts, Tournhout 2006.
74 Petrus Blesensis, Epistola XLVI cit., col. 134: «Triginta et septem animae cum
domino Stephano Siciliam sunt ingressae, omnesque in morte conclusi sunt, praeter
me et magistrum Rogerium Northmannum, virum litteratum, industrium et mode-
stum. Nos solos eduxit Dominus per misericordiam suam de medio umbrae mortis in
fortitudine manus suae».
75 Caesarii Heisterbacensis monachi Dialogus miraculorum, ed. j. Strange, Coloniae
- Bonnae - Bruxellis 1851 (rist.: Ridgewood - New jersey 1966), dist. 8, c. 69.
76 Petrus Blesensis, Epistola CXVI, in Petri Blesensis Epistolae cit., coll. 345-346;
la testimonianza di Pietro assicura della presenza di un abate di Saint-Denis in Sicilia
almeno per gli anni 1167-1168. Potrebbe tuttavia trattarsi non tanto di Ugo Foucaut
ma di Ugo di Milano (cfr. D’Angelo, Intellettuali tra Normandia e Sicilia cit., p. 326).
77 La “Historia” o “Liber de Regno Sicilie” cit., ad indicem.

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Orleans, poiché tenne l’orazione funebre per il re Guglielmo II in uno


stile che rispecchia il dictamen della scuola di retorica attiva appunto ad
Orleans78. Infine, abbiamo notizia di un altro chierico inglese che rico-
prì la carica arcivescovile: si tratta di Erberto di Middlesex, divenuto
dal 1169 arcivescovo di Conza (piccola metropolia del Regno) con
l’approvazione di Guglielmo II e morto in fama di santità79.
Nel Regno, dunque, nella seconda metà del XII secolo, furono
presenti numerosi ecclesiastici di origine transalpina, almeno alcuni dei
quali formatisi dottrinalmente nelle scuole francesi, che certamente, in
modo aperto o per vie carsiche, importarono nel Regno di Sicilia la
loro cultura scolastica. La domanda che si pone spontanea, a questo
punto, è: importarono anche i loro libri? Che cosa si sa di codici e
biblioteche del Regno nella seconda metà del XII secolo? Verrebbe da
rispondere, laconicamente: nulla; tutto è andato distrutto o disperso
nel corso del tempo, a causa delle tormentate vicende politiche subite
da quelle terre a partire dal chiudersi del periodo normanno80.
In realtà, non è del tutto così. E dobbiamo, a questo punto, rac-
contare un’altra storia e, con un notevole salto temporale, trasferirci
alla fine del XVII secolo.

5. Nel Regno normanno: la biblioteca della cattedrale di Messina

Tra il 1674 e il 1678, Messina fu protagonista di una violenta rivol-


ta antispagnola, che coinvolse anche le zone limitrofe; legatasi per
quattro anni alla monarchia francese, la città dello Stretto alla fine fu
piegata e capitolò, e a quel punto la punizione spagnola fu durissima81.

78 Kamp, Kirche und Monarchie cit., II, pp. 917-919.


79 Kamp, Soziale Herkunft cit., p. 104; Martin, L’immigrazione normanna cit., pp. 287.
Il cronista Ralph di Diceto ci informa che «Herebertus Anglicus natione, natus in
Middelsexia, transitum faciens in Siciliam, assensu regis Willelmi creatus est in Calabria
Consentanus archiepiscopus», facendo confusione tra Cosenza e Conza. Cfr. Radulfi
de Diceto decani Lundoniensis Ymagines Historiarum, in Opera historica. The historical
works of master Ralph de Diceto, dean of London, 2 voll., London 1876, I, p. 37 (Rerum
Britannicarum Medii Aevi Scriptores, 68).
80 Cfr. ad esempio L.T. White jr., Latin Monasticism in Norman Sicily, Cambridge
1938 (Medieval Academy of America Pubblication, 31, Monograph, 13), p. 70: «Not
a single manuscript has survived which can be ascribed to a Latin monastery of the
Norman period».
81 La rivolta di Messina (1674-78) e il mondo mediterraneo nella seconda metà del Seicento.
Atti del Convegno storico internazionale di Messina (10-12 ottobre 1975), cur. S. Di

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Messina fu dichiarata “morta civilmente”; tra i privilegi revocati e i


beni sequestrati, perse molte delle sue libertà e delle sue ricchezze otte-
nute e accumulate nei secoli precedenti. In particolare, e importante
dal nostro punto di vista, il vicerè di Sicilia – Francisco de Benavides
– sequestrò tutti i beni della cattedrale, tra cui un numero rilevante di
libri, che nel 1679 fece trasferire a Palermo, insieme a tutto l’archivio
della città82. Qualche anno più tardi, nel 1687, divenne vicerè di Sicilia
juan Francisco Pacheco Téllez Girón, dal 1671 IV duca di Uceda in
seguito al suo matrimonio con la contessa di Uceda; questi, con gran-
de disinvoltura, incorporò nella propria biblioteca personale tutti i libri
provenienti da Messina e, al momento del suo ritorno in Spagna li
portò con sé. Gli spostamenti dei volumi della cattedrale messinese
non finirono ancora, in quanto vi fu un nuovo trasferimento a seguito
di un nuovo sequestro. Il duca di Uceda fu infatti accusato di tradimen-
to, avendo sostenuto la causa dell’arciduca Carlo d’Austria contro la
Spagna; Filippo V ne fece sequestrare tutti i beni, e dunque anche la
ricca biblioteca, detta Bibliotheca Pachechiana: tutti i libri del duca, com-
preso dunque il fondo proveniente da Messina, entrarono così a far
parte della Real Biblioteca, in seguito Biblioteca Nacional, dove si tro-
vano a tutt’oggi83.
Il fondo messinese della biblioteca di Madrid è piuttosto noto, ma
si tratta in realtà di una conoscenza solo settoriale: ad essere al centro
dell’attenzione degli studiosi è stato infatti soprattutto il fondo greco.
Esso comprende del resto importantissimi manoscritti, alcuni prove-
nienti dal monastero messinese greco di San Salvatore in lingua Phari e
altri, la maggior parte (più di 80 su di un totale di 99), appartenuti o
copiati personalmente dall’umanista Costantino Lascaris nel XV seco-
lo. Si tratta di codici che tramandano importanti opere dell’antichità
greca, non solo classica, o gli stessi scritti dell’umanista, che li donò

Bella, Cosenza 1979; L. Ribot, La rivolta antispagnola di Messina. Cause e antecedenti (1591-
1674), Soveria Mannelli (CZ) 2011 [trad. it. di La revuelta antiespañola de Mesina. Causas
y antecedentes (1591-1674), Valladolid 1982].
82 Testimonio del despojo de los Privilegios de Mesina que se hizo por Don Rodrigo de
Quintana, siendo consultor de Sicilia en IX de enero M.DC.LXXIX., Messanae 1679, ripor-
tato in V. La Mantia, I Privilegi di Messina (1129-1816). Note storiche con documenti inediti ...
I Privilegi dei Re Normanni, Palermo 1897, p. V.
83 Buchthal, A school of Miniature cit., p. 314; M. Martín Velasco, La Biblioteca del
IV duque de Uceda. Una colección europea entre barroco y la ilustración, «Teka. Komisji
Historycznej OL PAN», 6 (2009), pp. 219-232 (testo in linea: http://www.pan-
ol.lublin.pl/wydawnictwa/THist6/Velasco.pdf ).

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infine alla cattedrale messinese, città in cui visse per lungo tempo84.
Ora, l’importanza indubbiamente rilevante del fondo greco della catte-
drale di Messina approdato a Madrid ha relegato nell’ombra il blocco, a
sua volta piuttosto consistente, dei manoscritti messinesi in lingua latina.
Solo negli anni ’50 del secolo scorso una piccola parte del fondo latino
è stata finalmente messa in luce e studiata, ma solamente per il suo aspet-
to decorativo, dal momento che alcuni di questi codici conservano un
repertorio di miniature di livello artistico molto alto. A tale riguardo,
Hugo Buchthal, e in seguito, sulla sua scia, anche Angela Daneu-
Lattanzi, hanno ipotizzato che parte dei codici latini giunti avventurosa-
mente a Madrid fossero stati allestiti e miniati localmente, in Sicilia, nella
seconda metà del XII secolo, presso uno scriptorium facente capo, proba-
bilmente, proprio alla cattedrale di Messina e istituito dal suo arcivesco-
vo di origine inglese, Riccardo Palmer, che molti elementi individuano
come appassionato delle arti figurative e sensibile alla cultura in senso
lato85. A partire dalle segnalazioni di Buchthal, si sono in seguito aggiun-
ti studi specifici su singoli codici, oggi conservati a Madrid, quali possi-
bili esempi, oltre che della miniatura, anche della scrittura latina in uso
nella seconda metà del XII secolo nel Regno normanno meridionale86.

84 M. Ceresa, Costantino Lascaris, in Dizionario Biografico degli Italiani, 63, Roma 2004,
pp. 781-785; sui suoi manoscritti a Madrid, j.M. Fernández Pomar, La colección de Uceda
y los manuscritos griegos de Costantino Lascaris, «Emerita», 34 (1966), pp. 211-288.
85 Buchthal, A school of Miniature cit., pp. 325-327; A. Daneu Lattanzi, Due sconosciu-
ti manoscritti di epoca normanna, in Atti del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani (Palermo
21-25 aprile 1954), I, Palermo 1955, pp. 303-316; Daneu Lattanzi, Lineamenti di storia
della miniatura in Sicilia, Firenze 1966, pp. 27 ss.; C. Di Natale, L’Arcivescovo Riccardo Palmer
e la miniatura a Messina nella tarda età normanna, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona.
Arti figurative e arti suntuarie. Catalogo della mostra, cur. M. Andaloro, Palermo 1995, pp.
357-358. La discussione riguardo alla datazione e alla collocazione topografica del cen-
tro scrittorio di produzione di questi manoscritti è stata vivace: è infatti stato proposto
di spostare la datazione fino al terzo decennio del XIII sec., suggerendone l’allestimen-
to in scriptoria diversi, tra cui Palermo e/o Monreale (in merito, V. Pace, Untersuchungen
zur sizilianischen Buchmalerei, in Die Zeit der Staufer. Geschichte, Kunst, Kultur. Catalogo della
mostra, V, Stuttgart 1979, pp. 431-476 e Pace, Miniatura di testi sacri nell’Italia meridionale
al tempo di Federico II, in Federico II. Immagine e potere, cur. M.S. Calò Mariani - R. Cassano,
Venezia 1995, pp. 435-440: 437-439); più recentemente si è preferito tuttavia riproporre
le coordinate geografiche e cronologiche già suggerite da Buchthal e Daneu Lattanzi
(M.R. Menna, I codici della Biblioteca Nazionale di Madrid, in Federico e la Sicilia cit., pp. 363-
374, con la bibliografia relativa alla discussione). Da ultimo, V. Pace - G. Pollio,
Miniatura, in Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, pp. 331-336: 334.
86 D. Ciccarelli, Aspetti e momenti della scrittura latina in Sicilia, in Colectànea paleogràfi-
ca de la Corona de Aragòn, 2 voll., cur. j. Mateu Ibars - M.D. Mateu Ibars, I, Barcelona
1990, pp. 160-174.
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118 VALERIA DE FRAjA

Ai codici latini madrileni studiati da Buchthal, con miniature e ini-


ziali decorate, attribuite a un atelier siciliano – codici liturgici, tra cui un
messale (Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 52, sicuramente di origine
siciliana) e due omiliari (mss. 9 e 10), una Bibbia in diciassette volumi
accompagnata dalla Glossa, marginale e interlineare (mss. 31-47), il
secondo volume di una Bibbia Atlantica (ms. 6), un codice (ms. 14)
contenente Cassiodoro (Historia tripartita) e Bernardo di Clairvaux
(Sermoni), cui si somma il ms. 11, che Buchthal segnala solo in una
nota, contenente Ambrogio (De Elia et ieiunio) e Origene (commento
alla Lettera ai Romani, nella traduzione latina di Rufino)87 –, vanno
aggiunti tuttavia molti altri manoscritti del XII secolo, se non anterio-
ri, forse poco rilevanti dal punto di vista decorativo, e allestiti in centri
sconosciuti (e dunque privi di uno specifico interesse in campo artisti-
co o paleografico), ma eloquenti invece per farci comprendere il gene-
re di letteratura in circolazione nel Regno nella seconda metà del XII
secolo.

6. Il fondo latino messinese di Madrid

Punto di partenza per una prima ricognizione sugli autori latini


presenti nella biblioteca capitolare di Messina è il catalogo del fondo
manoscritto della Biblioteca Nacional: il primo volume, in particolare,
riporta la maggior parte dei manoscritti provenienti dalla biblioteca del
duca di Uceda88. Bisogna riconoscere che la descrizione dei codici è
qui alquanto schematica, non sempre testi ed autori sono identificati
correttamente, non sempre si rinvia alle edizioni delle singole opere
(alcune di esse in effetti, al momento della pubblicazione del catalogo,
erano ancora inedite) e rimane talvolta il dubbio riguardo alla datazio-
ne precisa dei codici. Tuttavia, il ricorso al catalogo permette già di
compiere una prima breve panoramica, al momento limitata a quei
manoscritti che riportano esplicita nota di appartenenza alla cattedrale
di Messina o indizi di altro genere che ne confermano la provenienza.

87Buchthal, A school of Miniature cit., pp. 315-325; per la nota in cui è citato il ms.
11, p. 322 nota 55.
88 Inventario general de manuscritos de la Biblioteca Nacional, I (1 a 500), Madrid 1953.
È mia intenzione in futuro, se mai ne avrò la possibilità, di lavorare a una più precisa
identificazione e catalogazione, nonché a uno studio maggiormente dettagliato, dei
volumi della Biblioteca Nacional di Madrid provenienti dalla cattedrale di Messina.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 119

Secondo il catalogo, tra i codici del Duca di Uceda, in genere facilmen-


te riconoscibili per la loro particolare coperta e rilegatura, arriviamo a
contare circa settanta manoscritti collegabili direttamente o indiretta-
mente alla città dello Stretto89. Più difficile risulta porre un limite cro-
nologico al nostro esame, e comprendere in esso solo i manoscritti
copiati entro il XII secolo: la questione della datazione è infatti piutto-
sto delicata, perché andrebbe comunque verificata direttamente sui
codici stessi o almeno sulle riproduzioni.
Ad ogni modo, già a una prima ricognizione è possibile constatare
che, accanto ai ricchi volumi della Bibbia glossata e ai codici liturgici, si
possono accreditare alla biblioteca di Messina diversi manoscritti patri-
stici: prevale Agostino, con numerose opere, seguito da Girolamo, Cas-
siodoro e Gregorio Magno90. Tra gli autori latini medievali, abbiamo
Isidoro di Siviglia, il Venerabile Beda, Rabano Mauro, Remigio/Aimone
di Auxerre91. Per il periodo successivo, i codici di Messina attestano un
numero considerevole di opere di Anselmo di Aosta/Canterbury, e, tra
gli autori del XII secolo, troviamo opere di Gilberto di Poitiers, Ugo di
San Vittore, Pietro Lombardo, Bernardo di Clairvaux, Pietro Riga,
Pietro Comestore92, Graziano93. Meno famoso, ma probabilmente spia

89 Il catalogo antico della biblioteca del Duca di Uceda è stato edito nel 1975: G.
De Andrés, Catálogo de los manuscritos de la Biblioteca del Duque de Uceda, «Revista de
archivos, bibliotecas y museos», 78/1 (1975), pp. 5-40. Lo studia in modo approfon-
dito E. Ruiz y García-Monge, Las bibliotecas del IV Duque de Uceda, «Torre de los
Lujanes», 43 (2002), pp. 219–235.
90 Per Agostino, cfr. i mss. 97 (Super Genesim), 223 (Enchiridion, De doctrina christiana
et alii, di seguito a opere di Anselmo), 224 (De Trinitate), 225 (De libero arbitrio, De vera
religione, De vita christiana, De fide ad Petrum (ps.), De spiritu et litteram, et alii), 372
(Retractationes; Ad Simplicianum), 484 (Epistolae); per Girolamo, cfr. mss. 15 (Breviarium
in Psalmos) e 484 (Epistolae VII); per Cassiodoro, cfr. ms. 14 (Historia tripartita); per
Gregorio Magno, cfr. ms. 215 (Opera id est epistolae). I rimandi ai manoscritti, in questa
e nelle note seguenti, sono naturalmente da intendersi sempre come riferiti a Madrid,
Biblioteca Nacional.
91 Per Isidoro, cfr. ms. 490 (Etymologiae); per Beda, cfr. mss. 522 (Expositio in
Lucam) e 550 (Expositio in Marcum); per Rabano Mauro, cfr. mss. 233 e 435 (In libros I-
IV Regum); per Remigio/Aimone cfr. ms. 198 (Expositio super Matheum).
92 Un ulteriore manoscritto che tramanda l’Historia Scholastica di Pietro Comestore
(Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, F. Monreale 9, proveniente dalla
Cattedrale di Santa Maria La Nova, Monreale), «scritta e miniata da francesi dell’inizio
del XIII secolo», potrebbe essere giunto dalla Francia, ma anche prodotto in loco, a
Monreale o a Palermo; in merito, cfr. M.C. Di Natale, L’Historia Scholastica di Petrus
Comestor, in Federico e la Sicilia cit., pp. 425-426.
93 Per Anselmo, cfr. i mss. 97 (De fermento et azymo, Liber de concordia prescientie et pre-
destinationis) e 223 (De veritate, De libero arbitrio, De casu diaboli, Cur Deus homo, Monologium,

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120 VALERIA DE FRAjA

significativa per l’identità del possessore di questi libri, è un autore ingle-


se della prima metà del XII secolo: Lorenzo Dunelmensis, o di Durham,
monaco benedettino autore dell’Hypognosticon, poema biblico in versi, al
pari dell’Aurora di Pietro Riga94.
Si tratta, lo dicevamo, di libri privi di una decorazione significativa,
e dunque non presi in considerazione dagli studi sulla miniatura meri-
dionale, e che non sembra siano da annoverare tra quelli prodotti in
uno specifico scriptorium siciliano: sono dunque libri, probabilmente,
importati nel Regno. È da tenere presente poi che tutti i codici per i
quali Buchthal ha ipotizzato l’allestimento a Messina presuppongono
che fosse presente, a Messina o almeno nell’isola, il manoscritto anti-
grafo corrispondente, e dunque una copia delle diverse opere trascrit-
te nel nuovo scriptorium, come nel caso, cui accenneremo, della Bibbia
accompagnata dalla Glossa ordinaria.
Di fronte a questi dati, è possibile a questo punto abbozzare un
quadro complessivo, per quanto necessariamente frammentario: con-
siderata la presenza a Messina di numerose opere di teologi ed esegeti
transalpini operanti nel XII secolo, pare possibile che esse siano giun-
te in Sicilia come parte delle biblioteche personali di quegli intellettua-
li d’Oltralpe trasferitisi nel Regno a partire dalla metà del secolo, dopo
aver lasciato la Francia o l’Inghilterra95. La presenza proprio a Messina,
in qualità di arcivescovo, di un rappresentante di spicco di questi emi-
granti, l’inglese Riccardo Palmer, rende maggiormente plausibile tale

Proslogium, et alii); per Gilberto di Poitiers, cfr. mss. 491 e 546 (Super epistolas beati Pauli);
per Ugo di San Vittore, cfr. i mss. 481 (Series romanorum pontificum cum Chronica; Liber
sacramentorum l. I-XII) e 482 (Liber sacramentorum l. XIII-XXIX): ho potuto prendere
visione in modo diretto di questi due codici, che Buchthal ipotizza siano stati con-
fezionati a Messina (cfr. Buchthal, A school of Miniature cit., p. 324, nota 61), in quan-
to entrambi sono digitalizzati e presenti nel sito della Biblioteca Nacional; per Pietro
Lombardo cfr. mss. 204 e 383 (Libri IV Sententiarum) e 210 e 511 (Commento ai Salmi);
per Bernardo, cfr. ms. 14 (Expositio [Sermones in Cantica]; Sermo 74); per Pietro Riga, cfr.
ms. 236 (Aurora: Luca); per Pietro Comestore, cfr. ms. 90 (Historia Scholastica); per
Graziano, cfr. ms. 87 (Decretum).
94 Cfr. ms. 137 (Ipognosticon de Veteri et Novo Testamento libri I-IX).
95 In diversi casi si tratta, oltretutto, di autori e testi ben presto “passati di moda”,
soppiantati dalla scolastica del XIII secolo e dagli autori delle scuole dei frati Minori e
dei Predicatori (notevole ad esempio la presenza, a Messina, delle opere di Tommaso
d’Aquino). Questo potrebbe contribuire a confermare che i manoscritti in questione
erano presenti in Sicilia fin dalla seconda metà del XII secolo e non entrati nella biblio-
teca messinese in un periodo successivo.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 121

ipotesi: questi, dalla sua terra d’origine e dalle aree geografiche della
sua formazione dottrinale, avrebbe portato con sé in Sicilia anche un
certo numero di libri, verosimilmente i testi di studio su cui si era for-
mato e i volumi che gli erano più cari. Non sarebbe allora una casuali-
tà trovare a Messina le opere di Anselmo, arcivescovo a Canterbury, e
del benedettino inglese Lorenzo di Durham, così come, a seguito degli
studi in Francia, degli scritti di Gilberto di Poitiers, di Pietro Lom-
bardo, di Ugo di San Vittore, di Pietro Comestore. In Sicilia tuttavia,
tra Siracusa e Messina, Riccardo volle forse anche ampliare la propria
biblioteca personale e, se sono da confermare le ipotesi di Buchthal, si
preoccupò di creare e di rendere attivo un nuovo scriptorium, in grado
di moltiplicare il patrimonio librario di sua proprietà o già conservato
nella biblioteca. Se le cose stanno effettivamente così, fu probabilmen-
te lui a commissionare quel nuovo esemplare della Bibbia in diciasset-
te volumi, con glossa marginale e interlineare, che Buchthal attribuisce
proprio a uno scriptorium operante a Messina e agli ultimi decenni del
XII secolo: diversi volumi della Bibbia glossata (almeno dieci), conser-
vati a Madrid e provenienti da Messina, risultano in duplice copia96 e i
volumi doppi non sembrano prodotti in Sicilia (sarebbero dunque
importati nell’isola). Potrebbe trattarsi pertanto dei volumi – in parte
perduti – da cui lo scriptorium messinese ricopiò la grande Bibbia, con
la Glossa ordinaria, dei mss. 31-47 per la biblioteca della cattedrale.
Doppi sono pure il commento di Gilberto di Poitiers alle lettere di
Paolo e le Sentenze del Lombardo97. Viene da chiedersi a questo punto
se la commissione di queste copie di volumi già presenti a Messina non
sia da collegarsi agli specifici interessi teologici dell’arcivescovo e possa
essere spia di una volontà – non sappiamo certo se messa in atto o solo
vagheggiata – di istituire presso la sede episcopale messinese, accanto
a un nuovo scriptorium, anche una schola cattedrale, secondo le direttive

96 Si tratta dei mss. Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 123 (Epistole di Paolo), ms.
139 (Libri Paralipomeni), ms. 206 (Geremia e Daniele), mss. 216-217 (Libri dei Re), 218
(Libri Proverbi – Ecclesiasticum), 232 (Vangelo di Marco), 253 (Profeti minori ed Ezechiele),
298 (Apocalisse), 377 (Apocalisse e Cantico dei Cantici) tutti con glosse marginali e interli-
neari.
97 Le relazioni tra i testi esemplati da questi manoscritti, ovviamente, possono
essere chiarite solo da uno studio specifico sulla tradizione testuale riportata da ciascu-
no di essi, per capire se effettivamente i codici più antichi possano essere gli antigrafi
di quelli attribuiti allo scriptorium istituito a Messina.

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122 VALERIA DE FRAjA

espresse dal canone 5 del concilio Lateranense III, celebrato nel 1179
(Riccardo passò a reggere l’arcidiocesi di Messina nel 1183)98. Forse
non senza importanza è infine il fatto che proprio i volumi della Bibbia
glossata, dell’Historia Scholastica di Pietro Comestore e delle Sentenze del
Lombardo costituivano il patrimonio librario di base necessario a chi
volesse studiare teologia, in particolare nelle scuole francesi.

7. Gioacchino e i libri nel Regno normanno

La presenza di determinati autori e testi tra i manoscritti di Mes-


sina, appartenuti forse a Riccardo Palmer, naturalmente, non assicura
affatto che Gioacchino da Fiore possa aver avuto tra le mani, letto e
utilizzato tali autori e tali opere. Troviamo tuttavia una curiosa coinci-
denza: le poche fonti identificabili nei più antichi scritti e figure del-
l’abate, che abbiamo in precedenza ricordato (il De Trinitate di
Agostino, le Sentenze di Pietro Lombardo, e almeno il Chronicon di Ugo
di San Vittore), sono tutte presenti tra i codici conservati presso la cat-
tedrale di Messina. Il De Trinitate di Agostino è attestato da una copia
completa del X secolo; le Sentenze di Pietro Lombardo, lo abbiamo
visto, sono presenti in due manoscritti (uno tuttavia parrebbe più
tardo). Si tratta certo di opere piuttosto diffuse, per cui forse tale pre-
senza non deve in realtà stupire.
Più particolare è il caso del Chronicon di Ugo di San Vittore. Nel
ms. 481, risalente al XII secolo, il primo testo che troviamo è intitola-
to De sex etatibus (ff. 2r-5r) e risulta anonimo. L’indice del XVIII seco-
lo premesso al codice lo attribuisce per la prima parte a Isidoro di
Siviglia, completato tuttavia da un autore anonimo, che giunge nella
sua secca cronologia fino a «Antiochia et Ierusalem a Francis capte

98 Concilio Lateranenese III (1179), can. 18 (Conciliorum Oecumenicorum Decreta,


edd. G. Alberigo - G.A. Dossetti - P.P. joannou - C. Leonardi - P. Prodi - H. jedin,
Bologna 1973, p. 220): «Per unamquamque cathedralem ecclesiam magistro qui cleri-
cos eiusdem ecclesiae et scholares pauperes gratis doceat, competens aliquod benefi-
cium praebeatur quo docentis necessitas sublevetur, et discentibus via pateat ad doc-
trinam». Se le cose stessero effettivamente così, le azioni dell’arcivescovo Riccardo
sono accostabili alle scelte operative dell’arcivescovo di Cosenza Luca, che, alla sua
nomina sulla cattedra calabrese nel 1203, istituì appunto un nuovo scriptorium presso la
cattedrale cosentina.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 123

sunt, anno [mundi] 6200» (f. 5r)99. Di seguito (ma dopo un foglio
lasciato bianco, il 5v) troviamo un elenco intitolato «Series romanorum
pontificum cum chronica», che arriva fino al pontificato di Onorio II (papa
dal 1124 al 1130). Nel catalogo a stampa poi, entrambi i testi vanno
sotto il titolo di Chronica minora e sono attribuiti a Ugo di San Vittore.
E in effetti, all’elenco dei pontefici fanno seguito, dopo altri due fogli
bianchi (ff. 8v-9r), i libri I-XII del De sacramentis Christianae fidei proprio
di Ugo100. Ora, la lista dei pontefici coincide effettivamente (seppure
non alla perfezione) con quella che si trova nel Chronicon di Ugo di San
Vittore101.
Il Chronicon del Vittorino, per quanto abbia avuto una discreta cir-
colazione (complessivamente è tramandato infatti da trentaquattro te-
stimoni), non è certo tra le sue opere più note e diffuse, quindi il fatto

99 Così si afferma infatti nei primi fogli, cartacei, premessi al codice (f. IIIr):
«Index. Fol. 2. De sex Ætatibus: nimirum eadem Ætatum recensio quæ extat apud
Isidorum Etymolog. Lib. V cap. 37 de discretione temporum; sed continuata ab
Heraclii imperio, ubi desinit Isidorus, ad Antiochiam et Ierosolymam a Francis captas
Anno Mundi 6200, Æræ autem vulgaris 999, iuxta huius chronologiæ computum».
100 Cfr. il ms. 481 (Series romanorum pontificum cum Chronica; Liber sacramentorum, l. I-
XII); il De sacramentis di Ugo è completato nel ms. 482 (Liber sacramentorum, l. XIII-
XXIX); v. supra, nota 92. Nel catalogo del duca di Uceda (De Andrés, Catálogo de los
manuscritos cit., p. 25) il contenuto del ms. 481 è così descritto: «153. Sex etates, De
sacramentis et alia opuscula eiusdem Hugonis; in folio». La nuova edizione del De arti-
culis fidei [Ioachim abbas Florensis, De articulis fidei – Confessio fidei, ed. V. De Fraja,
Roma 2012 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 37)] mette in luce la
possibilità che Gioacchino conoscesse il De sacramentis Christianae fidei di Ugo di San
Vittore.
101 Le due liste mostrano una serie di differenze, rilevanti soprattutto nella parte
iniziale, non tanto nei nomi quanto nella durata dei pontificati (con il procedere della
serie, tuttavia, i dati tendono a coincidere); nella lista del ms. 481 poi non sono ripor-
tate, per ciascun pontefice, le date degli anni in corso e le indizioni, come invece acca-
de nel Chronicon del Vittorino, e neppure troviamo, in parallelo alla lista dei papi, quel-
la dei regnanti, come ancora nel Chronicon. Una lista di imperatori e regnanti del gene-
re di quella di Ugo si trova invece nel testo precedente, detto Sex etates, a partire dalla
sexta etas (ff. 3v-5r). La lista di pontefici del Chronicon di Ugo di San Vittore è pubbli-
cata in Chronica que dicitur Hugonis de Sancto Victore, ed. G. Waitz, in M.G.H., SS., 24,
Hannoverae 1879, pp. 90-97. Non sono in grado di valutare se gli elementi che avvi-
cinano i due testi (a ben vedere, la lista sostanzialmente identica dei pontefici) siano
sufficienti a definire il testo del ms. 481 come Chronicon di Ugo. Le piccole differenze
che la lista dei pontefici del ms. 481 mostra rispetto a quella riportata nell’edizione del
Chronicon in un caso avvicinano maggiormente il codice di Madrid alle liste di papi del
Liber figurarum di Gioacchino, in un altro invece lo allontanano, per cui, allo stato attua-
le della ricerca, mi è difficile dare un giudizio univoco in merito.

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124 VALERIA DE FRAjA

di trovare, nella biblioteca della cattedrale di Messina, una lista di papi


che probabilmente è tratta da questo scritto (in questo senso spinge-
rebbe sia la sovrapponibilità delle liste sia la presenza, di seguito, di
un’altra opera di Ugo), e di riconoscere in questa lista una possibile
fonte di Gioacchino potrebbe non essere una mera coincidenza102.
Tra i codici appartenuti alla cattedrale messinese vi è anche una
copia dell’Expositio super Matheum di Aimone di Auxerre, uno degli
autori cronologicamente vicini all’abate e che, lo abbiamo visto, egli
chiama direttamente in causa nelle sue opere, con il nome di Remigio.
Ma gli spunti e suggestioni che Gioacchino potrebbe aver tratto da
codici messinesi o conservati in biblioteche del Regno normanno sono
anche altri: vi è ad esempio la curiosa metafora del fango posto sugli
occhi del cieco nato, quale immagine delle figure che aiutano a vedere
nel profondo e con gli occhi della mente, che l’abate di Corazzo utiliz-
za nel primo libro dello Psalterium decem cordarum (dunque in una fase
cronologicamente alta della propria produzione teologica). La medesi-
ma metafora, come ha segnalato Marco Rainini, si ritrova sia in
Agostino, nel De vera religione, opera presente tra i codici di Messina103,
sia nel commento di Ugo di San Vittore al De celeste Hierarchia dello
pseudo-Dionigi. Un codice contenente quest’opera appartenne, già
alla fine del XII secolo, al monastero calabrese di Santa Maria della
Sambucina, che Gioacchino frequentò prima di entrare come novizio
a Corazzo104.
Secondo il racconto della Vita dell’Anonimo florense, Gioacchino,
prima di optare per la vita religiosa, laicale e in seguito monastica,
aveva trascorso un certo numero di anni presso la corte normanna, in
qualità di notaio attivo in curia. E dunque, fin d’allora, avrebbe potuto
avere l’opportunità di incrociare e di conoscere Riccardo, allora vesco-
vo di Siracusa, che già in quegli anni era impegnato attivamente nel
governo di Guglielmo I e durante la reggenza di Margherita, e che, a
motivo dei suoi incarichi curiali, trascorreva lunghi periodi presso la
corte, a Palermo come a Messina105. Se non così precoce, una cono-

102 Rainini, Disegni dei tempi cit., p. 59.


103 Ibid., pp. 60-61; per l’opera di Agostino, cfr. supra nota 89: ms. 225.
104 Si tratta del codice Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat.
179. In merito, A.M. Adorisio, Codici latini calabresi. Produzione libraria in Val di Crati e in
Sila tra XII e XIII secolo, Roma 1986, pp. 22-24.
105 Kamp, Kirche und Monarchie cit., III, pp. 1014-1018; Cantarella, Nel Regno del
Sole cit., pp. 91-120: 113.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 125

scenza personale potrebbe risalire comunque agli anni ’70 o ai primi


anni ’80, quando Gioacchino, dapprima come priore e in seguito come
abate di Corazzo, ebbe occasione di recarsi presso la corte normanna
per dirimere alcune questioni legate ai possessi del suo monastero.
Per questo periodo, conosciamo in realtà solo in minima parte i
movimenti dell’allora abate di Corazzo e non abbiamo alcun indizio
concreto che possa assicurarci circa una conoscenza personale tra i
due personaggi106. Sappiamo tuttavia che nell’inverno 1190-1191, pro-
prio a Messina, alla corte di Tancredi, e proprio alla presenza dell’arci-
vescovo Riccardo Palmer, che in un certo senso ricopriva il ruolo di
“padrone di casa”, Gioacchino illustrò di fronte al re di Inghilterra
Riccardo Cuor di Leone e di molti altri prelati la propria interpretazio-
ne del “grande drago rosso” apocalittico107. È poi possibile, in ogni
caso, che un lettore vorace come Gioacchino, e così attento alle realtà
librarie che poteva incrociare nei suoi spostamenti, avesse avuto modo
di studiare i volumi poi attestati nella biblioteca di Messina – la città, è
inutile ricordarlo, era passaggio obbligato per chi attraversava lo
Stretto giungendo dalla Calabria, e viceversa –, in particolare la lista dei
pontefici, poi utilizzata nei suoi diagrammi, che troviamo attestata nel
ms. 481 e attribuita a Ugo di San Vittore, così come il De Trinitate di
Agostino e i quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. Né va
dimenticata la grande Bibbia con la Glossa ordinaria, e tutto ciò che
essa poteva implicare dal punto di vista dell’esegesi delle Scritture108.

8. I primi interessi esegetici, teologici e storici

La presenza in Sicilia delle Sentenze del Lombardo e la possibilità


non peregrina che Gioacchino possa aver conosciuto l’opera del nova-
rese ancor prima di giungere a Casamari potrebbe essere una carta a

106 Gioacchino fu sicuramente a Palermo almeno in un’occasione, nel dicembre


1178, «per far valere rivendicazioni di possesso […] sulla base di due documenti ante-
riori del re a favore del suo monastero»: cfr. Grundmann, Per la biografia cit., p. 139.
107 Sull’episodio, cfr. Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., pp. 241-244.
108 Significativo appare il fatto che per l’interpretazione del libro di Tobia, come
ci si presenta nell’Exhortatorium ad Iudeos, Gioacchino utilizzò ampiamente la lettura
che ne aveva dato Beda [Bedae Venerabilis In librum beati patris Tobiae, in Bedae
Venerabilis Opera, Pars II. Opera exegetica, 2B, ed. P. Hurst, Turnhout 1983, (CCSL
119B)], pp. 1-19: tale interpretazione è appunto quella che viene riportata dalla Glossa
ordinaria.

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126 VALERIA DE FRAjA

favore di un’ipotesi di recente avanzata: già prima della stesura del I


libro dello Psalterium, l’abate si sarebbe interessato di teologia trinitaria
e avrebbe composto il perduto De unitate Trinitatis, in cui attaccava le
posizioni trinitarie del Magister Sententiarum109. La possibilità di studiare
le Sentenze, e anche di raccogliere i giudizi in merito da parte di intellet-
tuali di spicco quali Riccardo di Messina – ma nel Regno, e nella stes-
sa Calabria, erano presenti anche altri magistri usciti dalle scuole
d’Oltralpe – a questo punto Gioacchino poteva averla già avuta, anco-
ra tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del XII secolo.
Conoscere, in modo almeno approssimativo, libri e intellettuali
presenti nel Regno normanno nella seconda metà del XII secolo che
possano aver stimolato e indirizzato la riflessione di Gioacchino verso
determinate tematiche può forse contribuire a collocare con maggiore
precisione cronologica alcuni dei temi di suo interesse e alcuni dei suoi
testi, anche se tali opere non si riconoscono tra le sue fonti dirette: sco-
prire ad esempio, tra i volumi di Messina, gli scritti di Anselmo di
Canterbury dedicati a prescienza e predestinazione può spingere ad
interrogarsi sul momento preciso in cui l’abate potrebbe aver iniziato
la sua riflessione in merito, come poi la ritroviamo espressa nei suoi
Dialogi110. Notevole in questa direzione anche la presenza di importan-
ti commenti alle Epistole di Paolo (e dunque anche alla Lettera ai Romani,
testo alla base della riflessione sulla predestinazione), come quello di
Gilberto di Poitiers (in due codici messinesi del XII secolo111) e di
Pietro Lombardo (in un codice di Montecassino, il ms. 578 CC, che
Buchthal ipotizza come allestito nello scriptorium messinese112), cui si
possono aggiungere la versione latina del commento di Origene alla
Lettera ai Romani, attestato nel ms. 11, il volume della Bibbia che ripor-
ta le epistole paoline con la glossa interlineare e marginale, nonché due

109 E. Honée, Symbolik und Kontext von Joachim von Fiore ‹antilombardischen Figuren›:
Zur Interpretation von Tafel XXVI in der Faksimile-Ausgabe des Liber Figurarum, in Pensare
per figure. Il pensiero diagrammatico-simbolico di Gioacchino da Fiore. Atti del 7° Congresso
Internazionale di Studi Gioachimiti, San Giovanni in Fiore, 24-26 settembre 2009, cur.
A. Ghisalberti, Roma 2010 (Opere di Gioacchino da Fiore. Testi e strumenti, 24), pp.
137-157; De Fraja, “Arbitrantes nos unitatem scindere” cit., pp. 20-33.
110 Le opere di Anselmo sono conservate, come abbiamo visto, nei mss. 97 (De
fermento et azymo, Liber de concordia prescientie et predestinationis) e 223 (De veritate, De libero
arbitrio, De casu diaboli, Cur Deus homo, Monologium, Proslogium, et alii).
111 Le due copie del Super epistolas beati Pauli di Gilberto di Poitiers sono conser-
vate nei mss. 491 e 546.
112 Buchthal, A school of Miniature cit., p. 324 nota 61.

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 127

ulteriori manoscritti del XII secolo, il cui contenuto il catalogo di


Madrid descrive genericamente come «Expositio in epistulas Pauli»113.
Gli interessi in queste direzioni potrebbero dunque essere stati
presenti sin dai primi passi della ricerca teologica del calabrese, accan-
to a quelli, comprovati a partire dal 1176, nei confronti dei paralleli tra
episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento (le prime “concordie”
delle persecuzioni) e dell’esegesi visuale, fondata su figurae di arbores. Si
tratta, oltretutto, di interessi e tematiche – quella relativa alla teologia
trinitaria così come quella incentrata su prescienza-predestinazione,
cui possiamo accostare i vari temi teologici affrontati nel De articulis
fidei – che fanno pensare proprio a quello studium doctrine che
Gioacchino attribuisce alla prima fase, alla fase fondante sebbene in
seguito almeno letterariamente ripudiata, della propria ricerca della veri-
tas e della sapientia.
Un capitolo a parte è invece la questione delle fonti storiografiche
che l’abate calabrese poteva aver avuto a propria disposizione in que-
sta prima fase della propria attività di studioso della storia sacra: anche
se costituito da scheletrici diagrammi e testi molto sintetici, il suo inte-
resse per la storia “globale” è ben evidente già nel suo primo testo, la
Genealogia, risalente come si diceva al 1176, e nei diagrammi ad essa
collegati. Si tratta di un campo per il quale si sente la necessità di un’in-
dagine specifica, mai in effetti compiuta o perlomeno mai messa a
disposizione degli studiosi114. Tra le fonti da verificare, varrebbe senza
dubbio la pena, accanto ai testi di riferimento consueti per coloro che
si occupavano di storia della Chiesa115, prendere in considerazione
anche le diverse cronache in circolazione nel Regno – ad esempio il

113 Si tratta del già ricordato ms. 123 (cfr. supra nota 96). Per i due commenti
anonimi alle lettere di Paolo, cfr. ms. 24, pp. 27-29 e ms. 213, p. 169.
114 Si era occupato della questione P. De Leo, in un contributo per il 5°
Congresso internazionale di studi gioachimiti, tenutosi a San Giovanni in Fiore nel
1999. Il testo presentato in quell’occasione, tuttavia, non compare negli Atti [Gioacchino
da Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III. Atti del 5° Congresso internazionale di
studi gioachimiti, San Giovanni in Fiore 16-21 settembre 1999, Roma 2001; per la rela-
zione del prof. De Leo, cfr. il Programma, p. 8: «Pietro De Leo (Università della
Calabria), Gioacchino storico della Chiesa»].
115 In particolare le opere di Eusebio di Cesarea (tradotto in latino da Rufino), di
Orosio e Cassiodoro: Eusebii Ecclesiasticae historiae, in Eusebius Werke, II/1-3, edd. E.
Schwartz - T. Mommsen, Leipzig 1903-1909 (Die griechischen christlichen
Schriftsteller der ersten drei jahrhunderten, 9,1-3); Pauli Orosii Historiarum adversum
paganos libri VII, ed. C. Zangemeister, Vindobonae 1882 (CSEL, 5); Cassiodori -

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128 VALERIA DE FRAjA

Chronicon di Romualdo Salernitano, contemporaneo di Gioacchino –


che in alcuni casi si presentavano come cronache universali, e potreb-
bero costituire pertanto uno dei riferimenti dell’abate calabrese116.
Infine, un’ultima rapida considerazione. Conoscere, in modo alme-
no approssimativo, libri e intellettuali presenti nel Regno normanno
nella seconda metà del XII secolo che possano aver costituito per
Gioacchino la prima, basilare piattaforma dottrinale, su cui altri piani
si sono via via aggiunti, permette in qualche modo di ragionare “per
addizione”, se così si può dire, fotografandone la stratigrafia delle let-
ture: se in un certo ambiente non troviamo traccia di determinati auto-
ri e opere, è ben ipotizzabile che questi siano entrati nel bagaglio di
Gioacchino in un momento successivo, e dunque costituiscano il fon-
damento di una successiva “dilatazione” dei suoi orizzonti dottrinali
all’origine delle innovazioni di cui si diceva all’inizio. Questo potrebbe
ad esempio valere per quegli autori del cosiddetto “simbolismo tede-
sco” quali Onorio Augustodunense e Ruperto di Deutz, Anselmo di
Havelberg e Gerhoh di Reichersberg, che non si trovano in alcun
modo rappresentati tra i libri siciliani conservati oggi a Madrid (vi è un
solo volume, piuttosto tardo, dell’Elucidarium di Onorio, testo peraltro
in assoluto tra i più diffusi nel medioevo)117. Essi sarebbero dunque
entrati tra le letture dell’abate solo in una fase successiva, negli anni ’80,
a partire forse proprio dal periodo trascorso tra l’abbazia cistercense di
Casamari e la curia pontificia di passaggio per Veroli, e ne avrebbero
incentivato l’interesse, schiudendogli impensate vie di ricerca, sia nei
confronti dell’azione dello Spirito santo nella storia della salvezza, sia

Epiphanii Historia ecclesiastica tripartita: Historiae ecclesiasticae ex Socrate, Sozomeno et


Theodorito in unum collectae et nuper de graeco in latinum translatae libri numero duodecim, rec.
W. jacob, ed. R. Hanslik, Vindobonae 1952 (CSEL, 71).
116 In merito al Chronicon di Romualdo, si può consultare sia l’edizione del Garufi,
Romualdus Salernitanus, Chronicon cit., sia Romualdo II Guarna, Chronicon, cur. C.
Bonetti, con saggi di G. Andenna - H. Houben - M. Oldoni, Cava de’ Tirreni 2001,
che tuttavia pubblica il testo (con traduzione italiana) solo a partire dall’893. Per il testo
di Romualdo e i rapporti con la storiografia del Regno, cfr. M. Zabbia, La cultura sto-
riografica dell’Italia normanna riflessa nel Chronicon di Romualdo Salernitano, in Contributi. IV
Settimana di studi medievali, Roma 28-30 maggio 2009, cur. V. De Fraja – S. Sansone,
Roma 2012, pp. 3-14. Per una possibile conoscenza di tale produzione da parte di
Gioacchino, cfr. gli spunti in Rainini, Disegni dei tempi cit., p. 120.
117 L’assenza di opere di scrittori del “simbolismo tedesco” potrebbe essere in
relazione con quanto afferma Giovanni di Salisbury, circa l’accoglienza che Ruggero II
offriva a quanti giungevano nel Regno di Sicilia: «Omnes advene aliquod inveniebant

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LE PRIME FONTI DI GIOACCHINO DA FIORE 129

in merito al primato spirituale dell’ordo monasticus all’interno della


Chiesa118.

Se dunque senza dubbio Gioacchino, venendo a contatto con il


mondo cistercense, con la curia pontificia e con qualche sapiente
ebreo, allargò il proprio orizzonte a una serie di autori del XII secolo,
non di meno mi pare si possa ora affermare, senza più timori di azzar-
do, che una cultura teologica ed esegetica – cui si potrebbe aggiunge-
re quella storiografica – latina “moderna” e di respiro europeo egli
l’aveva già incontrata, fin dagli albori della propria ricerca, nel suo
Regno normanno, del cui re si arrivò a dire: «... cuius curia, scola; comi-
tatus cuius, gimnasium; cuius singula verba, philosophica apofthegma-
ta; cuius questiones inextricabiles, cuius soluciones nichil indiscussum,
cuius studium nil relinquit intemptatum»119.

(Scuola Nazionale di studi medievali) VALERIA DE FRAjA

solatium in terra eius, nisi quod de regno Teutonicorum non facile aliquos ad obse-
quium admittebat» (Iohannes Saresberiensis, Historia pontificalis cit., cap. XXXII, p. 65).
118 Non pare certo un caso che proprio Ruperto di Deutz, Anselmo di Havelberg
e Gerhoh di Reichersberg siano tutti autori che per un certo periodo ebbero contatti
diretti e personali con la curia pontificia: per tale motivo le loro opere potevano esse-
re lì conservate. Sottolinea questo aspetto Potestà, Il tempo dell’Apocalisse cit., pp. 367-
368, nota 11.
119 Enrico Aristippo, Prologo al Fedone cit., p. 463.

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