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PETRARCA, GIOVANNI D'ANDREA E IL DESTINATARIO DI RERUM FAMILIARUM LIBRI

IV 15-16
Author(s): Mario ConettiSource: Petrarchesca , Vol. 2 (2014), pp. 39-47
Published by: Fabrizio Serra Editore

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PETRARCA, GIOVANNI D’ANDREA
E IL DESTINATARIO
DI RERUM FAMILIARUM LIBRI IV 15-16
Mario Conetti

I l iv dei Rerum familiarum libri contiene due lettere (iv 15 e 16) il cui destinatario è anonimo,
indicato solo quale « famosus vir ». Hanno suscitato molta attenzione sia per la pregnan-
za del tema generale : la polemica contro il sapere giuridico e chi lo coltiva cercando di pre-
sentarlo quale riassunto e coronamento degli studi sull’uomo e la società ; sia per le rilevanti
indicazioni biografiche rispetto al periodo di studi giuridici trascorso dal poeta a Bologna, e
segnatamente alla decisione di abbandonarli, che egli stesso presenta qui come un momento
davvero cruciale nel suo percorso esistenziale. Trattandosi di due missive tanto importanti nel-
la costruzione complessiva dell’epistolario petrarchesco, appare del tutto comprensibile come
già da molto tempo gli esegeti abbiano cercato di sciogliere il dilemma quanto all’identità del
destinatario. Un manoscritto da sempre considerato tra i più importanti 1 offre l’indicazione,
generica quanto ovvia, 2 che le due lettere siano state destinate « bononiensi professori ». Questo
è il punto di avvio della lettura oggi tradizionale e consolidata, che individua il destinatario nel
grande canonista bolognese Giovanni d’Andrea. 3 Le ragioni che possono rendere ancora oggi
pacificamente accettabile questa identificazione appaiono numerose e facili : il destinatario è
per l’appunto un celebre quanto autorevole e anziano (viene apostrofato « pater ») giurista,
certo legato a Bologna. Poco oltre, al libro successivo (v 7-9) si trovano tre lettere indirizzate
esplicitamente a Giovanni d’Andrea, 4 il che contribuisce pesantemente a suggerire la presenza
dello stesso nome anche in altre situazioni.
L’identificazione del destinatario anonimo col grande canonista non viene però presentata

1
Il cosiddetto Colbertino, copiato nel 1388 : Paris, BnF, lat. 8568. Cfr. per una descrizione e discussione critica del luogo
e della glossa in questione l’opera di de Sade cit. a p. 40 n. 1.
2
Ma, come si cercherà di mostrare infra, di una ovvietà tutto sommato superficiale e pertanto niente affatto sconta-
ta.
3
Su Giovanni d’Andrea (ca. 1270-1348) il riferimento fondamentale è alla voce del Dizionario biografico degli italiani,
vol. 55, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2001, dovuta a Giorgio Tamba, e alla bibliografia ivi contenuta. Si
ricordi qui solo qualche tratto cruciale per l’intelligenza di quanto segue. Docente di diritto canonico a Bologna per
lo meno dal 1302, ma laico (come il suo maestro Egidio Foscarari, primo laico a professare le materie canonistiche),
autorevolissimo nell’università come nella città, fu certo tra i docenti di Petrarca poiché negli anni degli studi giuridici
bolognesi di quest’ultimo teneva letture fondamentali di diritto canonico. Negli anni immediatamente successivi si lega
a papa Giovanni XXII e soprattutto al suo legato a Bologna, il cardinale Bertrando del Poggetto. Autore di numerosi testi
giuridici, tra cui vanno segnalati in particolare l’apparato ampio e approfondito alle Decretali e al Liber Sextus e quello alle
Clementine, la raccolta promulgata appunto da Giovanni XXII, della quale il suo commento divenne la glossa ordinaria.
La sensibilità teologica e spirituale, certo non fuori luogo in un canonista, ancora più che quella letteraria, lo induce a un
interesse per la figura e l’opera di san Gerolamo, che sfocia appunto nella tarda composizione dello Hieronymianus, a un
tempo testo biografico e agiografico, sintesi del pensiero e antologia di scritti del padre della chiesa. Così, un interesse per
i temi etici, più che per l’erudizione storica, lo porta a percorrere attentamente l’opera di Valerio Massimo di cui scrive
i Summaria per libros et capitula. Queste attenzioni, che sfociano nella redazione di scritti inusuali nella bibliografia di un
professore di diritto canonico, hanno determinato l’affermarsi dell’immagine di Giovanni d’Andrea quale pre-umanista,
precursore dei giuristi umanisti dei secoli successivi, in correnti storiografiche molto diverse tra loro, quali quella neo
idealista di Francesco Calasso (Introduzione al diritto comune, Milano, Giuffré, 1951, pp. 179, 204) e quella istituzionalista
di Mario Ascheri (Giuristi, umanisti e istituzioni del Tre e Quattrocento : qualche problema, « Annali dell’Istituto storico italo
germanico in Trento », iii, 1977, pp. 43-73 : pp. 47-55, ora in Id., Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della cultura
e delle fonti giuridiche, Rimini, Maggioli, 1991, pp. 101-45).
4
Va tenuto presente come solo la prima lettera di questo gruppo (ossia v 7) sia databile con una certa precisione (17
dicembre 1344) e contenga riferimenti che fanno pensare a una missiva davvero rivolta a un interlocutore preciso ; laddove
le due successive, prive di tali indicazioni e riferimenti, potrebbero anche essere fittizie.

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dalle stampe antiche e bisogna attendere la metà del xviii secolo perché si espliciti. Fu de Sade, 1
sulla scorta appunto del manoscritto colbertino e forse allo scopo di trovare un sostituto plausi-
bile a quello che in molte stampe veniva indicato come destinatario (ossia Tommaso Caloiro) 2
pur risultando senz’altro improponibile, a accreditare per la prima volta questa identificazione,
amplificando e precisando la glossa che indicava genericamente un professore bolognese e
ritenendo di poterlo individuare in Giovanni d’Andrea. Ciò sulla base dei riferimenti per cui
il destinatario anonimo avrebbe una particolare venerazione per san Gerolamo, al punto da
considerarlo il primo tra i padri della chiesa latina. Giovanni d’Andrea, come è noto, al santo
dalmata dedica un volume, 3 pubblicato nel 1346, in una data quindi comunque prossima alla
composizione delle due lettere in oggetto. 4 L’ipotesi di de Sade poteva così sembrare più che
giustificata, in presenza appunto di un professore bolognese, per cattedra se non anche di ori-
gine, che va annoverato tra i docenti prima che tra i corrispondenti di Petrarca e che si segnala
per lo studio dedicato a san Gerolamo.
La presa di posizione di de Sade suscitò i dubbi, anzi la decisa ostilità, di Tiraboschi. 5 Dopo
avere discusso il peso delle identificazioni contenute nella tradizione manoscritta, contestando
il credito che forniva loro de Sade, l’erudito modenese passa alle ben più rilevanti ragioni conte-
nutistiche addotte dall’abate provenzale. L’identificazione si fonda sulla venerazione di Giovanni
d’Andrea per san Gerolamo, manifestatasi sul piano letterario con il volume a lui dedicato ; un
dato di fatto, ma, obietta Tiraboschi, non certo una caratteristica esclusiva del canonista bolo-
gnese, anzi segnala che in quella età poteva essere un tratto comune a diversi autori e forse anche
sulla scorta della diffusione dello Hieronymianus e del prestigio del suo autore. In senso contra-
rio, e segnalandolo quale argomento davvero cogente, Tiraboschi non ritiene di potere rilevare
nell’opera di Giovanni d’Andrea quei tratti che Petrarca rimprovera al suo corrispondente.
I rilievi critici dell’erudito modenese sembrano però essere stati dimenticati col fiorire degli
studi petrarcheschi nel secolo xix. Fracassetti, nella sua autorevole edizione che avrebbe co-
stituito poi ben presto, anche su questo punto, uno standard di riferimento, individua con tale
certezza il destinatario in Giovanni d’Andrea al punto da non essere disposto a considerarle
anepigrafe. 6 Ritiene di poterlo fare basandosi sul fatto che Petrarca, come Giacomo Colonna, lo
ebbe professore a Bologna, nonché e ancora sulla devozione e l’attenzione particolare che ebbe
per san Gerolamo. Cita l’obiezione principale di Tiraboschi, di ordine contenutistico, ossia che
gli scritti di Giovanni d’Andrea non presentano le caratteristiche che Petrarca gli rimprovera e
la liquida quale irrilevante, senza però nemmeno provare a discuterla e confutarla. 7 L’autore-
volezza di Sabbadini 8 ha poi contribuito in modo decisivo a consolidare questa identificazione

1
Jacques François Paul Aldonce de Sade, Mémoires pour la vie de François Pétrarque, tome i, Amsterdam, chez Ar-
skée et Mercus, 1764, pp. 41-42 e 162-164.
2
Giuseppe Fracassetti, Lettere di Francesco Petrarca, i, Firenze, Le Monnier, 1863, p. 569, suggerisce che tale identifica-
zione possa essersi insediata a partire dall’edizione del 1492 (Francisci Petrarchae Epistolae familiares, Venetiis, per Johannem
et Gregorium de Gregoriis, 15 settembre 1492), poiché l’editore utilizzava per indicare le lettere anepigrafe una sigla gra-
ficamente simile a quella utilizzata per le lettere indirizzate all’amico messinese.
3
Un passo dello Hieronymianus potrebbe in effetti essere all’origine del giudizio di Petrarca citato più avanti, a p. 41
n. 1 : cfr. Hieronymianus, i a ed., s. l. ed editore [ma Colonia, Conrad Winters de Homborch : Gesamkatalog der Wiegendrucke
01727], 9 agosto 1482, f. 2v a : « e meritis loquens nullius per hoc laudes obscurando, quero quis plus profecit latinorum
ecclesie quam qui vetus et nouum testamentum de greco et hebraico, et ceteros ipsius libri sicut Danielem de caldayco
sermone, licet hebraycis litteris, et Job de aramaico, premissis in eis suis formosis et utilibus prologis transtulit in latinum,
quam condoctori nulli creditur fuisse possibile » [Parlando dei suoi meriti senza per questo oscurare le lodi di altri, chiedo
chi giovò alla chiesa latina più di costui che tradusse in latino – cosa che non pare sarebbe stata possibile ad altri sapienti – il
vecchio e il nuovo testamento dal greco e dall’ebraico, e gli altri libri come quello di Daniele dal caldaico, seppure in lettere
ebraiche, e Giobbe dall’aramaico, premettendovi i suoi eleganti e utili prologhi]. Del resto, tutta la prima parte dell’opera
è il tentativo di dimostrare che Gerolamo è il più importante dei padri e dottori della chiesa. Significativo il confronto con
4
il brano di iv 16, 3, cit. infra a p. 41 n. 1. Per cui cfr. infra, pp. 41.
5
Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo v, parte ii, capo v, par. 7 (Firenze, Molini, Landi e co.,
1807, pp. 356-358).
6
Le segnala infatti, ad indicem, p. 88, e nell’intitolazione, pp. 558 e 564, quali indirizzate “A Giovanni d’Andrea di Bolo-
7
gna”. Fracassetti, Lettere di Francesco Petrarca, cit., a n. 2, p. 570.
8
Remigio Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli xiv e xv. Nuove ricerche, Firenze, G. C. Sansoni, 1914, in
particolare le pp. 158-159.

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petrarca, giovanni d ’ andrea e il destinatario di fam iv 15-16 41
basandosi sempre, oltre che sulla glossa sopra citata, sul riferimento forte alla considerazione
che l’anonimo destinatario aveva di san Gerolamo. 1 Da allora, si è insediata nella critica petrar-
chesca, che la dà per acquisita e la assume quale base per ulteriori studi. 2
Orbene : contestualizzando queste due lettere nella biografia e nelle opere di Giovanni d’An-
drea, nonché di quelli che possono essere stati i rapporti che ebbe col Petrarca, si viene indotti
a sospettare e poi a revocare senz’altro in dubbio questa identificazione. Di seguito, si cercherà
di specificare puntualmente tali ragioni.
Appare strano che lo stesso destinatario risulti indicato esplicitamente in tre missive e anoni-
mo invece in altre due, che risultano prossime tanto, secondo la diffusa convinzione della cri-
tica, per data di composizione 3 quanto per la collocazione nel macrotesto. La contraddizione
può venire spiegata facendo riferimento al tono polemico e ironico, al limite dell’insulto perso-
nale, che segna iv 15-16 ; tono che potrebbe corrispondere a una fase conflittuale, poi risolta, nei
rapporti tra Petrarca e Giovanni d’Andrea e sconsiglierebbe di citarlo nominativamente. Per
questo iv 15-16 sarebbero state inserite nella raccolta ma con destinatario anonimo. 4 Va però
tenuto presente che Giovanni d’Andrea era un personaggio molto noto e celebre, ben al di là
della cerchia degli specialisti della sua materia : un vero protagonista della cultura e anche della
politica nel suo tempo, a Bologna come a Avignone. Se fosse stato lui il destinatario di iv 15 e
16, il velo dell’anonimato sarebbe risultato di gran lunga troppo sottile per celarlo : risulta vani-
ficata così l’argomentazione appena riassunta, e rimane l’incongruenza tra iv 15-16 e v 7-9.
Passando a ragioni contenutistiche, va osservato in primo luogo come il tono con cui Pe-
trarca si rivolge al destinatario anonimo è completamente diverso da quello impiegato nelle
lettere v 7-9, di cui per lo meno v 7 è stata effettivamente inviata a Giovanni d’Andrea. In iv 15-
16 Petrarca fa sfoggio di un rispetto enfatizzato al punto da diventare ironico. 5 Mostra però allo
stesso tempo i segni di una conoscenza personale se non addirittura di una familiarità, 6 quale
difficilmente si permetterebbe di sfoggiare rivolgendosi a una persona che ritenesse, e volesse
fare ritenere, suo maggiore. In realtà il rispetto così enfatizzato ha la funzione di ridicolizzare
un destinatario che fa vanto di una erudizione vana e superficiale, pretendendo di frequentare
ambiti del sapere che in realtà ignora. 7 Delinea così la caricatura del giurista che si compiace di

1
iv 16, 3 legge : « Tu Ieronimum prefers Augustino. Hoc sciebam, sed eam quam offers iudicii rationem profiteor me
non intelligere. Quid enim, queso, sibi vult quod ais, non te illum propterea pretulisse quia sit maior, sed quia fructuo-
sior ecclesie ? Quod in quodam opere tuo probasse te dicis disputatione longissima, quam vellem litteris inseruisses ; sed
profecto vel nuntio pepercisti vel epystole » [Tu preferisci Gerolamo ad Agostino. Lo sapevo, ma confesso di non capire le
ragioni che mi dai del tuo giudizio. Che significa, di grazia, dire che tu lo preferisci non perché è più grande ma perché è
più utile alla chiesa ? Dici d’avere dimostrato la cosa in una tua opera attraverso una lunghissima dimostrazione che avrei
voluto tu avessi inserito nella lettera. Ma probabilmente hai avuto pietà del messo o della lettera].
2
Si vedano per lo meno due esempi molto recenti : Benedetto Clausi, Questione di modelli : Petrarca, Gerolamo e lo
Hieronymianus di Giovanni d’Andrea, « Aevum. Rassegna di Scienze Storiche, Linguistiche e Filologiche », lxxxv, 2011, pp.
527-66 ; John Ahern, Good-bye, Bologna : Johannes Andreae and Familiares iv 15 and 16, in Petrarch and the textual origins of
interpretation, ed. by Teodolinda Barolini and Wayne H. Storey, Leiden, Brill, 2007, pp. 185-204. Tali studi assumono quale
presupposto per ulteriori considerazioni, su temi diversi, esattamente ciò che qui si vuole revocare in dubbio ; appare
pertanto fuori luogo discuterne i contenuti, che esulano dall’ambito del presente contributo.
3
Cfr. lo studio sintetico di Roberta Antognini, Il progetto autobiografico delle Familiares di Petrarca, Milano, Led, 2008,
p. 140, per cui le lettere del libro iv non dovrebbero estendersi oltre il 1347 ; per la datazione di v 7 cfr. supra, p. 39 n. 4.
4
Si veda una sintesi efficace di queste posizioni in Roberta Antognini, Il progetto autobiografico, cit., p. 147 n. 102 :
« Nella lettera a cui Petrarca risponde con la iv, 15, Giovanni d’Andrea lo ha accusato di avere ‘inventato’ i nomi di Plauto
e Nevio. L’ignoranza di cui Giovanni darebbe prova è tale che è meglio non rendere pubblica la risposta di Petrarca… Si
spiega così la ragione per l’omissione del destinatario in rubrica ».
5
In iv 15, 1 gli si rivolge con l’apostrofe, poi ripetuta varie volte, « tu pater » ; in iv 15, 16 afferma che « Plaudunt tibi
discipuli et omniscium vocant » [Ti applaudono i tuoi studenti, e ti chiamano onnisciente].
6
iv 16, 1 : « Blandior fuisse, si te blanditiis delectari crederem […] quoniam, ut video, amicitie inimica libertas est, forte
conultius agerem si tacerem » [Sarei stato più blando se credessi che tu ti compiaci di blandizie […] poiché vedo che la
franchezza è nemica dell’amicizia, farei forse meglio a tacere] ; iv 15, 15 : « Inclina aurem tuam, neque externa auris inter-
veniat » [Porgi l’orecchio, e altri orecchi non sentano].
7
iv 15, 9 : « Miror quid ita tibi Nevii Plautique nomen ignotum est » [Mi stupisco che ti sia ignoto il nome di Nevio e
di Plauto] ; iv 15, 16 : « Plaudunt tibi discipuli et omniscium vocant, innumerabilium auctorum nominibus attoniti, quasi
omnium, quorum titulos tenes, et notitiam sis adeptus ; docti autem perfacile discernunt quid cuiusque proprium, quid
alienum sit, et rursus quid mutuum, quid precarium, quid furtivum » [Ti applaudono i tuoi studenti, e ti chiamano

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42 mario conetti
citare autori e testi di cui però a stento conosce i nomi e i titoli, al solo scopo di suscitare l’am-
mirazione del pubblico, costituito in primo luogo dai suoi studenti, in senso più ampio da altri
giuristi ancora più ignoranti di lui. Al contrario, v 7-9 sono caratterizzate da un tono di rispetto
sincero. 1 Mancano le espressioni iperboliche di venerazione, sostituite invece da un dialogo tra
chi, proprio perché è unito da una consuetudine di relazioni, non perde tempo in convenevoli.
Fanno pensare a un rapporto di Petrarca con Giovanni d’Andrea cordiale al punto da rendere
difficile credere che, sia pure in un momento diverso, il giurista possa essere stato l’obiettivo di
una polemica virulenta che travalicando il bersaglio immediato e personale diventava conte-
stazione di tutto un sapere, quello giuridico appunto, e del ceto che lo coltivava, per lo meno di
chi lo coltivava in un certo modo. Allo stesso tempo suggeriscono che tra i due non vi fosse una
intimità, una confidenza, particolare, piuttosto un grande rispetto per le reciproche dimensio-
ni intellettuali. Petrarca discute infatti con Giovanni d’Andrea di temi diversi, prevalentemente
etici, su un piano di erudizione scevra da riferimenti esistenziali precisi.
La differenza nel tono tra questi due piccoli gruppi di lettere non sembra essere stata va-
lorizzata dalla critica, che in momenti recenti tende a non prenderla in considerazione anche
quando la rileva ; 2 forse proprio perché costituirebbe un ostacolo notevole all’ipotesi, o meglio
al presupposto, che i due gruppi abbiano il medesimo destinatario.
Certo si potrebbe pensare la diversità di tono come quasi imposta dalle differenze tra gli
scopi che segnano i due gruppi di lettere : iv 15-16 costituiscono una polemica, dai toni accesi,
contro i giuristi e il loro sapere ; v 7-9 sono improntate a un colloquio amichevole su temi non
particolarmente coinvolgenti. Non sembra però sufficiente a spiegare come Petrarca si rivolga
ai destinatari di questi due gruppi di lettere con modalità del tutto diverse, con una discrepan-
za che parrebbe arduo ritrovare rispetto a qualsiasi altro corrispondente. Gli studiosi, anzi già
soltanto i lettori, dell’epistolario non si stupiscono certo constatando che Petrarca si rivolge
in modi diversi, ora positivi ora negativi, alla stessa persona, e che la considerazione dei per-
sonaggi che menziona più volte nel suo epistolario varia secondo le circostanze : l’esempio di
Boccaccio è solo quello più illustre. Pure, questa considerazione diversa si muove solitamente
all’interno dello stesso tono, di un registro tutto sommato uniforme, che allude alle modalità
di un rapporto costanti al di là delle contingenze e delle polemiche. In questo caso invece è
proprio il tono complessivo a cambiare radicalmente.
Proseguendo con le discrepanze contenutistiche, si è potuto vedere come Petrarca ironizzi
pesantemente sul fatto che l’anonimo destinatario ignori il nome stesso di Plauto, pur volendo
sfoggiare una conoscenza profonda delle lettere latine (iv 15, 9). Viceversa, rivolgendosi a Gio-
vanni d’Andrea (v 8, 7) cita Plauto e riporta un brano dell’Asinaria, come se si trattasse di un
patrimonio culturale condiviso.
I due gruppi di lettere presentano una discrepanza anche nell’ambito delle relazioni perso-
nali cui alludono : se in entrambi viene fatto riferimento a Giacomo Colonna il giovane, ciò
avviene però in termini sensibilmente diversi. In iv 15-16 si allude a Giacomo Colonna come a
un amico comune, legato al destinatario anonimo da un rapporto di amicizia e familiarità non
dissimile, e per lo meno altrettanto intenso, da quello che lo stringeva a Petrarca ; 3 viceversa in
v 7-9, rivolgendosi a Giovanni d’Andrea lo ricorda come il suo allievo brillante, quale storica-
mente dovette essere, e nulla più, senza che entri in gioco un rapporto diverso dal discepolato. 4

onnisciente, sbalorditi dai nomi di innumerevoli autori, come se tu conoscessi il contenuto di tutti quei titoli che sai a
memoria ; ma gli esperti vedono bene cosa appartenga a ciascuno, e sanno ciò ch’è d’altri e quello ch’è preso a prestito e
ch’è posticcio o rubato ].
1
Evidente in v 7, meno in v 8 e 9 dato il loro carattere di esercitazioni letterarie su un tema, che possono pertanto
prescindere dall’interlocutore.
2
Roberta Antognini, Il progetto autobiografico, cit., pp.152 ss., n. 16, sorvola quasi sul cambio di tono, ed è ben lungi
da provare a spiegarlo.
3
iv 15, 3 : « licet de hac re inter amicum tuum clare memorie Lomberiensem epyscopum Iacobum et me crebro di-
sceptatum esse meminerim » [sebbene io mi ricordi che di ciò si è spesso discusso tra il tuo amico di gloriosa memoria
Giacomo vescovo di Lombez e me].
4
v 7, 11 : « Florenti etate, generosissimi adulescentis eximiam indolem, ingeniorum solertissimus agricola, de flore

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petrarca, giovanni d ’ andrea e il destinatario di fam iv 15-16 43
Può essere il caso di ricordare che Giacomo Colonna muore prematuramente nel 1341 : il riferi-
mento alla sua scomparsa risulta pertanto inutile ai fini della datazione.
Passando a quelle caratteristiche del destinatario anonimo che rendono difficile identificar-
lo in Giovanni d’Andrea, va prima di tutto ripresa l’osservazione formulata a suo tempo da
Tiraboschi, ma sempre valida in quanto sostenuta da una conoscenza non superficiale degli
scritti del canonista bolognese, 1 che in effetti non presentano le caratteristiche stigmatizzate
da Petrarca. La prosa di Giovanni d’Andrea è tale da non permettere di definirlo « verbosus », 2
al contrario risulta sempre asciutto e sintetico. Cita difficilmente autori estranei a quello che
poteva essere considerato il patrimonio delle scienze giuridiche, canonica e civile, sicuramente
non si compiace di sfoggiare erudizione nel campo della letteratura latina classica, dei testi po-
etici o drammatici. Le fonti latine classiche che frequenta e cita sono quelle che possono servi-
re all’edificazione di un discorso etico e giuridico, in primo luogo Cicerone e Valerio Massimo.
Cita invece con frequenza la letteratura teologica, i padri della chiesa latina ; 3 ma di questo,
salvo le notazioni relative a san Gerolamo, Petrarca non fa menzione.
In tema di personaggi cui viene fatto allusione, il destinatario anonimo dovrebbe avere una
certa familiarità con Oldrado da Ponte 4 e una stima notevole nei suoi confronti ; questi viene
infatti menzionato con molto rispetto e come se non avesse bisogno di particolari presenta-
zioni, oltre l’accenno alla fama che lo circonda. 5 Giovanni d’Andrea, per lo meno a quanto ci
è dato sapere, non aveva nessun rapporto con Oldrado, né sul piano personale né su quello
scientifico. 6 Data l’evidente freddezza, che può essere desunta dalle opere di Giovanni verso la
dottrina di Oldrado da Ponte, la definizione di « clarissimus » con cui Petrarca presenta quest’ul-
timo suonerebbe ironica se si stesse rivolgendo al d’Andrea, e potremmo pensare che proprio
questa ironia si giustifichi nel contesto della polemica.
Ancora, un brano delle lettere dirette all’anonimo rende particolarmente arduo identifi-
carlo con Giovanni d’Andrea. Fam., iv 15, 14 7 consente di ricostruire che l’anonimo ha diretto
scritti « vulgares » a Giacomo Colonna che Petrarca ha avuto modo di conoscere e che han-
no suscitato la sua reazione negativa, sul piano letterario, allorchè, da giovane, era familiare
dei cardinali Colonna. Orbene, Giovanni d’Andrea non ha mai scritto, a quanto ne sappiamo,
qualcosa che possa essere definito « vulgare », per nessuna accezione che il termine potrebbe
avere a cominciare da quella più immediata (scrisse solo e esclusivamente in latino). Inoltre, e
soprattutto, appare assolutamente implausibile che abbia diretto scritti semi pubblici a un Co-
lonna. Il nostro canonista non era affatto prossimo ai Colonna, al contrario era un esponente

fructum cogitans, fovisti » [Nella sua giovinezza tu, espertissimo coltivatore di ingegni, hai assecondato l’indole eccellente
di quel generosissimo adolescente, aspettandoti il frutto di un tal fiore].
1
Appare quasi superfluo ricordare l’attenzione di Tiraboschi per la letteratura giuridica e la conoscenza che ne dimo-
2
stra nella sua Storia della letteratura italiana. Cfr. infra, p. 46 n. 1.
3
Al di là di quella che era comunque la competenza specifica del canonista, sempre molto prossimo al teologo ; Gio-
vanni d’Andrea aveva infatti ricevuto anche una formazione teologica a livello universitario, come egli ricorda più volte
nelle sue opere.
4
Canonista lodigiano lungamente attivo alla curia papale di Avignone ; per una visione d’insieme della biografia e
dell’opera sia consentito il rinvio a Mario Conetti, Il testamento di Oldrado da Ponte (Avignone, 1334), in Quaderni di studi
storici – Cahiers Adriana Petracchi, a cura di Giorgio La Rosa, i, 2010, pp. 103-128.
5
iv 16, 13 : « id totum silebo quo factum meum tueri soleo ; fuit enim hec michi questio sepe cum multis precipueque
cum Oldrado laudensi iureconsulto nostra etate clarissimus » [non dirò nulla su come io sia solito difendere le cose mie :
di ciò ho avuto spesso da discutere con molti, e in ispecie con Oldrado da Lodi, uno dei più famosi giurisperiti dei nostri
tempi].
6
Oldrado da Ponte è il protagonista di una comprensione della scienza del diritto canonico tutta orientata alla prassi,
coerentemente alla sua attività principale di consulente ; Giovanni d’Andrea tende a una costruzione architettonica della
scienza. Di fronte al diritto nuovo della chiesa, che interpella attivamente entrambi, Oldrado da Ponte si preoccupa di
chiarirne gli addentellati e le ricadute sulle situazioni concrete, Giovanni d’Andrea di inserirlo in una concezione siste-
matica.
7
Fam., iv 15, 14 : « olim, dum in Vasconie partibus adulescens agerem, verecunde quidem, ut illam etatem decuit, tibi
scripsisse me recolo, cum vulgaribus scriptis tuis offenderer, que ad eum cuius supra memini, Iacobum de Columna
interdum ea tempestate mittebas » [quando, giovinetto, mi trovavo in Guascogna, mi torna a mente d’averti scritto con
tutto il rispetto impostomi dall’età per criticare gli scritti in volgare che tu ogni tanto mandavi a quel Giacomo Colonna
sopra ricordato].

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di spicco della parte guelfa bolognese con solidi legami alla curia di Avignone, molto vicino
al pontefice Giovanni XXII e in modo particolare al cardinale nipote Bertrando del Poggetto.
Negli anni in cui Petrarca « adulescens », secondo la sua espressione, avrebbe visto gli scritti
dell’anonimo destinatario a Giacomo Colonna, Giovanni XXII individuava Giovanni d’An-
drea quale suo uomo di fiducia a Bologna ; 1 dal febbraio 1327 al marzo 1334, quando Bertran-
do del Poggetto esercita in Bologna una sorta di signoria di fatto, Giovanni d’Andrea figura
tra i suoi più stretti collaboratori, ricevendone incarichi prestigiosi (sopra tutti, l’ambasceria
a Avignone nella primavera del 1328) e svariati benefici materiali. 2 La fedeltà, forse addirit-
tura l’amicizia, riuscì anche a superare i rivolgimenti della politica : allorchè il cardinale del
Poggetto dovette lasciare precipitosamente Bologna di fronte a una mutata situazione della
politica padana e all’opposizione cittadina, Giovanni d’Andrea lo accompagnò sino a Firen-
ze. Appare quasi superfluo ricordare come all’interno della curia e del collegio cardinalizio
la fazione colonnese fosse avversa a quella del cardinale del Poggetto e come tale avversità
si concretizzasse tra l’altro anche rispetto ai rapporti tra il papato e Bologna. I Colonna e
gli Orsini, e i cardinali a loro prossimi, non erano sfavorevoli a una egemonia ghibellina, da
ultimo viscontea, nella città felsinea come in tutta l’Italia padana, laddove la fazione del car-
dinale del Poggetto operava attivamente per l’affermazione del partito guelfo sotto diretto
controllo pontificio. Giovanni d’Andrea era, negli anni della giovinezza di Petrarca, del tutto
estraneo all’ambiente dei cardinali Colonna e nemmeno il ricordo dei rapporti da maestro
a allievo che ebbe col nipote di uno di questi potrebbe avere giustificato una familiarità al di
sopra delle inimicizie tra le parti.
Infine, facendo riferimento alla celebre chiusa di iv 16, 3 dove Petrarca si compiace con se
stesso di avere abbandonato e Bologna e gli studi giuridici, si tenga presente che se il destinata-
rio fosse Giovanni d’Andrea, suo vecchio professore, l’affermazione stessa e i toni entusiastici
con cui viene formulata risulterebbero insultanti sul piano personale, al di fuori di ogni conven-
zione letteraria e addirittura di quella cortesia che deve caratterizzare anche la polemica e che
in effetti, seppure con un intento ironico, segna anche iv 15-16. Se poi fosse rivolta al vecchio
professore ormai defunto, sarebbe un vero oltraggio alla sua memoria.
Questa ultima osservazione ci permette di transitare alla questione della cronologia. iv 15 e
16 costruiscono un dialogo, con una risposta dell’interlocutore che, pur non venendo riportata,
si inserisce tra la prima e la seconda a cui quest’ultima fa appunto costante riferimento. Sappia-
mo che Giovanni d’Andrea è morto per pestilenza il 7 luglio 1348. Se il destinatario anonimo
fosse il grande canonista, si potrebbero avanzare allora due ipotesi. In primo luogo si potrebbe
datare la prima composizione delle due lettere tra la data di pubblicazione dello Hieronymianus,
ossia il 1346, e l’estate del 1348. La collocazione al libro iv si spiegherebbe anche tematicamen-
te, visto il riferimento forte all’abbandono degli studi giuridici che ricorre in iv 1 dando così
un tema al libro intero. In alternativa, si potrebbe pensare che Petrarca costruisca un dialogo
fittizio con un defunto. In questo caso stupiscono però i toni tanto virulenti, al limite del di-
leggio e forse oltre, che risulterebbero eccessivi anche date le esigenze della polemica ; inoltre,
i riferimenti molto precisi alla risposta, intercorsa tra la prima e la seconda lettera di Petrarca,
inducono a dubitare che si tratti di una corrispondenza fittizia. 4
Le considerazioni che precedono dovrebbero per lo meno indurre a revocare in dubbio, se
non a dismettere senz’altro, l’identificazione del destinatario di iv 15-16 con Giovanni d’Andrea.
A questo punto si apre l’interrogativo circa l’identità dell’anonimo corrispondente ; interroga-
1
Una lettera papale del 26 luglio 1326 ne tesse le lodi per avere contrastato l’accordo tra il comune di Bologna e il leader
ghibellino Rainaldo Bonaccolsi, e una lettera del novembre dell’anno successivo impone al comune di sentire il suo parere
quanto alla nomina dei rettori degli ospedali cittadini.
2
Cfr. la biografia citata a p. 39 n. 3 per un elenco puntuale dei diversi episodi, con la relativa documentazione.
3
iv 16, 14 : « Denique sic habeto : me aut nichil unquam provide fecisse – quod magis puto – aut, si quicquam, hoc in
primis non audeo dicere sapienter, sed feliciter factum est : et quod Bononiam vidi et quod non inhesi » [Sappi insomma
che io non ho mai fatto niente di buono – di ciò sono più che convinto – oppure, se mai l’ho fatto, non oso dire con sag-
gezza ma almeno con buon esito, è stato d’aver visto Bologna e di non esserci rimasto].
4
Antognini, Il progetto autobiografico, cit., p. 140, n. 16, non data le lettere che compongono il iv libro oltre il 1347.

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petrarca, giovanni d ’ andrea e il destinatario di fam iv 15-16 45
tivo che si trasforma, per chi ha provato a contestare l’identificazione tradizionale, nell’onere
di suggerire almeno un nome alternativo.
Le due lettere in questione dicono molte cose quanto alla personalità di colui cui erano ori-
ginariamente dirette. 1 Può essere allora il caso di raccogliere questi elementi, in buona parte
già emersi, ricordando che si tratta senza dubbio alcuno di un giurista, di qualcuno, vale a dire,
che professava il diritto civile o canonico.
Il destinatario, come si è visto sopra, viene apostrofato quale « pater », 2 e in un altro luogo
viene detto essere già venerando per l’età. 3 Viene così fornita prima di tutto una indicazione
anagrafica, poiché, e al di là di convenzioni stilistiche o espedienti retorici, dovrebbe per lo
meno avere qualche anno più di Petrarca, se non addirittura appartenere alla generazione
precedente, e essere già in età non giovane, secondo la percezione e le convenzioni dell’epoca,
al momento della composizione della lettera. Per precisare questa indicazione, non dovrebbe
cioè essere nato oltre il 1290.
Si tratta inoltre di un personaggio che ha raggiunto una fama notevole, se non propriamen-
te la celebrità, nel proprio ambito di studi : l’espressione « in tua professione clarissimus » 4 può
forse contenere anche un aspetto ironico, può essere un cedimento a convenzioni retoriche,
ma proprio in questa prospettiva non risulterebbe davvero efficace se non contenesse almeno
una parte di verità. Andrà pertanto cercato tra gli intellettuali giuristi che allora spiccavano.
Petrarca in due occasioni gli si rivolge qualificandolo quale giudice, si intende nell’ambito
della controversia letteraria che si sta agitando tra loro. 5 Potrebbe trattarsi di un espediente re-
torico che fa riferimento semplicemente e in senso lato alle competenze giuridiche del destina-
tario ; oppure potrebbe rappresentare una allusione più precisa al fatto che questi ha effettiva-
mente svolto tali funzioni, cosa del resto affatto normale tra i professori civilisti e canonisti. 6
Le lettere contengono poi indicazioni importanti quanto alle frequentazioni del destinata-
rio, che può venire qualificato, e in questo caso senza alcuna retorica, « amicus » di Giacomo
Colonna il giovane 7 e che dovrebbe conoscere Oldrado da Ponte. Petrarca afferma di inviargli
la prima delle due lettere per il tramite di un amico fidato ; 8 il che potrebbe indurre a pensare
che condividano, almeno in parte, lo stesso giro di frequentazioni e amicizie.
Petrarca si diffonde poi quanto agli interessi culturali dell’interlocutore, che dimostra una
considerazione particolarissima per san Gerolamo, tanto da anteporlo a sant’Agostino quale
padre della chiesa latina, 9 e una sensibilità spiccata per Valerio Massimo tra gli autori « mora-
les ». 10 Si caratterizza per un aspetto che, a quanto pare, dovrebbe costituire anche la critica più
sostanziale, o forse meglio la ragione più profonda delle critiche che Petrarca gli rivolge. Non
concepisce e non pratica la scienza giuridica quale ambito settoriale e specifico della cultura,
ben delimitato e rinchiuso entro i propri confini ; al contrario, frequenta autori e testi estra-
nei, o per lo meno che Petrarca considera tali, alla scienza giuridica e li integra all’interno di
questa. 11 Segue evidentemente un programma che vede nel diritto il sapere per eccellenza
1
Proprio la copiosità di riferimenti circostanziati induce a respingere l’ipotesi che il destinatario sia una finzione let-
teraria, una figura di giurista inesistente e costruita ad hoc da Petrarca stesso ai fini dell’elaborazione di una polemica
2
letteraria. iv 15, 1 ; iv 15, 4.
3
iv 15, 17 : « Tu vero in hac etatis parte venerabilis et in tua professione clarissimus » [Tu, venerabile per età e famoso
4
nella tua professione]. iv 15, 17.
5
iv 15, 15 : « te rerum tuarum iudicem statuo » [ti faccio giudice delle cose tue] ; iv 16, 2 : « te iudicem feci omnium que
dixi aut dicam […] Ades : ergo ad tribunal tuum provoco ; nullis assessoribus opus est, solus sede » [ti ho fatto giudice di
tutto ciò che ho detto e dirò […] Sei qui : mi appello al tuo tribunale. Non c’è bisogno di assistenti : giudica da solo].
6
Va ricordato a questo punto che proprio Giovanni d’Andrea costituisce una eccezione a tale consuetudine ; egli infatti
ebbe presto cattedra e non fu mai attivo nell’amministrazione della giustizia.
7 8
iv 15, 3. iv 15, 13.
9
Vd. iv 16, 3, citata sopra, p. 41 n. 1.
10
iv 15, 5 : « te inter morales Valerium preferre, quis non stupeat […] ? » [chi non si stupirebbe del fatto che tra gli scrit-
tori di morale tu preferisci Valerio Massimo ?].
11
iv 15, 17 : «nescio quo iuvenili animo, dimissis finibus tuis in alienis pratis otiosus et vagus, inclinata iam die, inter-
legendis flosculis tempus teris » [non so per quale ardore giovanile, abbandonando il tuo terreno, perdi il tuo tempo a
raccogliere fiorellini vagando ozioso per i prati altrui mentre la tua giornata volge al termine] ; iv, 15, 19 : « Uni ingenio
satis est unius studii gloriam mereri : qui multarum titulis artium superbiunt, aut divini homines sunt aut impudentes aut

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46 mario conetti
sull’uomo, per lo meno considerato nella sua dimensione sociale : un sapere complessivo e
articolato che può fare riferimento a tutti quei testi che possono risultare significativi. Con
ogni probabilità, l’anonimo interlocutore doveva fondarsi anche sull’attenzione al linguaggio,
dagli aspetti logico grammaticali a quelli comunicativi e retorici, che senza dubbio appartiene
al sapere giuridico (non solo medievale), per rivendicare competenze nell’ambito degli studi
letterari. Petrarca coglie e critica questa impostazione dandole un significato diverso da quello
che doveva avere nell’opera del suo interlocutore. Laddove questi, a quanto pare verosimile,
intendeva per così dire dilatare i confini della scienza giuridica per farne la scienza dell’uomo
complessivamente considerato e della comunicazione, Petrarca lo intende come un volere an-
dare al di là dei confini molto precisi entro cui vorrebbe vedere rinchiusa la scienza giuridica,
confini rappresentati prima di tutto da un blocco omogeneo e concluso di fonti.
Quanto poi alle particolarità dei suoi modi di scrittura, può essere definito, quanto meno
in alcune sue prove, verboso 1 e soprattutto, secondo la comprensione epistemologica della
scienza giuridica poc’anzi ricordata, ama molto citare (a sproposito e senza conoscerli davvero,
secondo il giudizio personale di Petrarca) autori non giuristi inserendoli entro le esposizioni
della scienza giuridica. 2
Un passo di iv, 16, fa riferimento a un rapporto con Bologna, 3 di cui peraltro non permette
di precisare con sicurezza i termini. La lettura più ovvia è che si tratti di un cittadino bolognese
che è anche celebrato professore in quella stessa città, illustrandola così con la sua presenza
e attività. Più ovvia, certo, ma non unica. Potrebbe alludere a rapporti diversi, meno stretti e
organici, con Bologna e gli studi universitari di diritto che vi fiorivano.
Su questa base risulta possibile individuare nel civilista bergamasco Alberico da Rosciate una
figura che corrisponde alle caratteristiche escerpite dalle due lettere. Alberico da Rosciate 4 non
dovrebbe essere nato oltre il 1290 e, nel giro di anni in cui iv 15-16 possono essere state compo-
ste e diffuse, era un personaggio attivo e celebre sui due versanti delle alpi sebbene non stesse
reggendo cattedra, pur avendo certo svolto anche compiti di insegnamento. Aveva ricoperto
a lungo e in diverse riprese le funzioni di giudice, in particolare quale assessore di svariati po-
destà, secondo quanto riporta in moltissimi luoghi dei suoi scritti. Cita molto spesso Oldrado
da Ponte, che mostra di conoscere. Soprattutto, secondo quanto ha dimostrato Giuseppe Bil-
lanovich, 5 Alberico da Rosciate era legato all’ambiente dei cardinali Colonna, per il tramite del
cardinale suo conterraneo Guglielmo Longhi. 6 Non mancavano gli amici comuni a Petrarca e

insani » [A un uomo d’ingegno basta meritare la gloria in un solo campo : quelli che si fregiano dei titoli di molte arti, o
sono esseri divini oppure impudenti e pazzi].
1
iv, 15, 1 : « epystola tua […] quanquam tibi verbosa videretur » [la tua lettera (…) benché ti sia sembrata troppo lun-
ga].
2
iv, 15, 16 : « Animadverti te in scriptis tuis omni studio ut appareas niti ; hinc ille discursus per ignota volumina, ut ex
singulis aliquid decerpens rebus tuis interseras » [Ho notato che nei tuoi scritti ti sforzi in ogni modo di ben figurare : onde
quel tuo trascorrere per volumi sconosciuti per infilare tra le tue cose quello che avrai strappato].
3
iv 16, 13 : « expedita responsio est, quamvis tibi et civitatem et studium maxime illustranti, minime, ut arbitror, pla-
citura » [è facile rispondere a te che esalti al massimo grado una città e uno studio che – ne sono convinto - ti piacciono
così poco].
4
Sia consentito il rinvio ai miei due lavori : La dottrina dell’impero e la donazione di Costantino in Alberico da Rosciate, in
Studi di storia del diritto, ii, Milano, Giuffré, 1999, pp. 303-405 e L’origine del potere legittimo. Spunti polemici contro la donazione
di Costantino da Graziano a Lorenzo Valla, Parma, Salvadé, 2004, partic. pp. 107-112. Alberico da Rosciate (ca. 1290-1360),
giurista bergamasco formatosi a Padova, fu attivo nella vita politica della sua città, dove contribuì all’affermazione dei
regimi signorili di Giovanni di Boemia e poi dei Visconti ; legato alla politica viscontea e a più riprese ambasciatore presso
la curia avignonese ; autore di ampie e approfondite letture a tutte le sezioni del diritto romano giustinianeo, come del
primo compiuto dizionario giuridico. Lettore appassionato di Dante, riscrive in latino, amplificandolo, il commento alla
Commedia di Jacopo della Lana e correda di chiose originali il poema sacro ; per questo aspetto della sua attività cfr.
inoltre la voce a lui dedicata da Marco Petoletti in Censimento dei commenti danteschi, vol. i t. 1, Roma, Salerno editrice,
2011, pp. 10-18.
5
Giuseppe Billanovich, Epitafio, libri e amici di Alberico da Rosciate, « Italia medievale e umanistica », iii, 1960, pp.
353-369.
6
Per cui, in particolare per quanto qui interessa ossia i rapporti col partito cardinalizio dei Colonna e degli Orsini, cfr.
la voce dovuta a Guido Cariboni nel Dizionario biografio degli italiani, vol. 65, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
2005.

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petrarca, giovanni d ’ andrea e il destinatario di fam iv 15-16 47
a Alberico da Rosciate, a cominciare proprio dal nipote del cardinale Longhi, Matteo. Petrar-
ca e Alberico da Rosciate appartenevano allo stesso ambiente, lo stesso giro di conoscenze
e sensibilità letterarie, appunto ricostruito da Billanovich. Ricorrono spesso nelle sue opere
citazioni di Valerio Massimo, proprio in chiave etico morale. Mostra una considerazione altis-
sima per san Gerolamo, basata sull’apporto fondamentale che diede alla cristianità di lingua
latina con la versione della sacra scrittura. 1 È sufficiente un’occhiata alla mole delle sue opere,
e all’ampiezza delle singole trattazioni che le compongono, per rendersi conto che può a buon
diritto essere definito « verbosus ». La sua impostazione scientifica è caratterizzata dall’intento
di inserire entro la « civilis sapientia » apporti provenienti dalla teologia e dalla cultura classica :
coerentemente, la sua esegesi ai testi romano giustinianei si sostanzia di continui riferimenti a
autori non giuristi, da Aristotele ai padri della chiesa, da Cicerone a Dante Alighieri. A quanto
risulta dalla documentazione, Alberico da Rosciate non tenne mai cattedra a Bologna ; pure
nel proemio, dedica la sua Lectura Codicis « Reverendissimo honorabilique collegio scientiae et
excellentiae singularis doctorum utriusque iuris studii bononiensis » : potrebbe quindi essere
lecito dire che ha, in qualche modo, “illustrato” Bologna.
Oltre a frequentare lo stesso ambiente curiale e culturale, Alberico da Rosciate e Petrarca
potrebbero essersi conosciuti personalmente. Alberico fu alla curia di Avignone nel 1337 quale
ambasciatore dei Visconti, in un periodo in cui anche Petrarca risiedeva sulle rive del Rodano.
Tenuto conto di come condividessero, già prima di quella data, frequentazioni di ambienti e
personaggi, non è affatto fuori luogo pensare che abbiano potuto incontrarsi.
Auspicabilmente, in base alle considerazioni sopra sviluppate, dovrebbe essere il caso di
rimuovere l’identificazione tradizionale, o tralatizia, dell’anonimo destinatario di Fam., iv 15-16
con Giovanni d’Andrea, pur in assenza di argomenti necessitanti. 2 L’identificazione con Alberi-
co da Rosciate vuole essere invece soltanto un suggerimento. Dovrebbe apparire accattivante
arricchire la figura di questo notevolissimo lettore e commentatore di Dante con un rapporto
significativo con Petrarca, che lo avrebbe scelto quale destinatario, e non solo in senso episto-
lare, della polemica contro i giuristi o meglio contro un certo modo di intendere e praticare le
scienze giuridiche.
1
Come si esprime sinteticamente nel Dictionarium iuris s. v. “Ieronimus” ed. Bononiae, Henricus de Colonia, 15 set-
tembre 1481, segn. A 2 : « Ieronimus transtulit Bibliam de hebreo in latino », e tanto basta, nella prospettiva di Alberico, a se-
gnalarne l’eccellenza su tutti gli altri padri latini. Un confronto tra Agostino e Gerolamo a favore di quest’ultimo ad C. De
haereticis, super rubricam ; ed. In primam Codicis partem commentarii, Venetiis [Societas aquilae se renovantis], 1585, f. 40 rb.
2
Può sovvenire in questo caso la massima del diritto comune, relativa appunto alla costituzione della prova, per cui
« quod singula non prosunt, collecta iuvant ». Forse nessuno degli argomenti sopra addotti è di per sé decisivo, per quanto
le considerazioni in merito allo stile letterario di Giovanni d’Andrea, già formulate da Tiraboschi, e alla sua estraneità
al giro dei cardinali Colonna dovrebbero risultare pesanti ; a ogni modo, dalla loro accumulazione dovrebbe risultare
dimostrata la tesi che informa queste pagine.

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