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Dal «sermo modernus» alla retorica «borromea»

Author(s): Carlo Delcorno


Source: Lettere Italiane , OTTOBRE-DICEMBRE 1987, Vol. 39, No. 4 (OTTOBRE-DICEMBRE
1987), pp. 465-483
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

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Anno XXXIX - Ν. 4 Ottobre-Dicembre 1987
I

Dal «sermo modernus»


alla retorica «borromea»

Mentregetto
in questi
di studiultimi annie metodologicamente
numerosi, la predicazione medievale
scaltriti,1 ènon
og
esiste una storia della predicazione del Quattro e Cinquecento fatta
con intendimenti moderni, che tenga conto dell'intreccio di problemi
religiosi, sociali e letterari connessi con questo genere di discorso.2
Scrivere questo capitolo della storia culturale del Cinquecento non è
certo impresa facile: non vi è battaglia religiosa ο tentativo di rinno
vamento della Chiesa, dai Concili di Costanza e Basilea al Concilio
Lateranense V (1512-16), al Concilio di Trento (1563) che non ri

1 Si vedano per la bibliografìa più recente R. Rusconi, Predicazione e vita religiosa


nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher 1981; L. Bol
zoni, Oratoria e prediche, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, 3 Le forme
del testo, II La prosa, Torino, Einaudi 1984, pp. 1041-1057; C. Delcorno, Predicazione
volgare dei secc. XIII-XV, nel Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da
V. Branca, 2* ed., Torino, Utet 1986, vol. Ili, pp. 532-544.
2 Inadeguati i panorami tracciati da A. Galletti, L'eloquenza (Dalle Origini al
XVI secolo), Milano, Vallardi 1904-1938; E. Santini, L'eloquenza italiana dal Concilio
tridentino ai giorni nostri, Milano-Firenze, Sandron 1923; E. Vercesi, L'eloquenza
dal secolo XVII ai giorni nostri, Milano, Vallardi 1931-1938. Per la predicazione del
Cinquecento cfr. P. Tacchi-Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, Roma, vol. I,
t. 1, Ed. «La Civiltà cattolica» 1951, pp. 291-310; M. Scaduto, Storia della Com
pagnia di Gesù in Italia, III L'epoca di Giacomo Lainez (1556-1565). Il governo,
Roma, Ed. «La Civiltà cattolica» 1964, pp. 367-371; IV L'epoca di Giacomo Lainez
(1556-1565). L'azione, Roma, Ed. «La Civiltà cattolica» 1974, pp. 532-581.
Poco utile ormai lo studio di Arsenio D'Ascoli, La predicazione dei Cappuccini
nel Cinquecento in Italia, Loreto, Libreria S. Francesco 1956. Cenni alla predicazione
cappuccina nel volume collettivo Le origini della Riforma cappuccina, Atti del Con
vegno di studi storici, Camerino, 18-21 settembre 1978, Ancona, Curia provinciale dei
frati Cappuccini 1979. Si vedano in particolare le relazioni di O. Schmucki, La figura
di s. Francesco nelle prime Costituzioni Cappuccine [...], pp. 121-157; e di F. Azzo
pardi, Gli studi nel primo cinquantennio della Riforma cappuccina, S. Salvatore Petit
pp. 281-299.

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466 Carlo Delcorno

corra alla predicazione come all'


dei propri programmi. Solo alcu
complesso sono stati affrontati c
diosi di storia religiosa: si pensi
rigo e Prodi sul rinnovamento de
di Prosperi e Ginzburg e Ossola
anni Trenta,4 ai saggi recentissi
savonaroliano.5
Scarso è invece l'interesse dell
raria per l'oratoria sacra, sebben
un illuminante intervento che r
prima volta nel Cinquecento un
lettere, mettendosi in condizion
Giovan Battista Marino. Poco di
che, attraverso una serie di conf
determinano la decadenza del ser
modernus ο tematico ο scolastico
tina, definita e regolata dapprim
e destinata a giungere a piena m
suet e Segneri. Occorre innanzitu
retorica ' borromea '7 per ricostru

3 Cfr. P. Prodi, Il cardinale Gabriele


e letteratura 1959, vol. II, cap. IX (Pred
rigo, Il tipo ideale di vescovo secondo la
rigo, Carlo Borromeo e il suo modello di
Convegno Internazionale nel IV Centena
Roma, Ed. di Storia e letteratura 1986,
4 Cfr. A. Prosperi, Tra evangelismo e C
Roma, Ed. di Storia e letteratura 1969, p
di pazienza. Un seminario sul «Benefici
Nei ' Labirinti ' del « Beneficio di Crist
riforme e manierismi, a cura di V. Br
pp. 385-425.
5 Cfr. O. Niccoli, Profeti e popolo nell'Italia del Rinascimento, Bari, Laterza 1987,
soprattutto il cap. IV (La predicazione apocalittica da Andrea Baura a Zaccheria da
Fivizzano).
6 Cfr. G. Pozzi, Intorno alla predicazione del Panigarola, in Problemi di vita
religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova, Antenore 1960, pp. 315-322. Ora sull'argo
mento torna J. O'Malley, Borromeo as Pastor and Educator, relazione tenuta al Con
vegno su S. Carlo Borromeo: Catholic Reform and Ecclesiastical Politics in the second
Half of the sixteenth Century (Washington, October 25-27, 1984). Si veda intanto il
resoconto dello stesso O'Malley in « Rivista di storia della Chiesa in Italia », XXXIX
(1985), pp. 250-252.
7 Cfr. P. Bayley, French Pulpit Oratory 1598-1650. A Study in Themes and
Styles with a Descriptive Catalogue of Printed Texts, Cambridge, Cambridge University
Press 1980, pp. 45-53. Fondamentale è l'ampia trattazione di M. Fumaroli, L'âge de

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 467

e gli aspetti della crisi retorica alla quale la generazione di s. Carlo


pone fine.
A metà del Cinquecento, applicando i canoni del Concilio di
Trento (soprattutto il Decretum de lectoribus et praedicatoribus Sa
crae Scripturae del 1546, confermato nel 1563),8 si assiste ad uno
sforzo senza precedenti per stabilire e diffondere le regole di un'ora
toria sacra, che esalta la figura del vescovo sopra ogni altra dignità
ecclesiastica e civile. Si apre, soprattutto in Italia e in Spagna, un
atelier di retorica, più attivo di qualsiasi accademia umanistica, più
efficace persino della rete di scuole che tre secoli prima era stata im
piantata dagli Ordini Mendicanti.9 Per non smarrirsi nella selva dei
manuali di retorica sacra sarà opportuno esaminare innanzitutto la
legislazione del Borromeo, in particolare le lnstructiones praedicatio
nis Verbi Dei (emanate nel 1573 dal Terzo Concilio provinciale),10
integrandola con la lettura dei trattati scritti dai suoi collaboratori
(il Valier e il Boterò). Accanto alle norme disciplinari, alle racco
mandazioni sul tirocinio del futuro predicatore, non mancano precisi
rilievi sulle cinque parti dell'orazione (inventio, dispositio, elocutio,
memoria e actio). Argomento essenziale della predicazione è la Scrit
tura, ma anche la spiegazione delle cerimonie liturgiche, l'agiografia,
e un certo numero di luoghi comuni, che erano già tipici della pre
dicazione medievale: la condanna della moda femminile licenziosa,
delle danze, del gioco, della sfarzosa esibizione della servitù, degli
spettacoli immorali.11 Nell'esposizione della Scrittura il predicatore

l'éloquence. Rhétorique et « res literaria » de la Renaissance au seuil de l'époque clas


sique, Genève, Droz 1980, ch. III (Le Concile de Trente et la réforme de l'éloquence
sacrée).
8 Cfr. M. Fumaroli, L'âge de l'éloquence cit., p. 137.
9 Cfr. M. Fumaroli, L'âge de l'éloquence cit., p. 138: « Directement sous son
influence ou indirectement sous l'effet de l'heureuse conclusion du Concile, s'ouvrit en
Italie et en Espagne un véritable ' atelier ' de rhétorique, plus prolifique qu'aucune
école de sophistes antiques ou qu'aucune Académie humaniste ». Sugli Studia dei Men
dicanti informano R. Antonelli, L'Ordine domenicano e la letteratura nell'Italia pre
tridentina, e C. Bologna, L'Ordine francescano e la letteratura nell'Italia pretridentina,
in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. I II letterato e le istituzioni,
Torino, Einaudi 1982, pp. 681-728 e 739-744.
10 Cfr. Instructiones praedicationis Verbi Dei. Ex Concilii provincialis III, de
creto [...] editae S. Caroli [...] jussu, in Introductio ad Sanctorum Patrum lectionem,
auctore A. B. Caillau, vol. I, Mediolani, Stella 1830, pp. 750-811. La prima edizione
è negli Acta Ecclesiae Mediolanensis, Pars II (Mediolani, apud Pacificum Pontium
1582, ff. 212v-22lr).
11 Sono temi che ricorrono puntualmente nella predicazione di s. Carlo. Cfr.
A. Annoni, Carlo Borromeo e la società secolare, in San Carlo e il suo tempo cit.,
vol. II, pp. 889-960.

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468 Carlo Delcorno

deve osservare precise norme: ev


interpretazioni bizzarre e nuove,
possono trarre in errore la moltit
gli eretici, a meno che egli li debb
dosi « in locis eorum fìnitimis ».1
(De iis quae ad formant concionis
discorso, che già nel Quattrocento
sacra; ed era composto dall'exordi
sere divisa in alcuni punti, e da un
ghiera « more sanctorum patrum
cate di nuovo nel capitolo dedicato
per stabilire il tono di voce adatto
qui presentata quasi come una str
cem sedatam adhibeat, et quotidi
tione vocis varietate utatur, ut qu
rare videatur: res enim strenue g
dignitatem habent, plenis faucibu
In cohortatione, quae in epilogo co
nuatissima, quae fit faucibus con
obstrepero; mox sono aequabili;
Le pagine sull'elocutio (De elocuti
condanna generica dello stile ricer
in questo caso il Borromeo non rinu
invitando a tralasciare gli arcaism
metafore e le similitudini insolite
delle formule che introducono i p
quenti esclamazioni: insomma, dir
quegli elementi lessicali e retoric
vadenza della parte significante de

12 Si veda il capitolo Materia sacrae conci


pp. 779-778. La stessa preoccupazione è m
del De praedicatore Verbi Dei, scritto per
dière 1584, f. 92y [De haeresibus apud C
13 Cfr. Instructiones cit., pp. 803-804.
14 Cfr. Instructiones cit., pp. 808-810.
cfr. H. Dansey Smith, Preaching in the
Preachers of the Reign of Philip III, Oxf
«The sermon may [...] be considered not
structure ». Si veda anche, a proposito d
predicación de Pedro de Valderrama (15
ciones recientes), in «Rivista de literatu
pp. 24-25.

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 469

significata.15 Ciò che sorprende nelle Instructiones di s. Carlo è la man


canza di riferimenti al tipo del sermone medievale, che era stato il
principale bersaglio degli Umanisti e di Erasmo in particolare, e che
era ancora criticato da Marc'Antonio Natta nel De christianorum elo
quenza, pubblicato nel 1562; 16 e però era descritto accuratamente in
una delle più importanti retoriche dell'età ' borromea ', l'Eclesiastica
Rhetorica di Luis de Granada.17 S. Carlo ha ben chiara l'idea che di
quell'edificio retorico, costruito dai Mendicanti nel secolo XIII tra la
cattedra dell'Università e il pulpito, si possono utilizzare alcuni ma
teriali; ma che esso non corrisponde agli scopi dell'oratoria postriden
tina, nella quale il movere prevale nettamente sul docere, determi
nando una sistematica e costante ricerca della tensione patetica, che
deve essere presente in tutte le parti dell'orazione, come il sangue cir
colante in tutte le membra del corpo (« Dabit igitur operam, ut que
madmodum per singula corporis membra sanguis diffunditur, ita in
omnibus concionis suae partibus quaedam insint, quae ad commoven
dum valeant »).18 Non solo, egli è vivamente cosciente del fatto che
anche le strutture dell'orazione classica, note ormai ad ogni persona
colta, e utilizzate da più di un secolo dalla predicazione cristiana,
vanno semplificate secondo il modello dell'omiletica dei Padri greci
e latini. È questo un nodo culturale sul quale è necessario insistere,
poiché il sermone medievale, ο tematico, si era detto modernus pro
prio per prendere le distanze dal modus antiquus dei Padri, che era

15 Cfr. Instructiones cit., pp. 806-807. Questa tendenza è già manifesta nel Pani
garola. Cfr. G. da Locarno [Pozzi], Saggio sullo stile dell'oratoria sacra nel Seicento
esemplificata sul P. Emmanuele Orchi, Romae, Inst. Hist. Ord. Fratrum Minorum
Cappuccinorum 1954, pp. 123-124.
16 Cfr. Marci Antonii Nattae astensis, De Christianorum eloquentia liber, in
Volumina quaedam nuper excussa [...], Venetiis, Aldus 1562, ff. 79-80: « Nullus
apud illos verborum cultus, nullus orationis nitor, tenent quasdam argumentorum
formulas, quibus unumquodque reiicitur vel probatur. Eruditis viris satisfacere queunt,
sed in vulgus sermo eorum exire non potest, tum quia scaber, tum quia affectus animi
nudis utens syllogismis non commovent [...] Aliis hos Theologos, Scholasticos, alii
Parisienses vocant, propterea quod hoc docendi genus in Parisiorum urbe vel institu
tum fuerit vel magis frequentatum ». All'origine di questa cattiva predicazione è lo
stile oscuro di Aristotele, al quale il Natta oppone l'eloquenza dei Padri della Chiesa.
17 Si veda Ecclesiasticae Rhetoricae sive de ratione concionandi libri sex Ludovico
Granatensi monacho Dominicano auctore [...] Venetiis, ap. F. Zilettum 1578,
pp. 172-173 (lib. IV cap. VI De genere concionis didascalico). L'obiezione fonda
mentale a questo genere didascalico è che non è adatto a movere (« docendi gratia
magis quam movendi adhibetur »). Cfr. M. Fumaroli, L'âge de l'éloquence cit., p. 143.
18 Cfr. Instructiones cit., p. 762. Sono immagini che tornano nel De praedicatore
Verbi Dei del Boterò (lib. Ili, ed. cit., f. 43r): «Non enim muliebrem venustatem,
sed virilem quandam dignitatem secantur; nec fuco illitum, sed sanguine diffusum
colorem adamant ».

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470 Carlo Ό eie or no

da ammirare, in quanto ispirato dallo


tare da parte di ecclesiastici che erano
intellettuali, armati dei nuovi strume
Galles, un maestro francescano che in
fine del Duecento notava nella sua ars
doctores antiqui de thematis divisioni
rabant, sed Spiri tu Sancto edocti, div
dam massa, protulerunt ».19 Su questo
torica del Borromeo, come su tutti i
nelle Instructiones, torna con una tra
vescovo veronese Agostino Valier, che
dell'Accademia delle Notti Vaticane, p
ebbe la commissione del De rhetorica e
del seminario milanese e della diocesi
blicato a Venezia nel 1574, e a Parigi
pleti e acuti tra quanti uscirono dalla
Il Valier, pur trattando delle parti del
retorica antica, precisa che nell'oratori
tamente necessarie, la propositio e la p
sunt ad minimum orationis ecclesiasti
propositum; et probatio, hoc est argum
L'esordio e l'epilogo sono riservati solo
detta norme anche per queste parti fa
dium egli dedica tre capitoli, distingue
grave et breve, abruptum ο esclamati
l'epilogo il Valier distingue la duplice f
che serve a ricapitolare tutto il discor
tiva del pubblico (« ut cum aliqua com
al che può servire una breve e intensa

19 Cfr. il mio studio su Giordano da Pisa e l'an


Olschki 1975, p. 107.
20 Cito dall'ed. di Venezia, ap. Andream Bo
Notti Vaticane era retta dal Borromeo che ave
aveva il titolo di Obbediente. Cfr. P. Paschini,
romeo a Roma (1560-1565), in « Lateranum »,
rigo, Carlo Borromeo e il suo modello di vesc
21 Cfr. De rhet. eccl., Ili 45 (ed. cit., p. 232
22 Cfr. De rhet. eccl., Ili 47 (De verecundo
exordio); III 49 (De exordio abrupto).
23 Cfr. De rhet. eccl., Ili 58 (De epilogo): «
accomodar! possent his temporibus illa verba N
interdum implorantes, dicamus: peccavimus, ini
cit., p. 260). Il Panigarola (cfr. Il Predicatore o

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 471

alla propositio, la parte centrale e necessaria del discorso, sono le più


interessanti per chi voglia rendersi conto del rivolgimento di modelli
avvenuto nell'oratoria sacra tra Medioevo e Rinascimento. Preoccu
pazione fondamentale del predicatore deve essere quella di ridurre
ad unità l'orazione, concedendosi solo qualche digressione sui temi
fondamentali della dottrina morale, quei « praecepta utilia saepe ite
randa » che abbiamo già segnalato nelle Instructiones del Borromeo:
« Post exordium, vel loco exordii, utatur ecclesiasticus orator pro
positione; in qua haec sunt necessaria: ut sit una, aut ad unum redi
gatur, ut sit catholica, ut sit popularis ».24 Vent'anni più tardi, un pre
dicatore famoso come il Panigarola non esiterà ad affermare che la
predica deve rispettare l'unità della propositio « in quella maniera che
Aristotile nella Poetica dice che il poema non è uno, se non è una
l'attione ».25 Il Valier rinvia non ad Aristotile, ma ai modelli patri
stici, e subito ricorda che Giovanni Grisostomo soleva incentrare
l'omelia su di un unico argomento (« Beatus Chrysostomus singulas
suas homilias ad singulas propositiones saepe redigit [...] »), e che
in tal modo procedevano Giovanni Nazianzeno e Basilio, Cipriano,
Ambrogio, Bernardo e Zeno. La propositio può essere trattata serven
dosi di una divisione in parti, utile alla chiarezza dell'esposizione, e
che però non va confusa con la divisio del thema, caratteristica del
sermone medievale. Il Valier consiglia di non usare mai divisioni che
superino le tre ο le quattro parti, per non generare confusione, e per
non imitare i cattivi cuochi, i quali sbranano le carni anziché divi
derle: « Cavendum est, ne ita instrumento dividendi delectetur orator,
ut confusionem pariat potius quam ut memoriae consulat. Concionem
suam in partes, non in frusta dividat. Non imitetur malos coquos, qui
discerpunt potius quam dividunt carnes ».26 L'uso di distinguere in
tre ο quattro parti l'orazione è proprio dei grandi predicatori contem
poranei,27 i quali ritengono che ciò sia utile anche ad una migliore di

intorno al libro dell'Elocutione di Demetrio Falereo, Venezia, Ciotti 1609, p. 114),


proprio appellandosi alle norme di s. Carlo e del Valier, raccomanda che le preghiere
finali siano «non prolisse e lunghe; ma assai brevi».
24 Cfr. De rhet. eccl., Ili 50 (p. 237). Dei « praecepta utilia » si tratta a p. 239:
« Praecepta utilia (ut sancti patres fecerunt) saepe iteranda, et crebro eadem de re,
prò utilitate audientium, adhibendae sunt hortationes, et reprehensiones, etsi locus
Evangeli aut Epistolae quam récitât Ecclesia, postulare non videatur ».
25 Cfr. Modo di comporre una predica del Rev. Panigarola, vescovo d'Asti. Con
l'aggiunta di un trattato della memoria locale, in Padova, F. Bolzetta 1599, p. 6.
26 Cfr. De rhet. eccl., Ili 56 (De divisione, quae veluti instrumentum propositioni
servit), p. 259.
27 Sull'usanza di dividere in tre parti la predica cfr. P. Bayley, French Pulpit

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472 Carlo Delcomo

zione « eo quod ter conquiescant


nentes populis, loqui incipiant
rebbe biasimare un'usanza ormai
deve rimproverare i chierici i qu
« qui unico filo orationis, homil
il metodo più conveniente a chi
mentre la tecnica della triplice
tori straordinari « qui de superi
quanto, aggiunge subito l'autore
verborum et connexione sentent
gas conciones ad populum habuis
preferenze del Valier, il quale, g
sione, esorta i suoi lettori ad u
l'eloquenza familiare e paterna p
cidat [...] ut e clericis ad quos sc
eos hortarer, ne famam concionato
illam dicendi formam, quam exp
Il Panigarola, che dopo essere
s. Carlo, diventò a sua volta vesc
questo doppio livello della retori
che la nuova dignità episcopale l
complesse dell'oratoria, convene
sona [...] il ragionar dal pergam
mente ».29 Rispetto alla linea cice
verso i trattati del Natta e del Ba

Oratory, 1598-1650 cit., p. 108. Corne


ultimo G. De Rosa, Il francescano Corne
di Bitonto, in «Rivista di storia della C
dividere le prediche in quattro parti, e
riposare, di fare sosta. Si veda ad esempio
luoghi, Venezia, Gabriel Giolito de' Fer
tenuta in cattedrale per l'ingresso nella
semplici, che segnano la conclusione de
che siate benedetti, et cetera» (Prima Part
(Seconda Parte); «Due parole sole, et an
(Terza Parte). Alla fine vi è una solenne
28 Cfr. De rhet. eccl., Ili 56 (p. 260).
29 Cfr. Il Predicatore, Particella XII,
leotti il Borromeo distingue l'oratoria s
del popolo, dalla predicazione più artific
a stampa ». Cfr. P. Prodi, Il cardinale
30 Cfr. M. Fumaroli, L'âge de l'éloqu
de L'Arte del predicare contenta in tre
Andrea Torresano 1562.

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 473

alla scuola dei Gesuiti, la trattatistica ispirata dal Borromeo segna un


arretramento della retorica, subordinata alle cose sacre, all'utilità de
contenuti. Punto di riferimento non è tanto il De oratore di Cicerone
quanto il De doctrina Christiana di Agostino, e subordinatamente
VEcclesiastes di Erasmo. Eppure l'atteggiamento del Borromeo ha il
merito di salvare le ragioni fondamentali della retorica, negate da
alcune forme della predicazione cinquecentesca (si pensi a quella
dei primi Cappuccini),31 e disconosciute da più di un trattatista, come
ad esempio Lorenzo da Villavicente {De formandis sacris concioni
bus).32 Questa capacità di mediazione tra le opposte correnti della pre
dicazione del Cinquecento spiega in parte il successo della retorica
' borromea ', che in ultima istanza è però deciso dalla rete di collegi
e di seminari nei quali essa viene insegnata in tutta l'Europa catto
lica. Per la prima volta, come osserva Marc Fumaroli, la riforma del
l'eloquenza sacra coincide con la riforma disciplinare, sicché parados
salmente l'abbandono del ciceronianismo paganeggiante favorisce, nel
clima della Riforma cattolica, un vero trionfo dell'eloquenza, elevata
alla dignità di officio sacerdotale e apostolico, e strettamente connessa
al prestigio episcopale, essendo la predicazione « praecipuum episco
porum munus ».33 Si esce in tal modo da un lungo periodo di incer
tezza e di conflitti ideologici e retorici, che era iniziato verso la metà
del Quattrocento. Allora l'Umanesimo, ormai sicuro delle sue ragioni,
aveva attaccato frontalmente tutto il sistema della predicazione me
dievale, esercitata quasi esclusivamente dai Mendicanti, per lo più
nella forma itinerante, e secondo le tecniche del sermo modernus.
A questo modello gli umanisti avevano contrapposto un'oratoria ispi
rata alle regole della retorica classica, più adeguata alla nuova cultura
e alle diffuse aspirazioni ad una religione più interiore. La crisi del
l'eloquenza sacra, che si aggraverà nel Cinquecento per le disparate e

31 Cfr. Arsenio D'Ascoli, La predicazione dei Cappuccini cit., cap. Ili (Le Co
stituzioni e la predicazione). Nelle Costituzioni del 1536 si esorta a non aggiungere
« al nudo et humil crucifixo terse, phallerate et fucate parole, ma nude, pure, simplice,
humile et basse, niente di meno divine, infocate et piene d'amore» (p. 132). Si veda
anche C. Urbanelli, Storia dei Cappuccini delle Marche. Parte I, vol. II Vicende
del primo cinquantennio (1535-15S5), Ancona, Curia Provinciale FF. Cappuccini 1978,
pp. 475-520.
32 Cfr. Laurentius a Villavicentio, De formandis sacris concionibus seu de
interpretatione Scripturarum populari libri III, s.n.t. Su questo trattato si veda M. Fu
maroli, L'âge de l'éloquence cit., p. 126.
33 La predicazione è definita « praecipuum episcoporum munus » dal Concilio di
Trento (Quinta Sessione, 17 giugno 1546). Cfr. P. Prodi, Il cardinale Gabriele Pa
leotti cit., vol. II, p. 76.

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474 Carlo Delcomo

divergenti iniziative dei nuovi


può spiegare col duplice fallime
tano nella seconda metà del Qu
maneggiato in una forma più s
Siena, rimane del tutto estraneo
e quindi è destinato a isterilirsi
ad avere presso il grande pubb
conquista la curia romana, si ad
confraternite fiorentine, ma rim
e non può presentarsi come mez
Chiesa e della società. Per capire
del primo Cinquecento occorre r
tando di mettere in evidenza i
rimento il sermone medievale,
allo stato attuale delle ricerche, a
Accogliendo un topos agiogra
girici in onore di s. Bernardino
riformatore della predicazione
nella seconda metà del secolo X
ben predicare — afferma Giaco
a Padova nel 1460 - ha tolto lo
santo ».34 Tuttavia, come molti
un vero riformatore dell'eloqu
tende uno che nella predicazion
manifestate nuove teorie sopra la
neggia e semplifica il vecchio sc
della quaestio e della lectura ten
volevano i trattatisti àûYars pr
albero: il versetto scritturale, ο
è il tronco; la divisto segna lo

34 Cfr. C. Delcorno, Due prediche volg


nel 1460, in « Atti dell'Istituto Veneto
t. CXXVIII, Classe di scienze morali, l
altre testimonianze Z. Zafarana, Bernar
Bernardino predicatore nella società d
sulla spiritualità medievale», XVI, To
35 Cfr. G. Cantini, San Bernardino
S. Bernardino da Siena. Saggi e ricerch
(1444-1944), Milano, Vita e pensiero 1
rimando al mio studio L'ars praedicand
internazionale cateriniano-bernardinia
demia senese degli Intronati 1982, pp.

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 475

articolazioni più importanti del discorso; la dilatatio li complica di


nuove diramazioni secondarie, li carica di fronde e di frutti. Nuova e
inimitabile è in Bernardino l'elegante chiarezza delle partizioni del
discorso, nella quale entra certamente l'abitudine ad osservare le
norme elementari dell 'ars memorativa, la padronanza della lingua, il
registro mimico-declamatorio della sua ricchissima narrativa esempla
ristica, ormai condizionata dalla tradizione della novellistica borghese.36
Bernardino, che pure godette dell'amicizia di eminenti umanisti (da
Guarino a Vespasiano da Bisticci al Traversari), non si preoccupò
affatto di chiarire i rapporti tra l'eloquenza dei frati dell'Osservanza
e la nuova oratoria umanistica, ormai ben affermata nel discorso ci
vile. Il confronto invece non è più differibile nella seconda metà del
Quattrocento, quando la vittoria del movimento umanistico è defini
tiva, e le forme dell'oratoria classica tendono ad occupare le zone più
alte dell'oratoria sacra. È significativo che uno degli allievi più vicini
e più cari a Bernardino, Giacomo della Marca, tenti di descrivere e
di esaltare l'eloquenza del maestro riferendosi alla terminologia della
retorica classica, non delle arte s praedicandi-, e insinui addirittura che
Bernardino fosse più eccellente di Tullio. Nel già citato panegirico del
1460 egli afferma: « Erano adornate le sue prediche de eloquentia,
che se Tullio fosse ritornato, non averta acatado più exquisiti e ador
nati e diversi vocaboli, e fate le exchlamatione a luogi e tenpi a plau
dere et exortare [...] che se tuta la rethorica e Tullio iterum insembre
fosse stado, seria stà bastanza ».37 Questo atteggiamento di compro
messo, che sovrappone alle strutture scolastiche del sermo tematico
una superficiale veste umanistica, caratterizza la predicazione post
bernardiniana, nella quale l'impianto scolastico è soffocato da una fio
ritura parassitaria di auctoritates classiche e patristiche e canonistiche.
Una così goffa ostentazione di cultura classica, embricata con le cita
zioni canonistiche, era del tutto estranea allo stile di Bernardino, il
quale evitava i rimandi agli autori pagani, citando piuttosto alcuni
prediletti autori volgari, Dante e Iacopone;38 ed era anche lontana dal

36 Si vedano da ultimo M. Cataudella, Microstrutture narrative nelle prediche


volgari, e M. Montanile, Fonti e trasformazioni letterarie nelle senesi VII, XIII e
XXII, in 5. Bernardino da Siena predicatore e pellegrino, a cura di F. D'Episcopo,
Atti del Convegno Nazionale di studi bernardiniani (Malori, 20-22 giugno 1980), Ge
latina, Congedo 1985.
37 Cfr. Due prediche volgari cit., p. 178.
38 Cfr. il mio studio su L'« exemplum » nella predicazione di Bernardino da
Siena, in Bernardino predicatore nella società del suo tempo cit., pp. 92-93. Per le
citazioni iacoponiche e dantesche in Bernardino cfr. M. Bigaroni, S. Bernardino a

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476 Carlo Delcorno

raffinato gioco di allusioni e di c


umanisti. Roberto Caracciolo, con
di Pontano e del Galateo, amava
prattutto nei cicli messi a stampa
de penitentia, Quadragesimale de
bile di citazioni.39 Era un eserciz
ostentare tutte assieme la conoscen
le tecniche più scaltrite dell'arte
virtù ti bus recentemente pubblic
avere compendiato in un solo gior
oltre cinquecento citazioni (« Ego
sermones quos predicaveram ibi un
omnibus partibus, particulis, dist
lis, et notate fuerunt ultra quinqu
Predicatori come il Caracciolo, ο c
segnano il limite estremo di ques
misura diversa, è tipica del secon
una dimostrazione precisa scorren
tazione di Bernardino, tutti i pred
inserire nei loro cicli di predicazi
Giacomo della Marca raccolse tra i Sermones Dominicales42 ο i due
che Michele Carcano inserì nel De commendatone virtutum et repro
batone viciorum.n Accanto alle più consuete auctoritates giuridiche e

Todi, in «Studi francescani», LXXIII (1976), pp. 109-125; H. Rheinfelder, Dante,


il suo pensiero, il suo tempo nella predicazione di S. Bernardino da Siena, in Dante
nel pensiero e nell'esegesi dei secoli XIV e XV, Atti del Convegno di studi realizzato
dal Comune di Melfi (27 settembre-2 ottobre 1970), Firenze, Olschki 1975, pp. 93-113.
39 Cfr. O. Visani, La predicazione di Roberto Caracciolo e la Puglia, in « Critica
letteraria», L (1986), pp. 125-141, a p. 131.
40 Cfr. L. Gasparri, Sulla tradizione manoscritta delle prediche di Roberto da
Lecce. Con due sermoni inediti, in « Archivum franciscanum historicum », LXXIII
(1980), pp. 173-225, a p. 217.
41 Cfr. A. Alecci, in Dizionario biografico degli italiani, voi. 6, Roma, Ist. del
l'Enciclopedia Italiana 1964, pp. 399-400.
42 Cfr. S. Iacobus de Marchia, Sermones Dominicales. Introduzione, testo e
note di R. Lioi O.F.M., Falconara Marittima, Biblioteca Francescana 1978. Si vedano
il serm. 60 De gloriosa iustitia (vol. II, pp. 381-391); e il serm. 79 De magnificentia
et utilitate universalis ìustitie (vol. Ili, pp. 118-131).
43 Cfr. Sermonarium de comendatione virtutum et reprobatione viciorum, Milano,
U. Scinzenzeler 1495 [Hain-Copinger *4505]. Si vedano il sermo 54 della domenica
de Passione (De quiditate et specificatone iusticie) sul thema « Si quis sermonem
meum servaverit mortem non gustabit in eternum » (cc. & j va - [& ν va])·, e il
sermo 55 per la medesima domenica (De excellentia et comendatione virtutis iustitie)
sul iberna « Sanguis Christi, qui per Spiritum Sanctum semetipsum obtulit inmacu

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 477

teologiche si dà ampio spazio alle citazioni di Sallustio, Orazio, Pla


tone; e il Carcano, a proposito della giustizia commutativa, non tra
lascia il virgiliano « parcere subiectis et debellare superbos ». Si ri
mane sorpresi, a prima lettura, da questa accurata collezione di flores
classici, ma non è difficile accorgersi che si tratta di una semplice deco
razione, poiché lo schema del discorso è medievale, e si fonda sul De
ìustitia di s. Tommaso.44 Non ci si può stupire se Erasmo, nell'Elogio
della follia, definiva questa tarda predicazione scolastico-umanistica
una chimera, un mostro, quale neppure Orazio avrebbe potuto con
cepire quando scrive, all'inizio àdl'Ars poetica·. « Humano capiti cer
vicem pictor equinam iungere si velit etc. ».45 Erasmo riprende e ap
profondisce una polemica che ha le sue origini in Italia, nelle genera
zioni del Salutati e del Bracciolini. Proprio Coluccio nel De s e culo
et religione traccia una insuperata caricatura delle tecniche del sermo
modernus, e mette in rilievo l'ambigua atmosfera sensuale creata da
alcuni acclamati predicatori:

... adest, inquam, religiosus quispiam et sublimis in pulpito, post an


gelicam Marie salutationem iocundo quodam sermocinationis preludio suis
moribus introductam, aliquod divinarum scripturarum oraculum reassu
mens pulcerrimum totum in sua, ne dicam turpia, membra discerpit, et
equisillabis canticis puerili labore compositis auriculas vulgi permulcet,
et eodem observato concentu membra subdividit, subdivisa distinguit, et
rebus inops ac sententiis inanis maxima verborum inculcatione lascivit,
nuncque acutissime vocis tonitruo totis viribus laterum excitât audientes,
nunc graviter insonando submissiore voce proloquitur, nunc candidissimo
deprompto sudario frontem tergit, faciem purgat, oculos fricat, nares
emungit, tantamque mundiciam delicatus affectai ut non vir, non reli
giosus sed potius Ciprica mulier videatur. Manicas deinde reiciens summas
oras pulpiti candida manu comprendit, digitos in ordinem ponit, seque

latum Deo, emundabit conscientiam nostrani ab operibus mortuis » (Heb 9, 14)


(cc. [& ν va] - 3 ij ra).
44 Cfr. Summa theol., II ii, 58. Rimando al mio saggio su La città nella predica
zione francescana del Quattrocento, in Alle origini dei Monti di pietà. 1 francescani
fra etica ed economia nella società del tardo Medioevo, Studi in occasione delle cele
brazioni nel V Centenario della morte del B. Michele Carcano (1427-1484) [...],
« Quaderni del Monte », 3, Bologna 1984, pp. 29-39, a p. 33.
45 Cfr. Moriae encomium id est Stultitiae laus, in Opera omnia Desiderii Erasmi
Roterodami, Ordinis quarti, t. Ili, Amsterdam-Oxford, North Holland Publishing
Company 1979, p. 166: « Hic mihi stultam aliquam et indoctam fabulam ex Speculo,
opinor, HistoriaÛ aut Gestis Romanorum in medium afEerunt, et eandem interpre
tantur allegorice, tropologice et anagogice. Atque ad hunc quidem modum Chimaeram
suam absolvunt, qualem nec Horatius unquam assequi potuit cum scriberet: Humano
capiti etc. ».

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478 Carlo Delcomo

murmuratione muliercularum gaud


caturus verbum dei totus in ostentationem efiusus aut levitatis aut inanis
glorie spectaculum prebet.46

Il Salutati non va oltre la condanna della goffaggine e della dubbia


moralità di certi predicatori; Poggio affronta il campione stesso del
l'Osservanza francescana, Bernardino da Siena, affermando che la sua
oratoria è insufficiente, incapace com'è di ricondurre i fedeli ad una
religione interiore, che non si esaurisca in gesti esteriori. Cencio Ru
stici, portavoce dell'autore stesso nel dialogo De avaritia (1429), af
ferma: « Verum in una re (pace sua dixerim) errare mihi videntur et
ipse [Bernardino] et caeteri huiusmodi praedicatores. Nam cum multa
loquantur, non accomodant orationes suas ad nostram utilitatem, sed
ad suam loquaci ta tem ».47 È una critica radicale, che nella cattiva reto
rica dei frati smaschera una cultura antiquata e un'errata concezione
della vita religiosa. Sulle stesse posizioni è il Valla, che nel De vero
falsoque bono contrappone la buona retorica antica all'ars praedicandi
dei frati: « Ea nanque est argumentorum inculcatio, ea exemplorum
redundantia, ea rerum earundem repetitio, is flexus orationis quicquid
occurrit more vitium apprehendentis, ut an inutilius sit an turpius
nesciam »;48 dove è evidente non solo l'allusione alle solite divisione s
e subdivisiones, ma alla raffigurazione emblematica del sermone stesso
come albero. Valla non si limita a queste critiche: l'Encomion Sane ti
Thomae, da lui recitato a pochi mesi dalla morte, nel 1457, a S. Maria
sopra Minerva, è un sermone costruito secondo le regole del « lauda
tivum genus », fissate da Quintiliano. Esso si compone di un exor
dium, della narratio, che tocca il doppio tema della milizia cristiana
e della glorificazione di Tommaso; della probatio e della refutatio,
dedicate alla virtus e alla scientia del santo (l'una esaltata, l'altra re
spinta); conclude una sorta di peroratio iconografica, come l'ha defi
nita il Camporeale, dove si descrive la gloria di s. Tommaso tra i
dottori alla presenza dell'Agnello, nel gusto delle rappresentazioni pit

46 Cfr. Coluccio Salutati, De seculo et religione, ed. B. L. Ullman Florentiae,


Olschki 1957, pp. 45-46. Su questo famoso passo si veda E. Garin, Desideri di riforma
nell'oratoria del Quattrocento, in La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Fi
renze, Sansoni 1961, p. 170.
47 Cito da R. Fubini, Poggio Bracciolini e S. Bernardino: temi e motivi di una
polemica, in Atti del Simposio Internazionale cateriniano-bernardiniano cit., p. 515.
48 Cfr. Lorenzo Valla, « De vero falsoque bono ». Criticai édition by M. De
Panizza Lorch, Bari, Adriatica 1970, p. 43. Il passso è tratto dall'introduzione al
libro II. Per l'interpretazione cfr. R. Fubini, Poggio Bracciolini cit., p. 524.

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Ό al « sermo modernus » alla retorica « borromea » 479

toriche della gloria paradisi.49 L'impulso al mutamento in senso clas


sicheggiante dell'oratoria sacra precede di qualche anno il testo del
Valla, e viene dai prelati che, usciti dalle scuole degli umanisti, afflui
scono a Roma, esercitando l'ufficio di predicatore in varie occasioni,
ma soprattutto nell'ufficio di oratore coram papa nella Cappella Si
stina. In questa sede anche i predicatori provenienti dalle Scuole degli
Ordini Mendicanti, pur tra oscillazioni e compromessi col vecchio mo
dello medievale, finiscono con l'accettare il tipo umanistico. Proprio
un francescano, Lorenzo Guglielmo Traversagni (1425-1503) è l'au
tore di un trattato, databile al 1478, e messo a stampa con diversi
titoli (Rhetorica Nova ο Margarita eloquentiae), che dà una precisa
descrizione della nuova oratoria sacra. La quale è caratterizzata non
tanto dall'abbandono delle tecniche della divisto del thema ο dall'uso
di un latino più elegante, quanto dallo spostamento della finalità del
discorso dal docere al delectare e al moverei Tuttavia la presenta
zione più accurata e completa di questa oratoria, divenuta nella se
conda metà del secolo un elemento stabile della corte papale, si legge
nel De ratione scribendi di Aurelio Lippo Brandolini, composto nel
1491. Il Brandolini classifica questo ormai vasto corpus omiletico nel
genere epidittico, e ne individua il tratto retorico più significativo nel
l'unità del discorso (« oratio enim unum aliquod sibi dicendum pro
ponit »).51 L'indagine compiuta da John W. O'Malley su 160 sermoni
recitati nella Cappella Sistina e in S. Pietro dal 1450 al 1520 con
ferma le indicazioni di questi trattati. Dalla metà del secolo XV si
impone a Roma, a livello curiale, un tipo di orazione sacra, composta
da un exordium, la narratio e la per oratio-, il cui scopo è quello di
indurre un pubblico dotto ad ammirare i gesta e i beneficia di Dio e
dei santi, non certo di insegnare ο di dibattere questioni di teologia.
Ai procedimenti deduttivi del sermo modernus succedono i toni lirici
propri del genere epidittico; ai temi morali, alle minacce apocalittiche,
a quella pastorale del terrore che ancora soggioga il grande pubblico,
si oppone la calma e raccolta contemplazione dei misteri della Crea
zione, della Trinità e dell'Incarnazione. Vi è, come acutamente osserva

49 Cfr. S. I. Camporeale, Lorenzo Valla tra Medioevo e Rinascimento. Enco


mion s. Thomae, 1457, in «Memorie Domenicane», N.S. VII (1976), pp. 11-194, a
p. 57.
50 Cfr. J. W. O'Malley, Praise and Blame in Renaissance Rome. Rhetoric, Doc
trine, and Reform in the Sacred Orators of the Papal Court, c. 1450-1521, Durham
North Carolina, Duke University Press 1979, p. 44, e in generale il cap. II (The new
Rhetoric: Ars laudandi et vituperandi).
51 Cito da J. W. O'Malley, Praise and Blame, p. 60.

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480 Carlo Delcorno

O'Malley, una conversione dall'inte


sia la frequenza dei verba videndì (i
ponere, contemplari), sia l'uso fre
che, come s'è accennato a proposi
via ad uno scambio continuo tra p
linea di quella tradizione patristi
mano.53 Tommaso « Fedra » Ingh
per s. Tommaso tenuto alla Mine
annuale ad una sorta di restauro
istituita « eam praecipue ob causam
egregia, sed vetustate evanescens
tione renovaretur ».54
L'oratoria sacra di gusto umanis
ambienti romani, ma si diffonde in
volgare, a diversi uditorii. Poco sa
questo modello, e di come esso si
conservando l'usanza medievale d
di Mariano da Genazzano, almeno
sua predicazione).55 A Firenze, ne
attestata una predicazione laicale
nelle confraternite cittadine, sop
controllata dai Medici, ma aperta
che si intrecciano negli anni imme
predicazione del Savonarola. Già n
la necessità di « rifare la vita in
cui noi vediamo quegli uomini ste
e Plotino, intendevano, non già f
anzi trovare la via ad una più viv
stenza di questo fenomeno docum
nelle biblioteche fiorentine, solo p
prattutto il Magi. XXXV 211, e il

52 Cfr. J. W. O'Malley, Fraise and Blâm


53 Si veda per questi rapporti H. Mag
Princeton University Press 1981. Lo stud
843 e 1453, ma risale, ovviamente, agli ant
54 Cfr. J. W. O'Malley, Praise and Blam
55 Si vedano le due prediche (Dell'Imm
tenute nel 1484 alle agostiniane di S. G
su Mariano da Genazzano (f 1498), in
pp. 117-204, a pp. 171-190.
56 Cfr. E. Garin, Desideri di riforma c

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Dal « sermo modernus » alla retorica « borromea » 481

rabile. Le variazioni, almeno sotto il profilo retorico, sono minime


rispetto al modello latino in uso a Roma. Si veda come campione il
sermone sull'Eucarestia recitato da Donato Acciaioli nella Compagnia
dei Magi nel 1468, di cui il Trinkaus ha dato ampi estratti.57 L'autore
inizia protestando la propria insufficienza a trattare l'argomento, che
gli è stato assegnato dai superiori: se ogni parte del suo corpo si tra
mutasse in lingua, egli non potrebbe dire la minima parte dell'argo
mento proposto. Il proemio è concluso da una preghiera a Dio per
ché rafforzi il suo scarso ingegno. La parte centrale del discorso ruota
attorno a due idee tipicamente umanistiche: l'Incarnazione di Cristo
e i benefici dell'Eucarestia. Le questioni dottrinali sollevate dall'Euca
restia non sono taciute, ma vengono subordinate al tono celebrativo
del discorso. Non la disputa, ma la contemplazione è il metodo più
opportuno per trattare questo argomento: « Bisogna adunque supplire
colla fede e colo intelletto contemplando l'altezza del divino consiglio
et di questo degnissimo Sacramento ». Tipicamente umanistico è anche
il modo con il quale l'Acciaioli tratta dei benefici dell'Eucarestia, ser
vendosi di una discussione filologica dei sinonimi: Comunione, Via
tico, Oblazione, Memoriale. L'orazione è conclusa da una preghiera
che invoca da Dio luce per l'intelletto, amore per la volontà, contri
zione del cuore, sicché i fedeli, nutrendosi del cibo degli angeli in
modo degno, si rendano simili alle gerarchie celesti. Le medesime scan
sioni del discorso, applicate al medesimo tema, l'Eucarestia, si tro
vano in uno dei sermoni recitati dall'adolescente Poliziano nella Com
pagnia del Vangelista.58 Certo qui non vi è più di un'elegante varia

57 Cfr. Ch. Trinkaus, In our Image and Likeness. Humanity and Divinity in
Italian Humanist Thought, London, Constable 1970, vol. II, pp. 644-647. Il sermone
(« Oratione del Corpo di Christo da Donato Aeriamoli et dal lui nella compagnia dei
Magi recitata die XII aprilis 1468») si legge nel cod. Rice. 2204, cc. 181r-184f.
58 Cfr. A. Poliziano, Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e ine
dite, raccolte e illustrate da I. Del Lungo, Firenze, Barbera 1867 (riprod. anast. Olms,
Hildesheim-New York 1976), pp. 3-6. Il sermone polizianeo si apre con l'inevitabile
protesta di insufficienza (« Né tacere m'è lecito, Padri e Fratelli, essendomi imposto
di parlare, per non essere inobediente; né parlare ardisco, per non essere presuntuoso »).
Si entra in argomento con una definizione del concetto di sacramento e con l'etimologia
del termine « Eucarestia » (« Altro non è Sacramento, secondo Augustino, che una
visibile forma d'invisibile grazia, né altro Eucaristia è interpretata se non buona gra
zia »). Nessuna complicazione dottrinale, nessuna disquisizione teologica rompe l'esile
e tersa prosa, che vuol persuadere gli uditori ad ammirare e lodare il miracolo. Si
procede con una serie di esclamazioni, intercalate da nuove confessioni di insufficienza,
che danno occasione a citazioni dantesche («Ma chi pensasse el ponderoso tema
E l'omero mortai che se ne carca, Noi biasmerebbe se sott'esso trema »). Conclude
una peroratio lirica, che induce alla confessione, e invita alla recitazione di una lauda,
secondo un'usanza che a Firenze ha un illustre precedente nel Dominici.

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482 Carlo Delcorno

zione sui topoi della predicazione


partecipazione religiosa che è pro
ha voluto addirittura collegare
derna.59 In generale l'oratoria delle
i limiti di una temperata adesione
ma occorrerà approfondire le rice
cali e momenti non confondibili.
di oratoria sacra mostra la duplic
predicazione savonaroliana, che p
ternite troverà sostegno per il suo
studi di Garin, di Kristeller e di
nalità di Giovanni Nesi, emblema
colo. Il Nesi infatti, ammiratore
dapprima attratto dalla teologia fici
Savonarola. Se le omelie tenute su
nelle Compagnie di s. Nicolò e d
soliti schemi umanistici, ma con
genuo di imitare « el prisco costu
cita nella Compagnia dei Magi un
di metafore luminose e solari, di
speculazioni ficiniane sul fuoco d'a
il Vasoli, che questa tensione re
esprime, dovessero trovare piena
rola. Il quale, per conto suo, esse
predicazione scolastica, li travolg
luminazione avvenuta nel conven
dicare « all'apostolica »63 inventa
tico, che verrà prolungato e spesso
di là della dispersione dei suoi im
Col nuovo secolo le linee di evolu

59 Cfr. Ch. Trinkaus, In our Image an


60 Cfr. E. Garin, Desideri di riforma c
tra Donato Acciainoli e Girolamo Savona
(1973), pp. 103-179, a p. 110.
61 Cfr. Oratio de Eucharestia die XXI
Giovanni Nesi cit., p. 134.
62 Cfr. C. Vasoli, Giovanni Nesi cit., p.
è stato pubblicato da O. Zorzi Pugliese, T
of Spirituality in Late Eiftheenth-Centur
et Renaissance », XLII (1980), pp. 641-656
63 Come attesta il cronista Bartolomeo
cit., ρ. 367.

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Dal « sermo modemus » alla retorica « borromea » 483

vieppiù divergenti. Continua la tradizionale predica dei Mendicanti,


ai quali gli Umanisti non prestano più ascolto,64 e che però continua ad
avere un'impressionante circolazione a stampa.65 L'oratoria umanistica,
fallita la variante laica e volgare documentata a Firenze, si orienta
decisamente verso una prosa ciceroniana. Si pensi all'orazione inaugu
rale del Concilio Lateranense V (1512), tenuta da Egidio da Viterbo,
che il Sadoleto spedisce a Pietro Bembo come esempio perfetto di
eloquenza classica.66 All'opposto estremo divampa la predicazione dei
profeti di piazza, come quel maestro Andrea Baura da Ferrara, che Ma
rin Sanudo ascolta a Venezia nel 1517 mentre riprende aspramente i
vizi, ma (annota nei Diari) « senza alegation de alcun dotor, philosopho
né poeta », e che ritorna, nel 1520, a predicare in Campo S. Stefano
contro il Papa e la corte romana (tanto che il Sanudo annota: « Que
sto seguita la doctrina di fra Martin Luther è in Alemagna »);67 ο
come il romito Matteo da Bascio, che gira per i villaggi ripetendo la
sua ' severa riprensione ' (che ha per incipit « All'inferno peccatori »).68
Nonostante l'iniziativa dei nuovi Ordini fondati tra gli anni Venti e
il Concilio di Trento (Teatini, Barnabiti, Somaschi, Gesuiti), l'ora
toria sacra non troverà una sicura norma fino allo stabilirsi della reto
rica di s. Carlo Borromeo. In essa, come nelle coeve retoriche di
campo protestante, risorge il genus grande degli antichi, grazie alla
congiunzione sapiente dei contenuti sacri con una passionalità e un
' affetto ' purificati dall'oggetto al quale sono applicati.69

Carlo Delcorno

64 II Bembo a chi gli chiedeva perché non frequentasse i quaresimali ris


« Che vi debbo io fare? Perciocché mai altri non si ode che garrire il Dottor
contra il Dottor Angelico, et poi venirsene Aristotele per terzo e terminare
stione proposta ». L'aneddoto è riferito da Ortensio Landò (Paradossi, lib. II
Arsenio D'Ascoli, La predicazione dei Cappuccini cit., p. 50.
65 Manca per il Quattro e Cinquecento un catalogo dell'omiletica messa a sta
ο rimasta in codici manoscritti. Utile, almeno per i francescani, A. Zawart, The
of Franciscan Preaching and Franciscan Preachers (1209-1927). A bio-bibliogr
Study, in « Franciscan Studies », VII (1928).
66 Cfr. C. O'Reilly, « Without Councils we cannot be saved! ». Giles of V
addresses to the Fifth Lateran Council, in « Augustiniana », XXVII (1977), p
204. Su questo famoso discorso cfr. J. W. O'Malley, Giles of Viterbo: a Refo
Thought on Renaissance Rome, in Rome and the Renaissance. Studies in Cu
and Religion, London, Variorum Reprint 1981, vol. I, pp. 1-11.
67 Cfr. O. Niccoli, Profeti e popolo cit., p. 123.
68 Cfr. A. Prosperi, Gian Battista da Bascio e la predicazione dei romi
metà del '500, in « Bollettino della Società di studi valdesi », XCVI (1975), pp
e O. Niccoli, Profeti e popolo cit., pp. 125-139.
69 Cfr. D. Shuger, The Christian Grand Style in Renaissance Rhetoric, in
tor », XVI, 1985, pp. 337-365.

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