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access to Lettere Italiane
Mentregetto
in questi
di studiultimi annie metodologicamente
numerosi, la predicazione medievale
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esiste una storia della predicazione del Quattro e Cinquecento fatta
con intendimenti moderni, che tenga conto dell'intreccio di problemi
religiosi, sociali e letterari connessi con questo genere di discorso.2
Scrivere questo capitolo della storia culturale del Cinquecento non è
certo impresa facile: non vi è battaglia religiosa ο tentativo di rinno
vamento della Chiesa, dai Concili di Costanza e Basilea al Concilio
Lateranense V (1512-16), al Concilio di Trento (1563) che non ri
15 Cfr. Instructiones cit., pp. 806-807. Questa tendenza è già manifesta nel Pani
garola. Cfr. G. da Locarno [Pozzi], Saggio sullo stile dell'oratoria sacra nel Seicento
esemplificata sul P. Emmanuele Orchi, Romae, Inst. Hist. Ord. Fratrum Minorum
Cappuccinorum 1954, pp. 123-124.
16 Cfr. Marci Antonii Nattae astensis, De Christianorum eloquentia liber, in
Volumina quaedam nuper excussa [...], Venetiis, Aldus 1562, ff. 79-80: « Nullus
apud illos verborum cultus, nullus orationis nitor, tenent quasdam argumentorum
formulas, quibus unumquodque reiicitur vel probatur. Eruditis viris satisfacere queunt,
sed in vulgus sermo eorum exire non potest, tum quia scaber, tum quia affectus animi
nudis utens syllogismis non commovent [...] Aliis hos Theologos, Scholasticos, alii
Parisienses vocant, propterea quod hoc docendi genus in Parisiorum urbe vel institu
tum fuerit vel magis frequentatum ». All'origine di questa cattiva predicazione è lo
stile oscuro di Aristotele, al quale il Natta oppone l'eloquenza dei Padri della Chiesa.
17 Si veda Ecclesiasticae Rhetoricae sive de ratione concionandi libri sex Ludovico
Granatensi monacho Dominicano auctore [...] Venetiis, ap. F. Zilettum 1578,
pp. 172-173 (lib. IV cap. VI De genere concionis didascalico). L'obiezione fonda
mentale a questo genere didascalico è che non è adatto a movere (« docendi gratia
magis quam movendi adhibetur »). Cfr. M. Fumaroli, L'âge de l'éloquence cit., p. 143.
18 Cfr. Instructiones cit., p. 762. Sono immagini che tornano nel De praedicatore
Verbi Dei del Boterò (lib. Ili, ed. cit., f. 43r): «Non enim muliebrem venustatem,
sed virilem quandam dignitatem secantur; nec fuco illitum, sed sanguine diffusum
colorem adamant ».
31 Cfr. Arsenio D'Ascoli, La predicazione dei Cappuccini cit., cap. Ili (Le Co
stituzioni e la predicazione). Nelle Costituzioni del 1536 si esorta a non aggiungere
« al nudo et humil crucifixo terse, phallerate et fucate parole, ma nude, pure, simplice,
humile et basse, niente di meno divine, infocate et piene d'amore» (p. 132). Si veda
anche C. Urbanelli, Storia dei Cappuccini delle Marche. Parte I, vol. II Vicende
del primo cinquantennio (1535-15S5), Ancona, Curia Provinciale FF. Cappuccini 1978,
pp. 475-520.
32 Cfr. Laurentius a Villavicentio, De formandis sacris concionibus seu de
interpretatione Scripturarum populari libri III, s.n.t. Su questo trattato si veda M. Fu
maroli, L'âge de l'éloquence cit., p. 126.
33 La predicazione è definita « praecipuum episcoporum munus » dal Concilio di
Trento (Quinta Sessione, 17 giugno 1546). Cfr. P. Prodi, Il cardinale Gabriele Pa
leotti cit., vol. II, p. 76.
57 Cfr. Ch. Trinkaus, In our Image and Likeness. Humanity and Divinity in
Italian Humanist Thought, London, Constable 1970, vol. II, pp. 644-647. Il sermone
(« Oratione del Corpo di Christo da Donato Aeriamoli et dal lui nella compagnia dei
Magi recitata die XII aprilis 1468») si legge nel cod. Rice. 2204, cc. 181r-184f.
58 Cfr. A. Poliziano, Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e ine
dite, raccolte e illustrate da I. Del Lungo, Firenze, Barbera 1867 (riprod. anast. Olms,
Hildesheim-New York 1976), pp. 3-6. Il sermone polizianeo si apre con l'inevitabile
protesta di insufficienza (« Né tacere m'è lecito, Padri e Fratelli, essendomi imposto
di parlare, per non essere inobediente; né parlare ardisco, per non essere presuntuoso »).
Si entra in argomento con una definizione del concetto di sacramento e con l'etimologia
del termine « Eucarestia » (« Altro non è Sacramento, secondo Augustino, che una
visibile forma d'invisibile grazia, né altro Eucaristia è interpretata se non buona gra
zia »). Nessuna complicazione dottrinale, nessuna disquisizione teologica rompe l'esile
e tersa prosa, che vuol persuadere gli uditori ad ammirare e lodare il miracolo. Si
procede con una serie di esclamazioni, intercalate da nuove confessioni di insufficienza,
che danno occasione a citazioni dantesche («Ma chi pensasse el ponderoso tema
E l'omero mortai che se ne carca, Noi biasmerebbe se sott'esso trema »). Conclude
una peroratio lirica, che induce alla confessione, e invita alla recitazione di una lauda,
secondo un'usanza che a Firenze ha un illustre precedente nel Dominici.
Carlo Delcorno