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VII
NAPOLI 1985
ALFONSO INGEGNO
LA SOMMERSA NAVE
DELLA RELIGIONE
Studio sulla polemica anticristiana del Bruno
BIBLIOPOLIS
issa 88-7088-112-1
Copyright 1984
by Bibliopolis - Edizioni di filosofia e scienze s.p.a.
Napoli, via Arangio Ruiz 83
AVVERTENZA
Questo saggio sullo Spaccio della bestia trionfante del Bruno
nato come tentativo di rispondere a due interrogativi rimasti in
margine a miei precedenti studi bruniani: come si potesse
conciliare la dottrina dell'oroscopo delle religioni, cos presente gi
nella struttura dell'opera, e la rivendicazione della verit di una nuova
religione con il valore di lex che conservava il cristianesimo; in
secondo luogo vedere sino a che punto si estendesse l'influenza di
Erasmo (in particolare l'influenza della sua polemica con Lutero)
sul Nolano, influenza che gi mi aveva colpito per la sua vastit
studiando Cardano e di cui avevo trovato una conferma, non ancora
sufficientemente documentata, nella celebre Autobiografia.
Il lavoro a poco a poco ha preso una direzione sua propria e
ha finito per incontrarsi con i grandi nuclei tematici dell'opera,
oltre che con l'esigenza, qui solo parzialmente soddisfatta, di un
commento compiuto che non eviti le mille difficolt di cui
disseminata. Chiedo venia al lettore della voluta limitazione del
campo di indagine, che da un lato non affronta i problemi
sollevati dal processo del Bruno, dall'altro rimanda pi di una
volta agli Eroici furori come ad un punto di arrivo naturale della
ricerca qui svolta. Spero che si tratti solo di un rinvio, pensando
soprattutto all'invito che, in particolare nella prima direzione, mi
era stato rivolto anni orsono da maestri autorevoli ed amati.
Desidero qui ringraziare gli amici Giacomo de' Marzi,
Alastair Hamilton, Romano Mastromattei e Leonardo M. Savoia per
l'aiuto costante che hanno voluto darmi, in particolare con i loro
suggerimenti, nel corso del lavoro.
Firenze, agosto 1984
Flandino vescovo
di Mantova, A. Quistelli teologo padovano e A. Pio principe di Carpi in aa.vv.,
Societ politica e cultura a Carpi ai te m p i di Alberto III Pio, Padova 1981, I, pp. 291Rinascimento. A.
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rare noi stessi e gli altri sul piano morale, afferma la Ratio, pi
opportuno rimettersi alla misericordia divina piuttosto che
introdurre nel nostro discorso rigide distinzioni dogmatiche o
sottili argomentazioni teologiche. Cos, cercare di trasformare il
rapporto tra fides e caritas in qualcosa di completamente trasparente
agli occhi dell'uomo al di l del livello fondamentalmente morale
che si scelto per il discorso, significa correre il rischio di ricadere
in un atteggiamento che si era presentato in passato come
affossatore della vera piet cristiana, un atteggiamento che aveva
distolto da essa stabilendo un solco invalicabile tra il
in L e
XVIe sicle, Paris 1982, pp. 16-50. Per tutta una serie di temi qui
Profezia e ragione,
Napoli 1974.
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base della propria utilit personale, una via che sembra trovare qui una
giustificazione palese sul piano collettivo e che con durr il
Riformatore a saldare queste due linee di tendenza parlando di un
Erasmo insieme scettico ed epicureo.
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mia del secondo termine ma non potr avere e non vorr avere - al di l
dei criteri dettati da una scelta che era anche politica, ma senza che
questa potesse intervenire, al contrario di quanto gli verr
rimproverato, in misura determinante - se non il crisma della
semplice probabilit.
indubbio che tale probabilit si poneva tuttavia su un piano
che implicava in modo scoperto una interpretazione della Scrittura
ormai cos radicata che, se non era in grado di certifi care
dell'esattezza della formula adottata, mirante a limitare ma non ad
annullare l'apporto dell'uomo nell'agire, sembrava poi convalidare
in pieno, ben al di l della lettera della posizione assunta,
l'atteggiamento tendenzialmente positivo da lui scelto. Se la Scrittura
un testo destinato agli uomini, che parla loro perch essi, al
limite tutti gli uomini senza eccezione, colgano nella sua chiarezza
l'insegnamento morale del Cristo; se questa Scrittura presenta
costantemente espressioni che possono avere un senso solo
all'interno di un mondo umano, in quanto strutturata su esortazioni
e promesse di ricompensa cos come su minacce di castigo nel caso
della disobbedienza, allora diffidare del senso umano a noi
percepibile di tale discorso nella sfera che si distingue appunto da
quella del mistero, significherebbe far propria la concezione di un
Dio che ci inganni deliberatamente, che presenti l'assurdo di leggi che
non potrebbero essere eseguite per definizione dall'uomo. Era
questa, com' noto, l'interpretazione che Lutero dava del Vecchio Testamento e che risultava decisiva per intendere il Nuovo Testamento e
l'avvento del Cristo, l'interpretazione cio che vede nella Legge la
premessa indispensabile al prodursi di quella Grazia che coincide con
l'avvento del Cristo e che interviene in noi solo grazie a quelle
condizioni apparentemente dure ma in realt frutto della misericordia
divina. La semplice probabilit che Erasmo assegna alla sua tesi rischia
di divenire certezza in un ambito indubbiamente soltanto umano, ma
anche l'unico che sia dato a noi di riconoscere in questa sfera che
si ferma appunto al confine del mistero.
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non solo dei suoi interpreti nel passato ma dei nuovi, sedicenti profeti
del presente tra di loro. Lo Spiritus Christi di cui essi, in
primo luogo Lutero, si ammantavano era destinato a restare un
dubbio privilegio non solo di fronte a questi dissensi ma di
fronte al rovesciamento che egli operava di tutta una tradizione,
senza che tra le sue interpretazioni e quelle degli avversari fosse
possibile istituire un criterio univoco di giudizio: si trattava di
scegliere tra le interpretazioni diverse di uno stesso testo e non di
separare tra loro la luce della verit dalle tenebre dell'errore. Per
giunta Erasmo, deposte le ultime cautele, non esitava ormai a
ricordare che questo `spirito' appariva incognito e che spesso l'angelo
del male assume le sembianze di angelo della luce...
Ma non minore importanza acquista il secondo punto cui si
alludeva: l'allinearsi di Erasmo alla tradizione della Chiesa
coincide con l'affermazione netta di un limite, della incapacit
dell'uomo di decidere su problemi di cui Lutero non aveva
avvertito che esulavano dal piano della Scrittura per penetrare in
quello, opinabile, non accettabile come autorit, della interpretazione di essa. L dove non era possibile giungere ad una
conclusione definitiva, doveva subentrare l'autorit della tradizione
come punto reale a cui fare riferimento. Soprattutto, ed Erasmo
ritorna sino alla noia su questo argomento, non si vedeva il frutto
di tale atteggiamento o meglio anche troppo chiare apparivano le
conseguenze negative, gravissime, approfonditesi di anno in
anno, prodotte da esso, senza che si potesse sostenere che ci che era
in causa fosse la salvezza degli uomini. Lutero aveva portato al
livello di tutti problemi suscettibili di essere trattati (ma non risolti)
nell'ambito delle scuole e dei dotti e questo appariva ad Erasmo del
tutto inaccettabile. Il richiamo alla tradizione - merita ancora che lo
si sottolinei - significava congiungere insieme la conseguenza di un
limite intrinseco all'uomo in quanto tale, e la necessit di
assumere coerentemente un atteggiamento pratico preciso e rigoroso,
che oltretutto non sarebbe stato di pregiudizio alla salvezza delle
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anime. Ci che a noi pi interessa proprio questo collega mento tra un limite che non permetteva di estendere la discussione
teologica ad ogni livello e la difesa che ne scaturiva di un atteggiamento
pratico coerente con la consapevolezza di tale limite.
II
625-7.
D. Martin Luthers Werke. Kritische Gesamtausgabe, Weimar 1883 sgg., voi. 18, pp.
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2
Des. E ra s m i Roterodami Opera Omnia, Lugduni Batavorum 1703-6 (d'ora
in poi abbreviato in LB), t. IX, coli. 1270, 1289, 1324: .... ut nihil tam
circumspecte dici possit, qui tu vertas in atrocem tragoediam ;
nihil loqueris absque tragicis hyperbolis ; totam illam
tragoediam, quam ex definitione
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concitasti. L'insistenza di Erasmo sul tragice lo qui di Lutero va tenuta presente per
individuare il significato dell'espressione bruniana di 'tragedia cabalistica', sulla quale si
veda pi avanti nel testo.
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M. Luthers Werke, cit., voi. 18, p. 635: Sic humana voluntas in medio posita est,
ceu iumentum, si insederit Deus, vult et vadit, quo vult Deus, ut Psalmus dicit:
Factus sum sicut iumentum et ego semper tecum. Si insederit
Satan, vult et vadit, quo vult Satan, nec est in eius arbitrio, ad utrum sessorem currere
aut eum quaerere, sed ipsi sessores certant ob ipsum obtinendum et possidendum
. Cfr. GIORDANO BRUNO, Dialoghi italiani. Dialoghi metafi sici e
dialoghi m o ra l i . Nuovamente ristampati con note da G. Gentile. Terza edi zione a cura
di G. Aquilecchia, Firenze 1958 (d'ora in poi abbreviato in Dialoghi), pp. 878-9:
Saulino... Cossi li nostri divi asini, privi del proprio
sentimento ed affetto vengono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato
a l'orecchie dalle revelazioni o de gli dei o de' vicarii loro; e per consequenza a
governarsi non secondo altra legge che di que' medesimi.
Quindi non si volgono a destra o a sinistra, se non secondo la lezione e raggione
che gli dona il capestro o freno che le tien per la gola o per la bocca, non
caminano se non come son toccati... Sebasto. Ma vorrei intendere come
questa bestiaccia potr distinguere che colui che gli monta sopra, Dio o diavolo,
un uomo o un'altra bestia non molto maggiore o minore .
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Dialoghi, p. 623: ... e dicono che il far bene bene, il far male male; ma
non per ben che si faccia o mal che non si faccia, si viene ad essere degno e
grato a' dei . Cfr. M. Luthers Werke, cit. vol. 18, pp. 743 e 7 58 .
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s Ibidem, p. 852: ... gli maggiori asini del mondo... non son quelli che con
empia curiosit vanno, o pur mai andro perseguitando gli arcani della natura,
computro le vicissitudini de le stelle. Vedete se sono o furon giamai
solleciti circa le cause secrete de le cose; se perdonano a dissipazion qualunque de
regni, dispersion de popoli, incendii, sangui, ruine ed esterminii; se curano che perisca
il mondo tutto per essi loro: purch la povera anima sia salva,
purch si faccia l'edificio in cielo, purch si ripona il tesoro in quella beata
patria, niente curando della fama e comodit e gloria di questa frale ed incerta vita, per
quell'altra certissima ed eterna '. Per il testo di Lutero, cfr. qui n. I.
notevole che qui Bruno appoggi la posizione di Erasmo servendosi del testo del
Moriae encomium: cfr. Erasmo, Elogio della follia, a cura di E. Garin, Milano
1984, p. 52. (c. 32)
6
M. Luthers Werke, cit. vol. 18, pp. 709 e 759. Ma il richiamo alla stultitia della
ragione umana costante nell'opgra.
III
Si visto in effetti che la discussione tra Erasmo e Lutero
verteva in larga parte sulla maniera con cui intendere il limite
proprio dell'uomo su un terreno teologico e che la diversit
delle concezioni implicava una scissione netta sul ruolo che poteva
essere svolto dalla ratio umana in rapporto al problema della
salvezza non meno che sui modi e sulla natura dell'ispira zione
divina. Tanto per Erasmo quanto per Lutero valeva il socratico quae
supra nos nihil ad nos 1, ma mentre per il primo esso indicava il
limite di un discorso che si rivolgesse a ci che superava l'ambito
dell'insegnamento morale del Cristo, per il secondo faceva tutt'uno
con il rapporto tra un Deus absconditus, absolutus ed un Deus indutus,
revelatus, nel senso che se non era possibile risalire alla luce
inaccessibile del Dio che nella sua onnipotenza non si era fatto parola
era tuttavia legittimo parlare di una claritas scripturae, di un dettato
trasparente della decisione divina anche, se non soprattutto, a
proposito di misteri ultimi come quello della salvezza individuale,
purch intervenisse la luce dello spiritus ad illuminare la lettera.
inutile sottolineare che tutto questo si traduceva in una
visione specularmente opposta della storia cristiana: in rapporto a
quest'ultima i due termini di Lex e Iustitia assumevano un
significato centrale profondamente diverso in relazione ai differenti
modi di concepire la Legge del Vecchio Testamento e quindi, con
la mediazione operata dal Cristo, il senso della `giustizia' da lui
introdotta per l'uomo.
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Per il valore astrologico dato dal Cardano alla Libra cfr. Saggio sulla fi losofi a
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legge del fato e non coincidente con quel dio supremo che
rappresenta la giustizia assoluta, pu conoscerne i decreti attraverso i segni che di esso abbiamo e che ce lo presentano come fato della
mutazione. Quest'ultima appare come la legge stessa a cui sottoposta
la realt ma nel momento presente, appunto attraverso i segni
radicalmente negativi che ci vengono inviati, e che si compendiano
nel discredito estremo in cui sono caduti gli dei, si preannuncia
come una mutazione di portata radicale. Giove cerca in tal modo di
porre in atto, attraverso la preghiera ed il ravvedimento interiore,
quella disposizione che sola pu garantire che non soltanto il fato
non ha abbandonato gli dei ma anzi destinato a tornare a loro
favorevole. Solo il suo ravvedimento, cui deve seguire quello delle
altre divinit, pu dar luogo a quel 'concilio'-'conclave' lo chiama
anche il Bruno - il cui fine primario il ristabilimento della giustizia
del mondo. Giove sta qui in primo luogo come simbolo di quel
lume intellettuale che presiede a ciascuno di noi, e va rilevato il
primato di questa facolt sulle altre, rappresentate dagli dei a lui
sottoposti, ma va sottolineato come il problema cui si accennava,
quello di una identit tra uomini e dei che non deve annullarne la
differenza, tenda a trovare una sua soluzione come presentarsi di un
mondo del divino che si colloca ad un livello intermedio tra
quello dell'assoluto e quello del mondo umano. Il mutamento
atteso dunque un mutamento radicale e l'atto di penitenza cui
Giove si dice pronto con una formula cristiana (`Io, misero
peccatore, dico la mia colpa, la mia gravissima colpa, in conspetto de
l'intemerata absoluta giustizia' 8) - e si ricordi il ruolo della
penitenza a cui Cristo chiamava gli uomini nel passaggio al
regno della Grazia - viene a fare tutt'uno con il rifiuto della
`grazia' di Ganimede e con quel noli me tangere con cui allontana
da s Venere, ormai stanco di vecchi giochi e lenocinii. Il
richiamo a Ganimede e alla sua
Dialoghi, p. 609.
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Ibidem, p. 584. 10
Ibidem, p. 589. 11
Ibidem, p. 588.
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tale 12: rispetto ad essa Bruno non fa che prospettare implicita mente
quel piano intermedio esistente tra una provvidenza assoluta
spettante al dio supremo ed il livello umano e a ben vedere il
lamento di Giove e le ragioni del suo ravvedimento sono paralleli
al desiderio della umana Sofia, della filosofia stessa, di essere
rassicurata sul fatto che contro ogni apparenza la provvidenza della
divinit absoluta ancora viva e presente, che anzi essa non pu mai
venire meno (sebbene talora sembri assente e scomparsa), pur in
modi inesplicabili per chi dotato di un intelletto solo discorsivo
come la Sofia appunto.
Le pagine in cui per la prima volta si affronta la polemica con
la Riforma sono cos indirizzate a far luce su due punti
essenziali, senza cui non sarebbe possibile la prosecuzione stessa del
discorso. Da un lato l'assolutezza del fato, la certezza che nulla
possa sfuggire al decreto della provvidenza divina, nep pure, si
dice, il numero dei capelli della Mena, al fine di rassicurare in
tal modo il mondo umano: chiaro rinvio, implici tamente polemico,
al passo evangelico, tra l'altro discusso da Erasmo fra quelli che
apparivano favorevoli al determinismo luterano, nel quale il
Cristo si faceva garante presso gli uomini del sussistere della
provvidenza del Padre ('Quanto a voi, persino i capelli del vostro
capo sono tutti contati. Dunque non vogliate temere' 13). Dall'altro
lato, e a ben vedere le due cose fanno tutt'uno, si sottolinea che la
provvidenza divina non cessa di inviare all'uomo autentici
messaggeri celesti, non cessa di dispensare attraverso Mercuri non
usciti appunto dalle caverne della terra 14, secondo l'espressione che
era stata usata nella Cena de le Ceneri (1584), ma ispirati realmente
dall'alto e quindi non menzogneri, quell'aiuto per cui si rendeva
possibile ora, ricalcando l'espressione paolina, l'aurora del nuovo
giorno della giustizia. chiaro che Bruno introduce gi qui il
tema
12 Ibidem, p. 592. 13
Mi, 10, 30-1.
14 Dialoghi, p. 32.
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IV
A questo punto chiaro che la `riforma' celeste di cui si
parlava non potr non avere origine, per il suo carattere radi cale,
da quello che il cardine stesso, astrologicamente, del mondo ma
anche che non potr non riflettere la condizione di scissione
attraverso cui si rende partecipabile l'unit suprema, nei suoi
diversi aspetti, a livello conoscitivo da parte dell'uomo, non potr
cio non essere adeguata a quel piano intermedio tra assoluto ed
empiria su cui ci stiamo muovendo, che presenter appunto in
forma figurata, dunque nello stesso tempo scissa e ad un primo
grado di individuazione sensibile, ci che nell'u nit suprema
indistinto.
Il limite in primo luogo conoscitivo (ma destinato ad
estendersi inevitabilmente ad ogni altro campo, primo tra tutti
quello morale) indica dunque che se Verit Provvidenza e
Sapienza divine si pongono come modelli e forme puramente
ideali, ci troviamo poi di fronte a qualcosa che non sar mai
possibile ottenere totalmente non solo rispetto, evidente, alla loro
indistinzione nell'unit divina ma anche rispetto al modo, anch'esso
ideale sebbene in forma diversa, in cui sono indivi duate dal sapere
umano. Ci decisivo in quanto tramonta immediatamente in
questa maniera la proposta di valori assoluti, mentre torna a farsi
presente il carattere ciclico che possono assumere verit,
provvidenza e sapienza sul piano empirico, oltre che la possibilit
di una differenziazione tra di esse nel loro realizzarsi per gradi.
D'altra parte nasce il problema di come una provvidenza assoluta,
che si realizza infallibilmente in ogni particolare, possa non solo
conciliarsi ma utilizzare come suoi mezzi una sofia ed una
provvidenza ('prudenza') umane che non solo le sono
ontologicamente inferiori ma al
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relazione al problema di come questi strumenti legge e giustizia - possano tradurre i fini
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peculiari del mondo umano senza tradire quella volont asso luta
che pure in qualche modo a noi si manifesta e di cui sappiamo
che destinata a realizzarsi anche se non possiamo pervenire a
tale conoscenza che in modo imperfetto. In altri termini, solo
dopo aver stabilito la distanza tra uomini e dei noi, che abbiamo
la certezza della provvidenza, possiamo essere sicuri del contenuto
di ci che ci viene ordinato attraverso leggi e giustizie donate agli
uomini.
Qui la critica alla Riforma pu essere ripresa ma non pi in
relazione come si diceva al piano della giustizia assoluta con cui si
identifica il fato bens in rapporto ai modi concreti con cui si
attua la comunicazione con gli dei ed allo stravolgimento che
stato operato del loro significato: il discorso non ancora un
discorso relativo all'empiria ma colpisce i nodi che incidono sulla
maniera di concepirla e di intervenire con l'azione su di essa.
In questa prospettiva il concetto di legge, qui inteso voluta mente nella sua duplice accezione religiosa e politica, sottolineandone la propriet di legare come sua prerogativa principale,
deve essere posto in discussione polemizzando con quelle con cezioni di essa che a dispetto di un limite conclamato (si ricordi
l'inconoscibilit del Deus absconditus per Lutero) pretendono poi
non solo di possedere un contatto diretto con la divinit, sia
pure attraverso la mediazione del testo sacro, e di saperne
interpretare la `giustizia', ma lo fanno saltando a priori quell'u nico
grado intermedio che ci pu ricollegare ad essa nel momento
stesso in cui pur stabilisce una incolmabile distanza.
La discussione torna quindi ad essere inevitabilmente discussione sui modi in cui intendere la rivelazione, ed la divinit
stessa che viene presentata come colei che appronta gli strumenti per
distruggere dottrine che non possono essere emanazione della sua
volont, dal momento che esse non solo presuppongono un
capovolgimento di quel limite conoscitivo insuperabile di cui si
parlava ma minerebbero le finalit proprie del mondo umano,
finalit che non possono non essere intrin
seche ad esso proprio stante la distanza accennata.
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Ibidem, p. 652. 4
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Dialoghi, p. 654: ... quantunque molte cose sono possibili che non son
giuste, niente per giusto che non sia possibile .
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universa Lex nihil aliud parit quam agnitionem peccati, hoc est gravamen
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ea quae fieri non solent, sed multo minus ad ea quae fieri non possunt...
Lutherus omnes Dei leges, cum praemiis, suppliciis, et quicquid ad
legem servandam, vel allicere, vel pertrahere potest, vult esse illudentis
Dei, vel insultantis: veluti cum pater jocans jubet ad se venire
puerum, quem scit ingredi non posse: vel cum Rex hosti feroci
tutte le leggi divine, con i loro premi e le loro pene, come di una
praeclarum
universam
dedit
commentum,
ad
quod
exigamus
Jureconsulti negant habendam pro lege, quae nec sit possibilis, nec
rationi consentanea, nec acqua, nec utilis Reipublicae. Addunt, et
receptam assensu, et moribus approbatam esse oportere. Atqui si talis
erat Lex Dei, qualem eam facit Lutherus, populo Israelitico fucus
factus est. Primum cum Moses ferret Legem, stipulans assensum
populi, quo d re ligio siu s etiam sit De ut. X XIX . Etenim si
il
primo,
distinguere
il
lecito
dall'illecito,
il
giusto
dixi ss et, trado vobis Legem, quam nec servabitis, nec servare potestis,
tantum prodet vobis animi vestri malitiam: populus haud dubie talem
Legge dell'Antico Testamento era stata cos fonte di vita per i dotti,
Lege, quae non in hoc esset data ut servaretur, sed tantum ut agnosceretur
LB, t. IX, c ol l. 13 49 -1 35 1.
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per la finalit che sufficiente ad accomunarle, diviene proble matica. Una legge impossibile ad eseguirsi era assurda ed un Dio
che la proponesse era un Dio che comandava per burla 7, come
implicitamente riconosceva Lutero.
A questo punto il fatto che essa fosse eseguibile, equa, utile alla
societ veniva ad assumere un valore autonomo, assoluto nella
sfera umana ed il rifiuto che il popolo ebraico avrebbe imposto a
Mos secondo Erasmo se il patto si fosse presentato nei termini
indicati dal Riformatore diventa in lui non scelta ma obbligo
morale da parte degli uomini, un obbligo per giunta messo sulle
labbra stesse degli dei, di rifiutare leggi simili. Una situazione
limite, prospettata dal Bruno genericamente, senza far riferimento
come l'Umanista al popolo ebraico e quindi valida a maggior
ragione per ogni tipo di legge, che apre tuttavia lo spazio sia alla
mondanizzazione della legge tanto civile quanto religiosa sia ad una
possibile assolutizzazione di essa inglobandone l'aspetto di lex,
l'aspetto cio di credenza destinata alla moltitudine, secondo una
prospettiva che Erasmo non avrebbe potuto esplicitamente accettare,
sia al giudizio radicalmente negativo portato sulla Riforma.
Se fine delle leggi era il buon andamento del consorzio
umano, ne derivava per lui l'impossibilit di separare la sfera civile
da quella interiore dell'individuo, considerata come sfera delle
intenzioni che viene quindi svalutata nella sua autonomia; tale
autonomia appariva dubbia nel momento stesso in cui risultava di
primaria importanza possedere un criterio di misura oggettivo per
valutare la colpa ed il peccato dell'individuo.
7
Dialoghi, pp. 660-1: Sofi a. Molto bene, o Saulino, Giove ha coman dato,
imposto ed ordinato al giudizio, che veda se gli vero che costoro inducano gli
popoli al dispreggio ed al meno a poca cura di legislatori e leggi,
con donargli ad intendere, che quelli proponeno cose impossibili e che coman dano
come per burla; cio, per far conoscere a gli uomini, che gli sanno comandare
quello che loro non possono mettere in esecuzione .
54
8
L B , I I , c o l . 3 4 8 C. Nell'edizione del Manuzio (Firenze 1575) caduto il
riferimento di Erasmo all'insegnamento evangelico: cfr. Mt., 12, 33.
55
G v. , 1 2 , 3 1 .
e 807.
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57
II LB, t. IX, col. 1382: Imo voluntas nihil efficit, quod ad salutem pertinet,
absque Spiritu, sed agit cum Spiritu, et agendo simul meretur. Hoc sane dignius
est Spiritu Sancto, si dicimus illum sic temperare vini et actionem
suam, ut hominis voluntas simul operetur cum agente gratia, quam si dicamus
Spiritum sic agere in nobis, quemadmodum in Bove aut in Asino .
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divino: espressioni con cui Bruno sembra evocare quel rapporto tra
razionalismo ed esoterismo che sotteso a tutta la tessitura
dell'opera, oltre che preludere ai temi della Cabala, ma ove appare
anche chiaramente messa in luce la confusione che stata operata
tra il livello della conoscenza riservato ai pochi ed il livello,
inferiore ma pur decisivo per la vita civile, in cui deve articolarsi
per i pi la vita religiosa.
Il giudizio cos chiamato in modo pi dettagliato ai compiti
che gli vengono assegnati ma riproponendo ancora una volta il
vertice stesso raggiunto dall'uomo nel campo civile e ancora
raggiungibile purch esso ristabilisca i mezzi pi adatti per
conseguirlo, l'appetito di gloria e con esso il corollario che ne
deriva immediatamente, l'utile collettivo. Proprio per que sto
diviene suo fine precipuo precisare come si debba procedere in
concreto dinanzi ai nuovi errori di questi sedicenti sovrani del
cielo e figli di Dio. La divinit quindi vuole l'utile dell'uomo e
dunque la sua gloria: il soli Deo gloria che rinvia a qualcosa cui
l'uomo non pu accedere per definizione si capovolge nel
volutamente provocatorio, ma strettamente conseguente allo
sviluppo del pensiero bruniano, soli homini gloria, che viene a
compendiare negli atti eroici i valori supremi attingibili
all'interno dell'orizzonte umano e naturale del giusto e del possibile.
L'esemplificazione che Lutero compiva dell'impotenza del
libero arbitrio ad operare il bene al di fuori della rivelazione e
della grazia attraverso le virt degli antichi romani (ma si ricordi
la trattazione che gi Agostino aveva dedicato al problema nel De
civitate Dei) 14 si rovescia qui in idealizzazione del periodo glorioso
in cui la ratio e la voluntas del popolo romano avevano attinto tali
vertici superiori attraverso atti eroici per eccellenza, edificando per
s e per i popoli sottomessi una vita civile basata su questi valori.
L'idealizzazione del
14 Au g . , C i v. D e i , V, 1 2 - 1 6 .
13 Di al og hi , p. 61 1.
61
62
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64
65
66
18
Dialoghi, p. 664.
68
stessa nel cerchio della razionalit umana per dirigerla anzich per
dispiegarsi in un senso che sia contrario ad essa.
Bruno parla cos di lume intellettuale tanto riferendosi alle leggi
date ai popoli quanto a proposito della magia, intesa come
rivelazione della divinit attraverso la natura (ma dir anche che era
cessata con il cessare della fides in essa): in entrambi i casi non ci
troviamo di fronte ad una negazione delle facolt umane una ad
un loro sviluppo che permette l'instaurarsi di quel rapporto tra
umano e divino destinato in caso contrario ad essere cancellato.
In questo senso la relazione con il fato registra il solo modo in
cui la coincidenza di libert e necessit presente in Dio pu
realizzarsi nel mondo umano prima an cora che nel singolo
individuo, e qui andiamo incontro ad alcuni tra i nuclei tematici
fondamentali dell'opera intera.
I problemi che si presentano riguardano in effetti il rap porto
degli dei con la giustizia suprema non meno di quello degli
uomini con essa. Si detto che gli dei, a cominciare da Giove,
dipendono dal fato e ci significa che essi sono sottoposti al
divenire e che tale divenire appare necessario, trascende la loro
stessa volont: la relazione degli dei con il fato si configura quindi
come un soggiacere al fato della mutazione.
Lo stesso discorso vale anche per gli uomini ed in questo
senso l'identificazione degli dei con le potenze dell'animo non
qualcosa di arbitrario ma non neppure un elemento tale da
dissolvere completamente la loro autonomia, appare cio neces sario
rendere conto accanto a tale identificazione, di una distin zione che
non meno importante.
Le virt che gli dei sostituiscono alle immagini di vizio
tendono a costituire, come si rilevato, un livello mediatore tra la
suprema unit in cui necessit e libert, verit provvi denza e
sapienza coincidono e l'empiria, livello mediatore che pure assicura
un contatto tra quei modelli inaccessibili e l'empi ria stessa. Da
questo punto di vista gli dei esprimono un grado intermedio che
pu essere simbolizzato attraverso dei miti,
69
70
71
72
73
74
VI
Risulta ora con chiarezza perch le prossime sedie celesti che
dovranno essere ormai rimpiazzate si collochino immediatamente
accanto a quelle occupate da Legge e Giudizio e perch in
esse si installi ci che deve porre in esecuzione il loro decreto. Cosi
tutta la successiva parte del dialogo si incentra rispettivamente
intorno alla Forza da un lato ed alla Sollecitudine (o Diligenza o
Fatica) dall'altro, chiamate ad occupare il posto di Ercole e di
Perseo che ne divengono in effetti gli esecutori. Certo, esiste
tutta una serie di figure intermedie tra le due appena ricordate e
che presentano per giunta una valenza insieme religiosa e
politica: la Lira' indica il ristabilimento delle Muse del sapere e
della vera dottrina ed attraverso di esse l'Etica riceve un collirio
destinato a 'instituir religioni, ordinar gli culti, metter leggi ed
esecutar giudicii' 'accomodando quanto si pu - dice il Bruno - gli
affetti ed effetti al culto de dei e convitto de gli uomini' mentre il
Cigno e Cassiopea 2 lasciano il posto rispettivamente alla Penitenza
e a quella Semplicit d'animo che secondo un giudizio diffuso nella
letteratura del tempo pu convertirsi in strumento, in caso di
necessit, della prudenza e difendere la verit con la dissimulazione.
Resta tuttavia, come si diceva, la centralit delle figure che
intervengono a sostituire Ercole e Perseo in cielo e della missione che i due eroi sono chiamati a svolgere una volta scesi
sulla terra. Forza e Sollecitudine, dunque, come elementi che si
Dialoghi, p. 703.
76
Ibidem, p. 717.
77
78
Ibidem, p. 746.
Ibidem, p. 747.
79
VII
Il rapporto dell'uomo con il fato registrava una corrispondenza con la relazione che si istituisce nell'opera tra razionalismo ed
esoterismo oltre che con quella che abbiamo chiamato autonomia
relativa del mondo umano. In effetti, se le leggi divine
contemplano necessariamente un distacco tra le due sfere, questo
distacco include finalit toto corde diverse all'interno di
ciascuna di esse.
Da questo punto di vista la realizzazione delle facolt umane si
inquadra in una differenza, anzi in una inferiorit conoscitiva
sostanziale che si riflette inevitabilmente sul piano morale:
imperfezione dell'uomo e suo limite conoscitivo fanno tutt'uno, tale
differenza definisce cos le nostre facolt e quindi anche i loro limiti.
Di qui il duplice piano su cui va verificata l'opera della ragione e
cio tanto al momento di decidere dei principi della vita civile
quanto e a maggior diritto nell'istituirsi del momento pi
specificatamente religioso, con la realizzazione sul terreno del rito
e delle cerimonie della relazione con il divino.
Nell'ambito pi propriamente civile si visto che la divinit
abdica in qualche modo alla sua assolutezza operando attraverso una
gradazione di piani: dall'unit indistinta che le propria e la definisce
si passa a modelli intermedi tra l'assoluto ed il sensibile sino
all'esecuzione empirica di questi modelli stessi. Il piano che abbiamo
chiamato mitico-simbolico il solo attraverso cui essa si pu
manifestare a noi - e si disse che ci si trovava di fronte ad una forma
di rivelazione nella quale interveniva come parte integrante la
ragione - onde gli dei dell'Olimpo intrattengono una relazione
organica con esso, il loro carattere divino non assoluto ma
rappresenta un punto di
82
t lordani Bruni Nolani Opera latine conscripta (d'ora in poi abbreviato in Opp. lat.),
I, Il, p p. 1 71 - 2 (De immenso, VI, 2): Suppositiones astronomorum factae sunt
positiones philosophorum ad extremam usque insaniae speciem;
sicut Aegyptiorum fabulis (ex Mercurii vaticinio in Pimandro) accidit .
Per un commento di questo passo cfr. Sulla polemica anticristiana del Bruno, in Ricerche sulla cultura dell'Italia moderna, Bari 1973, pp. 26-30. Per il Nolano della
regola del vero e del giusto rimase solo una favola corrotta, diffusasi tra i popoli,
sovvertitrice dei precetti della recta ratio e della moralit. Accanto al testo ermetico va
tenuta presente un'eco lucreziana precisa ( Sic veri ac iusti
normae corrupta remansit / Fabula, quae vitae rationem evertit et usum ; cfr. De
rerum natura, I, 1 05 ; V, 9). La `favola disutile e perniziosa' dello Spaccio
(Dialoghi italiani, pp. 785-6) divenuta la fabula turpis del De immenso. Le
opere latine del Bruno uscirono come noto dal 1879 al 1891 in tre volumi divisi
in otto parti, a cura di F. Fiorentino, F. Tocco, G. Vitelli, V. Imbriani, C.M.
Tallarigo.
83
783
2 Dialoghi, p.
e 794.
780.
84
85
86
Dialoghi, p. 816.
87
Che cosa significa allora tutto questo dinanzi all'afferma zione, apparentemente antitetica, per cui non sa rendersi superiore
chi non sa farsi bestia? Il discorso, ovvio da quanto finora si
detto, non pu non riguardare sia gli uomini che gli dei e
l'affermazione cade in un contesto che legittima questa
osservazione. Il problema reso pi complessoo dal fatto che in
Bruno il rifiuto dell'originaria condizione animale non significa che
l'uomo se ne allontani abbandonando la sua originaria struttura
psico-fisica bens conducendo questa alla sua piena esplicazione,
ma a ben vedere proprio quest'ultimo elemento ci potr fornire
alcune indicazioni preziose in vista di una sua soluzione.
La metamorfosi degli dei, come aspetto saliente del fato
della mutazione, racchiude la legge stessa della realt: aver preteso
di fissare la loro natura ad una identit non soggetta a
cambiamento riproduce dunque un fraintendimento che investe
l'uomo stesso.
Ma il mito specifico in questione ha anche un suo signifi cato
peculiare: facendosi bestia gli dei sono sfuggiti al vizio, alla pretesa
dei Giganti di ergersi contro di essi per sostituirli giungendo alla
loro altezza ed hanno cos garantito il parteci parsi del divino
all'uomo nell'unica forma a 'lui consentita: la mediazione della
natura. La loro metamorfosi acquista cos un senso che pu essere
definito letterale e simbolico insieme: letterale nel senso che la
divinit si comunica secondo gradi diversi ad ogni essere vivente,
simbolico in quanto non il singolo animale come tale doveva
essere ritenuto divino ma al contrario esso andava considerato come
semplice ricetto, e ricetto efficace in quanto utilizzabile attraverso il
rito magico, della divinit. Di qui lo scambio tra valore simbolico e
valore letterale del mito. Ma si noti che si creato in tal modo
un preciso parallelismo tra la presunta decadenza dell'uomo a li vello animale, storicamente contrassegnata dallo sviluppo dell'i dolatria, e la conversione degli dei stessi in bestia dando un
significato positivo ad entrambi questi processi. L'abbassarsi
88
89
90
condo una collocazione dell'uomo nel cosmo che ne fa, nei limiti
accennati, un punto dotato di decisione autonoma nella
catena dell'essere. Si presti attenzione tuttavia ad un aspetto
essenziale, al fatto che il `contrarsi' della divinit indica un suo
raccogliersi e limitarsi in punti isolati che coincide con una sua
ideale dispersione, mentre la contrazione attuata dall'uomo con
siste precisamente nell'invertire questo processo.
Da questo punto di vista appare particolarmente significa
tivo un testo presente nel Sigillus sigillorum:
Contractio deinde nihilominus conducere intelligatur; ab hac
enim multitudinis, contrarietatis uniformitatisque essentiarum omnium
notitia, velut a vestigiis et impressionibus, exoritur; per diversas enim
ipsarum in materiae gremio figurationes contrahuntur, diviniore
substantia in densam obscuramque corpoream commigrante, seque
quodammodo finibus eiusdem adstringente. Si enim per concretionem
intelligibile unum et verum ad nos descendit, quemadmodum
necessarium est nos ad ipsum per abstractionem ascendere. Id quidem
tentamus, cum infinita individua in species, innumerabiles species in plurima genera media, haecque in determinata decem vel duodecim, et ipsa
in unum analogum supremum omnium colligimus, ut per ipsas
intentiones quasi oppositam contractionem prosequentes, esse multiplex
et infinitum particulare in esse specifico et genericum, et hoc ad esse in
genere maxime universali, idgJe ad esse simpliciter sive essentiam
contrahamus, sicut posterius in prius, effectus in causas, has partiales in
communes, illasque proximas et immediatas ad remotiores atque mediatas, easque secundas ad primas, ipsasque plures ad unam. Duplici ergo
existente contractione: altera, qua absoluta forma fit huius illiusque in
hoc et in illo forma, sicut lux, quae est primo velut in se ipsa, postea
progressu quodam huius efficitur atque illius, in hoc et in illo
lumen (dum tamen de sua substantia nihil emittat et a propria
integritate non deficiat); altera contractio est, qua inferior natura per
quamdam assensus et obedientiae habitudinem, tum naturali tum
notionali adpulsu et multitudo particeps colligitur, et multa participantia
colligit in unum: Prima contractio est, qua per essentiam infi
91
92
Melancholy,
and
93
VIII
Gi si avuta occasione di osservare che il discorso sul Cristo,
sporadicamente presentatosi in precedenza, si dispiegava ormai con
chiarezza nelle pagine in cui l'Ozio rivendicava per s la
collocazione celeste assegnata alla Sollecitudine, pagine che
acquistano la loro importanza non solo, come si visto, per la
centralit della discussione che esse introducevano sul tema del
rapporto tra virt e fortuna ma anche perch chiamano in causa
un altro tema, di carattere esplicitamente religioso.
Sollecitudine e fatica - afferma l'Ozio - hanno perturbato i secoli
e messo in scisma il mondo conducendolo dall'et dell'oro all'et
`ferrigna e lutosa e argillosa' di oggi a causa di un meccanismo che
ha posto i popoli `in ruota e vertigine e precipizio' per averli
sollevati nella superbia e nell'amore di novit, e a causa della brama
sconsiderata di gloria e di onore di un solo `particolare' I. Costui,
simile ad ogni altro per natura, inferiore talora a tutti per dignit
e merito, superiore a molti per la sua 'malignitade', riuscito a
ribaltare le leggi di natura e a trasformare in obbligo e legge
quello che aveva appunto avuto origine solo dal suo desiderio
smodato di onore e di gloria. Ne risultato che questa follia ha
asservito a se stessa `mille querele, mille orgogli, mille ingegni, mille
sollecitudini, mille di ciascuno de gli altri compagni, con gli quali
cossi boriosa passata la Fatica' per tacere dei vizi che si sono occultati
sotto tali compagni: l'astuzia, l'inganno ('fizione'), la
I
Dialoghi, p. 726.
fortuna: tempo ciclico e ricorso storico, in Scienze credenze occulte livelli di cultura,
Firenze 1982, pp. 477-503.
96
2 Dialoghi, p. 727.
97
IX
In effetti Orione, il gigante che ha combattuto gli dei ed
stato ucciso da Diana, invidiosa di lui perch suo emulo nella
caccia, colui che ha inculcato il disprezzo per le leggi naturali, che ha
separato tra loro divinit e natura insegnando che la `giustizia'
dell'una non solo non `concorre' con quella dell'altra ma le opposta,
che ci che eccellente per la ragione umana quanto di pi basso e
vile possa esserci agli occhi della divinit, che questa non madre di
tutti gli uomini ma solo di coloro che siano `greci' o sappiano farsi
`greci', che filosofia contemplazione e magia sono pazzie, gli atti
eroici atti di vigliaccheria e l'ignoranza la pi bella scienza, ed
riuscito a far credere tutto ci grazie ai suoi prodigi'. Una
caratterizzazione del messaggio evangelico, questa, che sembra
risentire dell'interpretazione paolina, ma credo che sia essenziale
sottolineare ora un altro aspetto. Se in negativo dato qui cogliere
il nucleo profondo della filosofia nolana (oltre che
comprendere meglio l'inserzione della lex quale elemento
costitutivo della religione, almeno nella forma che si vista)
sarebbe poi molto probabilmente errato rilevare, come accaduto
tante volte, solo l'aspetto teorico di quanto viene qui denunciato,
poich ci che interessa di pi al Bruno in questo contesto il fatto
che tali concezioni, come ormai l'opera ha gi dimostrato, hanno
profonde conseguenze sulla vita civile e non possono essere
considerate al di fuori degli effetti che producono su di essa. Si tratta,
in altri termini, di un insegnamento radicalmente sovvertitore nei
confronti del vivere civile (si pensi solo alla contrapposizione
tra le due `giustizie') e che quindi va estirpato.
1 Dialoghi,
pp. 803-4.
100
101
finirebbe per rappresentare solo uno strumento nelle mani del fato al
fine di mostrare la somma vergogna ed ignominia di tutti coloro
che sono caduti nel suo inganno, vergogna ed ignominia
102
minime congruentes:
Simia dolis valet, Hercules viribus antecellit 4 ma maggiore interesse
riveste per noi l'adagio Simia in purpura: In varios usus potest
adhiberi paroemia, nempe vel in hos, qui tametsi magnifico cultu
sunt ornati, tamen cuiusmodi sint, ex ipso vultu moribusque
cognoscitur: vel in hos quibus dignitas indecora additur... Quid enim
tam ridiculum quam simia vestita purpurea veste? Atque id tamen
non raro fieri videmus... ut... parum attentos, aut imperitos fallant,
proque homine salutetur simia . Ci che pi importa quel dolis
associato proverbialmente alla scimmia (in un altro testo il Bruno
parler di 'scimie e gattimammoni', ritornando sul costante
collegamento da lui istituito tra il Cristo e il vano timore della morte)
Ercole e la scimmia come
6.
103
104
105
108
passar, non gli parlate, non gli dimandate nulla. Vedete come da
quell'altro canto si spicca la Ciarla, la Garrulit, la Loquacit con
altri servi, damigelle ed assistenti I.
Il pesce, noto, simbolo comune del silenzio (si ricordi
l'adagio magis mutu quam pisces con il richiamo da parte di Erasmo
al rispetto dei Pitagorici per i pesci proprio grazie a questa loro
virt, parallela al silenzio pitagorico; si ricordino anche
espressioni come quella piscis quia mutus infacundus ac male canorus);
dunque, secondo un apparente paradosso, il silenzio sale in cielo ad
occupare la sede che gi apparteneva ai Pesci ma, se questo sembra
confermare sia pure molto genericamente la relativa dignit
attribuita alla loro figura nel prologo dell'opera, soprattutto
evidente che una spiegazione di tale fatto dovr passare attraverso
il significato del pesce come simbolo cristiano per eccellenza.
importante ricordare che gi Mercurio, nel primo dia logo
dell'opera, aveva rassicurato Sofia sul fatto che Venere e Cupido
non sarebbero pi riusciti a distrarre Giove dall'esecu zione del suo
compito, la realizzazione della giustizia, anzi era stato proprio
Giove a ricordare a Venere, nel momento in cui egli si apprestava
a riconoscere la sua colpa e a fare atto di penitenza, che il tempo
aveva lasciato i suoi segni anche sul suo bel viso, sulla sua `grazia';
con lei aveva usato l'espressione evangelica Noli me tangere nel senso
che non c'era pi posto nella sua azione per giochi, frivolezze e
lenocinii.
Fedele dunque al ruolo che ha fatto suo, Giove, dopo aver
decretato che i Pesci sono stati in cielo anche troppo a lungo,
concede alla dea che tornino in terra l da dove sono venuti e
conferma loro il privilegio di non essere mangiati dai Siri ma
chiede che facciano attenzione ('stiano in cervello') perch non
vengano sottratte, con grave rischio, le loro uova interiori. Si
tratta dunque, non occorre ricordarlo, di pesci che hanno un
carattere sacro.
2,
109
1
2
a Le opere di Luciano volgarizzate da Guglielmo Manzi, vol. VI, Capolago 1836, pp. 117-9.
LB, II,
col. 24 D.
110
111
112
113
114
115
cap. V).
Et vix capio mysterium de quibusdam Galilaeis, qui
repente in summos evasere theologos, et alios manuum impositione in eamdem
sufficientiam promovebant
It Gv, 16, 7-15: Io per dico la verit: bene per voi che io parta; perch se io non
parto il Paracleto non verr da voi; se invece parto ve lo mander. Quando egli sar
venuto far riconoscere al mondo peccato, giustizia e giudi
zio: peccato nel fatto che non credono in me; giustizia nel fatto che io ritorno al Padre
e non mi vedrete pi; giudizio nel fatto che il principe di questo mondo stato
condannato '. Ho ancora molte cose da dirvi, ma non sono alla
vostra portata per ora. Quando lo Spirito di verit sar venuto vi far nota tutta la
verit perch non parler di s ma vi dir tutto quello che ascolta e vi annuncer le cose
future. Egli mi render gloria perch prender del mio e ve
lo annunzier. Tutto quello che ha il Padre mio; per questo ho detto che
prender del mio e ve lo annuncer .
9 Opp.
l o O p p l a t. , II , I l, p . 1 6 9:
116
XI
Solo dopo che il Bruno ha delineato quelli che sono i
caratteri della vera religione ed i tratti del Cristo-Orione pu
passare ad affrontare una serie di figure tra loro strettamente
collegate attraverso cui risulti il profilo che dovr assumere il
cristianesimo sulla base della sua vera natura, ma gi l'allegoria della
nascita del Cristo li a ricordarci che egli tenta una traduzione del
suo contenuto in termini mitologici che ne illumini il carattere
immaginario, e non solo per la ragione indicata al termine del
paragrafo precedente. Non si tratta cio soltanto di un espediente di
carattere letterario ma dell'idea pi profonda che sia possibile
ricondurre su un piano mitologico ci che da esso ha avuto
origine fissando in tal modo in maniera simbolica l'origine del
cristianesimo nel momento stesso della incomprensione del mito.
L'operazione che viene dunque compiuta appare cosf duplice:
da un lato si riducono a mito i dogmi cristiani creando un piano
omogeneo di confronto, dall'altro si falsifica ci che in essi si era
posto come verit assoluta in quanto non si era andati appunto al
di l del valore letterale dei miti stessi.
Si parlava di figure attraverso cui il Bruno viene ora analizzando
il contenuto del Cristianesimo e sembra indubbio che attraverso
quelle dell'Eridano e della Lepre egli affronti i modi specifici
attraverso cui il Cristo aveva saputo realizzare la sua unione con
gli uomini e fare di essi la sua caccia. In particolare la figura
dell'Eridano sembra rinviare alla concezione del `corpo mistico' del
Cristo di cui ciascun credente entra a far parte e viene a
costituire le membra, concezione che pu alludere tanto all'efficacia
del battesimo quanto al costituirsi della vera Chiesa, mentre il fatto
che si dica che la Lepre verr
118
Dialoghi, p. 612.
119
che si ritrova in tale condizione per una sia pur `santa' pazzia.
La cosa assume un duplice risvolto. Da un lato per questa via
non viene arrecato danno a nessuno, a nessuno viene sot tratto
qualcosa di concreto ed il significato di questa afferma zione si
rafforza pensando al carattere immaginario di tutto il processo e in
primo luogo dell'Eridano, anzi - dice il Bruno con una notazione
che non va lasciata cadere, tanto pi che pu essere ricollegata alla
relativa positivit riconosciuta alla credenza nel peccato originale - il
fatto `non forse senza buon guadagno'. Dall'altro lato, assistiamo
qui alla ripresa esplicita del discorso sui cibi esclusivamente
spirituali ma in realt illusori di cui si nutrono in particolare gli
uomini della Riforma, senza che Bruno rinunci per questo al suo
tentativo di identificare l'autentico cibo spirituale dotato di
valore eterno ma cominciando qui a delineare il suo discorso sul
cristianesimo in una chiave nuova.
La cosa dunque non porta danno alcuno perch mangiare,
bere, `avere nel cervello' ed in propria compagnia in questo caso,
dato il carattere immaginario del tutto, non sottrae nulla agli altri
non solo sul piano del cibo ma su quello, ben pi importante,
di ci a cui chiamato ad occuparsi intellettual mente l'uomo,
mentre questa partecipazione mistica nulla toglie alla `civile
conversazione': coloro di cui si sta parlando
compiono atti vuoti di senso in cui la loro mente finisce per
alienarsi sia pure `in nome imaginazione voto reverenza'. (Le
Nereidi e le Ninfe, se esatta l'identificazione dell'Eri ano con il
corpo mistico attraverso cui si entra r a far parte del corpo della
Chiesa, possono indicare i santi e la Vergine e rinviare quindi al
loro valore di intercessori presso la divinit.) L'Eri dano dunque
tra le costellazioni cui riservato di rimanere in cielo, ma alla
condizione che gli uomini hanno decretato per lui, e cio `per
credito ed immaginazione', e con l'efficacia tutta
120
121
Ibidem, p. 602.
122
L B, II , ( l e p o r i s v i ta ) , c o l . 1 0 2 0 C .
123
124
Ibidem, V, 1160-1240.
125
126
8
LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE
127
128
10
9
Se la doppia natura del Cristo destinata ad essere retrocessa, con la figura del
Centauro, su un piano insieme ferino ed umano, non mi sembra un suggerimento inutile
quello che viene dai versi dell'Alciati a proposito di
129
atque
potentissime
per
eam
vincibile
obstringatur,
et cum
oblectationem
p e rs eve ret .
Quod
vel
im b i b i t a m
vulgo
s p e c ie m
philosophantes
per
hoc
s ec u l a
non
in fel i x
capiant
et
u De vinculis in genere, in Opp. lat., III, p. 683 (si sono adottate le correzioni al testo
suggerite dal Klein).
130
131
disposto
a concedere loro una certa
comprensione, la stessa che concede a se stesso se pensa ai timori
assurdi che concepiva da bambino.
133
ora sulla impossibilit che questo terrore si affacci l dove regna come
salda rocca a nostra difesa la contemplazione filosofica, dove cio la
quiete della vita (e altrove si parler di tranquillit dell'animo) poggia
sulla vera persuasione che non soltanto ogni sostanza eterna e che
noi dobbiamo temere solo il dissolversi del composto ma che questo
deriva da una necessit che ci riconduce ancora una volta al fato
della mutazione. Ma vi qualcosa di pi significativo: nel
momento in cui Bruno indica che nella dissoluzione del composto
va perduta solo l'unione di elementi che non sono destinati ad
annullarsi, identifica poi nel composto stesso, nell'unione transeunte
di tali elementi che per la sua provvisorieta pu spaventare la
mente ignara dell'eternit della sostanza, qualcosa che definisce
l'uomo in quanto tale, qualcosa quindi che solo pu essere
chiamato `perfezione' e `giustizia' per lui. Il composto dunque
legato in modo indissolubile alla perfezione stessa che attingibile
nella sfera umana, tale perfezione non pu riposare in una condizione completamente diversa per natura rispetto a quella che
conosciamo e nella quale soltanto si troverebbe ipoteticamente
realizzato, con il compimento di una giustizia superiore, il suo
adeguamento ad una pi alta, di fatto oscura volont, mentre al
contrario la giustizia si realizza per noi nel conformarsi cosciente
in quanto uomini a tale natura superiore.
In tal modo non si nega evidentemente che il dissolversi del
composto possa costituire e di fatto costituisca elemento di timore
(la Lepre scendendo sulla terra trover ogni uscio aperto...) ma si
indica il divario supremo, implicitamente anche numerico, tra
quanti grazie alla consapevolezza filosofica sopra ricordata (una
consapevolezza che coincide con l'intera filosofia) trovano la forza
per dominare tale timore e coloro per i quali la paura della morte
genera appunto l'inferno in terra.
Quanto alla perfezione, se Bruno ironizzer pi avanti sul mistero
della duplice natura del Cristo, insieme uomo perfetto e dio perfetto,
qui varr maggiormente la pena di richiamare un passo del Vangelo
di Matteo: Voi dunque cercate di dive
12 MT, 5, 48.
XII
La Lepre diviene cos oggetto della caccia del Cane di Orione,
ma a questo punto che abbiamo un rovesciamento significativo,
che non apparirebbe comprensibile se la realt dei fantasmi di cui
abbiamo parlato non fosse appunto come si detto un prodotto
della nostra mente. Bruno riprende dagli Adagia tutta una serie di
indicazioni per ricordare che questo animale, di cui incerto lo
stesso sesso, non soltanto non si limita a dare grazia e bellezza a
coloro che se ne cibano, ma rende beato colui che nutrendosene
non solo ne digerir le carni, per antonomasia squisite e
raffinatissime (di leporinae
carnes, quasi summae exquisitaeque deliciae aveva parlato Era
smo 1) ma soprattutto si convertir in esse. Le allusioni, a cominciare
da quella della grazia che danno le carni della lepre, appaiono
trasparenti.
Diana, dea della caccia, con un comportamento parallelo a quello
di Venere nei confronti della costellazione dei Pesci - particolare,
questo, che non va sottovalutato - non vuole che di tale animale, ora
che perde la sua collocazione celeste, si smarrisca la traccia in terra,
ma qui interviene nuovamente l'ironia bruniana, un'ironia ricca di
significato, a ricordare che ci potr essere un modo di mangiarla e di
berla - di bere evidentemente il suo sangue - senza che venga
veramente mangiata e bevuta, senza anzi, si aggiunge, senso che
l'avverta e forse neppure luogo che possa contenerla. L'allusione qui
implicita andr chiarita, ma limitiamoci per il momento a
registrare che ci che era stato presentato come il tipo stesso del
timore
1 In
136
137
quella della pura illusione, onde i cani che l'inseguono e l'interrogano debbono `fingersi' le risposte che la Lepre da sola non in
grado di dare. Ma proprio in questo modo Orione, da cacciatore
fattosi caccia per ottener meglio il suo scopo, garantisce a se stesso
le condizioni del suo permanere come dominatore di coloro che
hanno il timore della morte: se l'equivoco fosse chiarito
sparirebbe con la paura anche la vana speranza, mentre il primo
elemento non fa che perpetuare il secondo.
In conclusione la grazia che d la Lepre pura illusione, come
quella che scaturita da un vano timore della morte; inseguita dai
cani di Orione essa non sar mai raggiunta ma viceversa li
costringer, come portatrice di un enigma e di un mistero
insolubili se non chiariti nella loro realt, a fingere risposte che non
pu dare, trasformer in se stessa tutti coloro che se ne ciberanno
ma sar una trasformazione immaginaria dettata da quella stessa paura
della morte che ha generato nella fantasia degli uomini la credenza
secondo cui un Orione potrebbe divenire realmente preda nella
forma particolare che si detta. A questo punto la digressione
bruniana sul valore della caccia pu illuminare insieme il
significato di queste pagine ed il ruolo svolto da Orione, ma
destinata a proporci anche un altro, diverso tipo di venatio, mentre
siamo sulla via per comprendere nei suoi termini specifici una
legittimazione della religione che non passa attraverso la verit
filosofica. Alla fine di queste pagine il Bruno potr gi apparire
come il vero Atteone, come colui che chiamato a realizzare una
metamorfosi reale in contrasto con quella, apparente, dei falsi
Atteoni guidati da colui che, invece di perseguire la
contemplazione degli dei e della verit, ha preferito sedurre gli
uomini attraverso l'inganno e la menzogna. La figura del Nolano torna
cos a contrapporsi ma ormai in prima persona alla figura del Cristo
ponendosi come sua alternativa filosofica legittima.
E in questa pagina che si apre il discorso sulla venazione
come `maestrale insania regia pazzia imperial furore 2, destinata
2
Dialoghi, p. 811.
138
139
140
Ibidem, p. 1124. 4
Ibidem, p. 813.
141
XIII
144
145
Dialoghi, p. 602.
146
Agostino (S.), 59 e n.
Alciati A., 126 n.
Aquilecchia G., 23 n.
Beierwaltes W., 12 n.
Biondi A., 11 n. Blum
P.L., 12 n. Boccaccio G.,
112 e n.
Calvino G., 103
Cantimori D., 11 n.
Caponetto S., 11 n. Cardano
G., 9, 12, 32, 63 Cavazza S.,
11 n.
Crisostomo (S. Giovanni),2Q
Demostene, 119 De
Negri E., 11 n.
Epicuro, 120, 125
Erasmo da Rotterdam, 9-27, 38, 44,
46, 49-52, 56, 61, 72, 94, 100, 106,
107, 109, 110, 119, 133
Eschine, 120
Ficino M., 89, 126, 127
Fiore T., 11 n. Fiorentino
F., 80 n.
Garin, E., 11 n., 26 n.
Gentile G., 23 n.
Giovanni (ev.), 33 n., 53 n., 94, 95 e
n., 99 e n., 113 n.
Godin A., 12 n.
Gombrich E., 108 e n.
Imbriani V., 80 n.
Jacob M.C., 12 n.
Klein R., 126 e n., 127 e n.
Klibansky R., 90 n.
Lasson A., 12 n.
Luciano di Samosata, 107 e n. Lucrezio,
80 n., 102, 120-6, 128 Lutero M., 9-27,
42, 44, 46-51, 58, 72
Machiavelli N., 126 n.
Manuzio P., 52 n., 63 e n., 110 e n.
Manzi G., 107 n.
Matteo (ev.), 36 e n., 45 e n., 130,
131 e n. Merlino,
113 Miccoli G., 11
n. Monti C., 12 n.
Mos, 48, 50, 51
Ordine N., 12 n.
O r ige ne , 12, ,
O' Rourke Boyle M., 11 n.
Panofsky E., 90 n.
Paolo (S.), 47, 49, 83 e n.
Papi F., 12 n. Plutarco, 110 e
n. Prosperi A., 11 n.
Romano V., 112 n.
Romolo, 113 Rotond
A., 12 n.
Salutati C., 77 n.
Saxl F., 90 n.
Seidel Menchi S., 8 n., 11 n., 110 n.
Solone, 47
Spampanato V., 12 n.
Stabile G., 93 n.
Tallarigo C.M., 80 n.
Teut, 113
Tocco F., 80 n.