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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

Serie Studi

VII

NAPOLI 1985

ALFONSO INGEGNO

LA SOMMERSA NAVE
DELLA RELIGIONE
Studio sulla polemica anticristiana del Bruno

BIBLIOPOLIS

issa 88-7088-112-1
Copyright 1984
by Bibliopolis - Edizioni di filosofia e scienze s.p.a.
Napoli, via Arangio Ruiz 83

AVVERTENZA
Questo saggio sullo Spaccio della bestia trionfante del Bruno
nato come tentativo di rispondere a due interrogativi rimasti in
margine a miei precedenti studi bruniani: come si potesse
conciliare la dottrina dell'oroscopo delle religioni, cos presente gi
nella struttura dell'opera, e la rivendicazione della verit di una nuova
religione con il valore di lex che conservava il cristianesimo; in
secondo luogo vedere sino a che punto si estendesse l'influenza di
Erasmo (in particolare l'influenza della sua polemica con Lutero)
sul Nolano, influenza che gi mi aveva colpito per la sua vastit
studiando Cardano e di cui avevo trovato una conferma, non ancora
sufficientemente documentata, nella celebre Autobiografia.
Il lavoro a poco a poco ha preso una direzione sua propria e
ha finito per incontrarsi con i grandi nuclei tematici dell'opera,
oltre che con l'esigenza, qui solo parzialmente soddisfatta, di un
commento compiuto che non eviti le mille difficolt di cui
disseminata. Chiedo venia al lettore della voluta limitazione del
campo di indagine, che da un lato non affronta i problemi
sollevati dal processo del Bruno, dall'altro rimanda pi di una
volta agli Eroici furori come ad un punto di arrivo naturale della
ricerca qui svolta. Spero che si tratti solo di un rinvio, pensando
soprattutto all'invito che, in particolare nella prima direzione, mi
era stato rivolto anni orsono da maestri autorevoli ed amati.
Desidero qui ringraziare gli amici Giacomo de' Marzi,
Alastair Hamilton, Romano Mastromattei e Leonardo M. Savoia per
l'aiuto costante che hanno voluto darmi, in particolare con i loro
suggerimenti, nel corso del lavoro.
Firenze, agosto 1984

quasi naturale, per il lettore del De libero arbitrio di Erasmo


(1524), fare un breve passo indietro nel tempo, tornare a quel 1516
quasi
fatidico
nella
carriera
dell'Umanista,
agli
anni
immediatamente successivi ed in particolare ad un testo, la Ratio
seu methodus... ad veram theologiam, in cui gi possibile ritrovare il
nocciolo del suo pensiero relativamente al problema che qui ci
interessa I. Nel momento in cui cerchiamo di miglio
1

Per un primo approccio alla fortuna italiana di Erasmo si vedano i saggi


di D. CANTIMORI, Erasmo e l a v i ta morale e religiosa italiana nel secolo X V I e Erasmo e
l'Italia, ora nel vol. Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino 1975, pp. 40-87 oltre
che la sua introduzione all'Elogio della pazzia, traduz. di
T. Fiore, Torino 1964, con riferimenti all'influsso sul Bruno. Tra i contributii
pi recenti cfr. E. GARIN, Fon ti ital ia ne d i Erasmo, in Rinascite e rivoluzioni. Movimenti
'culturali dal XIV al XVIII secolo, Bari 1975, pp. 221-34 e le ricerche di S. SEIDEL MENCHI,
Alcuni atteggiamenti della cultura italiana d i f ro n te ad Erasmo in Eresia e Riforma
nell'Italia del Cinquecento, Firenze-Chicago 1974, pp. 71-135; Sulla fortuna di Erasmo in
Italia, `Rivista Storica Svizzera', XXIV (1974), La discussione su Erasmo nell'Italia del

Flandino vescovo
di Mantova, A. Quistelli teologo padovano e A. Pio principe di Carpi in aa.vv.,
Societ politica e cultura a Carpi ai te m p i di Alberto III Pio, Padova 1981, I, pp. 291Rinascimento. A.

Per la fortuna di Lutero nell'Italia del '5 00 vedi ora i saggi di O.


e S. SEIDEL MENCHI nel vol.
Lutero in Italia. Studi storici nel V centenario della nascita. Introd. di G. Miccoli,
Casale Monferrato 1983 ma cfr. anche S. SEIDEL MENCHI,
Le t ra d u z i o n i i t a l i a n e d i L u te ro n e l l a prima met del Cinquecento, Rinascimento ,
382.

NICCOLI, A. BIONDI, S. CAPONETTO, S. CAVAZZA, A. PROSPERI

XVII (1977), pp. 31-108.

Per la polemica tra Erasmo e Lutero, v. da ultimo il vol. di M. O' ROURKE


BOYLE, Rh eto r i c a n d Refo r m . Erasmus' Civil Dispute with Luther, Cambridge,
Mass. and London 1983 (alla cui bibliografia sull'argomento aggiungerei le
osservazioni di E. DE NEGRI, La teologia d i L u te ro , Firenze 1967, pp. 77-100), autrice
anche di un Erasmus on Language and Method in Theology, Toronto 1977. I l libro della
Boyle, ricco di fini osservazioni, tende ad interpretare la fides di Lutero identificandola
'with the Stoic dogma of the Cataleptic impres-

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LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

rare noi stessi e gli altri sul piano morale, afferma la Ratio, pi
opportuno rimettersi alla misericordia divina piuttosto che
introdurre nel nostro discorso rigide distinzioni dogmatiche o
sottili argomentazioni teologiche. Cos, cercare di trasformare il
rapporto tra fides e caritas in qualcosa di completamente trasparente
agli occhi dell'uomo al di l del livello fondamentalmente morale
che si scelto per il discorso, significa correre il rischio di ricadere
in un atteggiamento che si era presentato in passato come
affossatore della vera piet cristiana, un atteggiamento che aveva
distolto da essa stabilendo un solco invalicabile tra il

sion within the context of the classical problem of the Criterion


of truth'. La contrapposizione tra Erasmo e Lutero come
contrapposizione tra una posizione scettica ed una stoica sembra
tuttavia pi integrare che sostituire una specifica analisi teologica: v.
in questo senso il saggio di A. GODIN, Une lett ure slective d'Origne l a
Renaissance: rasme et le Peri Arch6n nel vol. Origeniana, Bari 1975, pp. 83-95 e
in genere il vol. dello stesso GoDIN, rasme lecteur d'Origne, Genve 1982,
pp. 449-530.
Per l'influenza di Erasmo su Cardano, mi permetto di
rinviare al mio Saggio sulla filosofia di Cardano, Firenze 1980, pp. 79-101.
Per la fortuna sei-settecentesca del Bruno e in particolare dello
Spaccio, cfr. MARGARET C. JACOB, L'Illuminismo radicale, Panteismo, massoni e
repubblicani, Bologna 1983. Sullo Spaccio in genere, resta ancora
fondamentale F.A. YATES, G i o rd a n o B r u n o and The Hermetic Tradition,
London 1964, trad. it . Bari (ma v. anche F. PAPI, Antropologia e civilt
nel pensiero d i G i o rd a n o Bruno, Firenze 1968). Per alcuni aspetti toccati
in questo studio restano sempre un utile punto di partenza i due
contributi di V. SPAMPANATO, G. Bruno e la letteratura dell'Asino e Lo Spaccio de
la bestia trionfante con alcuni antecedenti, Portici 1904 e 1902. Ma cfr. ora,
anche per la bibliografia, N. ORDINE, Simbologia dell'asino, Giornale
storico della letteratura italiana , CLXV (1984), pp. 116-130.
Tra le pubblicazioni pi recenti si v. P.R. BLUM,,Aristoteles bei
G i o rd a n o Bruno, Mnchen 1980 (il Blum ha anche curato col
Beierwaltes una ristampa della traduzione di A. LASSON del De la
causa, Hamburg 1977). Tra le traduzioni va segnalata quella dei
poemi latini: Opere latine, Torino 1980, a cura di Carlo Monti.
Particolare importanza mi sembra abbia il saggio di A. ROTOND,
Cul tu ra
umanistica e diffi colt di censori. Censura ecclesiastica e discussioni cinquecentesche sul
Platonismo,

in L e

Pou vo ir et la Pl um e. Incitation, contrle et rpression dans l'Italie du

XVIe sicle, Paris 1982, pp. 16-50. Per tutta una serie di temi qui

affrontati, cfr. C. VASOLI,

Profezia e ragione,

Napoli 1974.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

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teologo, il dotto chiamato ad interpretare le sacre scritture e la


moltitudine, lasciando quest'ultima priva di guida ed abbando nandola in tal modo nelle braccia della superstizione.
noto che nel De libero arbitrio, prima di affrontare la
discussione del problema attraverso l'analisi della Scrittura, Era smo
conclude la sua lunga premessa osservando che forse essa
rappresentava qualcosa di pi importante dello sviluppo stesso
dell'opera, della posizione specifica che egli avrebbe assunto in
relazione al tema esaminato: un tema, sia ricordato per inciso, che
gli era stato suggerito come termine di confronto con il
Riformatore ma a proposito del quale Lutero non mancher di
sottolineare che Erasmo aveva colto con esso il punto autentico del
loro dissenso dando una ennesima prova della sua' acutezza ed
intelligenza: ancora una volta - dir nel De servo arbitrio (1525) Erasmo aveva saputo andare diritto al cuore della questione.
Ma l'affermazione di Erasmo relativa alla premessa della sua
opera racchiudeva tutta una serie di significati simultanei: se la
discussione doveva scendere su quel terreno che per lui era quello
della vecchia Scolastica, un terreno cio sterile per la piet religiosa
e poco sicuro per il campo stesso della verit, non era possibile n
necessario dividersi realmente su argomenti che sfuggivano alla
piena comprensione dell'uomo, al massimo sarebbe stato possibile
dare interpretazioni tra di loro differenti sul piano di una maggiore
o minore probabilit. Il problema del libero arbitrio rientrava
infatti tra quei temi per i quali la ragione umana non possiede
strumenti adeguati, dal momento che le Scritture non danno su di
esso una risposta che possa indurre ad una conclusione univoca.
Vi un punto dell'argomentazione di Erasmo che colpisce in
modo particolare: la questione era collegata anche per lui, per
sua esplicita ammissione, n poteva essere diversamente, con .il
problema della salvezza individuale ma veniva posta sul piano di
ci che destinato a rimanerci ignoto, veniva cio collocata
accanto a ci che, restando al di fuori della Scrittura

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LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

(ad esempio la data della nostra morte), non pu non sfuggirci o a


quanto, pur essendo espresso in essa, non trovava una
formulazione trasparente per l'uomo che desse adito a discus sioni
suscettibili di una soluzione definitiva: ad esempio, il rapporto tra
le tre persone divine, il modo in cui ciascuna procede dall'altra e
cosf via.
Se Erasmo non avvertiva la discrepanza profonda tra ci che
riguarda la nostra salvezza e questioni teologiche di questo tipo, se
rifiutava attraverso la loro assimilazione l'importanza di una presa
di posizione precisa, questa era semplicemente la conseguenza di
una visione del cristianesimo che aveva preteso di ridurre il
messaggio evangelico ad un messaggio di natura fondamentale
morale restringendo all'essenziale la parte strettamente dogmatica,
ed aveva tentato di confinare la parte del mistero, sia pure con
difficolt destinate a rivelarsi ben presto storicamente
insormontabili, ad un ruolo marginale rispetto a tale messaggio
morale.
In questa prospettiva acquista maggiore rilievo l'affermazione
secondo cui, anche se fosse stato possibile dare una risposta
conclusiva ad una serie definita di problemi, non sarebbe stato
opportuno e conveniente che la discussione di essi abbandonasse
l'ambito ristretto della scuola e delle cerchie dei dotti, all'interno
delle quali poteva avere un senso il loro esame, per portarli al
livello di una moltitudine destinata inevitabilmente a travisarne il
significato: la tesi di Wyclif relativa al fato si collocava appunto tra
quelle di quest'ultimo tipo, in altri termini essa non poteva in ogni
caso non presentarsi come qualcosa destinato a danneggiare la
convivenza civile.
Una presa di posizione, questa, che gli verr rimproverata
nella risposta di Lutero come spia di una preoccupazione emi nentemente mondana e che ci riconduce alle pagine dell'Enchiridion
militis Christiani in cui si presenta il Cristo come porta tore di pace
ed il cristianesimo stesso come sola autentica via terrena alla
felicit, una via dunque che converrebbe adottare prima ancora di
esserne pienamente convinti, sulla semplice
LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

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base della propria utilit personale, una via che sembra trovare qui una
giustificazione palese sul piano collettivo e che con durr il
Riformatore a saldare queste due linee di tendenza parlando di un
Erasmo insieme scettico ed epicureo.

Rendere relativo il valore della discussione sul libero arbitrio


faceva quindi tutt'uno in Erasmo con il riconoscimento di due
piani che non erano comunicabili tra loro sul terreno teologico.
Da questo punto di vista, il richiamo che egli com piva alla
necessit che Lutero ma non soltanto Lutero desse la prova
effettiva di quella ispirazione superiore da lui rivendicata come non
solo reale ma necessaria per l'intelligenza delle Scrit ture, non
scaturiva solo come diretta conseguenza di quanto si detto
relativamente al rapporto da lui suggerito tra sfera morale ed
insegnamento divino. Derivava anche dal fatto che un
cristianesimo che ha puntato sui valori razionali dello stesso
messaggio evangelico, in quanto da tutti immediatamente riconoscibili come tali e quindi da tutti accettabili con un atto di
assenso interiore, pu inchinarsi ad una sfera superiore, di cui non
si pu evidentemente negare l'esistenza ma al massimo
circoscrivere l'ambito che coinvolge l'uomo, solo qualora delle
prove, prove esse stesse in grado di parlare in modo persuasivo alla
ragione, ci certifichino della sua presenza in atto. noto che su
questo punto Erasmo si dichiara apertamente scettico, pur
continuando a separare se non altro per ragioni di opportu nit il
nome di Lutero da quello di altri riformatori e pur limitandosi
per il momento a far balenare soltanto che se la rivendicazione
di tale ispirazione fosse risultata falsa si apriva l'alternativa di una
ispirazione di tipo demonico.
Su queste basi la soluzione che Erasmo adotta a proposito del
problema del libero arbitrio, dopo aver vagliato i passi della
Scrittura che sembravano propendere ora per l'una ora per l'altra
soluzione, sfocer come noto nel riconoscimento di una sorta di
cooperazione che avverrebbe tra grazia e libero arbitrio,
riconoscendo il carattere determinante della prima ma non
ammettendo che essa elimini ipso facto il valore e l'autono-

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LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

mia del secondo termine ma non potr avere e non vorr avere - al di l
dei criteri dettati da una scelta che era anche politica, ma senza che
questa potesse intervenire, al contrario di quanto gli verr
rimproverato, in misura determinante - se non il crisma della
semplice probabilit.
indubbio che tale probabilit si poneva tuttavia su un piano
che implicava in modo scoperto una interpretazione della Scrittura
ormai cos radicata che, se non era in grado di certifi care
dell'esattezza della formula adottata, mirante a limitare ma non ad
annullare l'apporto dell'uomo nell'agire, sembrava poi convalidare
in pieno, ben al di l della lettera della posizione assunta,
l'atteggiamento tendenzialmente positivo da lui scelto. Se la Scrittura
un testo destinato agli uomini, che parla loro perch essi, al
limite tutti gli uomini senza eccezione, colgano nella sua chiarezza
l'insegnamento morale del Cristo; se questa Scrittura presenta
costantemente espressioni che possono avere un senso solo
all'interno di un mondo umano, in quanto strutturata su esortazioni
e promesse di ricompensa cos come su minacce di castigo nel caso
della disobbedienza, allora diffidare del senso umano a noi
percepibile di tale discorso nella sfera che si distingue appunto da
quella del mistero, significherebbe far propria la concezione di un
Dio che ci inganni deliberatamente, che presenti l'assurdo di leggi che
non potrebbero essere eseguite per definizione dall'uomo. Era
questa, com' noto, l'interpretazione che Lutero dava del Vecchio Testamento e che risultava decisiva per intendere il Nuovo Testamento e
l'avvento del Cristo, l'interpretazione cio che vede nella Legge la
premessa indispensabile al prodursi di quella Grazia che coincide con
l'avvento del Cristo e che interviene in noi solo grazie a quelle
condizioni apparentemente dure ma in realt frutto della misericordia
divina. La semplice probabilit che Erasmo assegna alla sua tesi rischia
di divenire certezza in un ambito indubbiamente soltanto umano, ma
anche l'unico che sia dato a noi di riconoscere in questa sfera che
si ferma appunto al confine del mistero.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

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D'altra parte se la posizione di Erasmo prelude, secondo una


visione diversa della natura umana, ad una considerazione differente
della storia tout court e della storia cristiana in particolare, egli scinde
poi il libero arbitrio nelle funzioni rispettivamente della ratio e della
voluntas, dell'opera di discernimento del bene dal male e di quella
della scelta pratica, e se ammette la lesione, la diminuzione delle
sue forze che l'uomo ha subito con il peccato originale non disposto
a concedere che coloro che non abbiano ricevuto la Rivelazione
divina non siano stati capaci in assoluto di elaborare una morale
alta e di operare il bene. Prova, questa, che i poteri della ratio, pur
offuscati, non erano e non sono andati interamente perduti e che
la stessa venuta del Cristo indica pi che una rottura radicale rispetto
al passato un ampliamento sia pure smisurato di quelle occasioni della
grazia che non erano mai cessate del tutto neppure nel passato.
Cosf il discorso con Lutero era destinato ad allargarsi da quello
sulla natura umana al terreno della storia non solo sacra
dell'uomo, in funzione di una valutazione ben diversa dai momenti
salienti della vicenda cristiana che incideva in misura determinante
sulla presa di posizione nei confronti del presente.
Ad una investitura di tipo profetico si veniva a contrap porre una elaborazione in senso lato culturale alla radice della
quale riposava la concezione del Cristo come ratio con tutta
l'ambiguit che questo concetto era destinato ad introdurre sul
piano religioso, dal momento che richiamava per definizione a
valori umani in coincidenza con il riconoscimento che non era
possibile intervenire sul piano del mistero.
Il problema era dunque quello della ricerca del rapporto
corretto tra umano e divino e quindi del medio realmente
operante all'interno di tale rapporto: tutti questi temi erano
destinati a ritornare ed a trovare uno sviluppo pi ampio e
dettagliato oltre che una superiore documentazione nell'Hyperaspistes diatribae adversus servum arbitrium Martini
Lutheri

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LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

(1526, 1527): la brevit del De libero arbitrio era un fatto voluto,


non meno della a volte insopportabile prolissit dell'o pera
successiva, in cui occorreva ormai replicare in maniera adeguata al
carattere radicale ed all'estensione che il Riformatore aveva dato alla
sua risposta.
Vi sono tuttavia ancora alcuni punti che vanno sottolineati per
esigenze di chiarezza. Erasmo reagiva nell'Hyperaspistes alla
inaudita violenza con cui Lutero aveva voluto rispondere alla sua
trattazione apparentemente pacata, tutta volta ad offrire un terreno
comune foriero di intesa su cui il fuoco della contro versia potesse
spegnersi con reciproca soddisfazione delle due parti. In realt, la
violenza polemica di Lutero, come sar gi risultato chiaro, era
dovuta a molte ragioni, non ultima delle quali quella per cui al di l
delle apparenze di una ricerca serena di pacificazione - modo principe
con cui Erasmo distillava i suoi veleni - l'Umanista lo poneva di
fronte ai corni di un dilemma che rischiava di distruggerne in ogni
caso le posizioni. Se Lutero riteneva legittimo il piano che
Erasmo aveva scelto per la discussione, era costretto ad accettare la
soluzione che questi dava del problema teologico in discussione,
rinunciando alla sua assoluta centralit; se non l'accettava, era automaticamente ricacciato in un passato che Erasmo riteneva ormai
tramontato e nei confronti del quale per giunta lo stesso Lutero si
mostrava ostile, quello delle dispute scolastiche non solo irrilevanti
ai fini della salvezza ma pericolose per la fede e per la carit
cristiane.
Ancora due punti meritano di essere ricordati, certo gi
presenti nel De libero arbitrio ma che ricevono nell'Hyperaspistes ben altro sviluppo, due punti che risulterebbero tanto pi
significativi ai nostri fini se anzich una dipendenza diretta del Bruno
indicassero una naturale convergenza sul terreno della polemica nei
confronti della Riforma: essi chiamano in causa il valore
dell'ispirazione religiosa e della tradizione.
La chiarezza della Scrittura era destinata a rivelarsi pura
illusione dinanzi alla sua struttura metaforica ed alla discordia

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

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non solo dei suoi interpreti nel passato ma dei nuovi, sedicenti profeti
del presente tra di loro. Lo Spiritus Christi di cui essi, in
primo luogo Lutero, si ammantavano era destinato a restare un
dubbio privilegio non solo di fronte a questi dissensi ma di
fronte al rovesciamento che egli operava di tutta una tradizione,
senza che tra le sue interpretazioni e quelle degli avversari fosse
possibile istituire un criterio univoco di giudizio: si trattava di
scegliere tra le interpretazioni diverse di uno stesso testo e non di
separare tra loro la luce della verit dalle tenebre dell'errore. Per
giunta Erasmo, deposte le ultime cautele, non esitava ormai a
ricordare che questo `spirito' appariva incognito e che spesso l'angelo
del male assume le sembianze di angelo della luce...
Ma non minore importanza acquista il secondo punto cui si
alludeva: l'allinearsi di Erasmo alla tradizione della Chiesa
coincide con l'affermazione netta di un limite, della incapacit
dell'uomo di decidere su problemi di cui Lutero non aveva
avvertito che esulavano dal piano della Scrittura per penetrare in
quello, opinabile, non accettabile come autorit, della interpretazione di essa. L dove non era possibile giungere ad una
conclusione definitiva, doveva subentrare l'autorit della tradizione
come punto reale a cui fare riferimento. Soprattutto, ed Erasmo
ritorna sino alla noia su questo argomento, non si vedeva il frutto
di tale atteggiamento o meglio anche troppo chiare apparivano le
conseguenze negative, gravissime, approfonditesi di anno in
anno, prodotte da esso, senza che si potesse sostenere che ci che era
in causa fosse la salvezza degli uomini. Lutero aveva portato al
livello di tutti problemi suscettibili di essere trattati (ma non risolti)
nell'ambito delle scuole e dei dotti e questo appariva ad Erasmo del
tutto inaccettabile. Il richiamo alla tradizione - merita ancora che lo
si sottolinei - significava congiungere insieme la conseguenza di un
limite intrinseco all'uomo in quanto tale, e la necessit di
assumere coerentemente un atteggiamento pratico preciso e rigoroso,
che oltretutto non sarebbe stato di pregiudizio alla salvezza delle

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LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

anime. Ci che a noi pi interessa proprio questo collega mento tra un limite che non permetteva di estendere la discussione
teologica ad ogni livello e la difesa che ne scaturiva di un atteggiamento
pratico coerente con la consapevolezza di tale limite.

II

noto che Lutero ha contestato nel De servo arbitrio l'intera


interpretazione della Scrittura fornita dall'Umanista come frutto di
una incomprensione radicale; ma tale incomprensione poggiava
per lui su un fondamento molto vasto ed estraneo addirittura a
preoccupazioni di ordine religioso, onde la spirale di accuse che
si abbatte su Erasmo, quella di essere scettico, epicureo, retore,
filosofo, fino a quella suprema di ateismo. Che Lutero parta nel
suo testo dalle preoccupazioni di Erasmo per la pace, la pace
terrena beninteso, solo la via pi sicura per scoprire come
dietro i criteri ispiratori del suo scritto si celasse qualcosa che non
poteva essere espresso apertamente, che era profondamente umano
nelle sue radici e che si opponeva come tale al significato stesso del
Cristianesimo I.
Privilegiare delle preoccupazioni mondane cui pure non poteva
essere insensibile lo stesso Lutero - neppure il suo cuore era di
pietra, dir nell'opera - rispetto al piano della salvezza significava
non aver compreso che la divinit non pu aver lasciato l'uomo
all'oscuro sul punto fondamentale che riguarda il loro rapporto.
Erasmo ha fatto questo perch solo una interpretazione `retorica',
adattata cio alle possibilit umane di comprensione, della Scrittura
pu capovolgerne il senso profondo, che non pu non essere quello di
un paradosso insuperabile agli occhi della ragione umana.
La guerra stessa tra gli uomini, come prodotto del loro
dissenso sul significato della parola divina, il segno di questa

625-7.

D. Martin Luthers Werke. Kritische Gesamtausgabe, Weimar 1883 sgg., voi. 18, pp.

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LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

opposizione radicale tra Dio e mondo, una opposizione che la


Scrittura ha previsto ed espresso in mille forme tra le quali hanno
supremo rilievo le antitesi tra sapientia e stultitia, tra pretese
della ragione umana e sfera dei decreti divini.
L'uso della metafora, ricorrente in Erasmo sulla scia dell'esempio negativo del Crisostomo e di Origene, il tentativo di
adattare il significato assoluto del testo sacro alle esigenze ed alla
debolezza conoscitiva dell'uomo, ai tempi ed alle situazioni storiche
in cui quelle parole sono state pronunciate non rappresentava solo la
volont mascherata di ricondurre alla natura dei testi umani una
Parola che ha un'origine diversa, ma era lo sforzo di piegare ai
desideri della nostra ragione quello che il decreto inviolabile della
divinit, quali che siano i connotati con cui esso si presenta agli
occhi degli uomini, ch anzi tale decreto non poteva non apparire
ingiusto ed irrazionale di fronte al mondo. Al contrario, la
Scrittura andava intesa in senso letterale perch il mistero presente
in essa potesse mantenere tutta la forza della rivelazione, una
rivelazione che non pu non essere chiarissima appunto nella sua
lettera, sebbene debba necessariamente risultare impenetrabile nelle
ragioni ultime che hanno mosso la volont divina.
La separazione tra un Deus absconditus, chiuso nella sua
inaccessibilit, ed un Deus indutus, revelatus che ha parlato
all'uomo, come dice il termine, quasi dando un aspetto ed una veste
esteriore alla sua inaccessibilit - separazione implicita nella distinzione
tra la claritas scripturae ed il significato profondo di essa - si impone
proprio come distinzione tra quel Dio inaccessibile all'uomo sia
nella sua potenza, per cui egli causa efficace di tutto, sia nelle
ragioni ultime dei suoi decreti, decisi ab aeterno ed insondabili, e
quel Dio che si manifesta nella Scrittura non perch la ragione
umana possa coglierne il mistero ma perch possa almeno
riconoscerne i decreti.
Di fronte ad una esegesi che nel suo procedere per tropi ed
allegorie gi rivelava la sua non disinteressata incapacit a restare
all'altezza del suo compito, Lutero poteva cosf proclamare

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

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che la lettera ed il sensus communis erano sufficienti per un


verso a cogliere la parola divina, per l'altro risultavano radical
mente impotenti di fronte a questo fine. La fedelt alla lettera
ed il ricorso al sensus communis apparivano indispensabili per
ch le elaborazioni della ratio umana - una facolt cio viziata
sin dall'origine da un limite che ci riconduce ad una insuffi cienza morale - non si sovrapponessero distorcendone il senso alla
Scrittura, e tuttavia questa presentava un contenuto che si apriva,
vivificando quella lettera, solo a chi fosse disposto a coglierne
dall'alto non l'intima razionalit ma precisamente il paradosso
radicale che riposava nel suo fondamento.
La lettera doveva rispettare la possibilit che l'antitesi tra i
valori stabiliti dall'uomo e quelli stabiliti dalla divinit si consegnasse a noi nella sua purezza, come dono inaccessibile a chi di quella
razionalit si era fatto portavoce ed in essa pretendeva di esaurire il
significato del testo sacro.
L'introduzione cos dello spiritus come elemento individuale,
destinato ad apparire e ad essere messo in discussione quale organo
privilegiato di conoscenza da parte di Erasmo (e pi tardi dal
Bruno), era chiamata ad operare questo passaggio e finiva per
approfondire in modo irrimediabile il contrasto tra le due posizioni.
Ogni tentativo allora di trovare dei medi conoscitivi e
morali in grado di saldare l'onnipotenza divina ad una natura
concepita come macchiata dall'origine ed in modo radicale dal
peccato, capace in altri termini solo di male, era destinato a
rivelarsi soltanto un'ennesima astuzia della ragione. Enfatizzando in
mille forme questo contrasto - onde Erasmo parler
nell'Hyperaspistes del tragice loqui di Lutero 2, rifacendosi ad

2
Des. E ra s m i Roterodami Opera Omnia, Lugduni Batavorum 1703-6 (d'ora
in poi abbreviato in LB), t. IX, coli. 1270, 1289, 1324: .... ut nihil tam
circumspecte dici possit, qui tu vertas in atrocem tragoediam ;
nihil loqueris absque tragicis hyperbolis ; totam illam
tragoediam, quam ex definitione

24

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

uno dei suoi Adagia - Lutero sosterr che attribuire all'uomo la


capacit non diciamo di operare con le sole sue forze la sua
salvezza ma di cooperare, concorrere con essa avrebbe signifi cato
riconoscere come autonoma un'attivit che in ogni caso non poteva
non essere ricondotta in ultima analisi alla volont divina e quindi
porsi in condizione, misconoscendo il significato intero della
Scrittura, di fraintendere la differenza tra Vecchio e Nuovo
Testamento annullando cos{ il senso e l'indispensabilit
dell'incarnazione del Cristo.
Certo il libero arbitrio - ed Erasmo nella sua replica accuser
il Riformatore di inconseguenza su questo punto - sussisteva in
quella zona inferiore che riguardava il rapporto dell'uomo con il
creato, con la natura e con i suoi simili riuniti in societ, ma era
inesistente nella sua relazione diretta con la divinit, l dove
l'intenzione che lo muoveva non poteva essere che frutto di una
natura corrotta: nulla di ci che l'uomo compie pu avere
valore agli occhi di Dio. Non che questi volesse evidentemente
il male ma la sua onnipotenza si scontrava inevitabilmente per
Lutero con il grado diverso secondo cui essa viene recepita
nell'azione dell'uomo.
Era vano ricorrere allora a pi o meno abili distinguo tra
qualit superiori e qualit inferiori dell'animo umano, ed attribuire
alle prime una capacit sia pure condizionata di operare il bene,
cercando di eludere la semplice ed inequivocabile distinzione
presente nella Scrittura tra spiritus e caro, piegando ad un
significato restrittivo il secondo termine, significato che gli era
estraneo. Pensare che l'uomo potesse da solo compiere opere
buone limitando in tal modo l'onnipotenza divina appariva
assurdo, circoscrivere quest'ultima significava non riconoscere il
rigido determinismo che ci condanna al peccato. L'uomo era

concitasti. L'insistenza di Erasmo sul tragice lo qui di Lutero va tenuta presente per
individuare il significato dell'espressione bruniana di 'tragedia cabalistica', sulla quale si
veda pi avanti nel testo.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

25

veramente, secondo l'immagine agostiniana, come una cavalcatura il


cui destino di essere montata ora da Dio ora dal diavolo',
immagine che verr attaccata dal Bruno nella Cabala del
Cavallo Pegaseo (1585) secondo una linea di pensiero non
lontana da quella di Erasmo su questo punto, chiedendo cio
quale fosse il criterio per giudicare correttamente della fonte
dell'ispirazione ricevuta, per decidere dell'origine divina o demonica
di tale ispirazione. (Nell'Hyperaspistes si insister in modo
pi esplicito rispetto al De libero arbitrio sul fatto che
qualora la pretesa ispirazione superiore si riveli illusoria non pu
essere che opera di demoni.)
Attraverso tutti questi elementi l'intero significato della
Scrittura veniva mutando secondo il Riformatore e si rendeva
chiaro all'uomo sia pure nei limiti enunciati: la Legge che Dio aveva
dato al popolo ebraico non era commisurabile alla legge umana,
che come tale contempla quale elemento essenziale la possibilit di
essere eseguita, bensf era stata lo strumento primo di cui Dio - quel
Dio che secondo Lutero si presenta a noi sempre `sub
contrario', di spalle - si era servito perch l'uomo
3

M. Luthers Werke, cit., voi. 18, p. 635: Sic humana voluntas in medio posita est,
ceu iumentum, si insederit Deus, vult et vadit, quo vult Deus, ut Psalmus dicit:
Factus sum sicut iumentum et ego semper tecum. Si insederit
Satan, vult et vadit, quo vult Satan, nec est in eius arbitrio, ad utrum sessorem currere
aut eum quaerere, sed ipsi sessores certant ob ipsum obtinendum et possidendum
. Cfr. GIORDANO BRUNO, Dialoghi italiani. Dialoghi metafi sici e
dialoghi m o ra l i . Nuovamente ristampati con note da G. Gentile. Terza edi zione a cura
di G. Aquilecchia, Firenze 1958 (d'ora in poi abbreviato in Dialoghi), pp. 878-9:
Saulino... Cossi li nostri divi asini, privi del proprio
sentimento ed affetto vengono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato
a l'orecchie dalle revelazioni o de gli dei o de' vicarii loro; e per consequenza a
governarsi non secondo altra legge che di que' medesimi.
Quindi non si volgono a destra o a sinistra, se non secondo la lezione e raggione
che gli dona il capestro o freno che le tien per la gola o per la bocca, non
caminano se non come son toccati... Sebasto. Ma vorrei intendere come
questa bestiaccia potr distinguere che colui che gli monta sopra, Dio o diavolo,
un uomo o un'altra bestia non molto maggiore o minore .

26

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

prendesse gradualmente atto e divenisse cosciente - una coscienza


destinata a culminare nei Salmi - della sua incapacit di obbedirgli
eseguendo il Suo comando, secondo l'interpretazione che egli
dava della formula paolina per legem cognitio peccati, aprendosi in
tal modo gradualmente la strada all'intervento della Grazia.
(Proprio ritornando sul significato che non pu non avere il
termine `legge', Erasmo tender viceversa nell'Hyperaspistes, seguito
in questo ancora una volta dal Bruno, a sottolineare come in essa
giusto possibile utile naturale vengano sovrapponendosi tra loro,
entrando come costitutivi nel concetto stesso di legge.)
La venuta del Cristo non ampliava dunque per Lutero delle
possibilit latenti e di fatto gi alla luce nelle grandi morali
dell'antichit, ma introduceva un elemento radicalmente nuovo,
costituendosi come sola fonte reale di mediazione tra umano e
divino: si trattava della `giustizia' del tutto particolare che scaturiva da
quella Legge sia pure nel modo `paradossale' che si detto (un modo
d'altra parte intrinseco all'operato divino). Una giustizia che
opera del Cristo, mediante la quale, una volta posti in grado di
usufruirne, ascendiamo al rango di `re del cielo' e di `figli di Dio',
grazie all'insondabile decreto per cui Dio ha voluto nella sua
misericordia salvare alcuni ponendoli nel numero degli eletti
anzich condannare tutti come pure era nelle sue possibilit.
Le virt umane non cessano di essere tali - Bruno dir
che con la Riforma non che si sia giunti a chiamare il giusto
ingiusto e viceversa, solo se ne affermata l'irrilevanza agli
occhi della divinit' _ma non possono rivendicare alcun pregio
autonomo e la riprova data dal fatto che quando esse hanno
preteso di realizzarsi al di fuori dell'ambito della Rivelazione

Dialoghi, p. 623: ... e dicono che il far bene bene, il far male male; ma
non per ben che si faccia o mal che non si faccia, si viene ad essere degno e
grato a' dei . Cfr. M. Luthers Werke, cit. vol. 18, pp. 743 e 7 58 .

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

27

non hanno potuto che confermare questa radicale incapacit


dell'uomo. La purezza di intenzioni dei pagani, destinata a divenire
nel Bruno idealizzazione in senso politico e religioso, al di l del
livello individuale ed interiore, della Respublica romana - conduce lo
stesso Lutero sulla scia di Agostino ad accettare la tesi secondo cui i
Romani sono coloro che hanno dato gli esempi pi alti di valore
eppure il loro amore per la gloria, l'amore per la patria non
potevano che essere irrilevanti in una prospettiva cristiana, non
potevano elevarsi al di sopra di una sfera puramente umana di
valori. La pretesa erasmiana di riconoscere all'uomo una sia pur
limitata autonomia nel suo agire poteva reggere solo se si accettava
che l'uomo fosse da sempre in possesso di facolt superiori in grado di
sfuggire ai richiami e al dominio della carne, ma tale interpretazione
della Scrittura, oltre ad essere inesatta, comportava l'errore decisivo di
ridurre l'incarnazione e la passione del Cristo a ben misera cosa,
ad aver liberato solo una parte e per giunta quella che si
presumeva inferiore, dell'uomo e non l'uomo nella sua integralit,
considerando l'altra di fatto gi autonoma rispetto alla macchia
del peccato originale, in virt di forze sue proprie.
L'incomprensione radicale dei punti che caratterizzavano la
Scrittura da parte di Erasmo non era solo allora, come si diceva, il
fraintendimento di un dotto che pure aveva dedicato tanta parte
della sua vita all'intelligenza del testo sacro, ma era l'enne simo ripetersi di un fenomeno dotato di carattere universale e di una
sua inevitabilit, l'opporsi cio della ratio e della volont umane al
decreto, scomodo perch antitetico ai valori del mondo, della
Scrittura. Erasmo era dunque un retore nel senso che ingannando
volgeva ad un significato metaforico ci che andava inteso in senso
letterale ma questo non era che il procedimento della ragione umana e
quindi della filosofia per piegare a se stessa, rendere a suo modo
comprensibile ed agevole all'uomo ci che l'uomo non poteva non
sentire come opposto al mondo, duro da accettare e difficile da
eseguire.

28

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Il significato letterale stesso era dunque destinato a restare


nascosto a colui che privo di un'assistenza superiore si abban donasse alle pretese della ragione umana ed Erasmo poteva cos{ esser
condotto, come faceva nel De libero arbitrio, ad un'aperta professione
di scetticismo perch il suo disinteresse reale nei confronti della
causa della religione e del comando della Scrittura era, sebbene in
modo mascherato, radicale. Ma l'accusa di scetticismo, avallata
dall'Umanista stesso e tuttavia forzata, non occorre dirlo, da Lutero
in tutt'altra direzione, poteva sconfinare in quella di ateismo se si
ritornava alla preoccupazione tutta mondana con cui egli aveva
posto il bene della pace al di sopra di ogni altro. La pagina in cui
Lutero attaccher con sarcasmo questa posizione nel De servo arbitrio
sar ripresa per essere a sua volta irrisa nella Cabala bruniana 5, in una
prospettiva che cerca ormai coscientemente di saldare gli autentici
valori religiosi a valori mondani, ma apparso ormai chiaro
come per Lutero il semplice tentativo di difendere il libero arbitrio,
prima ancora di essere destinato all'insuccesso, rivelasse di per s
una natura umana non ancora toccata dalla grazia.
Nella polemica di Lutero vi era tuttavia qualcosa di pi: se il
sapere di questo mondo era solo stultitia agli occhi della

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

29

divinit e se la figura e l'opera di Erasmo rappresentavano una


nuova ennesima riconferma di questo fatto ricorrente, allora
l'Elogio della follia 6 poteva ormai essere rivolto legittimamente
contro il suo autore: qui la follia propriamente quella della
ragione che non si sa o non si vuol riconoscere tale rispetto a
ci che fa del messaggio cristiano qualcosa di assurdo per essa,
qualcosa che richiede appunto l'intervento della fede. Se la prima
fosse sufficiente, quale bisogno ci sarebbe di fare ricorso alla
seconda? Siamo, come si vede, di fronte ad uno dei nodi centrali
per individuare l'origine stessa della Cabala del Cavallo Pegaseo,
allorch l'accusa di stultitia, preparata lungo tutto l'arco dello Spaccio
della bestia trionfante (1584) dalla categoria dell'asinit, torner per
ritorcersi contro Lutero e la Riforma, ma intanto, nella
discussione tra l'Umanista ed il Riformatore, sono emersi alcuni
degli elementi tematici che domineranno l'intera struttura dello
Spaccio stesso: ad essi converr rifarsi immediatamente, a cominciare
dal criterio per giudicare dell'esistenza di una ispirazione superiore e
dai differenti modi che sono emersi di concepire il limite
conoscitivo dell'uomo.

s Ibidem, p. 852: ... gli maggiori asini del mondo... non son quelli che con
empia curiosit vanno, o pur mai andro perseguitando gli arcani della natura,
computro le vicissitudini de le stelle. Vedete se sono o furon giamai
solleciti circa le cause secrete de le cose; se perdonano a dissipazion qualunque de
regni, dispersion de popoli, incendii, sangui, ruine ed esterminii; se curano che perisca
il mondo tutto per essi loro: purch la povera anima sia salva,
purch si faccia l'edificio in cielo, purch si ripona il tesoro in quella beata
patria, niente curando della fama e comodit e gloria di questa frale ed incerta vita, per
quell'altra certissima ed eterna '. Per il testo di Lutero, cfr. qui n. I.
notevole che qui Bruno appoggi la posizione di Erasmo servendosi del testo del
Moriae encomium: cfr. Erasmo, Elogio della follia, a cura di E. Garin, Milano
1984, p. 52. (c. 32)

6
M. Luthers Werke, cit. vol. 18, pp. 709 e 759. Ma il richiamo alla stultitia della
ragione umana costante nell'opgra.

III
Si visto in effetti che la discussione tra Erasmo e Lutero
verteva in larga parte sulla maniera con cui intendere il limite
proprio dell'uomo su un terreno teologico e che la diversit
delle concezioni implicava una scissione netta sul ruolo che poteva
essere svolto dalla ratio umana in rapporto al problema della
salvezza non meno che sui modi e sulla natura dell'ispira zione
divina. Tanto per Erasmo quanto per Lutero valeva il socratico quae
supra nos nihil ad nos 1, ma mentre per il primo esso indicava il
limite di un discorso che si rivolgesse a ci che superava l'ambito
dell'insegnamento morale del Cristo, per il secondo faceva tutt'uno
con il rapporto tra un Deus absconditus, absolutus ed un Deus indutus,
revelatus, nel senso che se non era possibile risalire alla luce
inaccessibile del Dio che nella sua onnipotenza non si era fatto parola
era tuttavia legittimo parlare di una claritas scripturae, di un dettato
trasparente della decisione divina anche, se non soprattutto, a
proposito di misteri ultimi come quello della salvezza individuale,
purch intervenisse la luce dello spiritus ad illuminare la lettera.
inutile sottolineare che tutto questo si traduceva in una
visione specularmente opposta della storia cristiana: in rapporto a
quest'ultima i due termini di Lex e Iustitia assumevano un
significato centrale profondamente diverso in relazione ai differenti
modi di concepire la Legge del Vecchio Testamento e quindi, con
la mediazione operata dal Cristo, il senso della `giustizia' da lui
introdotta per l'uomo.

LB, II, col. 250 A.

32

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Non piccola parte dello Spaccio verte intorno al significato da


dare a questi ultimi due termini (di `nove giustizie, nuove leggi'
che, pessime, avevano preso il sopravvento parlava anche la profezia
ermetica ripresa dall'Asclepius a conclusione dell'opera) 2 mentre un
primo interrogativo che si presenta in questa prospettiva quello
di comprendere come il problema della libert o meno dell'uomo
venga mutando i suoi connotati nella trattazione del Bruno.
estremamente rivelatore che tutto il primo dialogo dello
Spaccio si configuri come una discussione relativa al concetto di fato,
fato che viene identificato con la divinit suprema e appunto con
la giustizia assoluta: in questa giustizia che va riconosciuto il
vero, autentico sommo Giove cui neppure il padre degli dei
dell'antica mitologia e dell'antica religione, pur protagonista
dell'opera, pu sottrarsi. Da questo punto di vista il richiamo al fato,
identificato con la divinit suprema ed inteso come giustizia
assoluta, destinato a mantenere un ruolo centrale lungo tutto l'arco
dell'opera se esso venga visto in relazione ai modi concreti con cui
l'uomo lo intende ed intendendolo lo esegue.
Solo dalla conoscenza del fato inteso come suprema giustizia potr
infatti scaturire la nozione corretta della Legge, all'interno di una
diversa ricostruzione del limite conoscitivo proprio dell'uomo.
L'ambito puramente teologico in cui la discussione era stata confinata
non tarda ad essere superato non solo nel senso, ovvio, che non si
accetta come autorit ultima e sede unica di decisione la Scrittura e
si fa scaturire la soluzione del problema specifico da nozioni
radicalmente mondane dei concetti di legge e giustizia, ma nel
senso che si tende a contrapporre a tale ambito una alternativa di
tipo filosofico, rivendicata esplicitamente come tale, che sola
sarebbe in grado di

Dialoghi, pp. 785-6.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

33

fissare correttamente tale limite e di fondare quindi una visione


esatta del rapporto tra umano e divino 3.
Sar bene, in questo senso, avvertire subito che lo Spaccio
viene configurandosi come una sorta di anti-Evangelo,-,come su
peramento di un insegnamento, quello del Cristo, che appare
rifiutato in quanto sono state comprese le ragioni reali che lo
hanno originato e che ne hanno storicamente determinato l'av
vento e la diffusione tra gli uomini. Vedremo in effetti che la
scoperta dell'impostura del Cristo si identifica con la scoperta
del travisamento, operato consapevolmente, di quella verit
speculativa, morale e religiosa affiorata attraverso la mitologia
antica. Il rifiuto del suo messaggio, coincidente con l'alternarsi delle
epoche di luce a quelle di tenebra, dovr dunque passare non solo
attraverso la negazione della sua divinit, del suo essere uomo e
figlio di Dio insieme ma dovr scalfire i momenti stessi del
realizzarsi di questa impostura: la sua nascita, il suo presentarsi
`mascherato' ed `incognito' agli uomini, l'origine demoniaca dei
suoi prodigi, la possibilit potenzialmente sempre presente nel
suo insegnamento di riuscire a ribaltare tutti quei valori in cui si
compendiava per il Bruno la nozione corretta di perfezione umana,
il carattere falso della pretesa gloria ottenuta presso il Padre, la sua
caratteristica di personalit dominata da un insaziabile desiderio di
ambizione e di gloria, le cause del suo permanere come fonte di
illusioni presso gli uomini. Di qui il fitto tessuto dei riferimenti ai
punti salienti del messaggio evangelico non meno che alle cerimonie
scaturite da esso come a qualcosa che solo ora poteva cessare di
soggiogare l'umanit nella sua interezza, pur dovendo continuare a
dominare, secondo forme di cui occorreva discutere l'opportunit
ed i modi, una umanit inferiore da cui non era possibile
prescindere neppure nel momento del ritrovamento
3
Ibidem, p. 794: ... alcuni ignoranti porcini alle volte ti chiamano filosofo (quale,
se vero, pi onorato titolo che possa aver un uomo), e te lo dicono come per dirti
ingiuria o per vituperarti .

34

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

della verit, poich costituzionalmente negata alla compren sione di


questa. Gli stessi poteri magici del Cristo non annul lano nessuno
degli aspetti che abbiamo ricordato ma sono tali da presentarsi
anch'essi ogni volta come il realizzarsi di qual cosa di esattamente
antitetico alle intenzioni da lui dichiarate, mentre, sullo sfondo di
questa caratterizzazione del Messia, resta sempre come centrale
tanto sul piano civile che su quello pi strettamente religioso il
tentativo di risolvere in un modo corretto, alternativo a quello
cristiano, il problema della reale mediazione tra umano e divino.
Tutta una serie di indicazioni nel primo dialogo dell'opera Il
in effetti a farci presente che ci si trova di fronte al verificarsi
di un mutamento cosmico di carattere eccezionale, dotato di una
sua precisa valenza filosofica e che tale da porsi in alternativa allo
stesso annunzio evangelico di salvezza eterna, tale da chiudere anzi
il periodo in cui tale annunzio ha avuto vigore.
Si tratta di una moltitudine di fattori astronomico astrologici
che nella loro stessa coincidenza indirizzano in questa direzione: il
compiersi dell'anno del mondo, il prodursi di una `grande
congiunzione' e, evento su cui non si sono forse abbastanza
soffermati gli interpreti, il fatto che il sole stia entrando nel
decimo grado della Libra, segno che legato esso stesso all'idea di
giustizia. Tale decimo grado - il cui significato era stato illustrato
con ampiezza da Cardano nel suo commento al Quadripartito di
Tolomeo (1554) proprio in rapporto alle novit dell'et moderna' 4 ` ordinato nel capo del fiume Eridano, l dove la piegatura del
ginocchio d'Orione' S Ivi, afferma il Bruno, si restaurer quella
`legge naturale' che spargendo `l'omifico seme' destinata,
suscitando eroi e semi
.

Per il valore astrologico dato dal Cardano alla Libra cfr. Saggio sulla fi losofi a

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

35

dei, a colmare le vuote `sedie' dell'empireo celeste. Se si pensa


che sia Orione che l'Eridano sono chiamati ad evocare sia pure
in forme diverse la figura del Cristo e si ricorda l'insistente
polemica, qui e nel De immenso (1591) 6, contro i semihomines e
le semibestie divenuti oggetto di culto da parte della religione
cristiana, il senso dell'allusione viene chiarendosi mentre il
richiamo al ristabilirsi della legge naturale destinato non solo
ad essere ripreso ma a precisarsi in tutta l'ampiezza del suo
significato. Ma i segni della rivoluzione dell'anno del mondo e
della grande congiunzione fanno in realt tutt'uno con la con
sapevolezza che si fatta strada nell'animo di Giove del carattere
necessario ed improrogabile di un giudizio universale nel
mondo 7, dell'avvento di un giorno del giudizio destinato a
purificare simbolicamente lo zodiaco delle sue immagini di vizio
(di `purgatorio del signifero' si parler p i volte nell'opera non meno
che, pur in una accezione speciale, di inferno), destinato a
rigenerare attraverso le nuove impressioni ed influenze celesti cosf
introdotte il mondo umano. appena ne cessario richiamare il
`giudizio' di questo mondo di cui parlava il testo giovanneo ed
accennare al valore simbolico dei sette giorni in cui dovr
oscurarsi il cielo, non meno che alla corrispondenza tra i tre
giorni di riflessione che vengono concessi agli dei ed i tre giorni
che intercorrono tra la passione e la resurrezione del Cristo: anche
qui abbiamo a che fare con un ritorno degli dei al governo del
mondo, che ne ricever una nuova `forma', non meno che con una
loro sia pure allegorica e morale resurrezione. Pi importa chiarire
come tale vicenda coinvolga nel Bruno tanto gli uomini che gli dei
senza che nessuno dei due termini, pur rinviando l'uno all'altro,
cancelli il carattere di necessit che riveste ciascuno di essi nella
sua autonomia. Giove dunque, in quanto egli stesso sottoposto alla

di Cardano, cit., pp. 276-7.


5
Dialoghi, p. 583.
6

Opp. lat., I, Il, p.


291. 7 Gv, 12, 31.

36

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

legge del fato e non coincidente con quel dio supremo che
rappresenta la giustizia assoluta, pu conoscerne i decreti attraverso i segni che di esso abbiamo e che ce lo presentano come fato della
mutazione. Quest'ultima appare come la legge stessa a cui sottoposta
la realt ma nel momento presente, appunto attraverso i segni
radicalmente negativi che ci vengono inviati, e che si compendiano
nel discredito estremo in cui sono caduti gli dei, si preannuncia
come una mutazione di portata radicale. Giove cerca in tal modo di
porre in atto, attraverso la preghiera ed il ravvedimento interiore,
quella disposizione che sola pu garantire che non soltanto il fato
non ha abbandonato gli dei ma anzi destinato a tornare a loro
favorevole. Solo il suo ravvedimento, cui deve seguire quello delle
altre divinit, pu dar luogo a quel 'concilio'-'conclave' lo chiama
anche il Bruno - il cui fine primario il ristabilimento della giustizia
del mondo. Giove sta qui in primo luogo come simbolo di quel
lume intellettuale che presiede a ciascuno di noi, e va rilevato il
primato di questa facolt sulle altre, rappresentate dagli dei a lui
sottoposti, ma va sottolineato come il problema cui si accennava,
quello di una identit tra uomini e dei che non deve annullarne la
differenza, tenda a trovare una sua soluzione come presentarsi di un
mondo del divino che si colloca ad un livello intermedio tra
quello dell'assoluto e quello del mondo umano. Il mutamento
atteso dunque un mutamento radicale e l'atto di penitenza cui
Giove si dice pronto con una formula cristiana (`Io, misero
peccatore, dico la mia colpa, la mia gravissima colpa, in conspetto de
l'intemerata absoluta giustizia' 8) - e si ricordi il ruolo della
penitenza a cui Cristo chiamava gli uomini nel passaggio al
regno della Grazia - viene a fare tutt'uno con il rifiuto della
`grazia' di Ganimede e con quel noli me tangere con cui allontana
da s Venere, ormai stanco di vecchi giochi e lenocinii. Il
richiamo a Ganimede e alla sua

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

grazia gi permette di evocare in modo sintetico l'impostura di colui


che, figlio di un uomo, riuscito a farsi credere figlio di Dio,
facendo in modo che Giove, vittima del raggiro, discendesse in
terra e un uomo salisse al cielo ('onde il figlio d'un uomo venne
deificato, ed uce_l_l_ato il padre de gli dei') 9, mentre la ripresa del noli
me tangere acquister tutto il suo significato allorch Mercurio,
messaggero degli dei, rassicurer la Sofia umana garantendo che
Venere Cupido e Ganimede non sono pi in grado di intralciare la
provvidenza di Giove, non possono pi distrarlo in altri termini
dal compito che egli si assunto, quello di procedere all'esecuzione
della giustizia: si ricordi che Venere comparir nell'opera nelle vesti di
genitrice del Cristo grazie al suo attributo di madre della
generazione.
La fine del primo dialogo prefigura cos non pochi dei temi
centrali dell'opera nel momento in cui avvia ad una loro
soluzione, e non pu non affrontare per la prima volta la
polemica con la Riforma, non solo perch in essa verr vista nel
suo momento saliente la perdita della consapevolezza filosofica al
cui ristabilimento ci si sta avviando ma perch alla Riforma viene
attribuito in misura eminente quel valore di segno di cui si
parlava in rapporto al fato della mutazione. Il lamento di Giove,
in effetti, quello per cui `leggi, statuti, culti, sacrificii e
cerimonie' gi `donate, ordinati, comandati ed istituiti' da lui agli
uomini attraverso i suoi Mercurii sono attualmente `cassi ed
annullati', con la conseguenza che essi anzich divenire eroici
grazie all'aiuto degli dei sono discesi ad un livello ferino o 10, come
viene ribadito con altre parole, provvidenza e giustizia sono al
giorno d'oggi prive di efficacia alcuna e lasciano il loro posto al
regno del caso e della fortuna 11. Solo la Verit si mantiene
immutabile ed immor

Dialoghi, p. 609.

37

Ibidem, p. 584. 10
Ibidem, p. 589. 11
Ibidem, p. 588.

38

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

tale 12: rispetto ad essa Bruno non fa che prospettare implicita mente
quel piano intermedio esistente tra una provvidenza assoluta
spettante al dio supremo ed il livello umano e a ben vedere il
lamento di Giove e le ragioni del suo ravvedimento sono paralleli
al desiderio della umana Sofia, della filosofia stessa, di essere
rassicurata sul fatto che contro ogni apparenza la provvidenza della
divinit absoluta ancora viva e presente, che anzi essa non pu mai
venire meno (sebbene talora sembri assente e scomparsa), pur in
modi inesplicabili per chi dotato di un intelletto solo discorsivo
come la Sofia appunto.
Le pagine in cui per la prima volta si affronta la polemica con
la Riforma sono cos indirizzate a far luce su due punti
essenziali, senza cui non sarebbe possibile la prosecuzione stessa del
discorso. Da un lato l'assolutezza del fato, la certezza che nulla
possa sfuggire al decreto della provvidenza divina, nep pure, si
dice, il numero dei capelli della Mena, al fine di rassicurare in
tal modo il mondo umano: chiaro rinvio, implici tamente polemico,
al passo evangelico, tra l'altro discusso da Erasmo fra quelli che
apparivano favorevoli al determinismo luterano, nel quale il
Cristo si faceva garante presso gli uomini del sussistere della
provvidenza del Padre ('Quanto a voi, persino i capelli del vostro
capo sono tutti contati. Dunque non vogliate temere' 13). Dall'altro
lato, e a ben vedere le due cose fanno tutt'uno, si sottolinea che la
provvidenza divina non cessa di inviare all'uomo autentici
messaggeri celesti, non cessa di dispensare attraverso Mercuri non
usciti appunto dalle caverne della terra 14, secondo l'espressione che
era stata usata nella Cena de le Ceneri (1584), ma ispirati realmente
dall'alto e quindi non menzogneri, quell'aiuto per cui si rendeva
possibile ora, ricalcando l'espressione paolina, l'aurora del nuovo
giorno della giustizia. chiaro che Bruno introduce gi qui il
tema

12 Ibidem, p. 592. 13
Mi, 10, 30-1.
14 Dialoghi, p. 32.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

39

della corretta ispirazione superiore, tema destinato ad attraver sare


tutta l'opera per divenire poi il nucleo ispiratore esplicito della
Cabala, come chiaro che si prelude ormai al rapporto esistente tra
una giustizia assoluta ed una giustizia che, dotata di un livello non
ancora terreno ed empirico, su quest'ultimo pur dovr scendere e
trovarvi le forme per una sua realizza zione. Sar questo in fondo
l'attacco del secondo dialogo, non per nulla collegato in modo
indissolubile al tema dell'ispirazione superiore di cui si diceva.
Il nuovo atteggiarsi degli dei dunque nuovo modo di porsi
nei confronti del concetto della giustizia, il timore di Giove
timore di quest'ultima. La provvidenza divina, il fato non lasciano
al caso il minimo particolare, per ragioni teoriche precise che
rinviano alla natura della divinit suprema ed alla inscindibilit in
essa di ci che appare scisso nel mondo umano, ed questa
relazione che andata perduta nei suoi giusti termini. Il
ravvedimento degli dei, se si vuole la situazione ciclica che
comporta il nuovo avvento della giustizia, in relazione con la
ricerca compiuta dalla Sofia umana di un ristabilimento di questa
concepito come ristabilimento di quel corretto rapporto.
Se il significato teologico della giustizia non scindibile da quello
del fato, se essi convergono in quella unit suprema che sola svolge
le mansioni del vero, pi alto Giove, l'insistenza sulle
trasformazioni, le metamorfosi di ogni altra realt, sul fato della
mutazione inteso come legge suprema del reale e chiave decisiva
per penetrarlo finir per investire necessariamente il significato
religioso corretto che assume la vita civile cos come pi avanti il
senso dell'antica religione, ponendo alla luce la radice dell'errore
cristiano. Nello stesso tempo Bruno potr includere le dispute
contemporanee sull'elezione ed il libero arbitrio nel numero delle
vuote discussioni, delle occupazioni prive di un fine reale in
mezzo alle quali il mondo trascina il suo ozio perch sar riuscito
a portare il terreno teologico della contesa sviluppatasi in un
ambito cristiano su un piano filoso-

40

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

fico, piano che contempla la soluzione del problema come


coincidenza di necessit e libert, sia pure non nella forma
assoluta in cui essa si realizza nella divinit suprema. In questo
senso il suo distacco da Erasmo, distacco che si fa strada non
senza debiti molto forti, sfocer nella legittimazione di una
religione che si puramente interiore ma che come tale
riservata alla sfera della semplice immaginazione, accettabile solo
se destinata a non danneggiare quella sfera esteriore, in sieme
civile e religiosa, pi alta nei suoi connotati conoscitivi e morali, in
cui destinata a realizzarsi la natura dell'uomo nella perfezione che
gli propria. Ne scaturir la distinzione tra livelli diversi di
religiosit e se, a questo punto, pi che Erasmo altri sono destinati
a divenire gli interlocutori del suo discorso o, meglio, gli obiettivi
della sua polemica, andr tenuta costantemente presente la
possibilit di un significato non univoco per ciascuno dei passi in
cui si affronta il cristianesimo, a seconda del livello a cui essi
vengono rapportati.
La rivendicaziol'f esplicita del ruolo della filosofia si costi tuisce
dunque come soluzione dei problemi teologici attuali sulla base di
una ridefinizione della conoscenza umana, del suo rapporto con la
morale e quindi con il fondamento necessario per il sussistere
delle forme di vita associata e del diritto.

IV
A questo punto chiaro che la `riforma' celeste di cui si
parlava non potr non avere origine, per il suo carattere radi cale,
da quello che il cardine stesso, astrologicamente, del mondo ma
anche che non potr non riflettere la condizione di scissione
attraverso cui si rende partecipabile l'unit suprema, nei suoi
diversi aspetti, a livello conoscitivo da parte dell'uomo, non potr
cio non essere adeguata a quel piano intermedio tra assoluto ed
empiria su cui ci stiamo muovendo, che presenter appunto in
forma figurata, dunque nello stesso tempo scissa e ad un primo
grado di individuazione sensibile, ci che nell'u nit suprema
indistinto.
Il limite in primo luogo conoscitivo (ma destinato ad
estendersi inevitabilmente ad ogni altro campo, primo tra tutti
quello morale) indica dunque che se Verit Provvidenza e
Sapienza divine si pongono come modelli e forme puramente
ideali, ci troviamo poi di fronte a qualcosa che non sar mai
possibile ottenere totalmente non solo rispetto, evidente, alla loro
indistinzione nell'unit divina ma anche rispetto al modo, anch'esso
ideale sebbene in forma diversa, in cui sono indivi duate dal sapere
umano. Ci decisivo in quanto tramonta immediatamente in
questa maniera la proposta di valori assoluti, mentre torna a farsi
presente il carattere ciclico che possono assumere verit,
provvidenza e sapienza sul piano empirico, oltre che la possibilit
di una differenziazione tra di esse nel loro realizzarsi per gradi.
D'altra parte nasce il problema di come una provvidenza assoluta,
che si realizza infallibilmente in ogni particolare, possa non solo
conciliarsi ma utilizzare come suoi mezzi una sofia ed una
provvidenza ('prudenza') umane che non solo le sono
ontologicamente inferiori ma al

42

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

limite sono esposte ad occultare ciclicamente le


stesse nozioni di vero e di giusto.
Ma torniamo al nostro discorso. Mercurio non
dunque che il simbolo di questo rapporto tra
uomini e dei nel senso che da sempre questi ultimi
hanno cercato di colmare il divario esistente dando
agli uomini in concreto leggi e giustizie attraverso
cui potessero ascendere da un livello fermo ad un
livello pi che umano, eroico, tendenzialmente
proteso verso la divinit.
Verit provvidenza e sofia, nell'accezione non
assoluta che si voluto indicare, salgono dunque
ad occupare le prime `sedie' (prime, si badi, anche
tradizionalmente per rilievo astrologico) destinate
ad essere sostituite, e si noti che la Sofia ascende
per prendere il posto che era stato di Cefeo, cio
della `Stolta fede' e dell"Ignoranza di prava
disposizione' 1: un'ignoranza il cui significato
religioso destinato a precisarsi ben presto in
queste stesse pagine non diversamente da quanto
accade per la Verit rispetto all'Orsa maggiore.
Se Bruno parla di semplice prudenza e non di
provvidenza a livello umano, di una Sofia che
segue anzich precedere la prudenza, questo
solo il riflesso del fatto che non c' il rischio che
si crei un duplicato apparentemente inutile tra la
Sofia celeste e quella umana che ha ripreso il
corretto `colloquio' con gli dei ed la
destinataria nel dialogo dei loro messaggi. Ci
implica semplicemente che sussiste una distinzione tra la recezione dei modelli, sia pure di
valore non assoluto, ed il loro trasferimento su un
terreno empirico. Bruno mira dunque a delineare
quel livello intermedio chiamato ad assicurare la
concreta applicazione dei modelli che il fato
propone ma che non coincide ancora, a rigor di
termini, con tale concreta applicazione. Se noi
poniamo mente alle premesse teologiche di tutto il
discorso appare quindi chiaro

Dialoghi, p. 569 e p. 652.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

43

che alle tre fi gure sopra ricordate - verit


provvidenza sapienza - intese come il grado pi alto
in assoluto a cui possa guardare il mondo umano,
debba succedere necessariamente nell'ordine ci
che deve trarre da esse in ultima analisi la sua
ispirazione nella sua azione effettiva, ci a cui
demandato di realizzare il giorno del giudizio sulla
terra, la giustizia terrena cos come voluto dal fato
della mutazione.
Cos{ alla riflessione sul fato come giustizia
assoluta e a quella sulla provvidenza verit e
sapienza viste ormai come modelli intermedi tra la
loro identit e coincidenza nell'assoluto ed il piano
empirico, succede inevitabilmente quella sulla legge
ed il giudizio concepiti come mezzi concreti
attraverso cui il fato deve trovare la sua
realizzazione. Le facce entro cui esso, inteso come
suprema unit divina, veniva scindendosi, vengono
qui ricollegandosi, nel loro aspetto visibile all'uomo,
a quegli strumenti che per essere propri ed
esclusivi del suo mondo non cessano per questo di
essere in rapporto con la volont della divinit.
Nel momento dunque in cui il Bruno si trova a
sviluppare un discorso dichiaratamente politico sulla
Riforma, ci si ingannerebbe nel considerarlo
esclusivamente quale riflessione sul compito che
certo sentito come quello pi urgente, sui mezzi
cio pi idonei per `spegnere' ed estirpare le sette
nate dalla Riforma stessa, dal momento che tale
discorso ha gi acquisito una sua precisa valenza
metafisica che pretende di risolvere ogni problema
teologico-religioso connesso con la Riforma e al
limite con il cristianesimo.
Da questo punto di vista la discussione sulle
nuove `sette' pu riprendere all'inizio del secondo
dialogo ma non pi in relazione alla sussistenza, che
gi stata assicurata nel corso del primo, di una
provvidenza e giustizia assolute bensi sviluppando il
secondo punto che ivi era stato solo delineato, la
polemica cio sui veri canali attraverso cui si
trasmette l'ispirazione divina, posta ormai in

relazione al problema di come questi strumenti legge e giustizia - possano tradurre i fini

44

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

peculiari del mondo umano senza tradire quella volont asso luta
che pure in qualche modo a noi si manifesta e di cui sappiamo
che destinata a realizzarsi anche se non possiamo pervenire a
tale conoscenza che in modo imperfetto. In altri termini, solo
dopo aver stabilito la distanza tra uomini e dei noi, che abbiamo
la certezza della provvidenza, possiamo essere sicuri del contenuto
di ci che ci viene ordinato attraverso leggi e giustizie donate agli
uomini.
Qui la critica alla Riforma pu essere ripresa ma non pi in
relazione come si diceva al piano della giustizia assoluta con cui si
identifica il fato bens in rapporto ai modi concreti con cui si
attua la comunicazione con gli dei ed allo stravolgimento che
stato operato del loro significato: il discorso non ancora un
discorso relativo all'empiria ma colpisce i nodi che incidono sulla
maniera di concepirla e di intervenire con l'azione su di essa.
In questa prospettiva il concetto di legge, qui inteso voluta mente nella sua duplice accezione religiosa e politica, sottolineandone la propriet di legare come sua prerogativa principale,
deve essere posto in discussione polemizzando con quelle con cezioni di essa che a dispetto di un limite conclamato (si ricordi
l'inconoscibilit del Deus absconditus per Lutero) pretendono poi
non solo di possedere un contatto diretto con la divinit, sia
pure attraverso la mediazione del testo sacro, e di saperne
interpretare la `giustizia', ma lo fanno saltando a priori quell'u nico
grado intermedio che ci pu ricollegare ad essa nel momento
stesso in cui pur stabilisce una incolmabile distanza.
La discussione torna quindi ad essere inevitabilmente discussione sui modi in cui intendere la rivelazione, ed la divinit
stessa che viene presentata come colei che appronta gli strumenti per
distruggere dottrine che non possono essere emanazione della sua
volont, dal momento che esse non solo presuppongono un
capovolgimento di quel limite conoscitivo insuperabile di cui si
parlava ma minerebbero le finalit proprie del mondo umano,
finalit che non possono non essere intrin
seche ad esso proprio stante la distanza accennata.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

45

Verit sofia e prudenza si riferiscono quindi ad una sfera


intellettuale (si ricordi che Giove simbolo del lume intellet
tuale presente in ciascuno di noi), sfera nella quale si realizza in
concreto la comunicazione tra umano e divino. In altri termini,

come si accennava, il campo stesso della rivelazione che deve


essere nuovamente fondato se gi Giove parlava di leggi, statuti
cerimonie donati ecc. dai suoi Mercurii ed ora `cassi' 2 ma che
devono tornare ad essere determinanti, ed elemento decisivo di
questa rivelazione divenuta la capacit di restituire il loro
autentico significato a tali leggi, una capacit quindi in ultima
analisi intellettuale sebbene accompagnata da processi di origine
diversa che verranno facendosi luce nel corso dell'opera. Bruno
quindi chiamato a precisare le forme e la legittimit di una
rivelazione che deve trovare riscontro nella natura dell'uomo e
quindi anche nella sua storia religiosa mentre la sua posizione di
fruitore di tale rivelazione non pu apparire scissa dal chiari mento
razionale di essa.
Se dunque la provvidenza esiste ma l'uomo non in grado di
coglierla nelle guise specifiche secondo cui essa si attua n pu
prevederne l'esito ultimo dato il limite cui si accennato, anche
vero che egli pu e deve eseguirne il dettato sulla base di quanto
pu intendere di essa. Ora quella distanza di cui si diceva
assicura, secondo una svolta che teoricamente centrale
nell'economia dell'opera, la possibilit di affermare che leggi e
giustizie donate agli uomini non possono avere a che fare con
desideri sentimenti e passioni degli dei che finirebbero per dare un
connotato antropomorfico in modo irrimediabile alla loro
immagine; al contrario, per questa stessa ragione, non pensabile
che essi, gloriosi in s, possano ricevere gloria dagli uomini: ci
troviamo quindi di fronte ad atti di provvidenza attraverso cui la
divinit si china a soddisfare quelli che sono i bisogni degli uomini,
le necessit peculiari del mondo umano.

Ibidem, pp. 588-9.

46

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

il piano stesso dell'assoluto che, salva restando la sua


natura, si piega ad un livello inferiore che finisce per dettare il
senso ed i modi della sua azione sulla base di quel momento
intermedio alla cui costituzione mira l'indagine del Bruno.
In tal modo l'intera problematica teologica che accompa gna
il rapporto tra legge e giustizia in Erasmo e Lutero - un rapporto
di cui va sottolineata l'importanza assoluta, che ha un immediato
connotato di natura storica in relazione alla venuta ed alla
mediazione del Cristo e che entra quindi in misura decisiva a
determinare le rispettive posizioni circa l'autonomia o meno del
libero arbitrio dell'uomo - riceve qui una traduzione integralmente
terrena, svincolata dalla vicenda storica del cristianesimo, nel senso
che si ricerca il punto da cui occorre muovere per individuare il
fine da conseguire, i mezzi da adottare ed il momento pi alto
(per Bruno, le societ caratterizzate da atti eroici) cui ci possiamo
avvicinare partendo da un dato iniziale squisitamente umano,
proprio sulla base di un discorso che pretende di essere il solo
metafisicamente corretto.
Abbiamo cos{ una autonomia del mondo umano sia pure del
tutto particolare e relativa, ma sufficiente ad indicare che i fini
propri ad esso vanno ricercati all'interno della civile con versazione, dell"umano convitto' `a cui sono ordinate tutte le
leggi' ed il rapporto tra legge e giudizio si pone come rapporto tra
ci che forma l'intelletto e ci che regola la volont, riassu
mendo sul piano collettivo la relazione delicata tra ratio e
voluntas (ma non a caso si parla qui di intelletto e lume
intellettuale) intorno a cui aveva ruotato ancora la polemica tra
l'Umanista e il Riformatore, mentre costanza e fermezza de
vono accompagnare ci che il giudizio vuole sia eseguito con
ducendoci cos{ all'effetto voluto. Se il rapporto tra legge e
giudizio come quello tra teoria e pratica, ci non toglie che
essi conservino qui ancora il carattere di modello cui l'uomo
deve conformarsi: non per nulla Bruno, dopo aver assegnato
loro sede celeste, parla di una legge insieme naturale e divina

47

come della legge superiore cui occorre guardare perch su di


essa si regoli quella civile 3
solo a questa legge - Bruno si serve del doppio significato,
religioso e civile, del termine, come si accennava, proprio perch
quella relativa autonomia del mondo umano non permette di
separare le due sfere ma unifica le loro finalit, anche se il discorso
sul valore specifico della religione intesa come semplice lex dovr
essere ripreso - solo a questa legge che stata data potest di legare.
L'espressione evangelica, che si era posta oltretutto al centro del
celebre dibattito sulla penitenza e sulle indulgenze ('Io ti dar le
chiavi del regno dei cieli e tutto ci che legherai sulla terra sar
legato nei cieli e tutto ci che scioglierai sulla terra sar sciolto nei
cieli') 4, viene colpita proprio nel suo riferimento a quel Regno
spirituale che destinato a diventare uno degli obiettivi polemici
salienti dello Spaccio, per acquisire un significato esclusivamente
mondano e politico nei suoi stessi risvolti religiosi.
Tale potenza di legare riguarda ormai l'esistenza di due `mani'
attraverso cui essa si attua e cio il giusto ed il possibile, come
concetti tra i quali si istituisce un nesso inscindibile all'interno del
mondo umano, canoni che non sono suscettibili di essere elusi su
un piano che non pu e non deve essere quello dell'assoluto, che
non concepibile quindi che possano essere separati tra loro dalla
divinit nel momento in cui essa pensa all'uomo, se appaiono
indivisibili prima ancora che nel mondo civile in relazione alla
stessa natura umana. Se il criterio quello di una giustizia
commisurata al possibile (ed il concetto di possibile orienter
come vedremo la discussione sul rapporto virt-fortuna ponendosi
come quello che delimita agli occhi dell'uomo la sfera del necessario,
apparendo quindi come una delle forme attraverso cui il piano
dell'assoluto si piega ad
.

Ibidem, p. 652. 4

Mt. 16, 19.

48

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

un livello inferiore) non pu non esserne colpita al cuore quella


teologia luterana (qui d'altronde chiamata direttamente in causa:
`niente giusto che non sia possibile') 5 che legava in qualche modo
l'idea stessa della giustizia ottenuta attraverso il Cristo alla
proclamata impossibilit da parte dell'uomo di eseguire il comando
divino espresso dalla Legge.
A questo punto pu essere utile rifarsi alle opposte posi zioni
che erano state espresse dall'Umanista e dal Riformatore proprio su
questi temi, alle diverse specificazioni che il con cetto di legge aveva
ricevuto all'interno delle due differenti teologie. Di fronte alla
resistenza che Erasmo aveva opposto nel De libero arbitrio alla
concezione appena ricordata e che continuer ad opporre in modo
pi
articolato,
pur
senza
introdurre
sostanziali
novit
nell'Hyperaspistes, Lutero aveva cercato di mostrare nel De servo
arbitrio che la sua interpretazione poteva apparire persuasiva anche
allo sguardo miope della ra gione umana ed aveva cercato di
chiarirla con alcuni esempi, quale quello del padre che gioca con il
figlio bambino e gli chiede cose di cui pure sa che non potranno
essere eseguite da lui. Erasmo vedeva in questo l'affermarsi di una
visione della divinit che implicava inevitabilmente l'idea di un
inganno nei confronti dell'uomo, senza d'altra parte che ne
risultassero frutti visibili tali da legittimarla sul piano morale.
Scriveva Erasmo nell'Hyperaspistes:
Proinde ut verum est, per Legem agnosci peccatum, ita non
consequitur quod addit Lutherus, nihil aliud efficere Legem, nec in
aliud omnino latam fuisse. Nec enim simpliciter hoc agit Lex, ut
intelligatur quid fas, quid nefas, quid rectum et pravum, sed ad actiones
hominum prodita est Lex, veluti medicina prodit morbos, non in hoc
tantum, ut homines intelligant se aegrotos, sed ut ope Medicorum
sanentur. Quod si

Dialoghi, p. 654: ... quantunque molte cose sono possibili che non son
giuste, niente per giusto che non sia possibile .

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

49

universa Lex nihil aliud parit quam agnitionem peccati, hoc est gravamen

conscientiae, quid sibi volunt tam multa in Scripturis encomia? ...


Contra Lutherus clamat, omnia Dei mandata nihil aliud esse, quam
irrisionem aut insultationem imbecillitatis et ferocitatis humanae...
Legis igitur divinae scopus unicus erat, ut vitarentur turpia,
expeterentur honesta, sed humanarum mentium varietas in causa fuit, ut
Lex in aliis aliud atque aliud efficeret. Bonis ac sapientibus erat fons
vitae, infirmis erat custodia, quasique cancelli, ne dilaberentur in
extremam impietatem, terrore sublato: simpliciter ignorantibus erat
lucerna praelucens ad iter actionum: ferocibus autem ac malitiose
tumidis, carnifex erat, ingerens commissorum turpitudinem, et vel ab
invitis extorquens confessionem. Quod evenit in legibus humanis,
idem usu venit in divinis, scopus idem est, exitus varius. Qui scopum
Legis tollit, tollit Legis et naturam et vocabulum... ad Galatas
tertio, declarans quis fuerit usus legis, (Paulus) ita scribit: Quid igitur
Lex? propter transgressionem posita est, donec venerit semen cui
promissum erat. Quid est, propter transgressionem? an ideo, ut Lex
violata proderet hominum malitiam? An potius ut boni redderentur
meliores, infirmi tutiores: mali levius peccarent, malitiosi
coarguerentur, et si non minus peccarent, certe minus laederent, atque
ita totus ille populus, cui Christus erat promissus, intra Legis cancellos
custodiretur, ne Christus adveniens nullos inveniret sanabiles. Etsi
nullus erat illorum, qui totam Legem servaret, tamen erant innumeri
qui juxta communem aestimationem aliqua ex parte servarent.
Sic et in Evangelio perfectus dicitur discipulus, si fuerit sicut
magister ejus: non quod quisquam par sit Christo, sed quod in eodem
virtutis genere versetur. Ibidem jubentur esse perfecti, sicut Pater
coelestis perfectus est, non quod ullus hominum, aut etiam angelorum,
accedit ad perfectionem Dei, sed quod in aliquo genere refert Patrem,
videlicet in benefaciendo, tum amicis, tum inimicis... Quis autem
unquam tyrannus aut tam otiosus fuit, aut tam morosus, ut leges daret
suis, quae nihil aliud efficerent quam ut cives intelligerent nihil earum
servari posse? Solon nullam legem tulit de parricidio, rogatus quamobrem, respondit se non fuisse suspicatum mores civium eo malitiae
progressuros; videlicet indicans, leges non pertinere ad

50

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

51

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

ea quae fieri non solent, sed multo minus ad ea quae fieri non possunt...
Lutherus omnes Dei leges, cum praemiis, suppliciis, et quicquid ad
legem servandam, vel allicere, vel pertrahere potest, vult esse illudentis
Dei, vel insultantis: veluti cum pater jocans jubet ad se venire
puerum, quem scit ingredi non posse: vel cum Rex hosti feroci

Dunque per Erasmo l'impossibilit da parte dell'uomo di


eseguire il comando divino coincideva con la negazione stessa della
Legge. Si trattava di una chiave di lettura che fi niva per sovvertire
l'intero significato della Scrittura e permetteva a Lutero di parlare di

insultans praescribit, quod scit ab illo praestari non posse. Nonne

tutte le leggi divine, con i loro premi e le loro pene, come di una

praeclarum

universam

irrisione nei confronti della debolezza umana, come degli atti di un

propemodum Scripturam sacram? Cur igitur appellatur Lex, si nihil

Dio appunto irridens o insultans e quindi ingannatore, al pari come si

conducit ad actiones vitae, si impossibilis est, et per hoc iniqua?

diceva di un padre con il fi glio bambino o di un sovrano con un

dedit

commentum,

ad

quod

exigamus

Jureconsulti negant habendam pro lege, quae nec sit possibilis, nec
rationi consentanea, nec acqua, nec utilis Reipublicae. Addunt, et
receptam assensu, et moribus approbatam esse oportere. Atqui si talis
erat Lex Dei, qualem eam facit Lutherus, populo Israelitico fucus
factus est. Primum cum Moses ferret Legem, stipulans assensum
populi, quo d re ligio siu s etiam sit De ut. X XIX . Etenim si

nemico feroce. Erasmo non esitava dinanzi a queste conseguenze a


porre in parallelo le stesse leggi umane e la legge divina indicando
che in entrambi i casi il fine ed il risultato erano stati gli stessi:
identico

il

primo,

distinguere

il

lecito

dall'illecito,

il

giusto

dall'ingiusto perch ci si volgesse all'uno e ci si distogliesse dall'altro,

dixi ss et, trado vobis Legem, quam nec servabitis, nec servare potestis,

differente l'esito a seconda delle diversit esistenti tra gli uomini e

tantum prodet vobis animi vestri malitiam: populus haud dubie talem

non a causa di un carattere intrinseco ai precetti loro imposti. La

legem recusasset: aut si recepisset, minus sibi displicuisset violata

Legge dell'Antico Testamento era stata cos fonte di vita per i dotti,

Lege, quae non in hoc esset data ut servaretur, sed tantum ut agnosceretur

riparo per i deboli, lume che risplendeva guidando gli ignari,

peccatum. Ergo ut assequeretur Deus quod volebat, fallendus erat

capacit di istigare la coscienza del peccato e suscitare la vergo gna di

populus absconsa decipula. Et ideo Moses homo callidus tantum


temporis consumit in persuadenda Lege, in exhortando, pollicendo,
deterrendo, ne sentirent rem arte geri. Alioqui si Lex in hoc tantum
datur, ut prodat peccatum, satis erat nuda praecepta proponere, nunc
bona, imo maxima voluminis pars occupatur in persuadendo.
Quod si usque adeo necessaria res est agnitio peccati, nec alia

esso e persino di spingere alla sua confessione nei confronti di


coloro che erano gonfi di malitia e di cattiveria. Egli cercava in
questo di appoggiarsi in funzione polemica proprio alla testimonianza
paolina, mostrando che la finalit che aveva rivestito anche per
l'Apostolo ('ut bonos redderentur meliores, infi rmi tutiores') non

ratione parari poterat, quam ut homo deceptus impingeret in Legem,

faceva che preparare nel suo realizzarsi il terreno perch l'avvento

cur Lutherus nunc prodidit hoc mysterium, et sublato fuco fecit, ne

del Cristo non risultasse senza frutto.

homo velit intendere nervos ad servandam Legem, quam scit nullo


modo servari posse?

In realt per Erasmo sottrarre alla legge il suo scopo naturale


significava svuotarla di senso e cancellare il significato stesso del
termine ma l'asserita omogeneit su questo piano tra legge umana e
legge divina finiva per sottintendere un motivo pi profondo e cio
la concezione che egli aveva del comando di Dio, un comando
rivolto agli uomini perch fosse eseguito nella misura delle loro
possibilit: si veda nella pagina appena citata l'interpretazione

LB, t. IX, c ol l. 13 49 -1 35 1.

della `perfezione' cristiana come sforzo e

52

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

dovere di avvicinarsi ad una meta che non ci dato di raggiungere


completamente.
La definizione stessa di legge data dai giuristi implicava che essa
potesse essere osservata, che rispondesse alla ragione, fosse equa ed
utile per la societ (Erasmo aggiungeva, con un inciso ricco di
interesse per noi: `si impossibilis est, et per hoc iniqua...').
Nessun tiranno era giunto al punto di emettere leggi che servissero
solo a far capire che non potevano essere eseguite e Solone, ad
esempio, era stato esplicito nell'indicare che non soltanto esse non
riguardano ci che esula dal costume prati cato ma tantomeno
cadono nell'assurdo di intervenire su ci che supera le possibilit
umane. Mos, uomo certo accorto (`callidus') nella sua azione,
emanando la legge del Vecchio Testamento aveva cercato l'assenso
del popolo ebraico, circostanza che era prevista anche per le leggi
civili, mentre se ne avesse chiarito la natura nei termini indicati da
Lutero sarebbe andato incontro ad un loro rifiuto oppure avrebbe
paradossalmente dato maggior spazio alle possibilit di peccare.
Ne sarebbe cos{ derivata una conseguenza inaccettabile, si sarebbe
cio aperta in quest'ultimo caso la necessit di celarne il vero
carattere, una necessit che avrebbe investito prima ancora
dell'operato del legislatore quello stesso della divinit. Ma accanto
all'impossibilit di accogliere una conseguenza di questo tipo si
faceva luce una difficolt non minore, la difficolt di scorgere in
tal caso l'utilit del ricorso a tutte quelle esorta zioni, promesse,
minacce in cui Erasmo vedeva compendiarsi la struttura retoricopersuasiva della Scrittura, quando al contrario sarebbero stati
sufficienti dei semplici e nudi precetti per rag
giungere quello che era il fine voluto se si seguiva l'opinione
sostenuta da Lutero. L'interpretazione che quest'ultimo dava a
quel fatidico per legem cognitio peccati finiva cos{ per riassumere
le ragioni del loro dissenso.
Ora si visto che per Bruno la differenza tra legge umana e
legge divina tende a dissolversi nel senso che la distinzione tra le
due, sulla base dei presupposti del suo discorso, oltre che

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

53

per la finalit che sufficiente ad accomunarle, diviene proble matica. Una legge impossibile ad eseguirsi era assurda ed un Dio
che la proponesse era un Dio che comandava per burla 7, come
implicitamente riconosceva Lutero.
A questo punto il fatto che essa fosse eseguibile, equa, utile alla
societ veniva ad assumere un valore autonomo, assoluto nella
sfera umana ed il rifiuto che il popolo ebraico avrebbe imposto a
Mos secondo Erasmo se il patto si fosse presentato nei termini
indicati dal Riformatore diventa in lui non scelta ma obbligo
morale da parte degli uomini, un obbligo per giunta messo sulle
labbra stesse degli dei, di rifiutare leggi simili. Una situazione
limite, prospettata dal Bruno genericamente, senza far riferimento
come l'Umanista al popolo ebraico e quindi valida a maggior
ragione per ogni tipo di legge, che apre tuttavia lo spazio sia alla
mondanizzazione della legge tanto civile quanto religiosa sia ad una
possibile assolutizzazione di essa inglobandone l'aspetto di lex,
l'aspetto cio di credenza destinata alla moltitudine, secondo una
prospettiva che Erasmo non avrebbe potuto esplicitamente accettare,
sia al giudizio radicalmente negativo portato sulla Riforma.
Se fine delle leggi era il buon andamento del consorzio
umano, ne derivava per lui l'impossibilit di separare la sfera civile
da quella interiore dell'individuo, considerata come sfera delle
intenzioni che viene quindi svalutata nella sua autonomia; tale
autonomia appariva dubbia nel momento stesso in cui risultava di
primaria importanza possedere un criterio di misura oggettivo per
valutare la colpa ed il peccato dell'individuo.

7
Dialoghi, pp. 660-1: Sofi a. Molto bene, o Saulino, Giove ha coman dato,
imposto ed ordinato al giudizio, che veda se gli vero che costoro inducano gli
popoli al dispreggio ed al meno a poca cura di legislatori e leggi,
con donargli ad intendere, che quelli proponeno cose impossibili e che coman dano
come per burla; cio, per far conoscere a gli uomini, che gli sanno comandare
quello che loro non possono mettere in esecuzione .

54

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Questo passaggio, pur nella sua estrema importanza, non per


ancora sufficiente a scorgere in tutti i suoi motivi la ragione
profonda per cui si identificava nelle tesi della Riforma il
pericolo pi alto, ci che costituiva l'autentica `Idra di Lerna' che
poneva in forse la sussistenza stessa del mondo civile.
De fructu arborem cognosco 8: cosf suona uno dei proverbi di
Erasmo, ed appare superfluo ricordare il rinvio evangelico
contenuto in tale massima, rinvio d'altra parte esplicitamente
presente ad Erasmo. Bruno ritorna pi volte polemicamente su tale
affermazione in queste pagine e la cosa resa pi pungente
dall'obiettivo della sua polemica e dalla precisazione che gli alberi
di cui egli sta parlando sono quelli che crescono negli orti della
legge.' La sovrapposizione tra giusto, possibile e, possiamo
aggiungere senza tradire il suo pensiero, naturale su cui aveva
insistito Erasmo a proposito dei contenuti della legge torna qui ad
essere centrale ma in una chiave che subordinando l'intenzione
interiore rispetto all'effetto dell'azione cerca di definire quello che
non pu non essere il volere di Dio nei confronti dell'uomo
all'interno della realizzazione pratica del suo comando.
La relativa autonomia della sfera mondana di cui si parlato
detta cosf il criterio di verifica della legge e della sua corretta
esecuzione ad opera del giudizio. La legge regna, il giudizio
dispone - afferma il Bruno - e in questo modo si realizza in
concreto il `giudizio universale nel mondo' ma il senso
dell'espressione giovannea, pur ripresa alla lettera, viene qui
ribaltato da un'aggiunta apparentemente priva di significato ma
destinata in realt a pesare lungo tutto l'arco dell'opera.
Nel testo evangelico, dopo che il Padre ha rassicurato
l'anima turbata del Figlio annunciandogli che l'ha gi glorifi

8
L B , I I , c o l . 3 4 8 C. Nell'edizione del Manuzio (Firenze 1575) caduto il
riferimento di Erasmo all'insegnamento evangelico: cfr. Mt., 12, 33.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

55

cato e che lo glorificher nuovamente, il Cristo ormai giunto a


Gerusalemme proclama il giudizio di questo mondo e dichiara che
il principe di esso ne verr scacciato 9. Ma Bruno accenna ormai ad
una corona e ad una spada ideali destinate nel loro realizzarsi e
trasmettersi a farsi strumento appunto di legge e giudizio nel dar
luogo a quel 'giudicio universale' `per cui nel mondo ogniuno
venga premiato e castigato secondo la misura de gli meriti e
delitti'. Quest'ultima espressione destinata ad andare al di l del
suo significato immediato di condanna nei confronti della Riforma
per investire il nuovo contenuto che il Bruno intende dare alla
religione, intesa anche ma non solo nella sua dimensione di lex:
meriti e colpe vanno in primo luogo giudicati quaggi...
inevitabile quindi che in un contesto esplicitamente reli gioso,
dopo aver affermato che non si pu stare senza legge e religione,
si ribadisca subito dopo che esecutori materiali di legge e giudizio,
ad un livello non ancora empirico ma che si approssima ad esso,
sono appunto la spada e la corona - essi stessi simboli evangelici, e
si ricordi il particolare, decisivo, per cui al posto della
costellazione del Cristo - Orione dovranno subentrare in cielo
l'arte e la virt belliche 10 - perch solo la forza pu garantire che il
decreto della legge disposto dalla giustizia abbia la sua pratica
applicazione.
La sapienza di Minerva ha bisogno della punta della lancia,
dir il Bruno pi avanti, e non si dimentichi che al termine del
primo dialogo dell'opera, prima di affrontare il problema della
assoluta provvidenza divina, si sottolineava la necessit del ritorno
di Ercole in terra come qualcosa di decisivo per il ristabilimento
della giustizia.
Dal momento dunque che il fine primario, che non pu
essere oscurato da altri fini, quello stesso cui mira la divinit

G v. , 1 2 , 3 1 .

lo Dialoghi, pp. 568

e 807.

56

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

e si identifica con le sorti della `civile conversazione', solo le


conseguenze esteriori destinate a realizzarsi su un piano collet tivo
delle nostre azioni possono accertarci del corretto funzio namento
della legge e di quello ad esso connesso del giudizio. Ove da un
lato si pone in rilievo il criterio di misura oggettivo che deve
essere fatto valere, suscettibile di una pronta verifica nei confronti
di coloro che tolgono ogni valore alle opere minando alla radice la
convivenza civile, dall'altro si sottolinea il fine concreto con cui
abbiamo a che fare, fine che stante l'estrema diversit tra, gli
individui, le loro differenze di costumi, temperamenti ecc. fa si
che ci troviamo di fronte a quella che per la sua complessit pu
essere definita come 1"arte de le arti'.
A questo punto, se la meta stessa degli dei rappresentata dalla
grandezza umana, secondo i termini indicati, e se quest'ul tima si
realizza in concreto attraverso legge e giudizio, pensare che essi
abbiano comandato all'uomo ci che questi non pu eseguire
come la nuova teologia asseriva appare a maggior ragione assurdo,
mentre la relativa insussistenza agli occhi della divinit
dell'intenzione interiore rispetto all'effetto si presenta come il
risultato di quella distanza a causa della quale non possibile che
l'uomo accresca la gloria degli dei. Il misconoscimento dei fini a cui
tende la divinit rappresenta dunque la pretesa di scindere in
maniera assoluta i due piani ignorando la sola relazione che pu
avere luogo tra di essi, a favore di un modo di porsi di fronte al
divino che inevitabilmente cancella quello in base al quale
soltanto l'uomo pu esprimere legittimamente la sua natura
ottenendo lo scopo desiderato. Sostenere che la divinit comanda
cose impossibili e che di conseguenza ci si rende grati ad essa solo
attraverso atti puramente interiori e destinati a rimanere tali, che
chiede alla natura umana qualcosa che non le concesso, non solo
svalutazione delle nostre facolt in ci che loro intrinseco e per ci
che esse possono ottenere (svalutazione quindi implicita del
momento civile e storico dell'uomo in tutte le sue forme) ma
anche la pretesa

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

57

esaltazione di un rapporto diretto e quindi inevitabilmente passivo


come sola forma di comunicazione tra i due termini, nel quale le

nostre facolt sarebbero ridotte alla pura impotenza, con la


conseguenza di fallire al momento di realizzare il momento
supremo della conoscenza e di giungere al contrario ad una sorta
di contraffazione illusria e gravida di insidie di esso.
Dinanzi alle necessit di quell"arte de le arti' di cui si
parlava, quella cura dei regni e della convivenza civile che gli dei
aiutano a realizzare, a cui presiede la legge con la sua potest di legare
e di cui il giudizio avvia la realizzazione in concreto decidendo
quello che l'errore, anzi il peccato stesso, si giunti al contrario ad
esaltare leggi che eliminano ogni giustizia, con le conseguenze
inevitabili che si sono prodotte nel mondo umano. Ci si rifugiati
in pretese, differenti 'giustizie' che anzich essere in primo luogo
opera collettiva si riducono a dichiarare che il singolo, grazie
appunto alla `giustizia' operata da un altro individuo, viene salvato
per una vita eterna che essa stessa frutto e prolungamento di
questo equivoco. Di qui l'errata asserzione secondo cui solo da
questo gli dei trarrebbero la loro gloria e la conseguenza che
l'uomo, destituito delle facolt di discernimento a lui peculiari,
non pu che rinchiudersi in una cieca fiducia `bovina' e `asinina',
espressione che avvicina ancora una volta il discorso del Bruno a
quello di Erasmo II. La fides - e non per nulla il discorso esplicito
su di essa cadr successivamente in un contesto etico-politico,
mentre conviene qui rinviare ancora il discorso su quella fides
bruniana che nel suo valore religioso si pone in alternativa a
quella dei

II LB, t. IX, col. 1382: Imo voluntas nihil efficit, quod ad salutem pertinet,
absque Spiritu, sed agit cum Spiritu, et agendo simul meretur. Hoc sane dignius
est Spiritu Sancto, si dicimus illum sic temperare vini et actionem
suam, ut hominis voluntas simul operetur cum agente gratia, quam si dicamus
Spiritum sic agere in nobis, quemadmodum in Bove aut in Asino .

58

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Riformatori - certo cosa sacra perch senza di essa, senza la reciproca


fiducia e lo spontaneo rispetto dei patti il convitto umano non pu
sussistere, onde Bruno evoca in proposito l'adagio Homo homini
deus contrapposto a quello Homo homini lupus - Erasmo poneva
tuttavia in antitesi al primo anche quello Malus genius - ma per questa
via si ridotta ad essere una vana fiducia. Essa che avrebbe dovuto
servire a vedere erasmianamente un dio nell'altro uomo (ma qui come
si diceva l'accento di sapore tutto civile) si convertita nella crudelt
e nella mancanza di rispetto dei patti da parte di uomini paragonabili
appunto a lupi orsi serpenti, dando luogo a rapporti che sono
fondati in primo luogo sull'ignoranza. Bruno parla in effetti
dell"ignoranza di prava disposizione' che ha radice nella
presunzione di coloro che rivendicano di sapere ci che non sanno
e che non pu quindi non produrre effetti esattamente opposti a
quelli conclamati nelle intenzioni. Di conseguenza, essi si
presentano evangelicamente come apostoli di pace e ministri di uno
che risanava gli infermi e finiscono al contrario per 'stroppiare i sani'
ed uccidere i vivi, con la lingua ancora pi che con il fuoco, cos
come tale ignoranza non pu non produrre il dissenso di tutti
nei confronti di tutti, ed anzi di ciascuno nei confronti di se stesso,
dal momento che `cassano oggi quello che hanno scritto il giorno
prima', aprendo cos la via nella infinita variet delle opinioni ad un
generale scetticismo. (La variet delle opinioni contrastanti come
prova della perdita della verit era naturalmente argomento comune
alla apologetica di ispirazione cattolica, ma si ricordi anche lo sviluppo del tema dello scetticismo, associato alla `passivit' dei nuovi
credenti, nella Cabala) 12.
12 Si vedano nella Lingua, sive de linguae usu atque abusu di Erasmo i rilievi
costanti sui danni esiziali che essa sta provocando in particolare negli ultimi tempi
(cfr. ad es., L B , t. IV, col. 691: Circumspice quicquid est in orbe
funestarum tragoediarum, comperies fere fontem malorum omnium fuisse malam
linguam ). Quanto al valore della fides, esso in realt destinato a rivelarsi
centrale per il Bruno nel senso che costituisce il momento corretto di

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

59

Attendere che essi si ravvedano cosa problematica se non


impossibile: gi Giove aveva dichiarato che timore e penitenza si
accompagnavano insieme come unica autentica premessa per porre
atto alla vera `riforma', ma qui penitenza e timore non possono
sussistere see non c' opera di giustizia, per quanto grande, che ci
renda grati agli dei, n peccato colpa o delitto da cui non si possa
essere gratuitamente riscattati. Cos il rapporto tra coloro che
sostengono l'immutabilit del destino e quanti a tale immutabilit
non credono pu porsi in termini giuridici ed appare legittimo che i
secondi intervengano con la costrizione a danno dei primi ma non
viceversa, rendendosi lecito in tal modo il pi duro intervento
della forza sulla base del decreto della legge e della disposizione del
giudizio, resi necessari ed autorizzati oltretutto dal fatto che per
colpa di costoro ogni traccia dell'una e dell'altra scomparsa
radicalmente dalla vita civile. La gloria di cui costoro si
ammantano finisce in una `tragedia cabalistica', espressione il cui
significato richiede certo di essere ulteriormente approfondito ma
in cui Bruno sembra sintetizzare i due aspetti dell'ignoranza (il senso
`cabalistico'

ricezione del divino da parte dell'uomo; momento preparato dall'uomo stesso. In


questa prospettiva la fides si porr come alternativa non solo alla fede di
Lutero, ma a qualsiasi tentativo di porre il contatto con il divino come
radicalmente estraneo rispetto alle possibilit umane. La fides diviene allora
mediatrice tra umano e divino secondo un significato filosofico che non potrebbe
essere accettato neppure da Erasmo e che verr qui illustrato a mano
a mano che tale mediazione si presenter appunto come opera del filosofo e in ultima
analisi come opera del Bruno. La relativa autonomia del mondo umano rispetto a
quello divino diviene cos messa in atto di facolt spiccatamente
umane, risolvendo il rapporto tra razionalismo ed esoterismo nel senso che l'uomo
possiede una radice capace di essere fecondata, secondo direzioni che dipendono
dalla sua volont, da un mondo superiore. Il problema della media
zione tra umano e divino tende in tal modo ad essere risolto al di fuori della
eccezionalit di un singolo episodio storico per rientrare nella vicenda del filosofo
che, cogliendo il divino, pu appunto porsi come ispiratore di tale mediazione.

60

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

della Scrittura per eccellenza quello `misterioso') e del timore


religioso collegati al testo sacro; tragedia che porta al suo limite
estremo l'elemento del timore connesso in modo indissolubile per
il Bruno con le credenze cristiane e sulla base della quale gli atti
esteriori compiuti, anche i peggiori, quali che essi siano, verrebbero
risarciti solo da pretese certezze interiori che altro non sono per
lui se non supposte ispirazioni privilegiate di `ispiritati' a contatto
con una rivelazione per la quale ogni criterio di comprensione,
una volta che si sia abdicato alle pi alte facolt umane, andato
perduto.
Questo insieme di elementi definisce con esattezza per Bruno
i segni della fine di un ciclo mentre l'intero processo mostra nei
suoi effetti come la malinconia si sia fatta `antro' per geni perversi
in questi sedicenti messaggeri celesti (si ricordi che sin dall'inizio si
dichiarava che la giustizia doveva non solo combattere sul terreno
mondano i suoi nemici palesi ma anche far fronte all'azione di
occulte potenze malefiche) 13
Qui la pretesa giustizia che un unico individuo offrirebbe nella
sua impostura a tutto il genere umano si salda con l'ispirazione
demonica, cresciuta sul terreno della malinconia, di coloro che
hanno non solo aderito alla Riforma ma hanno presieduto alla sua
genesi. Le linee della critica antireligiosa presente nel Sigillus
sigillorum tornano a farsi presenti mentre le parole dei pedanti si
sono qui allineate ai sogni di chi vittima dell'influenza demonica,
in questo risolvendosi la chiarezza e l'interpretazione letterale della
Scrittura da un lato e lo Spiritus Christi rivendicato da Lutero come
fonte di illuminazione dall'altro. La fides dunque divenuta, oltre
che passiva, `asinina fiducia', anche `parole e sogni', 'ociose
credenze e fantasie' e ci a cui essi aspirano in modo velleitario
si potr ottenere nella realt solo quando la fonte delle Muse non
sar pi intorbidata da costoro e lo Studio potr unirsi al Furore
.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

divino: espressioni con cui Bruno sembra evocare quel rapporto tra
razionalismo ed esoterismo che sotteso a tutta la tessitura
dell'opera, oltre che preludere ai temi della Cabala, ma ove appare
anche chiaramente messa in luce la confusione che stata operata
tra il livello della conoscenza riservato ai pochi ed il livello,
inferiore ma pur decisivo per la vita civile, in cui deve articolarsi
per i pi la vita religiosa.
Il giudizio cos chiamato in modo pi dettagliato ai compiti
che gli vengono assegnati ma riproponendo ancora una volta il
vertice stesso raggiunto dall'uomo nel campo civile e ancora
raggiungibile purch esso ristabilisca i mezzi pi adatti per
conseguirlo, l'appetito di gloria e con esso il corollario che ne
deriva immediatamente, l'utile collettivo. Proprio per que sto
diviene suo fine precipuo precisare come si debba procedere in
concreto dinanzi ai nuovi errori di questi sedicenti sovrani del
cielo e figli di Dio. La divinit quindi vuole l'utile dell'uomo e
dunque la sua gloria: il soli Deo gloria che rinvia a qualcosa cui
l'uomo non pu accedere per definizione si capovolge nel
volutamente provocatorio, ma strettamente conseguente allo
sviluppo del pensiero bruniano, soli homini gloria, che viene a
compendiare negli atti eroici i valori supremi attingibili
all'interno dell'orizzonte umano e naturale del giusto e del possibile.
L'esemplificazione che Lutero compiva dell'impotenza del
libero arbitrio ad operare il bene al di fuori della rivelazione e
della grazia attraverso le virt degli antichi romani (ma si ricordi
la trattazione che gi Agostino aveva dedicato al problema nel De
civitate Dei) 14 si rovescia qui in idealizzazione del periodo glorioso
in cui la ratio e la voluntas del popolo romano avevano attinto tali
vertici superiori attraverso atti eroici per eccellenza, edificando per
s e per i popoli sottomessi una vita civile basata su questi valori.
L'idealizzazione del

14 Au g . , C i v. D e i , V, 1 2 - 1 6 .
13 Di al og hi , p. 61 1.

61

62

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

popolo romano riceve cos{ anch'essa un connotato immediatamente


religioso ('finch fu tale la lor legge e religione furono felici') e
non per nulla il postillatore napoletano dello Spaccio annota
acutamente in margine a questo testo che l'Impero romano viene
posto addirittura sul piano di una Chiesa 15 (si ricordi ancora in
proposito che l'arte militare destinata a sostituire il Cristo-Orione).
facile osservare, giunti a questo punto, che Bruno ha mirato
ad unificare legge umana, civile e legge religiosa sulla base della
finalit identica che esse venivano ad assumere ma anche evidente
che la prima viene acquistando un carattere religioso essa stessa, e
che tale carattere trova la sua giustificazione nell'impianto che
stato dato al rapporto tra umano e divino che regge tutta l'opera.
In effetti la potest di legare propria alla legge nel suo significato
pi ampio si rivelava collegata a quello che solo poteva costituire
un autentico concetto di giustizia fondato sulla base del possibile
e del giusto intesi nel loro non astratto valore e Bruno poteva
giungere ad affermare come si visto che l'uomo possedeva in
anticipo la chiave per giudicare se una legge venisse o no dagli dei;
in caso negativo, il rifiutarla se essa proponeva determinati
contenuti, per quanto ci si prospetti come una situazione limite
del tutto ipotetica, non rappresenterebbe pi una trasgressione
religiosa.
Tale situazione coincide tuttavia con quanto si sta verifi cando nel presente e quindi pi delicato appare il problema che
sorge dalla constatazione che ci troviamo di fronte contempora neamente alla rivendicazione di una rivelazione che si sta sviluppando per via autonoma attraverso l'opera della ragione (anche
se, vedremo, non solo grazie ad essa) e dal fatto che tale
concezione, che pretende di essere teologicamente corretta,

15 Dialoghi, p. 660 n. 1: Il popolo Romano messo per esempio di una vera


Chiesa et Regno d'Idio, cio d'un popolo et republica a Dio cara et da lui favorita. Tale
la teologia del Nolano .

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

63

tenta di inglobare in se stessa il valore della religione come lex,


come guida della moltitudine non escludendo il momento stesso
dell'impostura. Ad essa possibile che si faccia riferimento con il
richiamo a `leggi nate dalla terra', subito parificate a quelle
provenienti dal cielo e sulla base come si diceva della finalit
identica che ad essa presiede. Tutto ci coerente con
l'impostazione teologica che Bruno ha dato al suo discorso ma
deve evidentemente fare i conti con un livello religioso che non ha
a che fare, che estraneo alla verit religiosa raggiunta ma da essa
deve dipendere in forme che rivestono il carattere della necessit.
Un modo corretto per affrontare questo problema credo che
debba anticipare due dati, sia pure elementari, che saranno sviluppati
nel corso della nostra analisi. evidente che Bruno mira, come
apparir pi esplicito nella conclusione dell'opera, ad una
unificazione tra potere politico e potere religioso cos{ come
appare chiaro (la discussione delle tesi di Erasmo lo ha gi messo
in luce in maniera palese) che il problema del rap porto tra
credenze religiose e moltitudine si poneva in termini nuovi con la
Riforma ed appariva difficile conciliarlo o ridurlo alle soluzioni
tradizionali che erano appunto quelle che venivano messe in
discussione.
Certo, secondo ogni apparenza ci che emerge da questi testi
il dato secondo cui la Riforma ha fatto cessare le condizioni
necessarie, imprescindibili per il funzionamento della religione come
lex, come sistema di credenze anche false ma necessarie per il
governo della moltitudine. Dire in effetti che le opere buone non
hanno alcuna rilevanza nel giudizio della divinit su di noi significa
ribaltare alla radice la credenza in premi o pene che attenderebbero
l'uomo in un'altra vita sulla base del suo operato e rovesciare
quindi le basi della convivenza civile. Il richiamo al corretto
rapporto tra umano e divino indica che la Riforma venuta meno
nel delineare la funzione della religione come lex proprio per la
perdita di tale rapporto: da questo punto di vista saranno gli
sviluppi dell'o-

64

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

pera a mettere in rilievo le ragioni profonde di tale fenomeno,


ragioni che potranno scaturire solo da un'analisi del cristiane simo
nel suo complesso e in particolare dalla sua genesi. Il problema
dell'opera quindi divenuto quello di delineare le condizioni
attraverso le quali la religione possa tornare a funzionare come lex
e la soluzione demandata alla riscoperta del valore di verit
della religione tout court 16
Notevole importanza acquista allora in questa prospettiva un
secondo motivo, destinato anch'esso ad avere grande rilievo nel
corso dello sviluppo dell'opera. L'unificazione di legge civile e legge
religiosa dava alla prima come si diceva carattere e dignit religiose ma
assicurava anche alla seconda, nella misura in cui era possibile
distinguerla da essa e in genere dalla morale, un carattere per cos
dire di religione vera, un livello cio senz'altro superiore a quello
della semplice lex. Ora, nel momento storico particolare in cui il
Bruno si trova a vivere, viene da lui ricono sciuta alla forza una
importanza del tutto particolare in quanto deve assolvere ad una
funzione storicamente eccezionale, quella di `spegnere' le sette che
tolgono ogni valore all'operare umano e ristabilire in tal modo le
condizioni della vita civile, ma al di l di questo compito
eccezionale (che si identifica con la realizzazione del `giorno del
giudizio' in terra) sussiste una situazione idealmente atemporale
attraverso cui analizzare il problema ed essa che ci denuncia una
debolezza intrinseca alla legge ed alla forza stessa che chiamata a
farla eseguire.
Ci si manifesta in primo luogo ad un livello che non ha
ancora a che fare con quello della moltitudine, nel fatto che le
.

16 Una esposizione esemplare della concezione della religione come lex,


oltretutto con diretti riferimenti al Bruno, nel saggio di B. NARDI, Filosofia e
religione, ora raccolto nel volume Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze 1965, pp.
122-48. Ma va appunto tenuto presente che per il Bruno non solo le leges si
succedono ma si alternano anche periodi in cui la verit risplende a periodi in cui
essa si eclissa e qui proprio il rapporto tra i due processi che va messo a fuoco.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

65

leggi possono essere paragonate a `tele d'aragne' nei confronti dei


potenti, che possono aggirare l'impedimento costituito da esse se
non interviene la forza a farle rispettare. Nell'Appendix agli Adagia
nell'edizione Manuzio leggiamo: 17 .., araneae telam esse ostendamus,
hoc est, nihilo fortiorem quam sit cassia araneae, invalidam
nimirum... Thales quoque Soloni legum latori dixisse memoratur,
vanam operam ab illo insumi... quo niam araneae cassibus similes
essent leges quod a potentioribus solvantur . Vi era qualcosa di pi,
e la debolezza della legge senza la forza su cui si era soffermato il
Bruno dandole rilievo essenziale, poteva fornire lo spunto ad una
riflessione ulteriore. Al di l delle diverse sfumature sul suo ruolo
sociale, l'importanza della religione veniva in genere riconosciuta
come insostituibile proprio l dove non solo la legge ma la stessa
forza non 'potevano giungere con la loro azione: si tratta di quel
valore della religione intesa come autonoma capacit di ' regolare gli
uomini, come una sorta, per usare l'espressione di Cardano, di
`costrizione interiore', grazie alla quale il timore della pena
comminata dagli uomini lascia il posto a quello, pi efficace perch
agente direttamente sulla coscienza e sulla sua interiorit, delle pene
d'oltretomba.
Ci troviamo di fronte ad una svolta nello sviluppo dell'o pera,
in quanto il Bruno, dopo aver riconosciuto un livello religioso
decisivo tra l'altro nell'eliminare le nuove sette, si avvia a
riconoscere un livello inferiore di cui dovr essere sancita la
legittimit su un terreno nuovo, una volta che si sia sottratta ad
esso ogni partecipazione al regno della verit come condizione
perch esso possa sussistere, senza interferire quindi, anzi essendone
diretto ed aiutandone l'espandersi, su quel pi alto livello religioso
di cui si parlava.
A ben guardare, la religione intesa come lex ed il tema
dell'asinit del credente ad essa connesso sono destinati ad assu
17 Adagia... Paulli Manutii studio atque industria... ab omnibus mendis vindicata,
Firenze, Giunti, 1575, col. 1289 (Tela araneae).

66

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

mere imprevedibili sviluppi nel corso dell'opera ma gi in questi testi


venuto affiorando un punto di singolare importanza per la
prosecuzione del nostro discorso: mentre non sembrano esserci
dubbi sul fatto che le sette di cui si parlato debbano essere `spente'
con la forza, pur Giove ha parlato, occupandosi dei rimedi
immediati che si impongono e nella prospettiva di un loro
improbabile pentimento, della legittimit se non necessit che gli
adepti della nuova fede si nutrano di quei cibi spirituali che sono
stati preparati per essi da questi nuovi `figli di Dio' in cui gli `asini'
hanno finito per credere 18. La religione interiore della
Riforma e con essa l'intero cristiane simo rischiano di
ricevere una confutazione radicale nel loro valore di verit per
andare incontro ad una loro riaffermazione secondo una forma ed
una esistenza di irrimediabile inferiorit.

18

Dialoghi, p. 664.

Si parlato di un rapporto inscindibile presente nell'opera tra


razionalismo ed esoterismo non meno che di una autono mia
relativa del mondo umano rispetto alla sfera del divino ed evidente
che al termine della nostra analisi questi due aspetti finiranno non
solo per mostrare una relazione ma per sovrap porsi tra loro.
chiaro che nel secondo caso era ancora il limite dell'uomo a
segnare il senso di tale autonomia: data l'irraggiungibile distanza del
divino, il problema non poteva pi porsi nei termini di un
adeguamento di fatto impossibile ad esso ma come studio dei modi
e della misura in cui sia pure in forma parziale tale adeguamento
si rendeva realizzabile. Restando salda la dipendenza dal divino, si
profilavano le forme in cui essa si concretava senza che la
divinit imponesse, per assurdo, ci che l'uomo non poteva dare
o, che lo stesso, senza che l'uomo imponesse questo a se
stesso.
Da questo punto di vista la rivelazione, nel suo duplice
aspetto di legge data all'uomo e di parteciparsi del divino
attraverso la natura secondo modalit che potevano essere utilizzate a fini pratici, non si presentava pi n come semplice
mistero inesplicabile agli occhi dell'uomo n come puro messaggio razionale ma come realizzazione di ci che l'uomo nella
consapevolezza di una dipendenza decisiva. Siamo sulla via per
scorgere nella ragione stessa una sorta di rivelazione ma qui essa
divenuta innanzitutto interprete legittima del messaggio che gli dei
inviano all'uomo nella consapevolezza perennemente presente che, se
l'area destinata alla comprensione umana non delimitabile con
precisione rispetto a quella zona superiore che la sovrasta, tuttavia
tale comprensione agisce in perenne rapporto con questa sfera
superiore che penetra essa

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

68

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

stessa nel cerchio della razionalit umana per dirigerla anzich per
dispiegarsi in un senso che sia contrario ad essa.
Bruno parla cos di lume intellettuale tanto riferendosi alle leggi
date ai popoli quanto a proposito della magia, intesa come
rivelazione della divinit attraverso la natura (ma dir anche che era
cessata con il cessare della fides in essa): in entrambi i casi non ci
troviamo di fronte ad una negazione delle facolt umane una ad
un loro sviluppo che permette l'instaurarsi di quel rapporto tra
umano e divino destinato in caso contrario ad essere cancellato.
In questo senso la relazione con il fato registra il solo modo in
cui la coincidenza di libert e necessit presente in Dio pu
realizzarsi nel mondo umano prima an cora che nel singolo
individuo, e qui andiamo incontro ad alcuni tra i nuclei tematici
fondamentali dell'opera intera.
I problemi che si presentano riguardano in effetti il rap porto
degli dei con la giustizia suprema non meno di quello degli
uomini con essa. Si detto che gli dei, a cominciare da Giove,
dipendono dal fato e ci significa che essi sono sottoposti al
divenire e che tale divenire appare necessario, trascende la loro
stessa volont: la relazione degli dei con il fato si configura quindi
come un soggiacere al fato della mutazione.
Lo stesso discorso vale anche per gli uomini ed in questo
senso l'identificazione degli dei con le potenze dell'animo non
qualcosa di arbitrario ma non neppure un elemento tale da
dissolvere completamente la loro autonomia, appare cio neces sario
rendere conto accanto a tale identificazione, di una distin zione che
non meno importante.
Le virt che gli dei sostituiscono alle immagini di vizio
tendono a costituire, come si rilevato, un livello mediatore tra la
suprema unit in cui necessit e libert, verit provvi denza e
sapienza coincidono e l'empiria, livello mediatore che pure assicura
un contatto tra quei modelli inaccessibili e l'empi ria stessa. Da
questo punto di vista gli dei esprimono un grado intermedio che
pu essere simbolizzato attraverso dei miti,

69

fondamentale tra di essi quello della metamorfosi, come mostra il


fatto che il `conclave', il concilio degli dei si svolge appunto nella
ricorrenza della loro battaglia e vittoria sui Giganti, vittoria ottenuta
grazie alla loro capacit di trasformarsi in altri esseri viventi (si
ricordi per inciso che Orione ha combattuto come gigante contro
gli dei).
In altri termini il fato della mutazione esprime non solo la
possibilit ma la necessit che la divinit permanga presso gli
uomini ma esso viene a costituire un livello mitico simbolico cui
l'uomo pu attingere e che quello a lui propriamente destinato,
inferiore com' a quello della verit nella sua purezza e della
perfetta coincidenza di necessit e libert ma anche superiore a
quello della semplice empiria che da esso dipende.
In questa prospettiva gli dei, in quanto operano una sosti tuzione delle forme celesti chiamata ad originare nuove 'im pressioni' ed `influenze' nel mondo inferiore, vengono coinci dendo
con la decisione degli uomini (e con l'azione filosofico pratica del
Bruno che ad essa d l'avvio) che poi la decisione del fato, ma non
costituiscono soltanto semplici figure delle nostre facolt bens
rappresentano essi stessi gi uno dei modi attraverso cui la divinit
si scinde per parteciparsi al mondo umano. Su tale base - ed il
parallelismo che possibile effettuare tra questa sezione dell'opera e
le pagine dedicate all'apologia della religione antica destinato a
dimostrarlo - ci troviamo di fronte a qualcosa che pur
conservando un suo pi alto valore oggettivo non cessa per
questo di essere affetto da un elemento antropomorfico
ineliminabile che poi ci che lo rende eseguibile ed utilizzabile.
Non si tratta quindi di una pura finzione ma neppure di quel grado
di superiore astrazione a cui ci riconduce il fato inteso nella sua
purezza, quel fato inaccessibile da cui pure tutto dipende. In
questo senso comprensibile che gli dei si rivolgano con
preghiere alla giustizia assoluta o che si parli di ci che essi e non
la divinit suprema desiderano e decidono per gli uomini, mentre
la trama delle loro vicende deve fare tutt'uno con quelle virt che
essi ristabi-

70

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

liscono in cielo come governatrici. Tale livello mitico-simbolico


quindi quello stesso della rivelazione nella forma cui si accennato
e dei modi attraverso i quali il fato si rende accessibile all'uomo.
Appare dunque opportuno ribadire che sussiste una distinzione
tra i nuovi modelli celesti e le guise concrete entro cui essi sono
destinati a realizzarsi in terra, mentre lo scarto tra la forma e la sua
identit empirica implica il problema del fato e del suo rapporto con
l'uomo nel momento stesso del suo agire pratico: un fato della
mutazione che colpisce noi ancora di pi di quanto non colpisca gli
dei e che finisce quindi per chiamare in causa inevitabilmente la sfera
della fortuna.
La metamorfosi degli dei esprime quindi su un piano miticosimbolico quella legge suprema della realt su cui non a caso si era
aperta con forza l'opera, legge che coinvolge gli uomini e che
permette di misurare la loro consapevolezza della realt stessa: in
quanto gli dei si trasformano mostrano la loro saggezza, in
quanto si trasformano in bestie nella lotta che li vede opposti ai
Giganti mostrano che impossibile pervenire ipso facto ad un livello
supremo inaccessibile per definizione all'uomo ma a cui pure
dato progressivamente avvicinarsi.
L'interpretazione che Bruno d del cristianesimo ed in
particolare dell'operato del Cristo appare in tal modo segnata: il
primo si rivela come un fraintendimento della assolutezza divina
che viene colta in realt anche da esso, al di l delle pretese
dichiarate, solo ad un grado intermedio, l'unico a noi accessibile,
elevato tuttavia erroneamente a valore assoluto, mentre l'intervento
del Cristo appare come quello di colui che, cosciente di tutto
questo, per 'malignitade' e smodato desiderio di gloria d luogo
all'impostura cancellando storicamente, con il 'ministerio di geni
nemici', la consapevolezza che era stata attinta in passato
dall'umanit del valore dell'autentica metamorfosi.
Da questo punto di vista, l'anniversario della lotta contro i
Giganti come ritorno dell'uomo e degli dei alla metamorfosi

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

71

verifica una sapienza che essendosi depositata nell'allegoria in quanto


sapere riposto non accessibile ai pi ma traducibile, in regole
eseguibili da essi, non pu non essere riconosciuta e ricondotta al
suo significato originario da chi ne possegga la fonte e la chiave.
Ma il senso profondo del tema della metamorfosi finir come
vedremo per incontrarsi con i nuclei centrali della stessa metafisica
bruniana.
legittimo intanto chiedersi che cosa rappresenti il fato per
l'uomo. La sua esistenza presuppone la realizzazione completa ed
assoluta dei suoi decreti ma trova nell'uomo un esecutore che anche
nel suo livello pi elevato, se non soprattutto a questo, percepisce
verit sapienza e provvidenza come scisse tra loro; non solo, legge e
giudizio, come vedremo meglio, senza la cooperazione della forza e
della sollecitudine, non possono trovare pieno compimento nel
mondo umano e ci accresce la sfera di aleatoriet che circonda la
nostra azione. L'uomo si muove dunque all'interno di un
meccanismo la cui azione destinata a giungere al fine prefissato,
pur disponendo di mezzi che solo parzialmente hanno a che vedere
con la possibilit di una realizzazione completa come quella
contemplata dal fato. Certo, si visto, noi siamo in grado di
individuare i segni ed i fini ultimi a cui non pu non tendere la
giustizia assoluta, e dunque l'esecuzione di quanto ci viene
indicato attraverso gli strumenti a nostra disposizione rappresenta una
prima garanzia del nostro successo; di pi: il procedere del fato
affidato esso stesso alla nostra azione anche in ci che esso presenta di
superiore. Di qui una sorta di investitura per la quale vale tuttavia
ancora una volta la nostra necessit di modellarci sul mondo
umano cos come effettivamente esso costituito, pro
prio grazie al distacco che si indicato, pena la sterilit del nostro
agire.
Ci che, una volta realizzatasi la nostra azione, resta al di
fuori dei fini della nostra volont non pu quindi non definire il
limite della percezione che abbiamo del fato stesso, ma non pu
non presentarsi secondo un duplice punto di vista, come
giustizia del fato se contemplato da un punto di vista superiore,

72

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

come fortuna se visto con i nostri occhi come ci che incrocia e


potenzialmente sebbene non necessariamente pu contrastare la
nostra volont.
L'insieme quindi contempla un uomo che, al suo livello pi
alto, ha la certezza realizzando il fato di realizzare se stesso secondo
una forma di coincidenza di necessit e libert, di umano e divino
ma nella consapevolezza che tale coincidenza non affidata solo
alle sue forze: ineluttabile ma non trasparente nella sua totalit,
il fato misura il distacco tra chi provvede in modo infallibile e
chi, strumento del primo, non pu aver chiara una volont
insondabile. La sfera della fortuna viene cos recuperata nella sua
piena legittimit: in quanto emanazione del fato, o meglio
immagine di ci che del fato non traspare, non solo non pu
apparire che giusta ma, nell'impossibilit di confonderla con le
nuove impressioni zodiacali in quanto emanazione diretta del
livello del fato, deve essere elevata al rango di dea. In effetti non pu
essere identificata con nessuna particolare figura celeste se ci che
finisce per permeare di s ogni singola influenza che dai cieli promana
proprio per il carattere superiore della sua origine, ma non pu
neppure apparire contraddittorio - anzi, a ben vedere, in linea con
l'intento fondamentale dell'opera - che l'uomo, ormai impegnato con
il piano dell'empiria, tenti di volgerla nella sua direzione, la accolga
come qualcosa contro cui difendersi e combattere poich combatterla
significa allargare la sfera del compimento del fato in cui egli si
riconosce come volont realizzata. La fortuna misura cos il
distacco tra i modelli ideali identificati dall'uomo e la loro
effettiva realizzazione.
La ragione pi immediata di ci risiede nel fatto che essa si
presenta come fortuna in primo luogo dove la virt assente e non si
pone come carattere saliente che contraddistingue l'azione
dell'uomo: in tal caso essa finisce per operare un livellamento di cui
ci si pu dolere ma che proprio per quella specifica ragione,
l'assenza della virt, viene a sostanziarsi come giustizia. Al
contrario se la virt presente ed allarga le possibi

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

73

lit riservate all'uomo rispetto ad una condizione generale che sarebbe


destinata al contrario a restare indifferenziata, la fortuna non potr
pi avere `mani lunghe', trover un limite nella consapevolezza
che all'origine di quella virt e si presenter allora soltanto come
circostanza che scompiglia i piani di chi non avveduto e preparato
oppure come occasione che amplia le possibilit che si offrono agli
altri. Da questo punto di vista il contrasto con essa finisce per non
essere mai contrasto con il fato ed anzi nell'ultimo dei casi
ricordati, allorch allarga le nostre possibilit, completa il quadro
conoscitivo a noi accessibile mostrando come lo scarto tra azione
avveduta dell'uomo ed empiria possano saldarsi per ricostruire al
limite la totalit del fato stesso. Di qui la possibilit di considerarla
priva di un contenuto positivo, come confine che tocca all'uomo,
ed in suo potere, di spostare sia pure in modo non indefinito. Ci
su cui pu far leva il fatto che il necessario si colloca solo all'interno
dell'orizzonte del possibile e che quindi sia ci che egli pu
compiere sia ci che pu subire conoscono un confine che, almeno
nei limiti indicati, non pu sorprenderlo. Certo, e proprio per
questa stessa ragione, la fortuna si pone come ostacolo rispetto a
quella ricomposizione mai integralmente raggiungibile cui mira
l'uomo nel far coincidere necessit e libert. Scoprire tale necessit
mezzo per avvicinarsi al divino, resta tuttavia come punto fermo che
il suo processo di avvicinamento si attua attraverso queste forme, che
tale processo non pu aver luogo in una forma immediata, a causa
dello scarto conoscitivo di cui si diceva ma ci non cancella il fatto che
esso insieme opera sua e volont del fato, cos come lo scarto tra i
due termini ne misura la libert reale. La differenza riguarda solo
l'uomo, chiamato non ad infrangere il fato ma a realizzare se stesso in
una misura che, sancendone la libert, registra il suo avvicinarsi a
quella sfera superiore.
Il confronto tra virt e fortuna ha chiamato in causa
inevitabilmente il concetto di libert dell'uomo, che Bruno
affronter da un punto di vista diverso nel corso dell'opera per

74

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

giungere a risultati similari ma sempre su un terreno completamente


estraneo ai termini in cui Erasmo e Lutero avevano affrontato il
problema; di qui la possibilit che egli includa, come si gi
ricordato, le speculazioni sull'elezione ed il libero arbitrio tra le
occupazioni del tutto inutili, i vuoti ozi a cui gli uomini si
dedicano.
Ci che sembra essere emerso qui il dato secondo cui solo il
possibile si inscrive nell'orbita del necessario, prolungandosi cos
l'accusa formulata nei confronti della Riforma per cui solo il possibile
pu essere giusto; in ogni caso l'azione umana va vista in rapporto ad
un orizzonte superiore, coincidere con il quale significherebbe far
coincidere libert e necessit; la prima non sembra mai poter
collocarsi al di fuori del fato, ma conoscere gradi diversi in cui
ci che muta gradualmente la passivit dell'uomo nei suoi
confronti. Se rispetto alla Riforma vale il fatto che solo il possibile
pu rientrare nell'orbita del necessario, lo stesso risultato vale qui
cercando di rimodellare la funzione dell'uomo all'interno del fato
stesso.
A ben vedere, la fortuna ci ha fatto discendere dal livello
assoluto del fato e ci ha fatto attraversare quello dei modelli
celesti mostrandone il limite ma anche la validit; se ci ha dato una
verifica dell'impianto teorico dell'opera, ci ha anche inevitabilmente condotto su quel terreno in cui tali modelli si
incontrano con la loro realizzazione empirica; non per nulla,
parlando della fortuna, abbiamo finito per anticipare il discorso sugli
strumenti concreti che devono operare la mediazione a cui si mira
ed da questo punto, destinato a segnare l'ulteriore svolta del
dialogo, che converr ormai ripartire.

VI
Risulta ora con chiarezza perch le prossime sedie celesti che
dovranno essere ormai rimpiazzate si collochino immediatamente
accanto a quelle occupate da Legge e Giudizio e perch in
esse si installi ci che deve porre in esecuzione il loro decreto. Cosi
tutta la successiva parte del dialogo si incentra rispettivamente
intorno alla Forza da un lato ed alla Sollecitudine (o Diligenza o
Fatica) dall'altro, chiamate ad occupare il posto di Ercole e di
Perseo che ne divengono in effetti gli esecutori. Certo, esiste
tutta una serie di figure intermedie tra le due appena ricordate e
che presentano per giunta una valenza insieme religiosa e
politica: la Lira' indica il ristabilimento delle Muse del sapere e
della vera dottrina ed attraverso di esse l'Etica riceve un collirio
destinato a 'instituir religioni, ordinar gli culti, metter leggi ed
esecutar giudicii' 'accomodando quanto si pu - dice il Bruno - gli
affetti ed effetti al culto de dei e convitto de gli uomini' mentre il
Cigno e Cassiopea 2 lasciano il posto rispettivamente alla Penitenza
e a quella Semplicit d'animo che secondo un giudizio diffuso nella
letteratura del tempo pu convertirsi in strumento, in caso di
necessit, della prudenza e difendere la verit con la dissimulazione.
Resta tuttavia, come si diceva, la centralit delle figure che
intervengono a sostituire Ercole e Perseo in cielo e della missione che i due eroi sono chiamati a svolgere una volta scesi
sulla terra. Forza e Sollecitudine, dunque, come elementi che si

Dialoghi, p. 703.

2 Ibidem, pp. 703-8.

76

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

accostano alle figure ideali gi analizzate ma che tendono sempre pii al


livello di ci che empirico. La forza non pu stare lontana da
dove sono verit, legge e giudizio, come mezzo per condurre ad
effetto ci che stato definito e deciso teoricamente e
praticamente; essa si pone cos in contrasto - poich l'arte bellica
dovr sostituire il Cristo-Orione - con la disperazione con la morte e
con il timore della morte, una contrapposizione che diverr pi
chiara solo quando il Cristo apparir lucrezianamente in primo
luogo come colui che ha seminato il terrore della morte; non
solo, ma si presenta come naturale dominatrice della fortuna nel
senso che si cercato di chiarire in precedenza (fortuna e caso aveva affermato Giove - hanno stabilito il loro regno e dominio da
quando la provvidenza degli dei stata spenta).
La sollecitudine, salendo al posto di Perseo, incontrer
l'occasione l'indigenza e la sagacia che tiene appunto lontani dai colpi
della fortuna: quest'ultima viene presa per i capelli e le `si fissa il
chiodo'. Cos avere ben agito nel corso della vita porr al riparo dal
timore della morte mentre ad essere presi di mira come obiettivo
della ricerca umana saranno quei tesori autentici che possono essere
raccolti nel campo dell'eternit, un'eternit cio reale e non fittizia
rispetto a quella dei pretesi immaginari tesori del tutto al di fuori
del tempo di cui lecito che si dica, ricorrendo ancora a
suggestioni erasmiane, 'meditantur sua stercora scarabaei' 3
Della forza in rapporto alla fortuna si gi parlato, anticipando
sul contenuto di questa sezione, ma l'altro discorso centrale e
parallelo qui riguarda la pretesa dell'Ozio di salire al cielo al posto
della Fatica. Se l'Ozio rivendica il suo posto in alternativa alla
Sollecitudine, di fatto esso permette al Bruno la condanna di una
condizione puramente animale, come tale anteriore alla distinzione
di bene e di male e quindi al merito
.

Ibidem, p. 717.

77

come al peccato, condanna che investe come noto tanto il mito


dell'et dell'oro quanto la concezione del paradiso terrestre.
Se attraverso la forza stata definita la fortuna ed il suo
ambito, con il rifiuto dell'ozio - parzialmente accettato se visto in
funzione complementare all'azione, al 'negocio' senza cui perde la
sua relativa utilit - ci si apre l'occasione di precisare quella libert
che il fato ha previsto per l'uomo ma non pi in relazione alla
imperfetta conoscenza del fato stesso visto nella sua globalit
bens in rapporto a quella struttura fisica che lo costituisce come
animale e soprattutto come animale destinato a dominare. L'uomo,
grazie alla libert che gli stata data, libert qui direttamente
evocata, si assimila progressivamente alla divinit grazie al
possesso dell'intelletto e delle mani, perch si faccia e si conservi
dio in terra. Cos egli si allontana sempre pi dalla sua condizione
animale e si approssima alla vita del divino impedendo che
l'ozio renda la vecchiaia timorosa del giudizio e pervasa dall'orrore
della morte.
La libert riconosciuta all'uomo trova dunque un suo spazio
all'interno della natura mentre la discussione relativa alla fortuna
non aveva fatto che sviluppare tale spazio nei modi particolari
che sono consentiti dalla vita civile. Si tratta di una libert che
certo risiede in ultima analisi nella nostra stessa struttura corporea
e rinvia ad essa anche per ci che riguarda le nostre operazioni
intellettuali, e ci basterebbe ad indicare che rientra a sua volta
nel fato: in questo senso le pagine sul rapporto tra virt e fortuna
possono ricollegarsi a questo testo senza difficolt sulla base della
relazione che ivi emergeva tra possibile e necessario come
modalit dell'agire all'interno del fato, modalit che qui appare
come possibilit che si apre all'interno della natura. L'et dell'oro,
il paradiso terrestre rappresentano dunque in forma mitologica
l'animalit propria dell'uomo che non viene riconosciuta nella sia
struttura e nel destino che essa porta con s e di conseguenza
l'azione del serpente che ha ingannato i nostri progenitori,
secondo il det-

78

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

tato del Genesi di cui va capovolta l'interpretazione tradizionale,


destinata a chiarire l'uscita da questa condizione originaria: il
parallelo tra gli uomini e gli animali sviluppato nella Cabala
non far che precisare nella direzione di un estremo naturalismo ponendo appunto la superiorit del primo sui secondi su un piano
fisico che decide delle sue stesse virt intellettuali - non far che
precisare, se cos ci permesso esprimerci, la necessit della sua
libert.
Si parlava di un ozio che genera il timore della morte: ci
sono infatti 'negociosi ocii' 4, opere del tutto inutili destinate in
realt a perturbare il mondo oggi come non mai in passato,
basate sulla opinione che la perfezione umana risieda e si realizzi
solo appunto in inoperose `credenze e fantasie'. in tale
contesto che Bruno torna a ricordare in opposizione al celebre
luogo paolino, che si approssima ormai la sera destinata a dar luogo
in concreto al giorno della giustizia 5 poich gi sussistono tutte
le condizioni perch esso si realizzi e non un caso che in queste
pagine cominci ad aprirsi in modo dettagliato il discorso sul Cristo
stesso, sovrano produttore di `inutili negocii' da cui non sar la
nostra inattivit a liberarci. Il cerchio dell'opera cos in qualche
modo si chiude su se stesso, teoria e pratica possono ormai
ricongiungersi.
Ercole e Perseo possono ormai abbandonare le loro sedi
celesti per scendere in terra e realizzarvi la loro missione,
collegando cos in modo diretto e definitivo il piano ideale e
relativamente astratto dei cieli con il mondo umano: si noti che
entrambi sono figli di uomini e di dei ma non pi nel senso
ingannatorio ed illusorio del cristianesimo. Ercole l'eroe nato da
Giove la cui forza e la cui tendenza al bene devono impedire il
dilagare del delitto tra gli uomini: riparatore di torti e punitore di
malvagi, presentato qui come il braccio stesso di Giove e della
giustizia, destinato ad eseguire il giudizio come
4
5

Ibidem, p. 746.
Ibidem, p. 747.

79

forma concreta in cui la prima si realizza, e si noti che egli,


come detto del Cristo, scende per la terza volta in terra 6 dopo
essere stato agli inferi a domare i mostri e per vedere se
sopravvivano ancora su di essa come un tempo cerve dai piedi di
bronzo ma veloci come il vento'. Perseo da parte sua non fa che
rafforzare la dimensione eroica della missione di Ercole
presentandosi congiunto a lui nella sua azione: chiamato a `fissare
il chiodo' agli eretici, il figlio di Giove e di Danae far perdere il
`ritratto' di dottrina scisma eresia con quello stesso specchio con
cui vanific i poteri della Medusa, impedir loro l'uso della lingua e
delle mani, toglier il senso e la vita oltre a vincere l'avarizia.
Ma non va lasciato cadere, a mano a mano che si profila
l'opera della forza e della sollecitudine, l'avvertimento che era
stato dato da Giove quando aveva ordinato al giudizio che coloro
che erano in preda ad una `asinina e bovina fiducia' si nutrissero
di quei cibi - cibi immaginari evidentemente - che erano stati
prodotti per essi da quanti per effetto di fantasia si stimavano re
del cielo e figli di Dio.

Ibidem, pp. 628-9.


' Colucii Salutati De laboribus Herculis, edidit D.L. Ullman, Turici 1951, voi. I,
pp. 181-4 (III, 7). Ma si vedano le pagine dedicate da Salutati alla figura di Chirone
(III, 11), vol. I, pp. 207-17.

VII

Il rapporto dell'uomo con il fato registrava una corrispondenza con la relazione che si istituisce nell'opera tra razionalismo ed
esoterismo oltre che con quella che abbiamo chiamato autonomia
relativa del mondo umano. In effetti, se le leggi divine
contemplano necessariamente un distacco tra le due sfere, questo
distacco include finalit toto corde diverse all'interno di
ciascuna di esse.
Da questo punto di vista la realizzazione delle facolt umane si
inquadra in una differenza, anzi in una inferiorit conoscitiva
sostanziale che si riflette inevitabilmente sul piano morale:
imperfezione dell'uomo e suo limite conoscitivo fanno tutt'uno, tale
differenza definisce cos le nostre facolt e quindi anche i loro limiti.
Di qui il duplice piano su cui va verificata l'opera della ragione e
cio tanto al momento di decidere dei principi della vita civile
quanto e a maggior diritto nell'istituirsi del momento pi
specificatamente religioso, con la realizzazione sul terreno del rito
e delle cerimonie della relazione con il divino.
Nell'ambito pi propriamente civile si visto che la divinit
abdica in qualche modo alla sua assolutezza operando attraverso una
gradazione di piani: dall'unit indistinta che le propria e la definisce
si passa a modelli intermedi tra l'assoluto ed il sensibile sino
all'esecuzione empirica di questi modelli stessi. Il piano che abbiamo
chiamato mitico-simbolico il solo attraverso cui essa si pu
manifestare a noi - e si disse che ci si trovava di fronte ad una forma
di rivelazione nella quale interveniva come parte integrante la
ragione - onde gli dei dell'Olimpo intrattengono una relazione
organica con esso, il loro carattere divino non assoluto ma
rappresenta un punto di

82

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

incontro in cui ci che riceviamo soggetto per definizione


all'elaborazione dell'uomo, meglio rappresenta il solo terreno
d'incontro in cui sia possibile la comprensione e la comunicazione
non solo dal divino all'umano ma viceversa.
In effetti il contenuto della mitologia rappresenta quella riserva
aurea entro cui si venuta elaborando per depositarvisi la stessa regola
morale, regola morale che andata storicamente perduta a causa di un
rischio implicito nel livello mitologico in quanto tale e derivante
dall'inevitabile separazione tra i dotti, possessori del carattere
allegorico del mito stesso, e la moltitudine esecutrice dei precetti che ne
scaturivano, sempre esposta al pericolo di dare un significato letterale
al mito stesso. noto che Bruno ha descritto esattamente in questi
termini la nascita del cristianesimo nel De immenso, l'origine di
quella che nel poema latino chiama, non meno che nello
Spaccio, fabula turpis I, una `favola' che non solo non ' pi
in grado di fungere da guida della moltitudine ma rovescia le basi
stesse della morale, e a ben vedere non diversamente veniva
tracciato lo stesso processo nello Spaccio. D'altra parte la
sostituzione delle `sedie' celesti viene per queste ragioni a costituire di
fatto un

t lordani Bruni Nolani Opera latine conscripta (d'ora in poi abbreviato in Opp. lat.),
I, Il, p p. 1 71 - 2 (De immenso, VI, 2): Suppositiones astronomorum factae sunt
positiones philosophorum ad extremam usque insaniae speciem;
sicut Aegyptiorum fabulis (ex Mercurii vaticinio in Pimandro) accidit .
Per un commento di questo passo cfr. Sulla polemica anticristiana del Bruno, in Ricerche sulla cultura dell'Italia moderna, Bari 1973, pp. 26-30. Per il Nolano della
regola del vero e del giusto rimase solo una favola corrotta, diffusasi tra i popoli,
sovvertitrice dei precetti della recta ratio e della moralit. Accanto al testo ermetico va
tenuta presente un'eco lucreziana precisa ( Sic veri ac iusti
normae corrupta remansit / Fabula, quae vitae rationem evertit et usum ; cfr. De
rerum natura, I, 1 05 ; V, 9). La `favola disutile e perniziosa' dello Spaccio
(Dialoghi italiani, pp. 785-6) divenuta la fabula turpis del De immenso. Le
opere latine del Bruno uscirono come noto dal 1879 al 1891 in tre volumi divisi
in otto parti, a cura di F. Fiorentino, F. Tocco, G. Vitelli, V. Imbriani, C.M.
Tallarigo.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

83

ristabilimento di quella regola morale che coincide con la risco- . perta


del significato originario del mito.' agevole cos intendere come
si verifichi con naturalezza una saldatura tra momento propriamente
civile e momento religioso nel suo realizzarsi sul piano del culto.
In effetti se l'antica religione conteneva anche un rapporto `vero',
entro i limiti indicati, con il divino, non potr non presentare
questo rapporto secondo uno stretto parallelismo con ci che
Bruno ha affermato della vita civile e della sua dipendenza in
maniera corretta dalla divinit. Quest'ultima, nella sua accezione
suprema, non provvede all'uomo solo attraverso leggi e statuti ma
partecipando se stessa alla natura, digradando ancora una volta
dalla sua unit inaccessibile a forme che possano essere colte
dall'uomo e volte, non diversamente che nel caso della vita civile,
alla sua utilit, pur determinando ancora una volta un livello
religioso inevitabilmente imperfetto se posto in relazione con un
culto dell'assoluto che ci d'altra parte precluso nella sua purezza.
Anche qui - quasi a sottolineare maggiormente il rilievo di questo
parallelismo - ci viene ricordato che la divinit in quanto
absoluta non ha a che fare con noi ma in quanto si
partecipa, contraendosi, alle varie parti della natura in forme e
misure diverse, pu essere onorata e volta ai suoi fini dall'uomo
attraverso il culto magico 2. (La scala discendente attraverso cui essa
si partecipa verr ancora illustrata nella Cabala ma ormai solo
per un fine satirico, per rappresentare l'ideale, puramente
immaginaria scala metafisica da cui discende il sapere, anzi il non
sapere, dell'asino.) Le pagine riservate alla religione egizia e in
genere al paganesimo sono cos destinate ad illustrare una superiorit
metafisica nei confronti del cristianesimo che andata smarrita e
deve essere recuperata come

783

2 Dialoghi, p.
e 794.

780.

Ma, per l'insistenza su questo tema, cfr. anche le pp.

84

L A SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

condizione decisiva per atteggiarsi nei suoi confronti, ma tale


superiorit si presenta subito qui con un connotato legato alla
metamorfosi degli dei. In questa prospettiva che il discorso sulla
religione `vera' inizi riprendendo quest'ultimo tema
l'espressione pi chiara del collegamento tra tale discorso ed uno
dei motivi centrali, se non quello centrale, dell'opera, quel `fato
della mutazione' su cui essa si era aperta. con la figura del
Capricorno che questo avviene, non solo riallacciando il
confronto tra religione degli antichi e religione cristiana al tema della
metamorfosi, della mutazione del fato, ma cercando in questo modo,
come si accennava, la genesi stessa del cristianesimo, riducendo
quest'ultimo sul piano di un travisamento dei miti intesi nel loro
valore letterale e per questa ragione rifiutati e respinti, ricerca che
condurr tuttavia il Bruno a conclusioni inaspettate nei
confronti del cristianesimo stesso.
La vittoria degli dei sui giganti stata possibile perch essi
seppero trasformarsi in animali grazie all'insegnamento del Capricorno ma se questo ha significato la loro salvezza ha poi
coinciso con la causa della loro rovina e del loro oblio presso gli
uomini nel presente: gli dei degli antichi sono stati confusi con
semplici animali. D'altra parte di questa loro trasformazione si
gi parlato nell'opera assegnandole un valore centrale: la vittoria
sui Giganti era stata ricordata da Giove come qualcosa di
decisivo, come la svolta alla quale occorreva guardare ed ispirarsi
nel momento in cui esortava gli altri dei a seguirlo nel suo
ravvedimento morale, e per giunta che la `riforma' dei cieli
abbia luogo nell'anniversario di tale lotta e vittoria non pu essere
casuale nell'economia dell'opera ma coincide appunto con il loro
assumere una nuova forma.
Quella vittoria fu ottenuta, si diceva, grazie al Capricorno e qui
il nostro discorso deve tener conto di due dati essenziali: se il
Capricorno resta in cielo ci accade perch seppe insegnare agli dei
a trasformarsi in bestie, vi resta cio, afferma il Bruno, nella sua
qualit di simbolo della `divina contrazione', d'altra parte ci
viene ricordato, quasi come corollario a quanto si
LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

85

detto, che non pu farsi superiore chi non sa farsi bestia. Il


discorso deve cos recuperare secondo le indicazioni convergenti ma
distinte che sono state date, contemporaneamente una dimensione

storica, una dimensione mitico-magica che coinvolge uomini e dei e


tende a coincidere con la prima, ma deve anche sviluppare sul
piano della conoscenza, come ci avverte il termine stesso di
contractio, una dimensione contemplativa che certo legata alla
struttura dell'azione magica ma pu costituirsi appunto nella sua
autonomia.
L'espressione del Bruno - non pu farsi superiore chi non sa farsi
bestia - sembra avere un primo obiettivo molto preciso che ci
riconduce alla polemica contro l'et dell'oro e il mito del paradiso
terrestre. Storicamente, secondo il dettato biblico ripreso nel
celebre testo dell'Epistola ai Romani', si creduto che la perdita
della somiglianza con Dio causata dal peccato originale ed il venir
meno dell'innocenza primitiva con la conseguente caduta
nell'idolatria abbiano condotto gli uomini ad un livello
conoscitivamente e moralmente sempre pi basso, sempre pi
vicino a quello animale e ferino. Ci a cui mira Bruno il
ribaltamento speculare di questa prospettiva storica: la perdita
dell'innocenza animale, di una condizione che non conosce meriti
in quanto si pone al di qua di ogni distinzione di carattere etico,
al contrario per lui esattamente quella che conduce l'uomo a porre le
premesse per costituire la regola morale attraverso il mito, ma
anche ci che gli permette di sviluppare la sua condizione animale,
una condizione a cui egli non pu sfuggire, usufruendo di quel
rapporto diverso rispetto agli altri esseri viventi nei confronti della
natura che gli garantito dall'opera congiunta dell'intelletto e delle
mani. solo in questo modo che l'uomo, anzich allontanarsi dalla
divinit, si avvicina progressivamente ad essa anche se per definizione
non potr mai raggiungere la condizione che le

Ep. ad Rom., I, 18-32.

86

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

propria. Si vedano in questa direzione sia l'elogio del serpente,


astutissimo tra tutti gli animali 4, sia il riconoscimento della
necessit del peccato stesso come tributo inevitabile pagato
dall'uomo a questo processo.
Coloro che hanno frainteso il mito - e qui Bruno torna ad
accostare come si diceva paradiso terrestre e et dell'oro - anzich
partire da una condizione di imperfezione che possedeva tuttavia in
se stessa gli elementi per un progressivo elevarsi dell'uomo, hanno
inevitabilmente creato, credendo in una originaria purezza e
perfezione, il presupposto per una mitologia costituita da enti
supremi cui dovremmo guardare sul piano dell'imitazione come a
modelli raggiungibili nella loro stessa elevatezza, pura
immaginazione esposta come tale per definizione al rischio
dell'impostura e dell'inganno.
In altri termini, si partiti da un ideale di perfezione cui ci si
dovrebbe adeguare o a cui si dovrebbe tornare, ma dal momento
che esso non attingibile si finiti inevitabilmente per sfociare su un
terreno inferiore, che scade nel sensibile e nell'immaginario ed
apre le porte alla superstizione ed alla vera idolatria poich per
definizione non pu essere sostenuto da una filosofia adeguata: in
tal modo viene specificandosi nei suoi fattori la perdita della regola
morale che si era venuta costituendo attraverso il mito. Tale
fraintendimento quindi certamente un ritorno, ma un ritorno
negativo alla condizione animale di partenza, alla innocenza non
solo non meritoria propria delle origini ma ormai anche colpevole
come quella propria di coloro che hanno rinunciato spontaneamente
all'opera dell'intelletto e delle mani e credono che la somiglianza
con Dio si realizzi non attraverso un processo di sviluppo nel
tempo ma attraverso un atto di adeguamento interiore capace di
ricondurre all'origine: una innocenza che scaturisce da un regresso
ad una condizione animale che, per l'ignoranza su cui si basa, la
condizione stessa dell"asino' bruniano.
4

Dialoghi, p. 816.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

87

Che cosa significa allora tutto questo dinanzi all'afferma zione, apparentemente antitetica, per cui non sa rendersi superiore
chi non sa farsi bestia? Il discorso, ovvio da quanto finora si
detto, non pu non riguardare sia gli uomini che gli dei e
l'affermazione cade in un contesto che legittima questa
osservazione. Il problema reso pi complessoo dal fatto che in
Bruno il rifiuto dell'originaria condizione animale non significa che
l'uomo se ne allontani abbandonando la sua originaria struttura
psico-fisica bens conducendo questa alla sua piena esplicazione,
ma a ben vedere proprio quest'ultimo elemento ci potr fornire
alcune indicazioni preziose in vista di una sua soluzione.
La metamorfosi degli dei, come aspetto saliente del fato
della mutazione, racchiude la legge stessa della realt: aver preteso
di fissare la loro natura ad una identit non soggetta a
cambiamento riproduce dunque un fraintendimento che investe
l'uomo stesso.
Ma il mito specifico in questione ha anche un suo signifi cato
peculiare: facendosi bestia gli dei sono sfuggiti al vizio, alla pretesa
dei Giganti di ergersi contro di essi per sostituirli giungendo alla
loro altezza ed hanno cos garantito il parteci parsi del divino
all'uomo nell'unica forma a 'lui consentita: la mediazione della
natura. La loro metamorfosi acquista cos un senso che pu essere
definito letterale e simbolico insieme: letterale nel senso che la
divinit si comunica secondo gradi diversi ad ogni essere vivente,
simbolico in quanto non il singolo animale come tale doveva
essere ritenuto divino ma al contrario esso andava considerato come
semplice ricetto, e ricetto efficace in quanto utilizzabile attraverso il
rito magico, della divinit. Di qui lo scambio tra valore simbolico e
valore letterale del mito. Ma si noti che si creato in tal modo
un preciso parallelismo tra la presunta decadenza dell'uomo a li vello animale, storicamente contrassegnata dallo sviluppo dell'i dolatria, e la conversione degli dei stessi in bestia dando un
significato positivo ad entrambi questi processi. L'abbassarsi

88

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

degli dei viene cos a coincidere con l'abbassarsi dell'uomo nei


confronti di ogni parte della natura, anche la pi umile, attra verso
l'idolatria, ma il significato autentico di tutto questo va visto
ancora una volta nell'incontro genuino, propiziato dal rito magico,
tra umano e divino. La divinit che si fa `bestia', che si contrae
nelle singole parti della natura quella di cui pu usufruire l'uomo
una volta che abbia compreso come essa non possa nella sua
assolutezza, scissa dal mondo umano, comunicare con lui: assistiamo
ad una sorta di autolimitazione da parte della divinit, alla rinuncia
a pretese impossibili da parte dell'uomo chiamato a chinarsi
umilmente su ci che solo pu costituire da tramite tra lui e quanto
lo sovrasta. In tal modo la consapevolezza teorica che stava dietro
alle concezioni antiche riconducibili alla formula del deus sive natura
pu essere recuperata e difesa con le conseguenze pratiche, magiche
che essa comportava.
A questo punto, tuttavia, il `farsi bestia per divenire superiori'
ha acquistato un significato ed un interesse decisivi poich esso
costituisce la premessa per comprendere come si configuri nel suo
momento saliente l'impostura stessa del Cristo, secondo passaggi
successivi che sar ora necessario ripercorrere nella loro integralit.
La divinit riesce a cacciare l'uomo facendone la sua preda (si
ricordi che Orione viene presentato come colui che sottrae agli dei
la loro caccia) solo rendendosi preda essa stessa, tramutando la sua
attivit in passivit, ma il processo pu essere immediatamente
rovesciato facendo coincidere esattamente i termini nell'uomo: questi
l'essere che imprigiona la forza del divino cos come venuta
limitandosi nel mondo vivente attraverso determinate tecniche
poich sa che la suprema, absoluta unit del divino si contratta nelle
forme della natura vivente, ma in tal modo egli stesso da cacciatore
della divinit si rende preda di essa realizzando cos compiutamente
il fine a cui questa mirava.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

89

La metamorfosi degli dei, qui, non altro allora che la


consapevolezza acquisita dall'uomo per cui il canale mediatore tra
s e il divino non pu essere costituito che dalla natura (non
per nulla Bruno parla della magia in termini di rivela zione ed
degno di nota che la partecipazione ad essa coin volga il lume
intellettuale dell'uomo) mentre il farsi bestia, l'essere preda della
divinit da parte dell'uomo viene a coincidere esattamente con
quell'abbassarsi degli dei che in realt la forma in cui si realizza la
loro superiorit ed il loro governo su di noi.
Si accennava al fatto che l'esatta comprensione della necessit di
farsi bestia per divenire superiori coincide con il chiari mento stesso
dell'impostura operata dal Cristo, ma a tal fine risulta decisivo
chiarire il significato del `sigillo della divina contrazione' non solo
sul piano civile e su quello della reli gione magica della natura ma
su quello contemplativo. In questa direzione pu essere utile rifarsi
al significato tecnico del termine contractio, cos come era stato
delineato nel corso del Sigillus sigillorum, per cogliere lo stretto
parallelismo esistente tra processo conoscitivo ed agire magico e
per risalire a quel terzo pi alto livello che ci deve dischiudere la
possibilit del confronto stesso tra Bruno e il Cristo. Il valore
conoscitivo della contractio in effetti inscindibile dal
riconoscimento dei modi in cui il divino si partecipa al cosmo,
non o che la conseguenza che pu venir tratta da questo
riconoscimento e nel Bruno, in modo estremamente consapevole,
agire magico ed ampliamento della portata della nostra conoscenza
vengono a coincidere, se non nelle loro procedure, nella premessa
teorica che li rende possibili. Sia la magia che la realizzazione di
`arti universali' si identificano con la consapevolezza che il processo
del comunicarsi del divino al tutto pu essere invertito, risa-'
lendo dalla dispersione di esso nelle cose attraverso i gradi
intermedi sino a quell'unit fontale da cui emana tale partecipa zione,
per utilizzarne le possibilit che vengono ad offrirsi tanto sul piano
operativo quanto su quello conoscitivo, se-

90

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

condo una collocazione dell'uomo nel cosmo che ne fa, nei limiti
accennati, un punto dotato di decisione autonoma nella
catena dell'essere. Si presti attenzione tuttavia ad un aspetto
essenziale, al fatto che il `contrarsi' della divinit indica un suo
raccogliersi e limitarsi in punti isolati che coincide con una sua
ideale dispersione, mentre la contrazione attuata dall'uomo con
siste precisamente nell'invertire questo processo.
Da questo punto di vista appare particolarmente significa
tivo un testo presente nel Sigillus sigillorum:
Contractio deinde nihilominus conducere intelligatur; ab hac
enim multitudinis, contrarietatis uniformitatisque essentiarum omnium
notitia, velut a vestigiis et impressionibus, exoritur; per diversas enim
ipsarum in materiae gremio figurationes contrahuntur, diviniore
substantia in densam obscuramque corpoream commigrante, seque
quodammodo finibus eiusdem adstringente. Si enim per concretionem
intelligibile unum et verum ad nos descendit, quemadmodum
necessarium est nos ad ipsum per abstractionem ascendere. Id quidem
tentamus, cum infinita individua in species, innumerabiles species in plurima genera media, haecque in determinata decem vel duodecim, et ipsa
in unum analogum supremum omnium colligimus, ut per ipsas
intentiones quasi oppositam contractionem prosequentes, esse multiplex
et infinitum particulare in esse specifico et genericum, et hoc ad esse in
genere maxime universali, idgJe ad esse simpliciter sive essentiam
contrahamus, sicut posterius in prius, effectus in causas, has partiales in
communes, illasque proximas et immediatas ad remotiores atque mediatas, easque secundas ad primas, ipsasque plures ad unam. Duplici ergo
existente contractione: altera, qua absoluta forma fit huius illiusque in
hoc et in illo forma, sicut lux, quae est primo velut in se ipsa, postea
progressu quodam huius efficitur atque illius, in hoc et in illo
lumen (dum tamen de sua substantia nihil emittat et a propria
integritate non deficiat); altera contractio est, qua inferior natura per
quamdam assensus et obedientiae habitudinem, tum naturali tum
notionali adpulsu et multitudo particeps colligitur, et multa participantia
colligit in unum: Prima contractio est, qua per essentiam infi

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

91

nita et absoluta forma finitur ad hanc et ad illam materiam; secunda est,


qua per numerum infinita et indeterminata materia ad hanc illamque
formam terminatur s.
Se ci si rif alla trattazione dei diversi tipi di contrazione
presente nel Sigillus, trattazione che Bruno riprendeva da Fi cino 6 e
che trover largo spazio nelle opere dedicate alla magia, ci dato di
raccogliere qualche altro elemento utile ai fini della nostra ricerca. A
differenza del discorso riguardante il culto magico della natura, qui
ci si muove evidentemente al livello astorico ed intemporale della
contemplazione individuale, per la quale il discrimine tra la buona e
la cattiva contrazione dato fondamentalmente dal funzionamento
delle facolt intermedie, da cui non possibile prescindere nella
conoscenza e che sono chiamate a regolare le facolt pi alte in
forme tali che l'immaginazione venga a dirigerle senza creare il
rischio che si formi quell'universo illusorio proprio del mondo asi nino: pretendere da tali facolt intermedie, di fatto se non a parole,
un immediato contatto con il divino precisamente l'errore che
Bruno ha denunciato lungo tutto l'arco dello Spaccio. E la
consapevolezza di tale errore che definisce tra l'altro la
contemplazione del filosofo, che si presenta come atto di stinto sia
dalla vita civile che dall'instaurarsi del culto magico della natura,
pur nell'identit della struttura teorica sottesa a tutti questi momenti.
attraverso le facolt intermedie che si decide dunque del tipo di
fides cui andiamo incontro e la possibilit di realizzare o meno la
forma pi alta di contemplazione, quel contatto con il divino che
appunto il sigillo della buona contrazione e sche permette all'uomo
di farsi ricetto della divinit nella forma pi alta a lui consentita. In
caso contrario egli rischia di cadere vittima, tra l'altro, dell'illusione
del 'collo

' Opp. lat. II, II, pp. 213-4.


6

Bruno attingeva, come noto, al l. 13 della Theologia platonica.

92

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

quio', per usare l'espressione bruniana, con divinit puramente


immaginarie, illusione che si tramuta in realt nel disporsi ad
essere preda e vittima di potenze demoniche. Attraverso l'individuazione del corretto concetto di f des ci siamo d'altra parte posti
sulla via che ci porter ad intendere con maggior preci sione quel
rapporto tra razionalismo ed esoterismo presente nell'opera a cui
pi volte si accennato.
Riassumendo, alla contractio della divinit corrisponde quella
opposita dell'uomo i cui due tipi fondamentali sono riconducibili
alla distinzione tra i due estremi, contrapposti tipi di malinconia 1 - la
malinconia deteriore implica appunto il rischio dell'ispirazione
demonica - mentre il ruolo centrale svolto dalle facolt intermedie
non esclude ma implica al contrario, come fattore primario di
successo, una consapevolezza di natura intellettuale che presieda
dall'inizio come regolatrice dei processi della conoscenza. Per questa
via non sorprende che nel Sigillus gi compaia il nocciolo della
critica del Bruno alla Riforma: in quest'opera che egli parla della
necessit di una regulata fides e pu contrapporre polemicamente
l'agere al puro pati sul terreno religioso nel processo della
conoscenza.
dunque la nostra consapevolezza intellettuale che deve
disporre di ci che originariamente passivo nella nostra conoscenza,
in altri termini l'errore che viene qui sottolineato implica la
possibilit della ricaduta in una condizione animale puramente
negativa come quella che ci dispone ad essere preda e non padroni dei
fantasmi della nostra immaginazione mentre il `farsi bestia'
dell'uomo destinato a condurci ai livelli supremi della
conoscenza solo se il momento che al limite tra sensibile ed
intelligibile venga disposto nelle forme adeguate, conosca cio una
passivit che essendo stata guidata da noi conservi e trasmetta alla
conoscenza dei dati reali e non illu

Cfr. su questo punto R. KLIBANSKY, E. PANOFSKY, F. SAXL, Saturn


London 1964, parte I, cap. 1 (trad. it. Torino 1983).

Melancholy,

and

93

sori. La relazione inscindibile tra momento attivo e momento


passivo tipica della riflessione bruniana ad ogni livello si riproduce
qui pi che mai non solo al termine del processo ma nel momento
stesso in cui esso si avvia come condizione della sua correttezza,
mentre la contractio appare gi qui, nel suo duplice esito, come la
forma di metamorfosi per eccellenza. Il rapporto tra culto magico e
contemplazione giustificato metafisicamente da un raccogliersi,
un concentrarsi destinato a dare un superiore potere sebbene in
due direzioni opposte (l'azione magica implica sempre un
determinato livello della scala dell'essere a cui essa si eleva, per
riflettere in una sfera inferiore, in misura proporzionale all'altezza
raggiunta ed alla unificazione realizzata, la possibilit di agire
ricevuta) ma in entrambi i casi si ha un convertirsi di quello che
potremmo chiamare il momento della caccia in quello dell'essere
cacciato, conversione attraverso la quale azione dell'uomo e
azione della divinit vengono coincidendo proprio per
l'impossibilit di scindere momento dell'agere e momento del pati.
Ora sono proprio questi due momenti che sono destinati a riprodursi
in un modo falso ed ingannatorio nell'opera del Cristo, che da un
lato riesce a sostituire al culto della natura il culto di se stesso
ponendosi come oggetto di caccia per gli altri uomini, dall'altro
ottiene questo scopo occupando le loro menti con timori immaginari che dovrebbero tramutarsi secondo la sua promessa
nella fonte di una salvezza in realt completamente illusoria: alla
falsa contrazione e metamorfosi di una pretesa divinit che si sarebbe
incarnata e tornerebbe a scendere tra noi corrispon der quella
altrettanto falsa di chi lo riceve illudendosi di trasformarsi in lui.
Anche qui torna il problema supremo rappresentato dalla
possibilit dell'incontro e della mediazione tra umano e divino, ma
ormai Bruno mira a quello che per lui il cuore stesso del
cristianesimo.

VIII
Gi si avuta occasione di osservare che il discorso sul Cristo,
sporadicamente presentatosi in precedenza, si dispiegava ormai con
chiarezza nelle pagine in cui l'Ozio rivendicava per s la
collocazione celeste assegnata alla Sollecitudine, pagine che
acquistano la loro importanza non solo, come si visto, per la
centralit della discussione che esse introducevano sul tema del
rapporto tra virt e fortuna ma anche perch chiamano in causa
un altro tema, di carattere esplicitamente religioso.
Sollecitudine e fatica - afferma l'Ozio - hanno perturbato i secoli
e messo in scisma il mondo conducendolo dall'et dell'oro all'et
`ferrigna e lutosa e argillosa' di oggi a causa di un meccanismo che
ha posto i popoli `in ruota e vertigine e precipizio' per averli
sollevati nella superbia e nell'amore di novit, e a causa della brama
sconsiderata di gloria e di onore di un solo `particolare' I. Costui,
simile ad ogni altro per natura, inferiore talora a tutti per dignit
e merito, superiore a molti per la sua 'malignitade', riuscito a
ribaltare le leggi di natura e a trasformare in obbligo e legge
quello che aveva appunto avuto origine solo dal suo desiderio
smodato di onore e di gloria. Ne risultato che questa follia ha
asservito a se stessa `mille querele, mille orgogli, mille ingegni, mille
sollecitudini, mille di ciascuno de gli altri compagni, con gli quali
cossi boriosa passata la Fatica' per tacere dei vizi che si sono occultati
sotto tali compagni: l'astuzia, l'inganno ('fizione'), la
I

Dialoghi, p. 726.

Confronta ora sul tema della fortuna

G. STABILE, L a ruota della

fortuna: tempo ciclico e ricorso storico, in Scienze credenze occulte livelli di cultura,
Firenze 1982, pp. 477-503.

96

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

vanagloria la violenza la malizia e soprattutto dolore tormento timore


e morte, mai frutti dell'ozio ma sempre risultato dell'industria e fatica
umane, cui sino ad allora gli dei avevano impedito di passare: una
notazione, quest'ultima, degna di essere sottolineata poich isola
una delle funzioni, non la meno importante, tra quelle proprie degli
dei 2.
A ben vedere ognuno degli elementi polemici di questo testo
destinato ad essere successivamente ripreso nell'opera, ma a noi
conviene ora sottolineare come essenziale il riferimento al Cristo
secondo due degli aspetti, d'altra parte tra loro collegati, che qui sono
stati messi in rilievo: quello per cui egli viene presentato come
sovvertitore della legge di natura e quello per cui egli fonte di
tormento timore e morte per gli uomini. Non per nulla saranno i
due aspetti centrali della figura del Cristo su cui Bruno far leva
per elaborare in contrapposizione ad essi i caratteri stessi della sua
figura e del suo ruolo.
Questa pagina viene in effetti a preludere alla presentazione
del Cristo-Orione come impostore ed andr chiarito perch sulla
base di tali attributi egli debba lasciare la sua sede celeste per
tornare in terra sia pure in condizione tale da non poter pi
nuocere ed ingannare mentre al contrario Chirone, il centauro che era
stato ferito da Ercole di ferita immedicabile 3 e che solo grazie al
sacrificio di un uomo poteva tornare alla sua condizione di
mortale, anch'egli come noto associato al Cristo, resti in cielo
continuando ad espletarvi la sua funzione di sacerdote.
In realt le accuse al Cristo debbono essere associate da un lato al
carattere fittizio del cristianesimo inteso come nutrimento
spirituale quale era stato presentato dal suo fondatore ('procuratevi
l'alimento che dura nella vita eterna e che il figlio

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

dell'Uomo vi dar') 4, dall'altro devono servire ad individuare le


cause per cui stato possibile che si realizzasse il secondo aspetto della
sua opera ed egli divenisse per gli uomini fonte di terrore. Ci che
Giove ritratter alla fine dello Spaccio a proposito di Chirone
('Abbia detto io medesimo contro Chirone qualsivoglia
proposito, al presente io mi ritratto') 5 non pu evidentemente
rimettere in discussione il rifiuto del messaggio evangelico e della
divinit del Cristo, rifiuto ribadito a chiare lettere addirittura nella
pagina precedente, ma servir a sottolineare l'assoluta
indispensabilit di un sacerdote che presenta d'altra parte, ad onta
della sua `necessit', caratteristiche tutte proprie e particolari. In
effetti, egli solo, in cielo, ed ha sempre a sua disposizione, come
Centauro, la bestia che gli permetta di effettuare i suoi sacrifici;
da un lato non sembra interferire con una pi alta sfera religiosa
(Giove ha appena ribadito rispondendo a Momo che la duplice
natura del Cristo non solo non ha a che fare con la
comprensione umana ma non rilevante per essa), dall'altro si
ricongiunge a tutte le altre, pochissime figure che restano in cielo
ma qui il cielo, il regno dei cieli in cui esse permangono, sembra
coincidere, in accordo con altre espressioni dell'opera, con un
regno fittizio, il regno stesso dell'immaginazione su cui domina quel
'necessarissimo' sacerdote e che dovrebbe appartenere appunto agli
`asini' bruniani come loro dominio incontrastato.

2 Dialoghi, p. 727.

97

Cfr. l'adagio Chironium vulnus in LB II, col. 643 E.


4
5

Gv, VI, 27.


Dialoghi, p. 825.

IX
In effetti Orione, il gigante che ha combattuto gli dei ed
stato ucciso da Diana, invidiosa di lui perch suo emulo nella
caccia, colui che ha inculcato il disprezzo per le leggi naturali, che ha
separato tra loro divinit e natura insegnando che la `giustizia'
dell'una non solo non `concorre' con quella dell'altra ma le opposta,
che ci che eccellente per la ragione umana quanto di pi basso e
vile possa esserci agli occhi della divinit, che questa non madre di
tutti gli uomini ma solo di coloro che siano `greci' o sappiano farsi
`greci', che filosofia contemplazione e magia sono pazzie, gli atti
eroici atti di vigliaccheria e l'ignoranza la pi bella scienza, ed
riuscito a far credere tutto ci grazie ai suoi prodigi'. Una
caratterizzazione del messaggio evangelico, questa, che sembra
risentire dell'interpretazione paolina, ma credo che sia essenziale
sottolineare ora un altro aspetto. Se in negativo dato qui cogliere
il nucleo profondo della filosofia nolana (oltre che
comprendere meglio l'inserzione della lex quale elemento
costitutivo della religione, almeno nella forma che si vista)
sarebbe poi molto probabilmente errato rilevare, come accaduto
tante volte, solo l'aspetto teorico di quanto viene qui denunciato,
poich ci che interessa di pi al Bruno in questo contesto il fatto
che tali concezioni, come ormai l'opera ha gi dimostrato, hanno
profonde conseguenze sulla vita civile e non possono essere
considerate al di fuori degli effetti che producono su di essa. Si tratta,
in altri termini, di un insegnamento radicalmente sovvertitore nei
confronti del vivere civile (si pensi solo alla contrapposizione
tra le due `giustizie') e che quindi va estirpato.
1 Dialoghi,

pp. 803-4.

100

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Ora, se l'invito di Momo agli dei a far scendere in terra


Orione per dare ad intendere tutte le vacuit di cui si detto
anche occasione per sintetizzare e rifiutare il messaggio del Cristo (la
cosa sembra avere tuttavia un significato meno immediato), l'ipotesi
viene poi prospettata come uno dei mezzi cui gli dei potrebbero
ricorrere per riacquistare il credito perduto ma viene subito
abbandonata per il rischio che porterebbe con s: 1 rischio in altri
termini che Orione tenga alla fine per s la preda della sua caccia,
che coincide con la preda stessa a cui mirano gli dei e cio gli
uomini, poich egli potrebbe far credere di essere il solo vero
Giove e che tutte le altre divinit siano in realt solo chimere e
fantasie. Si noti che qui, come in altri luoghi - si pensi alla discesa dei
Pesci - il discorso si svolge al presente per rispettare il carattere di
svolta cruciale ma ancora in fieri e non decisa del momento
eccezionale che si sta vivendo, e tuttavia vi qualcosa di pi, destinato
a venire alla luce con chiarezza nel dialogo tra Giunone e Momo:
la situazione su cui si delibera anche di fatto qualcosa che ha
avuto uno sviluppo storico ed in rapporto ad esso che occorre
prendere decisioni che siano valide sul piano del presente. Il tutto
forse pu essere ricondotto alla ricerca del ruolo che pu
conservare o meno il cristianesimo nel momento in cui il
rapporto e la mediazione tra umano e divino si apprestano a
ricevere un chiarimento decisivo su base filosofica nei loro momenti
essenziali.
Gli dei, in ogni caso - si afferma in questo testo - non hanno
bisogno di mendicare il loro prestigio e la loro autorit presso gli
uomini con i poveri mezzi di cui si parlato e, soprattutto, non
pensabile che la reputazione dell'impostore, basata sull'ignoranza
altrui, possa essere fonte di onore per lui anzich conferma del suo
sommo vituperio.
Chi, secondo una situazione esattamente antitetica, sa comportarsi in modo giusto e buono pur non essendo visto da
nessuno, si rende certo caro alla divinit, ma se all'opposto
qualcuno riuscisse ad essere creduto dio anche da tutti i mortali
LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

101

finirebbe per rappresentare solo uno strumento nelle mani del fato al
fine di mostrare la somma vergogna ed ignominia di tutti coloro
che sono caduti nel suo inganno, vergogna ed ignominia

proporzionali alla sua vilt ed ambizione. Bruno ha gi rifiutato,


come si visto, il soli Deo gloria . tipico della Riforma ma soltanto
qui, dopo aver mostrato l'impostura del Cristo, che egli potr
rovesciare quello che uno dei cardini del messaggio evangelico,
collegando ormai la pretesa gloria del Messia all'opera di quei
`ministri' nemici del genere umano che l'hanno accompagnata, quelle
potenze occulte di cui aveva indicato che occorreva guardarsene non
meno che da quelle palesi nel momento stesso di provvedere alla vita
civile. Si ricordino le parole di Ges nel testo giovanneo: .... se
Dio stato glorificato in Lui, Dio a sua volta lo glorificher in se
stesso... Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi
hai dato da compiere;, adesso, Padre, glorificami tu dinnanzi a te
con la gloria che avevo presso di Te prima che il mondo
esistesse e ancora, alla vigilia della Passione: Padre, l'ora
arrivata. Glorifica il tuo figlio perch il Figlio glorifichi
Te 2
Al contrario per il Bruno mai Orione sar onorato in Giove
n Giove sar disprezzato in lui, ch solo `in maschera ed in
incognito' ottiene quel posto mentre vero come si visto che
per sua causa altri saranno `vituperati' in lui. Il rapporto dunque
tra il Cristo e gli dei veri sebbene non asso luti con cui abbiamo a
che fare non pu non riguardare che il piano dell'impostura (si
noti che per definizione quest'ultima non pu attingere il livello
pi alto della divinit e del fato, da cui anzi anch'essa in ultima
analisi dipende) ma coinvolge direttamente coloro che ne sono
stati vittime secondo un aspetto di necessit.
`Mascherato' ed `incognito': sono a ben vedere le due
condizioni essenziali (prima ancora di quella dei miracoli) per
.

Gv, 13,31/2; 17,1/4.

102

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

ch si realizzasse con la sua impostura l'inganno e la vergogna


degli altri uomini, e viene rovesciato in tal modo il significato
tradizionale assegnato alle ragioni del disvelarsi progressivo e calcolato
della missione del Cristo, dettato dalle condizioni di necessit
entro cui si trov ad agire. Ove il `mascherato' indica qualcosa che
egli sovrappone alla sua reale identit, 1"incognito' qualcosa di essa
che egli cela (e forse i due concetti trovano una sintesi in espressioni
evangeliche come quella `non dite che sono il Messia') ma andr
dato rilievo esatto all'affermazione successiva e collegata alla
prima, per cui egli, con il.ministerio di genii nemici, di quei demoni
senza i quali, come gli fu rimproverato sin dall'inizio, non poteva
operare nulla, si imposto come beffa e scimmia di ciechi mortali.
Scimmia dei mortali in quanto si mascherato, loro beffa in quanto
riuscito a tenerlo nascosto e ad ingannarli. Negli Adagia, Era
smo parla di simia fucata': velut si quis turpem caussam, orationis
phaleris adornet, ut honesta videatur e altrove pone a confronto

minime congruentes:
Simia dolis valet, Hercules viribus antecellit 4 ma maggiore interesse
riveste per noi l'adagio Simia in purpura: In varios usus potest
adhiberi paroemia, nempe vel in hos, qui tametsi magnifico cultu
sunt ornati, tamen cuiusmodi sint, ex ipso vultu moribusque
cognoscitur: vel in hos quibus dignitas indecora additur... Quid enim
tam ridiculum quam simia vestita purpurea veste? Atque id tamen
non raro fieri videmus... ut... parum attentos, aut imperitos fallant,
proque homine salutetur simia . Ci che pi importa quel dolis
associato proverbialmente alla scimmia (in un altro testo il Bruno
parler di 'scimie e gattimammoni', ritornando sul costante
collegamento da lui istituito tra il Cristo e il vano timore della morte)
Ercole e la scimmia come

6.

a Simia fucata, in LB, II, col. 897 E.


Hercules et simia, in LB, II, col. 830 A. s
Simia in purpura, in LB, II, col. 264 F. 6
Dialoghi, p. 817.
4

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

103

Orione dovr cos scendere sulla terra avendo perduto tutte


quelle virt che gli hanno permesso di essere impostore, di
essere cio un uomo capace di minare le basi della convi venza
civile e di mettere a subbuglio il mondo dal momento che, come
ricorda il Bruno, quest'ultimo soggetto ad essere facilmente
ingannato ed anche naturalmente incline a ogni forma di pazzia e di
corruzione. Al posto di Orione, cos come era stato preparato
lungo tutto l'arco del dialogo ed in particolare attraverso la figura
di Ercole, sale l'arte militare, l'esercizio bellico capace di ridurre alla
vita civile i `barbari' e di annullarne le leggi inumane e
`porcine'.
D'altra parte occorre tenere presente che il Cristo, gi
caratterizzato come cacciatore, ha potuto avere successo quale
impostore non soltanto perch si affermato come mago con i
miracoli ma anche, lo si appena visto, perch si fatto credere
non solo figlio di dio ma superiore agli dei tutti.
Come si realizzato in concreto quest'ultimo evento per il
Bruno, che vede in Orione colui che `cacciando' gli uomini come
proprio dell'impostura ha sottratto in tal modo agli dei la loro
preda? Ancora: la discesa del Cristo in terra una completa.
abdicazione, un ritorno che gli toglie qualsiasi funzione, come
sembrerebbe verosimile arguire dal momento che il danno primo da lui
prodotto riguarda la convivenza civile e che ci che prende il suo
posto destinato a ristabilirne le condizioni imprescindibili, oppure
si apre per lui un ruolo del tutto nuovo ed inedito?
Quanto al primo punto, occorrer tenere presente l'adesione
del Bruno alle accuse che gi emergevano contro di lui nei testi
evangelici da parte dei suoi oppositori: quelle di essere un ingannatore,
un dominatore di demoni perch egli stesso posseduto dal
demonio, accuse, in particolare quest'ultima, che trovano larga eco
nel Nolano. Esse debbono tuttavia essere completate mediante la
considerazione della consapevolezza dei poteri magici del Cristo,
cos come possibile coglierla attraverso altre sue opere: il Cristo
colui che sa che senza la

104

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

fides - lo ammettevano anche i teologi, ricorda il Bruno nel De magia 7

-non possibile guarire, onde non poteva operare in patria i suoi


prodigi; colui che si raccolse nella solitudine del deserto, secondo
uno dei tipi classici di contractio, e l fu tentato dal demonio, un
momento della vita del Messia che poteva ricevere da parte del
Bruno una interpretazione non solo negativa ma radicalmente
`naturalistica'; colui che conosceva astrologicamente la virt dei
luoghi, dei tempi, delle ore (`la mia ora non ancora giunta'); che
sceglieva i suoi seguaci secondo la virt di numeri precisi. Il Cristo
dunque un mago perito agli occhi del Bruno nella sua azione ma la
sua stessa nascita, non solo il suo operato, pu essere collegata
ad un destino eccezionale, sia pure al di fuori degli schemi della
tradizione, oltre che all'intervento, ancora una volta, di potenze
demoniache. Inoltre colui che ottiene i suoi fini (l"eco nomia' dei
Vangeli) celandosi ai suoi discepoli ed agli altri ed in questo modo ci
avviamo a cogliere l'aspetto per cos dire lucreziano del Cristo
bruniano giungendo al cuore stesso dell'impostura: egli raggiunge
i suoi risultati sovvertendo la legge di natura e prospettandosi
come fonte di timore, soprattutto come fonte del timore della
morte. Per questa via l'immagine tradizionale del Cristo, per cui egli
morendo, assumendo su di s la condizione degli uomini
condannati al peccato ed alla morte sconfigge quest'ultima
liberandoli da essa e ridonando loro la vita, destinata a subire un
rovesciamento radicale. Il timore scaturisce dall'ignoranza e
quest'ultima ha la sua radice nell'immaginazione, nell'incapacit di
dominare i fantasmi della nostra mente secondo l'intervento di
facolt pi elevate, ed in ci risiede la radice prima dell'inganno.
Qui la polemica antireligiosa di Lucrezio destinata ad essere
ripresa per fondersi con motivi nuovi, di origine diversa, in un
modo che finir per lambire la stessa raffigurazione del

Opp. lat., III, p . 4 53 .

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

105

Cristo come Centauro, legittimando un ambito inferiore della


religione che definito dal suo stesso carattere puramente
interiore, nel senso che un'etica che pretenda di realizzarsi solo a
questo livello si rivela organicamente connessa per il Bruno con
un grado conoscitivo che non supera le facolt intermedie legate
appunto all'immaginazione.
Il `regno di Dio' di Lutero e di Calvino destinato a
ricevere cos una sua particolarissima legittimazione, ad essere
accettato come radicalmente subordinato rispetto ad un grado
superiore di conoscenza, decidendo solo su questa base le conseguenze
politiche che potevano esserne tratte. Ma riprendiamo intanto il
nostro discorso a partire dalla nascita del Cristo.

Cristo ha fatto credere di essere dio e fi glio di di o e dunque si


dovuta dare una spiegazione della sua origine
eccezionale. Quali sono i termini in cui Bruno giudica la fi lia zione
divina del Cristo cos come era stata presentata secondo
l'ortodossia? Al momento di decidere della sorte della costella zione
dei Pesci, Venere, qui evocata insieme con Cupido suo
fi glio, chiede per loro un riguardo di tipo particolare da parte degli
dei. Si ricordi che essa, oltre che dea della generazione,
nata dal mare e soprattutto va sottolineato il fatto che nella lotta
contro i Giganti avesse salvato se stessa e Cupido rifugian
dosi in Egitto dopo aver assunto le fattezze di pesce.
Scrive dunque il Bruno:
Or, per venire alli Pesci, si alz in piedi la bella madre di
Cupido, e disse: - Vi raccomando con tutto il mio core (per il bene
che mi volete ed amor che mi portate, o dei) li miei padrini, li
quali al lido del fiume Eufrate versro quel grand'ovo che covato
dalla colomba ischiuse la mia misericordia. - Tornino dunque l
dove erano, disse Giove; ed assai li baste di esser stati qua tanto
tempo, e che se gli confirme il privilegio che gli Siri non le possan
mangiar senza essere iscomunicati; e guardinsi che di nuovo non
vegna qualche condottiero Mercurio, che, togliendoli le ova interiori,
forme qualche metafora di nuova misericordia per sanar il mal de
gli occhi di qualche cieco; perch non voglio che Cupido apra gli
occhi, atteso che, se cieco tira tanto diritto ed impiaga tutti
quanti vuole, che pensate farrebe, se avesse gli occhi tersi? Vadino
dunque l e stiano in cervello, per quel ch'ho detto. Vedete come da per
se medesimo il Silenzio, la Taciturnitade, in forma con cui ap parve ne l'Egitto e Grecia il simulacro di Pixide, con l'indice
opposto alla bocca, va a prendere il suo loco. Or lasciatelo

108

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

passar, non gli parlate, non gli dimandate nulla. Vedete come da
quell'altro canto si spicca la Ciarla, la Garrulit, la Loquacit con
altri servi, damigelle ed assistenti I.
Il pesce, noto, simbolo comune del silenzio (si ricordi
l'adagio magis mutu quam pisces con il richiamo da parte di Erasmo
al rispetto dei Pitagorici per i pesci proprio grazie a questa loro
virt, parallela al silenzio pitagorico; si ricordino anche
espressioni come quella piscis quia mutus infacundus ac male canorus);
dunque, secondo un apparente paradosso, il silenzio sale in cielo ad
occupare la sede che gi apparteneva ai Pesci ma, se questo sembra
confermare sia pure molto genericamente la relativa dignit
attribuita alla loro figura nel prologo dell'opera, soprattutto
evidente che una spiegazione di tale fatto dovr passare attraverso
il significato del pesce come simbolo cristiano per eccellenza.
importante ricordare che gi Mercurio, nel primo dia logo
dell'opera, aveva rassicurato Sofia sul fatto che Venere e Cupido
non sarebbero pi riusciti a distrarre Giove dall'esecu zione del suo
compito, la realizzazione della giustizia, anzi era stato proprio
Giove a ricordare a Venere, nel momento in cui egli si apprestava
a riconoscere la sua colpa e a fare atto di penitenza, che il tempo
aveva lasciato i suoi segni anche sul suo bel viso, sulla sua `grazia';
con lei aveva usato l'espressione evangelica Noli me tangere nel senso
che non c'era pi posto nella sua azione per giochi, frivolezze e
lenocinii.
Fedele dunque al ruolo che ha fatto suo, Giove, dopo aver
decretato che i Pesci sono stati in cielo anche troppo a lungo,
concede alla dea che tornino in terra l da dove sono venuti e
conferma loro il privilegio di non essere mangiati dai Siri ma
chiede che facciano attenzione ('stiano in cervello') perch non
vengano sottratte, con grave rischio, le loro uova interiori. Si
tratta dunque, non occorre ricordarlo, di pesci che hanno un
carattere sacro.
2,

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

109

Ma veniamo pi direttamente al testo. Furono dunque i


Pesci, padrini di Venere (inutile ricordare l'accostamento in campo
cristiano tra questo termine e l'evento della nascita e del
battesimo), a deporre ('cacciare' dice in un altro luogo il Bruno) 3
lungo il lido dell'Eufrate, fiume della Siria, quell'uovo che covato
da una colomba, animale sacro alla dea non meno che alla
Vergine, dischiuse la sua misericordia. All'attributo della grazia,
proprio di Venere, si aggiunto quello, sempre aderente alla
Vergine ma in contrasto con la natura di Cupido, della misericordia,
mentre non forse inutile ricordare che nella Dea Siria di Luciano si
afferma che non lontano dall'Eufrate sorgeva una citt sacra e che i
Siri, popolo proverbiale per la loro rusticana simplicitas (l'espressione
di Erasmo), 'tengono i pesci per cosa sacra, e non ne toccan
giammai. Si cibano di tutti gli altri uccelli fuori della colomba, la
quale per essi sacra; e sembra ch'essi ci facciano per cagione di
Semiramide e di Derceto, perch Derceto fu trasformata in pesce,
e Semiramide fini in una colomba''.
evidente che qui l'attributo di dea della generazione e
dell'amore proprio di Venere si sommato a quello non casuale
della sua misericordia, ed in effetti l'accento ben lontano dal
ritrovare l'eco della lucreziana voluptas. Occorre fare molta
attenzione - dice Giove, e ci ricorda l'avvertimento posto in
bocca a Momo a proposito di un ipotetico ritorno in terra di
Orione che non si produca il rischio, un rischio, si badi bene,
presentato ancora una volta come attuale, di veder comparire
qualche nuovo condottiero Mercurio che sottraendo ai pesci le
uova interiori sia in grado di formulare qualche inedita `metafora'
della misericordia divina, poich questo nuovo messaggero
potrebbe fare ci che fece l'angelo Raffaele con Tobia, ridare cio
la vista a Cupido facendo si che i suoi
3 Dialoghi, p. 600.

1
2

a Le opere di Luciano volgarizzate da Guglielmo Manzi, vol. VI, Capolago 1836, pp. 117-9.

Dialoghi, pp. 801-2.

Magis mutus quam pisces, in

LB, II,

col. 24 D.

110

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

strali colpiscano ancora di pi, come se non bastassero quelli con


cui gi adesso, pur essendo cieco e bendato, trafigge i mortali.
Dunque non solo Venere non ha pi la grazia di un tempo ma
c' il pericolo che, dando un nuovo significato alla miseri cordia di
cui stata largitrice, non si producano sventure per il genere umano
attraverso l'intervento di qualche nuovo Mercu rio, condottiero e
cio capace di porsi a capo di nuove sette, che ne risani il figlio.
Il beneficio che si prodotto un tempo grazie ai Pesci rischia
dunque di essere annullato e divenire pericoloso, ma questo fatto
sembra gettare un'ombra gi su quel primo `dischiudersi' della
misericordia e sulla forza di quell'amore, se come sembra indubbio
i termini cui si riferisce il discorso sono da un lato l'espandersi
originario del messaggio del Cristo e dall'altro l'attuale prodursi
della Riforma come veicolo di `nuove metafore', in altri termini
come sedicente autentica depositaria del significato di quella nascita.
Ma veniamo al parallelo con l'episodio biblico del libro di
Tobia, evocato nel testo, che dovrebbe fornirci qualche ulte riore
indicazione in merito.
Nel suo viaggio verso la Media, accompagnato da un an gelo
che mantiene l'incognito sino al loro ritorno, Tobiolo si ferma
lungo le sponde del Tigri; attaccato da un grande pesce, riceve da
parte dell'angelo il consiglio di catturarlo e di but tarne via le
viscere ma di conservare il cuore il fegato ed il fiele. Con il
cuore ed il fegato sar possibile fare dei suffimigi dinanzi ad
uomini e donne tormentati dal demonio o da uno spirito maligno
ed essi ne verranno liberati per sempre; con il fiele sar possibile
restituire la vista ai ciechi. Una volta tornato a Ninive, Tobiolo
segue le istruzioni dell'angelo, cosparge di fiele gli occhi malati
del padre Tobia, colpiti da macchie bianche, ed in tal modo gli
ridona la vista. Raffaele, il Raphael medicus di cui
Gombrich s ci ha illustrato il significato allego
' ERNST H. GOMBRICH, Tobiolo e l'angelo in Immagini simboliche. Studi sull'arte del
Rinascimento, Torino 1978, pp. 39-45 (il saggio del 1948).

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

111

rico amplissimo che pot assumere e che pu presentarsi qui


come prefigurazione del Cristo stesso ('i ciechi vedono ecc.') ma
la cui azione sembra poter essere interpretata in modo altrettanto
fedele come medico-magica, riveler solo alla fine del loro
viaggio la sua identit, dichiarando di essere uno dei sette angeli
che stanno davanti alla gloria del Signore e di essere stato inviato
per Sua volont; inviter poi i suoi compagni a parlare di quanto
successo perch se bene tener nascosto il segreto del Re, al contrario
grande onore svelare e far conoscere la grandezza delle opere
compiute da Dio a tutti gli uomini. Il pesce qui lo strumento muto
della misericordia divina e l'angelo colui che sa quali doni
racchiude, colui che l'interpreta chiarendo l'origine ed i modi
attraverso cui tale misericordia si realizzata una volta che ha
trovato compimento con il recupero della vista da parte di Tobia.
Torniamo un attimo alla misericordia di Venere dopo aver
visto come agisce quella del Dio del Vecchio Testamento. Il
riferimento all'uovo covato dalla colomba non sembra non potersi
riferire che alla nascita e alla venuta del Cristo, nascita che
coincide con il momento supremo della misericordia divina
(l'incarnazione del Figlio) e con l'espandersi della legge dell'a more
tra gli uomini. (Da questo punto di vista sembra lecito
interpretare l'evento nel suo significato pi ampio, includendo in
esso tutto ci che ha posto le premesse per l'attesa del Messia
ed i testi che ne hanno tramandato la vita e l'insegnamento.)
Ma questa nascita non pu non avere un carattere eccezio nale.
In uno degli Adagia 6 Erasmo parla della generazione da uovo
come di un modo proverbiale di dire con cui si intendeva indicare
un parto eccezionale e fa l'esempio della nascita di Castore e
Polluce, generati da Leda e dal Cigno, sotto le cui spoglie si
celava come noto il padre stesso degli dei: Castore e

Ovo prognatus eodem, in L B , Il , co l . 491 A.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

112

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Polluce, come figli di un dio e di una donna, potevano esser


detti `nati da uovo'. Sempre negli Adagia - ma si prenda in
questo caso il riferimento con la dovuta cautela - si sottolinea il
valore dato dagli antichi al sale, il suo essere adatto alla
generazione nel caso in cui le donne se ne cibassero, senza
bisogno di normale fecondazione: per questo, ricorda Erasmo - i
poeti avrebbero fatto nascere Venere dalle acque alludendo alla
fecondit del mare, ed in genere egli sottolinea la prolificit di dei
ed animali marini. Erasmo aggiungeva tuttavia qualcosa di pi,
destinato a cadere nell'edizione espurgata che and sotto il nome
di Paolo Manuzio, nel momento in cui istituiva un legame tra
tali credenze e le cerimonie cristiane: ci che egli scrive attinto
a Plutarco e gli appare tanto pi notevole in quanto il sale
ricompare anche nei misteri cristiani, soprattutto nel battesimo, il
sacramento grazie al quale riceviamo come una seconda nascita
('renascimur') indirizzata alla nostra stessa salvezza. Per questo,
egli conclude, anche il teologo cristiano potr utilizzare ai suoi
fini quanto stato da lui detto a proposito di ci che gli antichi
affermarono del sale, ricordandone le virt che gli erano proprie 7.
difficile stabilire se tutto questo abbia qualche relazione con
la pagina bruniana: se essa sussiste, Bruno sembra allora fondere
i due concetti secondo cui nell'acqua non fosse necessa

Qui circa salem et fabam, in LB, Il, col. 31 B. Nell'edizione di Paolo


Manuzio (Firenze, Giunti, 1575) cadono appunto le seguenti
parole di Erasmo: Huiusmodi ferme de sale disseruntur apud
Plutarchum; quae quidem hoc magis libuit referre, quod in
Christianis etiam Mysteriis, praecipue baptismi, quo renascimur
ac denuo gignimur ad salutem, sal in primis admisceatur, ut ex
his, quae veteres de sale senserunt, non nihil etiam theologus
ad suum usum possit accommodare . Sulle vicende dell'edizione
del Manuzio si veda l'introduzione di Silvana Seidel Menchi alla
sua traduzione con commento di alcuni
degli adagi pn famosi: ERASMO DA ROTTERDAM, Adagia, Sei saggi politici in fo rm a d i
proverbi, Torino 1980, a cui si rinvia anche per la bibliografia.

113

ria una normale fecondazione e quindi non fosse indispensabile un


vero padre ma bastassero dei semplici `padrini' e la nascita
eccezionale di esseri umani da un uovo, nascita che in questo caso
dischiude la misericordia della madre stessa della generazione.
Stringiamo allora il parallelismo esistente tra i due primi
eventi - questo uovo deposto dai Pesci che si dischiude con le
conseguenze che sono state dette, e la guarigione miracolosa di
Tobia dalla cecit - per illuminare i caratteri di quel terzo evento
solo paventato, il recupero cio della vista da parte di Cupido.
Nei primi due casi, il pesce il veicolo muto della grazia
divina attraverso ci di cui portatore, ha bisogno cio che tra la
divinit e se stesso sussista un interprete, un mediatore in grado
di riversare sugli uomini la grazia che racchiude in s. Raphael
risana Tobia attraverso il fiele proprio del pesce e gli rid la vista,
la colomba dello Spirito Santo porta al suo di schiudersi l'uovo
che stato deposto dai Pesci lungo l'Eufrate e genera cos la
misericordia divina. possibile dunque istituire una stretta
corrispondenza tra le due prime serie: pesce, fiele, Raffaele,
guarigione di Tobia / Pesci, uovo, colomba, misericor dia divina.
facile vedere che sussiste una corrispondenza tra Raphael e lo
Spiritus simboleggiato dalla colomba cosi come tra i termini
finali delle due serie, che si scambiano tra loro il significato: in
entrambi i casi la misericordia divina, che anche Raffaele aveva
chiamato apertamente in causa quando aveva svelato la sua
identit, coincide con l'atto di ridare la vista. possibile allora
stabilire una serie parallela per il terzo evento, solo temuto, che va
questa volta dai Pesci dell'Eufrate alle uova che essi detengono ad
un nuovo Mercurio che intendendone o reinterpretandone il
significato, giunga ancora una volta a ridare la vista. I pesci
svolgono dunque sempre lo stesso ruolo; se la loro parola quella
dei profeti o quella del Cristo cos come stata riportata dagli
evangelisti, oggi come allora il senso di essa pu assumere un
significato e produrre lo stesso effetto,

114

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

ma ora a recuperare la vista sarebbe il figlio stesso di Venere, ed i


malefici risultati del suo insegnamento, una volta toltagli la benda,
sarebbero moltiplicati. Al di l dei parallelismi effettuati, se Venere
possiede gli attributi della grazia e della misericordia, se madre della
generazione e la colomba animale a lei sacro; se Cupido dio
dell'amore, possibile approfondire il rinvio della metafora
bruniana alla Vergine ed al Cristo. In effetti Cupido demone
crudele e, come ricorda ad esempio il Boc
caccio nei Genealogie deorum gentilium libri 8, sa trasformare
nell'intimo gli dei, sa farli scendere in terra colpiti da passioni
umane ed stato salvato a stento dalla crocefissione per essere portato
in cielo. Se Cupido il frutto reale dell'uovo deposto dai Pesci,
ci vuol dire che l'azione dello spiritus, del demone che lo ha
dischiuso non rimasta senza conseguenze come non lo sarebbe
quella di un demone che ispirasse a nuovi sedicenti Mercurii, usciti in
realt dalla terra, nuove metafore della misericordia cristiana. Colui
che doveva guarire i ciechi ha in realt trafitto, pur essendo bendato,
i mortali e molto pi crudele sarebbe se potesse recuperare la vista. Il
discorso del Bruno sembra cosf implicare una possibilit latente
nell'insegnamento del Cristo e che di fatto le nuove `metafore'
(espressione che di per s gi indica un atteggiamento polemico nei
confronti della claritas scripturae) hanno portato alla luce e che va
evidentemente recisa. Ma poniamo per il momento tra parentesi
l'atteggiamento proprio del Bruno nei confronti dell'interpretazione
della Scrittura. Credo che sia legittimo - se i Pesci hanno deposto
un uovo che un demone ha fecondato - richiamare una antica
dottrina che il Nolano ha evocato con ampiezza nel De monade sia
pure accettandola solo in forma dubitativa: la dottrina secondo cui,
nel momento del verificarsi di grandi

8 G. Boccaccio, Ge n e a l o g i e De o r u m G e n t i l i u m L i b r i , a cura di V. Romano,


Bari 1951, vol. II, pp. 451-4 (L. IX, c. IV, De Cupidine primo Martis filio, qui ge nu it vol upta te m) .

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

115

congiunzioni, ha luogo ad opera di demoni incubi la nascita di fondatori


di religione o `legislatori' quali Merlino Teut Romolo ed altri - aggiunge
il Bruno con trasparente ironia - che nacquero da incerti genitori 9.
D'altra parte l'associazione tra il Cristo e potenze malefiche

apparir ancora pi chiara nello sviluppo dello Spaccio, se non altro


per il carattere di 'ispiritati', di soggetti ad ispirazione demonica che
viene attribuito agli uomini della Riforma. Tutti questi elementi ci
riconducono ad un testo significativo del Sigillus sigillorum in cui,
dinanzi al miracolo del dono delle lingue, vengono espressi dei
dubbi sull'ispirazione che trasform d'un tratto alcuni Galilei
ignoranti in sommi teologi 10: l'osservazione bruniana su tale `mistero'
ci riporta al ruolo centrale che questo Spiritus, ora rivendicato dalla
Riforma, svolge lungo tutto l'arco del Nuovo Testamento, dalla
nascita del Cristo sino al configurarsi di esso come l'eredit
specifica che egli lascia ai suoi discepoli Ii
Ma torniamo ai nostri Pesci: il silenzio a cui essi sono
chiamati una volta discesi in terra e resi accorti a non lasciarsi
carpire significati che potrebbero risultare nocivi riguarda una
.

cap. V).
Et vix capio mysterium de quibusdam Galilaeis, qui
repente in summos evasere theologos, et alios manuum impositione in eamdem
sufficientiam promovebant
It Gv, 16, 7-15: Io per dico la verit: bene per voi che io parta; perch se io non
parto il Paracleto non verr da voi; se invece parto ve lo mander. Quando egli sar
venuto far riconoscere al mondo peccato, giustizia e giudi
zio: peccato nel fatto che non credono in me; giustizia nel fatto che io ritorno al Padre
e non mi vedrete pi; giudizio nel fatto che il principe di questo mondo stato
condannato '. Ho ancora molte cose da dirvi, ma non sono alla
vostra portata per ora. Quando lo Spirito di verit sar venuto vi far nota tutta la
verit perch non parler di s ma vi dir tutto quello che ascolta e vi annuncer le cose
future. Egli mi render gloria perch prender del mio e ve
lo annunzier. Tutto quello che ha il Padre mio; per questo ho detto che
prender del mio e ve lo annuncer .
9 Opp.

lat., Il, pp. 400-1 (De monade,

l o O p p l a t. , II , I l, p . 1 6 9:

116

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

moltitudine rozza simboleggiata dai Siri mentre degno di nota che


ad esso non venga contrapposto l"indegno silenzio' ma le vane
chiacchiere e ciance: il vero silenzio che sale assimilabile a quello
della solitudine e ad esso nulla deve essere domandato.
D'altra parte, contrariamente a quello che accade ad altre
figure tipiche del cristianesimo, i Pesci, con il loro legame con il
testo sacro se pur non si identificano con esso, scendono in terra, non
restano nel cielo sia pure immaginario degli asini - loro dominio
incontrastato perch senza conseguenze sul vivere civile - proprio
perch vanno sottratti alla possibilit che vengano fatti parlare in
modo nocivo: condizione primaria questa per la pace, onde non
possono non essere tenuti sotto controllo.
In ogni caso, utile ricordare che l'attributo della verginit non
riguarda mai nello Spaccio la madre del Cristo ma va riferita a
Diana, regina dei deserti e quindi simbolo di quella pi alta
contemplazione che si compie nella solitudine e nel silenzio, quel
silenzio vero che ora sale a prendere il posto dei Pesci. Ma gi la
traduzione delle `favole' cristiane in termini mitologici ci pone di
fronte ad un nuovo interrogativo, di fronte cio alla domanda se
Bruno non ritenga legittimo smantellare tali favole alla radice in
modo aperto solo di fronte a coloro che partecipano di una
condizione pi elevata rispetto a quella della moltitudine. In caso
affermativo, l'espressione allegorica che nello Spaccio il Bruno ha
dato al suo pensiero sembra provvedere costantemente, come egli
stesso rivendica nel prologo dell'opera, alla possibilit di pi chiavi di
lettura commisurate alla capacit dell'interprete e capaci di mettere in
rilievo la legittimit e prudenza del suo tentativo, e per questa
stessa ragione egli non sembra entrare in contraddizione con se
stesso quando rivendica
per s e per l'opera il fatto di aver chiamato le cose con il loro nome,
di aver guardato in faccia la realt.

XI
Solo dopo che il Bruno ha delineato quelli che sono i
caratteri della vera religione ed i tratti del Cristo-Orione pu
passare ad affrontare una serie di figure tra loro strettamente
collegate attraverso cui risulti il profilo che dovr assumere il
cristianesimo sulla base della sua vera natura, ma gi l'allegoria della
nascita del Cristo li a ricordarci che egli tenta una traduzione del
suo contenuto in termini mitologici che ne illumini il carattere
immaginario, e non solo per la ragione indicata al termine del
paragrafo precedente. Non si tratta cio soltanto di un espediente di
carattere letterario ma dell'idea pi profonda che sia possibile
ricondurre su un piano mitologico ci che da esso ha avuto
origine fissando in tal modo in maniera simbolica l'origine del
cristianesimo nel momento stesso della incomprensione del mito.
L'operazione che viene dunque compiuta appare cosf duplice:
da un lato si riducono a mito i dogmi cristiani creando un piano
omogeneo di confronto, dall'altro si falsifica ci che in essi si era
posto come verit assoluta in quanto non si era andati appunto al
di l del valore letterale dei miti stessi.
Si parlava di figure attraverso cui il Bruno viene ora analizzando
il contenuto del Cristianesimo e sembra indubbio che attraverso
quelle dell'Eridano e della Lepre egli affronti i modi specifici
attraverso cui il Cristo aveva saputo realizzare la sua unione con
gli uomini e fare di essi la sua caccia. In particolare la figura
dell'Eridano sembra rinviare alla concezione del `corpo mistico' del
Cristo di cui ciascun credente entra a far parte e viene a
costituire le membra, concezione che pu alludere tanto all'efficacia
del battesimo quanto al costituirsi della vera Chiesa, mentre il fatto
che si dica che la Lepre verr

118

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

mangiata e bevuta sia pure secondo un modo particolare che


verr insegnato dal Bruno richiama in modo pi diretto la
concezione dell'Eucarestia. Se anche l'Eridano rinvia a quest'ul tima, la distinzione tra le due figure pu porsi verosimilmente nel
senso che la prima fonda teologicamente il timore della morte
sviluppato nella seconda.
L'Eridano dunque il fiume della mitologia cui era accaduto
un destino singolare, quello di stare sia in cielo che in terra; da
questo punto di vista esso si presta in modo partico lare a
rappresentare il fons vitae, il fiume della grazia di cui godeva l'uomo
grazie ai meriti accumulati per lui dal Cristo con il suo sacrificio;
d'altra parte, Bruno sottolinea subito come esso rappresenti il
corpo ubiquo del Cristo stesso, che pu essere insieme
`personalmente e suppositalmente' sia in cielo che in terra.
L'Eridano dunque contemporaneamente in cielo ed in terra, di
pi, non solo ha raggiunto il cielo senza lasciare la terra ma ha la
propriet di essere tale sia realmente che sotto altra figura, onde si
pu estendere questo privilegio fino a farlo essere ovunque sar
'imaginato nominato chiamato riverito', secondo una progressione
del discorso non casuale dal momento che Bruno la riprende
rispettandola due volte nello stesso testo, progressione nella quale
il primo termine, 'imaginato', sembra condizionare il valore degli
altri. Tra i possibili significati del Cristo concepito come fons
vitae e fiume della grazia sembra cos affacciarsi quello con cui si
definiva l'Eridano nel primo dialogo dell'opera, come `Fiume delle
superfluitadi' 1, quale definizione ironica che sembra congiungere
la sovrabbondanza dei doni procurati dal Salvatore, la grazia inesauribile che ne promana alla illusoriet e inutilit di questi doni
stessi. Ora - ci viene detto - chi manger i pesci 'imaginati chiamati
riveriti nominati' di questo fiume sar come se non li mangiasse;
chi berr le sue acque sar come se non le bevesse (e si ricordi in
contrario l'evangelico `chi ha bevuto di quell'acqua non avr pi
sete'), chi diriger ad esso il suo
1

Dialoghi, p. 612.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

119

pensiero si ritrover il cervello vuoto. Analogamente, chi godr


della compagnia delle sue Ninfe e Nereidi rester solo come
resta solo colui che fuori di se stesso, colui, possiamo aggiungere,

che si ritrova in tale condizione per una sia pur `santa' pazzia.
La cosa assume un duplice risvolto. Da un lato per questa via
non viene arrecato danno a nessuno, a nessuno viene sot tratto
qualcosa di concreto ed il significato di questa afferma zione si
rafforza pensando al carattere immaginario di tutto il processo e in
primo luogo dell'Eridano, anzi - dice il Bruno con una notazione
che non va lasciata cadere, tanto pi che pu essere ricollegata alla
relativa positivit riconosciuta alla credenza nel peccato originale - il
fatto `non forse senza buon guadagno'. Dall'altro lato, assistiamo
qui alla ripresa esplicita del discorso sui cibi esclusivamente
spirituali ma in realt illusori di cui si nutrono in particolare gli
uomini della Riforma, senza che Bruno rinunci per questo al suo
tentativo di identificare l'autentico cibo spirituale dotato di
valore eterno ma cominciando qui a delineare il suo discorso sul
cristianesimo in una chiave nuova.
La cosa dunque non porta danno alcuno perch mangiare,
bere, `avere nel cervello' ed in propria compagnia in questo caso,
dato il carattere immaginario del tutto, non sottrae nulla agli altri
non solo sul piano del cibo ma su quello, ben pi importante,
di ci a cui chiamato ad occuparsi intellettual mente l'uomo,
mentre questa partecipazione mistica nulla toglie alla `civile
conversazione': coloro di cui si sta parlando
compiono atti vuoti di senso in cui la loro mente finisce per
alienarsi sia pure `in nome imaginazione voto reverenza'. (Le
Nereidi e le Ninfe, se esatta l'identificazione dell'Eri ano con il
corpo mistico attraverso cui si entra r a far parte del corpo della
Chiesa, possono indicare i santi e la Vergine e rinviare quindi al
loro valore di intercessori presso la divinit.) L'Eri dano dunque
tra le costellazioni cui riservato di rimanere in cielo, ma alla
condizione che gli uomini hanno decretato per lui, e cio `per
credito ed immaginazione', e con l'efficacia tutta

120

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

particolare che si vista: nulla vieta dunque che domani qualcosa


possa occuparne il posto nella stessa sede celeste, senza che si renda
necessario l'abbandono di essa da parte del nostro fiume, ed il
lettore preparato a questo punto ad attendersi l'arrivo in cielo di
qualcosa di `concreto'.
Bruno comincia dunque qui a legittimare il fatto che gli
uomini si nutrano di cibi fantastici purch siano solo prodotto di
immaginazione, e la cosa acquista un rilievo assoluto nell'economia
dell'opera in quanto ci troviamo dinanzi al tentativo di far sua la
totale estraneit del Regno di Dio rispetto a questo mondo per
darle un'applicazione del tutto inedita, destinata a sfociare in una
conclusione politica opposta rispetto a quella alimentata da chi su
altre basi asseriva tale totale estraneit. Si tratta in altri termini per
il Bruno di assicurare la sopravvivenza puramente ideale di una
costellazione di credenze a condizione che essa non sconfini nel
mondo reale degli uomini, ed il suo compito viene allora a
coincidere con la ricerca delle misure che garantiscano il
raggiungimento di questi due fini. A partire da questo punto gran
parte degli sviluppi che avr l'opera resterebbero incomprensibili
senza tener conto di questa svolta. Si tenga d'altra parte presente
che la via scelta dal Bruno sembra essere la pi idonea a debellare
quell'Avarizia in cui vedeva una delle cause principali del sorgere
delle nuove sette.
Si diceva dunque che il carattere immaginario dell'Eridano gli
consente di poter sussistere in cielo senza occupare spazio a
detrimento di altri e lo mette in condizione di poter coesistere
senza lasciare il suo posto con un'altra figura di cui, ci viene
detto, si decider solo successivamente. Dopo l'Orsa maggiore,
quell'Orsa in cui non a caso molti degli dei non hanno mai voluto
trasformarsi, ora l'Eridano a lasciar sospesa la loro decisione, ma
noi sappiamo naturalmente dalla Cabala che le sostituzioni che
avverranno in questi due casi saranno collegate tra di loro,
destinate come sono a far posto rispettivamente all'asinit in
astratto ed all'asinit in concreto. Un legame

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

121

indiretto, sia pure in questo caso per opposizione, si istituisce


dunque tra la Verit, ascesa al posto dell'Orsa minore, e l'asi nit
in astratto, che prende il posto dell'Orsa maggiore, quasi verit
riservata ad una umanit limitata ed inferiore, legame destinato
appunto ad essere sfruttato in chiave ironica nella Cabala, e
qualcosa di simile accade tra l'Eridano e l'asinit in concreto,
sebbene qui si sia piuttosto portati a pensare ad una sorta di
'coincidenza, ma tutto questo non fa che sottolineare il significato
particolare che Bruno intende dare al permanere in cielo dei due
`tipi' di asinit: ci troviamo di fronte alla traduzione
nell'economia dell'opera dell'affermazione secondo cui degli asini il
regno dei cieli 2. Nella Cabala si tratter dunque di chiarire come
asinit in astratto ed asinit in concreto en trino in relazione tra
loro, mentre qui il duplice modo di essere dell'Eridano ha
acquistato per questa via un significato preciso.
Con la figura della Lepre il discorso si sposta dall'ubiquit del
corpo del Cristo e dal fiume di grazia che ne deriva all'Eucarestia
in senso stretto, come fonte di vita eterna desti nata in apparenza a
liberare dal timore della morte ma chia mata in realt a dare il
`vero' inferno agli uomini.
Chi rincorre la Lepre, anche se, da millenni, e non casual mente, non riesce mai a raggiungerla, il cane, il cane di Orione,
quell'Orione che sembra qui sperimentare nella sua forma suprema
la caccia che egli d agli uomini in concorrenza con i veri dei
presentandosi ad essi come l'autentica loro preda. La Lepre, dice il
Bruno riprendendo ancora una volta i suggerimenti di Erasmo, non
altro che il tipo della morte. Scriveva Erasmo negli Adagia:
Leporis vitam vivere dicuntur, qui semper anxij trepidique vivunt.
Quod id animai, omnium predae expositum, ne somnum quidem capit,
nisi oculis apertis. Demosthenes in

Ibidem, p. 602.

122

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Aeschinem...: Leporis vitam vivebat, timens ac tremens, ac semper


expectans, ut vapulares 3.
Dunque ansia e trepidazione impediscono alla lepre anche di
dormire, se non ad occhi aperti, e la sua vita trascorre nel
perenne timore e tremore di essere colpita. Ma la lepre, aggiunge il
Bruno, non solo figura del timore della morte, anzi della
contemplazione della morte, ma si presenta in qualche misura
anche quale tipo della speranza e della fiducia se sperare ed avere
fiducia risultino si connessi al timore ma ad un timore che non sia
arbitrario ed ingiustificato: in tal caso, e Bruno non fa qui che
riprendere nuclei concettuali certo non originali, noi pos siamo
constatare che speranza e timore nascono da un'identica radice che
riconducibile alla prudenza stessa.
Qui tuttavia il caso a cui ci troviamo di fronte appare del
tutto diverso: con la lepre e la disperazione (non si dimentichi il
connotato teologico del termine) scende sulla terra un timore
vano, che non dettato dalla prudenza ed destinato a causare un
effetto che esattamente contrario a quello prodotto dalla
`filosofica contemplazione': una volta discese lepre e disperazione
finiscono per determinare quello che il vero inferno e l'Orco delle
pene agli animi stupidi ed ignoranti.
Il tema appare chiaramente di origine lucreziana ed tale da far
trasparire l'eco di alcuni motivi centrali del De rerum
natura destinati ad illuminare alcuni nodi vitali dell'opera. Nel
proemio del III libro del poema latino, l'azione di Epicuro che rivela
agli uomini il vero volto della natura e le dimore degli dei appare
ancora una volta collegata con la liberazione dal timore della
religione: abbattuti i moenia mundi, risplendono le sedes
quietae degli dei senza che in nessun luogo appaiano i regni
infernali, gli Acherusia tempia: un testo, questo, che
richiama l'elogio del Nolano come liberatore dell'umanit attraverso
la scoperta della nuova cosmologia nella Cena de le Ceneri.
3

L B, II , ( l e p o r i s v i ta ) , c o l . 1 0 2 0 C .

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

123

Certo, timore della morte e timore degli dei, della loro


collera e del loro castigo sono collegati tra loro, ma vincere l'uno
e l'altro, pur legati come sono dalla riscoperta gi effet tuata della
rerum natura in senso cosmico e dalla formazione di
simulacri che si affacciano alla mente attraverso l'immaginazione,
comporta per Lucrezio due compiti distinti che coincidono con la
capacit di risalire alle loro cause reali ed all'igno ranza di esse da
parte degli uomini.
Il timore della morte - `che dalla nascita tiranneggia il spirto
degli animanti', scrive il Bruno nello Spaccio - era quello che
avvelenava la nostra esistenza togliendole alla radice ogni serenit e
piacere, e poteva essere sradicato solo mostrando la vera natura
dell'anima. Conoscerne il carattere composto e materiale, quindi
perituro, era il solo mezzo per ottenere questo scopo, dal momento
che l'apparizione delle immagini dei defunti faceva credere ad una
immortalit delle nostre anime e quindi all'esistenza di regni
ultraterreni che fossero la loro dimora. Se tale timore turbava la
vita dell'uomo nel profondo, ci era dovuto in gran parte al fatto
che esso si poneva all'origine di vizi esiziali sul piano civile che
travagliavano l'esistenza e non gli lasciavano tregua, in primo
luogo l'avarities e la honorum caeca cupido (si
ricordi l'insistenza del Bruno sui danni dell'Avarizia e
dell'Ambizione) senza i quali una vita dolce e tranquilla appariva
impossibile dal momento che i loro opposti, turpis
contemptus e acris egestas, sembravano collocarsi quasi
alle porte dell'Ade. Di pi: per raggiungere i fini che si sono
detti, gli uomini finiscono per trasgredire i limiti del diritto,
aggiungono crimine a crimine, non esitano a versare il sangue dei
loro concittadini e a godere della morte dei loro stessi congiunti,
mentre l'invidia della condizione altrui serpeggia nel loro cuore.
Ma se la fonte delle loro pene, del loro affaticarsi senza
tregua risiede in questo vano terrore, la loro condizione appare
simile a quella dei bambini che al buio si spaventano per pericoli
che sono solo il prodotto della loro immaginazione:

124

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

cos l'uomo alimenta quel terrore di cui egli stesso


la causa. Il vero inferno dunque qui ed i supplizi
mitici di Tantalo e di Sisifo non fanno che indicare
una condizione terrena dell'uomo. L'ignoranza
dunque la vera causa della vana, atterrita credenza
nell'esistenza di altri regni che hanno origine in
realt solo nella nostra mente e che fanno si che
le pene dell'Ade e del Tartaro sussistano
realmente ma solo quaggi, tra di noi, vittime
della nostra stessa immaginazione: `Hic Acherusia
fit stultorum denique vita', scrive Lucrezio, e
ancora 'Atque ea nimirum quecumque Acherunte
profundo/prodita sunt esse, in vita sunt omnia
nobis' 4. Gi qui dunque il tema dell'ignoranza
delle cause e della vana immaginazione si sono
intrecciati strettamente ed il loro nesso destinato
a ripresentarsi come essenziale sia per quanto
riguarda l'origine della religione che per la
formazione di simulacri inesistenti.
Quanto alle cause specifiche del timore degli
dei, esso deriva dal fatto che gli uomini vedono
da svegli e in sogno, figure di bellezza e
grandezza senza pari, dotate di senso e di vita a
cui sono condotti ad assegnare l'eternit,
l'assenza di fatica, la felicit per il loro
permanere, per la loro forza, per la mancanza del
timore della morte. Ad essi vengono assegnate
dimore celesti, anzi sembra che con il loro cenno
possano governare il cosmo e produrre tutti quei
fenomeni che, spaventevoli per l'uomo, sembrano
attribuire loro una volont nei nostri confronti: di
qui la paura della loro collera e del loro castigo.
come se una forza oscura a noi superiore si
impadronisse dei nostri destini e se ne facesse gioco
generando in noi
angoscia e terrore 5.
Sia nel caso della paura della morte che in
quello della credenza negli dei ci troviamo di
fronte al formarsi di immagini che rinviano per il
Bruno alla dottrina, sviluppata da Lucrezio nel IV
libro, dei simulacra, `quasi membranae summo

De rer. nat., III, 1023; e 978-9. s

Ibidem, V, 1160-1240.

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

125

de porpore rerum dereptae', quelle immagini sottili


che si distaccano dai corpi e che volteggiano
nell'aria, immagini che nella veglia e nel sonno ci
gettano nel terrore tutte le volte che si presentano
con un aspetto fuori del comune oppure come immagini di morti, onde siamo condotti a pensare che le
anime possano sfuggire all'Acheronte. La teoria dei
simulacri, nel suo carattere generale, viene piegata
dal Bruno alla spiegazione di tutta una serie di
fenomeni occulti nelle opere magiche, dal
momento
che
essa
poteva
incontrarsi
con
naturalezza con la tesi di uno spiritus universale
collegato d'altra parte in modo diretto ai processi
dell'immaginazione
ed
alla
possibilit
dell'intervento demonico su di noi. Ci che qui pi
importa della dottrina di Lucrezio che vi siano dei
simulacri molto pi sottili di quelli che colpiscono
gli occhi e provocano la visione, simulacri che
appunto perch magis... tenuia textu si uniscono facilmente
nell'aria e giungono pi in profondo sino a
risvegliare la sensibilit dell'anima; di qui la
possibilit della visione in noi di monstra e portenta.
L'esempio che fa Lucrezio quello dei Centauri:
Nunc age quae moveant animum res
accipe, et unde quae veniunt veniant in
mentem, percipe paucis. Principio hoc dico,
rerum simulacra vagari multa modis multis
in cunctis undique partis tenuia, quae facile
inter se iunguntur in auris,
obvia cum veniunt, ut aranea bratteaque
auri. Quippe etenim multo magis haec
sunt tenuia textu quam quae percipiunt
oculos visumque lacessunt, corporis haec
quoniam penetrant per rara, cientque
tenuem animi naturam intus sensumque
lacessunt. Centauros itaque et Scyllarum
membra videmus, Cerbereasque canum
facies, simulacraque eorum quorum
morte obita tellus amplectitur ossa;
omnigenus quoniam passim simulacra

feruntur, partim sponte sua quae fiunt


aere in ipso, partim quae variis ab rebus
cumque recedunt,
et quae confiunt ex horum facta figuris.

126

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Nam certe ex vivo Centauri non fit imago,


nulla fuit quoniam talis natura animalis;
verum ubi equi atque hominis casu
convenit imago, haerescit facile
extemplo, quod diximus ante, propter
subtilem naturam et tenuia texta.
Cetera de genere hoc eadem ratione creantur

I temi lucreziani che abbiamo toccato


sommariamente trovano nel Bruno una sintesi
trasparente:
divinit
mostruose,
partorite
dall'ignoranza e dall'immaginazione, generano in noi
insieme il timore della morte e le conseguenze
esiziali di esso. Nel De immenso, in un contesto
ricchissimo di richiami lucreziani e prolungando in
realt una potemica gi iniziata nello Spaccio, ove
aveva parlato di `mezzi uomini' e 'semibestie', di
`uomini mortali, inspirati da gemi perversi, che
vivi non valsero per s, e non possibile che morti
vagliano per s o per altro', attaccava coloro che
ritengono di essere svegli ed in s `quando
simulacra sequuntur' e si rivolgono a divinit mostruose, Fauni Satyri Centauri, che in realt avvelenano il
vivere civile e tolgono agli uomini ogni speranza di
felicit, fornendo nova materies bellorum:
Vigilare putant, quando simulacra sequuntur,
et vanas stupidi species figmenta furoris
convolvunt animo, miseri, divosque fatigant
Faunos, et Satyros, Centauros semiferosque
semihominesque, nihil qui possunt, qui
quoque nil sunt; queis quondam vilis fuerat
quoque mortua vita impia spirituum suffectis
vasa nocentum, ut nova materies bellorum
occurreret orbi
devoto atque hilari .
7

Ibidem, IV, 722-744.

Op. lat. , I , I l, p. 291 (De imme ns o , VI II , 1).

8
LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

127

In un altro testo del poema egli parla del


rovesciamento che avvenuto della stessa regola
morale e conclude, nuovamente con accenti
lucreziani: Sic veri ac iusti normae corrupta
remansit/Fabula, quae vitae rationem evertit et
usu , n manca di ricordare come si fosse giunti
ormai a violare quelli che erano i vincoli pi
sacri. In tal modo timore della morte, capacit
dell'immaginazione di generare esseri inesistenti ma
pur reali nelle loro deleterie conseguenze civili e
propizi all'ispirazione demonica, natura della
religione attuale trovavano una sintesi naturale
nelle pagine del poema latino che appaiono in tal
senso un prolungamento dello Spaccio. Ne derivava
cos tutta una serie di conseguenze importanti: i
due aspetti del Cristo su cui ci siamo soffermati
hanno trovato non solo uno stretto rapporto ma un
rapporto di causa ed effetto e ci spiega come
Bruno, una volta ristabilita la legge di natura, si
muova nella direzione di eliminare gli effetti
perniciosi sul piano civile del timore della morte
riducendo quest'ultimo a forme che non siano
appunto nocive per esso. Contemporaneamente, per
questa via destinata ad assumere un rilievo se
possibile
ancora
superiore
l'equiparazione
implicita che aveva avuto luogo nella Cena de le Ceneri
tra Epicuro ed il Nolano visto come liberatore
dell'umanit dai suoi terrori attraverso la
riscoperta del vero volto della natura, cos come
acquista un nuovo sapore la coincidenza tra il
fatto che il Cristo infranga la legge di natura e
ispiri negli uomini la paura della morte. Ma va
anche sottolineato un altro dato importante: il
carattere ineliminabile per la moltitudine di tale
timore, carattere che conduce il Bruno sulla via di
una possibile utilizzazione civile di esso, introduce
inevitabilmente un limite drastico nella liberazione
di cui egli si presenta come portatore, e ci fa
pensare che un significato parallelo debba ricevere
il copernicanesimo
8

Ibidem, 1,11, pp. 171-2.

128

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

come verit riservata ai soli sapienti. Ancora: se il Cristo come


Centauro destinato a rimanere in cielo come sacerdote, non
potr tuttavia perdere i connotati che ne sono all'origine e che
indicano per necessit una sua natura insieme umana e
ferina .
Nel Bruno, naturalmente, le dottrine lucreziane ritornano con
altre varianti significative, alcune delle quali sono legate ancora
una volta alla sua lettura di Ficino. In un saggio come sempre di
grande interesse, Robert. Klein ha sottolineato a pi riprese che nel
De vinculis in genere Bruno identificava l'inferno con il timore che
l'anima concepisce di esso, con le immagini che noi ne abbiamo
quaggi e che sono destinate ad `appesantire' l'anima anche al di
l della vita terrena e quindi a prolungare in qualche modo nell'altra
i terrori di questa, come se fosse l'anima stessa a costituire
nell'una e nell'altra vita il suo inferno. Scriveva il Bruno nel De
vinculis:
9

10

Vincibile, ut vere vinciatur, non tantum vera requirit vincula,


nempe quae ex fundamento huiusmodi sunt, quantum

9
Se la doppia natura del Cristo destinata ad essere retrocessa, con la figura del
Centauro, su un piano insieme ferino ed umano, non mi sembra un suggerimento inutile
quello che viene dai versi dell'Alciati a proposito di

Chirone, anche per stabilire alcune distanze:


. Heroum genitos et magnum fertur Achillem In
stabulis Chiron erudiisse suis.
Semiferum doctorem et semivirum centaurum
Assideat quisque Regibus, esse decet.
Est fera, dum violat socios, dum praeterit hostes,
Estque homo dum simulat se populo esse purum .
Cfr. A. ALCIATI, Emblemata cum Claudii Minois commentariis, Lione 1592, p. 531
(Emblema 145). Su questo testo e la sua dipendenza da Machiavelli, v. G. TOFFANIN,
Machiavelli e il R Tacitiamo , Napoli 1972 2, pp. 137-8.
10
R. KLEIN, L'enfer de Ficin, in La forme et l'intelligible, Paris 1970, pp. 89-124 (il
saggio del 1961). Su alcuni aspetti dei temi qui affrontati cfr., di D.P. WALRER, Spiritual
and Demonic Magic from Ficino to Campanella, London 1958 e The Decline of Hell,
London 1964.

129

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

apparentia, id est quae ex opinione; potest enim imaginatio sine


veritate vere vincire, et per imaginationem vincibile vere obligare.
Etsi enim nullus sit infernus, opinio et imaginatio inferni sine
veritatis fundamento vere et verum facit infernum; habet enim suam
species phantastica veritatem, unde sequitur quod et vere agat, et
vere

atque

potentissime

per

eam

vincibile

obstringatur,

et cum

aeternitate opinionis et fi dei aeternus sit inferni cruciatus, usque adeo


et animus exutus corpore easdem tamen retinet species, iisdem
nihilominus, quinimo etiam po tentius interdum propter indisciplinam
vel

oblectationem

p e rs eve ret .

Quod

vel

im b i b i t a m

vulgo

s p e c ie m

philosophantes

per
hoc

s ec u l a
non

in fel i x

capiant

et

ignorantissima illam doctri nam insulsissime reprobent, non magni


facimus, ut qui pueri non minus eorum rationibus abundavimus et
inexperti, quam iisdem ipsi abundare possint periti atque senes; non
minus tamen ideo ipsis in hoc sensu adultis condonamus, quam nobis
iudicemus condonandum fuisse pueris 11.

Il lungo lavorio dell'autore della Theologia platonica intorno a


questi temi ha lasciato la sua traccia nel Bruno, intrec ciandosi occorre aggiungere - al concetto di espiazione
attraverso la reincarnazione. Sempre Klein ricollega giustamente
questa presa di posizione bruniana a due distinte tradizioni che erano
venute confluendo e congiungendosi in Ficino, sulla base delle quali la
facolt dell'immaginazione aveva _perduto progres
sivamente il suo statuto autonomo ed era venuta a coincidere con
il veicolo etereo proprio dell'anima di cui parlavano i
neoplatonici. Tale duplice tradizione era chiamata a dare una
versione spiritualizzata e razionalizzata della pena che attendeva
l'uomo nell'oltretomba in quanto essa finiva per costituire il
naturale prolungamento dell'esistenza che l'anima aveva scelto
finch era rimasta legata al corpo, seguendo di sua spontanea

u De vinculis in genere, in Opp. lat., III, p. 683 (si sono adottate le correzioni al testo
suggerite dal Klein).

130

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

volont gli allettamenti che le venivano offerti dalla materia e dai


sensi; in tal modo non appariva pi necessario ricorrere all'idea ed
all'intervento di un Dio giustiziere e vendicativo ma ci si trovava
di fronte ad un criterio di giustizia intrinseco all'anima stessa. In
altri termini, l'appesantimento che questa riceveva nella vita
terrena a causa delle sue colpe attraverso il veicolo etereo, legame
mai interrotto con un altro regno, finiva per determinarne il destino
nell'oltretomba.
Nei testi dello Spaccio emergono tuttavia i due aspetti di tale
dottrina che, se non altro per ragioni di ortodossia, Ficino non
aveva potuto fare suoi o che aveva voluto sfumare e lasciare
nell'ombra: che l'inferno si determini quaggi realmente a causa
nostra e che l'idea della reincarnazione possa essere legata a quella
dell'espiazione delle nostre colpe (al secondo aspetto sembra alludere
anche il testo citato del De vinculis, sia pure in maniera indiretta,
con l'espressione per secula animus infelix perseveret). Sebbene nello
Spaccio sia assente la preoccupazione di dare a queste dottrine una
trattazione teorica sistematica e compiuta, sembra impossibile
non collegare la tesi esplicitamente sostenuta del `vero inferno' e
`vero Orco' per le anime infelici- con quella della reincarnazione,
riportata certo in modo autonomo rispetto alle cause terrene che
generano l'inferno, ed evocata in particolare per i seguaci della
Riforma di cui si auspica la metamorfosi in corpi di asini o di
porci perch possano scontare le loro colpe. I due aspetti del
problema che Ficino tendeva a lasciare in ombra o a rifiutare
segnano anche la distanza del Bruno da Lucrezio (quest'ultimo
rifiutava esplicitamente, com' noto, la tesi della reincarnazione) e
sottolineano che in ogni caso si trattava di dare una risposta filosofica a
problemi che nascono dall'esistenza di uomini la cui immaginazione
finisce per creare il suo stesso oggetto, destinato al limite a durare in
eterno. Non per nulla anche nel De vinculis coloro che credono
nella verit materiale dell'inferno sono assimilati sprezzantemente
dal Bruno ai bambini come in Lucrezio ma, secondo una variante
che presenta una certa importanza per lo
LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Spaccio stesso, Bruno

131

disposto
a concedere loro una certa
comprensione, la stessa che concede a se stesso se pensa ai timori
assurdi che concepiva da bambino.

Tutti questi temi, elaborati apparentemente senza uno stretto


coordinamento nel dialogo italiano, sembrano tuttavia indicare con
chiarezza come essi debbano contribuire in misura determinante alla
soluzione del problema religioso a cui Bruno sta lavorando all'interno
del quadro concettuale generale che ha elaborato nell'opera e che
non sembra poter fare a meno della separazione tra livelli
conoscitivi e morali nettamente distinti.
Tanto pi notevole appare dunque il fatto che proprio in
questo contesto, dinanzi a quello che si sta delineando come
problema del rapporto dell'uomo con la morte, Bruno venga a
contrapporre quella che la sua visione filosofica al cristianesimo. Si
gi visto come il Cristo sia presentato costantemente non solo come
sovvertitore della legge di natura ma quale fonte di timore (due
elementi come ormai sappiamo in realt pi legati tra loro di
quanto non appaia a prima vista, al punto che il primo funge da
causa del secondo) e ora quest'ultimo motivo si salda ormai
stabilmente al livello dell'immaginazione, dei fantasmi da cui non
riescono a liberarsi le menti pi deboli, andando incontro, anche
per l'eterno, alla perdita della felicit, secondo uno degli aspetti
salienti del tipo deteriore di malinconia ma non senza che per
questa via possano presentarsi elementi utili per regolare la vita
civile.
Ma torniamo al testo da cui siamo partiti ed al destino
terreno della Lepre: il vano e cieco timore della morte - non c'
da farsi illusioni su questo punto - entrer in ogni luogo ed in ogni
casa e non trover mai porte che siano sufficiente mente sbarrate
per impedirgli l'accesso, a causa dei falsi sospetti che hanno la loro
origine nella `stolta fede' e nell"orba credulitate'.
Qui lo scadere della fides a fiducia `bovina' ed `asinina'
appare chiaro, con le conseguenze negative, esattamente antitetiche a
quelle promesse, che essa porta con s ma l'accento cade

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE


132

133

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

ora sulla impossibilit che questo terrore si affacci l dove regna come
salda rocca a nostra difesa la contemplazione filosofica, dove cio la
quiete della vita (e altrove si parler di tranquillit dell'animo) poggia
sulla vera persuasione che non soltanto ogni sostanza eterna e che
noi dobbiamo temere solo il dissolversi del composto ma che questo
deriva da una necessit che ci riconduce ancora una volta al fato
della mutazione. Ma vi qualcosa di pi significativo: nel
momento in cui Bruno indica che nella dissoluzione del composto
va perduta solo l'unione di elementi che non sono destinati ad
annullarsi, identifica poi nel composto stesso, nell'unione transeunte
di tali elementi che per la sua provvisorieta pu spaventare la
mente ignara dell'eternit della sostanza, qualcosa che definisce
l'uomo in quanto tale, qualcosa quindi che solo pu essere
chiamato `perfezione' e `giustizia' per lui. Il composto dunque
legato in modo indissolubile alla perfezione stessa che attingibile
nella sfera umana, tale perfezione non pu riposare in una condizione completamente diversa per natura rispetto a quella che
conosciamo e nella quale soltanto si troverebbe ipoteticamente
realizzato, con il compimento di una giustizia superiore, il suo
adeguamento ad una pi alta, di fatto oscura volont, mentre al
contrario la giustizia si realizza per noi nel conformarsi cosciente
in quanto uomini a tale natura superiore.
In tal modo non si nega evidentemente che il dissolversi del
composto possa costituire e di fatto costituisca elemento di timore
(la Lepre scendendo sulla terra trover ogni uscio aperto...) ma si
indica il divario supremo, implicitamente anche numerico, tra
quanti grazie alla consapevolezza filosofica sopra ricordata (una
consapevolezza che coincide con l'intera filosofia) trovano la forza
per dominare tale timore e coloro per i quali la paura della morte
genera appunto l'inferno in terra.
Quanto alla perfezione, se Bruno ironizzer pi avanti sul mistero
della duplice natura del Cristo, insieme uomo perfetto e dio perfetto,
qui varr maggiormente la pena di richiamare un passo del Vangelo
di Matteo: Voi dunque cercate di dive

nire perfetti come il Padre Vostro celeste perfetto 12. Per


questa via Bruno poteva ritrovare in funzione polemica tutti i
temi precedentemente sviluppati relativi alla `autonomia' dell'uomo dal divino nell'accezione che si cercato di chiarire, nel
momento stesso in cui tornava a vedere nel timore se non
lucrezianamente l'origine stessa della religione certo lo strumento
del sorgere e del permanere delle credenze cristiane.

12 MT, 5, 48.

XII
La Lepre diviene cos oggetto della caccia del Cane di Orione,
ma a questo punto che abbiamo un rovesciamento significativo,
che non apparirebbe comprensibile se la realt dei fantasmi di cui
abbiamo parlato non fosse appunto come si detto un prodotto
della nostra mente. Bruno riprende dagli Adagia tutta una serie di
indicazioni per ricordare che questo animale, di cui incerto lo
stesso sesso, non soltanto non si limita a dare grazia e bellezza a
coloro che se ne cibano, ma rende beato colui che nutrendosene
non solo ne digerir le carni, per antonomasia squisite e
raffinatissime (di leporinae
carnes, quasi summae exquisitaeque deliciae aveva parlato Era
smo 1) ma soprattutto si convertir in esse. Le allusioni, a cominciare
da quella della grazia che danno le carni della lepre, appaiono
trasparenti.
Diana, dea della caccia, con un comportamento parallelo a quello
di Venere nei confronti della costellazione dei Pesci - particolare,
questo, che non va sottovalutato - non vuole che di tale animale, ora
che perde la sua collocazione celeste, si smarrisca la traccia in terra,
ma qui interviene nuovamente l'ironia bruniana, un'ironia ricca di
significato, a ricordare che ci potr essere un modo di mangiarla e di
berla - di bere evidentemente il suo sangue - senza che venga
veramente mangiata e bevuta, senza anzi, si aggiunge, senso che
l'avverta e forse neppure luogo che possa contenerla. L'allusione qui
implicita andr chiarita, ma limitiamoci per il momento a
registrare che ci che era stato presentato come il tipo stesso del
timore

1 In

leporinis, in LB, Il, col. 1132 E.

136

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

della morte divenuto, attraverso l'indicazione di una falsa perfezione,


il veicolo per eccellenza della grazia e della beatitudine, mentre il
discorso aperto con l'Eridano sembra completarsi nel senso che i
dissensi teologici possono venir superati solo su quel piano
immaginario da cui hanno tratto la loro origine.
chiaro che Bruno sottolinea la differenza anche
numerica tra gli asini costretti ad abbeverarsi a fonti illusorie e
coloro che trovano in se stessi e nel loro sapere la tranquillit dell'animo ma rileva anche il danno solo relativo - anzi la possibilit di
`qualche guadagno' - che pu venire da queste credenze a condizione
che esse vengano colte nella loro vera natura; soprattutto la Lepre
come tipo del timore della morte pu essere ricollegata al Cristo
come cacciatore di uomini in quanto sa trasformarsi a tal fine agli
occhi di questi ultimi in preda illusoria. Egli colui che effettua una
venatio i cui risultati, destinati inevitabilmente ad avere grande successo
tra la moltitudine, onde l'invidia di Diana nei suoi confronti, sono
legati all'illusoria convinzione che l'elemento stesso che non pu non
espandere ed alimentare tale timore sia chiamato al contrario a lenirlo
e sradicarlo; il paradiso fittizio degli uomini non altro che il vero
inferno e nelle Lepre finiranno per ricongiungersi ed alimentarsi a
vicenda tanto il vano timore che la vana speranza, dotati tuttavia a
loro modo di un grado di realt. Il Cristo, presentato come colui
che morendo, facendo sacrificio di s, aveva vinto la morte per tutti
gli uomini, in realt colui
che ne prolunga il terrore producendo con esso il vero inferno.
Proprio per questo il cane di Orione insegue nelle Lepre qualcosa
che appare destinato a non essere mai raggiunto, ed essa sembra
poter essere paragonata su questa base ad un enigma se, come si
afferma, non un can mastino inadatto alla caccia doveva essere
posto inutilmente alle sue calcagna ma piuttosto una volpe tebana.
Orione trasformatosi in preda di fatto qualcosa di irraggiungibile se
non si scioglie l'enigma che esso pone - quello forse di sottrarre
nella realt ci di cui sembra
fare dono - mentre la grazia che promette come si diceva

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

137

quella della pura illusione, onde i cani che l'inseguono e l'interrogano debbono `fingersi' le risposte che la Lepre da sola non in
grado di dare. Ma proprio in questo modo Orione, da cacciatore
fattosi caccia per ottener meglio il suo scopo, garantisce a se stesso
le condizioni del suo permanere come dominatore di coloro che
hanno il timore della morte: se l'equivoco fosse chiarito
sparirebbe con la paura anche la vana speranza, mentre il primo
elemento non fa che perpetuare il secondo.
In conclusione la grazia che d la Lepre pura illusione, come
quella che scaturita da un vano timore della morte; inseguita dai
cani di Orione essa non sar mai raggiunta ma viceversa li
costringer, come portatrice di un enigma e di un mistero
insolubili se non chiariti nella loro realt, a fingere risposte che non
pu dare, trasformer in se stessa tutti coloro che se ne ciberanno
ma sar una trasformazione immaginaria dettata da quella stessa paura
della morte che ha generato nella fantasia degli uomini la credenza
secondo cui un Orione potrebbe divenire realmente preda nella
forma particolare che si detta. A questo punto la digressione
bruniana sul valore della caccia pu illuminare insieme il
significato di queste pagine ed il ruolo svolto da Orione, ma
destinata a proporci anche un altro, diverso tipo di venatio, mentre
siamo sulla via per comprendere nei suoi termini specifici una
legittimazione della religione che non passa attraverso la verit
filosofica. Alla fine di queste pagine il Bruno potr gi apparire
come il vero Atteone, come colui che chiamato a realizzare una
metamorfosi reale in contrasto con quella, apparente, dei falsi
Atteoni guidati da colui che, invece di perseguire la
contemplazione degli dei e della verit, ha preferito sedurre gli
uomini attraverso l'inganno e la menzogna. La figura del Nolano torna
cos a contrapporsi ma ormai in prima persona alla figura del Cristo
ponendosi come sua alternativa filosofica legittima.
E in questa pagina che si apre il discorso sulla venazione
come `maestrale insania regia pazzia imperial furore 2, destinata
2

Dialoghi, p. 811.

138

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

ormai ad assurgere al ruolo di `virt religione santit': e si noti, in un


discorso come sempre sorvegliatissimo, la progressione dei sostantivi:
insania pazzia furore e dei loro attributi, progressione che sembra
alludere a tre livelli distinti sebbene qui convenga ancora una
volta ripartire dal livello civile.
In realt questo livello civile e religioso insieme che va
ricostruito facendo leva su quel grado ancora superiore da cui esso
dipende, e non per nulla la contrapposizione che qui ha luogo
chiama in causa i sacerdoti di Diana, di cui si parlato come di un sacro
collegio, e rappresenta la ripresa esplicita del discorso su Atteone,
iniziato al principio della terza parte del dialogo e che qui trova il
suo compimento.
Come abbiamo gi ricordato, il Capricorno rinvia ad una
capacit di metamorfosi che sembra investire il significato della
religione antica nel suo aspetto idolatrico ma richiama anche il sigillo
della `divina contrazione'. Ora tutto il dialogo percorso dal
riferimento a Diana come dea dei deserti e nello stesso tempo della
caccia, come colei che presuppone la solitudine ed il distacco dal
mondo della conversazione civile e non solo da quello della
moltitudine ferma ad un livello animalesco. Diana, che dispone di un
collegio di sacerdoti proverbiale per la sua purezza e verginit, la
dea invisibile la vista della quale trasforma simbolicamente il cacciatore
in caccia, mentre apparso gi chiaro perch la divinit nelle forme
in cui accessibile all'uomo essa stessa cacciatrice. Orione il
cacciatore emulo di Diana e per questo stato fatto uccidere da lei:
anch'egli ha tentato di divenire, come falsa Diana, come falsa
immagine della divinit, da cacciatore caccia. Dunque i sacerdoti di
Diana, dea vergine dei deserti, della solitudine e della notte,
attuavano un culto che era un culto divino, operando con la
bestia catturata secondo un rito preciso e minuto, destinato a
diventare attraverso questa pagina il simbolo di qualcosa di pi alto.
In effetti Orione apparso come colui che chiamato ad
abbandonare la sua sede celeste ed a tornare sulla terra ma per
restarci in modo del tutto innocuo, senza pi

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

139

commettere i danni che ha provocato e che lo pongono in


opposizione tanto alla filosofia quanto ad un culto magico della
natura, e qui il discorso sui modi con cui renderne inefficace
l'azione non fa altro che proseguire dopo i rilievi che sono stati
dedicati in questo senso alle figure dell'Eridano e della Lepre. Dunque
Orione colui che ha escluso dal rito divino le bestie,
pretendendo di essere il solo in grado di assumere su di s la loro
funzione di vittime: l'allusione alla eliminazione dei sacrifici
pagani determinata dalla venuta del Cristo, che ha assunto insieme
il ruolo di sacerdos e di sacrificium, appare trasparente.
Egli ha ottenuto cos che gli altri, privati di fatto di
qualcosa di cos essenziale come il rapporto con la divinit - ma si
noti che la cosa vale qui ad un livello letterale e simbolico insieme - si
soffermino intorno a lui ad osservare il nuovo rito e, implicitamente,
il preteso atto magico, con `certa' reverenza e `finta' meraviglia: ove
andr sottolineata la contrapposizione tra i differenti gradi di realt
a cui i due aggettivi sembrano rinviare, mentre a quel `finta' pare
che debba essere assegnato un connotato puramente oggettivo.
Cosf il Cristo, facendo credere che lui solo capace di far da
bestia e da vittima ed in grado di sostituirsi all'oggetto di tutti i
sacrifici pagani in quanto sarebbe tale da far coincidere in se
stesso le due funzioni, ha potuto porsi come unico, sommo
Sacerdote, il solo in grado di mediare tra l'uomo e la divinit, il
solo degno di porre il piede entro il Sancta sanctorum del Tempio,
trasformando quella che era la caccia come sacrificio fatto agli
dei in caccia illusoria di se stesso oltre che in cerimonia falsamente
magica. La conseguenza diretta di questo fatto che i suoi sacerdoti,
non pi i semplici cani di Orione protesi all'inseguimento della
Lepre ma coloro che aspirano ad essere autentici Atteoni, coloro
che dal momento che inseguono la divinit dovrebbero appartenere
al sacro collegio di Diana ed al termine della loro venatio
dovrebbero essere trasformati in selvatici cervi del deserto,
divengono al contrario, inseguendo la loro Diana e cio il Cristo,
cervi domestici

140

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE


LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

vale a dire, secondo il significato dell'espressione quale viene chiarito


dagli Eroici furori', ordinari volgari civili e popolari, privi di furor
e divina pazzia: il che indica insieme il carattere aristocratico del
sacro collegio di Diana, a cui si fa riferimento con le espressioni
di solitudine dei deserti e di `malinconia temprata', e la perdita di
quella `profonda dottrina magica e naturale' che era contenuta negli
antichi riti, con il conseguente scadimento della funzione sacerdotale.
Anche in questo caso ha luogo, ma in senso negativo, qualcosa di
magico che sembra nelle espressioni del Bruno rinviare al testo
evangelico ed in secondo luogo alla Eucarestia ma sottolineando in
entrambi i casi il valore ingannatorio accanto a quello magico
della cerimonia che ha luogo ('rito magico', `incantandolo') 4.
Bruno potr cos presentare se stesso come il vero Atteone, come
colui che si avvia ricercando l'autentica Diana alla contemplazione del divino e potr porsi grazie ad essa quale autentico
mediatore tra umano e divino, ispirando in tal modo la riforma
morale dello Spaccio. Egli sbarazza il terreno dagli ostacoli che si
frappongono a tale contemplazione e che appaiono quelli stessi
con cui si identifica una intera religione: in entrambi i casi va
sottolineata l'accezione aristocratica del suo discorso, riservato ai
due livelli a cui si accennava, al filosofo ed alla consapevolezza
anche pratica del vero sacerdote, svelando anzi come ci che
riservato per natura ai pochi, al contrario sia venuto estendendosi
illusoriamente e per prestigio magico ai falsi sacerdoti ed attraverso di
essi, sia pure per immaginazione e per incanto, alla moltitudine.
Bruno come autentico Atteone si contrappone dunque al CristoOrione in quanto riporta alla luce la natura dell'antica religione e
con essa la genesi reale del cristianesimo; con questo egli pone le
premesse per ridare

Ibidem, p. 1124. 4
Ibidem, p. 813.

141

all'umanit quanto il Cristo aveva solo illusoriamente promesso,


la metamorfosi dell'umano nel divino.
Ci che pi conta che ci troviamo di fronte a due
elementi decisivi del suo discorso: mai come ora abbiamo la prova
che il fraintendimento che stato all'origine del cristianesimo nato
da un atto di impostura e da cosciente 'malignitade' nei confronti
del genere umano, in quanto la sostituzione che il Cristo, semplice
uomo, opera scambiando se stesso con l'oggetto dei sacrifici
tradizionali non solo recide la via al divino ma non pu non essere
atto di consapevolezza da parte sua; simmetricamente il Bruno,
ponendosi come vero Atteone, implicitamente qui ed esplicitamente
negli Eroici furori, compir insieme qualcosa il cui livello sia
filosofico che religioso, ma opposto in modo dichiarato a ci che,
riuscendo nel suo inganno, aveva voluto conseguire il Cristo, a
cominciare dall'illusione che a tutti fosse dato di `cacciare', di
porsi sulle tracce della divinit.

XIII

Al termine dell'opera, il Pesce autrale, destinato a contrap porsi


tanto ai Pesci il cui destino quello di tornare nell'Eufrate quanto
al Pesce dell'indegno silenzio, viene a costituire l'autentico cibo
spirituale chiamato a dar luogo alla `beatifica cena', al banchetto
comune di uomini e dei collegato non a caso alla bilancia della
giustizia, quel cibo mistico dell'anima che torner ad essere
paragonato, questa volta senza ironie, ad un fiume di delizie, e non
per nulla saliranno al suo posto in cielo i frutti tutti umani (salute,
sicurezza, utilit, gaudio, riposo, somma volutt) che sono il
premio riservato a virtudi studi fatiche. Il Pesce australe viene
dunque a coincidere con il frutto del 'purgatorio' a cui si posto
mano, mentre per chi si eleva ad una sfera pi alta esiste
evidentemente un altro tipo di rapporto con il divino, diverso ma
non in opposizione con questo, l'azione del solitario contemplativo
alla caccia della divinit (si ricordi che nelle righe conclusive
dell'opera si distinguono le notturne contemplazioni di Sofia, di colei
che segue la dea dei deserti e del lume lunare e che anche per questo
in grado di contemplare meglio i modelli celesti, dalla cena che attende
il suo interlocutore Saulino).
L'interpretazione particolare che Bruno ha dato del Regno di
Dio ha dunque dischiuso le porte alla riunificazione tra potere politico
e potere religioso, Corona e Tiara, e contemporaneamente all'idea di
una sfera conoscitiva inferiore che deve essere lasciata al suo errore. La
religione non diventa lex solo nella misura in cui sussiste un livello
pi alto, cui compete di garantire anche l'esistenza di un livello
inferiore e di impedire che questo interferisca nel corretto
svolgimento del primo, di impe
dire cio che non germoglino nuovamente da esso i semi che
hanno prodotto la discordia civile.

144

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE


LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

Il carattere illusorio del Cristianesimo deve potenzialmente


distruggere alla radice la possibilit delle dispute teologiche come
regno del perpetuarsi dell'errore, la Corona (e la Tiara)
consapevole di questo non permetter che rinascano mentre
garantir la permanenza dell'illusione di vivere in un mondo fittizio
finch essa utile. La separazione non tra una sfera politica ed una
sfera religiosa interiore dotata di una sua autonomia e di pari
dignit, ma tra la prima rivestita di autentico valore religioso, e la
seconda, destituita di ogni validit ma indispensabile alla prima che
non pu essere realizzata senza piegare ad essa la sfera dei semplici in
forme che tengano conto di ci che essi sono e non possono non
essere per natura.
La sistemazione del cristianesimo come lex presuppone cos non
solo tutta la metafisica bruniana ma la contrapposizione del
Nolano stesso al Cristo-Orione visto come colui che domina
attraverso il timore della morte dando la speranza di una nuova
vita e che ha spezzato per ottenere questo la legge della natura
sovvertendo le basi della societ. Bruno deve dunque opporsi ad
entrambi i lati del suo insegnamento, quello pi specificamente
religioso e quello che ha conseguenze direttamente civili, pur nella
consapevolezza del loro nesso intrinseco.
Orione ha sostituito alla metamorfosi reale degli uomini
attraverso il culto sacro - che il mito rappresenta come metamorfosi
degli dei - l'illusione della metamorfosi che gli uomini
realizzerebbero attraverso la caccia che compiono del Cristo. Il
travisamento del mito ora cancellato e Bruno pu riproporre la
vera `mutazione' ad un duplice livello, civile e religioso: in
quest'ultimo caso il falso sacrificio permane per chi non in
grado di divenire sacerdote di Diana e trasformarsi in autentico
Atteone, mentre sul piano civile scompare il dissidio tra i due
regni che scaturisce dall'insegnamento del Cristo in quanto l'unico
vero regno si realizza come metamorfosi dell'uomo che coglie il
livello da cui la divinit pu guidarci chinandosi su di noi in
forme che ci permettano di elevarci ad essa, secondo modalit
parallele a quelle che hanno luogo nel culto.

145

Bruno ha cos, distinto all'interno del cristianesimo una zona


che era suscettibile di essere mantenuta come lex ed una sfera che
doveva essere cancellata proprio per i rischi civili che essa portava
con s. Ad operare la coesistenza tra una sfera religiosa superiore
ed una inferiore funzionante come lex saranno chiamate le
caratteristiche nuove del sacerdozio, riepilogate non per nulla alla
fine dell'opera, che dovranno sancire la subordinazione del livello
inferiore dirigendo le moltitudini in forme che non possono pi
riprodurre l'inconveniente supremo di cui si parlava, il germogliare
cio della disputa teologica al di fuori del terreno ristretto ad essa
consentito.
cos possibile riepilogare in un senso pi preciso il
significato delle figure che abbiamo visto succedersi nell'ultima,
decisiva sezione dell'opera. In quanto sussiste una forma inferiore, ineliminabile, della religione, che risolve sul piano dell'immaginazione la presenza del divino in noi ed i frutti che ne
derivano, essa postula (mai come ora, che la `nave della religione'
appare `sommersa' 1, dice il Bruno, l'altare necessario, ed il rilievo
ritorna al termine dell'opera a proposito del Cristo-Chirone) essa
postula un sacerdote che si allinei egli stesso ai modi in cui il
Bruno vede realizzarsi l'azione della Corona e della Tiara,
impedendo quello sconfinamento di cui si diceva, ponendosi cio
come sacerdote di un regno immaginario e garantendo la
funzione civile del suo ruolo attraverso una purificazione della sua
azione, sintetizzata dall'abbandono della fabula turpis. Nel CristoChirone, il pi saggio, si ricordi, tra i Centauri, la pretesa di essere
il solo sacerdote pu quindi essere mantenuta a questa condizione, e
se in lui l'unione tra umano e divino appare del tutto illusoria
agli occhi di Momo, non ci troviamo semplicemente di fronte
all'irrisione del mistero della duplice natura del Cristo, uomo
perfetto e dio perfetto, ma a qualcosa che ha un significato pi
profondo: Giove a ricor

Dialoghi, p. 602.

146

LA SOMMERSA NAVE DELLA RELIGIONE

dare a Momo di non tentare di capire l dove non c' nulla da


capire e soprattutto che non c' bisogno di questo dal momento
che ci che in causa appartiene ad un altro ordine di realt. Al
contrario il Cristo-Orione non potr mantenere la sua sede
celeste, non potr cio permanere neppure in quel regno dei cieli
riservato alla immaginazione dei pi deboli di intelletto perch il
suo messaggio non solo antitetico alla rerum natura ed ai valori
stessi della filosofia del Bruno ma proprio per questo tale da
sovvertire le condizioni stesse della vita civile - bastava in tal senso la
semplice scissione tra la legge della natura e la legge divina, tra la
giustizia dell'una e quella dell'altra.
D'altra parte la funzione di sacerdote di Chirone - quasi trait
d'union tra le due sfere religiose - giunge solo al termine di un lungo
sviluppo. Giove condannava i seguaci delle nuove sette a mangiare
cibi immaginari e questo era tanto parte di una giustizia
immanente, elemento certo qui tenuto in secondo piano, quanto
spunto che doveva essere realizzato in concreto come non privo di
un certo frutto terreno; Lepre ed Eridano, le due figure in cui si
incarna eminentemente questo livello religioso inferiore, non
faranno danni ch il loro stare in terra equivale allo stare in cielo,
nel regno immaginario che stato promesso agli asini; l'inferno
che tali figure danno pu essere scambiato per fiduciosa attesa di
un illusorio paradiso e come tale pu essere condizione della pace
purch come si diceva non sconfini dal campo suo proprio.
Ora che Orione stato privato delle sue arti, sar il
sacerdote a garantire che non si ripeta la `favola disutile e
perniziosa': il fatto che nel Cristo le due funzioni di sacerdote e
di vittima coincidessero suggerisce al Bruno che a lui, nel regno
degli asini, non verr mai a mancare per sacrificarla la bestia che
egli tiene con s in cielo perch egli potr sacrificare se stesso e lo
potr fare infinite volte dal momento che si tratter di atti frutto
di immaginazione che hanno dalla loro parte una forma sia pure
del tutto particolare di eternit.

INDICE DEI NOMI

Agostino (S.), 59 e n.
Alciati A., 126 n.
Aquilecchia G., 23 n.
Beierwaltes W., 12 n.
Biondi A., 11 n. Blum
P.L., 12 n. Boccaccio G.,
112 e n.
Calvino G., 103
Cantimori D., 11 n.
Caponetto S., 11 n. Cardano
G., 9, 12, 32, 63 Cavazza S.,
11 n.
Crisostomo (S. Giovanni),2Q
Demostene, 119 De
Negri E., 11 n.
Epicuro, 120, 125
Erasmo da Rotterdam, 9-27, 38, 44,
46, 49-52, 56, 61, 72, 94, 100, 106,
107, 109, 110, 119, 133
Eschine, 120
Ficino M., 89, 126, 127
Fiore T., 11 n. Fiorentino
F., 80 n.
Garin, E., 11 n., 26 n.
Gentile G., 23 n.
Giovanni (ev.), 33 n., 53 n., 94, 95 e
n., 99 e n., 113 n.
Godin A., 12 n.
Gombrich E., 108 e n.

Imbriani V., 80 n.
Jacob M.C., 12 n.
Klein R., 126 e n., 127 e n.
Klibansky R., 90 n.
Lasson A., 12 n.
Luciano di Samosata, 107 e n. Lucrezio,
80 n., 102, 120-6, 128 Lutero M., 9-27,
42, 44, 46-51, 58, 72
Machiavelli N., 126 n.
Manuzio P., 52 n., 63 e n., 110 e n.
Manzi G., 107 n.
Matteo (ev.), 36 e n., 45 e n., 130,
131 e n. Merlino,
113 Miccoli G., 11
n. Monti C., 12 n.
Mos, 48, 50, 51
Ordine N., 12 n.
O r ige ne , 12, ,
O' Rourke Boyle M., 11 n.
Panofsky E., 90 n.
Paolo (S.), 47, 49, 83 e n.
Papi F., 12 n. Plutarco, 110 e
n. Prosperi A., 11 n.
Romano V., 112 n.
Romolo, 113 Rotond
A., 12 n.

Salutati C., 77 n.
Saxl F., 90 n.
Seidel Menchi S., 8 n., 11 n., 110 n.
Solone, 47
Spampanato V., 12 n.
Stabile G., 93 n.
Tallarigo C.M., 80 n.
Teut, 113
Tocco F., 80 n.

Toffanin G., 126 n.


Tolomeo, 32
Vasoli C., 12 n.
Vitelli G., 80 n.
Walker D.P., 126 n.
Wyclif G., 14
Yates F.A., 12 n.

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